la donazione mista

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la donazione mista
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI
DI
MACERATA
Dipartimento di giurisprudenza
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
DIRITTO DEI CONTRATTI
Ciclo
LA
XXIV
DONAZIONE
MISTA
TUTOR
Chiar.mo Prof. Carlo Alberto GRAZIANI
DOTTORANDO
Dott.sa Anna CAFAGNA
COORDINATORE
Chiar.mo Prof. Franscesco PROSPERI
ANNO 2013
1
INDICE
INTRODUZIONE
p.3
CAPITOLO 1
p.17
NEGOTIUM MIXTUM CUM DONATIONE : ETIMOLOGIA ROMANISTICA DELLA
FATTISPECIE
- L’INDIVIDUAZIONE DEL CONCETTO ARISTONIANO
- IMPLICAZIONI DISCENDENTI DALL’ORIENTAMENTO ARISTONIANO
-
POMPONIO:
UNA
DIVERSA
DECIFRAZIONE
DEL
NEGOTIUM
MIXTUM
CUM
DONATIONE
- IL NEGOTIUM MIXTUM CUM DONATIONE NELLA PROSPETTIVA DI ULPIANO
- UN MODELLO PERDUTO NEL TEMPO: LA MUTATA NATURA DELLA DONAZIONE
CAPITOLO 2
p.42
L’ALTERNATIVA TRA CONFIGURAZIONE UNITARIA E DUCPLICE
CAPITOLO 3
p.55
IL PROBLEMA DELLA QUALIFICAZIONE
- LA DONAZIONE MISTA COME COLLEGAMENTO NEGOZIALE
- LA DONAZIONE MISTA COME CONTRATTO INDIRETTO
- LA DONAZIONE MISTA COME CONTRATTO MISTO
CAPITOLO 4
p.93
AL DI LA’ DEL DIBATTITO DOTTRINALE. DALLA QUALIFICAZIONE AL
PROBLEMA
APERTO
DELLA
DISCIPLINA,
ATTRAVERSO
IL
REQUISITO
CAUSALE
- ELEMENTI DELLA FATTISPECIE E PROSPETTAZIONE INTER PARTES
- QUALIFICAZIONE. LE TESI DOMINANTI: CRITICA E RINVIO
- LA FORZA DETERMINANTE DELLA RAGIONE GIUSTIFICATIVA DELL’ATTO
- PROBLEMA DELLA DISCIPLINA E METODO
2
INTRODUZIONE
Il diritto conosce e riconosce numerosi modi attraverso cui la
volontà
di
arricchire
può
trovare
attuazione.
Tra
essi,
la
donazione mista costituisce, nell’elaborazione dottrinale, snodo
fondamentale delle questioni connesse all’emergere di fattispecie
che rispondono a funzioni pratiche apparentemente concorrenti sul
piano
della
valutazione
giuridica,
ma
spesso
concretamente
compatibili nella sua materialità1.
Questa affermazione definisce al contempo sia la ragione che ha
motivato questa analisi sia l’esito cui la stessa è pervenuta.
Ma, facendo un passo alla volta, occorre precisare che l’interesse
per lo studio della fattispecie in questione non dipende dalla
scarsità
di
elaborazione
caratteristica
dottrinale,
sovrapposizione
o
quanto
interferenza
piuttosto
di
dalla
posizioni
che
rende del tutto peculiare la figura.
Difatti,
con
l’espressione
donazione
mista
ci
si
riferisce
comunemente ad un’attribuzione liberale realizzata con lo stesso
ed
unico
atto
idoneo
a
fondare
uno
scambio
tra
reciproche
prestazioni: in sintesi, una fattispecie che presenta, accanto
alle
note
proprie
della
donazione,
i
caratteri
di
negozio
oneroso2.
1 Secondo D’Ettore nella donazione mista“l’attribuzione realizzata con lo stesso ed unico atto idoneo a fondare
uno scambio tra reciproche prestazioni, delle quali l’una si presenti come causa dell’altra, consente di verificare in
concreto la relativa compatibilità tra fenomeno liberale e scambio”, in La donazione, Trattato Bonilini, p.153
2 Così, Cataudella, in La donazione mista, 1970
3
La fattispecie più ricorrente nella pratica è quella della vendita
di un bene ad un prezzo nettamente inferiore al valore di mercato,
in cui il venditore-donante intende ottenere dal trasferimento del
bene un corrispettivo in denaro e, contestualmente, intende donare
all’acquirente-donatario la differenza tra il prezzo di mercato ed
il corrispettivo pattuito3. Senza voler escludere la possibilità
di altre ipotesi, a questa conformazione si farà riferimento,
anche
nel
prosieguo,
come
principale
termine
di
paragone:
il
rinvio alla vendita mista a donazione è d’obbligo, non solo perché
essa rappresenta la fattispecie che più di ogni altra ha sollevato
l’attenzione delle corti4, ma anche perché costituisce la admixtio
di
due
modelli,
quello
in
cui
avviene
uno
scambio
e
quello
liberale, tradizionalmente ritenuti inconciliabili5.
Sulla base dell’elemento tipologico-causale in funzione del quale
si compongono ambiti ed esigenze del tutto dissimili, liberalità e
scambio
rappresentano
due
concetti
tradizionalmente
distinti
(‘quando vi è obbligazione, non può essere liberalità l’atto che è
giuridicamente
Liberalità
nella
sua
può
dovuto
in
esservi
esecuzione
adempimento
dell’obbligazione
nell’assunzione
una
volta
che
stessa.
dell’obbligazione,
questa
può
non
essere
coercitivamente ottenuta’)6. Di conseguenza, lo scollamento tra la
3 Più ampiamente, sull’oggetto, v. pag.117
4 Per completezza, si ricorda che Biondi annovera che in giurisprudenza si sono verificati questi casi: a) vendita
per un prezzo minore b) vitalizio con rendita inferiore al valore della cosa (App. Torino, 21.07.1951) c) divisione
in cui uno dei condividenti coscientemente e per spirito di liberalità, ottiene meno di quanto gli spetterebbe (Cass.
2068/1943); in Tr. Dir. Civ., Utet, p.944
5 “L’affermata incompenetrabilità delle due categorie pregiudica, peraltro, l’istituto -concettualizzato alla
stregua di una celebre opinione aristoniana (D.39,5,18)- del negotium mixtum cum donatione, in cui un unico
schema negoziale assolverebbe ad un complesso di interessi, coesistendo la causa onerosa con quella liberale”,
così Giunti, in Donazione, Digesto civ., Torino 1990, p. 161ss.
6 Oppo, in Adempimento e Liberalità, Giuffrè, 1947, p.47. Lo stesso A. ritiene che ‘Fra il pagamento come
adempimento di un obbligo giuridico e la liberalità come attribuzione spontanea sorretta dall’animo di
4
concreta funzione dell’atto ed i criteri selettivi dettati dai
tipi si accentua nella valutazione di fenomeni negoziali, come
quello in esame, non facilmente ascrivibili agli ambiti descritti
dalla
tradizionale
prefigurazione
tipologica
dei
contratti
nominati.
L’analisi sulla donazione mista si inserisce proprio in questo
contesto,
fornendo
questioni
connesse
all’elaborazione
all’emergere
di
dottrinale
fattispecie
lo
che
snodo
di
soddisfano
funzioni inconciliabili7 sul piano della valutazione giuridica, ma
di fatto effettivamente volute nella materialità perseguita dai
contraenti.
Presupposto logicamente rilevante per un’indagine così impostata,
non possono essere dunque se non le ipotesi in cui il carattere
‘dovuto’ ed il carattere ‘liberale’ non si presentino con quella
chiarezza
ed
univocità
di
lineamenti
che
rende
agevole
la
distinzione nei termini elementari: in questa zona di confine,
nella
quale
sfumati,
i
cade
contorni
delle
l’oggetto
di
fattispecie
questo
esame.
attributive
Oggetto
appaiono
che,
così
individuato, non potrebbe prescindere nemmeno dal riconoscimento,
in capo all’autonomia privata, della facoltà di predisporre i più
vari meccanismi per perseguire interessi meritevoli di tutela.
Questo conferma come l’asse del problema venga inevitabilmente
spostato dall’atipicità degli atti di autonomia privata, dato che
avvantaggiare altri, l’antitesi logica e positiva è per sé netta e si farebbe offesa al lettore a non darla per
presupposta’
7 Infatti Deiana, in La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, in Dir. e Pratica commerciale, 1938, I,
p. 209 “…questo vantaggio non può assurgere al grado di attribuzione patrimoniale a titolo gratuito, senza un
accordo delle parti sul punto … data l’antitesi esistente tra il concetto di onerosità proprio della vendita e quello
della gratuità proprio di ogni atto liberale”
5
la
donazione
mista
presenta
sì
elementi
riconducibili
a
due
diversi contratti tipici (vendita e donazione), ma dalla loro
funzione scaturisce una figura a-tipica o, meglio, meta-tipica.
A maggior ragione bisogna aver chiaro ciò che sembra trascurato da
alcune trattazioni, ovvero il dato relativo alla
definizione
degli elementi di fatto di cui consta la donazione mista. Essi
possono
essere
identificati
in:
a)
la
sproporzione
tra
le
reciproche prestazioni; b) lo spirito di liberalità; c) l’accordo
sullo spirito di liberalità.
In effetti ed in particolare per quanto inerisce sub c), qualora
il
compratore
inferiore
ignori
perché
che
animato
il
da
venditore
liberalità,
aliena
pare
ad
un
indubbio
prezzo
che
si
ricada in un semplice accordo di compravendita: in tal caso, la
liberalità
resterebbe
‘isolata’,
dato
che
l’intenzione
non
esternata dell’alienante non contribuirebbe alla formazione della
volontà negoziale. In tal caso, non pare revocabile in dubbio che
nessuna delle norme sulla donazione potrebbe trovare attuazione,
visto che la mera sproporzione tra prezzo e valore del bene non è
sufficiente
a
privare
il
contratto
dei
connotati
della
mera
vendita.
Dunque, qualora informi l’altra parte dello spirito di liberalità
che lo anima, l’alienante desidera far discernere all’acquirente
l’esistenza
di
una
liberalità
in
suo
favore8:
in
tal
modo
l’intenzione viene a connotare la dichiarazione. “L’evasione dal
tipo contrattuale della vendita si può infatti avere soltanto
8 “…sono disposto ad alienarti per 50 quest’oggetto che ha un valore maggiore in modo da farti, come intendo
effettivamente farti, una liberalità” così Deiana spiega le intenzioni del venditore, in La natura giuridica del
negotium mixtum cum donatione, Diritto e Pratica commerciale, 1938, I, p. 144
6
quando l’intenzione di realizzare colla conclusione del negozio a
quelle determinate condizioni una liberalità venga a far parte
delle
dichiarazioni
contrattuali
e
sia
quindi
riconosciuta
ed
accettata dall’acquirente. La necessità di questa accettazione è
una conseguenza del principio che la donazione è un contratto” 9.
Di
talché,
si
giunge
anche
ad
un’altra
deduzione:
se
il
regolamento deve essere frutto di un accordo, gli elementi di cui
si è detto non potranno che essere propri
struttura
contrattuale
(sicché
tende
di un tipo negoziale a
ad
escludersi
la
configurabilità di mistione tra donazione e negozi unilaterali10).
Ciò premesso, è agevole comprendere come lo studio qui proposto
abbia
necessariamente
dovuto
confrontarsi
con
il
risalto
dell’architettura contrattuale che la prassi ha creato al fine di
trovare la struttura più adatta alla realizzazione della funzione
in relazione alla varietà degli interessi sottostanti.
L’animus donandi, in questa prospettiva, se costituisce il quid
pluris della volizione, che altrimenti resterebbe relegata alla
vendita,
deve
rilevare
‘il
collegamento
sussistente
fra
gli
effetti essenziali perseguiti e lo scopo per cui si è manifestata
la volizione’11. Per essere più precisi, non si tratta neppure
dell’intento
pratico
qualificazione
negoziale
particolare
in
sé
considerato,
dell’intento
pratico
ma
di
una
mediante
il
riferimento ad una caratteristica che la distingue da altre12.
9 Così Deiana, p. 145, cit.
10 Nello stesso senso, v. Cataudella, La donazione mista, Giuffrè, 1970
11 Così Checchini, in L’interesse a donare, Riv.dir.civ., 1976, p.259
12 In questo senso si esprime Checchini, in L’interesse a donare, Riv.dir.civ., 1976
7
Per queste ragioni, si è tentato di
meramente
descrittiva,
ma
sollecitata
impostare un’analisi non
da
profili
applicativi
problematici emergenti dalla commixtio di liberalità e scambio
all’interno
di
una
svolge una funzione
fattispecie
in
cui
il
‘fenomeno
liberale’
rilevante, ma non esclusiva, asservita in
quanto tale alle esigenze di autonomia dei contraenti.
Il materiale raccolto -le riflessioni sul tema sono multiformi e,
pur
giungendo alla medesima conclusione, passano anche attraverso
percorsi argomentativi differenti- ha indotto a ritenere opportuno
seguire un iter capace di esaminare al meglio il ventaglio delle
riflessioni
disciplina
in
materia
:
configurazione,
qualificazione,
rappresentano i focus alla luce dei quali
è stato
condotto lo studio.
Il contrasto di opinioni esistenti sul tema è la prova migliore
dell’interesse che l’esame della figura riveste, al di là del
fenomeno
di
‘stanchezza’
determinato
dal
cristallizzarsi
di
determinate impostazioni. Non a caso il maggiore pensatore sul
tema (Cataudella) spesso sottolinea come il ‘cemento unificatore
della categoria’ siano proprio i dubbi, applicativi e non, che la
riguardano.
Non a caso, l’istituto ha posto sin da subito la complessità
legata all’inquadramento giuridico della fattispecie.
In primis, è evidente la divergenza in dottrina, innanzi tutto,
tra sostenitori dell’unicità del negozio così configurato e quelli
della sua duplicità. Molti i criteri utilizzati per la soluzione
di tale preliminare questione: quello della causa, quello della
8
volontà
delle
parti,
quello
del
valore
oggettivo
delle
prestazioni.
Premesso che si aderisce alla configurazione della donazione mista
come negozio unitario –né si vede come potrebbe essere altrimenti, l’analisi procede nel senso della qualificazione giuridica della
donazione mista.
A riprova della difficoltà ermeneutica riscontrata dai giuristi
che si sono avvicinati a tale figura, basta citare le ponderazioni
di alcuni giuristi tedeschi, tra i quali la donazione mista viene
qualificata da Leonhard (contratto di compravendita concluso in
maniera liberale), Muller (negozio unico sui generis), Hoeniger
(causa mista e combinationstheorie), Von Tuhr (donazione) Shilling
(vendita),
giungendo
tutti
a
definizioni
dissimili.
Simile
distonia si rinviene nella dottrina domestica se si pensa che alla
tesi che addirittura nega l’esistenza della donazione mista -“la
tipicità sociale dei negozi vigente ancora nel nostro sistema
giuridico come tipicità sociale di cause che ne rendono ragione,
ostano ad ammettere una figura anfibia come quella nel negotium
mixtum cum donatione”13- se ne accostano principalmente altre tre,
quella del collegamento negoziale (di due negozi, uno oneroso,
l’altro gratuito), quella del contratto misto (in forza della
duplice
sussumibilità
dell’accordo
e
del
criterio
della
combinazione) e quella che identifica la donazione mista come
contratto
indiretto
(tesi
abbracciata
anche
dalla
Corte
di
legittimità a sostegno della tesi della non necessità della forma
13 Betti, in Tr. Dir. Civ. Vassalli
9
notarile). Da qui è sorta dunque la necessità di soffermarsi, per
quanto d’uopo in questa sede, anche su tali concetti (contratto
misto, indiretto, collegato).
L’iter d’investigazione ha indotto ad interrogarsi preliminarmente
sull’origine
della
fattispecie
esaminata.
sull’etimologia
dell’espressione
negotium
hanno
all’esame
originaria
condotto
della
mixtum
Le
ricerche
cum
donatione
prospettazione
di
Aristone che - in D. 39.5.18- ulp. 71 ad edictum - parla di
admixtio, superata poi dalla visione di Pomponio e Ulpiano, tutte
infine
travolte
dalla
legislazione
costantiniana
che
ha
determinato il presupposto delle moderne teorie sul negozio misto.
In tal modo si è inteso chiarire, da un lato, a quali presupposti
vada ancorato il nomen che costituisce il substrato a cui ancora
attualmente
si
saldano
le
osservazioni
circa
la
controversa
configurazione del negotium mixtum cum donatione; dall’altro, è
stato possibile trarre proprio dalle impostazioni superate, ed in
particolar modo da quella di Pomponio, una
riflessione sul metodo
di studio da applicare alla figura in esame.
Sul punto
giova
precisare
che
il
termine
negotium
mixtum
cum
donatione, mutuato da Savigny proprio dalle fonti romane, è di
gran lunga il più diffuso in letteratura e giurisprudenza. Il
termine donazione mista che –non è superfluo notarlo- ribalta
l’ordine
preferito
degli
dalla
addendi,
viene
dottrina
proposto
tedesca
da
che,
14 Parla di ‘gemischte Schenkung’ in Preussisches Privaterecht, Berlino, 1896
10
Forter-Eccius14
favorendo
e
maggiore
sinteticità,
evita
di
impiegare
un’espressione
latina
con
significato alquanto dissimile da quanto le era proprio.
Naturale punto d'arrivo di questo primo step è stato quindi il
canone operativo in direzione del quale dirigere lo studio della
fattispecie:
non
conferimento
di
potendosi
un
trarre
alcuna
significato
conclusione
obiettivo
al
dal
mero
regolamento
predisposto dalle parti -secondo id quod plerumque accidit-, essa
si è voluta ricavare attraverso un’attenta analisi della loro
volontà onde stabilire ciò che i soggetti abbiano di volta in
volta effettivamente statuito. In tale ottica, l’accertamento di
ciò
che
actum
modernissima
sit
di
-riprendendo
Pomponio-
l’impostazione
funge
da
esatta
giuridicamente
determinazione
dell’intento perseguito dai soggetti. La presenza del peculiare
accordo nella donazione mista
(il volontario sbilanciamento delle
prestazioni) entra, dunque, a far parte della sua struttura in
modo da caratterizzarne la funzione.
L’osservazione
dei
possibili
esiti
negoziali
discendenti
dai
contenuti dell’accordo, come tali, modellabili a seconda delle
necessità, induce a
funzioni
(prima
ritenere che nella donazione mista le due
facie
incompatibili)
sono
entrambe
essenziali
accorpandosi in una unica causa sui generis (lo scopo liberale si
fonde con quello di scambio in quanto le parti non concluderebbero
un contratto diverso a condizioni diverse): impostazione, questa,
che si è intesa leggere alla luce della concezione della causa
concreta,
la
quale
della fattispecie
affonda
le
radici
nell’individualizzazione
(intesa non tanto come volontà dell’individuo
11
che
pone
in
essere
il
contratto,
ma
come
ragione
ontologica
dell’accordo individuato in base ad una sintesi dinamica della sua
funzione economico-individuale: in poche parole, il quod actum sit
di
Pomponio)
e
che
-forse-
riesce
a
risolvere
il
problema,
segnalato da Cataudella, della elasticità dei tipi legali15.
Questo è l’alveo concettuale all’interno di cui ci si è spinti con
l’intento di rilevare quanto il criterio così determinato potesse
interloquire con le interpretazioni che la dottrina ha dato alla
donazione mista.
Da qui, la necessità di un intero capitolo dedicato al computo
delle tre teorie elaborate. Quanto all’impostazione che indica la
donazione
mista
tra
i
negozi
indiretti,
precisamente
tra
le
liberalità atipiche contemplate nell’art. 809 c.c., si ritiene che
si tratti di una similitudine superficiale:
tale inquadramento si
fonda sulla premessa che l’intento liberale non entri a far parte
della
struttura
contrattuale,
negando
di
fatto
il
presupposto
dell’applicazione della disciplina della donazione. Nel negozio
indiretto, lo scopo ulteriore perseguito dalle parti resta così
estraneo alla struttura del contratto (si può dire che non si
‘rivela’), cosa che non pare ragionevolmente ammissibile nella
donazione mista.
Nondimeno,
il
richiamo
al
negozio
misto,
così
come
tradizionalmente elaborato, non è parso del tutto appropriato, o
meglio, potrebbe essere riletto in forza di un’altra ottica utile
ad
approfondire
un
determinato
15 Cfr. Cap. 4
12
profilo:
la
donazione
mista
diventerebbe quindi un negozio con propria individualità e propria
funzione concreta che consente di realizzare sia uno scambio che
una liberalità, pur senza limitarsi alla sommatoria di queste due
componenti.
Dalla lettura proposta deriva che la qualificazione ricercata pare
possa individuarsi in base alla valutazione degli interessi di
volta in volta
perseguiti: se l’atto
soggettivamente-
diretto
alla
appare obiettivamente –e
realizzazione
di
un
interesse
liberale, quest’ultimo contribuisce a delinearne la causa non meno
che gli altri profili presenti nell’accordo, quindi
non resta
‘fuori’ da esso.
Il
traguardo
dello
studio,
ovvero
l’individuazione
della
disciplina del contratto così delineato, si pone, dunque, come
problema di scelta delle norme
più adatte al caso concreto, per
la ratio che le ispira ed per la funzione praticamente conseguita
dai contraenti.
Così
tante
sono
le
combinazioni
scaturenti
dalla
prassi
che,
perciò, è emersa la necessità di individuare in primis un metodo
avendo in mente che “quello che … permette di identificare il
rapporto è la volontà delle parti e la causa”16.
Quanto alla disciplina applicabile, stante quella che Cataudella
chiama ‘duplice sussumibilità’ della fattispecie, si desume la
concomitante applicabilità delle discipline concorrenti. Ove si
verifichi una sovrapposizione di norme, in base ai criteri di
scelta, verrà privilegiata la norma più aderente alla questione
16 Biondi, in Chiarimenti intorno al nmd, Banca borse e tit. credito, 1960
13
concretamente prospettata:
in sintesi, una ricostruzione fondata
sulla causa sembra rispettosa della realtà nonchè più efficace
all’analisi
della
l’individuazione
volontà
del
dei
profilo
di
contraenti,
volta
in
così
volta
come
rilevante
è
necessaria per la scelta della disciplina applicabile.
L’idea secondo la quale la eziologia del contratto debba essere
valutata in concreto, infatti, non solo rende più elastica la
distinzione tra causa e motivi, ma consente anche di abbandonare
l’angolo visuale che aveva indotto alla formulazione della teoria
del negozio indiretto.
Verificati
in
tal
senso
i
suddetti
aspetti
–preliminari,
ma
sostanziali- inerenti configurazione e qualificazione della figura
negoziale, è stato preso in esame il profilo, non meno spinoso,
legato
al
osservare
vaglio
un
delle
metodo
di
norme
applicabili,
astrazione-schema
ritenendo
utile
ordinante-assetto
di
interessi-disciplina e rifacendosi in parte a quanto interpretato
da
Champeau17,
cercando
un
esito
coerente
con
la
visione
prospettata.
La donazione mista, quindi, si presenta in realtà come una figura
esclusiva,
ricostruzioni
non
sempre
offerte
facilmente
dalla
inquadrabile
dottrina,
nelle
rilevando,
diverse
secondo
una
valutazione delle ipotesi in concreto, una funzione negoziale che
appare
sintetica,
per
alcuni
aspetti,
di
elementi
tipici
di
diversi schemi contrattuali, ma in ultima analisi comunque capace
di
caratterizzare
un’operazione
17 Cfr. Cap. 4
14
unitaria.
Per
tale
motivo,
la
figura della donazione mista merita ancora oggi uno studio attento
muovendo dalla ‘rivalutazione’ della prospettiva suddetta.
La concreta ragione giustificativa di un atto va infatti colta
tenendo conto degli scopi in concreto perseguiti con il contratto
nel loro legame con la causa dell’attribuzione.
Da
qui
deriva,
ad
esempio,
la
non
condivisibilità
dell’impostazione dottrinale18 secondo cui non sarebbe necessario
riferirsi
ad
una
pretesa
elasticità
delle
fattispecie
causali
tratte dalle definizioni dei tipi legali: al contrario, si vedrà
che questo resta uno dei punti decisivi, e cioè verificare il
grado
di
compatibilità
che
l’elasticità
della
fattispecie
causale19 presenta rispetto alla rigidità della struttura tipica.
Alla
sicura
corrisponde
riconoscibilità
l’operazione
sociale
economica
del
contratto
realizzante
un
individuato,
determinato
assetto di interessi cui è riconducibile uno specifico rapporto
effettuale che può trovare disciplina anche in un modulo legale
‘diverso’, ma più adeguato all’assetto di interessi prefissi. Se,
pertanto, la libertà contrattuale significa anche possibilità per
i soggetti di dare ai propri interessi una regola difforme, in
tutto o in parte, da quella fissata dai tipi legislativamente
disciplinati, la sottoposizione di un accordo, che non si inquadra
nel
tipo,
esclusivamente
alle
regole
del
tipo,
appare
inconciliabile con tale libertà, dando agli interessi delle parti
un assetto diverso da quello che le stesse perseguivano.
18 Ci si riferisce a Biscontini, in Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti
19 Cfr. Oppo “…poiché la causa è di necessità scopo di un risultato pratico…”, in Adempimento e liberalità,
Giuffrè, 1947, p.61
15
Al contrario, se bastasse una piccola difformità della fattispecie
concreta
da
quella
astratta
ad
impedire
l’inquadramento
nello
schema tipico, le norme sui contratti nominati subirebbero una
radicale svalutazione.
Pertanto, sebbene con questa breve riflessione ci si proponga di
fornire
né
una
elaborazione
dell’ampio
ventaglio
suscitato,
il
fine
di
originale
né
un’analisi
che
la
donazione
quello
di
opinioni
limitato
è
offrire
un
esaustiva
mista
ha
panorama
informativo sugli orientamenti in tema, così da predisporre un
metodo d’indagine, questo sì, valevole nei diversi casi che la
prassi proponga.
16
1.
NEGOTIUM
MIXTUM
CUM
DONATIONE
:
ETIMOLOGIA
ROMANISTICA
DELLA
FATTISPECIE
Nel libro 71 del commentario ad edictum, Ulpiano riferisce che
“Aristo ait, cum mixtum
sit negotium cum donatione, obligationem
non contrahi eo casu quo donatio est, et ita et Pomponius eum
existimare refert”
(D. 39.5.18 – Ulp. 71, ad edictum).
L’espressione ‘negotium mixtum cum donatione’, pur presentandosi
una sola volta nelle fonti romane20, viene ancora utilizzata nei
diritti continentali moderni.
Restano notevoli il contributo e l’analisi diligente della scuola
pandettistica
introduzione
che
nel
regolamentazione
affrontò
Bgb
del
di
la
una
fenomeno21;
questione
norma
dell’eventuale
finalizzata
l’interesse
della
alla
dottrina
tedesca, pur non sfociando nella creazione di alcuna norma ad hoc,
è stato mutuato anche dagli studiosi italiani che hanno spesso
esplorato la materia con esiti di cui si dirà.
L’ispezione dell’istituto de quo pare -per ragioni di completezza,
ma non solo- non poter prescindere dall’esame, prima che delle
20 Così R. Scevola in Negotium mixtum cum donatione, p. 12, Cedam 2008
21 Del ‘gemischte Schenkung’ (donazione mista ) parlano F. Von Savigny, W. Koeppen, F. Mechtold, W.
Weirauch, K. Ternka, etc…; della riflessione circa l’opportunità di introdurre nel Bgb un norma diretta a
disciplinare il negotium mixtum cum donatione restano testimonianze nei Motive zu dem Entwurfe eines
burgerlichen Gesetzbuch fur das Deutsche Reich
17
teorie ad esso inerenti, della locuzione tuttora impiegata, (ma)
emersa
nel
diritto
romano
classico,
così
da
individuarne
i
requisiti originari e l’evoluzione.
Pur senza indugiarvi, si tratta di chiarire a quali presupposti
vada ancorato il nomen che costituisce il substrato a cui ancora
attualmente
si
saldano
le
osservazioni
circa
la
controversa
configurazione del negotium mixtum cum donatione.
L’INDIVIDUAZIONE DEL CONCETTO ARISTONIANO
La testimonianza di Ulpiano circa l’operatività della figura in
esame è22 ben lontana dal costituire lo sbocco di una riflessione
articolata: Aristone ne dà conto in collegamento con un’altra
sedes
materiae,
quella
dell’interdictum
intento definitorio dunque
de
precario23;
nessun
si ricava dal commentario ulpianeo.
A prescindere dall’indagine circa la struttura e la storia del
passo, il rapporto tra negotium e donatio in esso delineato appare
ricco di implicazioni interessanti in questa sede, se considerato
alla luce della casistica e dei singoli contesti in cui è stato
utilizzato24.
Aspetto preliminare riguarda il valore che Aristone avrebbe dato
alla locuzione ‘obligationem non contrahi’ laddove si afferma che
nessun vinculum iuris viene assunto ‘eo casu quo donatio sit’ .
E’ plausibile considerare che ‘non vi sono sul piano generale
elementi
testuali
tanto
decisivi
da
indurre
a
ritenere
che
22 Di questo avviso, E. Stolfi, A. Schiavone, T. Dalla Massara, C.A. Cannata
23 L’interdictum de precario era un rimedio accordato dal pretore a colui che accordava precariamente l’uso
della cosa contro il precarista, cioè il possessore a titolo precario che non volesse restituirgli la cosa stessa
24 Il diritto “è visto al solito nelle applicazioni concrete, nelle soluzioni dei casi.”, questo sottolinea F. Gallo, in
La concretezza nell’esperienza giuridica romana, Index p. 7, 1974
18
l’espressione
contrahere
obligationem,
di
cui
è
indiscussa
la
portata tecnica, avrebbe dovuto indicare l’atto costitutivo del
vincolo
e
non,
piuttosto,
il
rapporto
da
quest’ultimo
originato’25.
Per quanto poi attiene il termine negotium, sembra ragionevole
ricavare una tendenziale propensione del giurista traianeo verso
l’accezione
più
ampia
di
esso,
nel
senso
onnicomprensivo
di
‘affare’ come attività a contenuto oneroso26.
