la donazione mista
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la donazione mista
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MACERATA Dipartimento di giurisprudenza CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO DEI CONTRATTI Ciclo LA XXIV DONAZIONE MISTA TUTOR Chiar.mo Prof. Carlo Alberto GRAZIANI DOTTORANDO Dott.sa Anna CAFAGNA COORDINATORE Chiar.mo Prof. Franscesco PROSPERI ANNO 2013 1 INDICE INTRODUZIONE p.3 CAPITOLO 1 p.17 NEGOTIUM MIXTUM CUM DONATIONE : ETIMOLOGIA ROMANISTICA DELLA FATTISPECIE - L’INDIVIDUAZIONE DEL CONCETTO ARISTONIANO - IMPLICAZIONI DISCENDENTI DALL’ORIENTAMENTO ARISTONIANO - POMPONIO: UNA DIVERSA DECIFRAZIONE DEL NEGOTIUM MIXTUM CUM DONATIONE - IL NEGOTIUM MIXTUM CUM DONATIONE NELLA PROSPETTIVA DI ULPIANO - UN MODELLO PERDUTO NEL TEMPO: LA MUTATA NATURA DELLA DONAZIONE CAPITOLO 2 p.42 L’ALTERNATIVA TRA CONFIGURAZIONE UNITARIA E DUCPLICE CAPITOLO 3 p.55 IL PROBLEMA DELLA QUALIFICAZIONE - LA DONAZIONE MISTA COME COLLEGAMENTO NEGOZIALE - LA DONAZIONE MISTA COME CONTRATTO INDIRETTO - LA DONAZIONE MISTA COME CONTRATTO MISTO CAPITOLO 4 p.93 AL DI LA’ DEL DIBATTITO DOTTRINALE. DALLA QUALIFICAZIONE AL PROBLEMA APERTO DELLA DISCIPLINA, ATTRAVERSO IL REQUISITO CAUSALE - ELEMENTI DELLA FATTISPECIE E PROSPETTAZIONE INTER PARTES - QUALIFICAZIONE. LE TESI DOMINANTI: CRITICA E RINVIO - LA FORZA DETERMINANTE DELLA RAGIONE GIUSTIFICATIVA DELL’ATTO - PROBLEMA DELLA DISCIPLINA E METODO 2 INTRODUZIONE Il diritto conosce e riconosce numerosi modi attraverso cui la volontà di arricchire può trovare attuazione. Tra essi, la donazione mista costituisce, nell’elaborazione dottrinale, snodo fondamentale delle questioni connesse all’emergere di fattispecie che rispondono a funzioni pratiche apparentemente concorrenti sul piano della valutazione giuridica, ma spesso concretamente compatibili nella sua materialità1. Questa affermazione definisce al contempo sia la ragione che ha motivato questa analisi sia l’esito cui la stessa è pervenuta. Ma, facendo un passo alla volta, occorre precisare che l’interesse per lo studio della fattispecie in questione non dipende dalla scarsità di elaborazione caratteristica dottrinale, sovrapposizione o quanto interferenza piuttosto di dalla posizioni che rende del tutto peculiare la figura. Difatti, con l’espressione donazione mista ci si riferisce comunemente ad un’attribuzione liberale realizzata con lo stesso ed unico atto idoneo a fondare uno scambio tra reciproche prestazioni: in sintesi, una fattispecie che presenta, accanto alle note proprie della donazione, i caratteri di negozio oneroso2. 1 Secondo D’Ettore nella donazione mista“l’attribuzione realizzata con lo stesso ed unico atto idoneo a fondare uno scambio tra reciproche prestazioni, delle quali l’una si presenti come causa dell’altra, consente di verificare in concreto la relativa compatibilità tra fenomeno liberale e scambio”, in La donazione, Trattato Bonilini, p.153 2 Così, Cataudella, in La donazione mista, 1970 3 La fattispecie più ricorrente nella pratica è quella della vendita di un bene ad un prezzo nettamente inferiore al valore di mercato, in cui il venditore-donante intende ottenere dal trasferimento del bene un corrispettivo in denaro e, contestualmente, intende donare all’acquirente-donatario la differenza tra il prezzo di mercato ed il corrispettivo pattuito3. Senza voler escludere la possibilità di altre ipotesi, a questa conformazione si farà riferimento, anche nel prosieguo, come principale termine di paragone: il rinvio alla vendita mista a donazione è d’obbligo, non solo perché essa rappresenta la fattispecie che più di ogni altra ha sollevato l’attenzione delle corti4, ma anche perché costituisce la admixtio di due modelli, quello in cui avviene uno scambio e quello liberale, tradizionalmente ritenuti inconciliabili5. Sulla base dell’elemento tipologico-causale in funzione del quale si compongono ambiti ed esigenze del tutto dissimili, liberalità e scambio rappresentano due concetti tradizionalmente distinti (‘quando vi è obbligazione, non può essere liberalità l’atto che è giuridicamente Liberalità nella sua può dovuto in esservi esecuzione adempimento dell’obbligazione nell’assunzione una volta che stessa. dell’obbligazione, questa può non essere coercitivamente ottenuta’)6. Di conseguenza, lo scollamento tra la 3 Più ampiamente, sull’oggetto, v. pag.117 4 Per completezza, si ricorda che Biondi annovera che in giurisprudenza si sono verificati questi casi: a) vendita per un prezzo minore b) vitalizio con rendita inferiore al valore della cosa (App. Torino, 21.07.1951) c) divisione in cui uno dei condividenti coscientemente e per spirito di liberalità, ottiene meno di quanto gli spetterebbe (Cass. 2068/1943); in Tr. Dir. Civ., Utet, p.944 5 “L’affermata incompenetrabilità delle due categorie pregiudica, peraltro, l’istituto -concettualizzato alla stregua di una celebre opinione aristoniana (D.39,5,18)- del negotium mixtum cum donatione, in cui un unico schema negoziale assolverebbe ad un complesso di interessi, coesistendo la causa onerosa con quella liberale”, così Giunti, in Donazione, Digesto civ., Torino 1990, p. 161ss. 6 Oppo, in Adempimento e Liberalità, Giuffrè, 1947, p.47. Lo stesso A. ritiene che ‘Fra il pagamento come adempimento di un obbligo giuridico e la liberalità come attribuzione spontanea sorretta dall’animo di 4 concreta funzione dell’atto ed i criteri selettivi dettati dai tipi si accentua nella valutazione di fenomeni negoziali, come quello in esame, non facilmente ascrivibili agli ambiti descritti dalla tradizionale prefigurazione tipologica dei contratti nominati. L’analisi sulla donazione mista si inserisce proprio in questo contesto, fornendo questioni connesse all’elaborazione all’emergere di dottrinale fattispecie lo che snodo di soddisfano funzioni inconciliabili7 sul piano della valutazione giuridica, ma di fatto effettivamente volute nella materialità perseguita dai contraenti. Presupposto logicamente rilevante per un’indagine così impostata, non possono essere dunque se non le ipotesi in cui il carattere ‘dovuto’ ed il carattere ‘liberale’ non si presentino con quella chiarezza ed univocità di lineamenti che rende agevole la distinzione nei termini elementari: in questa zona di confine, nella quale sfumati, i cade contorni delle l’oggetto di fattispecie questo esame. attributive Oggetto appaiono che, così individuato, non potrebbe prescindere nemmeno dal riconoscimento, in capo all’autonomia privata, della facoltà di predisporre i più vari meccanismi per perseguire interessi meritevoli di tutela. Questo conferma come l’asse del problema venga inevitabilmente spostato dall’atipicità degli atti di autonomia privata, dato che avvantaggiare altri, l’antitesi logica e positiva è per sé netta e si farebbe offesa al lettore a non darla per presupposta’ 7 Infatti Deiana, in La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, in Dir. e Pratica commerciale, 1938, I, p. 209 “…questo vantaggio non può assurgere al grado di attribuzione patrimoniale a titolo gratuito, senza un accordo delle parti sul punto … data l’antitesi esistente tra il concetto di onerosità proprio della vendita e quello della gratuità proprio di ogni atto liberale” 5 la donazione mista presenta sì elementi riconducibili a due diversi contratti tipici (vendita e donazione), ma dalla loro funzione scaturisce una figura a-tipica o, meglio, meta-tipica. A maggior ragione bisogna aver chiaro ciò che sembra trascurato da alcune trattazioni, ovvero il dato relativo alla definizione degli elementi di fatto di cui consta la donazione mista. Essi possono essere identificati in: a) la sproporzione tra le reciproche prestazioni; b) lo spirito di liberalità; c) l’accordo sullo spirito di liberalità. In effetti ed in particolare per quanto inerisce sub c), qualora il compratore inferiore ignori perché che animato il da venditore liberalità, aliena pare ad un indubbio prezzo che si ricada in un semplice accordo di compravendita: in tal caso, la liberalità resterebbe ‘isolata’, dato che l’intenzione non esternata dell’alienante non contribuirebbe alla formazione della volontà negoziale. In tal caso, non pare revocabile in dubbio che nessuna delle norme sulla donazione potrebbe trovare attuazione, visto che la mera sproporzione tra prezzo e valore del bene non è sufficiente a privare il contratto dei connotati della mera vendita. Dunque, qualora informi l’altra parte dello spirito di liberalità che lo anima, l’alienante desidera far discernere all’acquirente l’esistenza di una liberalità in suo favore8: in tal modo l’intenzione viene a connotare la dichiarazione. “L’evasione dal tipo contrattuale della vendita si può infatti avere soltanto 8 “…sono disposto ad alienarti per 50 quest’oggetto che ha un valore maggiore in modo da farti, come intendo effettivamente farti, una liberalità” così Deiana spiega le intenzioni del venditore, in La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, Diritto e Pratica commerciale, 1938, I, p. 144 6 quando l’intenzione di realizzare colla conclusione del negozio a quelle determinate condizioni una liberalità venga a far parte delle dichiarazioni contrattuali e sia quindi riconosciuta ed accettata dall’acquirente. La necessità di questa accettazione è una conseguenza del principio che la donazione è un contratto” 9. Di talché, si giunge anche ad un’altra deduzione: se il regolamento deve essere frutto di un accordo, gli elementi di cui si è detto non potranno che essere propri struttura contrattuale (sicché tende di un tipo negoziale a ad escludersi la configurabilità di mistione tra donazione e negozi unilaterali10). Ciò premesso, è agevole comprendere come lo studio qui proposto abbia necessariamente dovuto confrontarsi con il risalto dell’architettura contrattuale che la prassi ha creato al fine di trovare la struttura più adatta alla realizzazione della funzione in relazione alla varietà degli interessi sottostanti. L’animus donandi, in questa prospettiva, se costituisce il quid pluris della volizione, che altrimenti resterebbe relegata alla vendita, deve rilevare ‘il collegamento sussistente fra gli effetti essenziali perseguiti e lo scopo per cui si è manifestata la volizione’11. Per essere più precisi, non si tratta neppure dell’intento pratico qualificazione negoziale particolare in sé considerato, dell’intento pratico ma di una mediante il riferimento ad una caratteristica che la distingue da altre12. 9 Così Deiana, p. 145, cit. 10 Nello stesso senso, v. Cataudella, La donazione mista, Giuffrè, 1970 11 Così Checchini, in L’interesse a donare, Riv.dir.civ., 1976, p.259 12 In questo senso si esprime Checchini, in L’interesse a donare, Riv.dir.civ., 1976 7 Per queste ragioni, si è tentato di meramente descrittiva, ma sollecitata impostare un’analisi non da profili applicativi problematici emergenti dalla commixtio di liberalità e scambio all’interno di una svolge una funzione fattispecie in cui il ‘fenomeno liberale’ rilevante, ma non esclusiva, asservita in quanto tale alle esigenze di autonomia dei contraenti. Il materiale raccolto -le riflessioni sul tema sono multiformi e, pur giungendo alla medesima conclusione, passano anche attraverso percorsi argomentativi differenti- ha indotto a ritenere opportuno seguire un iter capace di esaminare al meglio il ventaglio delle riflessioni disciplina in materia : configurazione, qualificazione, rappresentano i focus alla luce dei quali è stato condotto lo studio. Il contrasto di opinioni esistenti sul tema è la prova migliore dell’interesse che l’esame della figura riveste, al di là del fenomeno di ‘stanchezza’ determinato dal cristallizzarsi di determinate impostazioni. Non a caso il maggiore pensatore sul tema (Cataudella) spesso sottolinea come il ‘cemento unificatore della categoria’ siano proprio i dubbi, applicativi e non, che la riguardano. Non a caso, l’istituto ha posto sin da subito la complessità legata all’inquadramento giuridico della fattispecie. In primis, è evidente la divergenza in dottrina, innanzi tutto, tra sostenitori dell’unicità del negozio così configurato e quelli della sua duplicità. Molti i criteri utilizzati per la soluzione di tale preliminare questione: quello della causa, quello della 8 volontà delle parti, quello del valore oggettivo delle prestazioni. Premesso che si aderisce alla configurazione della donazione mista come negozio unitario –né si vede come potrebbe essere altrimenti, l’analisi procede nel senso della qualificazione giuridica della donazione mista. A riprova della difficoltà ermeneutica riscontrata dai giuristi che si sono avvicinati a tale figura, basta citare le ponderazioni di alcuni giuristi tedeschi, tra i quali la donazione mista viene qualificata da Leonhard (contratto di compravendita concluso in maniera liberale), Muller (negozio unico sui generis), Hoeniger (causa mista e combinationstheorie), Von Tuhr (donazione) Shilling (vendita), giungendo tutti a definizioni dissimili. Simile distonia si rinviene nella dottrina domestica se si pensa che alla tesi che addirittura nega l’esistenza della donazione mista -“la tipicità sociale dei negozi vigente ancora nel nostro sistema giuridico come tipicità sociale di cause che ne rendono ragione, ostano ad ammettere una figura anfibia come quella nel negotium mixtum cum donatione”13- se ne accostano principalmente altre tre, quella del collegamento negoziale (di due negozi, uno oneroso, l’altro gratuito), quella del contratto misto (in forza della duplice sussumibilità dell’accordo e del criterio della combinazione) e quella che identifica la donazione mista come contratto indiretto (tesi abbracciata anche dalla Corte di legittimità a sostegno della tesi della non necessità della forma 13 Betti, in Tr. Dir. Civ. Vassalli 9 notarile). Da qui è sorta dunque la necessità di soffermarsi, per quanto d’uopo in questa sede, anche su tali concetti (contratto misto, indiretto, collegato). L’iter d’investigazione ha indotto ad interrogarsi preliminarmente sull’origine della fattispecie esaminata. sull’etimologia dell’espressione negotium hanno all’esame originaria condotto della mixtum Le ricerche cum donatione prospettazione di Aristone che - in D. 39.5.18- ulp. 71 ad edictum - parla di admixtio, superata poi dalla visione di Pomponio e Ulpiano, tutte infine travolte dalla legislazione costantiniana che ha determinato il presupposto delle moderne teorie sul negozio misto. In tal modo si è inteso chiarire, da un lato, a quali presupposti vada ancorato il nomen che costituisce il substrato a cui ancora attualmente si saldano le osservazioni circa la controversa configurazione del negotium mixtum cum donatione; dall’altro, è stato possibile trarre proprio dalle impostazioni superate, ed in particolar modo da quella di Pomponio, una riflessione sul metodo di studio da applicare alla figura in esame. Sul punto giova precisare che il termine negotium mixtum cum donatione, mutuato da Savigny proprio dalle fonti romane, è di gran lunga il più diffuso in letteratura e giurisprudenza. Il termine donazione mista che –non è superfluo notarlo- ribalta l’ordine preferito degli dalla addendi, viene dottrina proposto tedesca da che, 14 Parla di ‘gemischte Schenkung’ in Preussisches Privaterecht, Berlino, 1896 10 Forter-Eccius14 favorendo e maggiore sinteticità, evita di impiegare un’espressione latina con significato alquanto dissimile da quanto le era proprio. Naturale punto d'arrivo di questo primo step è stato quindi il canone operativo in direzione del quale dirigere lo studio della fattispecie: non conferimento di potendosi un trarre alcuna significato conclusione obiettivo al dal mero regolamento predisposto dalle parti -secondo id quod plerumque accidit-, essa si è voluta ricavare attraverso un’attenta analisi della loro volontà onde stabilire ciò che i soggetti abbiano di volta in volta effettivamente statuito. In tale ottica, l’accertamento di ciò che actum modernissima sit di -riprendendo Pomponio- l’impostazione funge da esatta giuridicamente determinazione dell’intento perseguito dai soggetti. La presenza del peculiare accordo nella donazione mista (il volontario sbilanciamento delle prestazioni) entra, dunque, a far parte della sua struttura in modo da caratterizzarne la funzione. L’osservazione dei possibili esiti negoziali discendenti dai contenuti dell’accordo, come tali, modellabili a seconda delle necessità, induce a funzioni (prima ritenere che nella donazione mista le due facie incompatibili) sono entrambe essenziali accorpandosi in una unica causa sui generis (lo scopo liberale si fonde con quello di scambio in quanto le parti non concluderebbero un contratto diverso a condizioni diverse): impostazione, questa, che si è intesa leggere alla luce della concezione della causa concreta, la quale della fattispecie affonda le radici nell’individualizzazione (intesa non tanto come volontà dell’individuo 11 che pone in essere il contratto, ma come ragione ontologica dell’accordo individuato in base ad una sintesi dinamica della sua funzione economico-individuale: in poche parole, il quod actum sit di Pomponio) e che -forse- riesce a risolvere il problema, segnalato da Cataudella, della elasticità dei tipi legali15. Questo è l’alveo concettuale all’interno di cui ci si è spinti con l’intento di rilevare quanto il criterio così determinato potesse interloquire con le interpretazioni che la dottrina ha dato alla donazione mista. Da qui, la necessità di un intero capitolo dedicato al computo delle tre teorie elaborate. Quanto all’impostazione che indica la donazione mista tra i negozi indiretti, precisamente tra le liberalità atipiche contemplate nell’art. 809 c.c., si ritiene che si tratti di una similitudine superficiale: tale inquadramento si fonda sulla premessa che l’intento liberale non entri a far parte della struttura contrattuale, negando di fatto il presupposto dell’applicazione della disciplina della donazione. Nel negozio indiretto, lo scopo ulteriore perseguito dalle parti resta così estraneo alla struttura del contratto (si può dire che non si ‘rivela’), cosa che non pare ragionevolmente ammissibile nella donazione mista. Nondimeno, il richiamo al negozio misto, così come tradizionalmente elaborato, non è parso del tutto appropriato, o meglio, potrebbe essere riletto in forza di un’altra ottica utile ad approfondire un determinato 15 Cfr. Cap. 4 12 profilo: la donazione mista diventerebbe quindi un negozio con propria individualità e propria funzione concreta che consente di realizzare sia uno scambio che una liberalità, pur senza limitarsi alla sommatoria di queste due componenti. Dalla lettura proposta deriva che la qualificazione ricercata pare possa individuarsi in base alla valutazione degli interessi di volta in volta perseguiti: se l’atto soggettivamente- diretto alla appare obiettivamente –e realizzazione di un interesse liberale, quest’ultimo contribuisce a delinearne la causa non meno che gli altri profili presenti nell’accordo, quindi non resta ‘fuori’ da esso. Il traguardo dello studio, ovvero l’individuazione della disciplina del contratto così delineato, si pone, dunque, come problema di scelta delle norme più adatte al caso concreto, per la ratio che le ispira ed per la funzione praticamente conseguita dai contraenti. Così tante sono le combinazioni scaturenti dalla prassi che, perciò, è emersa la necessità di individuare in primis un metodo avendo in mente che “quello che … permette di identificare il rapporto è la volontà delle parti e la causa”16. Quanto alla disciplina applicabile, stante quella che Cataudella chiama ‘duplice sussumibilità’ della fattispecie, si desume la concomitante applicabilità delle discipline concorrenti. Ove si verifichi una sovrapposizione di norme, in base ai criteri di scelta, verrà privilegiata la norma più aderente alla questione 16 Biondi, in Chiarimenti intorno al nmd, Banca borse e tit. credito, 1960 13 concretamente prospettata: in sintesi, una ricostruzione fondata sulla causa sembra rispettosa della realtà nonchè più efficace all’analisi della l’individuazione volontà del dei profilo di contraenti, volta in così volta come rilevante è necessaria per la scelta della disciplina applicabile. L’idea secondo la quale la eziologia del contratto debba essere valutata in concreto, infatti, non solo rende più elastica la distinzione tra causa e motivi, ma consente anche di abbandonare l’angolo visuale che aveva indotto alla formulazione della teoria del negozio indiretto. Verificati in tal senso i suddetti aspetti –preliminari, ma sostanziali- inerenti configurazione e qualificazione della figura negoziale, è stato preso in esame il profilo, non meno spinoso, legato al osservare vaglio un delle metodo di norme applicabili, astrazione-schema ritenendo utile ordinante-assetto di interessi-disciplina e rifacendosi in parte a quanto interpretato da Champeau17, cercando un esito coerente con la visione prospettata. La donazione mista, quindi, si presenta in realtà come una figura esclusiva, ricostruzioni non sempre offerte facilmente dalla inquadrabile dottrina, nelle rilevando, diverse secondo una valutazione delle ipotesi in concreto, una funzione negoziale che appare sintetica, per alcuni aspetti, di elementi tipici di diversi schemi contrattuali, ma in ultima analisi comunque capace di caratterizzare un’operazione 17 Cfr. Cap. 4 14 unitaria. Per tale motivo, la figura della donazione mista merita ancora oggi uno studio attento muovendo dalla ‘rivalutazione’ della prospettiva suddetta. La concreta ragione giustificativa di un atto va infatti colta tenendo conto degli scopi in concreto perseguiti con il contratto nel loro legame con la causa dell’attribuzione. Da qui deriva, ad esempio, la non condivisibilità dell’impostazione dottrinale18 secondo cui non sarebbe necessario riferirsi ad una pretesa elasticità delle fattispecie causali tratte dalle definizioni dei tipi legali: al contrario, si vedrà che questo resta uno dei punti decisivi, e cioè verificare il grado di compatibilità che l’elasticità della fattispecie causale19 presenta rispetto alla rigidità della struttura tipica. Alla sicura corrisponde riconoscibilità l’operazione sociale economica del contratto realizzante un individuato, determinato assetto di interessi cui è riconducibile uno specifico rapporto effettuale che può trovare disciplina anche in un modulo legale ‘diverso’, ma più adeguato all’assetto di interessi prefissi. Se, pertanto, la libertà contrattuale significa anche possibilità per i soggetti di dare ai propri interessi una regola difforme, in tutto o in parte, da quella fissata dai tipi legislativamente disciplinati, la sottoposizione di un accordo, che non si inquadra nel tipo, esclusivamente alle regole del tipo, appare inconciliabile con tale libertà, dando agli interessi delle parti un assetto diverso da quello che le stesse perseguivano. 18 Ci si riferisce a Biscontini, in Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti 19 Cfr. Oppo “…poiché la causa è di necessità scopo di un risultato pratico…”, in Adempimento e liberalità, Giuffrè, 1947, p.61 15 Al contrario, se bastasse una piccola difformità della fattispecie concreta da quella astratta ad impedire l’inquadramento nello schema tipico, le norme sui contratti nominati subirebbero una radicale svalutazione. Pertanto, sebbene con questa breve riflessione ci si proponga di fornire né una elaborazione dell’ampio ventaglio suscitato, il fine di originale né un’analisi che la donazione quello di opinioni limitato è offrire un esaustiva mista ha panorama informativo sugli orientamenti in tema, così da predisporre un metodo d’indagine, questo sì, valevole nei diversi casi che la prassi proponga. 16 1. NEGOTIUM MIXTUM CUM DONATIONE : ETIMOLOGIA ROMANISTICA DELLA FATTISPECIE Nel libro 71 del commentario ad edictum, Ulpiano riferisce che “Aristo ait, cum mixtum sit negotium cum donatione, obligationem non contrahi eo casu quo donatio est, et ita et Pomponius eum existimare refert” (D. 39.5.18 – Ulp. 71, ad edictum). L’espressione ‘negotium mixtum cum donatione’, pur presentandosi una sola volta nelle fonti romane20, viene ancora utilizzata nei diritti continentali moderni. Restano notevoli il contributo e l’analisi diligente della scuola pandettistica introduzione che nel regolamentazione affrontò Bgb del di la una fenomeno21; questione norma dell’eventuale finalizzata l’interesse della alla dottrina tedesca, pur non sfociando nella creazione di alcuna norma ad hoc, è stato mutuato anche dagli studiosi italiani che hanno spesso esplorato la materia con esiti di cui si dirà. L’ispezione dell’istituto de quo pare -per ragioni di completezza, ma non solo- non poter prescindere dall’esame, prima che delle 20 Così R. Scevola in Negotium mixtum cum donatione, p. 12, Cedam 2008 21 Del ‘gemischte Schenkung’ (donazione mista ) parlano F. Von Savigny, W. Koeppen, F. Mechtold, W. Weirauch, K. Ternka, etc…; della riflessione circa l’opportunità di introdurre nel Bgb un norma diretta a disciplinare il negotium mixtum cum donatione restano testimonianze nei Motive zu dem Entwurfe eines burgerlichen Gesetzbuch fur das Deutsche Reich 17 teorie ad esso inerenti, della locuzione tuttora impiegata, (ma) emersa nel diritto romano classico, così da individuarne i requisiti originari e l’evoluzione. Pur senza indugiarvi, si tratta di chiarire a quali presupposti vada ancorato il nomen che costituisce il substrato a cui ancora attualmente si saldano le osservazioni circa la controversa configurazione del negotium mixtum cum donatione. L’INDIVIDUAZIONE DEL CONCETTO ARISTONIANO La testimonianza di Ulpiano circa l’operatività della figura in esame è22 ben lontana dal costituire lo sbocco di una riflessione articolata: Aristone ne dà conto in collegamento con un’altra sedes materiae, quella dell’interdictum intento definitorio dunque de precario23; nessun si ricava dal commentario ulpianeo. A prescindere dall’indagine circa la struttura e la storia del passo, il rapporto tra negotium e donatio in esso delineato appare ricco di implicazioni interessanti in questa sede, se considerato alla luce della casistica e dei singoli contesti in cui è stato utilizzato24. Aspetto preliminare riguarda il valore che Aristone avrebbe dato alla locuzione ‘obligationem non contrahi’ laddove si afferma che nessun vinculum iuris viene assunto ‘eo casu quo donatio sit’ . E’ plausibile considerare che ‘non vi sono sul piano generale elementi testuali tanto decisivi da indurre a ritenere che 22 Di questo avviso, E. Stolfi, A. Schiavone, T. Dalla Massara, C.A. Cannata 23 L’interdictum de precario era un rimedio accordato dal pretore a colui che accordava precariamente l’uso della cosa contro il precarista, cioè il possessore a titolo precario che non volesse restituirgli la cosa stessa 24 Il diritto “è visto al solito nelle applicazioni concrete, nelle soluzioni dei casi.”, questo sottolinea F. Gallo, in La concretezza nell’esperienza giuridica romana, Index p. 7, 1974 18 l’espressione contrahere obligationem, di cui è indiscussa la portata tecnica, avrebbe dovuto indicare l’atto costitutivo del vincolo e non, piuttosto, il rapporto da quest’ultimo originato’25. Per quanto poi attiene il termine negotium, sembra ragionevole ricavare una tendenziale propensione del giurista traianeo verso l’accezione più ampia di esso, nel senso onnicomprensivo di ‘affare’ come attività a contenuto oneroso26. Se ne può approfondire il senso se si accosta a questo testo un altro, in cui alla donatio si affianca il negotium accompagnato dalla qualificazione gestum: “Liber homo, qui bona fide mihi servit, id quod ex operis suis aut ex re mea pararet, ad me pertinere sine dubio Aristo ait : quod vero quis ei donaverit aut ex negotio gesto adquisierit, ad ipsum pertinere et rell.” (D. 41. 1.19 –Pomp.3 ad Sab.). Il frammento tratta le questioni del liber homo bona fide serviens quale soggetto di rapporti giuridici27: gli acquisti effettuati dal liber homo avvalendosi del patrimonio del padrone (ex re eius), insieme a tutto quello ricavato dalla propria attività lavorativa (ex operis suis), sarebbero dovuti essere imputati al presunto donazione dominus, o avesse mentre le sostanze guadagnato che attraverso avesse la ricevuto propria in attività 25 R. Scevola, in Negotium mixtum cum donatione, p. 16, Cedam 2008 Questa ottica viene usata anche da G. Deiana per interpretare la volontà delle parti che concludano una donazione mista, in La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, Diritto e Pratica commerciale, 1938, I, spec. p. 228 26 Così Biondi : “ tra donatio e negotium intercede quella medesima contrapposizione che intercede tra liberalità e affare. I due concetti sono incompatibili”, Chiarimenti intorno al n.m.c.d. e alla donazione indiretta, in Banca Borsa e Tit. di credito 1960, p. 181 27 La figura è analizzata da Reggi Roberto, in Liber homo bona fide serviens, Giuffrè, 1968 19 negoziale (quod vero quis ei donaverit aut ex negotio gesto adquisierit) ne avrebbero accresciuto il patrimonio personale. In D. 39 Aristone sembra consapevolmente riferirsi al negozio senza ulteriori declinazioni e invece in D. 41 intende dare conto delle fonti cui riferire l’arricchimento patrimoniale del liber homo, attribuendo una diversa tonalità alla operatività negoziale in virtù della peculiare qualità giuridica del soggetto. Quindi, in relazione a questo punto, pare che l’elemento centrale dell’impostazione aristoniana vada rintracciato non nella maggiore o minore ampiezza attribuita al negozio nei frammenti esaminati, quanto nella diversa finalità assolta nei contesti in cui viene collocato. Mentre nella fattispecie di cui in D. 41 il giurista si ferma sul terreno delle causae adquisitionis, in D. 39 si muove sul piano della operatività del vincolo obbligatorio. Dunque Aristone affronta la problematica negoziale avendo riguardo a ciò che è suscettibile di fondare un vincolo obbligatorio, i cui aspetti provvede ad esaminare procedendo all’analisi di casi concreti. Passando alla componente donativa, si premette che il diritto romano non conosceva la donazione tipica ma una causa donationis idonea ad adattare i vari negozi consentendo atti di liberalità. Tuttavia, in D. 39 compare due volte il sostantivo donatio ed in D. 41 emerge l’uso verbale donaverit. Sebbene il tenore letterale dei testi possa indurre a rinvenire un’assonanza tra i termini, esso tuttavia non ha alcun fondamento 20 tecnico; sotto questo profilo, il giurista traianeo è allineato agli orientamenti giurisprudenziali dell’epoca: non esistono due istituti negoziali che si affiancano, ma una sola fattispecie, un solo negozio che subisce l’influenza derivante dall’interferenza con la liberalità nel concreto articolarsi della dinamica negoziale. Questo promemoria del riferimento alla donatio è necessario per fugare le elaborazioni della dottrina moderna circa il rapporto con il fenomeni negozio laddove autonomi prospettazione aristoniana. In ed si è omogenei falsa il altri pensato sul fondamento termini, all’interazione versante che di strutturale: ispira l’interpretazione la che due tale visione riconduce l’operatività della fattispecie alla dialettica tra due negozi contrassegnati ciascuno da specifica causa è, invero, distante dall’effettiva ricostruzione ascrivibile al giurista romano, dato che in realtà si tratta di una sola fattispecie negoziale e non di un’ipotesi di negozio complesso. Nel dictum aristoniano non emerge la necessità di trasferire la donatio –o meglio, causa donationisdal terreno sociologico a quello tecnico-giuridico28; il richiamo alla donazione non implica una correlazione tra due negozi giuridici specificamente tipizzati né sottintende l’influenza di un mero movente interno (motivo) sull’unica fattispecie negoziale, bensì allude alla causa donationis in termini di elemento che, versato nei negozi idonei a dotarlo della necessaria efficacia, avrebbe consentito il trasferimento dei beni. 28 F. C. Savigny evidenzia che l’espressione donatio era stata tratta dalla vita quotidiana e per la sua indeterminatezza aveva poi trovato stabile collocazione anche nella terminologia giuridica, in Sistema del diritto romano attuale, Torino 1889, p. 16; concorda R. Scevola, cit., p. 55 “…non possono sussistere perplessità in ordine all’assenza di qualsiasi tratto negoziale e di qualsivoglia connotato tipico negli atti che sarebbero stati ricondotti più tardi alla donazione.” 21 Infine, si consideri l’espressione ‘mixtum’. Il rapporto potrebbe intercorrente essere tra ricondotto ad donatio un e obligatio accezione della in D. mixtio 39 come ‘compresenza di due fattori appartenenti a species differenti ma che malgrado ciò rientrano sovente in uno stesso genus ed in relazione ai quali la preservazione della peculiare individualità impedisce la scomparsa delle rispettive caratteristiche strutturali’29. Il dictum di Aristone si fonda sulla convinzione dell’alterità corrente tra il negotium e la donatio sul terreno dell’assunzione delle obbligazioni, in quanto la natura dell’attribuzione liberale appare inconciliabile con la vincolatività connaturata al rapporto obbligatorio. Ad avviso del giurista, il negotium fonda la struttura nella quale viene calato un regolamento caratterizzato da profili di liberalità che in ragione della loro peculiarità non potrebbero mai fondersi con la stessa; neppure potrebbe rilevarsi l’integrazione causale delle due componenti in una funzione complessa perché la causa donationis è una mera causa di acquisto e non ha valenza negoziale, essendo inidonea a caratterizzare uno specifico tipo di negozio. Tuttavia essa mantiene la propria autonomia dando vita ad un fenomeno di interferenza (admixtio) che si traduce nell’esistenza di una ‘zona franca’, come dimostrato da “obligationem non contrahi eo casu quo donatio est”: si allude ad 29 Così ritiene R. Scevola, p. 65, cit. , deducendo che “detti elementi hanno rilievo con riguardo ad una medesima fattispecie concreta, nel contesto della quale sorgono problemi in ordine alla disciplina da applicare proprio in ragione dell’autonomia che tendono a mantenere.”. L’ A. non condivide la tesi di G.G. Archi secondo cui l’aggettivo mixtum è usato da Aristone per indicare un duplice intento e per conseguenza un duplice regolamento di interessi che, pur separati nel tempo, trovano genesi nel medesimo negozio (Donazione, Giuffrè 1960), poiché, così dicendo, si ammette una duplicità di cause mentre la causa resta solo e sempre una 22 una separazione estremamente rigida dove l’operatività della liberalità esclude il vincolo obbligatorio nascente dal negozio, ponendo così gli effetti in rigida sequenza diacronica ed impedendo ad essi di confondersi insieme. L’enunciazione espressa dell’antitesi onerosità/gratuità connota la distinzione concettuale tra le due fattispecie. In definitiva non vi è alcun vinculum laddove sostanziale, vi ovvero sia gli una donazione effetti sotto ricollegabili ad il una profilo causa adquisitionis si realizzino in termini di pura liberalità. La conclusione aristoniana conferma perciò l’assoluta incompatibilità tra negotium e donatio, la cui coesistenza diviene possibile solo in virtù del fatto che lo spazio occupato da quest’ultima è immune dal vincolo obbligatorio di fonte negoziale. ‘Per evitare…che i due aspetti in conflitto, aggregandosi l’un l’altro, si distruggano reciprocamente impedendo al negozio di produrre qualsiasi efficacia, Aristone asserisce che dove vi è donazione non vi è obbligazione o, meglio, non vi è spazio per un vinculum esprime iuris il che astringa carattere mixtum le di parti’30 un’unica . Il giurista struttura romano negoziale, precludendo ogni fusione di elementi inconciliabili e dunque la creazione di un tertium genus da affiancare al negotium ed alla donatio. Esauriti gli effetti di liberalità riconducibili a tale ‘interferenza’ che rende inoperante il vincolo relativamente alla parte in cui si produce l’effetto liberale, il rapporto esplica la 30 R. Scevola, p. 73, cit. 23 propria funzione negoziale per la parte di obligatio pienamente operante. In sintesi, nella prospettiva del giurista traianeo l’intento delle parti sembra mutilato in funzione di una visione oggettiva della fattispecie considerazione che della sembra assai voluntas lontana dalla contrahentium, moderna quanto meno nell’ottica proposta in questo lavoro. IMPLICAZIONI DISCENDENTI DALL’ORIENTAMENTO ARISTONIANO “Denique refert Aristonem putare, si servum tibi tradidero ad hoc, ut eum post quinquennium manumittas, non posse ante quinquennium agi, quia donatio aliqua inesse videtur: aliter atque, inquit, si ob hoc tibi tradiddissem, ut continuo manumittas: hic enim nec donationi locum esse et ideo esse obligationem, sed et superiore casu quid acti sit, inspiciendum Pomponius ait: potest enim quinquennium non ad hoc esse positum, ut aliquid donetur.”. Così si esprime Ulpiano in Ulp. 71 ad ed. D. 39.5.18. 1, dividendo il frammento in due parti: quella in cui richiama il pensiero aristoniano e quella in cui introduce la differente opinione di Pomponio, alludendo ad una chiave di lettura alternativa. Pare corretto ravvisare nella fattispecie descritta una fiducia manumissionis causa31: secondo Aristone, infatti, qualora un soggetto avesse mancipato uno schiavo di sua proprietà affinché il fiduciario lo manomettesse dopo cinque anni dal momento in cui ne avesse conseguito la disponibilità, il mancipio dans non avrebbe 31 In particolare, v. G. Grosso, Sulla fiducia a scopo di manumissio, in RISC, IV.3, 1929; P. Oertmann, Die Fiducia in rominschen privatrecht, Berlino, 1980 24 potuto esperire l’actio fiduciae per l’intero quinquennio quand’anche si fosse pentito e avesse voluto far valere la propria poenitentia. In base a questa impostazione, il fiduciante non avrebbe potuto tutelare giudizialmente un eventuale mutamento di volontà in quanto frenato dalla constatazione secondo cui donatio aliqua inesse videtur 32 . A conferma della lettura suddetta, Aristone ‘avrebbe colorato il sostantivo donatio con l’aggettivo aliqua perseguendo la precisa finalità di sfumarne la portata e, ancora, avrebbe fatto reggere l’intero enunciato argomentativo dal verbo inesse per descrivere con la maggiore efficacia possibile il fatto che profili di liberalità sarebbero stati iniettati nel negozio’33. Sembra poi che la precisazione ascrivibile a Pomponio sarebbe stata introdotta per evidenziare come nella soluzione alternativa non sarebbe esistito spazio per effetti di liberalità (donationi locum) e quindi, automaticamente, ideo esse obligationem. Lungi dal negare semplicemente che vi sia donazione, si allude al fatto che poiché allora il fiduciario non vi negotium sarebbe traccia manterrebbe l’immediata la esecuzione della sua causa purezza dell’obbligo adquisitionis, imponendo sul al medesimo gravante. 13 “…il giurista ammette che la dilazione importi liberalità per il fatto stesso che l’accipiente gode della cosa. … Se invece questo (lo schiavo)deve essere manomesso subito, non c’è donazione, ma solo obbligazione”, riassume Biondi, Chiarimenti intorno al n.m.c.d. e alla donazione indiretta, in Banca Borsa e Tit. di credito 1960, p. 181. Poi sottolinea a p. 182 “ Dice aliqua e dice anche videtur : sembra cioè che intervenga un qualche elemento di liberalità, il quale ha soltanto la funzione di escludere la esigibilità dell’obbligazione ” 33 R. Scevola, p. 83, cit. sottolinea “…la modulazione rappresentata dall’utilizzo di aliqua ed inesse costituisce la chiave interpretativa lessicale preordinata a chiarire come nella struttura del negozio fossero stati versati elementi estranei alla medesima nonché idonei a produrre effetti di liberalità riconducibili alla donatio.” 25 Ancora una volta il giurista sembra rispettare il rapporto intercorrente tra negotium e donatio, evitando di equiparare le due causae tanto sul piano strutturale quanto su quello funzionale, sottolineando la diversa natura delle stesse -causa negotii la prima, causa adquisitionis la seconda-: quest’ultima funge da veicolo attraverso cui le opere dello schiavo sarebbero acquisite al concretizzare sembra fiduciario il per regolamento figurarsi il periodo delineato nitidamente il indicato dalle pericolo al fine parti. di un di Aristone possibile rinvenimento sul terreno negoziale della radice di entrambe le causae (manumissionis e donationis) in cui sarebbe stato facile incorrere nel caso di scorretto inquadramento della donazione, che avrebbe indotto ad interpretare la figura mista alla stregua del moderno collegamento negoziale. Riducendo fornire la un fattispecie parametro che al negotium consenta di mixtum, Aristone interpretare mira a situazioni affini risolvendo i problemi nascenti dalla medesime, scartando un’indagine volta ad accertare lo specifico intento delle parti, onde prospettare un criterio risolutivo obiettivo. Aristone si pronuncia sulla questione dell’azione, cioè se essa sia esperibile ante quinquennium, non in seguito al pentimento del dominus che voglia recuperare accelerarne la liberazione: il le suo schiavo, possibili ma opzioni proprio per processuali variano in base alla qualificazione del periodo transitorio in cui il servo rientri nella disponibilità dell’accipiente. La risposta riposa sulla contrapposizione tra 26 donatio aliqua esse e nec donationi locum esse: poiché gli effetti imputabili alla disponibilità dello schiavo durante il quinquennio configurano una donazione, per la sua liberazione si potrà agire al termine di tale periodo. Viene così subordinato dunque il rapporto obbligazione-azione alla donatio, la cui sussistenza paralizza il vincolo obbligatorio ritardando la liberazione dello schiavo e di conseguenza escludendo che se ne possa pretendere giudizialmente l’adempimento34. Peraltro, causa una non si può species identificare cui Aristone nella fiducia alluderebbe per manumissionis illustrare il funzionamento del genus negozio misto35. Aristone non descrive il negotium mixtum per quello che è, ma si sofferma sulle conseguenze concrete desumibili dal suo atteggiarsi, onde procedere ad una sorta di ‘tipizzazione’ delle soluzioni ricavabili dall’interpretazione delle fattispecie cui l’interferenza tra le due figure dà luogo. Dalla semplice lettura di D. 39 emerge chiaramente come la dialettica tra donatio e negotium investa obbligatorio viene le modalità attraverso funzionalmente cui il vincolo condizionato da effetti ascrivibili alla causa donandi, intesa come ragione d’acquisto. Non a caso, il giurista dimostra che nella struttura negoziale dove fosse rinvenibile la sussistenza della donazione si registra la sostanziale separazione dei fattori antagonisti proprio sul 34 “ La considerazione che il negotium, perché è sempre tale, cioè affare, implica aliqua donatio era messa avanti unicamente al fine di escludere che l’adempimento dell’obbligazione non può chiedersi finche interviene quell’elemento di liberalità .” Biondi, cit, p. 183 35 “ La sostanza del principio enunciato da Aristone si ricollega alla nota dottrina del medesimo giurista,il quale al fine di dare riconoscimento giuridico a quei nova negotia che man mano si presentano in pratica, sostiene che, qualora il rapporto non rientra in alcun tipo si contratto fino allora riconosciuto, ma subsit tamen causa obligationem“Biondi, cit., p. 182 27 piano degli effetti. L’idea di base è lontana dall’ipotizzare una fusione della cause (in termini di assorbimento o prevalenza); Aristone cerca di accostare (admiscere) quanto gli appare inconciliabile, risolvendo la problematica secondo la metodologia che gli assicura il più ampio rispetto della fattispecie, ossia tenendo rigidamente separati gli effetti dell’una da quelli dell’altra. Concludendo, vanno escluse36 sia l’interpretazione tesa a scorgere nella fattispecie esaminata una donazione modale sia quella, ancor più ardita, che la considera il prototipo del negotium mixtum cum donatione. POMPONIO: UNA DIVERSA DECIFRAZIONE DEL NEGOTIUM MIXTUM CUM DONATIONE In D. 39.5.18 par. 2 si rende evidente, attraverso l’accostamento di brani aventi differente paternità, una sovrapposizione di strati giurisprudenziali diacronicamente diversi e di dissimili elaborazioni concettuali. In D. 39.5.18 (et ita Pomponios eum existimare refert) non si dubita della adesione di Pomponio alla tesi per la quale il negotium mixtum cum donatione sarebbe caratterizzato dalla rigida separazione diacronica tra effetti obbligatori e attribuzione patrimoniale a scopo di liberalità; e ancora, nella parte centrale 36 “La tendenza rigorosamente classificatoria che pervase la ricostruzione pandettistica fu non di rado accompagnata dalla tendenza a stravolgere la fisionomia degli istituti…” spiega R. Scevola, p. 148, cit. , il quale si sofferma sull’insostenibilità delle tesi che ricostruisce la fattispecie come una donazione modale (p. 132 ss.) nonché sulle ragioni contrarie alla ricostruzione maggioritaria del testo (p. 89 ss.) . Sul l’esclusione della configurabilità di una d. modale, Biondi, cit., afferma : “ Il giurista non poteva pensare ad una donazione modale perché intento delle parti era quello di costituire una obbligazione mentre nella d. sub modo non nasce a carico del donatario alcuna obbligazione…”, p. 183; v. ancora, lo stesso A., “ La questione del n.m.c.d. riguarda il caso di un negozio tipicamente oneroso, in cui si innesta un elemento di liberalità, mentre nel caso della donazione modale abbiamo sempre donazione economicamente limitata dall’onere”, in Le donazioni, Utet 1961, p. 656 28 di D. 39.5.18 par. 1 (nonostante l’espressione ‘aliter atque inquit’ non dia assoluta certezza circa il soggetto da preporre ad inquit) pare comunque ragionevole assegnarne la paternità a Pomponio. Peraltro, l’esatta individuazione del significato testuale non contribuisce alla ricerca di eventuali dissonanze concettuali tra Aristone e Pomponio, i quali mostrano anzi di condividere gli elementi-base relativi all’impostazione del problema. L’orientamento di Pomponio in tema di negotium mixtum, come già accennato, non investe il problema individuando direttamente una soluzione coincidente o alternativa rispetto a quella aristoniana, ma presuppone l’impiego di un criterio idoneo ad identificare in concreto l’intento pratico delle parti “sed et superiore casu quid acti sit, inspiciendum Pomponius ait: potest enim quinquennium non ad hoc esse positum, ut aliquid donetur” (D. 39.5.12 par. 1 –Ulp. 71 ad ed.); il giurista antoniniano non esclude che il quinquennio possa essere imputato a liberalità, ma ritiene che detta conclusione non debba essere individuata conferendo un significato obiettivo al regolamento predisposto dalle parti, secondo id quod plerumque accidit, analisi della bensì debba loro volontà onde essere ricavata stabilire ciò da un’attenta che i soggetti abbiano di volta in volta effettivamente statuito. In tale ottica, l’accertamento di ciò che actum sit funge da esatta determinazione dell’intento perseguito dai soggetti37: il fatto che il periodo in cui il servo sia rimasto a disposizione dell’accipiens sarebbe ‘ad 37 In questo senso anche qui, v. in Cap.4 29 hoc positum, ut aliquid donetur’ rappresenta solo uno dei possibili esiti negoziali discendenti dai contenuti dell’accordo e, come tale, modellabile a seconda delle necessità. Quindi, da un lato dall’azionabilità scadenza del Aristone, esaminando dell’obbligazione quinquennio, risponde di il problema manomettere negativamente nascente prima in della quanto il periodo, qualificato come donazione, rende inoperante il vinculum iuris fino alla propria preserva fine. La rigida separazione tra le causae l’incompatibilità indipendentemente dai funzionale risvolti relativi corrente tra all’effettiva esse, volontà delle parti: in questi termini, il negotium mixtum diviene il risultato di un’operazione interpretativa effettuata dal giurista, finendo la sua operatività per discendere dall’applicazione di un criterio rigorosamente oggettivo. Dall’altro, la logica di Pomponio, invece, pur non apportando alcuna variazione dogmatica circa i profili causali, vede l’eventuale mixtio conseguente ad una valutazione concreta degli intenti dei soggetti, presupponendo che siano questi a determinare l’assetto d’interessi: secondo il giurista, le combinazioni degli elementi della fattispecie sono preventivamente decise dalle parti in funzione delle rispettive esigenze (quid acti sit), cosicché si richiede non solo che le parti abbiano preventivamente concordato il valore da assegnare alla disponibilità quinquennale del servus in capo all’accipiente, ma anche quale conformazione quest’ultimo avrebbe dovuto assumere per appagarne le necessità. 30 Dunque, distinte sono le prospettive espresse dai giuristi: i profili operativi vengono da Pomponio desunti ex post, da Aristone preordianti ab initio. Un riscontro della ratio sposata da Pomponio si rinviene in un frammento (D. 24. 1.31. par. 3 –Pomp. 14 ad sab.) inerente i problemi determinati donazione dal principale riduzione dalla marito non è del vendita di alla il moglie valore corrispettivo o due schiavi viceversa oggettivo pattuito, degli : a scopo di la questione schiavi, proprio in ma vista la della donazione. Anche qui l’indagine sull’intento pratico, questa volta dei coniugi, è fondamentale: adottando un percorso analogo a quello usato in D. 39, Pomponio ritiene vada accertato se la riduzione di prezzo sia effettivamente determinata dalla volontà di donare o per finalità diverse. ‘A ben vedere…il espressamente noterebbe frammento dica qualora circa la lascia intendere l’orientamento soluzione finale di più di Pomponio, venisse quanto come applicata si alla venditio minoris donationis causa conclusa tra soggetti non legati da vincolo coniugale: da un lato,l’alienazione a prezzo ridotto tra questi ultimi non avrebbe operato in quanto contrastante con il divieto accennato, perfezionata perfettamente da parti valida dall’altro, non ed unite efficace. invece, in analoga matrimonio Laddove fattispecie sarebbe contraenti stata tra loro estranei avessero deciso di trasferire un bene fissando un prezzo inferiore al suo valore normale allo scopo di attuare una liberalità e avessero trasfuso detta statuizione nel regolamento 31 d’interessi all’uopo predisposto, la compravendita e la donazione sarebbero coesistite’38. Anche in questi termini, quindi, il punto di vista di Pomponio supera la concezione che caratterizza la visione di Aristone: per quest’ultimo una vendita di tal genere sarebbe invalida in quanto la riduzione del prezzo assumerebbe il senso di liberalità, comportando quindi la violazione del divieto legale tra coniugi; stessa conclusione anche per una vendita simile tra estranei, dato che, senza alcun esame circa l’eventuale presenza di animus donandi, la compresenza di due fattori inconciliabili si sarebbe ridotta nella peculiare costruzione di cui si è detto (con profili dia cronicamente separati tra negotium e donatio). Il giurista antoniniano, ‘estranei’ donatione invece, -non vede coniugi- espressamente preordinato la mixtio nella una venditio forma delineata al fine di tra del le minoris conclusa tra mixtum cum negotium parti che soddisfacimento avrebbero dei propri interessi. Il superamento della visione aristoniana del negotium mixtum come fattispecie di confine sembra trovare attestazione anche in D. 24. 1. 5. par.5 (Ulp. 31 ad sab.)39, frammento in cui Pomponio pare condividere l’interpretazione adottata da Nerazio invece che quella di Giuliano: a parer del primo, la vendita a prezzo 38 Così R. Scevola, p. 174, cit.; il divieto cui si accenna in tema di donazione tra coniugi si riferisce all’impossibilità per i coniugi di realizzare una venditio minoris con intento di liberalità 39 Il frammento recita “ Circa venditionem quoque Iulianus quidem minoris factam venditionem nullius esse momenti : Neratius autem (cuius Pomponius opinionem non improbat) venditionem donationis causa inter virum et uxorem factam nullius esse momenti, si modo, cum animus maritus vendendi non haberet, idcirco venditionem commentus sit, ut donaret; enimvero si, cum animum vendendi haberet, ex pretio ei remisit, venditionem quidem valere, remissionem autem hactenus non valere, quatenus facta est locupletior: itaque si res quindecim venit quinque, nunc autem sit decem, quinque tantum praestanda sunt, quia in hoc locupletior videretur facta.” 32 ribassato conclusa tra coniugi sarebbe affetta da nullità in caso di atteggiamento conclusione vendita, di ma simulatorio una non vera nel e caso delle propria in cui parti finalizzato donazione la condotta alla ‘mascherata’ negoziale da fosse caratterizzata dall’animus di vendere, pur in presenza di una parziale remissione del prezzo; per Giuliano, invece, -alla luce di un criterio ermeneutico puramente oggettivo- tale vendita sarebbe tout court inesistente in quanto obiettivamente contraria al divieto legale di cui si è detto. Non stupisce che Pomponio apprezzi il primo punto di vista, sicuramente improntato a flessibilità ed alla ricerca della reale voluntas dei contraenti dettata dalle esigenze concrete dei medesimi; Nerazio e Pomponio esprimono un atteggiamento finalizzato ad assicurare, se possibile, l’operatività del regolamento di interessi perseguito dai coniugi limitatamente al caso i cui effetti non fossero riconducibili alla causa donandi. IL NEGOTIUM MIXTUM CUM DONATIONE NELLA PROSPETTIVA DI ULPIANO Ulpiano si allontana ulteriormente dalla concezione aristoniana percorrendo la strada già solcata da Pomponio, ma approfondendo il tema della fondono in commixtio senso delle moderno, causae le quali, continuando ad comunque, non si essere ritenute dogmaticamente eterogenee40. 40 Circa il rapporto tra causa negoziale e causa donativa “Nella visione ulpianea esse possono coesistere ed addirittura operare contestualmente in virtù del una considerazione esattamente opposta a quella individuata a quella degli studiosi di primi novecento, ovvero proprio perché soltanto una di esse è negoziale…” , p. 267, R. Scevola, cit. 33 Ancora una volta, l’aggancio testuale è offerto da un passo in tema di donazione tra coniugi, D. 24. 1. 5 par. 2 (Ulp. 32 ad. sab.) in cui vengono enunciate le soluzioni applicabili in caso di divieto legale: “Generaliter tenendum est, quod inter ipsos aut qui eos pertinent aut per interpositas personas donationis causa agatur, non valere; quod si aliarum extrinsecus rerum personarumve causa commixta sit, si separari non potest, nec donationem impediri, si separari possit, cetera valere, id quod donatum sit non valere.”. Nella parte iniziale, il giurista severiniano indica l’invalidità degli atti conclusi tra coniugi a fini donativi, sia personalmente sia indirettamente per mezzo di soggetti ad essi collegati o fittiziamente interposti; nella seconda parte, considera che ove la causa sia commixta in virtù del coinvolgimento di soggetti terzi o della presenza di aliarum rerum si porrebbe un’alternativa: qualora la commixtio si possa scomporre, sarebbero invalidi gli effetti legati alla liberalità rilevando solo la componente estranea all’id quod donatum est, mentre, qualora la scissione non possa aver luogo a causa del legame instauratosi tra gli elementi della fattispecie, i profili donativi troverebbero attuazione41. Quindi Ulpiano presuppone che vi siano casi più complessi rispetto alla donazione pura e semplice tra coniugi. Il giurista opta per la prospettiva meno rigorosa, preferendo un’interpretazione conservativa a quella rappresentata 41 Non a caso, in D. 18. 1. 38 (Ulp. 32 ad sab.) “Si quis donationis causa minoris vendat, venditio valet … hoc inter ceteros: inter virum vero et uxorem donationis causa venditio facta pretio viliore nullius momenti est.” . Secondo il giurista, la compravendita sarebbe valida se stipulata a prezzo ribassato per beneficiare il compratore mediante liberalità inter ceteros, mentre inesistente se tra coniugi, in quanto contrastante con il divieto legale 34 dall’integrale conclusione invalidità sia simile a della fattispecie. quella di Nerezio, Sebbene qui la l’elemento discretivo non è la presenza dell’animus donandi o vendendi, né il principio della depauperatio-locupletatio, quanto piuttosto la struttura interna e funzione propria dell’atto. ‘…Il contributo specifico del giurista severiniano all’elaborazione in discorso andrebbe …riferito alle fattispecie connotate da una causa commixta inscindibile perché, all’interno delle medesime, simultaneamente il i negotium rispettivi e la donatio effetti e ciò avrebbero prodotto avrebbe denotato l’esistenza di un aspetto strutturale da cui desumere la ragione profonda del fenomeno di commistione’42. Certamente non si può riferire il concetto ulpianeo alla moderna concezione di causa intesa come ‘funzione’, ma nondimeno la si può intendere come segno della meritevolezza giuridica di una struttura costruita dalle parti in vista della realizzazione di determinate finalità: l’avverbio extrinsecus presente in D. 24. 1. 5 indica la percepibilità all’esterno della compenetrazione, esplicitata dalla struttura della fattispecie, idonea a rendere palese la ragione per cui le parti hanno confezionato quel determinato assetto d’interessi. Nella seconda all’elemento parte del frammento causale non in termini Ulpiano sembra generali, ma riferirsi piuttosto proponendo un parallelismo tra casi in cui i soggetti vogliano concludere semplicemente una liberalità e casi ‘misti’ in cui 42 Lo sottolinea R. Scevola, p. 217, cit. 35 coesistono profili negoziali tipici ed elementi della donazione intesa come causa d’acquisto. Tale commixtio, tuttavia, non comporta la fusione della causa di donazione con una causa negoziale, tra loro disomogenee, essendo altresì necessario che l’assetto di interessi esterni la propria logica sul versante della struttura e non solo degli effetti. Non a caso Ulpiano individua nel pretium, vero (non simulato) ed espresso in pecunia numerata, l’elemento della fattispecie da cui ricavare indizi circa la qualificazione da attribuire alla venditio minoris: la sussistenza di tali requisiti permette di definire valido ed efficace il rapporto, indipendentemente dall’eventuale squilibrio ravvisabile tra le prestazioni43. Non si verificherebbero particolari problemi, dunque, qualora i contraenti facessero seguire alla conclusione del contratto una pattuizione intesa a rimettere parte del prezzo, mentre a maggiori difficoltà darebbe luogo la diretta fissazione di un corrispettivo inferiore a quello di mercato; in tale ultima evenienza, la parziale remissione del corrispettivo concorrerebbe a configurare il contenuto del programma negoziale, circoscrivendone l’oggetto. La chiusura di D. 18.1.38 attesta l’affinità concettuale tra Ulpiano e l’opinione di Giuliano in tema di venditio minoris inter virum et uxorem che conduce entrambi a sospettare di assetti volti ad eludere il divieto: si coglie così l’approccio i cui risultati, più interessati al quid actum sit, potrebbero svelare elusioni del divieto legale. La visione di Ulpiano infatti censura la scarsa 43 Con il principio secondo cui sine pretio nulla venditio est (D. 18. 1. 2 par. 1, precisato in D. 18. 1. 