Se ne può approfondire il senso se si accosta a questo testo un
altro, in cui alla donatio si affianca il negotium accompagnato
dalla
qualificazione
gestum:
“Liber
homo,
qui
bona
fide
mihi
servit, id quod ex operis suis aut ex re mea pararet, ad me
pertinere sine dubio Aristo ait : quod vero quis ei donaverit aut
ex negotio gesto adquisierit, ad ipsum pertinere et rell.” (D. 41.
1.19 –Pomp.3 ad Sab.).
Il frammento tratta le questioni del liber homo bona fide serviens
quale soggetto di rapporti giuridici27: gli acquisti effettuati
dal liber
homo
avvalendosi del
patrimonio
del
padrone (ex re
eius), insieme a tutto quello ricavato dalla propria attività
lavorativa (ex operis suis), sarebbero dovuti essere imputati al
presunto
donazione
dominus,
o
avesse
mentre
le
sostanze
guadagnato
che
attraverso
avesse
la
ricevuto
propria
in
attività
25 R. Scevola, in Negotium mixtum cum donatione, p. 16, Cedam 2008
Questa ottica viene usata anche da G. Deiana per interpretare la volontà delle parti che concludano una donazione
mista, in La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, Diritto e Pratica commerciale, 1938, I, spec. p.
228
26 Così Biondi : “ tra donatio e negotium intercede quella medesima contrapposizione che intercede tra liberalità
e affare. I due concetti sono incompatibili”, Chiarimenti intorno al n.m.c.d. e alla donazione indiretta, in Banca
Borsa e Tit. di credito 1960, p. 181
27 La figura è analizzata da Reggi Roberto, in Liber homo bona fide serviens, Giuffrè, 1968
19
negoziale
(quod
vero
quis
ei
donaverit
aut
ex
negotio
gesto
adquisierit) ne avrebbero accresciuto il patrimonio personale.
In D. 39 Aristone sembra consapevolmente riferirsi al negozio
senza ulteriori declinazioni e invece
in D. 41 intende dare conto
delle fonti cui riferire l’arricchimento patrimoniale del liber
homo, attribuendo una diversa tonalità alla operatività negoziale
in virtù della peculiare qualità giuridica del soggetto.
Quindi, in relazione a questo punto, pare che l’elemento centrale
dell’impostazione aristoniana vada rintracciato non nella maggiore
o minore ampiezza attribuita al negozio nei frammenti esaminati,
quanto nella diversa finalità assolta nei contesti in cui viene
collocato.
Mentre nella fattispecie di cui in D. 41 il giurista si ferma sul
terreno delle causae adquisitionis, in D. 39 si muove
sul piano
della operatività del vincolo obbligatorio.
Dunque Aristone affronta la problematica negoziale avendo riguardo
a ciò che è suscettibile di fondare un vincolo obbligatorio, i cui
aspetti
provvede
ad
esaminare
procedendo
all’analisi
di
casi
concreti.
Passando alla componente donativa, si premette che il diritto
romano non conosceva la donazione tipica ma una causa donationis
idonea ad adattare i vari negozi consentendo atti di liberalità.
Tuttavia, in D. 39 compare due volte il sostantivo donatio ed in
D. 41 emerge
l’uso verbale donaverit. Sebbene il tenore letterale
dei testi possa indurre a rinvenire un’assonanza tra i termini,
esso
tuttavia
non
ha
alcun
fondamento
20
tecnico;
sotto
questo
profilo,
il
giurista
traianeo
è
allineato
agli
orientamenti
giurisprudenziali dell’epoca: non esistono due istituti negoziali
che si affiancano, ma una sola fattispecie, un solo negozio che
subisce l’influenza derivante dall’interferenza con la liberalità
nel concreto articolarsi della dinamica negoziale.
Questo promemoria del riferimento alla donatio è necessario per
fugare le elaborazioni della dottrina moderna circa il rapporto
con
il
fenomeni
negozio
laddove
autonomi
prospettazione
aristoniana.
In
ed
si
è
omogenei
falsa
il
altri
pensato
sul
fondamento
termini,
all’interazione
versante
che
di
strutturale:
ispira
l’interpretazione
la
che
due
tale
visione
riconduce
l’operatività della fattispecie alla dialettica tra due negozi
contrassegnati ciascuno da specifica causa è, invero, distante
dall’effettiva ricostruzione ascrivibile al giurista romano, dato
che in realtà si tratta di una sola fattispecie negoziale e non di
un’ipotesi di negozio complesso. Nel dictum aristoniano non emerge
la necessità di trasferire la donatio –o meglio, causa donationisdal terreno sociologico a quello tecnico-giuridico28; il richiamo
alla
donazione
non
implica
una
correlazione
tra
due
negozi
giuridici specificamente tipizzati né sottintende l’influenza di
un mero movente interno (motivo) sull’unica fattispecie negoziale,
bensì allude alla causa donationis in termini di elemento che,
versato nei negozi idonei a dotarlo della necessaria efficacia,
avrebbe consentito il trasferimento dei beni.
28 F. C. Savigny evidenzia che l’espressione donatio era stata tratta dalla vita quotidiana e per la sua
indeterminatezza aveva poi trovato stabile collocazione anche nella terminologia giuridica, in Sistema del diritto
romano attuale, Torino 1889, p. 16; concorda R. Scevola, cit., p. 55 “…non possono sussistere perplessità in ordine
all’assenza di qualsiasi tratto negoziale e di qualsivoglia connotato tipico negli atti che sarebbero stati ricondotti
più tardi alla donazione.”
21
Infine, si consideri l’espressione ‘mixtum’.
Il
rapporto
potrebbe
intercorrente
essere
tra
ricondotto
ad
donatio
un
e
obligatio
accezione
della
in
D.
mixtio
39
come
‘compresenza di due fattori appartenenti a species differenti ma
che malgrado ciò rientrano sovente in uno stesso genus ed in
relazione ai quali la preservazione della peculiare individualità
impedisce
la
scomparsa
delle
rispettive
caratteristiche
strutturali’29.
Il dictum di Aristone si fonda sulla convinzione dell’alterità
corrente tra il negotium e la donatio sul terreno dell’assunzione
delle obbligazioni, in quanto la natura dell’attribuzione liberale
appare inconciliabile con la vincolatività connaturata al rapporto
obbligatorio.
Ad
avviso
del
giurista,
il
negotium
fonda
la
struttura nella quale viene calato un regolamento caratterizzato
da profili di liberalità che in ragione della loro peculiarità non
potrebbero mai fondersi con la stessa; neppure potrebbe rilevarsi
l’integrazione
causale
delle
due
componenti
in
una
funzione
complessa perché la causa donationis è una mera causa di acquisto
e non ha valenza negoziale, essendo inidonea a caratterizzare uno
specifico
tipo
di
negozio.
Tuttavia
essa
mantiene
la
propria
autonomia dando vita ad un fenomeno di interferenza (admixtio) che
si traduce nell’esistenza di una ‘zona franca’, come dimostrato da
“obligationem non contrahi eo casu quo donatio est”: si allude ad
29 Così ritiene R. Scevola, p. 65, cit. , deducendo che “detti elementi hanno rilievo con riguardo ad una medesima
fattispecie concreta, nel contesto della quale sorgono problemi in ordine alla disciplina da applicare proprio in
ragione dell’autonomia che tendono a mantenere.”. L’ A. non condivide la tesi di G.G. Archi secondo cui
l’aggettivo mixtum è usato da Aristone per indicare un duplice intento e per conseguenza un duplice regolamento
di interessi che, pur separati nel tempo, trovano genesi nel medesimo negozio (Donazione, Giuffrè 1960), poiché,
così dicendo, si ammette una duplicità di cause mentre la causa resta solo e sempre una
22
una
separazione
estremamente
rigida
dove
l’operatività
della
liberalità esclude il vincolo obbligatorio nascente dal negozio,
ponendo
così
gli
effetti
in
rigida
sequenza
diacronica
ed
impedendo ad essi di confondersi insieme. L’enunciazione espressa
dell’antitesi
onerosità/gratuità
connota
la
distinzione
concettuale tra le due fattispecie. In definitiva non vi è alcun
vinculum
laddove
sostanziale,
vi
ovvero
sia
gli
una
donazione
effetti
sotto
ricollegabili
ad
il
una
profilo
causa
adquisitionis si realizzino in termini di pura liberalità.
La
conclusione
aristoniana
conferma
perciò
l’assoluta
incompatibilità tra negotium e donatio, la cui coesistenza diviene
possibile
solo
in
virtù
del
fatto
che
lo
spazio
occupato
da
quest’ultima è immune dal vincolo obbligatorio di fonte negoziale.
‘Per evitare…che i due aspetti in conflitto, aggregandosi l’un
l’altro, si distruggano reciprocamente impedendo al negozio di
produrre qualsiasi efficacia, Aristone asserisce che dove vi è
donazione non vi è obbligazione o, meglio, non vi è spazio per un
vinculum
esprime
iuris
il
che
astringa
carattere
mixtum
le
di
parti’30
un’unica
.
Il
giurista
struttura
romano
negoziale,
precludendo ogni fusione di elementi inconciliabili e dunque la
creazione di un tertium genus da affiancare al negotium ed alla
donatio. Esauriti gli effetti di liberalità riconducibili a tale
‘interferenza’ che rende inoperante il vincolo relativamente alla
parte in cui si produce l’effetto liberale, il rapporto esplica la
30 R. Scevola, p. 73, cit.
23
propria funzione negoziale per la parte di obligatio pienamente
operante.
In
sintesi,
nella
prospettiva
del
giurista
traianeo
l’intento
delle parti sembra mutilato in funzione di una visione oggettiva
della
fattispecie
considerazione
che
della
sembra
assai
voluntas
lontana
dalla
contrahentium,
moderna
quanto
meno
nell’ottica proposta in questo lavoro.
IMPLICAZIONI DISCENDENTI DALL’ORIENTAMENTO ARISTONIANO
“Denique refert Aristonem putare, si servum tibi tradidero ad hoc,
ut eum post quinquennium manumittas, non posse ante quinquennium
agi, quia donatio aliqua inesse videtur: aliter atque, inquit, si
ob hoc tibi tradiddissem, ut continuo manumittas: hic enim nec
donationi locum esse et ideo esse obligationem, sed et superiore
casu
quid
acti
sit,
inspiciendum
Pomponius
ait:
potest
enim
quinquennium non ad hoc esse positum, ut aliquid donetur.”.
Così si esprime Ulpiano in Ulp. 71 ad ed. D. 39.5.18. 1, dividendo
il frammento in due parti: quella in cui richiama il pensiero
aristoniano e quella in cui introduce la differente opinione di
Pomponio, alludendo ad una chiave di lettura alternativa.
Pare corretto ravvisare nella fattispecie descritta una fiducia
manumissionis
causa31:
secondo
Aristone,
infatti,
qualora
un
soggetto avesse mancipato uno schiavo di sua proprietà affinché il
fiduciario lo manomettesse dopo cinque anni dal momento in cui ne
avesse conseguito la disponibilità, il mancipio dans non avrebbe
31 In particolare, v. G. Grosso, Sulla fiducia a scopo di manumissio, in RISC, IV.3, 1929; P. Oertmann, Die Fiducia in
rominschen privatrecht, Berlino, 1980
24
potuto
esperire
l’actio
fiduciae
per
l’intero
quinquennio
quand’anche si fosse pentito e avesse voluto far valere la propria
poenitentia. In base a questa impostazione, il fiduciante non
avrebbe potuto tutelare giudizialmente un eventuale mutamento di
volontà in quanto frenato dalla constatazione secondo cui donatio
aliqua inesse videtur
32
.
A conferma della lettura suddetta, Aristone ‘avrebbe colorato il
sostantivo donatio con l’aggettivo aliqua perseguendo la precisa
finalità di sfumarne la portata e, ancora,
avrebbe fatto reggere
l’intero enunciato argomentativo dal verbo inesse per descrivere
con
la
maggiore
efficacia
possibile
il
fatto
che
profili
di
liberalità sarebbero stati iniettati nel negozio’33.
Sembra poi che la precisazione ascrivibile a Pomponio sarebbe
stata introdotta per evidenziare come nella soluzione alternativa
non sarebbe esistito spazio per effetti di liberalità (donationi
locum) e quindi, automaticamente, ideo esse obligationem. Lungi
dal negare semplicemente che vi sia donazione, si allude al fatto
che
poiché
allora
il
fiduciario
non
vi
negotium
sarebbe
traccia
manterrebbe
l’immediata
la
esecuzione
della
sua
causa
purezza
dell’obbligo
adquisitionis,
imponendo
sul
al
medesimo
gravante.
13
“…il giurista ammette che la dilazione importi liberalità per il fatto stesso che l’accipiente gode della cosa. … Se
invece questo (lo schiavo)deve essere manomesso subito, non c’è donazione, ma solo obbligazione”, riassume
Biondi, Chiarimenti intorno al n.m.c.d. e alla donazione indiretta, in Banca Borsa e Tit. di credito 1960, p. 181. Poi
sottolinea a p. 182 “ Dice aliqua e dice anche videtur : sembra cioè che intervenga un qualche elemento di
liberalità, il quale ha soltanto la funzione di escludere la esigibilità dell’obbligazione ”
33 R. Scevola, p. 83, cit. sottolinea “…la modulazione rappresentata dall’utilizzo di aliqua ed inesse costituisce la
chiave interpretativa lessicale preordinata a chiarire come nella struttura del negozio fossero stati versati elementi
estranei alla medesima nonché idonei a produrre effetti di liberalità riconducibili alla donatio.”
25
Ancora
una
volta
il
giurista
sembra
rispettare
il
rapporto
intercorrente tra negotium e donatio, evitando di equiparare le
due
causae
tanto
sul
piano
strutturale
quanto
su
quello
funzionale, sottolineando la diversa natura delle stesse -causa
negotii la prima, causa adquisitionis la seconda-: quest’ultima
funge da veicolo attraverso cui le opere dello schiavo sarebbero
acquisite
al
concretizzare
sembra
fiduciario
il
per
regolamento
figurarsi
il
periodo
delineato
nitidamente
il
indicato
dalle
pericolo
al
fine
parti.
di
un
di
Aristone
possibile
rinvenimento sul terreno negoziale della radice di entrambe le
causae (manumissionis e donationis) in cui sarebbe stato facile
incorrere nel caso di scorretto inquadramento della donazione, che
avrebbe indotto ad interpretare la figura mista alla stregua del
moderno collegamento negoziale.
Riducendo
fornire
la
un
fattispecie
parametro
che
al
negotium
consenta
di
mixtum,
Aristone
interpretare
mira
a
situazioni
affini risolvendo i problemi nascenti dalla medesime, scartando
un’indagine volta ad accertare lo specifico intento delle parti,
onde prospettare un criterio risolutivo obiettivo.
Aristone si pronuncia sulla questione dell’azione, cioè se essa
sia esperibile ante quinquennium, non in seguito al pentimento del
dominus che
voglia recuperare
accelerarne
la
liberazione:
il
le
suo
schiavo,
possibili
ma
opzioni
proprio
per
processuali
variano in base alla qualificazione del periodo transitorio in cui
il servo rientri nella disponibilità dell’accipiente. La risposta
riposa
sulla
contrapposizione
tra
26
donatio
aliqua
esse
e
nec
donationi
locum
esse:
poiché
gli
effetti
imputabili
alla
disponibilità dello schiavo durante il quinquennio configurano una
donazione, per la sua liberazione si potrà agire al termine di
tale
periodo.
Viene
così
subordinato
dunque
il
rapporto
obbligazione-azione alla donatio, la cui sussistenza paralizza il
vincolo obbligatorio ritardando la liberazione dello schiavo e di
conseguenza escludendo che se ne possa pretendere giudizialmente
l’adempimento34.
Peraltro,
causa
una
non
si
può
species
identificare
cui
Aristone
nella
fiducia
alluderebbe
per
manumissionis
illustrare
il
funzionamento del genus negozio misto35.
Aristone non descrive il negotium mixtum per quello che è, ma si
sofferma
sulle
conseguenze
concrete
desumibili
dal
suo
atteggiarsi, onde procedere ad una sorta di ‘tipizzazione’ delle
soluzioni ricavabili dall’interpretazione delle fattispecie cui
l’interferenza tra le due figure dà luogo. Dalla semplice lettura
di D. 39 emerge chiaramente come la dialettica tra donatio e
negotium
investa
obbligatorio
viene
le
modalità
attraverso
funzionalmente
cui
il
vincolo
condizionato
da
effetti
ascrivibili alla causa donandi, intesa come ragione d’acquisto.
Non a caso, il giurista dimostra che nella struttura negoziale
dove fosse rinvenibile la sussistenza della donazione si registra
la sostanziale separazione dei fattori antagonisti proprio sul
34
“ La considerazione che il negotium, perché è sempre tale, cioè affare, implica aliqua donatio era messa avanti
unicamente al fine di escludere che l’adempimento dell’obbligazione non può chiedersi finche interviene
quell’elemento di liberalità .” Biondi, cit, p. 183
35
“ La sostanza del principio enunciato da Aristone si ricollega alla nota dottrina del medesimo giurista,il quale al
fine di dare riconoscimento giuridico a quei nova negotia che man mano si presentano in pratica, sostiene che,
qualora il rapporto non rientra in alcun tipo si contratto fino allora riconosciuto, ma subsit tamen causa
obligationem“Biondi, cit., p. 182
27
piano degli effetti. L’idea di base è lontana dall’ipotizzare una
fusione della cause (in termini di assorbimento o prevalenza);
Aristone
cerca
di
accostare
(admiscere)
quanto
gli
appare
inconciliabile, risolvendo la problematica secondo la metodologia
che gli assicura il più ampio rispetto della fattispecie, ossia
tenendo
rigidamente
separati
gli
effetti
dell’una
da
quelli
dell’altra.
Concludendo, vanno escluse36 sia l’interpretazione tesa a scorgere
nella fattispecie esaminata una donazione modale sia quella, ancor
più ardita, che la considera il prototipo del negotium mixtum cum
donatione.
POMPONIO: UNA DIVERSA DECIFRAZIONE DEL NEGOTIUM MIXTUM CUM DONATIONE
In D. 39.5.18 par. 2 si rende evidente, attraverso l’accostamento
di
brani
aventi
differente
paternità,
una
sovrapposizione
di
strati giurisprudenziali diacronicamente diversi e di dissimili
elaborazioni concettuali.
In D. 39.5.18 (et ita Pomponios eum existimare refert) non si
dubita
della
adesione
di
Pomponio
alla
tesi
per
la
quale
il
negotium mixtum cum donatione sarebbe caratterizzato dalla rigida
separazione
diacronica
tra
effetti
obbligatori
e
attribuzione
patrimoniale a scopo di liberalità; e ancora, nella parte centrale
36 “La tendenza rigorosamente classificatoria che pervase la ricostruzione pandettistica fu non di rado
accompagnata dalla tendenza a stravolgere la fisionomia degli istituti…” spiega R. Scevola, p. 148, cit. , il quale si
sofferma sull’insostenibilità delle tesi che ricostruisce la fattispecie come una donazione modale (p. 132 ss.)
nonché sulle ragioni contrarie alla ricostruzione maggioritaria del testo (p. 89 ss.) . Sul l’esclusione della
configurabilità di una d. modale, Biondi, cit., afferma : “ Il giurista non poteva pensare ad una donazione modale
perché intento delle parti era quello di costituire una obbligazione mentre nella d. sub modo non nasce a carico
del donatario alcuna obbligazione…”, p. 183; v. ancora, lo stesso A., “ La questione del n.m.c.d. riguarda il caso
di un negozio tipicamente oneroso, in cui si innesta un elemento di liberalità, mentre nel caso della donazione
modale abbiamo sempre donazione economicamente limitata dall’onere”, in Le donazioni, Utet 1961, p. 656
28
di
D.
39.5.18
par.
1
(nonostante
l’espressione
‘aliter
atque
inquit’ non dia assoluta certezza circa il soggetto da preporre ad
inquit)
pare
comunque
ragionevole
assegnarne
la
paternità
a
Pomponio.
Peraltro,
l’esatta
individuazione
del
significato
testuale
non
contribuisce alla ricerca di eventuali dissonanze concettuali tra
Aristone e Pomponio, i quali mostrano anzi di condividere gli
elementi-base relativi all’impostazione del problema.
L’orientamento di Pomponio in tema di negotium mixtum, come già
accennato, non investe il problema individuando direttamente una
soluzione coincidente o alternativa rispetto a quella aristoniana,
ma presuppone l’impiego di un criterio idoneo ad identificare in
concreto l’intento pratico delle parti “sed et superiore casu quid
acti sit, inspiciendum Pomponius ait: potest enim quinquennium non
ad hoc esse positum, ut aliquid donetur” (D. 39.5.12 par. 1 –Ulp.
71 ad ed.); il giurista antoniniano non esclude che il quinquennio
possa
essere
imputato
a
liberalità,
ma
ritiene
che
detta
conclusione non debba essere individuata conferendo un significato
obiettivo al regolamento predisposto dalle parti, secondo id quod
plerumque
accidit,
analisi della
bensì
debba
loro volontà
onde
essere
ricavata
stabilire
ciò
da
un’attenta
che
i soggetti
abbiano di volta in volta effettivamente statuito. In tale ottica,
l’accertamento di ciò che actum sit funge da esatta determinazione
dell’intento perseguito dai soggetti37: il fatto che il periodo in
cui il servo sia rimasto a disposizione dell’accipiens sarebbe ‘ad
37
In questo senso anche qui, v. in Cap.4
29
hoc
positum,
ut
aliquid
donetur’
rappresenta
solo
uno
dei
possibili esiti negoziali discendenti dai contenuti dell’accordo
e, come tale, modellabile a seconda delle necessità.
Quindi,
da
un
lato
dall’azionabilità
scadenza
del
Aristone,
esaminando
dell’obbligazione
quinquennio,
risponde
di
il
problema
manomettere
negativamente
nascente
prima
in
della
quanto
il
periodo, qualificato come donazione, rende inoperante il vinculum
iuris fino alla propria
preserva
fine. La rigida separazione tra le causae
l’incompatibilità
indipendentemente
dai
funzionale
risvolti
relativi
corrente
tra
all’effettiva
esse,
volontà
delle parti: in questi termini, il negotium mixtum diviene il
risultato di un’operazione interpretativa effettuata dal giurista,
finendo la sua operatività per discendere dall’applicazione di un
criterio rigorosamente oggettivo.
Dall’altro, la logica di Pomponio, invece, pur non apportando
alcuna
variazione
dogmatica
circa
i
profili
causali,
vede
l’eventuale mixtio conseguente ad una valutazione concreta degli
intenti dei soggetti, presupponendo che siano questi a determinare
l’assetto d’interessi: secondo il giurista, le combinazioni degli
elementi della fattispecie sono preventivamente decise dalle parti
in funzione delle rispettive esigenze (quid acti sit), cosicché si
richiede non solo che le parti abbiano preventivamente
concordato
il valore da assegnare alla disponibilità quinquennale del servus
in capo all’accipiente, ma anche quale conformazione quest’ultimo
avrebbe dovuto assumere per appagarne le necessità.
30
Dunque, distinte sono le prospettive espresse dai giuristi: i
profili operativi vengono da Pomponio desunti ex post, da Aristone
preordianti ab initio.
Un riscontro della ratio sposata da Pomponio si rinviene in un
frammento (D. 24. 1.31. par. 3 –Pomp. 14 ad sab.) inerente i
problemi
determinati
donazione
dal
principale
riduzione
dalla
marito
non
è
del
vendita di
alla
il
moglie
valore
corrispettivo
o
due
schiavi
viceversa
oggettivo
pattuito,
degli
:
a scopo di
la
questione
schiavi,
proprio
in
ma
vista
la
della
donazione. Anche qui l’indagine sull’intento pratico, questa volta
dei
coniugi,
è
fondamentale:
adottando
un
percorso
analogo
a
quello usato in D. 39, Pomponio ritiene vada accertato se la
riduzione di prezzo sia effettivamente determinata dalla volontà
di donare o per finalità diverse.
‘A
ben
vedere…il
espressamente
noterebbe
frammento
dica
qualora
circa
la
lascia
intendere
l’orientamento
soluzione
finale
di
più
di
Pomponio,
venisse
quanto
come
applicata
si
alla
venditio minoris donationis causa conclusa tra soggetti non legati
da vincolo coniugale: da un lato,l’alienazione a prezzo ridotto
tra questi ultimi non avrebbe operato in quanto contrastante con
il
divieto
accennato,
perfezionata
perfettamente
da
parti
valida
dall’altro,
non
ed
unite
efficace.
invece,
in
analoga
matrimonio
Laddove
fattispecie
sarebbe
contraenti
stata
tra
loro
estranei avessero deciso di trasferire un bene fissando un prezzo
inferiore
al
suo
valore
normale
allo
scopo
di
attuare
una
liberalità e avessero trasfuso detta statuizione nel regolamento
31
d’interessi all’uopo predisposto, la compravendita e la donazione
sarebbero coesistite’38.
Anche in questi termini, quindi, il punto di vista di Pomponio
supera la concezione che caratterizza la visione di Aristone: per
quest’ultimo una vendita di tal genere sarebbe invalida in quanto
la
riduzione
del
prezzo
assumerebbe
il
senso
di
liberalità,
comportando quindi la violazione del divieto legale tra coniugi;
stessa conclusione anche per una vendita simile tra estranei, dato
che,
senza
alcun
esame
circa
l’eventuale
presenza
di
animus
donandi, la compresenza di due fattori inconciliabili si sarebbe
ridotta nella peculiare costruzione di cui si è detto (con profili
dia cronicamente separati tra negotium e donatio). Il giurista
antoniniano,
‘estranei’
donatione
invece,
-non
vede
coniugi-
espressamente
preordinato
la
mixtio
nella
una
venditio
forma
delineata
al
fine
di
tra
del
le
minoris
conclusa
tra
mixtum
cum
negotium
parti
che
soddisfacimento
avrebbero
dei
propri
interessi.
Il superamento della visione aristoniana del negotium mixtum come
fattispecie di confine
sembra trovare attestazione anche in D.
24. 1. 5. par.5 (Ulp. 31 ad sab.)39, frammento in cui Pomponio
pare condividere l’interpretazione adottata da Nerazio invece che
quella
di
Giuliano:
a
parer
del
primo,
la
vendita
a
prezzo
38 Così R. Scevola, p. 174, cit.; il divieto cui si accenna in tema di donazione tra coniugi si riferisce
all’impossibilità per i coniugi di realizzare una venditio minoris con intento di liberalità
39 Il frammento recita “ Circa venditionem quoque Iulianus quidem minoris factam venditionem nullius esse
momenti : Neratius autem (cuius Pomponius opinionem non improbat) venditionem donationis causa inter virum et
uxorem factam nullius esse momenti, si modo, cum animus maritus vendendi non haberet, idcirco venditionem
commentus sit, ut donaret; enimvero si, cum animum vendendi haberet, ex pretio ei remisit, venditionem quidem
valere, remissionem autem hactenus non valere, quatenus facta est locupletior: itaque si res quindecim venit
quinque, nunc autem sit decem, quinque tantum praestanda sunt, quia in hoc locupletior videretur facta.”
32
ribassato conclusa tra coniugi sarebbe affetta da nullità in caso
di
atteggiamento
conclusione
vendita,
di
ma
simulatorio
una
non
vera
nel
e
caso
delle
propria
in
cui
parti
finalizzato
donazione
la
condotta
alla
‘mascherata’
negoziale
da
fosse
caratterizzata dall’animus di vendere, pur in presenza di una
parziale remissione del prezzo; per Giuliano, invece, -alla luce
di
un
criterio
ermeneutico
puramente
oggettivo-
tale
vendita
sarebbe tout court inesistente in quanto obiettivamente contraria
al divieto legale di cui si è detto. Non stupisce che Pomponio
apprezzi
il
primo
punto
di
vista,
sicuramente
improntato
a
flessibilità ed alla ricerca della reale voluntas dei contraenti
dettata dalle esigenze concrete dei medesimi; Nerazio e Pomponio
esprimono
un
atteggiamento
finalizzato
ad
assicurare,
se
possibile, l’operatività del regolamento di interessi perseguito
dai
coniugi
limitatamente
al
caso
i
cui
effetti
non
fossero
riconducibili alla causa donandi.
IL NEGOTIUM MIXTUM CUM DONATIONE NELLA PROSPETTIVA DI ULPIANO
Ulpiano si allontana ulteriormente dalla concezione aristoniana
percorrendo la strada già solcata da Pomponio, ma approfondendo il
tema
della
fondono
in
commixtio
senso
delle
moderno,
causae
le
quali,
continuando
ad
comunque, non si
essere
ritenute
dogmaticamente eterogenee40.
40 Circa il rapporto tra causa negoziale e causa donativa “Nella visione ulpianea esse possono coesistere ed
addirittura operare contestualmente in virtù del una considerazione esattamente opposta a quella individuata a
quella degli studiosi di primi novecento, ovvero proprio perché soltanto una di esse è negoziale…” , p. 267, R.
Scevola, cit.
33
Ancora una volta, l’aggancio testuale è offerto da un passo in
tema di donazione tra coniugi, D. 24. 1. 5 par. 2 (Ulp. 32 ad.
sab.) in cui vengono enunciate le soluzioni applicabili in caso di
divieto legale: “Generaliter tenendum est, quod inter ipsos aut
qui eos pertinent aut per interpositas personas donationis causa
agatur, non valere; quod si aliarum extrinsecus rerum personarumve
causa
commixta
sit,
si
separari
non
potest,
nec
donationem
impediri, si separari possit, cetera valere, id quod donatum sit
non valere.”.
Nella parte iniziale, il giurista severiniano indica l’invalidità
degli atti conclusi tra coniugi a fini donativi, sia personalmente
sia indirettamente per
mezzo di
soggetti
ad
essi
collegati o
fittiziamente interposti; nella seconda parte, considera che ove
la causa sia commixta in virtù del coinvolgimento di soggetti
terzi
o
della
presenza
di
aliarum
rerum
si
porrebbe
un’alternativa: qualora la commixtio si possa scomporre, sarebbero
invalidi gli effetti legati alla liberalità rilevando solo la
componente estranea all’id quod donatum est, mentre, qualora la
scissione non possa aver luogo a causa del legame instauratosi tra
gli elementi della fattispecie, i profili donativi troverebbero
attuazione41.