36) Ulpiano rileva che non solo la mancata fissazione del corrispettivo, ma anche la simulazione del medesimo importa la nullità del negozio 36 linearità di assetti di interesse in cui figure tipiche vengono adibite a finalità incompatibili, implicitamente rivelando la propensione a sacrificare -come Giuliano- l’autonomia negoziale che entri in contrasto con la norma imperativa. Tuttavia, l’approccio ulpianeo mostra in concreto maggiore duttilità (v. D. 24.1.5 par. 2 (Ulp. 32 ad. sab.)44, tanto che nelle fattispecie in cui siano fortemente radicati assieme gli effetti fondati sulla causa donationis e quelli negoziali risulta efficace non solo la compravendita ma anche la liberalità tra coniugi, a dispetto del divieto ed in contrasto con quanto sostenuto da Giuliano. Anche rispetto Ulpiano alle all’orientamento di Aristone, la meditazione di presenta idee dei elaborate caratteri da autonomi: Aristone e poi nonostante mediate l’adesione da Pomponio, tuttavia la sua riflessione sulla commixtio opera secondo modalità alternative a quelle delineate dal giurista traianeo. Se quest’ultimo si sofferma sul profilo diacronico, escludendo la contemporaneità della causa negoziale e di quella d’acquisto, individuati due distinti spazi all’interno di cui ognuna risulta esclusivamente operante, per Ulpiano la volizione relativa alla remissione parziale costituisce elemento integrante del rapporto tale da non poter essere ritenuta né diacronicamente né strutturalmente autonoma: da qui, l’inseparabilità degli effetti 44 Infatti si nota che “In tema di venditio minoris inter virum et uxorem, l’originaria propensione del giurista avrebbe assunto sotto il profilo dogmatico connotati analoghi a quelli caratterizzanti il punto di vista giulianeo, a tenore del quale nella fattispecie darebbe dovuta essere scorta solo l’infrazione del divieto, per quanto non potesse negarsi l’esistenza di un assetto d’interessi negoziale pienamente voluto dalle parti … Tuttavia, tale valutazione, avvertita da Ulpiano come perfettamente corrispondente alla propria mentalità, sarebbe stata temperata dalla necessità tecnica di adeguare gli strumenti di valutazione al prevalente indirizzo giurisprudenziale… ”, p. 244, R. Scevola, cit. 37 rispetto alla componente negoziale e la conseguente validità dell’intero assetto di interessi. In secondo luogo, le ricadute inter ceteros appaiono alternative alla tesi formulata da Aristone: muovendo dal ragionamento di quest’ultimo (obligationem non contrahi quo donatio est), il vincolo non sorgerebbe per la differenza tra il prezzo pattuito e quello di mercato. Il fatto che per Ulpiano l’operatività del vinculum non sia impedita dalla liberalità sembra quasi far ipotizzare che il modello aristoniano abbracci solo parzialmente la figura di cui si tratta ed Ulpiano ne dilati la portata. In effetti, se da un lato non si può parlare della commixtio ulpianea come di una fusione di cause, dall’altro non si può negare che tale lettura sia sensibile sul piano degli effetti all’operatività della donazione quale causa d’acquisto, proprio in base alla struttura del negozio e precisamente avendo riguardo all’oggetto del medesimo. Qui sta il punto: ciò che identifica il meccanismo della commixtio è il fatto che tali determinazioni ineriscono l’oggetto della fattispecie e non il suo fondamento causale; quindi, compravendita e donazione possono non solo coesistere, ma anche operare in simultanea in forza della diversa funzione delle causae, perché la prima permette di delineare la fattispecie negoziale in virtù della causa -tipica-, mentre la seconda concorre a definire il contenuto dell’accordo. UN MODELLO PERDUTO NEL TEMPO: LA MUTATA NATURA DELLA DONAZIONE 38 I presupposti del moderno concetto di negozio misto affondano le proprie radici nella riforma costantiniana del 323 d. C. che, gettando un colpo di spugna sulle precedenti elaborazioni, dà luogo ad ‘una plurisecolare, dato che la vera e propria saldamente donazione frattura radicata viene nella con una tradizione romana’45, concezione ‘ricostruita’ dogmaticamente con risultati che ne trasfigurano i caratteri. Essa, mentre sino a quel momento rappresenta una causa adquirendi, ovvero il fondamento di attribuzioni patrimoniali, in seguito al provvedimento imperiale diviene negozio tipico, necessitante di forme solenni che ne attestino la conclusione. Viene pertanto trasformata in attribuisce un alla contratto, causa coerentemente donationis ad una logica carattere che negoziale, abbandonando la fisionomia presentata in epoca classica. Costantino quindi ponendo presupposti della i fattispecie, contrattuale; decreta la la radicale fondamentali quale Giustiniano da revisione per il quel introduce dell’istituto posteriore momento alcuni assume sviluppo natura temperamenti che peraltro non incidono sui profili causali, nel senso che la nuova collocazione della donatio riceve il definitivo suggello contrattuale. Identificato nella spontaneità il tratto peculiare dell’istituto, il fatto che la sua struttura venga delineata in analogia con quella della emptio-venditio consente di ravvisare in entrambi il momento genetico coincidente con la prestazione del nudo consenso. 45 Così G. G. Archi, La donazione, p. 225, cit. 39 La mutata natura della donazione ricade così necessariamente sulla configurazione conduce al del negotium travolgimento mixtum del cum modello donatione, fondato sul in quanto carattere concettualmente disomogeneo delle cause sottostanti a negotium e donatio: le difficoltà procurate dall’incompatibilità delle componenti della figura composta erano sorte infatti dall’esigenza di individuare modalità di relazione che permettessero ad esse di coesistere. Le esigenze che avevano persuaso Aristone a prospettare una admixtio o Ulpiano ad intravedere una commixtio perdono così la loro ragion d’essere perché la sopravvenuta elaborazione comporta il sorgere di problematiche del tutto nuove46. La dottrina moderna, italiana e non, si è mossa attorno a molteplici teorie ricostruttive che sarà qui premura approfondire, ma, indipendentemente dall’orientamento cui si voglia aderire, il fondamento teorico sotteso ad esse appare lontano dai presupposti adottati dai giuristi classici sicché è naturale che le soluzioni adottate sviluppino percorsi estranei a questi ultimi. Tuttavia, la presente analisi perverrà ad un approdo ermeneutico che in qualche modo ha tratto spunto proprio da alcune delle riflessioni appena enunciate e per ciò trova ragione l’analisi compiuta in questo capitolo, sebbene del negotium mixtum esaminato da Aristone 46 “… spiega come il problema se l’atto contemplato da Aristone si dovesse assoggettare alla disciplina della donazione non si ponesse neppure ”, conclude Biondi, Chiarimenti intorno al n.m.c.d. e alla donazione indiretta, in Banca Borsa e Tit. di credito 1960, p. 182 40 ‘sopravvive non il concetto ma il termine, il quale viene assunto in altro significato’ 47 . 47 “ Io penso che sopravvive non il concetto ma il termine, il quale viene assunto in altro significato.”, così Biondi, ibidem 41 2. L’ALTERNATIVA TRA CONFIGURAZIONE UNITARIA E DUCPLICE Dopo aver introdotto il negotium mixtum cum donatione ed il percorso che ha portato sino alla sua moderna concezione, si può avviare un esame specifico della figura. Ci si rende conto immediatamente che sorgono problemi appena ci si approccia alla qualificazione della donazione mista48 ed, in particolare, si pone, in primis, una complicazione preliminare non usuale ovvero quella relativa alla configurazione di essa come negozio unitario o come pluralità di negozi. Il problema non è usuale poiché, solitamente, o esso non si pone affatto o risulta tuttavia, dalla successiva in di facile risposta tema di che soluzione. trarremo Sotto questo deriverà qualificazione della la profilo, riflessione natura giuridica dell’accordo: da ciò si intende come non sia possibile prescindere da questa fase di studio. Sul punto, un plauso incondizionato merita la dottrina tedesca che ha approfondito il tema più di ogni altra, pur non riuscendo ad addivenire a conclusioni univoche, ma cui è obbligatorio, quanto meno, rinviare. Già in un intervento datato 193849, G. Deiana riconosce alla dottrina tedesca il merito -seppur con esiti ritenuti erronei dal 48 Nonostante Biondi scriva “La questione della unicità o duplicità non sorge neppure” lo stesso ritiene opportuno soffermarsi sul punto, in Chiarimenti intorno al nmd, Banca borsa e titoli di credito, 1960 49 La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, Diritto e Pratica commerciale, 1938, I, p. 102 42 giurista- di aver compiuto, a differenza dei giuristi italiani, una fertile riflessione sul tema della donazione mista. La meditazione germanica in effetti ha visto il sagomarsi di diverse teorie. Una, abbastanza diffusa50, vede nel negotium mixtum cum donatione il frutto della concorrenza di due negozi, uno gratuito e un altro oneroso, conformati secondo due diverse modalità: un contratto di compravendita a prezzo superiore rispetto al valore dell’oggetto, sommato ad una donazione avente per oggetto una somma uguale alla differenza tra tale prezzo e quello effettivamente concordato; oppure, una compravendita di una quota della cosa e una donazione della quota complementare. All’interno della tesi che sostiene la duplicità della fattispecie de qua, si inserisce anche la visione51 che sostiene si tratti di una compravendita per un prezzo effettivo, fusa ad una rimessione di debito di una somma corrispondente alla differenza tra prezzo suddetto e somma pagata. La teoria pluralista tedeschi, anche è da chi stata in sposata, Italia ha oltre che individuato da giuristi nel negotium mixtum una pluralità di cause: in presenza di due cause, una gratuita ed una connessi in un onerosa, unico esisterebbero affare. “Se i due due negozi, elementi, ancorché oneroso e gratuito, dovessero porsi, nelle ipotesi che sono qualificate di causa mista, realmente sull’identico piano causale, sarei propenso a ritenere che essi vadano configurati come cause distinte e che 50 Savigny, Holtzschuher, Bechmann, Lotmar, Bekker, Bremer, Kohler 51 Cfr. Lammfromm, Teilung, darlehen, auflage und umsatzvertrag 43 in corrispondenza la fattispecie complessiva debba costruirsi sulla base di due negozi e non di un negozio unico”52. Per quanto attiene alla disciplina, i sostenitori della scissione del negozio in due segmenti propongono di applicare a ciascuno di essi le norme proprie dello stesso: ne deriva, ad esempio, che la parte di negozio qualificato come donazione sia soggetta alla revoca per ingratitudine e per sopravvenienza di figli; che gli eredi del beneficante possano esperire l’azione di riduzione per lesione di legittima; che la forma applicabile all’intero negozio sia quella, più rigorosa, della donazione; che l’alienante sia responsabile per evizione solo della quota di bene compravenduto; che la parte onerosa e quella gratuita restino distinte anche in relazione all’eventuale impugnazione con actio pauliana, essendo richiesta la scientia fraudis solo per la prima. Tali opinioni, pur partendo da una riflessione comune, non trovano accordo sulle modalità di relazione tra i due negozi così individuati. Da un lato, si beneficio, oneroso il la cui attribuisce al compratore, in caso di perdita del possibilità di mantenimento svincolarsi anche difficilmente gli dal contratto interesserebbe: quindi, una volta intervenuta la revoca o l’azione di riduzione per lesione di legittima, il beneficiato potrebbe far ‘cadere’ 52 Così Oppo, in Adempimento e Liberalità, Giuffrè, 1947, p.168, aderendo alle conclusioni di Deiana e di D’Angelo; tuttavia l’A. sconfessa tale impostazione laddove esclude che i due profili possano godere entrambi dell’autorità di causa “Se non che il problema della costruzione del negotium mixtum sta appunto nel determinare se all’elemento gratuito spetti, a pari titolo che all’elemento oneroso la qualifica di causa: e poiché ciò mi par dubbio … dubbia mi sembra anche la costruzione dell’ipotesi sulla base di due cause distinte e due negozi collegati” 44 l’intero negotium o restituire il beneficio mantenendo in vita il contratto oneroso. Altri sostengono53, donazione dipenda invece, dalla che validità sebbene della la validità vendita, della viceversa la validità della rimessione fatta a scopo di liberalità non sarebbe subordinata a quella del negozio oneroso. Ebbene, anche tra chi sostiene l’unicità della fattispecie esaminata (Einheitstheorie) non pare regnare pacifico un medesimo convincimento. Muller, principale referente della Einhetstheorie, qualifica il negotium mixtum come un negozio unico sui generis cui andrebbero applicate promiscuamente una parte delle norme proprie della donazione e una parte di quelle della vendita. Per quanto riguarda gli obblighi dell’alienante dovrebbero applicarsi per analogia i principi della compravendita e non quelli della donazione, dato che l’alienante riceve un compenso sia pure non proporzionato. Da ciò deriva che l’accipiens potrebbe vantare tutte le pretese relative alla garanzia per l’evizione e ai difetti occulti che spettano ad un semplice compratore. Non gli compete, peraltro, anche l’actio quanti minoris, perché “sarebbe ingiusto far subire all’alienante un’ulteriore diminuzione di prezzo quando si sa che quello convenuto è per spirito di liberalità…”54. Secondo questa ricostruzione, l’alienante potrebbe usufruire delle agevolazioni concesse ad ogni donante (recuperare la cosa donata in caso di 53 Ci si riferisce a Lammfrom 54 Così G. Deiana, p. 111 cit., riportando l’opinione di Muller, per poi criticarla, pag. 209 45 necessità, revoca per ingratitudine). La forma, infine, sarebbe quella del contratto di donazione. Più complessa è la posizione di Hoeniger: il contratto in esame diventa un fattispecie con causa mista, non essendo impossibile mescolare insieme gli onerosità-gratuità55 elementi (Kombinationstheorie). In base a tale impostazione, alcuni negozi, pur configurandosi tra il gratuito e l’oneroso, sarebbero più vicini al negozio interamente gratuito o a quello interamente oneroso, per il prevalere dell’uno o dell’altro elemento. Nella regolamentazione dei contratti misti bisognerebbe, quindi, applicare ai vari elementi di cui si compongono, quelle stesse norme con cui siffatti elementi vengono regolati. Il caso specifico della donazione mista andrebbe disciplinato in base a quattro gruppi di norme: quelle proprie della vendita, ma applicabili anche al negotium mixtum; quelle della donazione non connesse all’elemento della gratuità e che pertanto possono impiegarsi senza variazioni; quelle che potrebbero applicarsi al negotium mixtum senza collidere con altre, ma che, non portando a risultati pratici escludere; quelle soddisfacenti, che andrebbero sembrerebbe composte più onde opportuno evitare una collisione tra diritto della vendita e della donazione (ad es. in tema di colpa, garanzia, actio quanti minoris, ingratitudine). Circa la forma, donazioni elevato solo grado la ove di scelta ci si dovrebbe trovasse gratuità: così, ricadere dinanzi il ad giurista su un quella delle negozio tedesco con sembra 55 Hoeniger, Untersuchungen zum problem der gemischten vertrage. Spiega Deiana “Così accanto ad una prestazione interamente onerosa o gratuita possiamoavere una prestazione che sia tutta quanta gratuita per due o tre quarti ed onerosa per il resto.„, cit, p. 112 46 ammettere la rilevanza della diversa intensità che gli elementi, gratuito ed oneroso, assumono nel negozio. Va ricordato come Deiana si sia apertamente schierato contro questa scelta interpretativa, smontandone i fondamenti. Secondo l’Autore non è condivisibile la concezione che il giurista tedesco ha dei rapporti tra onerosità e gratuità, essendo essi “elementi concettualmente contrapposti”56. Procedendo con l’analisi degli autori tedeschi che difendono la teoria dell’unitarietà dell’istituto, Ennecerus57 sostiene che la scissione del negozio in due parti sarebbe concepibile solo ove risulti espressamente voluta dai contraenti, altrimenti risultando impossibile58. Secondo il giurista, il bene alienato a basso prezzo non viene in parte venduto e in parte donato: esso sarebbe interamente oggetto di un contratto di compravendita, alla cui conclusione sarebbe contemporanea una donazione. Dunque, oggetto della donazione diventa la stessa compravendita, producendo essa una diminuzione nel patrimonio dell’alienante ed un aumento in quello dell’acquirente. Per tutto il negozio, valgono quindi le norme relative a requisiti (inclusa la forma) e validità della donazione, con applicazione 56 Così in La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, Diritto e Pratica commerciale, 1938, I, p. 155 57 Ennecerus, Recht der Schuldverhaltnisse. G. Deiana, pag. 207 cit., critica anche tale impostazione poiché “una simile configurazione avrebbe il grave difetto di far dipendere l’attuazione del nostro negozio dalla conclusione di due contratti che, dati i rapporti in cui essi stanno, non potrebbero realizzarsi nello stesso istante, ma dovrebbero invece sia logicamente che cronologicamente susseguirsi uno all’altro. E’ evidente, in vero, che se la conclusione del contratto di vendita dovesse considerarsi oggetto di una donazione, essa non potrebbe avvenire se non dopo che questo contratto sia stato stipulato. Ma tutto ciò sarebbe in contrasto con la volontà delle parti per le quali la liberalità non è già che debba precedere la conclusione della vendita ma viceversa attuarsi insieme a questa.” 58 Anche Ascarelli, in Riv. Dir. Comm. Vol. XXVIII, 1930, p.464, ritiene che l’elemento decisivo vada rintracciato nella volontà delle parti e nel collegamento dei vari scopi da esse perseguiti sicché può parlarsi di negozio unico quando gli intenti economici perseguiti siano strettamente connessi tra loro 47 però delle norme di vendita solo ove non vengano poste nel nulla dall’operatività della liberalità. Analoga alla precedente è la conclusione di Siber59 il quale fa coincidere l’oggetto della donatione con il rapporto di vendita e quella di Leonhard60 che qualifica il negotium mixtum cum donatione come conclusione in modo liberale di un contratto di vendita. Tale dell’esistenza ultima visione di differenti due si fonda sulla tipologie considerazione donative: una con efficacia obbligatoria, l’altra relativa a tutte le ipotesi di attribuzioni sorgere di apparterrebbe patrimoniali a titolo un’obbligazione. a questa gratuito Dunque, seconda non il categoria: implicanti negotium in virtù il mixtum di tale conclusione, non andrebbero applicate le disposizioni concernenti la forma della donazione e le posizioni dei contraenti sarebbero determinati dal diritto della vendita. Schilling61, in virtù delle fonti giuridiche romane, sostiene che la regolamentazione del negozio de quo distingue tre ipotesi (negozio concluso da persone capaci di ricevere per donazione; negozio concluso da persone tra cui sussiste divieto di donazione; negozio concluso attuare per via per attuare diretta): una nella liberalità ipotesi che comune, non potrebbe il negozio andrebbe soggetto alle norme proprie del contratto oneroso. 59 Siber, Die Schullrechtlichen vertragsfreiheit 60 Leonhard, Besonders schuldrecht des BGB. Secondo Deiana, p. 208 cit. ’’ s’è vero che un’attribuzione a titolo gratuito può aversi anche al di fuori del puro contratto di donazione, non mi sembra altrettanto vero che, come afferma l’autore, essa possa aversi mediante la conclusione di un contratto oneroso. … Colla conclusione di un contratto oneroso non vi è alcun dubbio che possano attuarsi dei vantaggi economici a favore di uno dei contraenti. Ma questo vantaggio non può assurgere al grado di attribuzione patrimoniale a titolo gratuito, senza un accordo delle parti sul punto … data l’antitesi esistente tra il concetto di onerosità proprio della vendita e quello della gratuità proprio di ogni atto liberale.” 61 Schilling, Lehbuch fur Institutionen und geschichte des romischen privatrecht, 1864 48 In Italia questa linea è stata seguita ad esempio da chi62, identificando nella donazione mista un negozio tipicamente oneroso ove le opposte prestazioni hanno carattere unitario, ha qualificato il motivo liberale come idoneo a produrre determinati effetti derivanti rappresentata che, dalla particolare senza acquistare situazione prevalenza psicologica sulla tipica funzionalità del negozio proposto dalle parti, od accedere in concomitanza causale, assume, tuttavia, particolari risultati. Opposta è la visione di Von Tuhr63, per il quale il negotium mixtum cum donatione va considerato sì come negozio unico, ma quale donazione vera e propria. Tornando alla meditazione da cui si è partiti, è opportuno ricordare che Deiana contesta la configurabilità della donazione mista come negozio unico, demolendo in particolar modo le argomentazioni adoperate dai giuristi tedeschi aderenti a tale opzione interpretativa. Viene escluso che la prestazione dell’alienante possa presupporsi per intero tutta gratuita o tutta onerosa, non restando che due soluzioni possibili: riconoscere l’esistenza di due distinte prestazioni o considerare la prestazione come gratuita ed onerosa allo stesso tempo64. Il giurista italiano rileva che con un’unica 62 “Non deve perdersi di vista la particolare fisionomia obiettiva del negozio in questione, nel quale le parti si accordano sullo scambio fra loro di due determinate prestazioni senza procedere ad un frazionamento di esse, perseguendo lo scopo della liberalità espressamente manifestato, implicitamente ed immediatamente, attraverso la obiettiva eccedenza economica della prestazione …”così Recupero, in Temi 1950, p.170 63 Von Tuhr, Der allgemeine teil des deutschen burgerlichen rechts, 1910 64 Contra, Scalfi che, rigettando la tesi della duplicità, scrive “se si vuol pervenire ad affermare l’esistenza di due negozi occorrerà dichiarare l’inefficacia della compravendita per parte del bene venduto o del prezzo pagato: non è possibile, infatti, mantenere in vita due contratti con cui le parti dispongono del medesimo bene … è ovvia conseguenza delle premesse che la tesi della dualità dei contratti deve avvalersi dell’istituto della simulazione” in Temi, 1950, p.370 (l’Autore esclude che si possa parlare, nel negotium mixtum, di simulazione anche in forza della 49 attribuzione non si può perseguire il duplice scopo di far sorgere un credito o di estinguere un debito e di arricchire l’altro contraente; incomprensibile, quindi, gli appare soprattutto la posizione di chi65 -ammettendo che la prestazione dell’alienante sia sorretta nella donazione mista da due cause- afferma l’unicità del negozio: “ora, se si riconosce l’impossibilità che una stessa attribuzione sia sorretta da due diverse cause…non si potrà fare a meno di concludere che laddove vi sia una duplicità di cause vi sia anche una duplicità di prestazioni”66. Peraltro, tale premessa induce l’Autore a condividere nemmeno la concezione del negotium mixtum come accordo misto, dato che “il contratto misto presuppone una pluralità di prestazioni aventi un contenuto diverso, appunto perché appartenenti a tipi diversi. … Nel negotium mixtum cum donatione le cose stanno diversamente. In primo luogo manca una diversità di contenuto tra le prestazioni dell’alienante, differenziandosi esso solo nella causa e non già nell’oggetto. In secondo luogo la contemporanea esistenza di due opposte cause, la gratuita e l’onerosa, fa sì che lo schema del negozio se questo si dovesse considerare veramente unico, non potrebbe essere né quello dei contratti onerosi né quello dei contratti gratuiti, contrariamente a ciò che avviene nei contratti qualificazione di ‘negozio indiretto’ -cui egli stesso aderisce- ove “l’eccezionale rilevanza positiva dello scopo indiretto è basato sulla rilevanza del risultato”). Per la tesi della simulazione e quindi della duplicità, v. Trib. Messina, 30.03.1949 “il cd. negozio misto con donazione è costituito da due distinti negozi: un contratto oneroso palese e una donazione dissimulata rappresentata dal plusvalore del bene alienato: dichiarata la simulazione relativa, rimangono invita sia il negozio oneroso, sia quello gratuito se questo è stipulato per atto pubblico con l’assistenza ditestimoni” 65 Von Tuhr, cit.; in giurisprudenza v. ad es. Trib. Messina 18.06.1948 “il negozio misto con donazione è caratterizzato dalla presenza di due cause: una principale tipica attinente al negozio oneroso, ed una secondaria riguardante la manifestazione di liberalità”, in Temi, 1950. Contra, Recupero, cit. 66 Deiana, in La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, Diritto e Pratica commerciale, 1938, I, p. 212 50 misti che…si presentano sempre nello determinata categoria di negozi” 67 Il propria giurista avvalora l’inconsistenza quella che delle la obiezioni consente la schema tipico di una . alla frattura convinzione teoria della rilevando scissionista, fattispecie in cioè due segmenti68. Difatti, inconsistente gli pare l’opinione di chi69 reputa che, ove si consideri l’oggetto in parte venduto e in parte donato, si incorra in una comproprietà della cosa nel caso in cui la donazione sia dichiarata nulla o venga revocata, dato che non sarebbe ammissibile ritenere che, privato di validità o efficacia uno dei due negozi, l’altro viva di vita propria; altrettanto cedevole sembra il pericolo che la misura della gratuità-onerosità venga alterata attribuiscano dal giudice, all’oggetto non venduto essendo un detto valore che identico le a parti quello reale. Né condivisibile sarebbe ritenere che le azioni edilizie vadano esercitate solo per la quota di bene che viene alienata: se così fosse, chiunque alienasse una quota di proprietà non risponderebbe dei vizi della cosa. In sintesi, per Deiana non è affatto arbitrario scindere in due il negozio, atteso che i contraenti hanno la volontà di concludere un unico affare e non necessariamente un unico negozio, ed anche ove essi volessero concludere un negozio unico sarebbe l’ordinamento giuridico a stabilire quale configurazione dare all’accordo. 67 Ibidem, p. 213. Sul punto, anche Biondi contesta la visione di Mosco e Messineo che parlano, uno di duplice causa, l’altro di contratto unitario con fusione di due cause “…se ogni contratto è individuato dalla causa, non è possibile che l’unico contratto abbia due cause, per giunta così contraddittorie”, p.190 in Chiarimenti intorno al nmd, Banca borsa e titoli di credito, 1960 68 In tal senso anche Giorgianni, in Riv. It. Scienze giuridiche, 1937, p.47 69 Muller, cit. 51 Questo ragionamento correttezza della elementari ed costituisce tesi per della insuperabili l’Autore duplicità, del l’indizio dato diritto che rendono della “principi a priori impossibile la configurazione del negozio come negozio unico.”70. Egli, scartata l’idea che si tratti di una vendita con rimessione parziale del prezzo, configurazione vendita -o della altro giunge mixtio a tra contratto ritenere due soddisfacente la precisamente una negozi, oneroso- ed una donazione dell’eccedenza della prestazione di valore maggiore, o comunque di una quota ideale dell’oggetto stesso. Alla luce di tale prospettiva, circa i rapporti tra i due negozi coinvolti sarebbe scorretto sostenere che il contratto di donazione dipende da quello di vendita poiché l’attuazione della liberalità è realizzabile solo con la conclusione di quest’ultimo, perché ciò che permette la realizzazione della liberalità è la conclusione del negotium mixtum in sé. Parimenti erroneo sarebbe, per l’Autore, ritenere che in caso di nullità o inefficacia della donazione il beneficato abbia la facoltà di svincolarsi dal negozio oneroso o quella di mantenerlo in vita mediante il pagamento del quantum corrispondente alla liberalità; così facendo, l’acquirente godrebbe di una eccessiva protezione che va ben oltre la volontà delle parti. Ritiene pertanto più corretto che in caso di inefficacia di uno dei negozi l’acquirente sia tenuto a riconsegnare la cosa dietro restituzione della somma pagata. 70 Deiana, in La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, Diritto e Pratica commerciale, 1938, I, p. 219 52 La riflessione riportata sfocia, come si vedrà appresso, nella qualificazione della donazione mista tra i negozi collegati, ma è utile, ancor tentativo prima, a fornire interpretativo da il senso parte della della complessità dottrina che si del è avvicinata al tema. A tal proposito, il ricorso al concetto della causa (affermando ad esempio che ad una pluralità di funzioni non può che corrispondere una pluralità potrebbe di negozi), ove risultare inidoneo a non fornire correttamente un preciso impostato, criterio di distinzione proponendo all’interprete difficoltà ancora maggiori, considerata la difficoltà che la pratica potrebbe creare nell’individuazione delle funzioni del negozio. Né un criterio che facesse riferimento alla sola volontà delle parti potrebbe mostrarsi risolutivo. Nel quadro, prospetti il poi, di problema un’impostazione dell’unità o secondo cui, pluralità di perché negozi, si è necessaria l’esistenza di una pluralità di prestazioni e, perché si abbia unità, è necessaria l’individuazione di una prestazione prevalente, si inserisce l’opinione di chi71 ritiene che l’unità del negozio si realizzi quando una delle conseguenze economiche sia prevalente e le altre risultino legate ad essa da un nesso di subordinazione funzionale. Si è osservato, tuttavia, che, se è senz’altro corretta tale impostazione in quanto è proprio in virtù dell’esame dell’elemento strutturale che è possibile individuare la funzione del negozio e 71 Giorgianni, Negozi giuridici collegati, Riv. It. Scienze giuridiche, 1973, 28 53 quindi se essa sia unica o plurima, è pur vero che vi sono dei casi in cui, pur incontestabile l’esistenza di un’unica funzione, ad esempio di scambio, prevalente72. prestazione non è In però possibile particolare, individuare poi, il una suddetto orientamento, condurrebbe a conclusioni rigidamente alternative in quanto, ove non sia possibile risalire ad uno schema negoziale tipico unico, si sarebbe in presenza di una pluralità di negozi collegati: tertium non datur. Parimenti inefficace si rivela il criterio del valore ‘oggettivo’ delle prestazioni, che si palesa inadeguato non appena si consideri che la fissazione dello scambio compete ai contraenti (ed ad essi soli) ed è determinata da motivi così molteplici e complessi da non poter stabilire un metro uniforme di valutazione. In conclusione e aderendo alla visione della donazione mista come negozio unitario73, le suddette teorie sono state rievocate con l’intento di conseguire una prima chiave di volta funzionale alla prosecuzione dell’indagine -relativa sia all’inquadramento della figura che all’individuazione della sua corretta disciplina giuridica- che, anche nella seconda fase, offrirà diverse opzioni ermeneutiche. L’indagine visione proseguirà, della quindi, donazione sulla mista come scorta dell’adesione contratto alla necessariamente unitario (ed unico). 72 Cataudella, La donazione mista, Giuffrè, p.25 73 “Il negozio indubbiamente è unico: unica è la determinazione volitiva, unico l’oggetto, ed unica la causa” così Biondi, in Chiarimenti intorno al nmd, Banca borsa e titoli di credito, 1960 54 3. IL PROBLEMA DELLA QUALIFICAZIONE Si è avuto modo di comprendere che la difficoltà precipua cui dà origine la donazione mista è quella derivante dall’identificazione della sua natura giuridica. La questione è interessante non solo a fini teorici, ma anche -e soprattutto- a fini pratici74 poiché dall’accoglimento di una, piuttosto che di un’altra teoria, discendono conseguenze dissimili tra loro. Questo capitolo ha l’obiettivo di delineare il panorama ermeneutico disegnato dalle più rilevanti riflessioni sul tema, senza tuttavia pretendere di enumerare l’intera gamma di posizioni esistenti, dato che la loro identificazione è in parte complicata, oltre che dalla molteplicità, prima ancora dalla loro diffusione a dire il vero- non sempre sistematica, essendo non raro leggere del negotium mixtum cum donatione all’interno di riflessioni ben più ampie o addirittura dedicate ad altri argomenti. Il che, se, da un lato, rende tortuoso lo studio di chi si accosta alla figura, dall’altro è sintomatico dei tanti e tali spunti di riflessione che la donazione mista offre. Invero, la tematica è già stata in passato oggetto di approfondimento, tanto che quella che un tempo era ritenuta una questione aperta –la qualificazione- sembrerebbe oggi un problema superato dall’imporsi di una determinata lettura del fenomeno. Si 74 In giurisprudenza, v. Cass. 11499/1992, Cass. 1751/1992, Trib.Genova, 28.09.1989, Trib. Milano, 20.03.1989, Cass. 6411/1988, Trib. Torino, 30.09.1982, Cass. 1266/1986, Cass. 6723/1982, Trib. Pinerolo 25.01.1980, Cass.526/1979, Cass.3661/1975, App.Milano 19.01.1982, Cass. 201/1972 e le altre citate in questo lavoro 55 ritiene, tuttavia, opportuno concentrare l’esame sui tre indirizzi che hanno influenzato precipuamente la materia, poiché se è vero che tanti sono stati i giuristi ad interessarsi alla figura –più o meno direttamente-, è altrettanto corretto ricordare che, di fatto, tali studi possono essere suddivisi sulla base di caratteri comuni che hanno, appunto, portato all’elaborazione dei tre indirizzi menzionati. Né sarebbe stato possibile sviluppare alcuna idea in materia senza passare da questo riepilogo, poiché è da esso, come si vedrà, che trae origine l’interpretazione proposta. Ciò è più vero ove si considerino la peculiarità della figura in esame e la complessità degli interessi cui dà essa dà vita, cosicché “la finalità del procedimento di qualificazione è in definitiva quella di rendere giuridicamente apprezzabili tutti gli interessi propri della funzione concreta, riassunti nell’intento pratico …”75. Perciò, la ricerca della strettamente corretta connessa, qualificazione in un della rapporto donazione biunivoco, mista con è la definizione della struttura negoziale e degli scopi che essa si propone di perseguire. Si consideri anche che nel negotium mixtum la compenetrazione delle componenti negoziali e l’influenza esercitata dai contraenti sull’assetto contrattuale sono tali che, in assenza di precisazioni delle parti o indicazioni di altro genere sul punto, non vi sarebbe mezzo per accertare quale parte della cosa o del prezzo sia stata donata e quale venduta: il ricorso al valore 75 Così D’Ettore, in Intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996, p.118 56 oggettivo delle prestazioni al fine di individuare cosa sia stato donato, ponendolo in relazione coi termini dello scambio, non offre un criterio accettabile76, posto che la fissazione della misura dello scambio compete, in linea di principio, ai contraenti ed esclusivamente ad essi. Ecco allora che l’opera di qualificazione del contratto si rende doppiamente utile. LA DONAZIONE MISTA COME COLLEGAMENTO NEGOZIALE “L’ipotesi in esame, identifica, dunque, una specifica ipotesi di collegamento negoziale perché essa è caratterizzata da una pluralità di fattispecie … l’operazione economica che è stata perseguita attraverso negozi giuridici … strutturalmente autonomi, ma necessariamente collegati”77: tale definizione, seppur non fornita per un caso di donazione mista, sarebbe sufficiente ex se a giustificare il rifiuto che qui si intende esprimere nei confronti dell’impostazione che individua nella donazione mista un’ipotesi di collegamento negoziale. Ciò anche, se non soprattutto, sulla scorta di quanto concluso nel capitolo precedente circa l’unitarietà della struttura negoziale della figura esaminata, posto che l'istituto in esame si manifesta nella pratica negozio negoziale non unico, in cui come ciascuna pluralità di prestazione, negozi ma come corrispettiva dell'altra, non è frazionata né frazionabile nell'intenzione delle parti. 76 In questo senso, Cataudella, in La donazione mista, Giuffrè 1970, pag. 31 77 Così Cass. 24511/2011, in un caso di specie non inerente la donazione mista, ma comunque nel solco della teoria condivisa sul collegamento negoziale 57 Tuttavia, non può tacersi la contestata interpretazione che, meglio di tutti, è stata tracciata da Deiana, il cui pensiero si prende, dunque, a modello per descriverne gli esiti. Tale pensiero78 si può afferrare seguendo quello che l’Autore stesso compie come una sorta di ragionamento ad excludendum, cioè attraverso la demolizione delle tesi ritenute infondate: tale metodo era stato seguito per scartare che si trattasse di negozio unitario ed ora viene impiegato per rifiutare interpretazioni non fedeli a tale conclusione. Innanzi tutto, si esclude che la donazione mista sia un negozio indiretto: siffatta qualificazione -basata sulla convinzione che l’accordo cade sulla sola conclusione della vendita, relegando l’animus donandi tra i motivi-, infatti, contrasterebbe con gli elementi alla base del negotium mixtum. Sostiene il giurista che due sono le contraddizioni in cui cadono i ‘seguaci’ della teoria del negozio indiretto79: in primo luogo, si crede che il contratto concluso sia una mera compravendita senza però spiegare come mai essa possa racchiudere in sé una prestazione a titolo gratuito parimenti sussistente; inoltre, pur sostenendo che la disciplina della fattispecie de qua corrisponda a quella del contratto oneroso, si ammette che vadano applicate alcune norme di sostanza proprie delle donazioni e degli atti gratuiti in genere. Quanto al primo profilo, Deiana esclude che il negotium mixtum esista meramente a titolo oneroso ove si ammetta l’esistenza di un 78 V. anche cap. 2 79 Per un rinvio analitico a questa teoria, v. infra in questo capitolo 58 accordo80 con cui le parti considerano anche le prestazioni come non equivalenti e ritengono che la somma convenuta non sia il corrispettivo della controprestazione, ma solo di una parte di essa. Altrimenti, ove si negasse l’esistenza di siffatto accordo, respingendo quindi che il negozio contiene anche una prestazione a titolo gratuito, cadrebbe la premessa in base a cui applicare alcune regole di sostanza proprie delle donazioni. Circa il secondo profilo (l’applicazione di norme in tema liberalità), l’Autore segue un ragionamento simile: accogliendo l’impiego di certe norme nella fattispecie esaminata, non si può negarne il presupposto, ovvero l’esistenza di una quota donativa; chi invece sconfessa ritiene il volendo prestazione a negotium applicare titolo mixtum quei gratuito (e meramente precetti non quindi oneroso, propri di di un si una normale contratto di vendita). Tale impostazione donazione mista respinge sarebbe un pure la normale lettura contratto secondo di cui la compravendita nonché quella che la assimila ad un semplice negozio di donazione. Deiana infatti reputa che la prima impostazione81 -fondata sul presupposto riconosce erroneo la di liberalità negare fatta l’esistenza dell’intesa dall’alienante a che favore dell’acquirente- allontani dall’unico negozio oneroso qualsiasi 80 Per Deiana resta ferma ed inattaccabile l’esistenza dell’accordo delle parti sul considerare le prestazioni non equivalenti “La necessità di quest’accordo risulta dal fatto che se i contraenti si limitassero a pattuire lo scambio delle due prestazioni, senza aggiungere altro, ciascuna di queste malgrado la diversità di valore,verrebbe a rappresentare il corrispettivo esatto e completo dell’altra e non si potrebbe quindi che considerare onerosa. L’esistenza dell’accordo è già sufficiente…ad escludere che il n.m.c.d. possa configurarsi come un contratto oneroso”, p. 151, in La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, Dir. e Pratica commerciale, 1938. Il giurista, contestando i seguaci della teoria del negozio indiretto, si riferisce in special modo ad Ascarelli 81 G. Deiana si riferisce a Shilling 59 norma sulla donazione. Altrettanto inconcepibile sarebbe la tesi82 che vede nel negotium mixtum una semplice donazione, dato che anche qui si sottovaluta l’accordo dei contraenti, precisamente per quella parte relativa allo scambio della cosa e del prezzo. L’Autore valuta altresì inammissibile configurare la donazione mista come donazione modale: troppe sarebbero invero le differenze intercorrenti tra le due fattispecie. In un caso il donatario è obbligato a fare qualcosa che non rappresenta il corrispettivo della donazione del donante, ma solo un peso gravante sul beneficio ricevuto. La riportata disamina è utile principalmente per ripercorrere il ragionamento che Diena compie riguardo alle teorizzazioni tedesche e che lo porta alla critica dei sostenitori della Einheitstheorie, fino a concludere che la donazione mista vada catalogata tra i negozi collegati, frutto di una vera e propria combinazione di accordi, ognuno completo per conto proprio e con le proprie regole. Secondo questa descrizione, la fattispecie de qua (duplice) sarebbe contraddistinta da una dipendenza bilaterale, posto che i due negozi sono voluti dalle parti come un unico affare (ma non come un unico negozio) in modo che la validità e l’efficacia di ciascuno di essi sia in stretta connessione con la validità e 82 G. Deiana si riferisce a Von Tuhr e si chiede “Ma come può il negozio considerarsi tutto quanto una donazione se l’attribuzione dell’alienante è solo in parte gratuita, dato che la rimanente parte si trova coperta da un corrispettivo?”, p. 155, in La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, Dir. e Pratica commerciale, 1938, I 60 dell’altro83. l’efficacia sottolinei che tra i Giova negozi non rammentare esiste come l’Autore subordinazione e che soprattutto non si potrebbe affermare che la liberalità dipende dalla conclusione della vendita84. Ciò rivela che la vita di ciascun negozio è in dipendenza non solo della validità dell’altro, ma anche di quel complesso di circostanze che ne influenzano l’efficacia. Ora, quanto alla disciplina dell’istituto così qualificato, cominciando dalla forma, al giurista pare occorra la forma propria del contratto donativo, altrimenti ponendo nel nulla le garanzie con cui la legge ha voluto tutelare la determinazione del donante; né si potrebbe far derivare l’uso della forma della donazione dalla prevalenza nel negotium mixtum della quota liberale su quella onerosa85. E tale argomentazione non viene scalfita dall’obiezione secondo cui trattandosi di liberalità indiretta non servirebbero le formalità dettate per la donazione86: ad essa si controbatte che, impostando il ragionamento come lo si è impostato, la liberalità non sarebbe indiretta, ma diretta per la quota interessata. E la non necessità della forma donativa non neanche potrebbe discendere dal fatto che la liberalità delinea qui un negozio accessorio del contratto oneroso: si è visto, infatti, come per l’Autore tra i negozi non vi sia alcuna subordinazione, ma vincolo bilaterale. 83 Scrive Deiana “Vale a dire che se uno dei due negozi è nullo …anche l’altro dovrà considerarsi nullo. Così pure se la donazione sarà revocata per ingratitudine o per sopravvenienza di figli, anche la vendita dovrà considerarsi inefficace.”, pag. 236,in op. cit. 84 In questo senso, Lammfromm, v. Cap.2 85 Cfr. Cass. 27.03.1930, in Riv. Dir. Commerciale 1930, II, p. 462 86 In particolare, v. Scuto, Le donazioni, p.1082 61 Da siffatte premesse, è naturale che discenda per l’Autore la piena applicabilità delle norme sulla collazione e sulla riduzione per lesione di legittima, così come quelle in tema di revoca per ingratitudine o sopravvenienza di figli. Circa questo ultimo aspetto, risulta chiaro il contrasto con la tesi che, qualificando diversamente la fattispecie, si oppone all’uso di tali norme, posta la loro peculiare operatività nello speciale contesto della donazione87 (non a caso, questa ultima teoria conclude col difendere l’impiego della norma sulla rescissione, ove l’alienante abbia venduto ad un prezzo inferiore alla metà del valore senza una effettiva volontà di donare88). Il giurista materia di considera, actio infine, pauliana: i applicabili creditori anche le potrebbero norme in impugnare l’intero atto qualora l’acquirente sia consapevole del consilium fraudis, oppure la sola parte gratuita dell’atto, sulla base della frode dell’alienante ed a prescindere della scientia fraudis del beneficato. A parte le modalità applicative del negotium così qualificato, per quel che qui interessa, giova evidenziare che la scissione della donazione mista in due negozi, uno oneroso ed uno gratuito, ove questo ultimo risulterebbe dalla differenza tra il valore effettivo della cosa venduta ed il corrispettivo pattuito dai 87 Scrive Rubino “Le norme sulla revoca hanno carattere eccezionale e particolarmente contrastano con gli atti a titolo oneroso; finché un negozio si qualifichi vendita, non può essere revocato per le cause proprie della donazione”, in Il negozio giuridico indiretto 1937, p. 137; ma nello stesso senso anche De Gennaro “ se il donatore ha scelto la via indiretta egli si è volontariamente preclusa la via a fruire della particolare tutela accordata dalla legge”, in I contratti misti 1934, p. 231 88 “Il legislatore ammette l’azione di rescissione perché ritiene sempre con una presunzione iuris et de iure che la volontà di donare non esista realmente. … in altri termini ammette l’azione di rescissione non già perché configura il nostro negozio come una vendita,ma perché esclude a priori che vi sia un negotium mixtum cum donatione.”, G. Deiana, cit., p. 233 62 contraenti, va, peraltro, ritenuto di fatto inattuabile così come la scissione ideale dell’unica prestazione in due parti. Di talché si rivela non condivisibile tale impostazione, in quanto, se per aversi un collegamento è necessario che esso si realizzi tra due distinti accordi, ciò non può dirsi nella donazione mista ove, invece, gli intenti sono perseguiti –è evidente- da un contratto singolo, pur peculiare e complesso, ma comunque unitario89. LA DONAZIONE MISTA COME CONTRATTO INDIRETTO Quanto agevole è stato giustificare la disapprovazione della precedente interpretazione, altrettanto poco sarebbe sufficiente per allontanarsi pure dalla valutazione che annovera la donazione mista, per il tramite del negozio indiretto90, tra le donazioni indirette. Sennonché, contrariamente a prima, ci si trova dinanzi all’impostazione più accreditata91, sulla scorta della quale, il risultato liberale si realizzera, dunque, attraverso l’utilizzazione di un negozio a titolo oneroso e la causa del contratto non sarebbe investita dall’intento liberale che, non 89 “La configurazione invece di negozio unitario, a confutazione della suddetta impostazione dottrinale, richiede che gli effetti giuridici si ricolleghino al complesso delle dichiarazioni riunite in un'unica funzione negoziale, senza che possa ritenersi istituito un nesso di collegamento tra ciascuna distinta dichiarazione” così D’Ettore, in La donazione, Trattato Bonilini, p.165 90 Non è questa la sede per approfondire la possibilità o meno di assimilare negozio indiretto e donazione indiretta, questione, pure questa, al vaglio di alcuni giuristi. Questo aspetto, come si vedrà, non interessa, non solo perché si intende non sposare la lettura di donazione indiretta, ma soprattutto perché si fonda su una premessa che introduce un argomento diverso da quello di studio (parlare di negozio indiretto vorrebbe dire, tra l’altro, ritenere senza dubbio ammissibile la fattispecie). Cfr. Rubino, in Il negozio giuridico indiretto, secondo cui non tutte le ipotesi di donazione indiretta sono anche negozi indiretti. Per un rinvio completo, v. Caredda, in Le liberalità diverse dalla donazione, Giappichelli, 1996, p. 71 ss.. In questo lavoro, dunque, si parlerà genericamente di donazione indiretta senza prendere posizione sul punto 91 Cfr. in dottrina, Ascarelli in Riv. Dir. Com., 1930, II; Carnevali, Le Donazioni, in Trattato Rescigno, Utet, 1997; De Gennaro, Biondi, in Chiarimenti intorno al nmd e alla donazione indiretta, 1960; e ancora, Torrente, La donazione, in Trattato Cicu-Messineo, Giuffrè, 1956; Rubino, Il negozio giuridico indiretto; Scalfi, in Temi, 1950; Di Staso, in Giur. Completa Cass.civ., 1949, II; Casulli, in Donazioni indirette e rinunce ad eredità o legati, Roma, 1950; Biscontini, in Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti 63 penetrando nella ulteriore ed a struttura sé negoziale, stante rispetto costituisce l’assetto uno di scopo interessi perseguito dai contraenti. “Nel negotium mixtum cum donatione la causa del contratto ha natura onerosa, ma il negozio commutativo stipulato dai contraenti ha la finalità di raggiungere, per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell’arricchimento per puro spirito di liberalità, di quello dei contraenti che riceve la prestazione di maggior valore”92: in tal senso si esprime granitica giurisprudenza. Da tale inquadramento deriva l’applicabilità della disciplina delle donazioni indirette (v. infra) e, conseguentemente, la non necessità della forma solenne93. Difatti, il contratto commutativo viene a costituire il tramite necessario per realizzare concretamente il fine della liberalità perseguito dalle parti, ponendosi in funzione strumentale rispetto ad esso, ma conservando la propria autonomia sostanziale,così da restare assoggettato alla disciplina giuridica che gli è propria. Siffatta impostazione è seguita persino dal legislatore tributario che ha inteso attribuire espressamente un rilievo alle donazioni indirette94. Va detto che, sebbene questo sia l’orientamento di autorevole dottrina e di pressoché unanime giurisprudenza95, questa ha 92 Ex multis, Cass. 1955/2007 93 Ex multis, SU. 13524/2006, 94 Per tutti, v. Valenza, ‘La donazione indiretta tra diritto civile e diritto tributario’ in La nuova Giur.Civ. commentata, 2001, p.179 95 V. ex plurimis, Cass. 526 /1979, in Giur. It. 1979, I “I contraenti danno vita ad un negozio per sua essenza oneroso per conseguire un risultato diverso da quello proprio del contratto utilizzato del quale rispettano le 64 pronunciato, anche recentemente, provvedimenti non sempre esaustivi e certamente in nulla innovativi, restando nel solco della tradizione. Prima di procedere oltre con il ragionamento, giova inquadrare cosa di intenda per donazioni indirette. Come è noto, il meccanismo attraverso cui il risultato liberale si realizza nella donazione è quello dell’attribuzione spontanea e disinteressata di un diritto ed il risultato medesimo, visto dal lato del beneficiario, è appunto l’acquisto di un diritto che –non essendo in alcun modo previsto un corrispettivo- arricchisce l’acquirente. Tra gli atti dotati di questi caratteri il legislatore definisce e disciplina compiutamente la donazione, ma ne prende in considerazione anche altri, cioè tutti i possibili altri atti di liberalità, individuati per sottrazione (art. 809 c.c.). Perciò, da un lato, si conferma che i connotati essenziali della liberalità sono idonei ad essere presenti ed a caratterizzare svariati atti anche diversi dalla donazione, dall’altro lato, si sottolinea che gli altri atti di liberalità sono diversi da quelli previsti ex art. 769 c.c.. E’ sulla scorta di questi dati normativi (e del pensiero giuridico francese) che la distinzione tra donazione diretta ed indiretta si focalizza principalmente sullo scopo perseguito, il quale, in quest’ultima è indiretto, in quanto conseguenza concomitante di un finalità di scambio, aggiungendovi quella ulteriore di attribuire ad una delle parti la differenza tra il maggior valore economico del bene oggetto del contratto e il corrispettivo pattuito. Il contratto commutativo viene a costituire allora il tramite necessario per realizzare concretamente il fine di liberalità perseguito dalle parti, ponendosi in funzione strumentale rispetto a questo, ma conservando la propria autonomia sostanziale, così da restare assoggettato alla disciplina giuridica che gli è propria” ; Cass. 1931/1991, in Mass. Foro It., 1991; Cass. 11499/1992, in Mass. Foro it., 1992 65 atto giuridico il quale per se stesso ha tutt’altro scopo e natura96. A voler, quindi, introdurre un esame più minuzioso, giova muovere -anche in questo caso- dalla riflessione, accolta da molti97, di chi meglio ha saputo teorizzare tale inquadramento. Ascarelli colloca la donazione mista nella categoria dei negozi indiretti, accogliendo come esauriente l’impostazione del Muller in merito all’unicità del negotium mixtum98, quindi usando un punto di partenza esattamente antitetico a quello impiegato da Deiana. In questa ottica, si realizza un negozio indiretto “quando le parti ricorrono ad un determinato negozio giuridico, ma lo scopo pratico ultimo che esse si propongono non è affatto quello normalmente attuato attraverso il negozio da esse adottato, ma uno scopo diverso, spesso analogo a quello di un altro negozio, più spesso mancante di una propria forma tipica in un determinato ordinamento”99. Traguardo di siffatta descrizione è che la disciplina applicabile all’accordo indiretto sarà quella che il negozio avrebbe se, anziché essere concluso per scopi indiretti, fosse concluso per attuare attraverso di esso il suo scopo tipico. Già in questa affermazione si palesa tutta la contraddittorietà della posizione che, da un lato, ammette l’esistenza di scopi ulteriori, indiretti, dall’altro nega la loro efficacia limitando comunque 96 A tale opinione se ne contrappone, peraltro, una dissenziente secondo la quale l’intera costruzione sarebbe priva di fondamento: per prima cosa, l’espressione donazioni indirette sarebbe inesatta in quanto talune di esse si compiono per un atto diretto, un atto tra il donante ed il donatario; in secondo luogo, i diversi casi di donazione indiretta non possono ricondursi sotto un unico concetto. Per tutti v. Ascoli, in op. cit., p. 426 ss. 97 De Gennaro, Maroi, Cariota Ferrara, Rubino. Non accolta, invece, ovviamente da Deiana, v. infra 98 V. cap.2 99 Ascarelli, in Rivista Dir. Commerciale 1930, II, p. 468 66 l’operatività del negozio al suo ambito tipico (senza che quegli ulteriori scopi, pur esistenti, possano in qualche modo rilevare). Ma senza voler anticipare quanto si avrà modo di specificare in appresso, e tornando agli esiti dell’impostazione menzionata, si nota che in tali ipotesi l’Autore non reputa utilizzabili le norme relative alla revoca per ingratitudine o per sopravvenienza di figli100 dato che da un punto di vista formale l’accordo ‘rimane pur sempre un negozio oneroso assoggettato alla disciplina giuridica che discende dal sua scopo tipico’101; si ammette invece l’applicazione del divieto di donazioni tra coniugi, l’obbligo della collazione e la riduzione per lesione di legittima, dato che tali norme, benché dettate in tema di donazione, valgono per tutti gli atti di liberalità. Conseguentemente, si evince che la causa del negozio de quo non è, nemmeno parzialmente, quella donativa, seppure questo sia il moto -a volte- prevalente nella volontà delle parti, ma sempre e soltanto quella del negozio oneroso impiegato102: ciò alla luce del fatto che la sproporzione esistente tra il valore delle due prestazioni non sarebbe sufficiente a far esulare il negozio dal 100 Pur sposando la lettura della donazione indiretta, Biondi perviene, in parte a dissimili conclusioni “L’atto produce tutti gli effetti di cui è capace: effetti traslativi, costitutivi di obbligazione, responsabilità per evizione e vizi occulti, secondo i principi generali e quelli propri di ciascun negozio: come dicono i giuristi romani, la vendita resta vendita ... Alla liberalità risultante sono applicabili non tutti i principi della donazione, ma solo quelli indicati in modo tassativo nello stesso art.809, precisamente a)revoca per ingratitudine e sopravvenienza di figli b)riduzione per lesione di legittima”, in Chiarimenti intorno al nmd, Banca borsa e titoli di credito, 1960. Dunque, mentre Ascarelli esclude il ricorso alla revoca, Biondi lo ammette poiché “Viene revocato o ridotto non l’atto, che sotto tale profilo resta pienamente valido, ma soltanto l’arricchimento che risulta da esso” 101 Così Ascarelli, in op. cit. 102 Alcaro, in Vita notarile n.3, 2001, p. 1060 “…si pone quindi immediatamente il problema di compatibilità tra l’atto diverso e il fine di liberalità…esso (l’atto diverso) non nasce perché realizzi la liberalità. È l’intento liberale che, integrando la causa di questo atto diverso, lo piega e lo orienta la risultato liberale…E’ per questo che nelle donazioni indirette la liberalità non è la conseguenza corrente della causa propria dell’atto, ma costituisce solo un effetto, un risultato …” 67 tipo oneroso103, in alcun modo potendosi escludere lo scambio tra prestazioni voluto dai soggetti. Per Ascarelli, dunque, la caratteristica del negozio indiretto è data proprio dal fatto che attraverso di esso le parti mirano a raggiungere uno scopo che non è quello tipico nel negozio stesso. Secondo questa lettura, di fronte alla fissità dello scopo empirico tipico di ogni negozio, c’è la variabilità dei motivi a permettere la varietà dei suoi atteggiamenti concreti e quindi il raggiungimento di scopi ulteriori ben distinti da quello tipico del negozio, acquistando essi rilevanza decisiva nella volontà delle parti104. “La caratteristica distinguendo del esattamente negozio nel indiretto negozio lo si scopo coglie così, tipico dagli eventuali scopi ulteriori; la causa dai motivi”105. In definitiva, tale qualifica dipenderebbe dai motivi che spingono le parti, motivi a cui si concede così una rilevanza giuridica tale da permettergli di escludere che la donazione mista sia una contratto misto. Sostiene Ascarelli, difatti, che nel negozio indiretto l’intento ulteriore perseguito dalle parti corrisponde allo scopo tipico di un negozio diverso da quello concretamente adottato, mentre nel contratto misto si assiste ad una concorrenza di più scopi tipici, ovvero di ‘più cause’ proprie di contratti differenti. Dunque, si avrà concorrenza di intenti empirici nel 103 Si palesa nuovamente l’incompiutezza del criterio economico a fungere da parametro valutativo: anche in questo caso, infatti, muovere dalla sproporzione dei valori in gioco non è utile, ma anzi devia il ragionamento dell’A. . V. anche qui, in Cap.4 104 Della stessa idea, Biscontini, secondo cui il ricorso alla minima unità effettuale consente di proporre per il nmd una soluzione nell’elemento causale(di scambio) a prescindere ‘da possibili riferimenti a valutazioni soggettive’, in Bilateralità, onerosità e qualificazione dei contratti, cit., p.138 105 Ascarelli, in Rivista Dir. Commerciale 1930, II, p. 469 68 primo caso, concorrenza di prestazioni tipiche di contratti diversi nel secondo caso. Questi sono, in definitiva, gli argomenti che portano il giurista a non condividere la decisione adottata dalla Corte di legittimità con sentenza del 27 marzo 1930 secondo cui la vendita a prezzo vile è un negozio misto di vendita e di donazione. Risulta, pertanto, facilmente intuibile la conclusione derivante da tali premesse: il negozio indiretto resterà assoggettato alla disciplina tipica indipendentemente dai del negozio motivi scelto ulteriori, dai in contraenti106, quanto unicamente connessa alla causa tipica presupposta107. Di conseguenza, la donazione mista realizza sì un negozio unico perché unica è la causa sottesa, ovvero quella del negozio oneroso adottato dai contraenti-, ma è la causa dello scambio a puntellare l’intera operazione, mentre l’intento di donare resta nel campo dei motivi, quindi dell’inconsistenza. Si tratta, per l’Autore che ripudia in toto le riflessioni della dottrina tedesca in merito108, di una vera e propria vendita in cui l’irrisorietà del prezzo nulla toglie allo scambio di cosa contro prezzo. Solo ove manchi del tutto il prezzo, solo allora, si potrebbe diritto abbandonare si preoccupa il terreno della della causa, non vendita, della dato sua che “il importanza psicologica: della sussistenza di uno scambio, non della effettiva 106 V. anche Biondi “Non si ha duplice disciplina, ma soltanto quella del negozio oneroso” in Chiarimenti intorno al nmd, Banca borsa e titoli di credito, 1960 107 “Negare l’applicazione di questa disciplina, sarebbe insieme tradire la logica giuridica e la volontà delle parti”, ibidem, p. 472 108 Ibidem, pag. 475 69 equivalenza delle prestazioni”109. Ciò troverebbe conferma, secondo il giurista, nel passo ulpianeo D.18, 1, 38 secondo cui la vendita viliore pretio è vendita110, ma assoggettata ad alcune regole di sostanza delle donazioni. Concludendo, non può che notarsi quanta fortuna abbia avuto la qualifica di donazione indiretta, dato che viene condivisa dalla giurisprudenza ormai costante della Corte di legittimità (così, da ultimo Cass. 23215/10111 che si rifa e Cass.3661/75, 6411/88, 1214/97, 4623/01, 13337/06, 13524/06, 19099/09) ogni volta che sia individuata l’intenzione consapevole di attribuire a titolo gratuito la differenza tra il maggior valore economico della cosa oggetto del contratto e il prezzo pattuito112. La teoria presentata, pur largamente condivisa, va peraltro incontro a molte obiezioni la cui esposizione permette, in parte, di anticipare talune conclusioni di questo lavoro. In forza dell’autonomia privata, il negozio indiretto non rivelerebbe nella sua struttura giuridica l’ulteriore intento che lo ispira113. Il nucleo del problema del negozio indiretto ed il centro dell’attenzione degli studiosi è costruito proprio dal cd. scopo o 109 Così Ascarelli, ibidem, p. 474 110 Il passo recita “quotiens vero viliore pretio res donationis causa distrahitur, dubium non est venditionem valere” 111 In Cass. 23215/10 si legge “in effetti, il negotium mixtum cum donatione si qualifica come un contratto mediante il quale le parti volutamente stabiliscono un corrispettivo di gran lunga inferiore a quello che sarebbe dovuto … con l’intento…di arricchire…la parte acquirente per quella parte eccedente il corrispettivo pattuito: in tal senso ci si trova in presenza di una situazione giuridica particolare, connotata dal fatto che le parti adottano lo schema tipico di un contratto oneroso con l’ulteriore intento a far conseguire ad una di esse un arricchimento a titolo gratuito in modo tale da piegare la causa tipica del contratto stipulato alla realizzazione di una finalità di liberalità” 112 V.Cass. 3661/1975 in Mass. Giust. Civ. 1975, Cass. 2147/1987 in Vita not. 1987, Trib. Torino 30.10.1982, in Giur. It. 1984 , I 113 V. Auricchio, in Negozio Indiretto, Nov. Dig.it, XI 70 intento ulteriore che muove i contraenti e dalla consistenza che può essergli attribuita. Costretti dall’alternativa -un tempo intesa rigidamente- tra causa e motivi, i sostenitori del negozio indiretto ammettono nella sostanza che il cd. scopo o intento ulteriore negozi rientra tipici nell’area dei con ulteriore motivi fine di (per tale liberalità ragione, ai applica la si disciplina loro propria, con l’aggiunta delle sole norme materiali in tema di donazione, in ragione del fatto che i negozi medesimi producono un risultato pratico-economico analogo a quello prodotto dalla donazione). Si noti, rilevanti nondimeno, perché che comuni effettivamente allo utilizzano negozio. il si tratta alle scopo di parti primario Il disagio motivi e per è particolarmente perché il corrispondono quale evidente: le di parti fatto la rilevanza pratica degli intenti ulteriori è palese, ma non si può attribuire loro convergono le una rilevanza critiche a giuridica. tale E’ elaborazione. proprio Il qui nucleo che delle obiezioni si sostanzia nell’osservazione che “gli scopi ulteriori ed indiretti, i motivi del negozio, o non acquistano rilevanza giuridica, e allora evidentemente non possono servire a determinare una nuovo figura di negozio, o l’acquistano e con ciò stesso negozio, inevitabilmente che non può si mutano pertanto in causa, trasformando considerarsi il semplicemente indiretto”114. 