Quindi
Ulpiano
presuppone
che
vi
siano
casi
più
complessi rispetto alla donazione pura e semplice tra coniugi.
Il giurista opta per la prospettiva meno rigorosa, preferendo
un’interpretazione
conservativa
a
quella
rappresentata
41 Non a caso, in D. 18. 1. 38 (Ulp. 32 ad sab.) “Si quis donationis causa minoris vendat, venditio valet … hoc inter
ceteros: inter virum vero et uxorem donationis causa venditio facta pretio viliore nullius momenti est.” . Secondo
il giurista, la compravendita sarebbe valida se stipulata a prezzo ribassato per beneficiare il compratore mediante
liberalità inter ceteros, mentre inesistente se tra coniugi, in quanto contrastante con il divieto legale
34
dall’integrale
conclusione
invalidità
sia
simile
a
della
fattispecie.
quella
di
Nerezio,
Sebbene
qui
la
l’elemento
discretivo non è la presenza dell’animus donandi o vendendi, né il
principio
della
depauperatio-locupletatio,
quanto
piuttosto
la
struttura interna e funzione propria dell’atto.
‘…Il
contributo
specifico
del
giurista
severiniano
all’elaborazione in discorso andrebbe …riferito alle fattispecie
connotate da una causa commixta inscindibile perché, all’interno
delle
medesime,
simultaneamente
il
i
negotium
rispettivi
e
la
donatio
effetti
e
ciò
avrebbero
prodotto
avrebbe
denotato
l’esistenza di un aspetto strutturale da cui desumere la ragione
profonda del fenomeno di commistione’42. Certamente non si può
riferire il concetto ulpianeo alla moderna concezione di causa
intesa come ‘funzione’, ma nondimeno la si può intendere come
segno della meritevolezza giuridica di una struttura costruita
dalle parti in vista della realizzazione di determinate finalità:
l’avverbio
extrinsecus
presente
in
D.
24.
1.
5
indica
la
percepibilità all’esterno della compenetrazione, esplicitata dalla
struttura della fattispecie, idonea a rendere palese la ragione
per
cui
le
parti
hanno
confezionato
quel
determinato
assetto
d’interessi.
Nella
seconda
all’elemento
parte
del
frammento
causale
non
in
termini
Ulpiano
sembra
generali,
ma
riferirsi
piuttosto
proponendo un parallelismo tra casi in cui i soggetti vogliano
concludere semplicemente una liberalità e casi ‘misti’ in cui
42 Lo sottolinea R. Scevola, p. 217, cit.
35
coesistono profili negoziali tipici ed elementi della donazione
intesa come causa d’acquisto.
Tale commixtio, tuttavia, non comporta la fusione della causa di
donazione con una causa negoziale, tra loro disomogenee, essendo
altresì necessario che l’assetto di interessi esterni la propria
logica sul versante della struttura e non solo degli effetti. Non
a
caso
Ulpiano
individua nel
pretium,
vero
(non
simulato) ed
espresso in pecunia numerata, l’elemento della fattispecie da cui
ricavare
indizi
circa
la
qualificazione
da
attribuire
alla
venditio minoris: la sussistenza di tali requisiti permette di
definire
valido
ed
efficace
il
rapporto,
indipendentemente
dall’eventuale squilibrio ravvisabile tra le prestazioni43. Non si
verificherebbero
particolari
problemi,
dunque,
qualora
i
contraenti facessero seguire alla conclusione del contratto una
pattuizione intesa a rimettere parte del prezzo, mentre a maggiori
difficoltà darebbe luogo la diretta fissazione di un corrispettivo
inferiore
a
quello
di
mercato;
in
tale
ultima
evenienza,
la
parziale remissione del corrispettivo concorrerebbe a configurare
il contenuto del programma negoziale, circoscrivendone l’oggetto.
La
chiusura
di
D.
18.1.38
attesta
l’affinità
concettuale
tra
Ulpiano e l’opinione di Giuliano in tema di venditio minoris inter
virum et uxorem che conduce entrambi a sospettare di assetti volti
ad eludere il divieto: si coglie così l’approccio i cui risultati,
più interessati al quid actum sit, potrebbero svelare elusioni del
divieto legale. La visione di Ulpiano infatti censura la scarsa
43 Con il principio secondo cui sine pretio nulla venditio est (D. 18. 1. 2 par. 1, precisato in D. 18. 1. 36) Ulpiano
rileva che non solo la mancata fissazione del corrispettivo, ma anche la simulazione del medesimo importa la
nullità del negozio
36
linearità di assetti di interesse in cui figure tipiche vengono
adibite
a
finalità
incompatibili,
implicitamente
rivelando
la
propensione a sacrificare -come Giuliano- l’autonomia negoziale
che
entri
in
contrasto
con
la
norma
imperativa.
Tuttavia,
l’approccio ulpianeo mostra in concreto maggiore duttilità (v. D.
24.1.5 par. 2 (Ulp. 32 ad. sab.)44, tanto che nelle fattispecie in
cui siano fortemente radicati assieme gli effetti fondati sulla
causa donationis e quelli negoziali risulta efficace non solo la
compravendita ma anche la liberalità tra coniugi, a dispetto del
divieto ed in contrasto con quanto sostenuto da Giuliano.
Anche rispetto
Ulpiano
alle
all’orientamento di Aristone, la meditazione di
presenta
idee
dei
elaborate
caratteri
da
autonomi:
Aristone
e
poi
nonostante
mediate
l’adesione
da
Pomponio,
tuttavia la sua riflessione sulla commixtio opera secondo modalità
alternative
a
quelle
delineate
dal
giurista
traianeo.
Se
quest’ultimo si sofferma sul profilo diacronico, escludendo la
contemporaneità
della
causa
negoziale
e
di
quella
d’acquisto,
individuati due distinti spazi all’interno di cui ognuna risulta
esclusivamente operante, per Ulpiano la volizione relativa alla
remissione parziale costituisce elemento integrante del rapporto
tale
da
non
poter
essere
ritenuta
né
diacronicamente
né
strutturalmente autonoma: da qui, l’inseparabilità degli effetti
44 Infatti si nota che “In tema di venditio minoris inter virum et uxorem, l’originaria propensione del giurista
avrebbe assunto sotto il profilo dogmatico connotati analoghi a quelli caratterizzanti il punto di vista giulianeo, a
tenore del quale nella fattispecie darebbe dovuta essere scorta solo l’infrazione del divieto, per quanto non
potesse negarsi l’esistenza di un assetto d’interessi negoziale pienamente voluto dalle parti … Tuttavia, tale
valutazione, avvertita da Ulpiano come perfettamente corrispondente alla propria mentalità, sarebbe stata
temperata dalla necessità tecnica di adeguare gli strumenti di valutazione al prevalente indirizzo
giurisprudenziale… ”, p. 244, R. Scevola, cit.
37
rispetto
alla
componente
negoziale
e
la
conseguente
validità
dell’intero assetto di interessi.
In secondo luogo, le ricadute inter ceteros appaiono alternative
alla tesi formulata da Aristone: muovendo dal ragionamento di
quest’ultimo
(obligationem
non
contrahi
quo
donatio
est),
il
vincolo non sorgerebbe per la differenza tra il prezzo pattuito e
quello di mercato. Il fatto che per Ulpiano l’operatività del
vinculum
non
sia
impedita
dalla
liberalità
sembra
quasi
far
ipotizzare che il modello aristoniano abbracci solo parzialmente
la figura di cui si tratta ed Ulpiano ne dilati la portata.
In effetti, se da un lato non si può parlare della commixtio
ulpianea come di una fusione di cause, dall’altro non si può
negare che tale lettura sia sensibile sul piano degli effetti
all’operatività della donazione quale causa d’acquisto, proprio in
base alla struttura del negozio e precisamente avendo riguardo
all’oggetto del medesimo. Qui sta il punto: ciò che identifica il
meccanismo della commixtio è il fatto che tali determinazioni
ineriscono l’oggetto della fattispecie e non il suo fondamento
causale;
quindi,
compravendita
e
donazione
possono
non
solo
coesistere, ma anche operare in simultanea in forza della diversa
funzione delle causae, perché la prima permette di delineare la
fattispecie negoziale
in virtù della causa -tipica-, mentre la
seconda concorre a definire il contenuto dell’accordo.
UN MODELLO PERDUTO NEL TEMPO: LA MUTATA NATURA DELLA DONAZIONE
38
I presupposti del moderno concetto di negozio misto affondano le
proprie radici nella riforma costantiniana del 323 d. C. che,
gettando un colpo di spugna sulle precedenti elaborazioni, dà
luogo
ad
‘una
plurisecolare,
dato
che
la
vera
e
propria
saldamente
donazione
frattura
radicata
viene
nella
con
una
tradizione
romana’45,
concezione
‘ricostruita’
dogmaticamente
con
risultati che ne trasfigurano i caratteri.
Essa, mentre sino a quel momento rappresenta una causa adquirendi,
ovvero il fondamento di attribuzioni patrimoniali, in seguito al
provvedimento imperiale diviene negozio tipico, necessitante di
forme solenni che ne attestino la conclusione. Viene pertanto
trasformata
in
attribuisce
un
alla
contratto,
causa
coerentemente
donationis
ad
una
logica
carattere
che
negoziale,
abbandonando la fisionomia presentata in epoca classica.
Costantino
quindi
ponendo
presupposti
della
i
fattispecie,
contrattuale;
decreta
la
la
radicale
fondamentali
quale
Giustiniano
da
revisione
per
il
quel
introduce
dell’istituto
posteriore
momento
alcuni
assume
sviluppo
natura
temperamenti
che
peraltro non incidono sui profili causali, nel senso che la nuova
collocazione
della
donatio
riceve
il
definitivo
suggello
contrattuale. Identificato nella spontaneità il tratto peculiare
dell’istituto, il fatto che la sua struttura venga delineata in
analogia con quella della emptio-venditio consente di ravvisare in
entrambi il momento genetico coincidente con la prestazione del
nudo consenso.
45 Così G. G. Archi, La donazione, p. 225, cit.
39
La mutata natura della donazione ricade così necessariamente sulla
configurazione
conduce
al
del
negotium
travolgimento
mixtum
del
cum
modello
donatione,
fondato
sul
in
quanto
carattere
concettualmente disomogeneo delle cause sottostanti a negotium e
donatio:
le
difficoltà
procurate
dall’incompatibilità
delle
componenti della figura composta erano sorte infatti dall’esigenza
di individuare modalità di relazione che permettessero ad esse di
coesistere.
Le
esigenze
che
avevano
persuaso
Aristone
a
prospettare
una
admixtio o Ulpiano ad intravedere una commixtio perdono così la
loro ragion d’essere perché la sopravvenuta elaborazione comporta
il sorgere di problematiche del tutto nuove46.
La
dottrina
moderna,
italiana
e
non,
si
è
mossa
attorno
a
molteplici teorie ricostruttive che sarà qui premura approfondire,
ma, indipendentemente dall’orientamento cui si voglia aderire, il
fondamento teorico sotteso ad esse appare lontano dai presupposti
adottati dai giuristi classici sicché è naturale che le soluzioni
adottate
sviluppino percorsi
estranei a questi ultimi. Tuttavia,
la presente analisi perverrà ad un approdo ermeneutico che in
qualche modo ha tratto spunto proprio da alcune delle riflessioni
appena enunciate e per ciò trova ragione l’analisi compiuta in
questo capitolo, sebbene del negotium mixtum esaminato da Aristone
46
“… spiega come il problema se l’atto contemplato da Aristone si dovesse assoggettare alla disciplina della
donazione non si ponesse neppure ”, conclude Biondi, Chiarimenti intorno al n.m.c.d. e alla donazione indiretta, in
Banca Borsa e Tit. di credito 1960, p. 182
40
‘sopravvive non il concetto ma il termine, il quale viene assunto
in altro significato’
47
.
47
“ Io penso che sopravvive non il concetto ma il termine, il quale viene assunto in altro significato.”, così Biondi,
ibidem
41
2.
L’ALTERNATIVA TRA CONFIGURAZIONE UNITARIA E DUCPLICE
Dopo
aver
introdotto
il
negotium
mixtum
cum
donatione
ed
il
percorso che ha portato sino alla sua moderna concezione, si può
avviare un esame specifico della figura.
Ci si rende conto immediatamente che sorgono problemi
appena ci
si approccia alla qualificazione della donazione mista48 ed, in
particolare, si pone, in primis, una complicazione preliminare non
usuale ovvero quella relativa alla configurazione di essa come
negozio unitario o come pluralità di negozi.
Il problema non è usuale poiché, solitamente, o esso non si pone
affatto
o
risulta
tuttavia,
dalla
successiva
in
di
facile
risposta
tema
di
che
soluzione.
trarremo
Sotto
questo
deriverà
qualificazione
della
la
profilo,
riflessione
natura
giuridica
dell’accordo: da ciò si intende come non sia possibile prescindere
da questa fase di studio.
Sul punto, un plauso incondizionato merita la dottrina tedesca che
ha approfondito il tema più di ogni altra, pur non riuscendo ad
addivenire a conclusioni univoche, ma cui è obbligatorio, quanto
meno, rinviare.
Già
in
un
intervento
datato
193849,
G.
Deiana
riconosce
alla
dottrina tedesca il merito -seppur con esiti ritenuti erronei dal
48 Nonostante Biondi scriva “La questione della unicità o duplicità non sorge neppure” lo stesso ritiene opportuno
soffermarsi sul punto, in Chiarimenti intorno al nmd, Banca borsa e titoli di credito, 1960
49 La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, Diritto e Pratica commerciale, 1938, I, p. 102
42
giurista- di aver compiuto, a differenza dei giuristi italiani,
una fertile riflessione sul tema della donazione mista.
La
meditazione
germanica
in
effetti ha
visto
il
sagomarsi
di
diverse teorie.
Una, abbastanza diffusa50, vede nel negotium mixtum cum donatione
il frutto della concorrenza di due negozi, uno gratuito e un altro
oneroso, conformati secondo due diverse modalità: un contratto di
compravendita a prezzo superiore rispetto al valore dell’oggetto,
sommato ad una donazione avente per oggetto una somma uguale alla
differenza tra tale prezzo e quello effettivamente concordato;
oppure, una compravendita di una quota della cosa e una donazione
della quota complementare.
All’interno della tesi che sostiene la duplicità della fattispecie
de qua, si inserisce anche la visione51 che sostiene si tratti di
una compravendita per un prezzo effettivo, fusa ad una rimessione
di debito di una somma corrispondente alla differenza tra prezzo
suddetto e somma pagata.
La
teoria
pluralista
tedeschi, anche
è
da chi
stata
in
sposata,
Italia ha
oltre
che
individuato
da
giuristi
nel negotium
mixtum una pluralità di cause: in presenza di due cause, una
gratuita
ed
una
connessi
in
un
onerosa,
unico
esisterebbero
affare.
“Se
i
due
due
negozi,
elementi,
ancorché
oneroso
e
gratuito, dovessero porsi, nelle ipotesi che sono qualificate di
causa mista, realmente sull’identico piano causale, sarei propenso
a ritenere che essi vadano configurati come cause distinte e che
50 Savigny, Holtzschuher, Bechmann, Lotmar, Bekker, Bremer, Kohler
51 Cfr. Lammfromm, Teilung, darlehen, auflage und umsatzvertrag
43
in
corrispondenza
la
fattispecie
complessiva
debba
costruirsi
sulla base di due negozi e non di un negozio unico”52.
Per quanto attiene alla disciplina, i sostenitori della scissione
del negozio in due segmenti propongono di applicare a ciascuno di
essi le norme proprie dello stesso: ne deriva, ad esempio, che la
parte di negozio qualificato come donazione sia soggetta alla
revoca per ingratitudine e per sopravvenienza di figli; che gli
eredi del beneficante possano esperire l’azione di riduzione per
lesione di legittima; che la forma applicabile all’intero negozio
sia quella, più rigorosa, della donazione; che l’alienante sia
responsabile per evizione solo della quota di bene compravenduto;
che la parte onerosa e quella gratuita restino distinte anche in
relazione all’eventuale impugnazione con actio pauliana, essendo
richiesta la scientia fraudis solo per la prima.
Tali opinioni, pur partendo da una riflessione comune, non trovano
accordo
sulle
modalità
di
relazione
tra
i
due
negozi
così
individuati.
Da un lato, si
beneficio,
oneroso
il
la
cui
attribuisce al compratore, in caso di perdita del
possibilità
di
mantenimento
svincolarsi
anche
difficilmente
gli
dal
contratto
interesserebbe:
quindi, una volta intervenuta la revoca o l’azione di riduzione
per lesione di legittima, il beneficiato potrebbe far ‘cadere’
52 Così Oppo, in Adempimento e Liberalità, Giuffrè, 1947, p.168, aderendo alle conclusioni di Deiana e di
D’Angelo; tuttavia l’A. sconfessa tale impostazione laddove esclude che i due profili possano godere entrambi
dell’autorità di causa “Se non che il problema della costruzione del negotium mixtum sta appunto nel determinare
se all’elemento gratuito spetti, a pari titolo che all’elemento oneroso la qualifica di causa: e poiché ciò mi par
dubbio … dubbia mi sembra anche la costruzione dell’ipotesi sulla base di due cause distinte e due negozi
collegati”
44
l’intero negotium o restituire il beneficio mantenendo in vita il
contratto oneroso.
Altri
sostengono53,
donazione
dipenda
invece,
dalla
che
validità
sebbene
della
la
validità
vendita,
della
viceversa
la
validità della rimessione fatta a scopo di liberalità non sarebbe
subordinata a quella del negozio oneroso.
Ebbene,
anche
tra
chi
sostiene
l’unicità
della
fattispecie
esaminata (Einheitstheorie) non pare regnare pacifico un medesimo
convincimento.
Muller, principale referente della Einhetstheorie, qualifica il
negotium mixtum come un negozio unico sui generis cui andrebbero
applicate
promiscuamente
una
parte
delle
norme
proprie
della
donazione e una parte di quelle della vendita. Per quanto riguarda
gli obblighi dell’alienante dovrebbero applicarsi per analogia i
principi della compravendita e non quelli della donazione, dato
che l’alienante riceve un compenso sia pure non proporzionato. Da
ciò
deriva
che
l’accipiens
potrebbe
vantare
tutte
le
pretese
relative alla garanzia per l’evizione e ai difetti occulti che
spettano ad un semplice compratore. Non gli compete, peraltro,
anche l’actio quanti minoris, perché “sarebbe ingiusto far subire
all’alienante un’ulteriore diminuzione di prezzo quando si sa che
quello convenuto è per spirito di liberalità…”54. Secondo questa
ricostruzione, l’alienante potrebbe usufruire delle agevolazioni
concesse ad ogni donante (recuperare la cosa donata in caso di
53 Ci si riferisce a Lammfrom
54 Così G. Deiana, p. 111 cit., riportando l’opinione di Muller, per poi criticarla, pag. 209
45
necessità, revoca per ingratitudine).
La forma, infine, sarebbe
quella del contratto di donazione.
Più complessa è la posizione di Hoeniger: il contratto in esame
diventa un fattispecie con causa mista, non essendo impossibile
mescolare
insieme
gli
onerosità-gratuità55
elementi
(Kombinationstheorie). In base a tale impostazione, alcuni negozi,
pur configurandosi tra il gratuito e l’oneroso,
sarebbero più
vicini al negozio interamente gratuito o a quello interamente
oneroso, per il prevalere dell’uno o dell’altro elemento. Nella
regolamentazione
dei
contratti
misti
bisognerebbe,
quindi,
applicare ai vari elementi di cui si compongono, quelle stesse
norme
con
cui
siffatti
elementi
vengono
regolati.
Il
caso
specifico della donazione mista andrebbe disciplinato in base a
quattro
gruppi
di
norme:
quelle
proprie
della
vendita,
ma
applicabili anche al negotium mixtum; quelle della donazione non
connesse
all’elemento
della
gratuità
e
che
pertanto
possono
impiegarsi senza variazioni; quelle che potrebbero applicarsi al
negotium mixtum senza collidere con altre, ma che, non portando a
risultati
pratici
escludere;
quelle
soddisfacenti,
che
andrebbero
sembrerebbe
composte
più
onde
opportuno
evitare
una
collisione tra diritto della vendita e della donazione (ad es. in
tema di colpa, garanzia, actio quanti minoris, ingratitudine).
Circa
la
forma,
donazioni
elevato
solo
grado
la
ove
di
scelta
ci
si
dovrebbe
trovasse
gratuità:
così,
ricadere
dinanzi
il
ad
giurista
su
un
quella
delle
negozio
tedesco
con
sembra
55 Hoeniger, Untersuchungen zum problem der gemischten vertrage. Spiega Deiana “Così accanto ad una
prestazione interamente onerosa o gratuita possiamoavere una prestazione che sia tutta quanta gratuita per due o
tre quarti ed onerosa per il resto.„, cit, p. 112
46
ammettere la rilevanza della diversa intensità che gli elementi,
gratuito ed oneroso, assumono nel negozio.
Va
ricordato
come
Deiana
si
sia
apertamente
schierato
contro
questa scelta interpretativa, smontandone i fondamenti. Secondo
l’Autore non è condivisibile la concezione che il giurista tedesco
ha dei rapporti tra onerosità e gratuità, essendo essi “elementi
concettualmente contrapposti”56.
Procedendo con l’analisi degli autori tedeschi che difendono la
teoria dell’unitarietà dell’istituto, Ennecerus57
sostiene che la
scissione del negozio in due parti sarebbe concepibile solo ove
risulti espressamente voluta dai contraenti, altrimenti risultando
impossibile58.
Secondo
il
giurista,
il
bene
alienato
a
basso
prezzo non viene in parte venduto e in parte donato: esso sarebbe
interamente oggetto di un contratto di compravendita, alla cui
conclusione sarebbe contemporanea una donazione. Dunque, oggetto
della donazione diventa la stessa compravendita, producendo essa
una diminuzione nel patrimonio dell’alienante ed un aumento in
quello dell’acquirente.
Per tutto il negozio, valgono quindi le norme relative a requisiti
(inclusa la forma) e validità della donazione, con applicazione
56 Così in La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, Diritto e Pratica commerciale, 1938, I, p. 155
57 Ennecerus, Recht der Schuldverhaltnisse. G. Deiana, pag. 207 cit., critica anche tale impostazione poiché “una
simile configurazione avrebbe il grave difetto di far dipendere l’attuazione del nostro negozio dalla conclusione di
due contratti che, dati i rapporti in cui essi stanno, non potrebbero realizzarsi nello stesso istante, ma dovrebbero
invece sia logicamente che cronologicamente susseguirsi uno all’altro. E’ evidente, in vero, che se la conclusione
del contratto di vendita dovesse considerarsi oggetto di una donazione, essa non potrebbe avvenire se non dopo
che questo contratto sia stato stipulato. Ma tutto ciò sarebbe in contrasto con la volontà delle parti per le quali la
liberalità non è già che debba precedere la conclusione della vendita ma viceversa attuarsi insieme a questa.”
58 Anche Ascarelli, in Riv. Dir. Comm. Vol. XXVIII, 1930, p.464, ritiene che l’elemento decisivo vada rintracciato
nella volontà delle parti e nel collegamento dei vari scopi da esse perseguiti sicché può parlarsi di negozio unico
quando gli intenti economici perseguiti siano strettamente connessi tra loro
47
però delle norme di vendita solo ove non vengano poste nel nulla
dall’operatività della liberalità.
Analoga alla precedente è la conclusione di Siber59 il quale fa
coincidere l’oggetto della donatione con il rapporto di vendita e
quella
di
Leonhard60
che
qualifica
il
negotium
mixtum
cum
donatione come conclusione in modo liberale di un contratto di
vendita.
Tale
dell’esistenza
ultima
visione
di
differenti
due
si
fonda
sulla
tipologie
considerazione
donative:
una
con
efficacia obbligatoria, l’altra relativa a tutte le ipotesi di
attribuzioni
sorgere
di
apparterrebbe
patrimoniali
a
titolo
un’obbligazione.
a
questa
gratuito
Dunque,
seconda
non
il
categoria:
implicanti
negotium
in
virtù
il
mixtum
di
tale
conclusione, non andrebbero applicate le disposizioni concernenti
la forma della donazione e le posizioni dei contraenti sarebbero
determinati dal diritto della vendita.
Schilling61, in virtù delle fonti giuridiche romane, sostiene che
la
regolamentazione
del
negozio
de
quo
distingue
tre
ipotesi
(negozio concluso da persone capaci di ricevere per donazione;
negozio concluso da persone tra cui sussiste divieto di donazione;
negozio
concluso
attuare
per
via
per
attuare
diretta):
una
nella
liberalità
ipotesi
che
comune,
non
potrebbe
il
negozio
andrebbe soggetto alle norme proprie del contratto oneroso.
59 Siber, Die Schullrechtlichen vertragsfreiheit
60 Leonhard, Besonders schuldrecht des BGB. Secondo Deiana, p. 208 cit. ’’ s’è vero che un’attribuzione a titolo
gratuito può aversi anche al di fuori del puro contratto di donazione, non mi sembra altrettanto vero che, come
afferma l’autore, essa possa aversi mediante la conclusione di un contratto oneroso. … Colla conclusione di un
contratto oneroso non vi è alcun dubbio che possano attuarsi dei vantaggi economici a favore di uno dei contraenti.
Ma questo vantaggio non può assurgere al grado di attribuzione patrimoniale a titolo gratuito, senza un accordo
delle parti sul punto … data l’antitesi esistente tra il concetto di onerosità proprio della vendita e quello della
gratuità proprio di ogni atto liberale.”
61 Schilling, Lehbuch fur Institutionen und geschichte des romischen privatrecht, 1864
48
In
Italia
questa
linea
è
stata
seguita
ad
esempio
da
chi62,
identificando nella donazione mista un negozio tipicamente oneroso
ove
le
opposte
prestazioni
hanno
carattere
unitario,
ha
qualificato il motivo liberale come idoneo a produrre determinati
effetti
derivanti
rappresentata
che,
dalla
particolare
senza
acquistare
situazione
prevalenza
psicologica
sulla
tipica
funzionalità del negozio proposto dalle parti, od accedere in
concomitanza causale, assume, tuttavia, particolari risultati.
Opposta è la visione di Von Tuhr63, per il quale il negotium
mixtum cum donatione va considerato sì come negozio unico, ma
quale donazione vera e propria.
Tornando
alla
meditazione
da
cui
si
è
partiti,
è
opportuno
ricordare che Deiana contesta la configurabilità della donazione
mista
come
negozio
unico,
demolendo
in
particolar
modo
le
argomentazioni adoperate dai giuristi tedeschi aderenti a tale
opzione interpretativa.
Viene escluso che la prestazione dell’alienante possa presupporsi
per intero tutta gratuita o tutta onerosa, non restando che due
soluzioni
possibili:
riconoscere
l’esistenza
di
due
distinte
prestazioni o considerare la prestazione come gratuita ed onerosa
allo stesso tempo64. Il giurista italiano rileva che con un’unica
62 “Non deve perdersi di vista la particolare fisionomia obiettiva del negozio in questione, nel quale le parti si
accordano sullo scambio fra loro di due determinate prestazioni senza procedere ad un frazionamento di esse,
perseguendo lo scopo della liberalità espressamente manifestato, implicitamente ed immediatamente, attraverso
la obiettiva eccedenza economica della prestazione …”così Recupero, in Temi 1950, p.170
63 Von Tuhr, Der allgemeine teil des deutschen burgerlichen rechts, 1910
64 Contra, Scalfi che, rigettando la tesi della duplicità, scrive “se si vuol pervenire ad affermare l’esistenza di due
negozi occorrerà dichiarare l’inefficacia della compravendita per parte del bene venduto o del prezzo pagato: non
è possibile, infatti, mantenere in vita due contratti con cui le parti dispongono del medesimo bene … è ovvia
conseguenza delle premesse che la tesi della dualità dei contratti deve avvalersi dell’istituto della simulazione” in
Temi, 1950, p.370 (l’Autore esclude che si possa parlare, nel negotium mixtum, di simulazione anche in forza della
49
attribuzione non si può perseguire il duplice scopo di far sorgere
un credito o di estinguere un debito e di arricchire l’altro
contraente;
incomprensibile,
quindi,
gli
appare
soprattutto
la
posizione di chi65 -ammettendo che la prestazione dell’alienante
sia sorretta nella donazione mista da due cause- afferma l’unicità
del negozio: “ora, se si riconosce l’impossibilità che una stessa
attribuzione sia sorretta da due diverse cause…non si potrà fare a
meno di concludere che laddove vi sia una duplicità di cause vi
sia anche una duplicità di prestazioni”66.
Peraltro, tale premessa induce l’Autore a condividere nemmeno la
concezione del negotium mixtum come accordo misto, dato che “il
contratto misto presuppone una pluralità di prestazioni aventi un
contenuto diverso, appunto perché appartenenti a tipi diversi. …
Nel negotium mixtum cum donatione le cose stanno diversamente. In
primo luogo manca una diversità di contenuto tra le prestazioni
dell’alienante, differenziandosi esso solo nella causa e non già
nell’oggetto. In secondo luogo la contemporanea esistenza di due
opposte cause, la gratuita e l’onerosa, fa sì che lo schema del
negozio se questo si dovesse considerare veramente unico, non
potrebbe essere né quello dei contratti onerosi né quello dei
contratti gratuiti, contrariamente a ciò che avviene nei contratti
qualificazione di ‘negozio indiretto’ -cui egli stesso aderisce- ove “l’eccezionale rilevanza positiva dello scopo
indiretto è basato sulla rilevanza del risultato”).
Per la tesi della simulazione e quindi della duplicità, v. Trib. Messina, 30.03.1949 “il cd. negozio misto con
donazione è costituito da due distinti negozi: un contratto oneroso palese e una donazione dissimulata
rappresentata dal plusvalore del bene alienato: dichiarata la simulazione relativa, rimangono invita sia il negozio
oneroso, sia quello gratuito se questo è stipulato per atto pubblico con l’assistenza ditestimoni”
65 Von Tuhr, cit.; in giurisprudenza v. ad es. Trib. Messina 18.06.1948 “il negozio misto con donazione è
caratterizzato dalla presenza di due cause: una principale tipica attinente al negozio oneroso, ed una secondaria
riguardante la manifestazione di liberalità”, in Temi, 1950. Contra, Recupero, cit.
66 Deiana, in La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, Diritto e Pratica commerciale, 1938, I, p.
212
50
misti
che…si
presentano
sempre
nello
determinata categoria di negozi”
67
Il
propria
giurista
avvalora
l’inconsistenza
quella
che
delle
la
obiezioni
consente
la
schema
tipico
di
una
.
alla
frattura
convinzione
teoria
della
rilevando
scissionista,
fattispecie
in
cioè
due
segmenti68. Difatti, inconsistente gli pare l’opinione di chi69
reputa che, ove si consideri l’oggetto in parte venduto e in parte
donato, si incorra in una comproprietà della cosa nel caso in cui
la donazione sia dichiarata nulla o venga revocata, dato che non
sarebbe ammissibile ritenere che, privato di validità o efficacia
uno dei due negozi, l’altro viva di vita propria; altrettanto
cedevole sembra il pericolo che la misura della gratuità-onerosità
venga
alterata
attribuiscano
dal
giudice,
all’oggetto
non
venduto
essendo
un
detto
valore
che
identico
le
a
parti
quello
reale. Né condivisibile sarebbe ritenere che le azioni edilizie
vadano esercitate solo per la quota di bene che viene alienata: se
così
fosse,
chiunque
alienasse
una
quota
di
proprietà
non
risponderebbe dei vizi della cosa.
In sintesi, per Deiana non è affatto arbitrario scindere in due il
negozio, atteso che i contraenti hanno la volontà di concludere un
unico affare e non necessariamente un unico negozio, ed anche ove
essi volessero concludere un negozio unico sarebbe l’ordinamento
giuridico a stabilire quale configurazione dare all’accordo.
67 Ibidem, p. 213. Sul punto, anche Biondi contesta la visione di Mosco e Messineo che parlano, uno di duplice
causa, l’altro di contratto unitario con fusione di due cause “…se ogni contratto è individuato dalla causa, non è
possibile che l’unico contratto abbia due cause, per giunta così contraddittorie”, p.190 in Chiarimenti intorno al
nmd, Banca borsa e titoli di credito, 1960
68 In tal senso anche Giorgianni, in Riv. It. Scienze giuridiche, 1937, p.47
69 Muller, cit.
51
Questo
ragionamento
correttezza
della
elementari
ed
costituisce
tesi
per
della
insuperabili
l’Autore
duplicità,
del
l’indizio
dato
diritto
che
rendono
della
“principi
a
priori
impossibile la configurazione del negozio come negozio unico.”70.
Egli, scartata l’idea che si tratti di una vendita con rimessione
parziale
del
prezzo,
configurazione
vendita
-o
della
altro
giunge
mixtio
a
tra
contratto
ritenere
due
soddisfacente
la
precisamente
una
negozi,
oneroso-
ed
una
donazione
dell’eccedenza della prestazione di valore maggiore, o comunque di
una quota ideale dell’oggetto stesso.
Alla luce di tale prospettiva, circa i rapporti tra i due negozi
coinvolti
sarebbe
scorretto
sostenere
che
il
contratto
di
donazione dipende da quello di vendita poiché l’attuazione della
liberalità è realizzabile solo con la conclusione di quest’ultimo,
perché ciò che permette la realizzazione della liberalità è la
conclusione del negotium mixtum in sé.
Parimenti erroneo sarebbe, per l’Autore, ritenere che in caso di
nullità
o
inefficacia
della
donazione
il
beneficato
abbia
la
facoltà di svincolarsi dal negozio oneroso o quella di mantenerlo
in vita mediante il pagamento del quantum corrispondente alla
liberalità; così facendo, l’acquirente godrebbe di una eccessiva
protezione
che
va
ben
oltre
la
volontà
delle
parti.
Ritiene
pertanto più corretto che in caso di inefficacia di uno dei negozi
l’acquirente sia tenuto a riconsegnare la cosa dietro restituzione
della somma pagata.
70 Deiana, in La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, Diritto e Pratica commerciale, 1938, I, p.
219
52
La riflessione riportata sfocia, come si vedrà appresso, nella
qualificazione della donazione mista tra i negozi collegati, ma è
utile,
ancor
tentativo
prima,
a
fornire
interpretativo
da
il senso
parte
della
della
complessità
dottrina
che
si
del
è
avvicinata al tema.
A tal proposito, il ricorso al concetto della causa (affermando ad
esempio che ad una pluralità di funzioni non può che corrispondere
una
pluralità
potrebbe
di
negozi),
ove
risultare
inidoneo
a
non
fornire
correttamente
un
preciso
impostato,
criterio
di
distinzione proponendo all’interprete difficoltà ancora maggiori,
considerata
la
difficoltà
che
la
pratica
potrebbe
creare
nell’individuazione delle funzioni del negozio.
Né un criterio che facesse riferimento alla sola volontà delle
parti potrebbe mostrarsi risolutivo.
Nel
quadro,
prospetti
il
poi,
di
problema
un’impostazione
dell’unità
o
secondo
cui,
pluralità
di
perché
negozi,
si
è
necessaria l’esistenza di una pluralità di prestazioni e, perché
si abbia unità, è necessaria l’individuazione di una prestazione
prevalente, si inserisce l’opinione di chi71 ritiene che l’unità
del negozio si realizzi quando una delle conseguenze economiche
sia prevalente e le altre risultino legate ad essa da un nesso di
subordinazione funzionale.
Si
è
osservato,
tuttavia,
che,
se è
senz’altro
corretta tale
impostazione in quanto è proprio in virtù dell’esame dell’elemento
strutturale che è possibile individuare la funzione del negozio e
71 Giorgianni, Negozi giuridici collegati, Riv. It. Scienze giuridiche, 1973, 28
53
quindi se essa sia unica o plurima, è pur vero che vi sono dei
casi in cui, pur incontestabile l’esistenza di un’unica funzione,
ad
esempio
di
scambio,
prevalente72.
prestazione
non
è
In
però
possibile
particolare,
individuare
poi,
il
una
suddetto
orientamento, condurrebbe a conclusioni rigidamente alternative in
quanto, ove non sia possibile risalire ad uno schema negoziale
tipico unico, si sarebbe in presenza di una pluralità di negozi
collegati: tertium non datur.
Parimenti inefficace si rivela il criterio del valore ‘oggettivo’
delle
prestazioni,
che
si
palesa
inadeguato
non
appena
si
consideri che la fissazione dello scambio compete ai contraenti
(ed ad essi soli) ed è determinata da motivi così molteplici e
complessi da non poter stabilire un metro uniforme di valutazione.
In conclusione e aderendo alla visione della donazione mista come
negozio unitario73, le suddette teorie sono state rievocate con
l’intento di conseguire una prima chiave di volta funzionale alla
prosecuzione dell’indagine -relativa sia all’inquadramento della
figura
che
all’individuazione
della
sua
corretta
disciplina
giuridica- che, anche nella seconda fase, offrirà diverse opzioni
ermeneutiche.
L’indagine
visione
proseguirà,
della
quindi,
donazione
sulla
mista
come
scorta
dell’adesione
contratto
alla
necessariamente
unitario (ed unico).
72 Cataudella, La donazione mista, Giuffrè, p.25
73 “Il negozio indubbiamente è unico: unica è la determinazione volitiva, unico l’oggetto, ed unica la causa” così
Biondi, in Chiarimenti intorno al nmd, Banca borsa e titoli di credito, 1960
54
3.
IL PROBLEMA DELLA QUALIFICAZIONE
Si è avuto modo di comprendere che la difficoltà precipua cui dà
origine la donazione mista è quella derivante dall’identificazione
della sua natura giuridica. La questione è interessante non solo a
fini teorici, ma anche -e soprattutto- a fini pratici74 poiché
dall’accoglimento
di
una,
piuttosto
che
di
un’altra
teoria,
discendono conseguenze dissimili tra loro.
Questo
capitolo
ha
l’obiettivo
di
delineare
il
panorama
ermeneutico disegnato dalle più rilevanti riflessioni sul tema,
senza tuttavia pretendere di enumerare l’intera gamma di posizioni
esistenti, dato che la loro identificazione è in parte complicata,
oltre che dalla molteplicità, prima ancora dalla loro diffusione a dire il vero- non sempre sistematica, essendo non raro leggere
del negotium mixtum cum donatione all’interno di riflessioni ben
più ampie o addirittura dedicate ad altri argomenti. Il che, se,
da un lato, rende tortuoso lo studio di chi si accosta alla
figura,
dall’altro
è
sintomatico
dei
tanti
e
tali
spunti
di
riflessione che la donazione mista offre.
Invero,
la
tematica
è
già
stata
in
passato
oggetto
di
approfondimento, tanto che quella che un tempo era ritenuta una
questione aperta –la qualificazione- sembrerebbe oggi un problema
superato dall’imporsi di una determinata lettura del fenomeno. Si
74 In giurisprudenza, v. Cass. 11499/1992, Cass. 1751/1992, Trib.Genova, 28.09.1989, Trib. Milano, 20.03.1989,
Cass. 6411/1988, Trib. Torino, 30.09.1982, Cass. 1266/1986, Cass. 6723/1982, Trib. Pinerolo 25.01.1980,
Cass.526/1979, Cass.3661/1975, App.Milano 19.01.1982, Cass. 201/1972 e le altre citate in questo lavoro
55
ritiene, tuttavia, opportuno concentrare l’esame sui tre indirizzi
che hanno influenzato precipuamente la materia, poiché se è vero
che tanti sono stati i giuristi ad interessarsi alla figura –più o
meno
direttamente-,
è
altrettanto
corretto
ricordare
che,
di
fatto, tali studi possono essere suddivisi sulla base di caratteri
comuni
che
hanno,
appunto,
portato
all’elaborazione
dei
tre
indirizzi menzionati.
Né sarebbe stato possibile sviluppare alcuna idea in materia senza
passare da questo riepilogo, poiché è da esso, come si vedrà, che
trae origine l’interpretazione proposta. Ciò è più vero ove si
considerino la peculiarità della figura in esame e la complessità
degli interessi cui dà essa dà vita, cosicché
“la finalità del
procedimento di qualificazione è in definitiva quella di rendere
giuridicamente
apprezzabili
tutti
gli
interessi
propri
della
funzione concreta, riassunti nell’intento pratico …”75. Perciò, la
ricerca
della
strettamente
corretta
connessa,
qualificazione
in
un
della
rapporto
donazione
biunivoco,
mista
con
è
la
definizione della struttura negoziale e degli scopi che essa si
propone di perseguire.
Si consideri anche che nel negotium mixtum la compenetrazione
delle componenti negoziali e l’influenza esercitata dai contraenti
sull’assetto
contrattuale
sono
tali
che,
in
assenza
di
precisazioni delle parti o indicazioni di altro genere sul punto,
non vi sarebbe mezzo per accertare quale parte della cosa o del
prezzo sia stata donata e quale venduta: il ricorso al valore
75 Così D’Ettore, in Intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996, p.118
56
oggettivo delle prestazioni al fine di individuare cosa sia stato
donato, ponendolo in relazione coi termini dello scambio, non
offre un criterio accettabile76, posto che la fissazione della
misura dello scambio compete, in linea di principio, ai contraenti
ed esclusivamente ad essi.
Ecco allora che l’opera di qualificazione del contratto si rende
doppiamente utile.
LA DONAZIONE MISTA COME COLLEGAMENTO NEGOZIALE
“L’ipotesi in esame, identifica, dunque, una specifica ipotesi di
collegamento
negoziale
perché
essa
è
caratterizzata
da
una
pluralità di fattispecie … l’operazione economica che è stata
perseguita attraverso negozi giuridici … strutturalmente autonomi,
ma
necessariamente
collegati”77:
tale
definizione,
seppur
non
fornita per un caso di donazione mista, sarebbe sufficiente ex se
a
giustificare
il
rifiuto
che
qui
si
intende
esprimere
nei
confronti dell’impostazione che individua nella donazione mista
un’ipotesi di collegamento negoziale.
Ciò anche, se non soprattutto, sulla scorta di quanto concluso nel
capitolo precedente circa l’unitarietà della struttura negoziale
della figura esaminata, posto che l'istituto in esame si manifesta
nella pratica
negozio
negoziale non
unico,
in
cui
come
ciascuna
pluralità di
prestazione,
negozi ma
come
corrispettiva
dell'altra, non è frazionata né frazionabile nell'intenzione delle
parti.
76 In questo senso, Cataudella, in La donazione mista, Giuffrè 1970, pag. 31
77 Così Cass. 24511/2011, in un caso di specie non inerente la donazione mista, ma comunque nel solco della
teoria condivisa sul collegamento negoziale
57
Tuttavia,
non
può
tacersi
la
contestata
interpretazione
che,
meglio di tutti, è stata tracciata da Deiana, il cui pensiero si
prende, dunque, a modello per descriverne gli esiti.
Tale
pensiero78
si
può
afferrare
seguendo
quello
che
l’Autore
stesso compie come una sorta di ragionamento ad excludendum, cioè
attraverso
la
demolizione
delle
tesi
ritenute
infondate:
tale
metodo era stato seguito per scartare che si trattasse di negozio
unitario ed ora viene impiegato per rifiutare interpretazioni non
fedeli a tale conclusione.
Innanzi tutto, si esclude che la donazione mista sia un negozio
indiretto: siffatta qualificazione -basata sulla convinzione che
l’accordo cade sulla sola conclusione della vendita, relegando
l’animus donandi tra i motivi-, infatti,
contrasterebbe con gli
elementi alla base del negotium mixtum. Sostiene il giurista che
due sono le contraddizioni in cui cadono i ‘seguaci’ della teoria
del negozio indiretto79: in primo luogo, si crede che il contratto
concluso sia una mera compravendita senza però spiegare come mai
essa possa racchiudere in sé una prestazione a titolo gratuito
parimenti sussistente; inoltre, pur sostenendo che la disciplina
della
fattispecie
de
qua
corrisponda
a
quella
del
contratto
oneroso, si ammette che vadano applicate alcune norme di sostanza
proprie delle donazioni e degli atti gratuiti in genere.
Quanto al primo profilo, Deiana esclude che il negotium mixtum
esista meramente a titolo oneroso ove si ammetta l’esistenza di un
78 V. anche cap. 2
79 Per un rinvio analitico a questa teoria, v. infra in questo capitolo
58
accordo80 con cui le parti considerano anche le prestazioni come
non equivalenti e ritengono che la somma convenuta non sia il
corrispettivo della controprestazione, ma solo di una parte di
essa. Altrimenti, ove si negasse l’esistenza di siffatto accordo,
respingendo quindi che il negozio contiene anche una prestazione a
titolo gratuito, cadrebbe la premessa in base a cui applicare
alcune regole di sostanza proprie delle donazioni.
Circa
il
secondo
profilo
(l’applicazione
di
norme
in
tema
liberalità), l’Autore segue un ragionamento simile: accogliendo
l’impiego di certe norme nella fattispecie esaminata, non si può
negarne il presupposto, ovvero l’esistenza di una quota donativa;
chi
invece
sconfessa
ritiene
il
volendo
prestazione
a
negotium
applicare
titolo
mixtum
quei
gratuito
(e
meramente
precetti
non
quindi
oneroso,
propri
di
di
un
si
una
normale
contratto di vendita).
Tale
impostazione
donazione
mista
respinge
sarebbe
un
pure
la
normale
lettura
contratto
secondo
di
cui
la
compravendita
nonché quella che la assimila ad un semplice negozio di donazione.
Deiana infatti reputa che la prima impostazione81 -fondata sul
presupposto
riconosce
erroneo
la
di
liberalità
negare
fatta
l’esistenza
dell’intesa
dall’alienante
a
che
favore
dell’acquirente- allontani dall’unico negozio oneroso qualsiasi
80 Per Deiana resta ferma ed inattaccabile l’esistenza dell’accordo delle parti sul considerare le prestazioni non
equivalenti “La necessità di quest’accordo risulta dal fatto che se i contraenti si limitassero a pattuire lo scambio
delle due prestazioni, senza aggiungere altro, ciascuna di queste malgrado la diversità di valore,verrebbe a
rappresentare il corrispettivo esatto e completo dell’altra e non si potrebbe quindi che considerare onerosa.
L’esistenza dell’accordo è già sufficiente…ad escludere che il n.m.c.d. possa configurarsi come un contratto
oneroso”, p. 151, in La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, Dir. e Pratica commerciale, 1938. Il
giurista, contestando i seguaci della teoria del negozio indiretto, si riferisce in special modo ad Ascarelli
81 G. Deiana si riferisce a Shilling
59
norma
sulla
donazione.
Altrettanto
inconcepibile
sarebbe
la
tesi82 che vede nel negotium mixtum una semplice donazione, dato
che
anche
qui
si
sottovaluta
l’accordo
dei
contraenti,
precisamente per quella parte relativa allo scambio della cosa e
del prezzo.
L’Autore
valuta
altresì
inammissibile
configurare
la donazione
mista come donazione modale: troppe sarebbero invero le differenze
intercorrenti tra le due fattispecie. In un caso il donatario è
obbligato a fare qualcosa che non rappresenta il corrispettivo
della
donazione
del
donante,
ma
solo
un
peso
gravante
sul
beneficio ricevuto.
La riportata disamina è utile principalmente per ripercorrere il
ragionamento che Diena compie riguardo alle teorizzazioni tedesche
e che lo porta alla critica dei sostenitori della Einheitstheorie,
fino a concludere che la donazione mista vada catalogata tra i
negozi collegati, frutto di una vera e propria combinazione di
accordi,
ognuno
completo
per
conto
proprio
e
con
le
proprie
regole.
Secondo
questa
descrizione,
la
fattispecie
de
qua
(duplice)
sarebbe contraddistinta da una dipendenza bilaterale, posto che i
due negozi sono voluti dalle parti come un unico affare (ma non
come un unico negozio) in modo che la validità e l’efficacia di
ciascuno di essi sia in stretta connessione con la validità e
82 G. Deiana si riferisce a Von Tuhr e si chiede “Ma come può il negozio considerarsi tutto quanto una donazione
se l’attribuzione dell’alienante è solo in parte gratuita, dato che la rimanente parte si trova coperta da un
corrispettivo?”, p. 155, in La natura giuridica del negotium mixtum cum donatione, Dir. e Pratica commerciale,
1938, I
60
dell’altro83.
l’efficacia
sottolinei
che
tra
i
Giova
negozi
non
rammentare
esiste
come
l’Autore
subordinazione
e
che
soprattutto non si potrebbe affermare che la liberalità dipende
dalla conclusione della vendita84.
Ciò rivela che la vita di ciascun negozio è in dipendenza non solo
della
validità
dell’altro,
ma
anche
di
quel
complesso
di
circostanze che ne influenzano l’efficacia.
Ora,
quanto
alla
disciplina
dell’istituto
così
qualificato,
cominciando dalla forma, al giurista pare occorra la forma propria
del contratto donativo, altrimenti ponendo nel nulla le garanzie
con cui la legge ha voluto tutelare la determinazione del donante;
né si potrebbe far derivare l’uso della forma della donazione
dalla
prevalenza
nel
negotium
mixtum
della
quota
liberale
su
quella onerosa85.
E tale argomentazione non viene scalfita dall’obiezione secondo
cui
trattandosi
di
liberalità
indiretta
non
servirebbero
le
formalità dettate per la donazione86: ad essa si controbatte che,
impostando il ragionamento come lo si è impostato, la liberalità
non sarebbe indiretta, ma diretta per la quota interessata. E la
non necessità della forma donativa non neanche potrebbe discendere
dal fatto che la liberalità delinea qui un negozio accessorio del
contratto oneroso: si è visto, infatti, come per l’Autore tra i
negozi non vi sia alcuna subordinazione, ma vincolo bilaterale.
83 Scrive Deiana “Vale a dire che se uno dei due negozi è nullo …anche l’altro dovrà considerarsi nullo. Così pure
se la donazione sarà revocata per ingratitudine o per sopravvenienza di figli, anche la vendita dovrà considerarsi
inefficace.”, pag. 236,in op. cit.
84 In questo senso, Lammfromm, v. Cap.2
85 Cfr. Cass. 27.03.1930, in Riv. Dir. Commerciale 1930, II, p. 462
86 In particolare, v. Scuto, Le donazioni, p.1082
61
Da siffatte premesse, è naturale che discenda per l’Autore la
piena applicabilità delle norme sulla collazione e sulla riduzione
per lesione di legittima, così come quelle in tema di revoca per
ingratitudine
o
sopravvenienza
di
figli.
Circa
questo
ultimo
aspetto, risulta chiaro il contrasto con la tesi che, qualificando
diversamente la fattispecie, si oppone all’uso di tali norme,
posta la loro peculiare operatività nello speciale contesto della
donazione87
(non
a
caso,
questa
ultima
teoria
conclude
col
difendere l’impiego della norma sulla rescissione, ove l’alienante
abbia venduto ad un prezzo inferiore alla metà del valore senza
una effettiva volontà di donare88).
Il
giurista
materia
di
considera,
actio
infine,
pauliana:
i
applicabili
creditori
anche
le
potrebbero
norme
in
impugnare
l’intero atto qualora l’acquirente sia consapevole del consilium
fraudis, oppure la sola parte gratuita dell’atto, sulla base della
frode dell’alienante ed a prescindere della scientia fraudis del
beneficato.
A parte le modalità applicative del negotium così qualificato, per
quel che qui interessa, giova evidenziare che la scissione della
donazione mista in due negozi, uno oneroso ed uno gratuito, ove
questo
ultimo
risulterebbe
dalla
differenza
tra
il
valore
effettivo della cosa venduta ed il corrispettivo pattuito dai
87 Scrive Rubino “Le norme sulla revoca hanno carattere eccezionale e particolarmente contrastano con gli atti a
titolo oneroso; finché un negozio si qualifichi vendita, non può essere revocato per le cause proprie della
donazione”, in Il negozio giuridico indiretto 1937, p. 137; ma nello stesso senso anche De Gennaro “ se il donatore
ha scelto la via indiretta egli si è volontariamente preclusa la via a fruire della particolare tutela accordata dalla
legge”, in I contratti misti 1934, p. 231
88 “Il legislatore ammette l’azione di rescissione perché ritiene sempre con una presunzione iuris et de iure che la
volontà di donare non esista realmente. … in altri termini ammette l’azione di rescissione non già perché configura
il nostro negozio come una vendita,ma perché esclude a priori che vi sia un negotium mixtum cum donatione.”, G.
Deiana, cit., p. 233
62
contraenti, va, peraltro, ritenuto di fatto inattuabile così come
la scissione ideale dell’unica prestazione in due parti. Di talché
si rivela non condivisibile tale impostazione, in quanto, se per
aversi un collegamento è necessario che esso si realizzi tra due
distinti accordi, ciò non può dirsi nella donazione mista ove,
invece, gli intenti sono perseguiti –è evidente- da un contratto
singolo, pur peculiare e complesso, ma comunque unitario89.
LA DONAZIONE MISTA COME CONTRATTO INDIRETTO
Quanto
agevole
è
stato
giustificare
la
disapprovazione
della
precedente interpretazione, altrettanto poco sarebbe sufficiente
per allontanarsi pure dalla valutazione che annovera la donazione
mista, per il tramite del negozio indiretto90, tra le donazioni
indirette.
Sennonché,
contrariamente
a
prima,
ci
si
trova
dinanzi
all’impostazione più accreditata91, sulla scorta della quale, il
risultato
liberale
si
realizzera,
dunque,
attraverso
l’utilizzazione di un negozio a titolo oneroso e la causa del
contratto non sarebbe investita dall’intento liberale che, non
89 “La configurazione invece di negozio unitario, a confutazione della suddetta impostazione dottrinale, richiede
che gli effetti giuridici si ricolleghino al complesso delle dichiarazioni riunite in un'unica funzione negoziale, senza
che possa ritenersi istituito un nesso di collegamento tra ciascuna distinta dichiarazione” così D’Ettore, in La
donazione, Trattato Bonilini, p.165
90 Non è questa la sede per approfondire la possibilità o meno di assimilare negozio indiretto e donazione
indiretta, questione, pure questa, al vaglio di alcuni giuristi. Questo aspetto, come si vedrà, non interessa, non
solo perché si intende non sposare la lettura di donazione indiretta, ma soprattutto perché si fonda su una
premessa che introduce un argomento diverso da quello di studio (parlare di negozio indiretto vorrebbe dire, tra
l’altro, ritenere senza dubbio ammissibile la fattispecie). Cfr. Rubino, in Il negozio giuridico indiretto, secondo cui
non tutte le ipotesi di donazione indiretta sono anche negozi indiretti.
Per un rinvio completo, v. Caredda, in Le liberalità diverse dalla donazione, Giappichelli, 1996, p. 71 ss..
In questo lavoro, dunque, si parlerà genericamente di donazione indiretta senza prendere posizione sul punto
91 Cfr. in dottrina, Ascarelli in Riv. Dir. Com., 1930, II; Carnevali, Le Donazioni, in Trattato Rescigno, Utet, 1997;
De Gennaro, Biondi, in Chiarimenti intorno al nmd e alla donazione indiretta, 1960; e ancora, Torrente, La
donazione, in Trattato Cicu-Messineo, Giuffrè, 1956; Rubino, Il negozio giuridico indiretto; Scalfi, in Temi, 1950; Di
Staso, in Giur. Completa Cass.civ., 1949, II; Casulli, in Donazioni indirette e rinunce ad eredità o legati, Roma,
1950; Biscontini, in Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti
63
penetrando
nella
ulteriore
ed
a
struttura
sé
negoziale,
stante
rispetto
costituisce
l’assetto
uno
di
scopo
interessi
perseguito dai contraenti. “Nel negotium mixtum cum donatione la
causa del contratto ha natura onerosa, ma il negozio commutativo
stipulato dai contraenti ha la finalità di raggiungere, per via
indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni,
una finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio,
consistente nell’arricchimento per puro spirito di liberalità, di
quello
dei
contraenti
che
riceve
la
prestazione
di
maggior
valore”92: in tal senso si esprime granitica giurisprudenza.
Da
tale
inquadramento
deriva
l’applicabilità
della
disciplina
delle donazioni indirette (v. infra) e, conseguentemente, la non
necessità della forma solenne93. Difatti, il contratto commutativo
viene
a
costituire
il
tramite
necessario
per
realizzare
concretamente il fine della liberalità perseguito dalle parti,
ponendosi in funzione strumentale rispetto ad esso, ma conservando
la propria autonomia sostanziale,così da restare assoggettato alla
disciplina giuridica che gli è propria.
Siffatta impostazione è seguita persino dal legislatore tributario
che ha inteso attribuire espressamente un rilievo alle donazioni
indirette94.
Va detto che, sebbene questo sia l’orientamento di autorevole
dottrina
e
di
pressoché
unanime
giurisprudenza95,
questa
ha
92 Ex multis, Cass. 1955/2007
93 Ex multis, SU. 13524/2006,
94 Per tutti, v. Valenza, ‘La donazione indiretta tra diritto civile e diritto tributario’ in La nuova Giur.Civ.
commentata, 2001, p.179
95 V. ex plurimis, Cass. 526 /1979, in Giur. It. 1979, I “I contraenti danno vita ad un negozio per sua essenza
oneroso per conseguire un risultato diverso da quello proprio del contratto utilizzato del quale rispettano le
64
pronunciato,
anche
recentemente,
provvedimenti
non
sempre
esaustivi e certamente in nulla innovativi, restando nel solco
della tradizione.
Prima di procedere oltre con il ragionamento, giova inquadrare
cosa
di
intenda
per
donazioni
indirette.
Come
è
noto,
il
meccanismo attraverso cui il risultato liberale si realizza nella
donazione è quello dell’attribuzione spontanea e disinteressata di
un
diritto
ed
il
risultato
medesimo,
visto
dal
lato
del
beneficiario, è appunto l’acquisto di un diritto che –non essendo
in alcun modo previsto un corrispettivo- arricchisce l’acquirente.
Tra gli atti dotati di questi caratteri il legislatore definisce e
disciplina
compiutamente
la
donazione,
ma
ne
prende
in
considerazione anche altri, cioè tutti i possibili altri atti di
liberalità, individuati per sottrazione (art. 809 c.c.). Perciò,
da
un
lato,
si
conferma
che
i
connotati
essenziali
della
liberalità sono idonei ad essere presenti ed a caratterizzare
svariati atti anche diversi dalla donazione, dall’altro lato, si
sottolinea che gli altri atti di liberalità sono diversi da quelli
previsti ex art. 769 c.c..
E’ sulla scorta di questi dati normativi (e del pensiero giuridico
francese) che la distinzione tra donazione diretta ed indiretta si
focalizza
principalmente
sullo
scopo
perseguito,
il
quale,
in
quest’ultima è indiretto, in quanto conseguenza concomitante di un
finalità di scambio, aggiungendovi quella ulteriore di attribuire ad una delle parti la differenza tra il maggior
valore economico del bene oggetto del contratto e il corrispettivo pattuito. Il contratto commutativo viene a
costituire allora il tramite necessario per realizzare concretamente il fine di liberalità perseguito dalle parti,
ponendosi in funzione strumentale rispetto a questo, ma conservando la propria autonomia sostanziale, così da
restare assoggettato alla disciplina giuridica che gli è propria” ; Cass. 1931/1991, in Mass. Foro It., 1991; Cass.
11499/1992, in Mass. Foro it., 1992
65
atto
giuridico
il
quale
per
se
stesso
ha
tutt’altro
scopo
e
natura96.
A voler, quindi, introdurre un esame più minuzioso, giova muovere
-anche in questo caso- dalla riflessione, accolta da molti97, di
chi
meglio
ha
saputo
teorizzare
tale
inquadramento.
Ascarelli
colloca la donazione mista nella categoria dei negozi indiretti,
accogliendo come esauriente l’impostazione del Muller in merito
all’unicità
del
negotium
mixtum98,
quindi
usando
un
punto
di
partenza esattamente antitetico a quello impiegato da Deiana. In
questa ottica, si realizza un negozio indiretto “quando le parti
ricorrono ad un determinato negozio giuridico, ma lo scopo pratico
ultimo che esse si propongono non è affatto quello normalmente
attuato attraverso il
negozio
da esse adottato,
ma uno scopo
diverso, spesso analogo a quello di un altro negozio, più spesso
mancante
di
una
propria
forma
tipica
in
un
determinato
ordinamento”99.