114 Nega che il negozio indiretto costituisca una categoria giuridica, Santoro –Passarelli, in Foro it., 1931, c.166 e Dottrine generali del diritto civile, Jovene, 1989. Cfr. Cap.4 71 Null’altro, serve, in questa sede, a dimostrare che nell’ipotesi di donazione mista il rinvio alla categoria ‘indiretta’ si rivela fuori luogo, atteso che si ricade nella seconda delle ipotesi appena richiamate, ove ciò che si definisce ‘altro’ rispetto al negozio di base non può essere relegato a mero motivo, tanto più qualora lo si ritenga trascurabile. Inoltre, si presuppone –erroneamente- che il negotium mixtum, quale donazione indiretta, sia un negozio diverso dalla donazione, con propria causa che invece la ed ulteriore intento di liberalità: si ribatte donazione mista è un atto che partecipa115 ai medesimi elementi della donazione. Senza considerare poi, in limine, che è la stessa ragion d’essere del negozio l’elaborazione indiretto teorica che della può figura mettersi in discussione116: nasceva da un’osservazione della realtà che restava ancorata alla distinzione causa-motivi, sia per la rigidità e l’astrattezza con cui quest’ultima era intesa, sia per la diffusa diffidenza verso le figure negoziali atipiche117. 115 Ritiene che le fattispecie riportate comunemente alla figura della donazione indiretta (negozio indiretto) siano in realtà il più delle volte ipotesi di donazione diretta, rinunzia donativa o simulazione relativa, Balbi, in Liberalità e donazione, Riv. Dir. Comm., 1948 116 Non a caso, l’evoluzione della dottrina è nel senso di un progressivo superamento degli atti di liberalità diversi dalla donazione dalla discussa figura del negozio indiretto. Già sul piano terminologico si avverte la tendenza ad abbandonare l’espressione donazioni indirette: si propone così il termine liberalità atipiche che definisce gli atti in esame per via di contrapposizione con l’unica liberalità tipica, cioè la donazione. V. ad es. Biscontini nega che il nmd (pur integrando una donazione indiretta ex art. 809 c .c.) sia un negozio indiretto sulla base del fatto che la sua minima unità effettuale è e resta quella perseguita dalle parti, in Bilateralità, onerosità e qualificazione dei contratti 117 Si rammenta la revisione critica cui il concetto stesso di negozio indiretto è stato sottoposto tanto da indurre parte della dottrina ad escludere persino le donazioni indirette dall’insieme dei negozi indiretti, Cfr. Bianca, Il contratto, Giuffrè 1987. V. anche Carnevali in Enciclopedia del diritto, sub Liberalità “…sembra inopportuno, o quanto meno irrilevante, ricondurre le donazioni indirette nell’ambito del negozio indiretto, figura di assai dubbio rilievo dogmatico” 72 Non si può negare, quindi, che la soluzione donazione mista come donazione indiretta sia ‘comoda’ per certi aspetti, ma la si rimprovera di usare la nozione di negozio indiretto anche per nascondere la reale sostanza dell’affare, facendone prevalere l’aspetto esteriore, così come accade quando si qualifica negotium mixtum cum donatione (con conseguente esenzione da oneri formali) una vendita a prezzo non solo sproporzionato, ma anche irrisorio, che invece –ad una lettura sostanziale dell’affare- potrebbe risultare una vera donazione118. Non a caso, considerato in talune come decisioni, negozio oneroso il negotium indiretto: mixtum qualche non è sporadica sentenza afferma che “qualora l’atto di liberalità abbia profili sia rimuneratori che restitutori, ai fini della disciplina si applica il criterio della prevalenza”. Tale soluzione119 presuppone che la donazione mista sia considerata come unico negozio giuridico nel quale confluiscono motivi in parte onerosi e in parte gratuiti, giurisprudenza prevalente, ossia sceglie anche un di con negozio applicare riguardo la alla misto al disciplina necessità quale del tale profilo della forma pubblica. Ciò che sembra accomunare le diverse decisioni (quelle che scelgono il negozio indiretto e quelle che optano per il contratto misto) è se non altro la rilevanza attribuita alla componente della liberalità soluzione che adottata accompagna non si può lo scambio: prescindere qualunque dalla sia coscienza 118 V. Scalfi, Negozio indiretto, cit., p.3 e 7 119 V. Cass. 1545/1981, 1751/1992; 8446/1990, 3499/1999; Trib.Milano 20.03.1989, Trib. Torino 30.10.1982 73 la e volontà relative avvalorare donazione significato l’incoerenza mista, componente al del poiché, negoziale, negozio pur poi dell’atto. fatto che indiretto rilevando di Il le applicato l’entità si non fa nega di una che alla certe valore. Solo svincolandosi, allora, dalla prospettiva di ‘negozio tipico più intento ulteriore’ è possibile esaminare direttamente il regolamento contrattuale predisposto dalle parti ed individuare quali interessi dell’atto o è diretto dell’operazione a realizzare. che consente E’ l’esame di diretto chiarirne il significato e la funzione120. In sintesi, si può osservare che, se -così operando- si comprende che l’intento di perseguire scambio e liberalità è comune ai contraenti, penetrando nel contenuto del contratto, non si può più parlare di negozio indiretto, in quanto il risultato perseguito dalle parti viene direttamente realizzato dal negozio adottato, considerato, da alcuni, come negozio misto121. In conclusione, quindi, sebbene la teoria esposta goda di tanta approvazione, espone il fianco a plurime obiezioni cui in questa sede si aderisce totalmente. LA DONAZIONE MISTA COME CONTRATTO MISTO Si passa ora al vaglio del terzo filone ermeneutico: esso, oltre a rispondere a criteri fatti propri da parte della giurisprudenza, 120 L’idea secondo la quale la causa del contratto deve essere valutata in concreto, infatti, non solo rende più elastica la distinzione tra causa e motivi, ma consente anche di abbandonare il fuorviante angolo visuale che aveva bloccato l’evoluzione della teoria del negozio indiretto. Per questo riferimento, v. qui, in Cap.4 121 Cfr. Carrnevali, Le donazioni, cit.. L’osservazione critica riportata è la stessa, in sostanza, ad essere stata avanzata contro la costruzione teorica del negozio indiretto, alla luce dei risultati raggiunti in tema di causa concreta del contratto 74 rappresenta il traguardo dell’operazione auspicata nel presente capitolo, nel senso che, una volta superate le due precedenti interpretazioni qui contestate, raggiunge, tra quelle esaminati, il più convincente orientamento sull’identificazione della categoria in esame. A tal fine, si ritiene imprescindibile soffermarsi analiticamente sulla speculazione del giurista122 che più di tutti ha dato corpo ad una riflessione efficace sul tema de quo. A questo punto della ricerca, tale riflessione, infatti, oltre a fornire un metodo di studio improntato sull’essenza dei quesiti che l’istituto pone, riesce altresì ad assegnare agli stessi una serie di riscontri coerenti. Cataudella inquadra, prima di ogni altra cosa, il profilo di problematicità, ma pure di interesse, per cui rileva la donazione mista: i caratteri di un negozio oneroso si affiancano alle note proprie della donazione, creando così un concorso di elementi che non trova corrispondenza in altre fattispecie e che si atteggia diversamente a seconda del negozio oneroso che si combina con la donazione. Fin qui, nulla di nuovo. Perché tale combinazione si realizzi, peraltro, occorre che l’oggetto della componente onerosa sia idoneo a costituire anche oggetto di donazione e da ciò s’intende che di donazione mista si possa parlare non solo nei casi –i più frequenti- di vendita mista a donazione, che si compie nelle due ipotesi di vendita a prezzo 122 Cataudella, La donazione mista, Giuffrè, 1970. Ma nel senso dell'unicità della causa, sebbene mista in quanto risultante dalla fusione delle due cause onerosa e liberale, v. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1953, p. 49, nonché Giorgianni, Negozi giuridici collegati, in Riv. it. scienze giur., 1937, p. 319 75 vile o di acquisto a prezzo molto elevato123, ma anche tutte quelle volte che l’autonomia contrattuale riesca ad impostare un accordo misto realizzante interessi meritevoli di tutela. Da qui nasce il primo spunto di analisi, id est il concetto di donazione mista determinazione che, di per un essere minimo identificato, comune necessita denominatore della capace di circoscrivere con esattezza la fattispecie e superare i dilemmi che questa, come un Giano bifronte, crea. Innanzitutto, fattore essenziale è l’accordo sullo spirito liberale: l’Autore esclude che possano ricorrere gli estremi della donazione mista qualora non si rinvengano le note della donazione ‘pura’, cioè quella in senso stretto, non potendo considerarsi coinvolto ogni altro genere di liberalità124, tanto che in questo ultimo caso ogni dubbio verrebbe risolto dalla semplice applicazione dell’art. 809 c.c.. Soffermarsi sull’atteggiarsi dello spirito liberale non è operazione scontata dato che, come sottolineato, non sempre è stato dato il giusto risalto a questa componente. L’Autore correttamente evidenzia che non si potrebbe inquadrare il negotium mixtum cum donatione come categoria autonoma qualora si ritenesse non indispensabile la presenza dell’animus liberale e quindi sufficiente una mera sproporzione tra le prestazioni125, in quanto 123 A dire il vero, nella giurisprudenza più recente non si rinvengono casi diversi dalla vendita mista a donazione 124 Contra, Stolfi, secondo il quale la disciplina positiva allineerebbe, accanto a quello di donazione, anche un concetto più ampio comprensivo di tutte le liberalità “il vocabolo donazione indica in generale qualunque atto unilaterale o bilaterale che sia compiuto per spirito di liberalità e che abbia per conseguenza l’arricchimento di una delle parti senza corrispettivo”, in Teoria del negozio giuridico, Padova, 1961 125 V. Gabba che -in Nuove questioni di diritto civile, 1960, p.81- individua donazione mista allorché la sproporzione tra le prestazioni sia ultra dimidium. Correttamente, al contrario, D’Ettore rileva che perché il criterio di distinzione economico possa ritenersi pienamente utilizzabile, bisognerebbe che esso riposasse su una definizione rigorosa delle nozioni di arricchimento e correlativo impoverimento, nonché di mancato guadagno e 76 l’inadeguatezza (del prezzo…per restare nell’alveo delle vendita mista a donazione) non è ex se idonea a conferire elementi di gratuità al negozio né ad escludere l’applicabilità delle disposizioni sui contratti a prestazioni corrispettive. Parimenti non meritevole di accoglimento, quindi, si configura una lettura che si accontenti126 di un intento liberale in mente retentum, dato che questo motivo individuale non riuscirebbe ad incidere sulla configurazione contrattuale127. In tutti i casi, peraltro, in cui non si rinvenisse il requisito reclamato, si presenterebbe nessuna problematicità: trattandosi di atti di liberalità diversi dalla donazione, semplicemente nella disciplina ex art. 809 c.c.. si ricadrebbe Al contrario, la normativa sulla donazione si applica solo quando l’accordo sulla realizzazione della liberalità entra a far parte della struttura contrattuale in quanto funzione propria di quest’ultimo: questo è il puntello in forza del quale Cataudella (nonché la presente analisi) respinge la gettonata lettura della donazione mista come donazione indiretta, che tende a negare proprio il presupposto in virtù del quale applicare la disciplina della donazione, atteso che l’intento ulteriore in un caso resta estraneo alla struttura del contratto, nella donazione mista –invece- plasma la fattispecie. attraverso di esse su una definizione precisa di patrimonio, in Intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996 126 V. ad es. Recupero, in Temi, 1950 127 Nello stesso senso, D’Ettore “l’animus donandi non si identifica dunque con il motivo individuale. Definitolo spirito di liberalità come l’intento pratico perseguito dalle parti con il negozio, cessa ogni possibilità di confusione con il motivo individuale” dato che “…il fine ulteriore perseguito non si pone come motivo dell’atto ma come intento col quale le parti assumono l’obbligo di indirizzare quel negozio verso il risultato…” in op. cit., p.125 e p.146 77 Ed anche ove tale intento ulteriore non si armonizzasse con il contratto oneroso scelto dai contraenti, restandone estraneo, si dovrebbe escludere il realizzarsi di un negozio indiretto, configurandosi, in tal caso, un mero accordo simulatorio128. Ulteriore dubbio sistematico sciolto dall’Autore è offerto dalla qualificazione giuridica e, più precisamente, da un quesito a monte della questione così come posta anche in questo scritto: stabilire se si tratti di unità o pluralità di negozi. Si giunge così a stabilire che a nessun risultato soddisfacente guiderebbe l’impiego del concetto di causa o l’esame della volontà delle parti coinvolte129, incapaci di fornire un crisma sufficientemente preciso di distinzione. Si anticipa sin d’ora che, come si avrà modo di approfondire nel successivo capitolo, questa sarà, invece, la prospettiva eletta del lavoro qui svolto, in parte proprio in forza della riflessione di Cataudella, unico a rendere il giusto rilievo al con-formarsi del proposito contrattuale nel contratto esaminato. Ad ogni modo, l’Autore nega attendibilità anche alla posizione che individua nel criterio della prevalenza130 la chiave di volta della 128 Di simulazione parla, infatti, ad es. Trib. Messina, 30.03.1949, in Temi, 1950; v. anche “Se…ciascuna prestazione sia configurata come corrispettivo dell’altra, l’accordo sull’intento liberale, appunto perché incompatibile con quanto emerge dal contenuto del contratto, non vale ad integrarlo, ma … dà vita ad una vera e propria controdichiarazione, ponendo in essere una simulazione relativa” Cataudella, cit. p.18 129 V. ad es. Cass. 2415/1967 130 Criterio discriminante al fine della determinazione della disciplina applicabile sarebbe quindi rinvenibile nel valore della quota venduta rispetto a quella donata: così Cass. 3229/1969, in Foro it., 1970, I. In generale, nel senso dell'applicabilità del criterio della prevalenza, Cass. 7666/1995, in Giur. it., 1996, I; Cass. 8446/1990, in Arch. civ., 1991, p. 163; Cass. 1545/1981, in Riv. not., 1982. Contrario all'applicazione del criterio della prevalenza, Osti, Contratto misto, in Noviss. Dig. It., IV, secondo il quale dovrebbe invece applicarsi il diverso criterio della combinazione. Nello stesso senso, al fine di evitare di disconoscere rilevanza agli elementi del tipo contrattuale non prevalente, anche Cass. 1494/1979, in Giust. civ., 1979, I 78 questione131: questo criterio prenderebbe in considerazione ipotesi che si risolvono o in uno schema tipico unico o in una pluralità di negozi collegati, senza lasciare spazio ad un tertium genus, dato che -anche in caso di contratti a mistione bilaterale-, se è incontestabile l’esistenza di una funzione unica, non è certo possibile sempre individuare una funzione prevalente. Parimenti inefficace risulta il criterio che utilizza come riferimento l’unità o la pluralità di documenti contenenti le regole negoziali, cosicché, per dirla con Von Tuhr, Cataudella conclude che non esiste un criterio dirimente per risolvere il problema della unità o meno della donazione mista: si tratterà di far capo, pluralità dunque, di a fattispecie negozi presuppone concrete ricordando necessariamente che la pluralità di prestazioni che ne costituiscono l’oggetto e che ove l’analisi rilevi la fattispecie presenza di (elementi elementi ‘interi’) propri si sarà di di una pluralità fronte a di negozi collegati. In sintesi, la riflessione riportata ha il merito di dare risalto alla complessità strutturale del negotium mixtum che, pertanto, non può non ripercuotersi anche sulla sua essenza (complessità strutturale=complessità funzionale)132: ciò non impedisce peraltro che si sia di fronte ad una struttura unica -ed unitaria-, 131 V. Giorgianni secondo cui di unità si può parlare quando una delle conseguenze economiche sia prevalente e le altre risultino ad essa legate da un nesso di subordinazione funzionale, in Negozi Giuridici collegati; cfr. anche Messina, secondo cui in caso di pluralità di prestazioni c’è unità quando sia possibile individuare una prestazione prevalente, in Negozi fiduciari 132 Al contrario, vi è chi nega in radice l’ammissibilità della figura del contratto misto (es. Biscontini, in Bilateralità, onerosità e qualificazione dei contratti, cit., p.125) sulla base del fatto che, qualora esistano più prestazioni non riconducibili al medesimo titolo, esse vadano ricondotte a differenti cause giustificative. Di conseguenza, si dubita anche della configurabilità del nmd sulla base dell’unitarietà del risultato raggiunto 79 ingiustificatamente mortificata ove si ritenesse realizzato (solo) un mero scambio od una semplice liberalità. In ciò di vede la ragione per cui il contratto misto, così come Cataudella qualifica la figura in esame, necessita di una disciplina giuridica unitaria ed autonoma, collocandosi esso in uno spazio intermedio tra accordi nominati innominati133: ed partendo da tale postulato, l’Autore sostiene che solo il criterio della combinazione permetterebbe di configurare i contratti misti come categoria autosufficiente. Non anche quelli dell’assorbimento e dell’analogia, dato che il primo finirebbe per rinviare semplicemente alla disciplina dei contratti nominati innominati, ed finendo il secondo a così per ignorare emerge che la quella la dei contratti peculiarità della categoria. Da quanto detto Gesetzeproblem prima ancora che figura un in esame Rechtsproblem: pone un Cataudella compie così un efficace vaglio in relazione al criterio in base a cui distinguere tutte le norme di configurazioni applicabilità di una generale, fattispecie, valevoli da quelle per di applicabilità particolare. Siffatta ripartizione viene adoperata per ricordare che esiste una differenza tra schemi legali contrattuali: ristretti (es. vendita) ed ampi (es. locazione), e questi ultimi –a propria volta-, relativamente. 133 Analogamente, v. De Gennaro, Negozi giuridici collegati, p.19 80 ampi massimamente o Questa premessa perché porta formula ad si lega alla indagare ‘elasticità dei la riflessione questione tipi legali’, sui ben che contratti sintetizza inerisce misti con la l’idoneità della fattispecie astratta ad abbracciare, in misura maggiore o minore, fattispecie concrete134. Questo intento riflessione costituisce dell’Autore: la un approdo questione modernissimo dell’idoneità nella sussuntiva della fattispecie astratta –che si pone allorché la fattispecie concreta non rientri compiutamente nello schema tipico e si tratti di accertare se questo possa essere esteso sino a ricomprenderlalo porta a sostenere che i limiti dell’elasticità dello schema legale sono costituiti dalla modificazione delle funzioni: quando essa si verifica è impossibile sussumere la fattispecie concreta nel tipo ex lege ed è per ciò che risulta inapplicabile la teoria dell’assorbimento il quale incontra, dunque, una barriera naturale del grado di duttilità dei singoli schemi tipici (ciò si verifica spesso quando è infattibile specificare una prestazione prevalente –mistione unilaterale, con prestazioni a carico di una sola parte, e sempre ove le prestazioni costituiscano oggetto di scambio, per cui nessuna è prevalente –mistione bilaterale-). Tuttavia, individuato nel criterio dell’ assorbimento questo limite nonché nel criterio dell’applicazione analogica il limite d’impedire il riconoscimento dei contratti misti come categorie ‘autonoma’, nemmeno la teoria della combinazione viene sposata in 134 “Il problema sta allora tutto nella compatibilità tra la funzione tipica del negozio adottato e lo scopo pratico che le parti perseguono” così anche D’Ettore che, dunque, individua lo stesso nucleo problematico, in in Intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996, p.141 81 pieno dal giurista ove essa coincida con la convinzione che ci sia uno stretto nesso tra elementi della fattispecie astratta ed effetti giuridici: per l’Autore tale concezione –che si risolvere nell’applicare le norme inerenti agli elementi nominati commisti nella fattispecie concreta- scorda che gli effetti giuridici non sono dettati con riguardo ai singoli elementi di cui si compone il contratto, ma in contemplazione della funzione compiuta cui esso assolve. Quindi, meramente anche legati considerare alla gli fattispecie effetti astratta giuridici come significherebbe sconvolgere la categoria dei contratti misti, che, al contrario, va approcciata in chiave di sussunzione delle fattispecie concrete negli schemi tipici135. Sicchè, nel caso di contratti a mistione unilaterale, l’alternativa rimane tra inquadramento della fattispecie in un tipo o riconduzione della stessa nell’ambito dei contratti innominati. Ove, invece, si rinvenga una mistione bilaterale, la fattispecie concreta fattispecie frutto applicabili nasce apparentemente medesima godrà di di combinazione: dall’esistenza differenti, fattispecie duplice con concreta di la a il sussumibilità concorso fattispecie conseguente realizzare tra le astratte idoneità compiutamente delle norme solo della più fattispecie astratte136 tra le cui norme può, peraltro, scatenarsi un conflitto (v. infra). 135 Si avrà modo di approfondire questo aspetto proprio qui, in Cap.4. Si crede, peraltro, che l’A. in commento non abbia portato a compimento la riflessione scaturente da questo importantissimo rilievo 136 Quindi con applicazione concorrente della normativa dei due tipi, similmente alla teoria della combinazione, con la differenza, tuttavia che qui il concorso abbraccia compiutamente la normativa dei tipi e non si limita a quella collegata alle singole prestazioni 82 Se ciò esclude che i contratti misti coincidano con la categoria dei contratti innominati, al contempo potrebbe far pensare che essi siano da includere tra i contratti nominati, in quanto ‘implicitamente’ nominati (ove ‘nominato’ non è il contratto che ha ricevuto un nomen dal legislatore, ma quello che trova la disciplina nella legge). In sintesi, il giurista -ponendo la propria attenzione non solo sul problema della disciplina, ma anche su un’autonoma elaborazione concettuale della categoria- sostiene che i contratti misti, tra cui, appunto, anche la donazione mista, si rivelano sì sussumibili in due schemi nominati, ma sono al contempo irriducibili, sul piano della disciplina, ad ognuno dei singoli schemi. Rispetto a quanto detto circa i contratti misti, il giurista attribuisce alla donazione mista la capacità di concretare una mistione su un piano del tutto peculiare, non riguardando essa esclusivamente le prestazioni. Secondo una prospettiva137 che, a dire dell’Autore, è quella preferibile per studiare i nodi del problema, nella donazione mista la commistione sarebbe data dal concorso della causa onerosa con quella gratuita: tuttavia, tale lettura celerebbe il vizio di escludere la mistione dell’onerosità/gratuità tra prestazioni, analizzate non essendo attraverso le le note regole contrattuali con oggetto le prestazioni, ma attraverso il nesso 137 L’Autore si riferisce a Santoro-Passerelli, Dottrine generali del diritto civile; e Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale 83 che le collega. Rispetto a tale teoria, quindi, sorgono degli interrogativi. In primo luogo, se il riferimento alla mistione tra onerosità e gratuità sia rispetto ad altre ipotesi di mistione. Il termine sufficiente di paragone a caratterizzare per rispondere la donazione mista indicata nella viene fattispecie del comodato, anch’esso, coma la donazione, distinto dalla nota essenziale della gratuità: ora, ove in capo al comodatario gravino obblighi altri rispetto al mero dovere di custodia, ricorrenza ed ove di un in tali comodato ipotesi modale possa che di escludersi una vera sia e la propria locazione, è plausibile che le parti abbiano inteso creare un negozio in cui vi sia mistione proprio tra l’elemento oneroso e quello gratuito, come per la donazione mista. Sicchè, visto che una simile mistione è verificabile pure nelle ipotesi di comodato, si deduce che essa non possa rappresentare l’elemento peculiare della donazione mista, pur se essenziale. Ciò premesso, riferirsi alla l’Autore si categoria domanda della pure se sia corrispettività più o corretto a quella dell’onerosità. Scartata la posizione secondo cui138 l’onerosità coinciderebbe con il concetto di corrispettività in forza del fatto che l’equivalenza tra i vantaggi è nota essenziale della struttura dei negozi onerosi, conclude che –invece- si debba discutere di corrispettività, essendo essa una species del genus onerosità, caratterizzata dal fatto che nei 138 V. De Simone, Il contratto con prestazioni corrispettive, Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1948 84 contratti a prestazioni corrispettive il collegamento tra vantaggi/sacrifici è realizzato attraverso un nesso di interdipendenza tra prestazioni, ricorrente in tutti gli atti a titolo oneroso. In base a ciò, sarebbe opportuno usare la formula di concorso tra causa donandi e causa del contratto contratto non commisto con corrispettivato la donazione e quello (id a est, tra prestazioni corrispettive): il che confermerebbe la giustezza della teoria del concorso di cause che ha il merito di indicare i fattori in concorrenza. Ancora. Il ricorrere dell’elemento della gratuità (non corrispettività) impone di indagare quale sia il contenuto del comune intento liberale (‘comune’ perché concorde prospettazione del risultato regolamento) immediato di porre realizzabile in essere ed oggettivato nel un’attribuzione senza corrispettivo volta a realizzare l’arricchimento del donatario, dove per arricchimento non si intende un mero oggettivo incremento economico del patrimonio, ma quello frutto della valutazione delle parti. In questo senso, l’accento andrà posto sulla stima dei contraenti in merito all’arricchimento: solo ad esse spetterà valutare l’esistenza dell’arricchimento che, quindi, si lega ad una valutazione soggettiva. Anche ove le parti escludessero la corrispettività divario delle oggettivo non prestazioni, precluderebbe infatti, lo l’esistenza scambio, quando del per i contraenti, una prestazione trovi la propria ragione nell’altra. Infine, chiarisce il giurista, posto che la mistione tra donazione e contratto a prestazioni corrispettive non può configurarsi sul 85 piano delle sole prestazioni139, ma su quello della combinazione tra onerosità/gratuità, corrispettività, bisogna o rectius, vedere se una corrispettività/non mistione siffatta sia realmente ipotizzabile. Mentre la configurabilità in astratto di tale mistione non è ragionevole per chi crede che onerosità e corrispettività siano concetti antitetici a quelli di gratuità e non corrispettività140, l’inconciliabilità viene superata da chi afferma che in tale mistione non ci sarebbe una combinazione di due elementi, ma una fattispecie intermedia tra quelle due figure estreme della integrale onerosità e della integrale gratuità141. L’Autore pratici dopo aver contestato irrealizzabili, si tale domanda impostazione, se dagli esiti l’inammissibilità della partizione possa fornire la base al tentativo di prospettare la duplice sussumibilità della donazione mista. Peraltro, non convincente gli si mostra anche l’impostazione tedesca in virtù di cui i due contratti che si combinano lo fanno sulla base di criteri differenti: la donazione mista, sotto il profilo delle prestazioni, configurerebbe una vendita, sotto il profilo dello scopo, configurerebbe una donazione142. Questo permette al giurista –che non condivide i due ultimi criteri- di dedurre che nella donazione mista l’individuazione degli elementi caratterizzanti va fatta, invero, dallo stesso 139 Dato che le prestazioni che caratterizzano la donazione hanno natura di disposizione di un diritto o assunzione di un’obbligazione, e che tali prestazioni possono ricorrere anche nei contratti con prestazioni corrispettive (es. anche nella compravendita si ha disposizione del diritto del venditore), la mistione tra la donazione e l’altro contratto non potrà configurarsi a questo livello 140 Oertmann, Entgeltliche Geschafte 141 Hoeniger, cit. 142 Leonhard, Allgmeines Schuldrecht des BGB 86 ‘punto di vista’, cioè adottando il medesimo criterio, quello della funzione-causa, ‘elemento discriminatore di tutti i contratti’143: solo quando la fattispecie nella sua unità realizzi integralmente contratto di e contemporaneamente donazione e di le quello funzioni di vendita, proprie esso del sarà suscettibile di duplice sussumibilità. Il fatto che il contratto preveda prestazioni a carico di entrambe le parti, se funge da premessa per la realizzazione della funzione di scambio, non preclude, tuttavia, anche l’individuazione della funzione donativa (dato che, come nella donazione modale, ben può aversi donazione ove il donatario sia tenuto ad una prestazione). Anche la donazione mista, quindi, visto il contemporaneo configurarsi di due funzioni nella loro interezza, prospetta la duplice sussumibilità di cui si è detto, proprio alla guisa di come si è visto per i contratti misti. La conseguenza della criterio eziologico così individuato e la conseguente potenziale applicabilità di norme concorrenti, comporta necessariamente una risposta volta alla risoluzione di eventuali riferimento conflitti ai insorgenti moduli tra contrattuali le norme ricorrenti applicabili in in fattispecie miste. In questa prospettiva, il canone di massima cui il giurista fa riferimento è quello gerarchico -ad es. tra norme cogenti144 e norme dispositive, o tra norme di carattere generale e quelle di 143 Cataudella, cit., p.137 144 Interessa in particolar modo questo profilo poiché in base ad esso, ove non sia possibile individuare la norma che più tutela la libertà dell’individuo, dovrà scegliersi quella che, soppesando gli interessi tutelati dalle norme in conflitto, mostri di limitare l’autonomia dei contraenti, dato che questa a maggiore incidenza l’A. lega l’attitudine a soddisfare interessi di rilievo preminente (v. infra) 87 carattere speciale…-, ipotesi in cui tuttavia nella donazione mista ci sono tale criterio risolutivo del conflitto si evince direttamente da una disposizione di legge145. Pertanto, il conflitto tra l’ipotesi di revocazione della donazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli ed il complesso di norme relative ai contratti a prestazioni corrispettive che non prevede tale evenienza, scorge soluzione nell’art. 809 c.c. che, trovando applicazione nelle donazioni cd. indirette, a fortiori avrà ragione di essere applicato nei casi in cui la liberalità ha effettivo rilievo causale. Per la medesima ragione, con valenza analoga all’art. 809 c.c., opera l’art. 737 c.c. che assoggetta a collazione anche le donazioni indirette. Così in tema di riduzione della donazione per integrazione di legittima, l’art. 809 cit. estende tale istituto alle liberalità derivante da atti diversi da quelli ex art. 764 c.c., cosicché la riduzione investirà l’arricchimento, oggettivamente dalla la poggiando subita valutazione parte di dal di negozio che ha sull’accertamento legittimario corrispettività della (quindi, che determinato a compete lesione prescindere alle parti contrattuali). In definitiva, al negotium mixtum si applicheranno tutte le norme inerenti la donazione, salve le ipotesi di conflitti risolti a vantaggio di disposizioni proprie dei contratti a prestazioni corrispettive. Siffatta conclusione si evince anche per mezzo di un ragionamento a contrario 145 Ovvero l’art. art. 809 c.c. 88 incentrato sull’operatività dell’art.809 c.c.: alla donazione indiretta si applicano le norme in tema di donazione contemplate nell’art. 809 che, restringendo il campo, esclude l’applicazione delle norme non menzionate; mentre alla donazione mista tutte le norme sulla donazione. Di talché, ragione contenute sempre in per forza escludere negli del principio gerarchico, l’applicabilità artt. 779, 780 781 delle norme c.c. che non v’è imperative disciplinano un’incapacità giuridica a ricevere per donazione, con conseguenze limitate alla parte per cui si è verificato un oggettivo arricchimento. Allo stesso modo può ragionarsi con riguardo agli artt. 787, 788 c.c. che disciplinano i motivi in maniera speciale rispetto a quanto stabilito per gli altri contratti, nonché per gli artt. 775, 777 e 778 c.c.. Circa la questione formale, di fatto la più dibattuta pur contando ad oggi su impostazioni univoche, il giurista146 esprime coerentemente la preferenza nei confronti della forma prescritta per la donazione, garantisce147. Ecco derivante dunque che alla qui maggior trova tutela ferma che questa attuazione la 146 In ciò, Cataudella esprime un’opzione del tutto isolata dinanzi alla giurisprudenza pressoché unanime che, anche recentemente, esclude per la donazione mista la necessità dell’atto pubblico; è agevole, peraltro, comprendere le ragioni di tale scelta: le motivazioni che escludono la forma solenne nelle donazioni indirette non possono valere per la donazione mista, così come qualificata dall’A., sussumibile anche nel contratto di donazione 147 “…nei riguardi del donante, questa tutela non può che essere preventiva e consiste nell’imporre all’atto delle condizioni e dei limiti che rappresentano altrettante cautele contro l’inesperienza, l’inavvedutezza e la prodigalità del donante stesso” così anche Oppo individua la ratio protettiva alla base della norma sulla forma donativa, in Adempimento e Liberalità, Giuffrè, 1947, p.104. V. anche D’Ettore, il quale rileva la necessità della forma solenne “se l’arricchimento è intenzionale” con ciò distinguendo le ipotesi ex art.809 c.c. –cui andrebbero applicate solo le norme ivi contemplate, unitamente all’art.737 c.c.