Traguardo di siffatta descrizione è che la disciplina applicabile
all’accordo
indiretto
sarà
quella
che
il
negozio
avrebbe
se,
anziché essere concluso per scopi indiretti, fosse concluso per
attuare attraverso di esso il suo scopo tipico. Già in questa
affermazione si palesa tutta la contraddittorietà della posizione
che,
da
un
lato,
ammette
l’esistenza
di
scopi
ulteriori,
indiretti, dall’altro nega la loro efficacia limitando comunque
96 A tale opinione se ne contrappone, peraltro, una dissenziente secondo la quale l’intera costruzione sarebbe
priva di fondamento: per prima cosa, l’espressione donazioni indirette sarebbe inesatta in quanto talune di esse si
compiono per un atto diretto, un atto tra il donante ed il donatario; in secondo luogo, i diversi casi di donazione
indiretta non possono ricondursi sotto un unico concetto. Per tutti v. Ascoli, in op. cit., p. 426 ss.
97 De Gennaro, Maroi, Cariota Ferrara, Rubino. Non accolta, invece, ovviamente da Deiana, v. infra
98 V. cap.2
99 Ascarelli, in Rivista Dir. Commerciale 1930, II, p. 468
66
l’operatività del negozio al suo ambito tipico (senza che quegli
ulteriori scopi, pur esistenti, possano in qualche modo rilevare).
Ma senza voler anticipare quanto si avrà modo di specificare in
appresso, e tornando agli esiti dell’impostazione menzionata, si
nota che in tali ipotesi l’Autore non reputa utilizzabili le norme
relative alla revoca per ingratitudine o per sopravvenienza di
figli100 dato che da un punto di vista formale l’accordo ‘rimane
pur
sempre
un
negozio
oneroso
assoggettato
alla
disciplina
giuridica che discende dal sua scopo tipico’101; si ammette invece
l’applicazione del divieto di donazioni tra coniugi, l’obbligo
della collazione e la riduzione per lesione di legittima, dato che
tali norme, benché dettate in tema di donazione, valgono per tutti
gli atti di liberalità.
Conseguentemente, si evince che la causa del negozio de quo non è,
nemmeno parzialmente, quella donativa, seppure questo sia il moto
-a
volte-
prevalente
nella
volontà
delle
parti,
ma
sempre
e
soltanto quella del negozio oneroso impiegato102: ciò alla luce del
fatto
che
la
sproporzione
esistente
tra
il
valore
delle
due
prestazioni non sarebbe sufficiente a far esulare il negozio dal
100 Pur sposando la lettura della donazione indiretta, Biondi perviene, in parte a dissimili conclusioni “L’atto
produce tutti gli effetti di cui è capace: effetti traslativi, costitutivi di obbligazione, responsabilità per evizione e
vizi occulti, secondo i principi generali e quelli propri di ciascun negozio: come dicono i giuristi romani, la vendita
resta vendita ... Alla liberalità risultante sono applicabili non tutti i principi della donazione, ma solo quelli
indicati in modo tassativo nello stesso art.809, precisamente a)revoca per ingratitudine e sopravvenienza di figli
b)riduzione per lesione di legittima”, in Chiarimenti intorno al nmd, Banca borsa e titoli di credito, 1960. Dunque,
mentre Ascarelli esclude il ricorso alla revoca, Biondi lo ammette poiché “Viene revocato o ridotto non l’atto, che
sotto tale profilo resta pienamente valido, ma soltanto l’arricchimento che risulta da esso”
101 Così Ascarelli, in op. cit.
102 Alcaro, in Vita notarile n.3, 2001, p. 1060 “…si pone quindi immediatamente il problema di compatibilità tra
l’atto diverso e il fine di liberalità…esso (l’atto diverso) non nasce perché realizzi la liberalità. È l’intento liberale
che, integrando la causa di questo atto diverso, lo piega e lo orienta la risultato liberale…E’ per questo che nelle
donazioni indirette la liberalità non è la conseguenza corrente della causa propria dell’atto, ma costituisce solo un
effetto, un risultato …”
67
tipo oneroso103, in alcun modo potendosi escludere lo scambio tra
prestazioni voluto dai soggetti.
Per Ascarelli, dunque, la caratteristica del negozio indiretto è
data proprio dal fatto che attraverso di esso le parti mirano a
raggiungere uno scopo che non è quello tipico nel negozio stesso.
Secondo
questa
lettura,
di
fronte
alla
fissità
dello
scopo
empirico tipico di ogni negozio, c’è la variabilità dei motivi a
permettere la varietà dei suoi atteggiamenti concreti e quindi il
raggiungimento di scopi ulteriori ben distinti da quello tipico
del negozio, acquistando essi rilevanza decisiva nella volontà
delle parti104.
“La
caratteristica
distinguendo
del
esattamente
negozio
nel
indiretto
negozio
lo
si
scopo
coglie
così,
tipico
dagli
eventuali scopi ulteriori; la causa dai motivi”105.
In definitiva, tale qualifica dipenderebbe dai motivi che spingono
le parti, motivi a cui si concede così una rilevanza giuridica
tale da permettergli di escludere che la donazione mista sia una
contratto
misto.
Sostiene
Ascarelli,
difatti,
che
nel
negozio
indiretto l’intento ulteriore perseguito dalle parti corrisponde
allo scopo tipico di un negozio diverso da quello concretamente
adottato, mentre nel contratto misto si assiste ad una concorrenza
di più scopi tipici, ovvero di ‘più cause’ proprie di contratti
differenti. Dunque, si avrà concorrenza di intenti empirici nel
103 Si palesa nuovamente l’incompiutezza del criterio economico a fungere da parametro valutativo: anche in
questo caso, infatti, muovere dalla sproporzione dei valori in gioco non è utile, ma anzi devia il ragionamento
dell’A. . V. anche qui, in Cap.4
104 Della stessa idea, Biscontini, secondo cui il ricorso alla minima unità effettuale consente di proporre per il nmd
una soluzione nell’elemento causale(di scambio) a prescindere ‘da possibili riferimenti a valutazioni soggettive’,
in Bilateralità, onerosità e qualificazione dei contratti, cit., p.138
105 Ascarelli, in Rivista Dir. Commerciale 1930, II, p. 469
68
primo
caso,
concorrenza
di
prestazioni
tipiche
di
contratti
diversi nel secondo caso.
Questi sono, in definitiva, gli argomenti che portano il giurista
a non condividere la decisione adottata dalla Corte di legittimità
con sentenza del 27 marzo 1930 secondo cui la vendita a prezzo
vile è un negozio misto di vendita e di donazione.
Risulta, pertanto, facilmente intuibile la conclusione derivante
da tali premesse: il negozio indiretto resterà assoggettato alla
disciplina
tipica
indipendentemente
dai
del
negozio
motivi
scelto
ulteriori,
dai
in
contraenti106,
quanto
unicamente
connessa alla causa tipica presupposta107.
Di conseguenza, la donazione mista realizza sì un negozio unico perché unica è la causa sottesa, ovvero quella del negozio oneroso
adottato dai contraenti-, ma è la causa dello scambio a puntellare
l’intera operazione, mentre l’intento di donare resta nel campo
dei motivi, quindi dell’inconsistenza.
Si tratta, per l’Autore che ripudia in toto le riflessioni della
dottrina tedesca in merito108, di una vera e propria vendita in cui
l’irrisorietà del prezzo nulla toglie allo scambio di cosa contro
prezzo. Solo ove manchi del tutto il prezzo, solo allora, si
potrebbe
diritto
abbandonare
si
preoccupa
il
terreno
della
della
causa,
non
vendita,
della
dato
sua
che
“il
importanza
psicologica: della sussistenza di uno scambio, non della effettiva
106 V. anche Biondi “Non si ha duplice disciplina, ma soltanto quella del negozio oneroso” in Chiarimenti intorno al
nmd, Banca borsa e titoli di credito, 1960
107 “Negare l’applicazione di questa disciplina, sarebbe insieme tradire la logica giuridica e la volontà delle
parti”, ibidem, p. 472
108 Ibidem, pag. 475
69
equivalenza delle prestazioni”109. Ciò troverebbe conferma, secondo
il giurista, nel passo ulpianeo D.18, 1, 38 secondo cui la vendita
viliore pretio è vendita110, ma assoggettata ad alcune regole di
sostanza delle donazioni.
Concludendo,
non può che notarsi quanta fortuna abbia avuto la
qualifica di donazione indiretta, dato che viene condivisa dalla
giurisprudenza ormai costante della Corte di legittimità (così, da
ultimo
Cass.
23215/10111
che
si
rifa
e
Cass.3661/75,
6411/88,
1214/97, 4623/01, 13337/06, 13524/06, 19099/09) ogni volta che sia
individuata
l’intenzione
consapevole
di
attribuire
a
titolo
gratuito la differenza tra il maggior valore economico della cosa
oggetto del contratto e il prezzo pattuito112.
La
teoria
presentata,
pur
largamente
condivisa,
va
peraltro
incontro a molte obiezioni la cui esposizione permette, in parte,
di anticipare talune conclusioni di questo lavoro.
In
forza
dell’autonomia
privata,
il
negozio
indiretto
non
rivelerebbe nella sua struttura giuridica l’ulteriore intento che
lo ispira113.
Il
nucleo
del
problema
del
negozio
indiretto
ed
il
centro
dell’attenzione degli studiosi è costruito proprio dal cd. scopo o
109 Così Ascarelli, ibidem, p. 474
110 Il passo recita “quotiens vero viliore pretio res donationis causa distrahitur, dubium non est venditionem
valere”
111 In Cass. 23215/10 si legge “in effetti, il negotium mixtum cum donatione si qualifica come un contratto
mediante il quale le parti volutamente stabiliscono un corrispettivo di gran lunga inferiore a quello che sarebbe
dovuto … con l’intento…di arricchire…la parte acquirente per quella parte eccedente il corrispettivo pattuito: in
tal senso ci si trova in presenza di una situazione giuridica particolare, connotata dal fatto che le parti adottano lo
schema tipico di un contratto oneroso con l’ulteriore intento a far conseguire ad una di esse un arricchimento a
titolo gratuito in modo tale da piegare la causa tipica del contratto stipulato alla realizzazione di una finalità di
liberalità”
112 V.Cass. 3661/1975 in Mass. Giust. Civ. 1975, Cass. 2147/1987 in Vita not. 1987, Trib. Torino 30.10.1982, in
Giur. It. 1984 , I
113 V. Auricchio, in Negozio Indiretto, Nov. Dig.it, XI
70
intento ulteriore che muove i contraenti e dalla consistenza che
può
essergli
attribuita.
Costretti
dall’alternativa
-un
tempo
intesa rigidamente- tra causa e motivi, i sostenitori del negozio
indiretto ammettono nella sostanza che il cd. scopo o intento
ulteriore
negozi
rientra
tipici
nell’area
dei
con ulteriore
motivi
fine
di
(per
tale
liberalità
ragione,
ai
applica
la
si
disciplina loro propria, con l’aggiunta delle sole norme materiali
in tema di donazione, in ragione del fatto che i negozi medesimi
producono un risultato pratico-economico analogo a quello prodotto
dalla donazione).
Si
noti,
rilevanti
nondimeno,
perché
che
comuni
effettivamente
allo
utilizzano
negozio.
il
si
tratta
alle
scopo
di
parti
primario
Il
disagio
motivi
e
per
è
particolarmente
perché
il
corrispondono
quale
evidente:
le
di
parti
fatto
la
rilevanza pratica degli intenti ulteriori è palese, ma non si può
attribuire
loro
convergono
le
una
rilevanza
critiche
a
giuridica.
tale
E’
elaborazione.
proprio
Il
qui
nucleo
che
delle
obiezioni si sostanzia nell’osservazione che “gli scopi ulteriori
ed indiretti, i motivi del negozio, o non acquistano rilevanza
giuridica,
e
allora
evidentemente
non
possono
servire
a
determinare una nuovo figura di negozio, o l’acquistano e con ciò
stesso
negozio,
inevitabilmente
che
non
può
si
mutano
pertanto
in
causa,
trasformando
considerarsi
il
semplicemente
indiretto”114.
114 Nega che il negozio indiretto costituisca una categoria giuridica, Santoro –Passarelli, in Foro it., 1931, c.166 e
Dottrine generali del diritto civile, Jovene, 1989. Cfr. Cap.4
71
Null’altro, serve, in questa sede, a dimostrare che nell’ipotesi
di donazione mista il rinvio alla categoria ‘indiretta’ si rivela
fuori luogo, atteso che si ricade nella seconda delle ipotesi
appena richiamate, ove ciò che si definisce ‘altro’ rispetto al
negozio di base non può essere relegato a mero motivo, tanto più
qualora lo si ritenga trascurabile.
Inoltre,
si
presuppone
–erroneamente-
che
il
negotium
mixtum,
quale donazione indiretta, sia un negozio diverso dalla donazione,
con propria causa
che
invece
la
ed ulteriore intento di liberalità: si ribatte
donazione
mista
è
un
atto
che
partecipa115
ai
medesimi elementi della donazione.
Senza considerare poi, in limine, che è la stessa ragion d’essere
del
negozio
l’elaborazione
indiretto
teorica
che
della
può
figura
mettersi
in
discussione116:
nasceva
da
un’osservazione
della realtà che restava ancorata alla distinzione causa-motivi,
sia per
la rigidità
e
l’astrattezza con
cui quest’ultima
era
intesa, sia per la diffusa diffidenza verso le figure negoziali
atipiche117.
115 Ritiene che le fattispecie riportate comunemente alla figura della donazione indiretta (negozio indiretto) siano
in realtà il più delle volte ipotesi di donazione diretta, rinunzia donativa o simulazione relativa, Balbi, in Liberalità
e donazione, Riv. Dir. Comm., 1948
116 Non a caso, l’evoluzione della dottrina è nel senso di un progressivo superamento degli atti di liberalità diversi
dalla donazione dalla discussa figura del negozio indiretto. Già sul piano terminologico si avverte la tendenza ad
abbandonare l’espressione donazioni indirette: si propone così il termine liberalità atipiche che definisce gli atti in
esame per via di contrapposizione con l’unica liberalità tipica, cioè la donazione.
V. ad es. Biscontini nega che il nmd (pur integrando una donazione indiretta ex art. 809 c .c.) sia un negozio
indiretto sulla base del fatto che la sua minima unità effettuale è e resta quella perseguita dalle parti, in
Bilateralità, onerosità e qualificazione dei contratti
117 Si rammenta la revisione critica cui il concetto stesso di negozio indiretto è stato sottoposto tanto da indurre
parte della dottrina ad escludere persino le donazioni indirette dall’insieme dei negozi indiretti, Cfr. Bianca, Il
contratto, Giuffrè 1987.
V. anche Carnevali in Enciclopedia del diritto, sub Liberalità “…sembra inopportuno, o quanto meno irrilevante,
ricondurre le donazioni indirette nell’ambito del negozio indiretto, figura di assai dubbio rilievo dogmatico”
72
Non si può negare, quindi, che la soluzione donazione mista come
donazione indiretta
sia
‘comoda’
per
certi
aspetti, ma
la
si
rimprovera di usare la nozione di negozio indiretto anche per
nascondere
la
reale
sostanza
dell’affare,
facendone
prevalere
l’aspetto esteriore, così come accade quando si qualifica negotium
mixtum cum donatione (con conseguente esenzione da oneri formali)
una vendita a prezzo non solo sproporzionato, ma anche irrisorio,
che
invece
–ad
una
lettura
sostanziale
dell’affare-
potrebbe
risultare una vera donazione118.
Non
a
caso,
considerato
in
talune
come
decisioni,
negozio
oneroso
il
negotium
indiretto:
mixtum
qualche
non
è
sporadica
sentenza afferma che “qualora l’atto di liberalità abbia profili
sia rimuneratori che restitutori, ai fini della disciplina si
applica il criterio della prevalenza”. Tale soluzione119 presuppone
che
la
donazione
mista
sia
considerata
come
unico
negozio
giuridico nel quale confluiscono motivi in parte onerosi e in
parte
gratuiti,
giurisprudenza
prevalente,
ossia
sceglie
anche
un
di
con
negozio
applicare
riguardo
la
alla
misto
al
disciplina
necessità
quale
del
tale
profilo
della
forma
pubblica.
Ciò
che
sembra
accomunare
le
diverse
decisioni
(quelle
che
scelgono il negozio indiretto e quelle che optano per il contratto
misto) è se non altro la rilevanza attribuita alla componente
della
liberalità
soluzione
che
adottata
accompagna
non
si
può
lo
scambio:
prescindere
qualunque
dalla
sia
coscienza
118 V. Scalfi, Negozio indiretto, cit., p.3 e 7
119 V. Cass. 1545/1981, 1751/1992; 8446/1990, 3499/1999; Trib.Milano 20.03.1989, Trib. Torino 30.10.1982
73
la
e
volontà relative
avvalorare
donazione
significato
l’incoerenza
mista,
componente
al
del
poiché,
negoziale,
negozio
pur
poi
dell’atto.
fatto
che
indiretto
rilevando
di
Il
le
applicato
l’entità
si
non fa
nega
di
una
che
alla
certe
valore.
Solo
svincolandosi, allora, dalla prospettiva di ‘negozio tipico più
intento
ulteriore’
è
possibile
esaminare
direttamente
il
regolamento contrattuale predisposto dalle parti ed individuare
quali
interessi
dell’atto
o
è
diretto
dell’operazione
a
realizzare.
che
consente
E’
l’esame
di
diretto
chiarirne
il
significato e la funzione120.
In sintesi, si può osservare che, se -così operando- si comprende
che l’intento
di perseguire
scambio e
liberalità
è comune
ai
contraenti, penetrando nel contenuto del contratto, non si può più
parlare di negozio indiretto, in quanto il risultato perseguito
dalle parti viene direttamente realizzato dal negozio adottato,
considerato, da alcuni, come negozio misto121.
In conclusione, quindi, sebbene la teoria esposta goda di tanta
approvazione, espone il fianco a plurime obiezioni cui in questa
sede si aderisce totalmente.
LA DONAZIONE MISTA COME CONTRATTO MISTO
Si passa ora al vaglio del terzo filone ermeneutico: esso, oltre a
rispondere a criteri fatti propri da parte della giurisprudenza,
120 L’idea secondo la quale la causa del contratto deve essere valutata in concreto, infatti, non solo rende più
elastica la distinzione tra causa e motivi, ma consente anche di abbandonare il fuorviante angolo visuale che aveva
bloccato l’evoluzione della teoria del negozio indiretto. Per questo riferimento, v. qui, in Cap.4
121 Cfr. Carrnevali, Le donazioni, cit.. L’osservazione critica riportata è la stessa, in sostanza, ad essere stata
avanzata contro la costruzione teorica del negozio indiretto, alla luce dei risultati raggiunti in tema di causa
concreta del contratto
74
rappresenta il traguardo dell’operazione auspicata nel presente
capitolo, nel senso che, una volta superate le due precedenti
interpretazioni qui contestate, raggiunge, tra quelle esaminati,
il
più
convincente
orientamento
sull’identificazione
della
categoria in esame.
A tal fine, si ritiene imprescindibile soffermarsi analiticamente
sulla speculazione del giurista122 che più di tutti ha dato corpo
ad una riflessione efficace sul tema de quo.
A questo punto della ricerca, tale riflessione, infatti, oltre a
fornire un metodo di studio improntato sull’essenza dei quesiti
che l’istituto pone, riesce altresì ad assegnare agli stessi una
serie di riscontri coerenti.
Cataudella
inquadra,
prima
di
ogni altra
cosa,
il profilo di
problematicità, ma pure di interesse, per cui rileva la donazione
mista: i caratteri di un negozio oneroso si affiancano alle note
proprie della donazione, creando così un concorso di elementi che
non trova corrispondenza in altre fattispecie e che si atteggia
diversamente a seconda del negozio oneroso che si combina con la
donazione. Fin qui, nulla di nuovo.
Perché
tale
combinazione
si
realizzi,
peraltro,
occorre
che
l’oggetto della componente onerosa sia idoneo a costituire anche
oggetto di donazione e da ciò s’intende che di donazione mista si
possa parlare non solo nei casi –i più frequenti- di vendita mista
a donazione, che si compie nelle due ipotesi di vendita a prezzo
122 Cataudella, La donazione mista, Giuffrè, 1970.
Ma nel senso dell'unicità della causa, sebbene mista in quanto risultante dalla fusione delle due cause onerosa e
liberale, v. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1953, p. 49, nonché Giorgianni, Negozi
giuridici collegati, in Riv. it. scienze giur., 1937, p. 319
75
vile o di acquisto a prezzo molto elevato123, ma anche tutte quelle
volte che l’autonomia contrattuale riesca ad impostare un accordo
misto realizzante interessi meritevoli di tutela.
Da qui nasce il primo spunto di analisi, id est il concetto di
donazione
mista
determinazione
che,
di
per
un
essere
minimo
identificato,
comune
necessita
denominatore
della
capace
di
circoscrivere con esattezza la fattispecie e superare i dilemmi
che questa, come un Giano bifronte, crea.
Innanzitutto,
fattore
essenziale
è
l’accordo
sullo
spirito
liberale: l’Autore esclude che possano ricorrere gli estremi della
donazione mista qualora non si rinvengano le note della donazione
‘pura’, cioè quella in senso stretto, non potendo considerarsi
coinvolto ogni altro genere di liberalità124, tanto che in questo
ultimo
caso
ogni
dubbio
verrebbe
risolto
dalla
semplice
applicazione dell’art. 809 c.c..
Soffermarsi
sull’atteggiarsi
dello
spirito
liberale
non
è
operazione scontata dato che, come sottolineato, non sempre è
stato
dato
il
giusto
risalto
a
questa
componente.
L’Autore
correttamente evidenzia che non si potrebbe inquadrare il negotium
mixtum cum donatione come categoria autonoma qualora si ritenesse
non
indispensabile
la
presenza
dell’animus
liberale
e
quindi
sufficiente una mera sproporzione tra le prestazioni125, in quanto
123 A dire il vero, nella giurisprudenza più recente non si rinvengono casi diversi dalla vendita mista a donazione
124 Contra, Stolfi, secondo il quale la disciplina positiva allineerebbe, accanto a quello di donazione, anche un
concetto più ampio comprensivo di tutte le liberalità “il vocabolo donazione indica in generale qualunque atto
unilaterale o bilaterale che sia compiuto per spirito di liberalità e che abbia per conseguenza l’arricchimento di
una delle parti senza corrispettivo”, in Teoria del negozio giuridico, Padova, 1961
125 V. Gabba che -in Nuove questioni di diritto civile, 1960, p.81- individua donazione mista allorché la
sproporzione tra le prestazioni sia ultra dimidium. Correttamente, al contrario, D’Ettore rileva che perché il
criterio di distinzione economico possa ritenersi pienamente utilizzabile, bisognerebbe che esso riposasse su una
definizione rigorosa delle nozioni di arricchimento e correlativo impoverimento, nonché di mancato guadagno e
76
l’inadeguatezza (del prezzo…per restare nell’alveo delle vendita
mista a donazione) non è ex se idonea a conferire elementi di
gratuità
al
negozio
né
ad
escludere
l’applicabilità
delle
disposizioni sui contratti a prestazioni corrispettive.
Parimenti non meritevole di accoglimento, quindi, si configura una
lettura
che
si
accontenti126
di
un
intento
liberale
in
mente
retentum, dato che questo motivo individuale non riuscirebbe ad
incidere sulla configurazione contrattuale127.
In tutti
i casi, peraltro, in cui non si rinvenisse il requisito
reclamato, si presenterebbe nessuna problematicità: trattandosi di
atti
di
liberalità
diversi
dalla
donazione,
semplicemente nella disciplina ex art. 809 c.c..
si
ricadrebbe
Al contrario, la
normativa sulla donazione si applica solo quando l’accordo sulla
realizzazione della liberalità entra a far parte della struttura
contrattuale in quanto funzione propria di quest’ultimo: questo è
il puntello in forza del quale Cataudella (nonché la presente
analisi) respinge la gettonata lettura della donazione mista come
donazione indiretta, che tende a negare proprio il presupposto in
virtù del quale applicare la disciplina della donazione, atteso
che l’intento ulteriore in un caso resta estraneo alla struttura
del
contratto,
nella
donazione
mista
–invece-
plasma
la
fattispecie.
attraverso di esse su una definizione precisa di patrimonio, in Intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale,
Cedam, 1996
126 V. ad es. Recupero, in Temi, 1950
127 Nello stesso senso, D’Ettore “l’animus donandi non si identifica dunque con il motivo individuale. Definitolo
spirito di liberalità come l’intento pratico perseguito dalle parti con il negozio, cessa ogni possibilità di confusione
con il motivo individuale” dato che “…il fine ulteriore perseguito non si pone come motivo dell’atto ma come
intento col quale le parti assumono l’obbligo di indirizzare quel negozio verso il risultato…” in op. cit., p.125 e
p.146
77
Ed anche ove tale intento ulteriore non si armonizzasse con il
contratto oneroso scelto dai contraenti, restandone estraneo, si
dovrebbe
escludere
il
realizzarsi
di
un
negozio
indiretto,
configurandosi, in tal caso, un mero accordo simulatorio128.
Ulteriore dubbio sistematico sciolto dall’Autore è offerto dalla
qualificazione giuridica e, più precisamente, da un quesito a
monte della questione così come posta anche in questo scritto:
stabilire se si tratti di unità o pluralità di negozi.
Si giunge così a stabilire che a nessun risultato soddisfacente
guiderebbe l’impiego del concetto di causa o l’esame della volontà
delle
parti
coinvolte129,
incapaci
di
fornire
un
crisma
sufficientemente preciso di distinzione.
Si anticipa sin d’ora che, come si avrà modo di approfondire nel
successivo capitolo, questa sarà, invece, la prospettiva eletta
del lavoro qui svolto, in parte proprio in forza della riflessione
di Cataudella, unico a rendere il giusto rilievo al con-formarsi
del proposito contrattuale nel contratto esaminato.
Ad ogni modo, l’Autore nega attendibilità anche alla posizione che
individua nel criterio della prevalenza130 la chiave di volta della
128 Di simulazione parla, infatti, ad es. Trib. Messina, 30.03.1949, in Temi, 1950; v. anche “Se…ciascuna
prestazione sia configurata come corrispettivo dell’altra, l’accordo sull’intento liberale, appunto perché
incompatibile con quanto emerge dal contenuto del contratto, non vale ad integrarlo, ma … dà vita ad una vera e
propria controdichiarazione, ponendo in essere una simulazione relativa” Cataudella, cit. p.18
129 V. ad es. Cass. 2415/1967
130 Criterio discriminante al fine della determinazione della disciplina applicabile sarebbe quindi rinvenibile nel
valore della quota venduta rispetto a quella donata: così Cass. 3229/1969, in Foro it., 1970, I.
In generale, nel senso dell'applicabilità del criterio della prevalenza, Cass. 7666/1995, in Giur. it., 1996, I; Cass.
8446/1990, in Arch. civ., 1991, p. 163; Cass. 1545/1981, in Riv. not., 1982.
Contrario all'applicazione del criterio della prevalenza, Osti, Contratto misto, in Noviss. Dig. It., IV, secondo il
quale dovrebbe invece applicarsi il diverso criterio della combinazione. Nello stesso senso, al fine di evitare di
disconoscere rilevanza agli elementi del tipo contrattuale non prevalente, anche Cass. 1494/1979, in Giust. civ.,
1979, I
78
questione131: questo criterio prenderebbe in considerazione ipotesi
che si risolvono o in uno schema tipico unico o in una pluralità
di negozi collegati, senza lasciare spazio ad un tertium genus,
dato che -anche in caso di contratti a mistione bilaterale-, se è
incontestabile l’esistenza di una funzione unica, non è certo
possibile sempre individuare una funzione prevalente.
Parimenti
inefficace
risulta
il
criterio
che
utilizza
come
riferimento l’unità o la pluralità di documenti contenenti le
regole negoziali, cosicché, per dirla con Von Tuhr, Cataudella
conclude che non esiste un criterio dirimente
per risolvere il
problema della unità o meno della donazione mista: si tratterà di
far
capo,
pluralità
dunque,
di
a
fattispecie
negozi
presuppone
concrete
ricordando
necessariamente
che
la
pluralità
di
prestazioni che ne costituiscono l’oggetto e che ove l’analisi
rilevi
la
fattispecie
presenza
di
(elementi
elementi
‘interi’)
propri
si
sarà
di
di
una
pluralità
fronte
a
di
negozi
collegati.
In sintesi, la riflessione riportata ha il merito di dare risalto
alla complessità strutturale del negotium mixtum che, pertanto,
non può non
ripercuotersi anche sulla sua essenza (complessità
strutturale=complessità funzionale)132: ciò non impedisce peraltro
che
si
sia
di
fronte
ad
una
struttura
unica
-ed
unitaria-,
131 V. Giorgianni secondo cui di unità si può parlare quando una delle conseguenze economiche sia prevalente e le
altre risultino ad essa legate da un nesso di subordinazione funzionale, in Negozi Giuridici collegati; cfr. anche
Messina, secondo cui in caso di pluralità di prestazioni c’è unità quando sia possibile individuare una prestazione
prevalente, in Negozi fiduciari
132 Al contrario, vi è chi nega in radice l’ammissibilità della figura del contratto misto (es. Biscontini, in
Bilateralità, onerosità e qualificazione dei contratti, cit., p.125) sulla base del fatto che, qualora esistano più
prestazioni non riconducibili al medesimo titolo, esse vadano ricondotte a differenti cause giustificative. Di
conseguenza, si dubita anche della configurabilità del nmd sulla base dell’unitarietà del risultato raggiunto
79
ingiustificatamente mortificata ove si ritenesse realizzato (solo)
un mero scambio od una semplice liberalità.
In ciò di vede la ragione per cui il contratto misto, così come
Cataudella
qualifica
la
figura
in
esame,
necessita
di
una
disciplina giuridica unitaria ed autonoma, collocandosi esso in
uno
spazio
intermedio
tra
accordi
nominati
innominati133:
ed
partendo da tale postulato, l’Autore sostiene che solo il criterio
della combinazione permetterebbe di configurare i contratti misti
come categoria autosufficiente.
Non anche quelli dell’assorbimento e dell’analogia, dato che il
primo finirebbe per rinviare semplicemente alla disciplina dei
contratti
nominati
innominati,
ed
finendo
il
secondo
a
così
per
ignorare
emerge
che
la
quella
la
dei
contratti
peculiarità
della
categoria.