- dalle ipotesi in cui l’animus -entrato a fare parte del profilo strutturale dell’accordo- comporta la necessaria applicazione delle previsioni dettate per la fattispecie ‘pura’ di cui all’art.769 c.c., in Intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996, p.36 89 prevalenza della norma che, in conflitto con un’altra, pone il vincolo più rigoroso. Passando alle norme più specificamente dettate per i contratti a prestazioni corrispettive, evidentemente, rescissione non applicazione, troverebbe la sia disciplina nelle delle ipotesi di donazione per cui sia necessaria la stesura dell’atto pubblico, tanto che in tal caso la nullità del contratto liquiderebbe ogni questione, sia nelle ipotesi di donazione di modico valore, dato che la stessa modicità precluderebbe la sussistenza di condizioni inique. Differente a dirsi in tema di risoluzione per inadempimento dove la possibilità di risoluzione della donazione modale (art.793 c.c.) consente di estendere il rimedio anche alla donazione mista. Così come nella donazione mista è invocabile l’art. 1463 c.c. in quanto è possibile che l’impossibilità sopravvenuta di una delle prestazioni paralizzi la pretesa della parte liberata di ricevere la controprestazione, proprio come avviene, ad opera dell’art.793 c.2 c.c. 148 . Con riferimento al concreto contenuto delle prestazioni e quindi degli obblighi da esse derivanti, Cataudella ricorda che, sebbene l’art. 769 c.c. ravvisi nell’assunzione di obblighi un mezzo per realizzare la donazione, si sostiene da più parti che oggetto delle donazioni possano essere solo le obbligazioni di dare (e non anche quelle di fare) ed, in una prospettiva ancor più rigorosa, 148 Il fatto che il donatario sia tenuto all’adempimento del modus ‘entro i limiti della cosa donata’ fa presumere che nel rapporto vadano tenuti in considerazione eventi capaci di alterare il rapporto di valore o di rendere impossibile la prestazione del donante. Tale è il criterio che permette a Cataudella di ritenere applicabile pure l’istituto della reductio ad aequitatem nell’ipotesi di eccessiva onerosità (a ciò soccorre anche l’art.1468 dettato per i contratti con obbligazione di una sola parte e perciò anche per la donazione obbligatoria) 90 solo quelle di dare che coincidano con un mezzo per la costituzione o l’acquisto di un diritto reale. Tuttavia, ad avviso di chi scrive ed anche dell’Autore la cui opinione si sta riportando, l’esclusione degli obblighi di fare pare il prodotto di impostazioni tralatizie149, posto che anche il fare comporta arricchimento del patrimonio altrui in modo che donazione mista potrebbe essere qualificata anche la fattispecie caratterizzata dalla circostanza che l’obbligo di fare non venga assunto del tutto gratuitamente, in quanto un compenso fissato potrebbe venire pattuito, con spirito liberale, in misura inferiore al valore reale della prestazione (ad es. donazione+contratto di lavoro). Quanto all’ipotesi assidua di donazione mista a vendita che, come si è scritto, rappresenta in parte qua il recinto ideale al cui interno si sviluppa lo studio, ed in particolar modo con riguardo al complesso di norme che regolano evizione e vizi della cosa, l’applicazione dei criteri suddetti induce a garantire la sua applicabilità. Incertezze sorgono, peraltro, sull’oggetto cui ricadrebbe tale applicazione, argomento questo meritevole di uno studio a sé e quindi non contemplabile in questa sede. Tuttavia, giova ricordare come all’impostazione che stima tali disposizioni relative unicamente alla parte onerosa del contratto150, è agevole ribattere 149 Concorda D’Ettore il quale si duole che, nonostante la chiara definizione di donazione fornita dal nostro codice con l’art. 769 che riconosce la possibilità per il donante di arricchire il donatario assumendo verso lo stesso un’obbligazione, nella donazione obbligatoria vengono fatte rientrare solo le obbligazioni di dare “Si tratta di un’opinione che costituisce il retaggio dell’antica tradizione romanistica, per la quale mediante il contratto di donazione era possibile far entrare nel patrimonio del beneficiario un ‘bene’ consistente in un diritto reale, con la variante costituita, oggi, dell’ammettere oltre al trasferimento immediato del diritto su un bene, l’assunzione di un’obbligazione di dare, in Intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996, p.14 150 Così, Deiana, cit. 91 che, stante la funzione centrale assunta dalla pattuizione contrattuale, solo ad essa andrebbe rinviato per stabilire il valore pattiziamente attribuito alla cosa (e non quello oggettivo che, diversamente, distorcerebbe la natura stessa del negozio de quo). Né più corretto sarebbe limitare la garanzia sulla base del principio -ex art. 797 c.c.- della concorrenza dell’ammontare degli oneri, dato che la donazione modale non si delinea come metro di paragone per un negozio dalla duplice sussumibilità. 92 4. AL DI LA’ DEL DIBATTITO DOTTRINALE. DALLA QUALIFICAZIONE AL PROBLEMA APERTO DELLA DISCIPLINA, ATTRAVERSO IL REQUISITO CAUSALE ELEMENTI DELLA FATTISPECIE E PROSPETTAZIONE INTER PARTES Si è visto che la donazione mista non viene contemplata né disciplinata, almeno espressamente, dal nostro ordinamento, pur avendo essa una natura millenaria. Si è visto pure che l’interesse che tale figura stimola non è dubbio, poiché essa risulta nella prassi abbastanza diffusa. Peraltro, le peculiarità che la caratterizzano ne rendono faticosa la ricostruzione teorica, come è documentato in dottrina e giurisprudenza. Cercando di definire il perimetro al cui interno circoscrivere la riflessione frutto di questo lavoro, dato che tanti e tali sono gli spunti ed i rinvii che il negotium mixtum è capace di offrire e che non è opportuno –né possibile- soffermarsi su ognuno di essi, giova brevemente indugiare su alcuni elementi che, pur essendo già stati accennati, focalizzano il punto di partenza dell’indagine. Senza dubbio il profilo della fattispecie in esame su cui precipuamente ricade l’attenzione è dato dalla presenza, ‘accanto alle note proprie della donazione’, anche dei ‘caratteri di un negozio oneroso’151. 151 In tal modo, Cataudella introduce il proprio studio, in La donazione mista, Giuffrè, 1970, p. 4 93 Mistione tanto più stravagante se si considera che involve proprio due macro-aree del sistema giuridico da sempre ritenute inconciliabili, se non in ipotesi espressamente previste, tanto che ‘se dall’interpretazione donante è legata ad una qualche giuridicamente rilevante, tratta donazione, ma di una risulta che l’attribuzione contropartita, allora bisogna di con ammettere un rapporto un che del legame non si corrispettivo, di scambio, traducendo in termini attuali la distinzione romana tra donatio e negotium’152. Difatti, la costituisce con-fusione atto di si realizza liberalità, anzi tra il una donazione ‘modello’ degli che atti liberali, ed un contratto a prestazioni corrispettive che contiene il meccanismo idoneo a realizzare la funzione di scambio. La liberalità153 esprime un concetto ‘giuridicamente efficiente’154 che riesce ad indicare insieme l’atto e l’effetto. La sua nozione è arricchita dall’abbinamento dello spirito di liberalità con il cd. animus donandi, elemento –quest’ultimo- che trova origine nel diritto romano (nel periodo classico, ove la donazione era considerata -non ancora un contratto, ma- una causa per mezzo di cui si realizzava l’attribuzione di un diritto patrimoniale dal donante al strutturale donatario, della causa l’animus donationis, era che l’elemento realizzava soggettivo una causa adquirendi155) e che ha inconfutabile natura subiettiva legata al 152 Così Caredda, in Le liberalità diverse dalla donazione, Giappichelli, 1996, p.25 153 Il rinvio al significato della liberalità si pone, in questa fase, come prius logico rispetto all’analisi della struttura della donazione mista 154 Così lo chiama Biondi, in Le donazioni, p.71 155 V. Archi, in Donazione, Enc. Del Dir., XIII, 1964 94 disinteresse, o meglio, all’interesse non patrimoniale perseguito dal donante156. Non ci sono dubbi, poi, che il negotium mixtum realizzi una liberalità anche per il tramite di un accordo che –normalmentenon ha nulla di liberale: è l’intervento delle parti, che qui rileva in modo essenziale (funzionale), a far ruotare il contratto attorno al perno del volontario sbilanciamento delle prestazioni, ovvero del valore delle attribuzioni legate ad un contratto a prestazioni corrispettive. Sbilanciamento, questo, che non comporta ex se una mistione di intenti nella guisa di cui si è parlato: solo la –a questo punto, necessaria- presenza dello spirito liberale valorizza la struttura dell’accordo, poiché la mera sproporzione non è idonea in quanto tale a figurare la donazione mista157. Il fatto che essa sia un contratto impone, dunque, di sciogliere positivamente il dubbio relativo all’eventuale necessità di un accordo sulla liberalità: non può si prescindere, infatti, dall’intesa bilaterale circa il senso dell’atto. Così ‘non basta la sproporzione fra i due corrispettivi, ma occorre che tale sproporzione sia voluta da chi la subisce, allo 156 V. Cass. 12662/1986 “pertanto…configura un nmd ove, accanto alla duplice componente onerosa e di liberalità del negozio, sia accertata anche, in riferimento alla differenza tra il valore del bene ed il prezzo pattuito, la coscienza, nell’alienante, di dare una cosa di valore economicamente maggiore del corrispettivo convenuto a titolo di prezzo e, quindi, l’intenzione di attribuire gratuitamente tale maggior valore (animus donandi)”. Contra, Biscontini, secondo cui l’animus donandi non è elemento essenziale alla qualificazione del rapporto e lo spirito di liberalità non rientra nell’elemento causale del fenomeno donativo, cosicchè la minima unità effettuale della donazione si identificherebbe solo nella produzione di un effetto senza corrispettivo, in Bilateralità, Onerosità e qualificazione dei contratti, p. 140 ss. e 168 157 V. Cass. 19601/2004 “La compravendita ad un prezzo inferiore a quello effettivo non integra un nmd, essendo all’uopo altresì necessario non solo la sussistenza di una sproporzione tra prestazione, ma anche la significativa entità di tale sproporzione, oltre alla indispensabile consapevolezza da parte dell’alienante dell’insufficienza del corrispettivo ricevuto rispetto al valore del bene ceduto, funzionale all’arricchimento di controparte acquirente della differenza tra il valore reale del bene e la minore entità del corrispettivo ricevuto” 95 scopo di attuare una liberalità e che tale finalità, nota all’altra parte, sia da questa accettata; senza questa ulteriore concorde direzione della volontà delle parti il negotium mixtum cum donatione non si distingue dalle altre ipotesi nelle quali è pur voluto ed accettato dal venditore un prezzo inferiore a quello che sarebbe dovuto, ma non per attuare una liberalità’ 158 . Orbene, ma senza anticipare quanto tra poco si approfondirà, le due componenti creazione esaminate della liberalità donazione partecipano mista. quell’attribuzione con Si è pari detto vitalità che (volontariamente e è alla atto di spontaneamente effettuata) consapevole e disinteressata diretta al altri: se è vero che la corrispettività –il nesso intercorrente tra attribuzioni che si giustificano reciprocamente- ha in sé una connotazione funzionale, lo stesso –nel negotium mixtum cum donatione- si può affermare della liberalità senza che, però, si 159 possa riscontrare la prevalenza della prima sulla seconda Cosicché, una simile operazione porta al simultaneo . risultato della corresponsione del prezzo pattuito al venditore-donante (per usare, come indicativa) donatario, anticipato, e dove di un per la fattispecie arricchimento arricchimento in non più capo si comune e più all’acquirente- intende un mero incremento economico del patrimonio160. 158 Cfr. Cass. 3373/1959, in Mass. Foro it. 1959, p. 635; in senso conforme v. anche Cass.2598/1959 159 Di impossibilità di rilevare prevalenza di una componente sull’altra, parla anche Cass. 1303/1970, in Mass. Foro It., 1970 160 L’art. 793 c.c. in tema di donazione modale ricorda che il donatario è tenuto all’adempimento dell’onere sino ai limiti del valore della cosa donata. Le alternative ipotizzate sono piuttosto nette: o, partendo da una concezione strettamente economica dell’arricchimento, si afferma che quest’ultimo non è un elemento essenziale ma solo normale della donazione (in tal senso, v. Balbi); oppure, sul presupposto di una concezione puramente giuridica, si afferma che il requisito dell’arricchimento è presente anche in quel caso perché ad integrarlo è sufficiente l’acquisto di un diritto anche per un tempo cronologicamente non apprezzabile (v. Torrente); ovvero, 96 A fronte delle esposte osservazioni, invero, si ritiene a buon diritto di poter considerare l’arricchimento come oggetto della programmazione delle parti, ossia elemento attinente unicamente alla prospettazione inter partes, proprio nel senso –già evidenziato161- per cui l’esistenza della sproporzione non preclude lo scambio, quando per i contraenti -e solo per essi-, una prestazione trova la propria ragione nell’altra. QUALIFICAZIONE. LE TEORIE DOMINANTI: CRITICA E RINVIO Ferme queste premesse, è possibile compiere un ulteriore passo in avanti, pur sempre sulla scorta di quanto precedentemente esposto162. Precisamente, occorre identificare quale configurazione, tra quelle menzionate, possa costituire il riferimento normativo da cui trarre le modalità applicative della donazione mista. Si anticipa, sin d’ora, che quello che atecnicamente può definirsi il problema di ‘struttura’ della fattispecie si riversa, in primis, sulla disciplina costatare quelli che del spesso negotium gli giurisprudenziali, tanto orientamenti hanno eletto che sul una non pare punto, scorretto soprattutto determinata opzione ancora, si nega che nel caso di un onere assorbente vi sia donazione perché mancherebbe l’arricchimento (v. Biondi). Un chiarimento si deve a chi (v. Oppo) ha precisato che anche nella donazione modale si realizza un vero e proprio arricchimento: quest’ultimo non è legato al modus da un sinallagma genetico, perciò l’attribuzione - indipendente dall’onere- arricchisce il donatario anche se successivamente l’incremento patrimoniale viene consumato dall’esecuzione dell’onere medesimo 161 V. Cap. 3, spec. nella parte in cui si espone l’impostazione di Cataudella. L’impostazione che attribuisce alle parti il compito di definire i termini dell’arricchimento resiste anche all’opinione secondo cui l’arricchimento non qualificherebbe la donazione perché esso potrebbe venir meno per fatti sopravvenuti o mancare ab origine (Biscontini, cit. p.151 ss.): soprattutto in tali casi, allora, la valutazione delle parti sarà ancor più necessaria per comprendere che rapporto intercorra tra essa e l’unità effettuale del negotium 162 V. Cap. 3 97 proprio al fine di sciogliere con minore problematicità i quesiti in tema di disciplina applicabile. Di talchè, fugato rapidamente ogni dubbio circa la natura unica (e non duplice) della donazione mista anche in forza dell’unicità dell’accordo e della funzione che si realizza163, si desidera in primo luogo prevalente prendere ed le distanze autorevolmente dall’interpretazione, patrocinata, che seppur annovera la donazione mista fra le donazioni indirette. La similitudine tra donazione mista e negozio indiretto pare essere, difatti, frutto di un’osservazione superficiale: anche a voler ammettere indiretto, v’è una somiglianza qualcosa di ‘istintiva’ discutibile risultato finale dell’operazione nel con il ritenere negozio che il derivi dalla vendita usata per il raggiungimento di un fine ulteriore piuttosto che dal negotium mixtum cum donatione complessivamente inteso. Come segnalato, le critiche sono quelle che vengono mosse al negozio indiretto164 in generale e, ancor prima, alla possibilità di spiegare figura. la donazione Peraltro, con mista efficacia attraverso il assorbente, ricorso non si a tale può che ribadire come il particolare assetto del regolamento negoziale della donazione mista sia caratterizzato da elementi che vanno ad incidere sulla concreta funzione dell’intento comune165, tanto da 163 Su tutti cfr. Cataudella, op. cit., p.20 ss. 164 Si è detto che la figura della donazione indiretta (art.809 c.c.) non è utilizzabile per la donazione mista poiché qui l’obiettivo viene perseguito direttamente e non attraverso un negozio-mezzo. In dottrina vi è chi, pur sposando l’impostazione criticata, ha avuto tuttavia modo di notare che pure negli atti contemplati nell’art. 809 c.c. ‘non si riscontra quell’elemento dello scopo diverso od ulteriore che si ritiene costituisca la essenza del negozio indiretto: chi compie uno di tali atti intende compierlo non per uno scopo diverso o ulteriore di quello che sia inerente in ciascuno di essi’, Biondi, il Tr. Dir.civ. it., p.912 165 Cfr. Cataudella, in Il contenuto del contratto, Milano, 1966 98 presentarsi come imprescindibili, di modo che il risultato perseguito dalle parti viene direttamente realizzato dal negozio adottato: nelle donazioni indirette, viceversa, l’intento liberale166 è un movente delle parti, estraneo al contenuto del contratto-instrumentum impiegato, la cui causa tipica suffissante (e solo essa) si realizza nella propria interezza, si accoda a il negotium con le conseguenze ben note. Anche un’altra interpretativo, impostazione sostenendo che questo mixtum non filone sarebbe ammissibile come figura autonoma mista, dato che in tal caso si dovrebbe prefigurare una duplicità di minime unità effettuali, tra loro, però, inconciliabili167. Pertanto, essendo unica la funzione qualificante, il negozio si risolverebbe nel contratto sinallagmatico impiegato. Tale costruzione sembra però nascondere dei profili contraddittori. In particolare, si afferma che la qualificazione di ogni negozio dipende da un dato strettamente giuridico (corrispettività/non corrispettività) per poi arrivare a ritenere applicabile, nel caso che ci interessa, l’art. 809 c.c.: tuttavia, questa norma interessa più il risultato materiale dell’accordo che la sua essenza giuridica tout court. Ma prima ancora, tale ricostruzione -che si affida ai soli profili 166 Che, nella donazione mista, si è detto, riveste pari forza eziologica rispetto a quella del contratto con cui si con-fonde (senza restare, quindi, esterno ed ulteriore) Anche nel diritto romano classico, come nella moderna donazione indiretta, la causa donationis non entrava nella struttura del negotio posto in essere, rimanendo ad esso esterno 167 Ci si riferisce a Biscontini, in Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti, secondo cui il contratto di donazione previsto dall’art. 769 c.c. sarebbe caratterizzato da una ben definita minima unità effettuale a cui è estraneo il concetto di corrispettività. Il contratto a prestazioni corrispettive, infatti, andrebbe individuato nel suo specifico legame con lo scambio giuridico inteso come reciproco trasferimento di beni o servizi attuato nell’unico disegno negoziale (mentre l’onerosità e la gratuità dovrebbero attenere al profilo prevalentemente economico dell’attribuzione negoziale). In questo quadro, la donazione sarebbe costituita dalla produzione di un effetto reale o obbligatorio senza corrispettivo mentre la donazione mista, essendo catalogabile tra le donazioni indirette, manterrebbe la sua minima unità effettuale 99 effettuali della fattispecie- tende a ritenere superflua ogni possibile concreta ragione dell’atto considerando tale lo stesso spirito di liberalità168 seppur inteso quale intento comune. La ‘purezza’ di tale tesi che fa esclusivo riferimento ad un effetto valutato a posteriori sembra inficiata, quindi, dall’esigenza, qui avvertita, di dare rilevanza anche ad altri elementi (concreti) della fattispecie169. Eppure, nonostante la ferma resistenza alla tesi del negozio indiretto, anche l’impostazione più strutturata e soprattutto più convincente –al momento, si reputa, anche quella più lucida- , non fornisce sempre conclusioni del tutto convincenti, quanto meno in merito ad uno specifico aspetto. Ci si riferisce alla dottrina che ritiene ipotizzabile una figura di negozio misto, nel caso in cui il negozio esaminato presenti tutti i caratteri e possa essere sussunto totalmente e contemporaneamente negli schemi della vendita (o altro contratto sinallagmatico) e della donazione. Il rinvio all’eziologia del rapporto avvicina senza dubbio la lettura qui proposta con quella dei sostenitori del negozio misto e possiede l’innegabile virtù di evidenziare la contemporanea presenza dei due profili nel medesimo accordo. Nondimeno, essa prospetta una fusione tra la causa della vendita e quella della donazione, mentre si ritiene sia più corretto 168 Ibidem, p. 138 169 Tale purezza non sembra, peraltro, rispettata quando è l’A. stesso a sottolineare la necessità di riferirsi alla normativa ‘dettata per il tipo giuridico che si intende concludere’ così come ai ‘motivi che hanno indotto’ le parti ‘a concludere il contratto’, ibidem, p. 187 ss.: così dicendo, viene in rilievo un bisogno, nell’operazione di qualificazione dell’accordo, che non può trovare soddisfacimento nel mero individuare “individuare il profilo economico e non la fattispecie”. Al contrario, pare che sia proprio la donazione mista a imporre l’indagine concreta sulla voluta sproporzione delle prestazioni corrispettive, indagine che non può limitarsi al ‘profilo economico’ 100 evidenziare che il negozio conserva un’unità causale, pur con le proprie peculiari sfaccettature: la donazione mista è dunque un negozio con una causa concreta del tutto sui generis170, che gli consente di realizzare gli effetti di cui si è detto. Si tratta di un negozio unico, non tanto caratterizzato da una causa scaturita dalla combinazione (somma) di due funzioni171, ma da una funzione unitaria capace di partecipare al profilo corrispettivo ed a quello liberale: non esistono tanto ‘porzioni’ della causa, né cause ‘intere’ realizzate nell’atto, ma, piuttosto, diversi e simultanei profili eziologici della commixtio. La prospettiva del contratto misto, viceversa, proietta la causa su un piano, per individuarne le componenti, il che necessariamente ne comporta la suddivisione o la duplicazione172. Si ritiene che, al contrario, la causa, seppur singola, possa essere considerata sotto diversi punti di vista senza la necessità di scomposizione, quanto meno nella fase qualificativa. Scambio e liberalità non sono tanto parti della causa, quanto, piuttosto, i profili diversi della specifica causa del negotium mixtum (non somma, ma sintesi): vi è un solo rapporto che lega le parti contraenti e che esse rendono adatto alla realizzazione di un complesso interesse (l’atto di liberalità che risulta dall’innesto dell’animus liberale su un’attività esteriormente differente è 170 Dove, se di atipicità [che pure -secondo la classificazione tradizionale- caratterizza il contratto misto (v. Zatti, in Manuale di diritto civile, Cedam, 200, p.547)] si deve parlare, sembra rilevarsi più nell’assenza di previsioni ad hoc e nella peculiarità strutturale, che nell’impossibilità di applicare la disciplina di alcun tipo; nella donazione mista a vendita, difatti, è obbligato il richiamo alle norme –tipiche- sulla donazione e sulla vendita (al di là della combinazione che le diverse teorie ritengono più o meno fruibile) 171 Per Carnevali, cit., si ha donazione mista concorrono simultaneamente due cause, onerosa e gratuita 172 “Tale procedimento … difficilmente riesce a superare le critiche di chi non ritiene ammissibile che il contratto misto costituisca la risultante di elementi determinati con un’arbitraria quanto inconcepibili vivisezione dei tipi contrattuali …” così D’Ettore, in La donazione, Trattato Bonilini, p.167 101 diverso dalla donazione, ma è diverso anche dal contratto di scambio, non essendo più –solo- tale). Dunque, il richiamo al negozio misto173, così come tradizionalmente elaborato, si configura non sempre appropriato, o meglio, potrebbe essere riletto in forza di altra ottica, utile ad approfondire un determinato profilo: “la questione del negotium mixtum cum donatione riguarda, invece, veramente la qualificazione causale, poiché essa incide intimamente sulla ragione delle prestazioni che danno sostanza al contratto”174. Nella donazione mista, quindi, si rinviene un’unica funzione che non è né quella della vendita né quella della donazione, ma una funzione sui generis che partecipa ad entrambi i profili: da questa lettura deriva che la qualificazione indagata possa essere individuata proprio in base alla valutazione degli interessi concretamente perseguiti (v. infra), poiché “ogni contratto ha e non può non avere una propria causa, diversa da quella di tutti gli altri, nominati o innominati che siano”175. A latere, per completezza d’indagine, si riporta l’opinione assolutamente prevalente –ed a cui si aderisce- che coglie la differenze tra specificamente negozio tra indiretto negotium mixtum e negozio cum simulato donatione e e più donazione 173 In giurisprudenza, v. da ultimo, Cass. 22828/2012 174 V. Giorgianni, in Causa, Enc. Del Dir. 175 V. Carresi, in Il contratto, Tr. Dir. Civ. e comm. Cicu-Messineo, giuffrè, 1987, p. 247 e a p.251 “ricondurre il trattamento del contenuto contrattuale alla concretezza dell’assetto di interessi convenuto tra le parti consente infatti di apprezzare il contratto nella sua caratteristica dimensione di regola di interessi privati, ossia di valutare appieno si da annettervi congrua rilevanza giuridica il complesso delle finalità perseguite dai contraenti, risultato che ben difficilmente e comunque non nella generalità dei casi (basti qui pensare al caso della presupposizione) può raggiungersi operando esclusivamente attraverso lo schema della funzione economico-sociale astrattamente espressa nel tipo legale” 102 dissimulata da apparente vendita176, in termini di vera e propria contrapposizione con riguardo alla struttura, alla causa ed alla volontà negoziale (tanto più in forza di quanto appena concluso sul punto)177. Difatti, mentre il negotium mixtum cum donatione si realizza mediante un atto a causa unica complessa (ma la discrasia vale anche ove si creda la causa onerosa con motivo ulteriore della liberalità), la donazione mascherata da apparente vendita si attua attraverso una duplicità di negozi -uno fittizio e l’altro voluto-; inoltre, l’elemento comune alle due figure, costituito dall’uso peculiare della funzione strumentale del contratto, nel secondo caso la compatibilità dei due accordi è esclusa in radice, non essendo possibile che le parti ricolleghino conseguenze giuridiche ad un negozio che è soltanto finzione. Donde anche le differenze di ordine volitivo, ove la donazione mista è effettivamente desiderata (si sceglie un prezzo vile perché lo si vuole pagare veramente) mentre il contratto apparente di vendita non è voluto dalle parti che, sotto forma di contratto oneroso, intendono invece stipulare un –altro- contratto gratuito, per cui la dichiarazione concernente il prezzo non corrisponde alla realtà178. 176 Peraltro “Nulla esclude, peraltro, che il negozio misto a donazione sia anche simulato, nel senso che il prezzo ridotto previsto per la vendita in realtà non debba essere pagato” Martino, in in Riv. Not., 2012, 2. Per il caso, invece, di vendita conclusa con l’intento di realizzare una donazione v. Trib. Biella 03.10.2006 “…Il contratto di compravendita in esame si sostanzia pertanto in donazione indiretta il cui valore corrisponde alla differenza tra il prezzo pagato e il valore del bene, ammontante a lire 82.800.000. Tale donazione è suscettibile di riduzione come previsto dall’art. 809 c.c.” (Parte attrice in qualità di legittimaria del de cuius ha agito chiedendo che venisse accertata la natura simulata dell'atto pubblico di compravendita, costituente in realtà una donazione, o comunque la natura di donazione indiretta -negotium mixtum cum donatione-) 177 Con riferimento specifico alla differenza tra simulazione assoluta e liberalità indiretta, è stato osservato in giurisprudenza come nella simulazione le parti non vogliono affatto il contratto simulato, mentre nella liberalità indiretta vogliono invece quello che contiene l'attribuzione gratuita: così Cass. 712/1972, in Rep. Foro it.,1972 178 V. Cass.6723/1982, in Mass. Giust. Civ., 1982; cfr. Cass. 1303/1970 103 Per concludere, l’incognita della qualificazione si pone ove si ammette –giustamente- che i privati, nell’esercizio della propria autonomia, possono forgiare schemi e funzioni negoziali che non si identifichino semplicemente con la donazione e che siano irriducibili al pur vasto modulo del contratto di scambio, ma comunque sorretti da un interesse meritevole di tutela giuridicamente rilevante. In sintesi, una ricostruzione fondata sulla funzione concretamente asservita al conseguimento degli interessi sembra più rispettosa della realtà e più strumentale all’analisi della volontà dei contraenti, mentre l’individuazione del profilo di volta in volta rilevante si pone necessaria in taluni casi per la scelta della disciplina da applicare. LA FORZA DETERMINANTE DELLA RAGIONE GIUSTIFICATIVA DELL’ATTO Tali considerazioni -sulla qualificazione della donazione mista e sui tòpoi in essa rinvenibili- necessitano di essere convalidate da una più ampia riflessione sull’aspetto che qui viene investito del ruolo idoneo a sciogliere i nodi problematici della figura in esame, id est la eziogenesi che partecipa ad entrambi i profili strutturali dell’accordo, pur senza identificarsi semplicemente nella loro somma. Dato che i due valori -prima facie incompatibili- sono entrambi ed ugualmente funzione essenziali e dell’operazione e contribuendo compiuta, compresenti, a se accorpandosi chiarire è 104 vero che il valore tali in unica globale nozioni sono intrinseche alle operazioni concretamente compiute per realizzarle, il riferimento necessario è alla causa. Andando per ordine, il richiamo al concetto causale potrebbe essere ritenuto non appagante nel senso che esso proporrebbe una mera fusione tra cause: difatti, la figura stessa del negozio misto appare frutto di quella tendenza semplificante che è spinta a riportare ogni concreto negozio ad una fattispecie-modello tipica ed alla sua disciplina, sacrificando l’originalità propria di ciascun regolamento di interessi. A questa obiezione pare ragionevole replicare che il negozio de quo struttura, invero, una propria specifica unità eziologica, pur con le particolari sfaccettature che la caratterizzano. La donazione mista tratteggia quindi un negozio con propria individualità e propria funzione idonea a realizzare sia uno scambio che una liberalità. D’altro canto, già a qualcun altro179 è parso non potersi dubitare che nel negozio misto con donazione l’animus donandi non costituisca solamente un motivo, ma abbia valore di causa, sol che si pensi al fatto che è proprio questo distintivo scopo unitario, noto ed accolto da entrambe le parti, a dare giuridico fondamento all’acquisto180. 179 V. Mosco, in Onerosità e gratuità, p.314; contra, v. Recupero “non sappiamo davvero come possa conciliarsi tale osservazione con l’affermazione dello stesso autore che al negozio misto vi sia unicità di prestazione e di schema negoziale che non consentono una scissione”, in Temi, 1950, p.171. Per l’orientamento giurisprudenziale che ritiene l’animus causa della donazione cfr. Cass. 3322/1971, 1465/1969, 97/1949 180 Su tali basi, ad es., Biondi, pur ammettendo la configurabilità della donazione indiretta, ne esclude la qualificazione come negozio indiretto poiché “la liberalità non è effetto indiretto dell’atto, ma è la causa che sta alla base dell’atto”, in Le donazioni, cit. V. Cass. 5410/1989 “…Pertanto lo spirito di liberalità richiamato dall’art.769 c.c. si identifica non con un intento benefico altruistico, ma con lo scopo obiettivo che si raggiunge attraverso il negozio che ne costituisce la causa. Cioè la gratuita attribuzione del bene” 105 L’intento liberale (così come quello di scambio) va ricercato, quindi, nella sua diretta influenza sul contratto quale intento di arricchire comune alle parti e non come semplice motivo individuale, dato che, per dirla con Santoro-Passarelli181, gli scopi ulteriori e indiretti -i motivi- o non acquistano rilievo “e allora nulla può distinguere, sotto il profilo giuridico, il negozio diretto da quello indiretto” in quanto non possono servire a determinare una nuova figura di negozio giuridico, oppure –come nel caso della donazione mista- acquistano rilievo ed allora lo stimolo che guida le parti si configura esso stesso come causa”182. Ecco allora che si palesa contraddittoria la conclusione di chi183, pur relegando l’animus a mero motivo capace di determinare risultati particolari con funzione di pura accidentalità (quindi con posizione avulsa dalla struttura del negozio), reputa che la rilevanza di tale motivo sia data da un duplice requisito, ovvero da I. la sua forza determinante -che si ha non solo perché senza di esso non si sarebbe contratto, ma anche perché non si sarebbe determinato in quel determinato modo- e II. la sua effettiva conoscibilità da parte dell’altro contraente, cui deve parificarsi la obiettiva riconoscibilità attraverso tutte le circostanze del caso concreto. dicotomia non E’ è stato tra infatti causa e giustamente motivi, è rilevato piuttosto tra che ‘la generi 181 Santoro-Passarelli, in Saggi di diritto civile, p.753 182 Quindi, con la conseguenza sopra evidenziata, che mancano gli estremi del negozio indiretto 183 V. Recupero, cit., p.172 V. anche D’Ettore “l’unitarietà della fattispecie causale non viene infatti compromessa dalla gratuità indiretta del contratto che rimane di scambio. Il fondamento dell’operazione negoziale è tutto racchiuso nel mantenimento della funzione di scambio del contratto, capace di realizzare un effetto ulteriore, appunto l’arricchimento volontario di una parte, disciplinato dall’art. 809 c.c.” in La donazione, Trattato Bonilini, p.169 106 particolari di motivi, cioè tra motivi che sono diventati causa e motivi rimasti privi di tutela’184. Ciò posto, non si comprende, quindi, come la componente liberale così distinta- non venga incastonata nell’essenza causale del negozio –che, secondo la lettura contestata, resta (solo) oneroso, di cui riesce addirittura a ‘modificare gli effetti normali’185. Non per questo, tuttavia, sarebbe corretto affermare senza specificazioni che la liberalità costituisce una causa186; essa costituisce una significato funzionale ammettere che la categoria in causa transnegoziale, quanto possa ragione presentare anche per pratica del varie il suo negozio: sfaccettature, comporta ammettere anche che la liberalità medesima non esaurisce il requisito causale, ma ne costituisce un’angolazione187. Tale arricchimento non può certo considerarsi come giustapposizione di un ‘pezzo’, ma va individuata come possibilità di emersione di un 184 Così Pellicanò, in Problemi della causa del contratto, in Riv. Trim. Dir.e proc. Civ., 1979, p.904 185 V. nota 183. La posizione dell’Autore si mostra ancor più contraddittoria ove scrive, p.174 “ciascun soggetto in tanto vuole obbligarsi in quanto debba realizzare quel quid che egli si è rappresentato nel momento di formazione della sua volontà negoziale e che ha costituito l’impulso immediato a compiere la stipulazione. Questo pratico intento dei soggetti, che costituisce il profilo concreto della tipica funzionalità della fattispecie normativa è propriamente la causa” con ciò concludendo precisamente nel senso di questa ricerca e rilevando l’apporto concreto che l’espressione di liberalità può determinare nella causa del negozio. La denunciata incoerenza della tesi esposta da Recupero, non a caso, è stata rilevata anche da altri (v. Scalfi, il quale mette bene in luce come l’intento, definito da Recupero mero motivo, non può che spiegarsi con la nozione di causa, se capace di soddisfare un intento comune dei contraenti -in Temi, 1950, p.176-) 186 La questione si estende, quindi, al ‘se’ la liberalità possa o meno essere un genus causale. Volendo utilizzare il concetto, si potrebbe dire che costituisce un genus causale del tutto specifico, potenzialmente idoneo a concretare una causa autonoma e tipica, il che accade nella sola donazione, ma che altrimenti vive nei singoli negozi fondendosi con altri interessi e contribuendo a formare un insieme suscettibile di diverse valutazioni. Non si può neppure negare che i profili causali presentino, nelle diverse ipotesi, un differente grado di separatezza od inscindibilità. Ad es., in una vendita mixta cum donatione riesce abbastanza facile ipotizzare che, venuto meno, per qualsiasi ragione, il profilo liberale, le parti non abbiano interesse a mantenere in piedi il contratto, anche se il profilo causale dello scambio sarebbe astrattamente sufficiente 187 “Ad escludere la presenza della causa della donazione non basta pertanto affermare che chi compie la liberalità non tende meramente all’arricchimento, ma ad un risultato ulteriore e diverso: bisognerebbe affermare che egli non tende affatto all’arricchimento, ma solo ad un risultato diverso, non più ulteriore, ma unico” Così, Oppo –contestando le conclusioni di D’Angelo (La donazione remuneratoria, 1942) che esclude ricorra donazione ogni qualvolta vi sia un scopo ulteriore a giustificare la prestazione giuridica-, in Adempimento e liberalità, Giuffrè, 1947, p.65 107 nuovo profilo di causa comunque unitaria. La risposta alla complessità dell’assetto di interessi ed all’emersione del profilo causale è pertanto un’autonoma qualificazione normativa. Appare quindi chiaro, per quanto riguarda la configurabilità nelle nostre ipotesi di un quid medium ed autonomo tra liberalità e corrispettività, che una simile costruzione in tanto sarà possibile in quanto possa assegnarsi all’attribuzione una causa autonoma rispetto alla causa liberale ed alla causa solvendi, e quindi in quanto quella all’attribuzione possa dell’attribuzione stessa. relazione configurarsi Pertanto il sociale come dato che causa sociale presiede giuridica che, come sappiamo, appartiene alla fattispecie dell’effetto giuridico, può dar luogo ad un tipo (negoziale) autonomo, collocandosi in quel momento della fattispecie (negoziale) che è la causa giuridica dell’atto188. Ora, l’eziologia così individuata, oltre a rilevare la potenzialità atta a selezionare la configurazione giuridica più aderente alla conformazione scelta dai contraenti189 (se l’intento di arricchire non funge da mero motivo -ulteriore ed incapace di entrare a far parte del negozio adottato, ma come vera e propria causa-, allora non potrà dirsi che le parti hanno dato vita ad un negozio indiretto)190, permette uno step che inquadra ancor meglio 188 Cfr. Oppo, Adempimento e Liberalità, Giuffrè, 1947, p.32 189 Cfr. Cass. 22828/2012, sottolinea che non può escludersi rilevanza giuridica ad alcuno degli elementi contrattuali “che sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l’ampiezza del vincolo contrattuale” 190 Difatti, inquadrare correttamente la causa della donazione mista ha reso possibile convalidare la scelta di escludere la ricostruzione della fattispecie come negozio indiretto. La Cassazione, ad es., fa perno su un’indagine di tipo causale anche per distinguere negotium mixtum cum donatione e donazione modale: nel primo caso le parti impiegano un negozio oneroso per produrre effetti principali onerosi e secondari di indole gratuita, nell’altro l’animus donandi domina l’intera pattuizione relegando a funzione accessoria la prestazione onerosa Cass. 111/1964, in Mass. Giust. Civ. 1964, Cass.5444/1978, ivi, 1978 108 la componente causale della donazione mista, tanto da orientare anche sul metodo adoperabile ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile (v. infra). Difatti, la possibilità d’integrazione della ‘ragione giustificativa dell’atto’ potrà/dovrà avvenire avendo riguardo a quelle “circostanze previste dei contraenti quali conseguenze del contratto”191. concrete della conclusione L’osservazione dai possibili esiti negoziali discendenti dai contenuti dell’accordo, -come tali- modellabili a seconda delle esigenze, consente di ritenere che nella donazione mista le due funzioni -prima facie incompatibili- sono entrambe essenziali e compresenti, accorpandosi in una unica causa sui generis: impostazione, questa, da leggere necessariamente alla luce della concezione di causa nell’individualizzazione concreta della che affonda fattispecie192, intesa le non radici tanto come volontà dell’individuo che pone in essere il contratto, ma come ragione ontologica dell’accordo individuato in base ad una sintesi dinamica della sua funzione economico-individuale (in poche parole, ‘il quod actum sit’ di pomponiana memoria) e che rende risposta al problema, segnalato da Cataudella, della elasticità dei tipi legali. 191 Cfr. Bessone, in Il tipo negoziale, la sua causa ed il dogma dell’irrilevanza dei motivi, in Giur.It., 1979, I. Parimenti individua la rilevanza della ragione concreta dell’accordo D’Ettore, in Intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996, p.40; cfr. Cataudella, op. cit., p.122 “Se si ritiene … che l’elemento soggettivo della donazione non si esaurisca nella sola volontà negoziale, ma comprenda, nella sua ricostruzione funzionale, anche i moventi della volontà, e dunque anche quel movente ultimo del processo formativo della volontà che è l’animus donandi, allora si può tentare di individuare il momento teleologico comune alle parti che caratterizza indifferentemente gli atti di liberalità. Tale momento si identifica con lo scopo ultimo in concreto perseguito dalle parti con il negozio” 192 V. Muller, cit. e, in giurisprudenza, ex multis, Cass.24511/11 109 La strada da percorrere è, dunque, quella del diretto esame degli interessi che l’atto è destinato a perseguire, ricavabili in via interpretativa dall’operazione complessiva193. Così individuata, concreto acquista la stessa anche nozione un’altra di causa utilità. Essa che emerge in costituisce un punto di vista alla luce del quale osservare la struttura del contratto: tale processo porta alla formazione di uno schema ordinante, la cui utilità immediata consiste nell’agevolare, per quanto possibile, la comprensione dell’assetto di interessi ed, in seconda battuta, il rinvenimento di una disciplina applicabile alla donazione mista. PROBLEMA DELLA DISCIPLINA E METODO Il problema della disciplina, pertanto, è il luogo in cui sfociano i discorsi relativi alla natura del negotium. Non a caso, la questione è stata spesso posta in termini di problematicità194. Né, la formula secondo cui i contratti de quibus seguono la disciplina riconducibile alla struttura di ciascuno è sempre sufficiente a risolvere i dubbi che le ipotesi concrete possono sollevare. Sicché, interessa il tentativo pare chiarificatore dover passare della questione necessariamente che qui attraverso 193 V. Ferri, in Causa e tipo cit., p.371 “la causa come funzione economico individuale sta appunto ad indicare il valore e la portata che all’operazione economica nella sua globalità le parti hanno dato”. Come ben rileva anche Caredda -in Le liberalità diverse dalla donazione, Giappichelli, 1996, p.136 ss.- tale valore può essere compreso solo tenendo conto di tutti gli elementi, anche accessori, dei quali il negozio si compone e che nella causa trovano la loro possibilità di essere considerati unitariamente. V. anche D’Ettore “la concreta ragione giustificativa di un atto va infatti colta tenendo conto degli scopi in concreto perseguito con il contratto nel loro legame con la causa dell’attribuzione”, in La donazione, cit. p. 173 194 V. Oppo, cit. p.92-93 110 l’accertamento di un ‘metodo’. La medesima necessità è stata avvertita anche da quella dottrina195 che ha finito per investire il criterio spesso gerarchico capace, come della già funzione detto, di scriminante, individuare la in quanto norma più garantista, a tutela dei contraenti. Criterio, questo, che merita sicuramente un plauso. Si intravede, peraltro, fondatezza anche nelle considerazioni dello studioso Champeau196: al di là delle premesse da cui muove il giurista francese (il quale ha prospettato su un piano generale e fatto oggetto di indagine quali norme dettate per la donazione possono ritenersi proprie di ogni liberalità), per quello che qui interessa, preme aderire al canone metodologico in forza del quale l’indagine si sofferma sulla ratio delle disposizioni, così da valutare se essa ne consenta l’estensione al negozio concreto. Tale orientamento, operando attraverso un generale richiamo alla ratio delle regole, consentirebbe di raggiungere risultati più rigorosi, soprattutto ove posto in paragone, ad esempio, con il – già criticato- criterio economico, molto rischioso in quanto ne possono derivare risultati incerti197. L’indagine sulla ratio delle norme evita, dunque, di essere condizionati esclusivamente da un 195 Ci si riferisce ovviamente a Cataudella, op. cit., v. Cap. precedente 196 Champeau, in Acte à titre gratuit, secondo cui le norme sulla donazione possono essere classificate in tre gruppi ispirati a diverse ragioni di tutela (in questo senso, il parametro della tutela è in nulla dissimile a quello menzionato da Cataudella); v. Oppo, in Adempimento e Liberalità, Giuffrè, 1947, p.95 ss. 197 Il criterio economico, quindi, non offre risultati né ove applicato al fine di qualificare la fattispecie né ove applicato al fine di comprenderne la disciplina. V. Cass. 1276/1969 “…nell’ipotesi in cui nel contratto di compravendita sia stato pattuito un prezzo minore del valore della cosa venduta, non può escludersi a priori che causa di ciò sia stato lo stato di necessità in cui il venditore si sia venuto a trovare di liquidare la cosa oggetto del contratto, oppure l’errore dello stesso venditore nella valutazione della cosa medesima e che, pertanto, non vi sia stato altro intento , da parte di quest’ultimo, di porre in essere un atto di liberalità”. V. Cass.3499/1999, 1931/1991 In merito alcuni parlano di criterio ‘quantitativo’ in base al quale discernere tra attribuzioni onerose e liberali: il primo caso si verificherebbe ad es. quando ‘la sproporzione non riuscisse asuperare la metà del valore del bene trasferito’, v. D’Ettore, il La donazione, cit. p.269 111 aspetto –quello economico, ad esempio- e pertanto può uscire dalla visione settoriale, il che pare necessario per conferire a ciascuna norma una corretta collocazione nell’ordinamento. Ora, per tornare alla donazione mista, ove l’impianto negoziale assume le fogge di cui si è scritto, occorrerà tener presente che, proprio nei casi in cui la compenetrazione tra i diversi profili dell’atto si fa così forte, può accadere che più norme regolino lo stesso aspetto o che esistano –semplicemente- norme diverse. Il merito di aver evidenziato questo indubbiamente alla summenzionata profilo riflessione va attribuito che, qualificando la donazione mista come negozio misto, ne individua la disciplina nell’applicazione integrale dei due contratti di riferimento198 attraverso il criterio della combinazione: peraltro, nei casi in cui entrambe regolare le la discipline situazione contengano rilevante, una il norma concorso destinata va a risolto attraverso l’individuazione di quella prevalente. Per la scelta della norma prevalente, tale impostazione prende in considerazione il principio di specialità ed una graduazione gerarchica tra norme cogenti e norme dispositive da risolversi, in caso di conflitto, in favore delle prime. Qualora simili criteri non siano utilizzabili, la scelta ricade sulla regola più esigente, ovvero più protettiva e di conseguenza privata. 198 Ancora, Cataudella, op. cit. 112 più restringente l’autonomia Ebbene, stanti le premesse elaborate nel presente capitolo e, quindi, sulla base della qualificazione che qui si è data alla donazione mista (qualificazione che, per quanto critica in parte qua della figura di negozio misto tradizionalmente inteso, sposa di fatto la visione di Cataudella, se non altro nella parte in cui pone in luce la simultanea compenetrazione delle componenti del negozio199) si reputa –anche qui- di poter concludere nel senso della concomitante applicabilità delle discipline con-correnti, salve le ipotesi di aperto conflitto: la loro applicazione si giustifica con ispirano200. la Tale presenza esito non sincrona si pone dei caratteri che le in contrasto con le argomentazioni esposte, atteso che la concomitanza delle norme201 affine all’accordo non nei singoli elementi, ma nella complessiva concreta istruzioni funzione-, da parte soprattutto dei in contraenti assenza sulla di specifiche prevalenza o meno dell’intento prefisso, trae fondamento dalla sintesi per mezzo di cui si realizza l’interesse complesso perseguito inter partes e 199 Vero è che si sono prese le distanze dalla configurazione di contratto misto tradizionalmente inteso (che porterebbe al risultato: donazione + vendita), ma è altrettanto corretto che la ricostruzione qui avanzata, a volerla rileggere in maniera più elastica, interpreta la donazione mista con un contratto misto (e atipico nel senso di causa non perfettamente coincidente con quella positivamente contemplata), ove –però- per commixtio sia intesa non tanto la mera somma di due cause(qui lo scarto rispetto all’autorevole riflessione citata), ma la loro sintesi dinamica, ovvero un tertium unicum le cui componenti si interfacciano senza scomporsi Per le conseguenze, v. nota successiva 200 Ma v. in Cass. 1955/2007 la Corte esclude esplicitamente l’adesione alla figura del contratto misto (ovvero di contratto innominato ottenuto combinando due schemi negoziali tipici cui si applica la disciplina normativa prevalente) 201 V. Cass.3863/2004 che, ritenendo superata la tesi dell’assorbimento (secondo cui si applica la disciplina del contratto tipico col quale quello innominato presenti il maggior numero di caratteri comuni) e quello della combinazione di più schemi contrattuali (cause) che si combinano nel negozio misto, si esprime in favore del ‘metodo tipologico’, attraverso il quale si applica al contratto la disciplina eventualmente derivante da più contratti tipici, che siano affini all’accordo innominato non nei singoli elementi,ma nella complessiva funzione. La sottile diversità tra ‘metodo tipologico’ –qui preferito- e tecnica della combinazione –scelta da Cataudellarispecchia perfettamente il quid che distingue le interpretazioni che sfociano, una, nella causa concreta; l’altra, nella mera combinazione delle cause (il criterio della combinazione viene eletto da Cataudella, op. cit. p.45) 113 non dalla ‘duplice sussunzione’202 di due discipline a sé stanti (quindi, ancora una volta non addizione, ma ‘sintesi dinamica’203 del contratto). Non si scordi, comunque, che la visione proposta di contratto -non identificabile totalmente con la ‘somma’ tra una vendita ed una donazione- richiede a maggior ragione la scelta delle norme più adatte al caso concreto in base alla la ratio che le ispira: conseguentemente, in caso di conflitto verrà privilegiata la norma più aderente alla questione concretamente prospettata (e non per forza andrà applicata la norma che maggiormente comprime l’autonomia204). Quanto alle ipotesi di ‘attrito’ tra gli assetti disciplinari concorrenti, l’attenzione cade immediatamente alla rescissione del contratto: nel caso di negozio misto con donazione, essendo la sproporzione liberalità che dell’altra, su le una sembra rescissione205. anche fra prestazioni delle non “Essendo requisiti approfittamento), parti intende poter infatti di (stato dallo perseguire avere l’azione soggettivi l’intento giustificata luogo di di liberalità” scopo in favore l’azione rescissione bisogno, ove, di di basata pericolo, s’intende, validamente espresso “avrà rilevanza in fatto in quanto varrà a dimostrare l’inesistenza dello stato di bisogno, della coazione 202 V. Cataudella, in op. cit., p.97 203 L’espressione è mutuata da Cass.10490/2006. 204 “Anzi” scrive Caredda “il sistema delle liberalità sembra suggerire il contrario, dato che in pochi settori ci è un’esaltazione dell’autonomia privata come quello che emerge dallo studio degli atti di liberalità”, in in Le liberalità diverse dalla donazione, Giappichelli, 1996, p.275 205 Benché in Cass.1812/1941 si legga esattamente il contrario, ovvero l’ammissibilità dell’azione di rescissione, in Mass. Foro it., 1941, 452; per l’inapplicabilità dell’istituto v. Trib. Messina, 18.06.1948, nonché Trib. Messina, 30.03.1949, entrambe in Temi, 1950; cfr. anche App. Torino 20.07.1951 114 psichica che il dell’approfittamento” bisogno 206 determina, e, conseguentemente, . Si è precisato che l’intento debba essere validamente espresso, poiché non può escludersi a priori che, nella verifichi l’ipotesi di donazione mista conclusa pratica, si da un soggetto indotto al contratto dalla necessità determinata, ad es. dallo stato di bisogno: anche in tal caso, difatti, si individuerebbe l’intento di porre in essere un’attribuzione senza corrispettivo, ma –al contempo- esso non sussisterebbe in quanto inidoneo a costituire il fondamento della fattispecie oggetto di studio. Quanto, poi, alle norme sulla donazione, occorre rammentare che il risultato concretamente realizzato con la donazione mista è stato dalle parti perseguito direttamente per il tramite del negozio adottato (pur con le peculiarità del caso) –inteso nella propria globalità- e non relegato a semplice intento ulteriore ad esso esterno207: coerentemente, quindi, dovrà farsi riferimento esclusivamente alla donazione diretta208 o ‘in senso stretto’209, anche in questa fase d’indagine legata all’individuazione delle norme applicabili (il concetto è stato precedentemente richiamato 206 Scalfi, in Temi, 1950, p. 378. Anche Cataudella esclude l’istituto, v. Cap. 3 207 Correttamente, D’Ettore ritiene che sia difficile “prospettare nella pratica” l’eventualità che l’arricchimento non sia intenzionale,posto che “quando l’effetto economico (arricchimento) è programmato dalla parti quale risultato da perseguire, la liberalità dovrebbe essere donazione diretta ex art.769 c.c..” tanto che “se l’arricchimento non fosse invece intenzionale …” allora “andrebbero applicate le sole norme dettate dall’art.809 c.c. in tema di revocazione e riduzione nonché l’art.737 c.c. (collazione)” . Così, D’Ettore, in Intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996, p.35 208 Contra, D’Ettore “…figura della donazione mista che non può sicuramente in ogni caso qualificata come donazione diretta, se non dando rilievo ad un solo elemento della fattispecie”, in La donazione, Trattato Bonilini, p.162. L’A. sembra però contraddirsi quando scrive “l’art. 769 in definitiva non è una norma che individua una sola figura nominata, ma si articola in più varianti tipogiche espresse dalla presenza di un modello astratto di qualificazione… ”, p.211 209 Così la chiama Cataudella, in op. cit., p.10 115 al fine di escludere che il negotium mixtum fosse qualificabile come negozio indiretto). Il che, pertanto, conferma la correttezza del richiamo all’intero complesso di norme sulla donazione, onde evitare che il rinvio cada solo su quelle norme cd. materiali: ovvero, quelle che il legislatore avrebbe espressamente destinato -per il tramite dell’art. 809 c.c., ed al più dell’art. 737 c.c.