Da
quanto
detto
Gesetzeproblem
prima
ancora
che
figura
un
in
esame
Rechtsproblem:
pone
un
Cataudella
compie così un efficace vaglio in relazione al criterio in base a
cui
distinguere
tutte
le
norme
di
configurazioni
applicabilità
di
una
generale,
fattispecie,
valevoli
da
quelle
per
di
applicabilità particolare. Siffatta ripartizione viene adoperata
per
ricordare
che
esiste
una
differenza
tra
schemi
legali
contrattuali: ristretti (es. vendita) ed ampi (es. locazione), e
questi
ultimi
–a
propria
volta-,
relativamente.
133 Analogamente, v. De Gennaro, Negozi giuridici collegati, p.19
80
ampi
massimamente
o
Questa
premessa
perché
porta
formula
ad
si
lega
alla
indagare
‘elasticità
dei
la
riflessione
questione
tipi
legali’,
sui
ben
che
contratti
sintetizza
inerisce
misti
con
la
l’idoneità
della fattispecie astratta ad abbracciare, in misura maggiore o
minore, fattispecie concrete134.
Questo
intento
riflessione
costituisce
dell’Autore:
la
un
approdo
questione
modernissimo
dell’idoneità
nella
sussuntiva
della fattispecie astratta –che si pone allorché la fattispecie
concreta non rientri compiutamente nello schema tipico e si tratti
di accertare se questo possa essere esteso sino a ricomprenderlalo porta a sostenere che i limiti dell’elasticità dello schema
legale sono costituiti dalla modificazione delle funzioni: quando
essa si verifica è impossibile sussumere la fattispecie concreta
nel tipo ex lege ed è per ciò che risulta inapplicabile la teoria
dell’assorbimento il quale incontra, dunque, una barriera naturale
del grado di duttilità dei singoli schemi tipici (ciò si verifica
spesso quando è infattibile specificare una prestazione prevalente
–mistione unilaterale, con prestazioni a carico di una sola parte, e sempre ove le prestazioni costituiscano oggetto di scambio,
per cui nessuna è prevalente –mistione bilaterale-).
Tuttavia,
individuato
nel
criterio
dell’
assorbimento
questo
limite nonché nel criterio dell’applicazione analogica il limite
d’impedire il riconoscimento dei contratti misti come categorie
‘autonoma’, nemmeno la teoria della combinazione viene sposata in
134 “Il problema sta allora tutto nella compatibilità tra la funzione tipica del negozio adottato e lo scopo pratico
che le parti perseguono” così anche D’Ettore che, dunque, individua lo stesso nucleo problematico, in in Intento di
liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996, p.141
81
pieno dal giurista ove essa coincida con la convinzione che ci sia
uno
stretto
nesso
tra
elementi
della
fattispecie
astratta
ed
effetti giuridici: per l’Autore tale concezione –che si risolvere
nell’applicare le norme inerenti agli elementi nominati commisti
nella fattispecie concreta- scorda che gli effetti giuridici non
sono dettati con riguardo ai singoli elementi di cui si compone il
contratto, ma in contemplazione della funzione compiuta cui esso
assolve.
Quindi,
meramente
anche
legati
considerare
alla
gli
fattispecie
effetti
astratta
giuridici
come
significherebbe
sconvolgere la categoria dei contratti misti, che, al contrario,
va approcciata in chiave di sussunzione delle fattispecie concrete
negli schemi tipici135.
Sicchè,
nel
caso
di
contratti
a
mistione
unilaterale,
l’alternativa rimane tra inquadramento della fattispecie in un
tipo
o
riconduzione
della
stessa
nell’ambito
dei
contratti
innominati.
Ove, invece, si rinvenga una mistione bilaterale, la
fattispecie
concreta
fattispecie
frutto
applicabili
nasce
apparentemente
medesima
godrà
di
di
combinazione:
dall’esistenza
differenti,
fattispecie
duplice
con
concreta
di
la
a
il
sussumibilità
concorso
fattispecie
conseguente
realizzare
tra
le
astratte
idoneità
compiutamente
delle
norme
solo
della
più
fattispecie astratte136 tra le cui norme può, peraltro, scatenarsi
un conflitto (v. infra).
135 Si avrà modo di approfondire questo aspetto proprio qui, in Cap.4. Si crede, peraltro, che l’A. in commento
non abbia portato a compimento la riflessione scaturente da questo importantissimo rilievo
136 Quindi con applicazione concorrente della normativa dei due tipi, similmente alla teoria della combinazione,
con la differenza, tuttavia che qui il concorso abbraccia compiutamente la normativa dei tipi e non si limita a
quella collegata alle singole prestazioni
82
Se ciò esclude che i contratti misti coincidano con la categoria
dei contratti innominati, al contempo potrebbe far pensare che
essi
siano
da
includere
tra
i
contratti
nominati,
in
quanto
‘implicitamente’ nominati (ove ‘nominato’ non è il contratto che
ha ricevuto un nomen dal legislatore, ma quello che trova la
disciplina nella legge).
In sintesi, il giurista -ponendo la propria attenzione non solo
sul
problema
della
disciplina,
ma
anche
su
un’autonoma
elaborazione concettuale della categoria- sostiene che i contratti
misti, tra cui, appunto, anche la donazione mista, si rivelano sì
sussumibili
in
due
schemi
nominati,
ma
sono
al
contempo
irriducibili, sul piano della disciplina, ad ognuno dei singoli
schemi.
Rispetto
a
quanto detto
circa
i contratti
misti,
il giurista
attribuisce alla donazione mista la capacità di concretare una
mistione su un piano del tutto peculiare, non riguardando essa
esclusivamente le prestazioni.
Secondo
una
prospettiva137
che,
a
dire
dell’Autore,
è
quella
preferibile per studiare i nodi del problema, nella donazione
mista la commistione sarebbe data dal concorso della causa onerosa
con quella gratuita: tuttavia, tale lettura celerebbe il vizio di
escludere
la
mistione
dell’onerosità/gratuità
tra
prestazioni,
analizzate
non
essendo
attraverso
le
le
note
regole
contrattuali con oggetto le prestazioni, ma attraverso il nesso
137 L’Autore si riferisce a Santoro-Passerelli, Dottrine generali del diritto civile; e Messineo, Manuale di diritto
civile e commerciale
83
che le collega. Rispetto a tale teoria, quindi, sorgono degli
interrogativi.
In primo luogo, se il riferimento alla mistione tra onerosità e
gratuità
sia
rispetto
ad altre ipotesi di mistione.
Il
termine
sufficiente
di
paragone
a
caratterizzare
per
rispondere
la
donazione
mista
indicata
nella
viene
fattispecie del comodato, anch’esso, coma la donazione, distinto
dalla
nota
essenziale
della
gratuità:
ora,
ove
in
capo
al
comodatario gravino obblighi altri rispetto al mero dovere di
custodia,
ricorrenza
ed
ove
di
un
in
tali
comodato
ipotesi
modale
possa
che
di
escludersi
una
vera
sia
e
la
propria
locazione, è plausibile che le parti abbiano inteso creare un
negozio in cui vi sia mistione proprio tra l’elemento oneroso e
quello gratuito, come per la donazione mista.
Sicchè, visto che una simile mistione è verificabile pure nelle
ipotesi di comodato, si deduce che essa non possa rappresentare
l’elemento peculiare della donazione mista, pur se essenziale.
Ciò
premesso,
riferirsi
alla
l’Autore
si
categoria
domanda
della
pure
se
sia
corrispettività
più
o
corretto
a
quella
dell’onerosità. Scartata la posizione secondo cui138 l’onerosità
coinciderebbe con il concetto di corrispettività in forza del
fatto che l’equivalenza tra i vantaggi è nota essenziale della
struttura
dei
negozi
onerosi,
conclude
che
–invece-
si
debba
discutere di corrispettività, essendo essa una species del genus
onerosità,
caratterizzata
dal
fatto
che
nei
138 V. De Simone, Il contratto con prestazioni corrispettive, Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1948
84
contratti
a
prestazioni corrispettive il collegamento tra vantaggi/sacrifici è
realizzato attraverso un nesso di interdipendenza tra prestazioni,
ricorrente in tutti gli atti a titolo oneroso.
In base a ciò,
sarebbe opportuno usare la formula di concorso tra causa donandi e
causa
del
contratto
contratto
non
commisto
con
corrispettivato
la
donazione
e
quello
(id
a
est,
tra
prestazioni
corrispettive): il che confermerebbe la giustezza della teoria del
concorso di cause che ha il merito di indicare i fattori in
concorrenza.
Ancora.
Il
ricorrere
dell’elemento
della
gratuità
(non
corrispettività) impone di indagare quale sia il contenuto del
comune intento liberale (‘comune’ perché concorde prospettazione
del
risultato
regolamento)
immediato
di
porre
realizzabile
in
essere
ed
oggettivato
nel
un’attribuzione
senza
corrispettivo volta a realizzare l’arricchimento del donatario,
dove per arricchimento non si intende un mero oggettivo incremento
economico del patrimonio, ma quello frutto della valutazione delle
parti. In questo senso, l’accento andrà posto sulla stima dei
contraenti
in
merito
all’arricchimento:
solo
ad
esse
spetterà
valutare l’esistenza dell’arricchimento che, quindi, si lega ad
una valutazione soggettiva. Anche ove le parti escludessero la
corrispettività
divario
delle
oggettivo
non
prestazioni,
precluderebbe
infatti,
lo
l’esistenza
scambio,
quando
del
per
i
contraenti, una prestazione trovi la propria ragione nell’altra.
Infine, chiarisce il giurista, posto che la mistione tra donazione
e contratto a prestazioni corrispettive non può configurarsi sul
85
piano delle sole prestazioni139, ma su quello della combinazione
tra
onerosità/gratuità,
corrispettività,
bisogna
o
rectius,
vedere
se
una
corrispettività/non
mistione
siffatta
sia
realmente ipotizzabile.
Mentre
la
configurabilità in
astratto
di
tale
mistione
non è
ragionevole per chi crede che onerosità e corrispettività siano
concetti antitetici a quelli di gratuità e non corrispettività140,
l’inconciliabilità
viene
superata
da
chi
afferma
che
in
tale
mistione non ci sarebbe una combinazione di due elementi, ma una
fattispecie
intermedia
tra
quelle
due
figure
estreme
della
integrale onerosità e della integrale gratuità141.
L’Autore
pratici
dopo
aver
contestato
irrealizzabili,
si
tale
domanda
impostazione,
se
dagli
esiti
l’inammissibilità
della
partizione possa fornire la base al tentativo di prospettare la
duplice sussumibilità della donazione mista.
Peraltro,
non
convincente
gli
si
mostra
anche
l’impostazione
tedesca in virtù di cui i due contratti che si combinano lo fanno
sulla base di criteri differenti: la donazione mista, sotto il
profilo delle prestazioni, configurerebbe una vendita, sotto il
profilo dello scopo, configurerebbe una donazione142.
Questo
permette
al
giurista
–che
non
condivide
i
due
ultimi
criteri- di dedurre che nella donazione mista l’individuazione
degli
elementi
caratterizzanti
va
fatta,
invero,
dallo
stesso
139 Dato che le prestazioni che caratterizzano la donazione hanno natura di disposizione di un diritto o assunzione
di un’obbligazione, e che tali prestazioni possono ricorrere anche nei contratti con prestazioni corrispettive (es.
anche nella compravendita si ha disposizione del diritto del venditore), la mistione tra la donazione e l’altro
contratto non potrà configurarsi a questo livello
140 Oertmann, Entgeltliche Geschafte
141 Hoeniger, cit.
142 Leonhard, Allgmeines Schuldrecht des BGB
86
‘punto di vista’, cioè adottando il medesimo criterio, quello
della
funzione-causa,
‘elemento
discriminatore
di
tutti
i
contratti’143: solo quando la fattispecie nella sua unità realizzi
integralmente
contratto
di
e
contemporaneamente
donazione
e
di
le
quello
funzioni
di
vendita,
proprie
esso
del
sarà
suscettibile di duplice sussumibilità. Il fatto che il contratto
preveda prestazioni a carico di entrambe le parti, se funge da
premessa
per
la
realizzazione
della
funzione
di
scambio,
non
preclude, tuttavia, anche l’individuazione della funzione donativa
(dato che, come nella donazione modale, ben può aversi donazione
ove il donatario sia tenuto ad una prestazione).
Anche
la
donazione
mista,
quindi,
visto
il
contemporaneo
configurarsi di due funzioni nella loro interezza, prospetta la
duplice sussumibilità di cui si è detto, proprio alla guisa di
come si è visto per i contratti misti.
La conseguenza della criterio eziologico così individuato e la
conseguente
potenziale
applicabilità
di
norme
concorrenti,
comporta necessariamente una risposta volta alla risoluzione di
eventuali
riferimento
conflitti
ai
insorgenti
moduli
tra
contrattuali
le
norme
ricorrenti
applicabili
in
in
fattispecie
miste.
In questa prospettiva, il canone di massima cui il giurista fa
riferimento è quello gerarchico -ad es. tra norme cogenti144 e
norme dispositive, o tra norme di carattere generale e quelle di
143 Cataudella, cit., p.137
144 Interessa in particolar modo questo profilo poiché in base ad esso, ove non sia possibile individuare la norma
che più tutela la libertà dell’individuo, dovrà scegliersi quella che, soppesando gli interessi tutelati dalle norme in
conflitto, mostri di limitare l’autonomia dei contraenti, dato che questa a maggiore incidenza l’A. lega
l’attitudine a soddisfare interessi di rilievo preminente (v. infra)
87
carattere
speciale…-,
ipotesi in cui
tuttavia
nella
donazione
mista
ci
sono
tale criterio risolutivo del conflitto si evince
direttamente da una disposizione di legge145.
Pertanto,
il
conflitto
tra
l’ipotesi
di
revocazione
della
donazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli ed il
complesso
di
norme
relative
ai
contratti
a
prestazioni
corrispettive che non prevede tale evenienza, scorge soluzione
nell’art. 809 c.c. che, trovando applicazione nelle donazioni cd.
indirette, a fortiori avrà ragione di essere applicato nei casi in
cui la liberalità ha effettivo rilievo causale. Per la medesima
ragione, con valenza analoga all’art. 809 c.c., opera l’art. 737
c.c. che assoggetta a collazione anche le donazioni indirette.
Così in tema di riduzione della donazione per integrazione di
legittima, l’art. 809 cit. estende tale istituto alle liberalità
derivante da atti diversi da quelli ex art. 764 c.c., cosicché la
riduzione
investirà
l’arricchimento,
oggettivamente
dalla
la
poggiando
subita
valutazione
parte
di
dal
di
negozio
che
ha
sull’accertamento
legittimario
corrispettività
della
(quindi,
che
determinato
a
compete
lesione
prescindere
alle
parti
contrattuali).
In definitiva, al negotium mixtum si applicheranno tutte le norme
inerenti la donazione, salve le ipotesi di conflitti risolti a
vantaggio
di
disposizioni
proprie
dei
contratti
a
prestazioni
corrispettive. Siffatta conclusione si evince anche per mezzo di
un
ragionamento
a
contrario
145 Ovvero l’art. art. 809 c.c.
88
incentrato
sull’operatività
dell’art.809 c.c.: alla donazione indiretta si applicano le norme
in tema di donazione contemplate nell’art. 809 che, restringendo
il
campo,
esclude
l’applicazione
delle
norme
non
menzionate;
mentre alla donazione mista tutte le norme sulla donazione.
Di
talché,
ragione
contenute
sempre in
per
forza
escludere
negli
del
principio gerarchico,
l’applicabilità
artt.
779,
780
781
delle
norme
c.c.
che
non
v’è
imperative
disciplinano
un’incapacità giuridica a ricevere per donazione, con conseguenze
limitate
alla
parte
per
cui
si
è
verificato
un
oggettivo
arricchimento.
Allo stesso modo può ragionarsi con riguardo agli artt. 787, 788
c.c. che disciplinano i motivi in maniera speciale rispetto a
quanto stabilito per gli altri contratti, nonché per gli artt.
775, 777 e 778 c.c..
Circa la questione formale, di fatto la più dibattuta pur contando
ad
oggi
su
impostazioni
univoche,
il
giurista146
esprime
coerentemente la preferenza nei confronti della forma prescritta
per
la
donazione,
garantisce147.
Ecco
derivante
dunque
che
alla
qui
maggior
trova
tutela
ferma
che
questa
attuazione
la
146 In ciò, Cataudella esprime un’opzione del tutto isolata dinanzi alla giurisprudenza pressoché unanime che,
anche recentemente, esclude per la donazione mista la necessità dell’atto pubblico; è agevole, peraltro,
comprendere le ragioni di tale scelta: le motivazioni che escludono la forma solenne nelle donazioni indirette non
possono valere per la donazione mista, così come qualificata dall’A., sussumibile anche nel contratto di donazione
147 “…nei riguardi del donante, questa tutela non può che essere preventiva e consiste nell’imporre all’atto delle
condizioni e dei limiti che rappresentano altrettante cautele contro l’inesperienza, l’inavvedutezza e la prodigalità
del donante stesso” così anche Oppo individua la ratio protettiva alla base della norma sulla forma donativa, in
Adempimento e Liberalità, Giuffrè, 1947, p.104.
V. anche D’Ettore, il quale rileva la necessità della forma solenne “se l’arricchimento è intenzionale” con ciò
distinguendo le ipotesi ex art.809 c.c. –cui andrebbero applicate solo le norme ivi contemplate, unitamente
all’art.737 c.c.- dalle ipotesi in cui l’animus -entrato a fare parte del profilo strutturale dell’accordo- comporta la
necessaria applicazione delle previsioni dettate per la fattispecie ‘pura’ di cui all’art.769 c.c., in Intento di
liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996, p.36
89
prevalenza della norma che, in conflitto con un’altra, pone il
vincolo più rigoroso.
Passando alle norme più specificamente dettate per i contratti a
prestazioni
corrispettive,
evidentemente,
rescissione
non
applicazione,
troverebbe
la
sia
disciplina
nelle
delle
ipotesi
di
donazione per cui sia necessaria la stesura dell’atto pubblico,
tanto che in tal caso la nullità del contratto liquiderebbe ogni
questione, sia nelle ipotesi di donazione di modico valore, dato
che la stessa modicità precluderebbe la sussistenza di condizioni
inique.
Differente a dirsi in tema di risoluzione per inadempimento dove
la
possibilità
di
risoluzione
della
donazione
modale
(art.793
c.c.) consente di estendere il rimedio anche alla donazione mista.
Così come nella donazione mista è invocabile l’art. 1463 c.c. in
quanto è possibile che l’impossibilità sopravvenuta di una delle
prestazioni paralizzi la pretesa della parte liberata di ricevere
la controprestazione, proprio come avviene, ad opera dell’art.793
c.2 c.c.
148
.
Con riferimento al concreto contenuto delle prestazioni e quindi
degli obblighi da esse derivanti, Cataudella ricorda che, sebbene
l’art. 769 c.c. ravvisi nell’assunzione di obblighi un mezzo per
realizzare la donazione, si
sostiene da più parti che oggetto
delle donazioni possano essere solo le obbligazioni di dare (e non
anche quelle di fare) ed, in una prospettiva ancor più rigorosa,
148 Il fatto che il donatario sia tenuto all’adempimento del modus ‘entro i limiti della cosa donata’ fa presumere
che nel rapporto vadano tenuti in considerazione eventi capaci di alterare il rapporto di valore o di rendere
impossibile la prestazione del donante. Tale è il criterio che permette a Cataudella di ritenere applicabile pure
l’istituto della reductio ad aequitatem nell’ipotesi di eccessiva onerosità (a ciò soccorre anche l’art.1468 dettato
per i contratti con obbligazione di una sola parte e perciò anche per la donazione obbligatoria)
90
solo
quelle
di
dare
che
coincidano
con
un
mezzo
per
la
costituzione o l’acquisto di un diritto reale. Tuttavia, ad avviso
di
chi
scrive
ed
anche
dell’Autore
la
cui
opinione
si
sta
riportando, l’esclusione degli obblighi di fare pare il prodotto
di impostazioni tralatizie149, posto che anche il fare comporta
arricchimento del patrimonio altrui in modo che donazione mista
potrebbe essere qualificata anche la fattispecie caratterizzata
dalla circostanza che l’obbligo di fare non venga assunto del
tutto gratuitamente, in quanto un compenso fissato potrebbe venire
pattuito, con spirito liberale, in
misura inferiore al valore
reale della prestazione (ad es. donazione+contratto di lavoro).
Quanto all’ipotesi assidua di donazione mista a vendita che, come
si è scritto, rappresenta in parte qua il recinto ideale al cui
interno si sviluppa lo studio, ed in particolar modo con riguardo
al complesso di norme che regolano evizione e vizi della cosa,
l’applicazione dei criteri suddetti induce a garantire la sua
applicabilità.
Incertezze
sorgono,
peraltro,
sull’oggetto
cui
ricadrebbe
tale
applicazione, argomento questo meritevole di uno studio a sé e
quindi non contemplabile in questa sede. Tuttavia, giova ricordare
come
all’impostazione
che
stima
tali
disposizioni
relative
unicamente alla parte onerosa del contratto150, è agevole ribattere
149 Concorda D’Ettore il quale si duole che, nonostante la chiara definizione di donazione fornita dal nostro
codice con l’art. 769 che riconosce la possibilità per il donante di arricchire il donatario assumendo verso lo stesso
un’obbligazione, nella donazione obbligatoria vengono fatte rientrare solo le obbligazioni di dare “Si tratta di
un’opinione che costituisce il retaggio dell’antica tradizione romanistica, per la quale mediante il contratto di
donazione era possibile far entrare nel patrimonio del beneficiario un ‘bene’ consistente in un diritto reale, con la
variante costituita, oggi, dell’ammettere oltre al trasferimento immediato del diritto su un bene, l’assunzione di
un’obbligazione di dare, in Intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996, p.14
150 Così, Deiana, cit.
91
che,
stante
la
funzione
centrale
assunta
dalla
pattuizione
contrattuale, solo ad essa andrebbe rinviato per stabilire il
valore pattiziamente attribuito alla cosa (e non quello oggettivo
che, diversamente, distorcerebbe la natura stessa del negozio de
quo). Né più corretto sarebbe limitare la garanzia sulla base del
principio
-ex
art.
797
c.c.-
della
concorrenza
dell’ammontare
degli oneri, dato che la donazione modale non si delinea come
metro di paragone per un negozio dalla duplice sussumibilità.
92
4.
AL DI LA’ DEL DIBATTITO DOTTRINALE. DALLA QUALIFICAZIONE AL PROBLEMA
APERTO DELLA DISCIPLINA, ATTRAVERSO IL REQUISITO CAUSALE
ELEMENTI DELLA FATTISPECIE E PROSPETTAZIONE INTER PARTES
Si
è
visto
che
la
donazione
mista
non
viene
contemplata
né
disciplinata, almeno espressamente, dal nostro ordinamento, pur
avendo essa una natura millenaria.
Si è visto pure che l’interesse che tale figura stimola non è
dubbio,
poiché
essa
risulta
nella
prassi
abbastanza
diffusa.
Peraltro, le peculiarità che la caratterizzano ne rendono faticosa
la
ricostruzione
teorica,
come
è
documentato
in
dottrina
e
giurisprudenza.
Cercando di definire il perimetro al cui interno circoscrivere la
riflessione frutto di questo lavoro, dato che tanti e tali sono
gli spunti ed i rinvii che il negotium mixtum è capace di offrire
e che non è opportuno –né possibile- soffermarsi su ognuno di
essi,
giova
brevemente
indugiare
su
alcuni
elementi
che,
pur
essendo già stati accennati, focalizzano il punto di partenza
dell’indagine.
Senza
dubbio
il
profilo
della
fattispecie
in
esame
su
cui
precipuamente ricade l’attenzione è dato dalla presenza, ‘accanto
alle note proprie della donazione’, anche dei ‘caratteri di un
negozio oneroso’151.
151 In tal modo, Cataudella introduce il proprio studio, in La donazione mista, Giuffrè, 1970, p. 4
93
Mistione tanto più stravagante se si considera che involve proprio
due
macro-aree
del
sistema
giuridico
da
sempre
ritenute
inconciliabili, se non in ipotesi espressamente previste, tanto
che
‘se
dall’interpretazione
donante è
legata ad
una
qualche
giuridicamente
rilevante,
tratta
donazione, ma
di
una
risulta
che
l’attribuzione
contropartita,
allora
bisogna
di
con
ammettere
un rapporto
un
che
del
legame
non
si
corrispettivo, di
scambio, traducendo in termini attuali la distinzione romana tra
donatio e negotium’152.
Difatti,
la
costituisce
con-fusione
atto
di
si
realizza
liberalità,
anzi
tra
il
una
donazione
‘modello’
degli
che
atti
liberali, ed un contratto a prestazioni corrispettive che contiene
il meccanismo idoneo a realizzare la funzione di scambio.
La liberalità153 esprime un concetto ‘giuridicamente efficiente’154
che riesce ad indicare insieme l’atto e l’effetto. La sua nozione
è arricchita dall’abbinamento dello spirito di liberalità con il
cd. animus donandi, elemento –quest’ultimo- che trova origine nel
diritto
romano
(nel
periodo
classico,
ove
la
donazione
era
considerata -non ancora un contratto, ma- una causa per mezzo di
cui si realizzava l’attribuzione di un diritto patrimoniale dal
donante
al
strutturale
donatario,
della
causa
l’animus
donationis,
era
che
l’elemento
realizzava
soggettivo
una
causa
adquirendi155) e che ha inconfutabile natura subiettiva legata al
152 Così Caredda, in Le liberalità diverse dalla donazione, Giappichelli, 1996, p.25
153 Il rinvio al significato della liberalità si pone, in questa fase, come prius logico rispetto all’analisi della
struttura della donazione mista
154 Così lo chiama Biondi, in Le donazioni, p.71
155 V. Archi, in Donazione, Enc. Del Dir., XIII, 1964
94
disinteresse, o meglio,
all’interesse non patrimoniale perseguito
dal donante156.
Non
ci
sono
dubbi,
poi,
che
il
negotium
mixtum
realizzi
una
liberalità anche per il tramite di un accordo che –normalmentenon ha nulla di liberale: è l’intervento delle parti, che qui
rileva in modo essenziale (funzionale), a far ruotare il contratto
attorno al perno del volontario sbilanciamento delle prestazioni,
ovvero del valore delle attribuzioni legate ad un contratto a
prestazioni corrispettive.
Sbilanciamento, questo, che non comporta ex se una mistione di
intenti nella guisa di cui si è parlato: solo la –a questo punto,
necessaria- presenza dello spirito liberale valorizza la struttura
dell’accordo, poiché la mera sproporzione non è idonea in quanto
tale a figurare la donazione mista157. Il fatto che essa sia un
contratto impone, dunque, di sciogliere positivamente il dubbio
relativo all’eventuale necessità di un accordo sulla liberalità:
non può si prescindere, infatti, dall’intesa bilaterale circa il
senso dell’atto.
Così
‘non basta la sproporzione fra i due corrispettivi, ma
occorre che tale sproporzione sia voluta da chi la subisce, allo
156 V. Cass. 12662/1986 “pertanto…configura un nmd ove, accanto alla duplice componente onerosa e di liberalità
del negozio, sia accertata anche, in riferimento alla differenza tra il valore del bene ed il prezzo pattuito, la
coscienza, nell’alienante, di dare una cosa di valore economicamente maggiore del corrispettivo convenuto a titolo
di prezzo e, quindi, l’intenzione di attribuire gratuitamente tale maggior valore (animus donandi)”.
Contra, Biscontini, secondo cui l’animus donandi non è elemento essenziale alla qualificazione del rapporto e lo
spirito di liberalità non rientra nell’elemento causale del fenomeno donativo, cosicchè la minima unità effettuale
della donazione si identificherebbe solo nella produzione di un effetto senza corrispettivo, in Bilateralità,
Onerosità e qualificazione dei contratti, p. 140 ss. e 168
157 V. Cass. 19601/2004 “La compravendita ad un prezzo inferiore a quello effettivo non integra un nmd, essendo
all’uopo altresì necessario non solo la sussistenza di una sproporzione tra prestazione, ma anche la significativa
entità di tale sproporzione, oltre alla indispensabile consapevolezza da parte dell’alienante dell’insufficienza del
corrispettivo ricevuto rispetto al valore del bene ceduto, funzionale all’arricchimento di controparte acquirente
della differenza tra il valore reale del bene e la minore entità del corrispettivo ricevuto”
95
scopo
di
attuare
una
liberalità
e
che
tale
finalità,
nota
all’altra parte, sia da questa accettata; senza questa ulteriore
concorde direzione della volontà delle parti il negotium mixtum
cum donatione non si distingue dalle altre ipotesi nelle quali è
pur voluto ed accettato dal venditore un prezzo inferiore a quello
che sarebbe dovuto, ma non per attuare una liberalità’
158
.
Orbene, ma senza anticipare quanto tra poco si approfondirà, le
due
componenti
creazione
esaminate
della
liberalità
donazione
partecipano
mista.
quell’attribuzione
con
Si
è
pari
detto
vitalità
che
(volontariamente
e
è
alla
atto
di
spontaneamente
effettuata) consapevole e disinteressata diretta al altri: se è
vero
che
la
corrispettività
–il
nesso
intercorrente
tra
attribuzioni che si giustificano reciprocamente- ha in sé una
connotazione
funzionale,
lo
stesso
–nel
negotium
mixtum
cum
donatione- si può affermare della liberalità senza che, però, si
159
possa riscontrare la prevalenza della prima sulla seconda
Cosicché,
una
simile
operazione
porta
al
simultaneo
.
risultato
della corresponsione del prezzo pattuito al venditore-donante (per
usare,
come
indicativa)
donatario,
anticipato,
e
dove
di
un
per
la
fattispecie
arricchimento
arricchimento
in
non
più
capo
si
comune
e
più
all’acquirente-
intende
un
mero
incremento economico del patrimonio160.
158 Cfr. Cass. 3373/1959, in Mass. Foro it. 1959, p. 635; in senso conforme v. anche Cass.2598/1959
159 Di impossibilità di rilevare prevalenza di una componente sull’altra, parla anche Cass. 1303/1970, in Mass.
Foro It., 1970
160 L’art. 793 c.c. in tema di donazione modale ricorda che il donatario è tenuto all’adempimento dell’onere sino
ai limiti del valore della cosa donata. Le alternative ipotizzate sono piuttosto nette: o, partendo da una
concezione strettamente economica dell’arricchimento, si afferma che quest’ultimo non è un elemento essenziale
ma solo normale della donazione (in tal senso, v. Balbi); oppure, sul presupposto di una concezione puramente
giuridica, si afferma che il requisito dell’arricchimento è presente anche in quel caso perché ad integrarlo è
sufficiente l’acquisto di un diritto anche per un tempo cronologicamente non apprezzabile (v. Torrente); ovvero,
96
A fronte delle esposte osservazioni, invero, si ritiene a buon
diritto di poter considerare l’arricchimento come oggetto della
programmazione delle parti, ossia elemento attinente unicamente
alla
prospettazione
inter
partes,
proprio
nel
senso
–già
evidenziato161- per cui l’esistenza della sproporzione non preclude
lo
scambio,
quando
per
i
contraenti
-e
solo
per
essi-,
una
prestazione trova la propria ragione nell’altra.
QUALIFICAZIONE. LE TEORIE DOMINANTI: CRITICA E RINVIO
Ferme queste premesse, è possibile compiere un ulteriore passo in
avanti,
pur
sempre
sulla
scorta
di
quanto
precedentemente
esposto162.
Precisamente,
occorre
identificare
quale
configurazione,
tra
quelle menzionate, possa costituire il riferimento normativo da
cui
trarre
le
modalità
applicative
della
donazione
mista.
Si
anticipa, sin d’ora, che quello che atecnicamente può definirsi il
problema di ‘struttura’ della fattispecie si riversa, in primis,
sulla
disciplina
costatare
quelli
che
del
spesso
negotium
gli
giurisprudenziali,
tanto
orientamenti
hanno
eletto
che
sul
una
non
pare
punto,
scorretto
soprattutto
determinata
opzione
ancora, si nega che nel caso di un onere assorbente vi sia donazione perché mancherebbe l’arricchimento (v.
Biondi).
Un chiarimento si deve a chi (v. Oppo) ha precisato che anche nella donazione modale si realizza un vero e proprio
arricchimento: quest’ultimo non è legato al modus da un sinallagma genetico, perciò l’attribuzione - indipendente
dall’onere- arricchisce il donatario anche se successivamente l’incremento patrimoniale viene consumato
dall’esecuzione dell’onere medesimo
161 V. Cap. 3, spec. nella parte in cui si espone l’impostazione di Cataudella. L’impostazione che attribuisce alle
parti il compito di definire i termini dell’arricchimento resiste anche all’opinione secondo cui l’arricchimento non
qualificherebbe la donazione perché esso potrebbe venir meno per fatti sopravvenuti o mancare ab origine
(Biscontini, cit. p.151 ss.): soprattutto in tali casi, allora, la valutazione delle parti sarà ancor più necessaria per
comprendere che rapporto intercorra tra essa e l’unità effettuale del negotium
162 V. Cap. 3
97
proprio al fine di sciogliere con minore problematicità i quesiti
in tema di disciplina applicabile.
Di talchè, fugato rapidamente ogni dubbio circa la natura unica (e
non duplice) della donazione mista anche in forza dell’unicità
dell’accordo e della funzione che si realizza163, si desidera in
primo
luogo
prevalente
prendere
ed
le
distanze
autorevolmente
dall’interpretazione,
patrocinata,
che
seppur
annovera
la
donazione mista fra le donazioni indirette.
La
similitudine
tra
donazione
mista
e
negozio
indiretto
pare
essere, difatti, frutto di un’osservazione superficiale: anche a
voler
ammettere
indiretto,
v’è
una
somiglianza
qualcosa
di
‘istintiva’
discutibile
risultato finale dell’operazione
nel
con
il
ritenere
negozio
che
il
derivi dalla vendita usata per
il raggiungimento di un fine ulteriore piuttosto che dal negotium
mixtum cum donatione complessivamente inteso.
Come
segnalato,
le critiche
sono
quelle
che
vengono mosse al
negozio indiretto164 in generale e, ancor prima, alla possibilità
di
spiegare
figura.
la
donazione
Peraltro,
con
mista
efficacia
attraverso
il
assorbente,
ricorso
non
si
a
tale
può
che
ribadire come il particolare assetto del regolamento negoziale
della donazione mista sia caratterizzato da elementi che vanno ad
incidere sulla concreta funzione dell’intento comune165, tanto da
163 Su tutti cfr. Cataudella, op. cit., p.20 ss.
164 Si è detto che la figura della donazione indiretta (art.809 c.c.) non è utilizzabile per la donazione mista poiché
qui l’obiettivo viene perseguito direttamente e non attraverso un negozio-mezzo.
In dottrina vi è chi, pur sposando l’impostazione criticata, ha avuto tuttavia modo di notare che pure negli atti
contemplati nell’art. 809 c.c. ‘non si riscontra quell’elemento dello scopo diverso od ulteriore che si ritiene
costituisca la essenza del negozio indiretto: chi compie uno di tali atti intende compierlo non per uno scopo
diverso o ulteriore di quello che sia inerente in ciascuno di essi’, Biondi, il Tr. Dir.civ. it., p.912
165 Cfr. Cataudella, in Il contenuto del contratto, Milano, 1966
98
presentarsi
come
imprescindibili,
di
modo
che
il
risultato
perseguito dalle parti viene direttamente realizzato dal negozio
adottato:
nelle
donazioni
indirette,
viceversa,
l’intento
liberale166 è un movente delle parti, estraneo al contenuto del
contratto-instrumentum impiegato, la cui causa tipica suffissante
(e
solo
essa)
si
realizza
nella
propria
interezza,
si
accoda
a
il
negotium
con
le
conseguenze ben note.
Anche
un’altra
interpretativo,
impostazione
sostenendo
che
questo
mixtum
non
filone
sarebbe
ammissibile come figura autonoma mista, dato che in tal caso si
dovrebbe prefigurare una duplicità di minime unità effettuali, tra
loro, però, inconciliabili167. Pertanto, essendo unica la funzione
qualificante,
il
negozio
si
risolverebbe
nel
contratto
sinallagmatico impiegato. Tale costruzione sembra però nascondere
dei profili contraddittori. In particolare, si afferma che la
qualificazione di ogni negozio dipende da un dato strettamente
giuridico (corrispettività/non corrispettività) per poi arrivare a
ritenere applicabile, nel caso che ci interessa, l’art. 809 c.c.:
tuttavia,
questa
norma
interessa
più
il
risultato
materiale
dell’accordo che la sua essenza giuridica tout court. Ma prima
ancora,
tale
ricostruzione
-che
si
affida
ai
soli
profili
166 Che, nella donazione mista, si è detto, riveste pari forza eziologica rispetto a quella del contratto con cui si
con-fonde (senza restare, quindi, esterno ed ulteriore)
Anche nel diritto romano classico, come nella moderna donazione indiretta, la causa donationis non entrava nella
struttura del negotio posto in essere, rimanendo ad esso esterno
167 Ci si riferisce a Biscontini, in Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti, secondo cui il contratto
di donazione previsto dall’art. 769 c.c. sarebbe caratterizzato da una ben definita minima unità effettuale a cui è
estraneo il concetto di corrispettività. Il contratto a prestazioni corrispettive, infatti, andrebbe individuato nel suo
specifico legame con lo scambio giuridico inteso come reciproco trasferimento di beni o servizi attuato nell’unico
disegno negoziale (mentre l’onerosità e la gratuità dovrebbero attenere al profilo prevalentemente economico
dell’attribuzione negoziale). In questo quadro, la donazione sarebbe costituita dalla produzione di un effetto reale
o obbligatorio senza corrispettivo mentre la donazione mista, essendo catalogabile tra le donazioni indirette,
manterrebbe la sua minima unità effettuale
99
effettuali
della
fattispecie-
tende
a
ritenere
superflua
ogni
possibile concreta ragione dell’atto considerando tale lo stesso
spirito di liberalità168 seppur inteso quale intento comune. La
‘purezza’ di tale tesi che fa esclusivo riferimento ad un effetto
valutato a posteriori sembra inficiata, quindi, dall’esigenza, qui
avvertita, di dare rilevanza anche ad altri elementi (concreti)
della fattispecie169.
Eppure,
nonostante
la
ferma
resistenza
alla
tesi
del
negozio
indiretto, anche l’impostazione più strutturata e soprattutto più
convincente –al momento, si reputa, anche quella più lucida- , non
fornisce sempre conclusioni del tutto convincenti, quanto meno in
merito ad uno specifico aspetto.
Ci si riferisce alla dottrina che ritiene ipotizzabile una figura
di negozio misto, nel caso in cui il negozio esaminato presenti
tutti
i
caratteri
e
possa
essere
sussunto
totalmente
e
contemporaneamente negli schemi della vendita (o altro contratto
sinallagmatico) e della donazione. Il rinvio all’eziologia del
rapporto avvicina senza dubbio la lettura qui proposta con quella
dei sostenitori del negozio misto e possiede l’innegabile virtù di
evidenziare la contemporanea presenza dei due profili nel medesimo
accordo.
Nondimeno, essa prospetta una fusione tra la causa della vendita e
quella
della
donazione,
mentre
si
ritiene
sia
più
corretto
168 Ibidem, p. 138
169 Tale purezza non sembra, peraltro, rispettata quando è l’A. stesso a sottolineare la necessità di riferirsi alla
normativa ‘dettata per il tipo giuridico che si intende concludere’ così come ai ‘motivi che hanno indotto’ le parti
‘a concludere il contratto’, ibidem, p. 187 ss.: così dicendo, viene in rilievo un bisogno, nell’operazione di
qualificazione dell’accordo, che non può trovare soddisfacimento nel mero individuare “individuare il profilo
economico e non la fattispecie”.
Al contrario, pare che sia proprio la donazione mista a imporre l’indagine concreta sulla voluta sproporzione delle
prestazioni corrispettive, indagine che non può limitarsi al ‘profilo economico’
100
evidenziare che il negozio conserva un’unità causale, pur con le
proprie peculiari sfaccettature: la donazione mista è dunque un
negozio con una causa concreta del tutto sui generis170, che gli
consente di realizzare gli effetti di cui si è detto. Si tratta di
un negozio unico, non tanto caratterizzato da una causa scaturita
dalla combinazione (somma) di due funzioni171, ma da una funzione
unitaria
capace
di
partecipare
al
profilo
corrispettivo
ed
a
quello liberale: non esistono tanto ‘porzioni’ della causa, né
cause
‘intere’
realizzate
nell’atto,
ma,
piuttosto,
diversi
e
simultanei profili eziologici della commixtio.
La prospettiva del contratto misto, viceversa, proietta la causa
su
un
piano,
per
individuarne
le
componenti,
il
che
necessariamente ne comporta la suddivisione o la duplicazione172.
Si ritiene che, al contrario, la causa, seppur singola, possa
essere considerata sotto diversi punti di vista senza la necessità
di scomposizione, quanto meno nella fase qualificativa. Scambio e
liberalità non sono tanto parti della causa, quanto, piuttosto, i
profili diversi della specifica causa del negotium mixtum (non
somma, ma sintesi): vi è un solo rapporto che lega le parti
contraenti e che esse rendono adatto alla realizzazione di un
complesso interesse (l’atto di liberalità che risulta dall’innesto
dell’animus
liberale
su
un’attività
esteriormente
differente è
170 Dove, se di atipicità [che pure -secondo la classificazione tradizionale- caratterizza il contratto misto (v.
Zatti, in Manuale di diritto civile, Cedam, 200, p.547)] si deve parlare, sembra rilevarsi più nell’assenza di
previsioni ad hoc e nella peculiarità strutturale, che nell’impossibilità di applicare la disciplina di alcun tipo; nella
donazione mista a vendita, difatti, è obbligato il richiamo alle norme –tipiche- sulla donazione e sulla vendita (al di
là della combinazione che le diverse teorie ritengono più o meno fruibile)
171 Per Carnevali, cit., si ha donazione mista concorrono simultaneamente due cause, onerosa e gratuita
172 “Tale procedimento … difficilmente riesce a superare le critiche di chi non ritiene ammissibile che il contratto
misto costituisca la risultante di elementi determinati con un’arbitraria quanto inconcepibili vivisezione dei tipi
contrattuali …” così D’Ettore, in La donazione, Trattato Bonilini, p.167
101
diverso dalla
donazione,
ma
è
diverso
anche
dal
contratto di
scambio, non essendo più –solo- tale).
Dunque, il richiamo al negozio misto173, così come tradizionalmente
elaborato, si configura non sempre appropriato, o meglio, potrebbe
essere riletto in forza di altra ottica, utile ad approfondire un
determinato
profilo:
“la
questione
del
negotium
mixtum
cum
donatione riguarda, invece, veramente la qualificazione causale,
poiché essa incide intimamente sulla ragione delle prestazioni che
danno sostanza al contratto”174.
Nella donazione mista, quindi, si rinviene un’unica funzione che
non è né quella della vendita né quella della donazione, ma una
funzione
sui
generis
che
partecipa ad
entrambi
i
profili: da
questa lettura deriva che la qualificazione indagata possa essere
individuata
proprio
in
base
alla
valutazione
degli
interessi
concretamente perseguiti (v. infra), poiché “ogni contratto ha e
non può non avere una propria causa, diversa da quella di tutti
gli altri, nominati o innominati che siano”175.
A
latere,
per
completezza
d’indagine,
si
riporta
l’opinione
assolutamente prevalente –ed a cui si aderisce- che coglie la
differenze
tra
specificamente
negozio
tra
indiretto
negotium
mixtum
e
negozio
cum
simulato
donatione
e
e
più
donazione
173 In giurisprudenza, v. da ultimo, Cass. 22828/2012
174 V. Giorgianni, in Causa, Enc. Del Dir.
175 V. Carresi, in Il contratto, Tr. Dir. Civ. e comm. Cicu-Messineo, giuffrè, 1987, p. 247 e a p.251 “ricondurre il
trattamento del contenuto contrattuale alla concretezza dell’assetto di interessi convenuto tra le parti consente
infatti di apprezzare il contratto nella sua caratteristica dimensione di regola di interessi privati, ossia di valutare
appieno si da annettervi congrua rilevanza giuridica il complesso delle finalità perseguite dai contraenti, risultato
che ben difficilmente e comunque non nella generalità dei casi (basti qui pensare al caso della presupposizione)
può raggiungersi operando esclusivamente attraverso lo schema della funzione economico-sociale astrattamente
espressa nel tipo legale”
102
dissimulata da apparente vendita176, in termini di vera e propria
contrapposizione con riguardo alla struttura, alla causa ed alla
volontà negoziale (tanto più in forza di quanto appena concluso
sul punto)177. Difatti, mentre il negotium mixtum cum donatione si
realizza mediante un atto a causa unica complessa (ma la discrasia
vale anche ove si creda la causa onerosa con motivo ulteriore
della liberalità), la donazione mascherata da apparente vendita si
attua attraverso una duplicità di negozi -uno fittizio e l’altro
voluto-; inoltre, l’elemento comune alle due figure, costituito
dall’uso peculiare della funzione strumentale del contratto, nel
secondo caso la compatibilità dei due accordi è esclusa in radice,
non
essendo
possibile
che
le
parti
ricolleghino
conseguenze
giuridiche ad un negozio che è soltanto finzione.
Donde anche le differenze di ordine volitivo, ove la donazione
mista
è
effettivamente
desiderata
(si
sceglie
un
prezzo
vile
perché lo si vuole pagare veramente) mentre il contratto apparente
di vendita non è voluto dalle parti che, sotto forma di contratto
oneroso, intendono invece stipulare un –altro- contratto gratuito,
per cui la dichiarazione concernente il prezzo non corrisponde
alla realtà178.
176 Peraltro “Nulla esclude, peraltro, che il negozio misto a donazione sia anche simulato, nel senso che il prezzo
ridotto previsto per la vendita in realtà non debba essere pagato” Martino, in in Riv. Not., 2012, 2.
Per il caso, invece, di vendita conclusa con l’intento di realizzare una donazione v. Trib. Biella 03.10.2006 “…Il
contratto di compravendita in esame si sostanzia pertanto in donazione indiretta il cui valore corrisponde alla
differenza tra il prezzo pagato e il valore del bene, ammontante a lire 82.800.000. Tale donazione è suscettibile di
riduzione come previsto dall’art. 809 c.c.” (Parte attrice in qualità di legittimaria del de cuius ha agito chiedendo
che venisse accertata la natura simulata dell'atto pubblico di compravendita, costituente in realtà una donazione,
o comunque la natura di donazione indiretta -negotium mixtum cum donatione-)
177 Con riferimento specifico alla differenza tra simulazione assoluta e liberalità indiretta, è stato osservato in
giurisprudenza come nella simulazione le parti non vogliono affatto il contratto simulato, mentre nella liberalità
indiretta vogliono invece quello che contiene l'attribuzione gratuita: così Cass. 712/1972, in Rep. Foro it.,1972
178 V. Cass.6723/1982, in Mass. Giust. Civ., 1982; cfr. Cass. 1303/1970
103
Per concludere, l’incognita della qualificazione si pone
ove si
ammette –giustamente- che i privati, nell’esercizio della propria
autonomia, possono forgiare schemi e funzioni negoziali che non si
identifichino
semplicemente
con
la
donazione
e
che
siano
irriducibili al pur vasto modulo del contratto di scambio, ma
comunque
sorretti
da
un
interesse
meritevole
di
tutela
giuridicamente rilevante.
In sintesi, una ricostruzione fondata sulla funzione concretamente
asservita al conseguimento degli interessi sembra più rispettosa
della
realtà
e
più
strumentale
all’analisi
della
volontà
dei
contraenti, mentre l’individuazione del profilo di volta in volta
rilevante si pone necessaria in taluni casi per la scelta della
disciplina da applicare.
LA FORZA DETERMINANTE DELLA RAGIONE GIUSTIFICATIVA DELL’ATTO
Tali considerazioni -sulla qualificazione della donazione mista e
sui tòpoi in essa rinvenibili- necessitano di essere convalidate
da una più ampia riflessione sull’aspetto che qui viene investito
del ruolo idoneo a sciogliere i nodi problematici della figura in
esame, id est la eziogenesi che partecipa ad entrambi i profili
strutturali dell’accordo, pur senza identificarsi semplicemente
nella loro somma.
Dato che i due valori -prima facie incompatibili- sono entrambi ed
ugualmente
funzione
essenziali
e
dell’operazione
e
contribuendo
compiuta,
compresenti,
a
se
accorpandosi
chiarire
è
104
vero
che
il
valore
tali
in
unica
globale
nozioni
sono
intrinseche
alle
operazioni
concretamente
compiute
per
realizzarle, il riferimento necessario è alla causa.
Andando
per
ordine,
il
richiamo
al
concetto
causale
potrebbe
essere ritenuto non appagante nel senso che esso proporrebbe una
mera fusione tra cause: difatti, la figura stessa del negozio
misto appare frutto di quella tendenza semplificante che è spinta
a
riportare
ogni
concreto
negozio
ad
una
fattispecie-modello
tipica ed alla sua disciplina, sacrificando l’originalità propria
di
ciascun
regolamento
di
interessi.
A
questa
obiezione
pare
ragionevole replicare che il negozio de quo struttura, invero, una
propria
specifica
unità
eziologica,
pur
con
le
particolari
sfaccettature che la caratterizzano. La donazione mista tratteggia
quindi un negozio con propria individualità e propria funzione
idonea a realizzare sia uno scambio che una liberalità.
D’altro canto, già a qualcun altro179 è parso non potersi dubitare
che
nel
negozio
misto
con
donazione
l’animus
donandi
non
costituisca solamente un motivo, ma abbia valore di causa, sol che
si pensi al fatto che è proprio questo distintivo scopo unitario,
noto ed accolto da entrambe le parti, a dare giuridico fondamento
all’acquisto180.
179 V. Mosco, in Onerosità e gratuità, p.314; contra, v. Recupero “non sappiamo davvero come possa conciliarsi
tale osservazione con l’affermazione dello stesso autore che al negozio misto vi sia unicità di prestazione e di
schema negoziale che non consentono una scissione”, in Temi, 1950, p.171.
Per l’orientamento giurisprudenziale che ritiene l’animus causa della donazione cfr. Cass. 3322/1971, 1465/1969,
97/1949
180 Su tali basi, ad es., Biondi, pur ammettendo la configurabilità della donazione indiretta, ne esclude la
qualificazione come negozio indiretto poiché “la liberalità non è effetto indiretto dell’atto, ma è la causa che sta
alla base dell’atto”, in Le donazioni, cit.
V. Cass. 5410/1989 “…Pertanto lo spirito di liberalità richiamato dall’art.769 c.c. si identifica non con un intento
benefico altruistico, ma con lo scopo obiettivo che si raggiunge attraverso il negozio che ne costituisce la causa.
Cioè la gratuita attribuzione del bene”
105
L’intento liberale (così come quello di scambio) va ricercato,
quindi, nella sua diretta influenza sul contratto quale intento di
arricchire
comune
alle
parti
e
non
come
semplice
motivo
individuale, dato che, per dirla con Santoro-Passarelli181, gli
scopi ulteriori e indiretti -i motivi- o non acquistano rilievo “e
allora
nulla
può
distinguere,
sotto
il
profilo
giuridico,
il
negozio diretto da quello indiretto” in quanto non possono servire
a determinare una nuova figura di negozio giuridico, oppure –come
nel caso della donazione mista- acquistano rilievo ed allora lo
stimolo che guida le parti si configura esso stesso come causa”182.
Ecco allora che si palesa contraddittoria la conclusione di chi183,
pur
relegando
l’animus
a
mero
motivo
capace
di
determinare
risultati particolari con funzione di pura accidentalità (quindi
con posizione avulsa dalla struttura del negozio), reputa che la
rilevanza di tale motivo sia data da un duplice requisito, ovvero
da I. la sua forza determinante -che si ha non solo perché senza
di esso non si sarebbe contratto, ma anche perché non si sarebbe
determinato in quel determinato modo-
e
II. la sua effettiva
conoscibilità da parte dell’altro contraente, cui deve parificarsi
la obiettiva riconoscibilità attraverso tutte le circostanze del
caso
concreto.
dicotomia
non
E’
è
stato
tra
infatti
causa
e
giustamente
motivi,
è
rilevato
piuttosto
tra
che
‘la
generi
181 Santoro-Passarelli, in Saggi di diritto civile, p.753
182 Quindi, con la conseguenza sopra evidenziata, che mancano gli estremi del negozio indiretto
183 V. Recupero, cit., p.172
V. anche D’Ettore “l’unitarietà della fattispecie causale non viene infatti compromessa dalla gratuità indiretta del
contratto che rimane di scambio. Il fondamento dell’operazione negoziale è tutto racchiuso nel mantenimento
della funzione di scambio del contratto, capace di realizzare un effetto ulteriore, appunto l’arricchimento
volontario di una parte, disciplinato dall’art. 809 c.c.” in La donazione, Trattato Bonilini, p.169
106
particolari di motivi, cioè tra motivi che sono diventati causa e
motivi rimasti privi di tutela’184.
Ciò posto, non si comprende, quindi, come la componente liberale così
distinta-
non
venga
incastonata
nell’essenza
causale
del
negozio –che, secondo la lettura contestata, resta (solo) oneroso, di cui riesce addirittura a ‘modificare gli effetti normali’185.
Non
per
questo,
tuttavia,
sarebbe
corretto
affermare
senza
specificazioni che la liberalità costituisce una causa186; essa
costituisce
una
significato
funzionale
ammettere
che
la
categoria
in
causa
transnegoziale,
quanto
possa
ragione
presentare
anche
per
pratica
del
varie
il
suo
negozio:
sfaccettature,
comporta ammettere anche che la liberalità medesima non esaurisce
il requisito causale, ma ne costituisce un’angolazione187. Tale
arricchimento non può certo considerarsi come giustapposizione di
un ‘pezzo’, ma va individuata come possibilità di emersione di un
184 Così Pellicanò, in Problemi della causa del contratto, in Riv. Trim. Dir.e proc. Civ., 1979, p.904
185 V. nota 183. La posizione dell’Autore si mostra ancor più contraddittoria ove scrive, p.174 “ciascun soggetto in
tanto vuole obbligarsi in quanto debba realizzare quel quid che egli si è rappresentato nel momento di formazione
della sua volontà negoziale e che ha costituito l’impulso immediato a compiere la stipulazione. Questo pratico
intento dei soggetti, che costituisce il profilo concreto della tipica funzionalità della fattispecie normativa è
propriamente la causa” con ciò concludendo precisamente nel senso di questa ricerca e rilevando l’apporto
concreto che l’espressione di liberalità può determinare nella causa del negozio.
La denunciata incoerenza della tesi esposta da Recupero, non a caso, è stata rilevata anche da altri (v. Scalfi, il
quale mette bene in luce come l’intento, definito da Recupero mero motivo, non può che spiegarsi con la nozione
di causa, se capace di soddisfare un intento comune dei contraenti -in Temi, 1950, p.176-)
186 La questione si estende, quindi, al ‘se’ la liberalità possa o meno essere un genus causale. Volendo utilizzare il
concetto, si potrebbe dire che costituisce un genus causale del tutto specifico, potenzialmente idoneo a
concretare una causa autonoma e tipica, il che accade nella sola donazione, ma che altrimenti vive nei singoli
negozi fondendosi con altri interessi e contribuendo a formare un insieme suscettibile di diverse valutazioni.
Non si può neppure negare che i profili causali presentino, nelle diverse ipotesi, un differente grado di separatezza
od inscindibilità.
Ad es., in una vendita mixta cum donatione riesce abbastanza facile ipotizzare che, venuto meno, per qualsiasi
ragione, il profilo liberale, le parti non abbiano interesse a mantenere in piedi il contratto, anche se il profilo
causale dello scambio sarebbe astrattamente sufficiente
187 “Ad escludere la presenza della causa della donazione non basta pertanto affermare che chi compie la
liberalità non tende meramente all’arricchimento, ma ad un risultato ulteriore e diverso: bisognerebbe affermare
che egli non tende affatto all’arricchimento, ma solo ad un risultato diverso, non più ulteriore, ma unico” Così,
Oppo –contestando le conclusioni di D’Angelo (La donazione remuneratoria, 1942) che esclude ricorra donazione
ogni qualvolta vi sia un scopo ulteriore a giustificare la prestazione giuridica-, in Adempimento e liberalità,
Giuffrè, 1947, p.65
107
nuovo
profilo
di
causa
comunque
unitaria.
La
risposta
alla
complessità dell’assetto di interessi ed all’emersione del profilo
causale è pertanto un’autonoma qualificazione normativa.
Appare quindi chiaro, per quanto riguarda la configurabilità nelle
nostre ipotesi di un quid medium ed autonomo tra liberalità e
corrispettività,
che
una
simile
costruzione
in
tanto
sarà
possibile in quanto possa assegnarsi all’attribuzione una causa
autonoma rispetto alla causa liberale ed alla causa solvendi, e
quindi
in
quanto
quella
all’attribuzione
possa
dell’attribuzione
stessa.
relazione
configurarsi
Pertanto
il
sociale
come
dato
che
causa
sociale
presiede
giuridica
che,
come
sappiamo, appartiene alla fattispecie dell’effetto giuridico, può
dar luogo ad un tipo (negoziale) autonomo, collocandosi in quel
momento della fattispecie (negoziale) che è la causa giuridica
dell’atto188.
Ora,
l’eziologia
così
individuata,
oltre
a
rilevare
la
potenzialità atta a selezionare la configurazione giuridica più
aderente alla conformazione scelta dai contraenti189 (se l’intento
di arricchire non funge da mero motivo -ulteriore ed incapace di
entrare a far parte del negozio adottato, ma come vera e propria
causa-, allora non potrà dirsi che le parti hanno dato vita ad un
negozio indiretto)190, permette uno step che inquadra ancor meglio
188 Cfr. Oppo, Adempimento e Liberalità, Giuffrè, 1947, p.32
189 Cfr. Cass. 22828/2012, sottolinea che non può escludersi rilevanza giuridica ad alcuno degli elementi
contrattuali “che sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l’ampiezza del vincolo contrattuale”
190 Difatti, inquadrare correttamente la causa della donazione mista ha reso possibile convalidare la scelta di
escludere la ricostruzione della fattispecie come negozio indiretto.
La Cassazione, ad es., fa perno su un’indagine di tipo causale anche per distinguere negotium mixtum cum
donatione e donazione modale: nel primo caso le parti impiegano un negozio oneroso per produrre effetti
principali onerosi e secondari di indole gratuita, nell’altro l’animus donandi domina l’intera pattuizione relegando
a funzione accessoria la prestazione onerosa Cass. 111/1964, in Mass. Giust. Civ. 1964, Cass.5444/1978, ivi, 1978
108
la componente causale della donazione mista, tanto da orientare
anche sul metodo adoperabile ai fini dell’individuazione della
disciplina applicabile (v. infra).
Difatti,
la
possibilità
d’integrazione
della
‘ragione
giustificativa dell’atto’ potrà/dovrà avvenire avendo riguardo a
quelle
“circostanze
previste
dei
contraenti
quali
conseguenze
del contratto”191.
concrete della conclusione
L’osservazione
dai
possibili
esiti
negoziali
discendenti
dai
contenuti dell’accordo, -come tali- modellabili a seconda delle
esigenze, consente di ritenere che nella donazione mista le due
funzioni -prima facie incompatibili- sono entrambe essenziali e
compresenti,
accorpandosi
in
una
unica
causa
sui
generis:
impostazione, questa, da leggere necessariamente alla luce della
concezione
di
causa
nell’individualizzazione
concreta
della
che
affonda
fattispecie192,
intesa
le
non
radici
tanto
come volontà dell’individuo che pone in essere il contratto, ma
come ragione ontologica dell’accordo individuato in base ad una
sintesi
dinamica
della
sua
funzione
economico-individuale
(in
poche parole, ‘il quod actum sit’ di pomponiana memoria) e che
rende
risposta
al
problema,
segnalato
da
Cataudella,
della
elasticità dei tipi legali.