- alle donazioni indirette, applicano facendo solo in tal quelle modo norme intendere che esplicitamente alle stesse richiamate si dalle suddette disposizioni e non altre. Anzi, v’è una ragione pregnante che giustifica tale conclusione, dato che le norme ex art. 809 c.c., se si applicano alle donazioni indirette liberalità (e agli è atti diversi individuata dall’art.769 –solo- nell’ottica c.c. dove la dell’effetto dell’accordo210), dovranno a maggior ragione trovare ingresso nella donazione mista ove la liberalità -non si limita ad essere risultato, ma211- ha rilievo causale212. Né, tanto meno, se lo scopo pratico perseguito dai contraenti è quello dell’arricchimento, è possibile fuggire alla disciplina del 210 Per le liberalità atipiche, disciplinate dall’art.809 c.c., la sussunzione nell’ambito del fenomeno liberale è operata dall’ordinamento positivo in ragione del risultato ottenuto (tale argomentazione nega in radice l’esistenza stessa di un problema di disciplina in quanto nega l’esistenza di una lacuna legislativa). Così “l’applicazione della disciplina prevista dall’art.809 c.c. s’imporrebbe in relazione a certi risultati comunque conseguiti, di modo che alcune norme sarebbero operanti a prescindere dagli schemi negoziali adottati e dalla stessa intenzione dei soggetti, solo sulla base della produzione dell’effetto” sicchè l’art. 809 “consente l’applicazione delle norme materiali della donazione in tutti i casi in cui si verifichi l’arricchimento di un soggetto quale conseguenza del negozio concluso e ciò anche quando il fine cui mirano le parti non consista nella produzione di quel risultato” Così, D’Ettore in intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996, p.35 e p.115; dello stesso avviso Biscontini, in op. cit. 211 Correttamente rileva Caredda, che una definizione del concetto di liberalità che faccia riferimento esclusivo all’effetto prodotto non è errata, ma insufficiente in quanto non considera il fatto che ogni effetto ha la propria causa, in op. cit. 212 Quindi, non tanto perché le norme citate nell’art.809 c.c. hanno preminenza gerarchica sull’assetto dei contratti a prestazioni corrispettive (ove tali istituti non sono previsti) -così Cataudella, in op. cit., p.149-, ma piuttosto perché la causa –unica e concreta- della donazione mista partecipa ai caratteri della donazione ‘in senso stretto’ 116 contratto di donazione, dove il fine di liberalità è tipico ed è assunto a giustificazione del compimento dell’atto213. L’intento pratico (che dunque torna nuovamente utile) anima i contraenti coincidendo con la causa dell’accordo e porta alla sussunzione nel modulo tipico di tutte le fattispecie che apertamente (id est, direttamente) realizzino quell’intento. Tutto tipici ciò non del lascia settore dubbi liberale, sull’applicabilità ossia l’azione degli di istituti riduzione, la revocazione per ingratitudine o sopravvenienza dei figli (non a caso, menzionati nell’art.809 c.c.) e la collazione. Tali fattispecie meritano il necessario chiarimento per cui non si può prescindere dalle determinazioni dei contraenti, dato che la valutazione di corrispettività e di liberalità è di competenza delle parti: sicché, solo in assenza di precisazioni in tal senso, occorrerà far leva su parametri oggettivi (evitando comunque il rischio di falsare l’equilibrio cui i contraenti miravano214). Gli istituti considerati mostrano come la loro finalità richieda che si agisca, in un caso (riduzione), solo contro il quid di liberalità215 che ha determinato l’arricchimento, nell’altro 213 Alla luce di quanto osservato, può pertanto –di nuovo- sostenersi che anche quando l’intento liberale sia comune alle parti, ma queste abbiano adottato un negozio diverso da quello previsto dall’art. 769 c.c., non sia possibile parlare di donazione indiretta ove lo stesso sia direttamente realizzato. In questo senso anche D’Ettore, in Intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996; si legge ad es. a p.141 “Se dunque non esiste uno scopo diverso da quello tipico non potrebbe neanche parlarsi di negozio indiretto (di donazione indiretta)” 214 Aiuta l’art. 1362 c.2 c.c. che prescrive di valutare, nella ricerca della comune intenzione delle parti, anche il loro comportamento complessivo. “…si addiviene alla conclusione di un contratto si scambio solo ove le parti abbiano ritenuto adeguate o equivalenti le reciproche prestazioni. Diversamente, qualora cioè si fosse optato per la necessaria equivalenza oggettiva, si sarebbe colpita nell’intima essenza il fondamento dell’autonomia privata” Biscontini, in Bilateralità, Onerosità, cit. p.51 215 E’ peraltro controverso quale sia l’oggetto della liberalità, se il valore del bene eccedente rispetto al prezzo pattuito o quota del bene stesso. Ad es. in giurisprudenza è dato leggere da un lato che il pagamento di una somma inferiore al prezzo pattuito costituisce prova presuntiva di un negotium mixtum cum donatione avente ad oggetto il maggior valore del bene venduto; dall’altro che “Apertasi la successione intestata del venditore poi 117 (revoca), si investa tutto il negozio216: la ripercussione sull’intero contratto è possibile, ma non sempre necessaria. Il medesimo discorso potrebbe essere adattato ad altri istituti: nella soluzione di tali casi, come in quelli precedenti, sono di grande utilità istituti come la nullità parziale. Non sarebbe concettualmente esatto, in effetti, parlare di vizio che inficia una sola parte del negozio, viste le premesse da cui si è partiti: in effetti, la causa di invalidità riguarderebbe il negozio così come concepito dalle parti, cioè comprensivo dei diversi profili. Ci si trova, peraltro, in un campo, per la comprensione del quale, gli istituti citati sono molto utili. Nei casi in esame non è solo il principio di conservazione, ma anche la fedeltà della natura deceduto, ove il negotium mixtum cum donatione risulti posto in essere dal de cuius a favore congiuntamente di due coniugi, uno solo dei quali avente la qualità di erede, solo quest’ultimo è tenuto a collazione verso il coerede limitatamente alla quota indivisa del bene (immobile) indirettamente donatogli, essendo l’altro coniuge estraneo alla comunione ereditaria” così in Trib. Genova 28.09.1989, in La nuova Giur.Civ. commentata, 1990, p.686 (Tizia muore senza testamento, lasciando quali unici eredi i due figli, Caio e Sempronio, questo ultimo coniugato con Mevia. Caio conviene Sempronio perché sia accertata la simulazione relativa dell’acquisto immobiliare concluso dai convenuti con la defunta a mezzo di atto pubblico rogato senza la presenza di testimoni, onde addivenire alla divisione dell’intero patrimonio con conferimento alla massa dei beni dissimulatamente donati. Il Tribunale dichiara la nullità del contratto simulatamente stipulato e la soggezione alla collazione ereditaria dei beni immobili, rimettendo la causa in istruttoria per il giudizio di divisione. Sulla base di tale decisione, Mevia conviene Caio e Sempronio ai fini del riconoscimento del proprio diritto di proprietà sulla quota dell’immobile –conseguito in virtù di negotium mixtum cum donatione formalmente valido- ed al fine di essere esclusa dalla collazione, essendo estranea alla comunione ereditaria. Il Tribunale accoglie le domande sulla base della validità del dissimulato contratto di donazione sub specie di negotium mixtum cum donatione). Nel senso che la donazione (indiretta) ha ad oggetto non il denaro, ma il bene immobile, v. Cass.56/1989. Sul tema, cfr. anche Cass. 11499/1992 secondo cui “…l’atto di liberalità (indiretta) e correlativamente l’arricchimento del beneficiario sono configurabili limitatamente alla differenza fra il valore di mercato del bene e il suddetto prezzo. Ne consegue che in caso di revocazione della liberalità, solo questa differenza deve essere restituita al venditore-donante”. Più recentemente, Cass. 1153/2003 “…un contratto unitario di carattere esclusivamente oneroso … che tuttavia realizza anche una liberalità, comportante un depauperamento dell'alienante e un corrispondente arricchimento dell'acquirente, che sono configurabili, appunto, "limitatamente alla differenza tra il valore di mercato del bene ed il suddetto prezzo" (v., per tutte, Cass. 21 ottobre 1992 n. 11499)” : la questione posta era quella di stabilire, anche ai fini delle dovute conseguenze in sede divisoria, se oggetto dell’atto di liberalità fosse da individuare nella quota di bene, trasmessa per intero a titolo oneroso, secondo l’impostazione di parte ricorrente, o, come sosteneva parte resistente, in una somma di denaro pari alla differenza tra il valore dell’immobile al tempo della vendita ed il relativo prezzo. Pertanto, nel primo caso, la collazione sarà attuata mediante conferimento in natura del bene stesso, che dovrà essere restituito alla massa ereditaria, oppure mediante conferimento alla massa di una somma corrispondente al valore dell’immobile al tempo della successione; nel secondo caso, oggetto della collazione sarà la somma di denaro suddetta. Nello stesso senso, anche Cass.11499/1992, in Mas. Foro it., 1992 216 Biondi scrive “la revoca si applica in toto: non può sussistere un atto valido per la parte in cui è oneroso, revocato per quella che importa liberalità”, mentre, in merito alla riduzione “l’atto…viene ridotto entro i limiti in cui importa liberalità”, in Tr. Dir. Civ., cit. p. 951. V. anche Cass. 17.12.1921, in Foro it. 1922 118 del patto che spinge a questa soluzione. Consapevoli che si tratta di proposte esplorato, che si si reputa muovono che si su un terreno tratti di una ancora linea scarsamente di tendenza sostenibile. Naturalmente, alla condizione che le parti abbiano un apprezzabile interesse residuo al mantenimento in vita del contratto così modificato. Il rimando fatto alle norme sulla donazione -non solo quelle ex art.809 c.c.- importa ex se anche il rinvio all’art.782 c.c.: si è avuto modo di anticipare che la questione formale, la più largamente dibattuta, trova soluzione differente a seconda della qualificazione data al negotium. Precisamente, chi217 sostiene l’opportunità del ricorso alla norma suddetta lo fa in quanto essa garantirebbe adeguata ed incisiva tutela, in ciò restando isolato rispetto alla dottrina –prevalente- che (così come tutta la giurisprudenza aderente) fa discendere dalla (donazione mista=) donazione indiretta la non necessità della forma solenne218. Ebbene, se il negotium è contrassegnato da una realtà causale che condivide anche le note della donazione ‘in senso stretto’, non si vede ragione per escludere l’uso della forma ex art. 782 c.c.219, dato che l’inapplicabilità di tale requisito si spiegherebbe solo in quelle ipotesi concretamente caratterizzate da elementi 217 Cataudella, in La forma del negotium mixtum cum donatione, Foro padano, 1972, I: poiché il negozio de quo realizza anche una funzione donativa, non viene meno la ratio di tutela del donante che ha portato il legislatore a prescrivere l’uso di una determinata forma; V. anche Deiana, cap. 3, ma che perviene a tale conclusioni partendo da tutt’altra qualificazione 218 “In tema di atti di liberalità, il nmd costituisce una donazione indiretta … pertanto non è necessaria la forma dell’atto pubblico richiesta per la donazione diretta, essendo invece sufficiente la forma dello schema negoziale adottato …” così, ex multis, Cass. 13337/2006, Cass. 642/2000, Cass. 3499/1999; anche Cass. 1955/2007 che, sul medesimo fondamento, estende la sufficienza della forma prevista per il contratto commutativo anche al preliminare di donazione indiretta 219 Tanto più se la forma è elemento di struttura e non come mezzo per raggiungere uno scopo, così Irti, in Idola libertatis, p.79 ss. 119 giustificativi dell’attribuzione che diano sostanza all’operazione rendendo riconoscibile la funzione sociale della vendita o comunque determinante la prevalente onerosità dell’operazione220. In questo senso va interpretata l’affermazione suggestiva secondo cui ‘la forma salva il negozio’221: ciò avviene non perché il requisito formale assuma, nella donazione, ruolo diverso rispetto a quello che esprime in generale, ma perché, una volta provata la volontà di donare mediante l’atto pubblico, può essere provata anche l’esistenza di un interesse sottostante in base al quale si giustifica il riconoscimento dell’accordo privato222. Il tutto è più vero, se è vero -come è stato rilevato223- che la menzione della categoria di negozi indiretti ha spesso avuto lo scopo di dichiararli sottratti alla necessità della forma richiesta per la donazione contrattuale224: la pretesa residualità 220 Ci si sente di interpretare in tal senso anche il ragionamento di D’Ettore, in La donazione-Trattato Bonilini, Utet,p. 218. V. Cass. 5265/1999 nota che laddove vi sia prevalenza del profilo di corrispettività, allora non si potrà far rilevare l’animus donandi , e dunque non sarà necessaria la forma solenne “la disciplina del nmd obbedisce al criterio della prevalenza nel senso che … si avrà un negozio a titolo oneroso che non abbisogna di forma solenne quando l’attribuzione patrimoniale venga effettuata in funzione di corrispettivo in adempimento ad una obbligazione derivante dalla legge che si riveli assorbente rispetto all’animus donandi” (a contrario, si arguisce che ove l’animus donandi rappresenti una componente negoziale non assorbita in quella corrispettiva, allora è necessaria la forma ex art.782 c.c.) 221 Sacco, in Il contratto, p.588, richiamato anche da Checchini, in L’interesse a donare, Riv.dir.civ., 1976, p.293 222 L'adozione della forma solenne può inoltre essere utile qualora il contratto dovesse essere riqualificato in sede giudiziale quale donazione modale (per questo rilievo, v. Martino, in Riv. Not. 2012, 2) 223 La critica è già stata mossa qui, in Cap.3 Ma v. anche D’Ettore, Ibidem, p.214 ss.; l’A. inoltre denota che l’art. 809 c.c. di riferisce anche ad atti liberali costituiti secondo una struttura ‘debole’ risultando nella struttura legislativa l’assenza di una norma sulla forma [identificabili solo in assenza di una concorde, dichiarata e condivisa direzione dell’attribuzione nel senso dell’arricchimento giacché ove tale direzione sia data all’atto la peculiare effettualità donativa non legittimerebbe il ricorso all’art.809c.c.], e atti a struttura ‘forte’, quelli ex art.769 c.c., particolarmente qualificata da un’autonoma considerazione della fattispecie causale, necessariamente combinata con l’elemento formale (art. 782 c.c. ‘la donazione deve essere fatta per atto pubblico’) 224 “l’art. 809 c.c. il quale stabilisce quali norme della donazioni sono applicabili alle liberalità che risultino da diversi va interpretato restrittivamente, nel senso che alle liberalità anzidette non si applicano tutte le altre norme da esso non richiamate” Cass. 12181/1992. Cfr. Cass. 19311/1991; Cass.1214/1997, in Vita not.1997, p.266; Cass. 7666/1995, in Giur. It., 1996, I; Cass.6411/1988, in Giur.It., 1988, p.1897; Cass. 526/1979, in Giur.it., 1979, I; Cass.833/1971, in Foro Padano, 1972, I; Cass. 632/1968, in Giust.Civ., 1968, I; Cass.2179/1961, in Giur.It., 1962, p. 101; Trib. Bari 16.04.2008 120 dell’art.769 c.c. si inquadra in questo tentativo volto a limitare pure la portata dell’art.782 c.c., facilmente aggirabile, nella prassi, mediante una serie di strumenti alternativi, comunque sostenuti dalla possibile qualificazione dell’attribuzione (ma in termini di donazione indiretta). Ulteriore delicata questione viene posta dagli artt. 787 e 788 c.c., i quali esprimono la particolare rilevanza che, nella donazione, è rivestita dal motivo che ha determinato a compiere la liberalità. Un parte della dottrina ritiene senza dubbio estensibili tali norme alla donazione mista225; altri226 superano eventuali dubbi interpretativi considerando la necessità di verificare, caso per caso, l’applicabilità delle norme. A dire il vero e premesso che al quesito sembra potersi dare risposta specie, affermativa, in cui la pare che liberalità nelle ipotesi, costituisca la come quella ragione di pratica dell’attribuzione, essa dovrebbe di volta in volta essere colta per poter dare rilievo nel caso concreto all’errore di cui all’art.787 c.c. o ai motivi illeciti di cui all’art.788 c.c. che rendono nulla la donazione. Si dovrebbe pertanto attribuire In Cass. 23215/10 si legge “…la forma contrattuale è quella propria del negozio adottato, sia perché il negozio indiretto costituisce un’espressione dell’autonomia privata sia perché la congruità di tale soluzione trova conferma con riguardo alle donazioni indirette nel dato normativo contenuto nell’art.809 c.c. il quale nell’individuare quali norme (cc.dd. materiali) sulle donazioni si applicano agli atti di liberalità diversi dallo schema negoziale tipico di cui all’art.769 c.c. non richiama l’art.782 c.c. che prescrive la specifica forma solenne dell’atto pubblico. ”. V. anche Cass. 5333/2004. E’ stato altresì evidenziato (Cass.23297/09) che l’estensione delle norme sulla forma della donazione, dettate a tutela del donante (e non dei terzi), a negozi che perseguono l’intento di liberalità con schemi negoziali non ‘puri’, rappresenterebbe un sacrificio troppo radicale dell’autonomia privata 225 Cataudella, in op. cit. p.156 sulla base del fatto che le norme citate prevalgono su quelle disposte per i contratti a prestazioni corrispettive poiché di natura speciale rispetto a queste ultime; Torrente, in La Donazione, cit., p.67, ritiene invece estensibili tali norme alle donazioni indirette 226 Carnevali, in Le Donazioni, cit., p. 535 121 esclusivo rilievo, anche in questi casi, alla volontà effettiva dei contraenti: l’art. 787 c.c. viene così ad assumere una funzione ausiliaria rispetto a quella rivestita dalla ‘causa’, costituendo una sorta di secondo filtro, un’ulteriore garanzia affinché gli interessi obiettivati dei contraenti coincidano con la causa dell’accordo. Nessun dubbio sembra, invece, sorgere circa l’applicabilità degli artt.777 (che vieta le donazioni fatte da rappresentanti di persone incapaci) e 778 c.c.(che dichiara nullo il mandato che attribuisca a terzi la facoltà di designare la persona del donatario e l’oggetto della donazione), in ragione della ratio tutelatrice delle medesime227. I medesimi criteri consentono di affermare l’estensibilità di altre norme che, sia pure in modo meno palese, trovano fondamento in esigenze di garanzia. Di tal genere sono, per esempio, gli interessi tutelati dall’art. 779 c.c. che commina, a certe condizioni, la nullità della donazione fatta a favore del tutore o protutore del donante, o beneficiante. Da ultimo, vanno considerate le norme che pongono a carico del donatario l’obbligo di prestare gli alimenti al donante (art.437438 c.c.) e che assoggettano a revocatoria l’atto con cui il donante arrechi pregiudizio alle ragioni del proprio creditore (art.2901 c.c.): l’applicazione di esse non presenta alcun conflitto con altre, sicché va senz’altro ammessa. 227 La stessa ratio che induce alcuni a ritenere che tali norme vadano estese anche alle liberalità diverse dal contratto di donazione, v. D’Ettore, in Intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996, p.276 ss.: l’A. nota che esiste un nucleo di norme, rispondente al criterio generale di tutela di cui all’art.809 c.c., che andrebbe applicato anche alle donazioni indirette (la cui disciplina, quindi, non sarebbe limitata a quella cd. materiale ex artt.809-737 c.c.). Alla medesima conclusione perviene Alcaro, in Vita not., 2001, 3 122 Il prefigurato sperimentare esercizio-tentativo non vuole –né potrebbe che qui si è ragionevolmente- inteso risultare esaustivo, vista l’ampiezza e la imprevedibilità degli esiti, più o meno problematici, che la prassi e l’autonomia dei contraenti potrebbero di volta in volta proporre228. E’ sufficiente, tuttavia, aver apprestato un metro d’indagine che potrebbe affiancarsi e, per certi versi, assistere, le riflessioni già vagliate (le quali spesso si limitano ad enunciare un principio informatore, senza poi dar seguito all’esame delle eventualità realizzabili). Pur nella consapevolezza di tale incompiutezza, un cenno meritano anche alcune prescrizioni tipiche dei contratti a prestazioni corrispettive che, insieme alla donazione, creano la commixtio oggetto d’esame. Della rescissione si è già detto (v. infra). Quanto alla risoluzione per inadempimento (che in materia donativa è prevista solo per la donazione modale), si tende a riconoscere l’esperibilità del rimedio anche nella donazione mista che, come detto, vive di prestazioni corrispettive: in tal caso, ad esempio, l’acquirente affronta un sacrificio per l’acquisto ed il suo affidamento nella corretta esecuzione del contratto appare meritevole di maggiore tutela. Allo stesso modo, l’interesse sottostante alla posizione del donante-venditore costituisce il punto di riferimento per della sua tutela giuridica in caso di mancato adempimento. 228 “Un compiuto esame dei problemi applicativi prospettati dalle molteplici ipotesi di mistione ipotizzabili ci porterebbe certo assai lontano” così, Cataudella, in op. cit. p.167 123 Questo riscontro sembrerebbe prima facie svilire la premessa da cui si è partiti, creando il dubbio che la consistenza data ai cd. rimedi sinallagmatici cancelli la rilevanza della liberalità. Tuttavia, tale timore non è fondato: prima di tutto perché restano sempre e secondo comunque luogo, applicabili poi, perché le non regole è sulla donazione; necessariamente vero in che l’inadempimento sia fenomeno tipico solo dello scambio, anche in considerazione del fatto che la scelta consapevole, concorde e complessa fatta delle l’affidamento delle parti stesse in nella donazione un sistema di mista, comporta rimedi capaci di ripercuotersi anche sull’intero negotium, ove d’uopo (si immagini che l’acquirente -già favorito da un prezzo conveniente- non paghi neppure quello229). Che la risoluzione possa travolgere l’intero acquisto risponde, quindi, oltre che ad un’esigenza di giustizia sostanziale, anche ad un’applicazione della regola di buona fede. Quanto alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta preme fare un ragionamento più ampio. Vero è che si è detto che la causa concreta e sui generis della donazione mista partecipa alla logica liberale ed a quella di scambio, tanto che a questi due aspetti ci si è sinora riferiti; ma è altrettanto vero che si è parlato di una sintesi dinamica 229 E’ lecito supporre che l’inadempimento dell’acquirente determini nell’alienante un sentimento di sfiducia che lo distolga anche dal proposito liberale: quindi, ove l’alienante mostrasse il suddetto interesse, è da chiedersi se quello ‘che resta’ sia sempre il contratto inizialmente voluto. Usando espressioni figurate, tolto lo scambio non rimane che il profilo liberale, cioè qualcosa di diverso dal primitivo assetto di interessi. Per l’inadempimento totale dell’alienante, vale quanto già detto: l’inesecuzione coinvolge necessariamente entrambi gli aspetti, cosicché la risoluzione è totale. Con ciò si giunge a rispondere negativamente a chi si domandi se l’alienante, di fronte all’inadempimento totale dell’acquirente, possa limitarsi a domandare una risoluzione pro quota, relativa cioè alla quota di bene il cui valore corrisponde al prezzo pattuito e non versato, e se possa perciò lasciare all’acquirente la quota corrispondente al valore eccedente (valore della liberalità) 124 che accorpa (e non scompone) i profili creando un tertium genus non identificabile più solo nella somma degli stessi. Questo preambolo serve a palesare la fondatezza delle conclusioni qui suggerite, proprio per mezzo dell’istituto richiamato (art.1463 c.c.): difatti, ove ci si limitasse a vagliare la donazione mista (rectius, la sua causa) come frutto di una somma di funzioni, senza pervenire alla concezione di una causa complessa, l’istituto della risoluzione senso, se accezione ci per impossibilità si riferisse alla ‘autentica’ (tant’è sopravvenuta non componente liberale che, regolarmente, avrebbe nella non sua potrebbe verificarsi in capo al donatario -puro e semplice- la condizione di impossibilità alcuna sopravvenuta, prestazione). Al dato contrario, che egli ove si non è tenuto ad addivenga all’esame della complessivo assetto di interessi -perseguito dalle parti stesse come un unicum-, ed insieme si esamini la ratio dell’art. 1463 c.c., allora dell’istituto: di modo si che, individua nella agevolmente donazione l’utilità mista, ove il donatario-acquirente è obbligato ad una prestazione, essa potrebbe nel tempo rivelarsi impossibile da realizzare (allo stesso modo, la prestazione impossibile, del tanto da donante-venditore giustificare il potrebbe rifiuto, dell’acquirente di provvedere alla controprestazione) Ciò posto, per ragioni simili, non si divenire vede da 230 parte . motivo per non includere tra quelli adottabili anche l’istituto della reductio ad 230 Cataudella evidenzia, molto acutamente, che tale conclusione viene supportata dal fatto che l’ipotesi di impossibilità sopravvenuta è menzionata in casi di donazione modale: “ciò comporta la rilevanza degli eventi sopravvenuti che alterino il rapporto ” ; in op. cit. p.163. Tuttavia, più che per la prevalenza esercitata dall’art.1463 c.c. sulle norme poste per la donazione (ibidem, p.164), ci si sente di notare che sia piuttosto la vera e propria ratio dell’istituto –affiancata dall’impostazione data al negotium- a giustificare la scelta fatta 125 aequitatem, in virtù del fatto che, applicabile di per sè ai contratti a contratti prestazioni corrispettive, con dell’art.1468 obbligazioni c.c. (dunque di lo una rappresenta è sola un anche in caso parte valido in di virtù richiamo per entrambe le declinazioni della donazione mista). Si pensi al caso di eccezionale deprezzamento del bene (che sia di tale entità da incidere sostanzialmente sull’equilibrio economico del patto ed in misura tale da svilire il senso della liberalità): allora, la riduzione ad equità dovrebbe avvenire in modo proporzionale, così da salvare l’originario rapporto scambio-liberalità231. Più limitatamente, per quanto attiene all’ipotesi usuale di vendita mista a donazione, è d’interesse la disciplina in materia di evizione e vizi della bene venduto. Innanzitutto, ancora una volta, è necessario aver riguardo alla pattuizione contrattuale che determina il prezzo, tant’ è che ad essa occorre guardare per comprendere l’entità del vizio rispetto al valore pattiziamente attribuito al bene (e non a quello oggettivo). In secondo luogo, la norma di rinvio in questo caso è l’art. 797 n.3 c.c. che adeguandola consente di all’equilibrio graduare la contrattuale. tutela Essa dell’acquirente prevede che il donante sia tenuto alla garanzia per evizione, senza necessità di apposita pattuizione, concorrenza con in l’ammontare determinate degli oneri ipotesi, o fino alla dell’entità delle prestazioni ricevute: anche qui, come nella donazione mista, la 231 Dove per scambio si può intendere reciproco trasferimento in funzione di un unico disegno causale, nella concezione di Biscontini, in Bilateralità, Onerosità, cit. 126 posizione del garantito è qualificata dal fatto di affrontare o aver affrontato un sacrificio. Più genericamente, l’acquirente ‘ha fatto qualcosa’ per meritarsi la liberalità. Orbene, il fatto che l’acquirente abbia affrontato un sacrificio, seppur irrisorio rispetto al valore della donatio, sposta necessariamente la bilancia degli affidamenti e della ripartizione dei rischi. Pertanto, il donatario in questi casi ha diritto ad una garanzia che, altrimenti, sarebbe di norma estranea al regime attenuato di responsabilità che grava sul donante. Il punto, ora, è se tale tutela sia graduata e si estenda ‘fino alla concorrenza dell’ammontare degli oneri o dell’entità delle prestazioni ricevute dal donante’ o sia, quella più ampia e totalizzante, prevista nella compravendita. Nonostante sia accreditata la prima risposta232, si reputa più coerente il altrimenti, risultato233 il cui si giunge constatando che, venditore-donante sarebbe avvantaggiato dalla pattuizione proprio nel senso di evitare il vincolo più rigoroso. Del resto, non è azzardato comparare l’ipotesi di donazione mista, in cui si ravvisa anche lo schema della compravendita, all’ipotesi di cui al n.1 dell’art.797 che dichiara tenuto il donatario alla garanzia senza limitazioni nei casi in cui abbia ‘espressamente promesso la garanzia’234. Senza considerare, legittimare poi, l’isolamento che del l’opposta conclusione contenuto rispetto alla natura del patto. 232 In questo senso, ad es., si esprime Caredda, in op. cit. 233 Cataudella, in op. cit., p. 174 234 Di tale accostamento va dato il merito a Cataudella, ibidem 127 economico sembrerebbe dell’atto E’ interessante, ‘promessa’ di infine, donazione soffermarsi mista. E’ sull’eventualità noto che la di una donazione non sopporterebbe un preliminare obbligo di adempiere, tenuto conto della necessaria spontaneità dell’attribuzione e della perfezione dell’impegno assunto secondo lo schema ex art.782 c.c.. Nonostante ciò, non sarebbe altrettanto arduo ammettere la configurabilità di una promessa avente ad oggetto una donazione mista, secondo l’inquadramento che ne è stato fatto. Il negotium mixtum sarebbe esempio, del costituito contratto dalla stessa preliminare promessa con il oggetto, quale ad si è consapevolmente perseguita una sproporzione tra le prestazioni. Risultando, peraltro, l’effettivo intento negoziale diretto alla conclusione della donazione mista, l’atto dovrà, in forza di quanto detto, essere rivestito della forma solenne prevista. Posta l’ammissibilità235 di un contratto preliminare avente ad oggetto un negotium mixtum, l’eventuale trasferimento del bene potrebbe realizzarsi mediante la definitivo mediante cui contratto successiva si conclusione realizza del l’intento di liberali. Non resta logica: se che aggiungere che la liberalità è la soluzione spesso risponde una categoria transnegoziale a che informa di sè anche atti diversi, accomunati dall’essere diretti pure alla realizzazione di un interesse liberale, la sua presenza deve tradursi in un nucleo di disciplina ispirata proprio agli aspetti che la unificano. Tale riflesso, se si sviluppa negli atti 235 Condivisa da D’Ettore, in La Donazione, cit. p.42 128 diversi da quelli ex art.769 c.c., a fortiori si avvertirà in caso di donazione mista, ove si aderisca alla lettura, qui offerta, di contratto con causa rivelatrice di un rapporto a prestazioni corrispettive e donazione ‘pura’. Considerato medaglia, che tale bisogna accordo notare presenta che la più facce disciplina di risente un’unica di tale complessità: la natura multiforme dell’atto in questione richiede, quindi, la sua integrale valutazione. La necessità di provvedere ad una simile valutazione dell’atto impone la considerazione di vari profili di rilevanza, anche ai fini dell’individuazione delle norme applicabili. Le aree di conflitto tra questi complessi di norme sembrano assai meno frequenti di quello che si può immaginare, benché non se ne possa sottovalutare l’importanza. Ma quando più norme si trovano a regolare in modo difforme i medesimi aspetti, non sempre esse entrano in rotta di collisione. Ne riesce dimostrata, dell’applicazione ancora una con-corrente: volta, tale la possibilità considerazione non è impossibile se si ricorda che lo studio è ricaduto su accordi in cui la compenetrazione l’isolamento di uno dei dei profili due non fattibile. 129 è decisa pare e sempre dove, quindi, un’operazione