191 Cfr. Bessone, in Il tipo negoziale, la sua causa ed il dogma dell’irrilevanza dei motivi, in Giur.It., 1979, I.
Parimenti individua la rilevanza della ragione concreta dell’accordo D’Ettore, in Intento di liberalità ed
attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996, p.40; cfr. Cataudella, op. cit., p.122 “Se si ritiene … che l’elemento
soggettivo della donazione non si esaurisca nella sola volontà negoziale, ma comprenda, nella sua ricostruzione
funzionale, anche i moventi della volontà, e dunque anche quel movente ultimo del processo formativo della
volontà che è l’animus donandi, allora si può tentare di individuare il momento teleologico comune alle parti che
caratterizza indifferentemente gli atti di liberalità. Tale momento si identifica con lo scopo ultimo in concreto
perseguito dalle parti con il negozio”
192 V. Muller, cit. e, in giurisprudenza, ex multis, Cass.24511/11
109
La strada da percorrere è, dunque, quella del diretto esame degli
interessi che l’atto è destinato a perseguire, ricavabili in via
interpretativa dall’operazione complessiva193.
Così
individuata,
concreto
acquista
la
stessa
anche
nozione
un’altra
di
causa
utilità.
Essa
che
emerge
in
costituisce
un
punto di vista alla luce del quale osservare la struttura del
contratto:
tale
processo
porta
alla
formazione
di
uno
schema
ordinante, la cui utilità immediata consiste nell’agevolare, per
quanto possibile, la comprensione dell’assetto di interessi ed, in
seconda battuta, il rinvenimento di una disciplina applicabile
alla donazione mista.
PROBLEMA DELLA DISCIPLINA E METODO
Il problema della disciplina, pertanto, è il luogo in cui sfociano
i discorsi relativi alla natura del negotium. Non a caso, la
questione è stata spesso posta in termini di problematicità194. Né,
la formula secondo cui i contratti de quibus seguono la disciplina
riconducibile alla struttura di ciascuno è sempre sufficiente a
risolvere i dubbi che le ipotesi concrete possono sollevare.
Sicché,
interessa
il
tentativo
pare
chiarificatore
dover
passare
della
questione
necessariamente
che
qui
attraverso
193 V. Ferri, in Causa e tipo cit., p.371 “la causa come funzione economico individuale sta appunto ad indicare il
valore e la portata che all’operazione economica nella sua globalità le parti hanno dato”. Come ben rileva anche
Caredda -in Le liberalità diverse dalla donazione, Giappichelli, 1996, p.136 ss.- tale valore può essere compreso
solo tenendo conto di tutti gli elementi, anche accessori, dei quali il negozio si compone e che nella causa trovano
la loro possibilità di essere considerati unitariamente.
V. anche D’Ettore “la concreta ragione giustificativa di un atto va infatti colta tenendo conto degli scopi in
concreto perseguito con il contratto nel loro legame con la causa dell’attribuzione”, in La donazione, cit. p. 173
194 V. Oppo, cit. p.92-93
110
l’accertamento
di
un
‘metodo’.
La
medesima
necessità
è
stata
avvertita anche da quella dottrina195 che ha finito per investire
il
criterio
spesso
gerarchico
capace,
come
della
già
funzione
detto,
di
scriminante,
individuare
la
in
quanto
norma
più
garantista, a tutela dei contraenti. Criterio, questo, che merita
sicuramente un plauso.
Si
intravede,
peraltro,
fondatezza
anche
nelle
considerazioni
dello studioso Champeau196: al di là delle premesse da cui muove il
giurista francese (il quale ha prospettato su un piano generale e
fatto oggetto di indagine quali norme dettate per la donazione
possono ritenersi proprie di ogni liberalità), per quello che qui
interessa, preme aderire al canone metodologico in forza del quale
l’indagine si sofferma sulla ratio delle disposizioni, così da
valutare se essa ne consenta l’estensione al negozio concreto.
Tale orientamento, operando attraverso un generale richiamo alla
ratio delle regole, consentirebbe di raggiungere risultati più
rigorosi, soprattutto ove posto in paragone, ad esempio, con il –
già criticato- criterio economico, molto rischioso in quanto ne
possono derivare risultati incerti197. L’indagine sulla ratio delle
norme evita, dunque, di essere condizionati esclusivamente da un
195 Ci si riferisce ovviamente a Cataudella, op. cit., v. Cap. precedente
196 Champeau, in Acte à titre gratuit, secondo cui le norme sulla donazione possono essere classificate in tre
gruppi ispirati a diverse ragioni di tutela (in questo senso, il parametro della tutela è in nulla dissimile a quello
menzionato da Cataudella); v. Oppo, in Adempimento e Liberalità, Giuffrè, 1947, p.95 ss.
197 Il criterio economico, quindi, non offre risultati né ove applicato al fine di qualificare la fattispecie né ove
applicato al fine di comprenderne la disciplina. V. Cass. 1276/1969 “…nell’ipotesi in cui nel contratto di
compravendita sia stato pattuito un prezzo minore del valore della cosa venduta, non può escludersi a priori che
causa di ciò sia stato lo stato di necessità in cui il venditore si sia venuto a trovare di liquidare la cosa oggetto del
contratto, oppure l’errore dello stesso venditore nella valutazione della cosa medesima e che, pertanto, non vi sia
stato altro intento , da parte di quest’ultimo, di porre in essere un atto di liberalità”.
V. Cass.3499/1999, 1931/1991
In merito alcuni parlano di criterio ‘quantitativo’ in base al quale discernere tra attribuzioni onerose e liberali: il
primo caso si verificherebbe ad es. quando ‘la sproporzione non riuscisse asuperare la metà del valore del bene
trasferito’, v. D’Ettore, il La donazione, cit. p.269
111
aspetto –quello economico, ad esempio- e pertanto può uscire dalla
visione
settoriale,
il
che
pare
necessario
per
conferire
a
ciascuna norma una corretta collocazione nell’ordinamento.
Ora, per tornare alla donazione mista, ove l’impianto negoziale
assume le fogge di cui si è scritto, occorrerà
tener presente
che, proprio nei casi in cui la compenetrazione tra i diversi
profili dell’atto si fa così forte, può accadere che più norme
regolino lo stesso aspetto o che esistano –semplicemente- norme
diverse.
Il
merito
di
aver
evidenziato
questo
indubbiamente alla summenzionata
profilo
riflessione
va
attribuito
che, qualificando
la donazione mista come negozio misto, ne individua la disciplina
nell’applicazione integrale
dei
due
contratti
di
riferimento198
attraverso il criterio della combinazione: peraltro, nei casi in
cui
entrambe
regolare
le
la
discipline
situazione
contengano
rilevante,
una
il
norma
concorso
destinata
va
a
risolto
attraverso l’individuazione di quella prevalente. Per la scelta
della norma prevalente, tale impostazione prende in considerazione
il principio di specialità ed una graduazione gerarchica tra norme
cogenti e norme dispositive da risolversi, in caso di conflitto,
in
favore
delle
prime.
Qualora
simili
criteri
non
siano
utilizzabili, la scelta ricade sulla regola più esigente, ovvero
più
protettiva
e
di
conseguenza
privata.
198 Ancora, Cataudella, op. cit.
112
più
restringente
l’autonomia
Ebbene, stanti le premesse elaborate nel presente capitolo e,
quindi, sulla base della qualificazione che qui si è data alla
donazione mista (qualificazione che, per quanto critica in parte
qua della figura di negozio misto tradizionalmente inteso, sposa
di fatto la visione di Cataudella, se non altro nella parte in cui
pone in luce la simultanea compenetrazione delle componenti del
negozio199) si reputa –anche qui- di poter concludere nel senso
della concomitante applicabilità delle discipline con-correnti,
salve le ipotesi di aperto conflitto: la loro applicazione si
giustifica
con
ispirano200.
la
Tale
presenza
esito
non
sincrona
si
pone
dei
caratteri
che
le
in
contrasto
con
le
argomentazioni esposte, atteso che la concomitanza delle norme201 affine all’accordo non nei singoli elementi, ma nella complessiva
concreta
istruzioni
funzione-,
da
parte
soprattutto
dei
in
contraenti
assenza
sulla
di
specifiche
prevalenza
o
meno
dell’intento prefisso, trae fondamento dalla sintesi per mezzo di
cui si realizza l’interesse complesso perseguito inter partes e
199 Vero è che si sono prese le distanze dalla configurazione di contratto misto tradizionalmente inteso (che
porterebbe al risultato: donazione + vendita), ma è altrettanto corretto che la ricostruzione qui avanzata, a
volerla rileggere in maniera più elastica, interpreta la donazione mista con un contratto misto (e atipico nel senso
di causa non perfettamente coincidente con quella positivamente contemplata), ove –però- per commixtio sia
intesa non tanto la mera somma di due cause(qui lo scarto rispetto all’autorevole riflessione citata), ma la loro
sintesi dinamica, ovvero un tertium unicum le cui componenti si interfacciano senza scomporsi
Per le conseguenze, v. nota successiva
200 Ma v. in Cass. 1955/2007 la Corte esclude esplicitamente l’adesione alla figura del contratto misto (ovvero di
contratto innominato ottenuto combinando due schemi negoziali tipici cui si applica la disciplina normativa
prevalente)
201 V. Cass.3863/2004 che, ritenendo superata la tesi dell’assorbimento (secondo cui si applica la disciplina del
contratto tipico col quale quello innominato presenti il maggior numero di caratteri comuni) e quello della
combinazione di più schemi contrattuali (cause) che si combinano nel negozio misto, si esprime in favore del
‘metodo tipologico’, attraverso il quale si applica al contratto la disciplina eventualmente derivante da più
contratti tipici, che siano affini all’accordo innominato non nei singoli elementi,ma nella complessiva funzione.
La sottile diversità tra ‘metodo tipologico’ –qui preferito- e tecnica della combinazione –scelta da Cataudellarispecchia perfettamente il quid che distingue le interpretazioni che sfociano, una, nella causa concreta; l’altra,
nella mera combinazione delle cause (il criterio della combinazione viene eletto da Cataudella, op. cit. p.45)
113
non dalla ‘duplice sussunzione’202 di due discipline a sé stanti
(quindi, ancora una volta non addizione, ma ‘sintesi dinamica’203
del contratto).
Non si scordi, comunque, che la visione proposta di contratto -non
identificabile totalmente con la ‘somma’ tra una vendita ed una
donazione- richiede a maggior ragione la
scelta delle norme più
adatte al caso concreto in base alla la ratio che le ispira:
conseguentemente, in caso di conflitto verrà privilegiata la norma
più aderente alla questione concretamente prospettata (e non per
forza
andrà
applicata
la
norma
che
maggiormente
comprime
l’autonomia204).
Quanto alle ipotesi di ‘attrito’ tra gli assetti disciplinari concorrenti, l’attenzione cade immediatamente alla rescissione del
contratto: nel caso di negozio misto con donazione, essendo la
sproporzione
liberalità
che
dell’altra,
su
le
una
sembra
rescissione205.
anche
fra
prestazioni
delle
non
“Essendo
requisiti
approfittamento),
parti
intende
poter
infatti
di
(stato
dallo
perseguire
avere
l’azione
soggettivi
l’intento
giustificata
luogo
di
di
liberalità”
scopo
in
favore
l’azione
rescissione
bisogno,
ove,
di
di
basata
pericolo,
s’intende,
validamente espresso “avrà rilevanza in fatto in quanto varrà a
dimostrare l’inesistenza dello stato di bisogno, della coazione
202 V. Cataudella, in op. cit., p.97
203 L’espressione è mutuata da Cass.10490/2006.
204 “Anzi” scrive Caredda “il sistema delle liberalità sembra suggerire il contrario, dato che in pochi settori ci è
un’esaltazione dell’autonomia privata come quello che emerge dallo studio degli atti di liberalità”, in in Le
liberalità diverse dalla donazione, Giappichelli, 1996, p.275
205 Benché in Cass.1812/1941 si legga esattamente il contrario, ovvero l’ammissibilità dell’azione di rescissione, in
Mass. Foro it., 1941, 452; per l’inapplicabilità dell’istituto v. Trib. Messina, 18.06.1948, nonché Trib. Messina,
30.03.1949, entrambe in Temi, 1950; cfr. anche App. Torino 20.07.1951
114
psichica
che
il
dell’approfittamento”
bisogno
206
determina,
e,
conseguentemente,
.
Si è precisato che l’intento debba essere validamente espresso,
poiché
non
può
escludersi
a
priori
che,
nella
verifichi l’ipotesi di donazione mista conclusa
pratica,
si
da un soggetto
indotto al contratto dalla necessità determinata, ad es. dallo
stato di bisogno: anche in tal caso, difatti, si individuerebbe
l’intento di porre in essere un’attribuzione senza corrispettivo,
ma
–al
contempo- esso
non
sussisterebbe
in
quanto
inidoneo a
costituire il fondamento della fattispecie oggetto di studio.
Quanto, poi, alle norme sulla donazione, occorre rammentare che il
risultato concretamente realizzato con la donazione mista è stato
dalle parti perseguito direttamente per il tramite del negozio
adottato (pur con le peculiarità del caso) –inteso nella propria
globalità- e non relegato a semplice intento ulteriore ad esso
esterno207:
coerentemente,
quindi,
dovrà
farsi
riferimento
esclusivamente alla donazione diretta208 o ‘in senso stretto’209,
anche in questa fase d’indagine legata all’individuazione delle
norme applicabili (il concetto è stato precedentemente richiamato
206 Scalfi, in Temi, 1950, p. 378. Anche Cataudella esclude l’istituto, v. Cap. 3
207 Correttamente, D’Ettore ritiene che sia difficile “prospettare nella pratica” l’eventualità che l’arricchimento
non sia intenzionale,posto che “quando l’effetto economico (arricchimento) è programmato dalla parti quale
risultato da perseguire, la liberalità dovrebbe essere donazione diretta ex art.769 c.c..” tanto che “se
l’arricchimento non fosse invece intenzionale …” allora “andrebbero applicate le sole norme dettate dall’art.809
c.c. in tema di revocazione e riduzione nonché l’art.737 c.c. (collazione)” . Così, D’Ettore, in Intento di liberalità
ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996, p.35
208 Contra, D’Ettore “…figura della donazione mista che non può sicuramente in ogni caso qualificata come
donazione diretta, se non dando rilievo ad un solo elemento della fattispecie”, in La donazione, Trattato Bonilini,
p.162. L’A. sembra però contraddirsi quando scrive “l’art. 769 in definitiva non è una norma che individua una sola
figura nominata, ma si articola in più varianti tipogiche espresse dalla presenza di un modello astratto di
qualificazione… ”, p.211
209 Così la chiama Cataudella, in op. cit., p.10
115
al fine di escludere che il negotium mixtum fosse qualificabile
come negozio indiretto).
Il che, pertanto, conferma la correttezza del richiamo all’intero
complesso di norme sulla donazione, onde evitare che il rinvio
cada solo su quelle norme cd. materiali: ovvero, quelle che il
legislatore
avrebbe
espressamente
destinato
-per
il
tramite
dell’art. 809 c.c., ed al più dell’art. 737 c.c.- alle donazioni
indirette,
applicano
facendo
solo
in
tal
quelle
modo
norme
intendere
che
esplicitamente
alle
stesse
richiamate
si
dalle
suddette disposizioni e non altre.
Anzi, v’è una ragione pregnante che giustifica tale conclusione,
dato che le norme ex art. 809 c.c., se si applicano alle donazioni
indirette
liberalità
(e
agli
è
atti
diversi
individuata
dall’art.769
–solo-
nell’ottica
c.c.
dove
la
dell’effetto
dell’accordo210), dovranno a maggior ragione trovare ingresso nella
donazione
mista
ove
la
liberalità
-non
si
limita
ad
essere
risultato, ma211- ha rilievo causale212.
Né, tanto meno, se lo scopo pratico perseguito dai contraenti è
quello dell’arricchimento, è possibile fuggire alla disciplina del
210 Per le liberalità atipiche, disciplinate dall’art.809 c.c., la sussunzione nell’ambito del fenomeno liberale è
operata dall’ordinamento positivo in ragione del risultato ottenuto (tale argomentazione nega in radice
l’esistenza stessa di un problema di disciplina in quanto nega l’esistenza di una lacuna legislativa).
Così “l’applicazione della disciplina prevista dall’art.809 c.c. s’imporrebbe in relazione a certi risultati comunque
conseguiti, di modo che alcune norme sarebbero operanti a prescindere dagli schemi negoziali adottati e dalla
stessa intenzione dei soggetti, solo sulla base della produzione dell’effetto” sicchè l’art. 809 “consente
l’applicazione delle norme materiali della donazione in tutti i casi in cui si verifichi l’arricchimento di un soggetto
quale conseguenza del negozio concluso e ciò anche quando il fine cui mirano le parti non consista nella
produzione di quel risultato” Così, D’Ettore in intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996,
p.35 e p.115; dello stesso avviso Biscontini, in op. cit.
211 Correttamente rileva Caredda, che una definizione del concetto di liberalità che faccia riferimento esclusivo
all’effetto prodotto non è errata, ma insufficiente in quanto non considera il fatto che ogni effetto ha la propria
causa, in op. cit.
212 Quindi, non tanto perché le norme citate nell’art.809 c.c. hanno preminenza gerarchica sull’assetto dei
contratti a prestazioni corrispettive (ove tali istituti non sono previsti) -così Cataudella, in op. cit., p.149-, ma
piuttosto perché la causa –unica e concreta- della donazione mista partecipa ai caratteri della donazione ‘in senso
stretto’
116
contratto di donazione, dove il fine di liberalità è tipico ed è
assunto a giustificazione
del compimento dell’atto213.
L’intento pratico (che dunque torna nuovamente utile)
anima i
contraenti coincidendo con la causa dell’accordo e porta alla
sussunzione
nel
modulo
tipico
di
tutte
le
fattispecie
che
apertamente (id est, direttamente) realizzino quell’intento.
Tutto
tipici
ciò
non
del
lascia
settore
dubbi
liberale,
sull’applicabilità
ossia
l’azione
degli
di
istituti
riduzione,
la
revocazione per ingratitudine o sopravvenienza dei figli (non a
caso, menzionati nell’art.809 c.c.) e la collazione.
Tali fattispecie meritano il necessario chiarimento per cui non si
può prescindere dalle determinazioni dei contraenti, dato che la
valutazione di corrispettività e di liberalità
è di competenza
delle parti: sicché, solo in assenza di precisazioni in tal senso,
occorrerà far leva su parametri oggettivi (evitando comunque il
rischio di falsare l’equilibrio cui i contraenti miravano214).
Gli istituti considerati mostrano come la loro finalità richieda
che si agisca, in un caso (riduzione), solo contro il quid di
liberalità215
che
ha
determinato
l’arricchimento,
nell’altro
213 Alla luce di quanto osservato, può pertanto –di nuovo- sostenersi che anche quando l’intento liberale sia
comune alle parti, ma queste abbiano adottato un negozio diverso da quello previsto dall’art. 769 c.c., non sia
possibile parlare di donazione indiretta ove lo stesso sia direttamente realizzato.
In questo senso anche D’Ettore, in Intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996; si legge ad es.
a p.141 “Se dunque non esiste uno scopo diverso da quello tipico non potrebbe neanche parlarsi di negozio
indiretto (di donazione indiretta)”
214 Aiuta l’art. 1362 c.2 c.c. che prescrive di valutare, nella ricerca della comune intenzione delle parti, anche il
loro comportamento complessivo.
“…si addiviene alla conclusione di un contratto si scambio solo ove le parti abbiano ritenuto adeguate o
equivalenti le reciproche prestazioni. Diversamente, qualora cioè si fosse optato per la necessaria equivalenza
oggettiva, si sarebbe colpita nell’intima essenza il fondamento dell’autonomia privata” Biscontini, in Bilateralità,
Onerosità, cit. p.51
215 E’ peraltro controverso quale sia l’oggetto della liberalità, se il valore del bene eccedente rispetto al prezzo
pattuito o quota del bene stesso. Ad es. in giurisprudenza è dato leggere da un lato che il pagamento di una
somma inferiore al prezzo pattuito costituisce prova presuntiva di un negotium mixtum cum donatione avente ad
oggetto il maggior valore del bene venduto; dall’altro che “Apertasi la successione intestata del venditore poi
117
(revoca),
si
investa
tutto
il
negozio216:
la
ripercussione
sull’intero contratto è possibile, ma non sempre necessaria.
Il medesimo discorso potrebbe essere adattato ad altri istituti:
nella soluzione di tali casi, come in quelli precedenti, sono di
grande utilità istituti come la nullità parziale. Non sarebbe
concettualmente esatto, in effetti, parlare di vizio che inficia
una sola parte del negozio, viste le premesse da cui si è partiti:
in effetti, la causa di invalidità riguarderebbe il negozio così
come concepito dalle parti, cioè comprensivo dei diversi profili.
Ci si trova, peraltro, in un campo, per la comprensione del quale,
gli istituti citati sono molto utili. Nei casi in esame non è solo
il principio di conservazione, ma anche la fedeltà della natura
deceduto, ove il negotium mixtum cum donatione risulti posto in essere dal de cuius a favore congiuntamente di
due coniugi, uno solo dei quali avente la qualità di erede, solo quest’ultimo è tenuto a collazione verso il coerede
limitatamente alla quota indivisa del bene (immobile) indirettamente donatogli, essendo l’altro coniuge estraneo
alla comunione ereditaria” così in Trib. Genova 28.09.1989, in La nuova Giur.Civ. commentata, 1990, p.686 (Tizia
muore senza testamento, lasciando quali unici eredi i due figli, Caio e Sempronio, questo ultimo coniugato con
Mevia. Caio conviene Sempronio perché sia accertata la simulazione relativa dell’acquisto immobiliare concluso dai
convenuti con la defunta a mezzo di atto pubblico rogato senza la presenza di testimoni, onde addivenire alla
divisione dell’intero patrimonio con conferimento alla massa dei beni dissimulatamente donati. Il Tribunale
dichiara la nullità del contratto simulatamente stipulato e la soggezione alla collazione ereditaria dei beni
immobili, rimettendo la causa in istruttoria per il giudizio di divisione. Sulla base di tale decisione, Mevia conviene
Caio e Sempronio ai fini del riconoscimento del proprio diritto di proprietà sulla quota dell’immobile –conseguito in
virtù di negotium mixtum cum donatione formalmente valido- ed al fine di essere esclusa dalla collazione, essendo
estranea alla comunione ereditaria. Il Tribunale accoglie le domande sulla base della validità del dissimulato
contratto di donazione sub specie di negotium mixtum cum donatione).
Nel senso che la donazione (indiretta) ha ad oggetto non il denaro, ma il bene immobile, v. Cass.56/1989.
Sul tema, cfr. anche Cass. 11499/1992 secondo cui “…l’atto di liberalità (indiretta) e correlativamente
l’arricchimento del beneficiario sono configurabili limitatamente alla differenza fra il valore di mercato del bene e
il suddetto prezzo. Ne consegue che in caso di revocazione della liberalità, solo questa differenza deve essere
restituita al venditore-donante”.
Più recentemente, Cass. 1153/2003 “…un contratto unitario di carattere esclusivamente oneroso … che tuttavia
realizza anche una liberalità, comportante un depauperamento dell'alienante e un corrispondente arricchimento
dell'acquirente, che sono configurabili, appunto, "limitatamente alla differenza tra il valore di mercato del bene
ed il suddetto prezzo" (v., per tutte, Cass. 21 ottobre 1992 n. 11499)” : la questione posta era quella di stabilire,
anche ai fini delle dovute conseguenze in sede divisoria, se oggetto dell’atto di liberalità fosse da individuare nella
quota di bene, trasmessa per intero a titolo oneroso, secondo l’impostazione di parte ricorrente, o, come
sosteneva parte resistente, in una somma di denaro pari alla differenza tra il valore dell’immobile al tempo della
vendita ed il relativo prezzo. Pertanto, nel primo caso, la collazione sarà attuata mediante conferimento in natura
del bene stesso, che dovrà essere restituito alla massa ereditaria, oppure mediante conferimento alla massa di una
somma corrispondente al valore dell’immobile al tempo della successione; nel secondo caso, oggetto della
collazione sarà la somma di denaro suddetta. Nello stesso senso, anche Cass.11499/1992, in Mas. Foro it., 1992
216 Biondi scrive “la revoca si applica in toto: non può sussistere un atto valido per la parte in cui è oneroso,
revocato per quella che importa liberalità”, mentre, in merito alla riduzione “l’atto…viene ridotto entro i limiti in
cui importa liberalità”, in Tr. Dir. Civ., cit. p. 951. V. anche Cass. 17.12.1921, in Foro it. 1922
118
del patto che spinge a questa soluzione. Consapevoli che si tratta
di
proposte
esplorato,
che
si
si
reputa
muovono
che
si
su
un
terreno
tratti
di
una
ancora
linea
scarsamente
di
tendenza
sostenibile. Naturalmente, alla condizione che le parti abbiano un
apprezzabile
interesse
residuo
al
mantenimento
in
vita
del
contratto così modificato.
Il rimando fatto alle norme sulla donazione -non solo quelle ex
art.809 c.c.- importa ex se anche il rinvio all’art.782 c.c.: si è
avuto
modo
di
anticipare
che
la
questione
formale,
la
più
largamente dibattuta, trova soluzione differente a seconda della
qualificazione
data
al
negotium.
Precisamente,
chi217
sostiene
l’opportunità del ricorso alla norma suddetta lo fa in quanto essa
garantirebbe adeguata ed incisiva tutela, in ciò restando isolato
rispetto
alla
dottrina
–prevalente-
che
(così
come
tutta
la
giurisprudenza aderente) fa discendere dalla (donazione mista=)
donazione indiretta la non necessità della forma solenne218.
Ebbene, se il negotium è contrassegnato da una realtà causale che
condivide anche le note della donazione ‘in senso stretto’, non si
vede ragione per escludere l’uso della forma ex art. 782 c.c.219,
dato che l’inapplicabilità di tale requisito si spiegherebbe solo
in
quelle
ipotesi
concretamente
caratterizzate
da
elementi
217 Cataudella, in La forma del negotium mixtum cum donatione, Foro padano, 1972, I: poiché il negozio de quo
realizza anche una funzione donativa, non viene meno la ratio di tutela del donante che ha portato il legislatore a
prescrivere l’uso di una determinata forma; V. anche Deiana, cap. 3, ma che perviene a tale conclusioni partendo
da tutt’altra qualificazione
218 “In tema di atti di liberalità, il nmd costituisce una donazione indiretta … pertanto non è necessaria la forma
dell’atto pubblico richiesta per la donazione diretta, essendo invece sufficiente la forma dello schema negoziale
adottato …” così, ex multis, Cass. 13337/2006, Cass. 642/2000, Cass. 3499/1999; anche Cass. 1955/2007 che, sul
medesimo fondamento, estende la sufficienza della forma prevista per il contratto commutativo anche al
preliminare di donazione indiretta
219 Tanto più se la forma è elemento di struttura e non come mezzo per raggiungere uno scopo, così Irti, in Idola
libertatis, p.79 ss.
119
giustificativi dell’attribuzione che diano sostanza all’operazione
rendendo
riconoscibile
la
funzione
sociale
della
vendita
o
comunque determinante la prevalente onerosità dell’operazione220.
In questo senso va interpretata l’affermazione suggestiva secondo
cui ‘la forma salva il negozio’221: ciò avviene non perché il
requisito formale assuma, nella donazione, ruolo diverso rispetto
a quello che esprime in generale, ma perché, una volta provata la
volontà di donare mediante l’atto pubblico, può essere provata
anche l’esistenza di un interesse sottostante in base al quale si
giustifica il riconoscimento dell’accordo privato222.
Il tutto è più vero, se è vero -come è stato rilevato223- che la
menzione della categoria di negozi indiretti ha spesso avuto lo
scopo
di
dichiararli
sottratti
alla
necessità
della
forma
richiesta per la donazione contrattuale224: la pretesa residualità
220 Ci si sente di interpretare in tal senso anche il ragionamento di D’Ettore, in La donazione-Trattato Bonilini,
Utet,p. 218.
V. Cass. 5265/1999 nota che laddove vi sia prevalenza del profilo di corrispettività, allora non si potrà far rilevare
l’animus donandi , e dunque non sarà necessaria la forma solenne “la disciplina del nmd obbedisce al criterio della
prevalenza nel senso che … si avrà un negozio a titolo oneroso che non abbisogna di forma solenne quando
l’attribuzione patrimoniale venga effettuata in funzione di corrispettivo in adempimento ad una obbligazione
derivante dalla legge che si riveli assorbente rispetto all’animus donandi” (a contrario, si arguisce che ove l’animus
donandi rappresenti una componente negoziale non assorbita in quella corrispettiva, allora è necessaria la forma
ex art.782 c.c.)
221 Sacco, in Il contratto, p.588, richiamato anche da Checchini, in L’interesse a donare, Riv.dir.civ., 1976, p.293
222 L'adozione della forma solenne può inoltre essere utile qualora il contratto dovesse essere riqualificato in sede
giudiziale quale donazione modale (per questo rilievo, v. Martino, in Riv. Not. 2012, 2)
223 La critica è già stata mossa qui, in Cap.3
Ma v. anche D’Ettore, Ibidem, p.214 ss.; l’A. inoltre denota che l’art. 809 c.c. di riferisce anche ad atti liberali
costituiti secondo una struttura ‘debole’ risultando nella struttura legislativa l’assenza di una norma sulla forma
[identificabili solo in assenza di una concorde, dichiarata e condivisa direzione dell’attribuzione nel senso
dell’arricchimento giacché ove tale direzione sia data all’atto la peculiare effettualità
donativa non
legittimerebbe il ricorso all’art.809c.c.], e atti a struttura ‘forte’, quelli ex art.769 c.c., particolarmente
qualificata da un’autonoma considerazione della fattispecie causale, necessariamente combinata con l’elemento
formale (art. 782 c.c. ‘la donazione deve essere fatta per atto pubblico’)
224 “l’art. 809 c.c. il quale stabilisce quali norme della donazioni sono applicabili alle liberalità che risultino da
diversi va interpretato restrittivamente, nel senso che alle liberalità anzidette non si applicano tutte le altre
norme da esso non richiamate” Cass. 12181/1992. Cfr. Cass. 19311/1991; Cass.1214/1997, in Vita not.1997, p.266;
Cass. 7666/1995, in Giur. It., 1996, I; Cass.6411/1988, in Giur.It., 1988, p.1897; Cass. 526/1979, in Giur.it., 1979,
I; Cass.833/1971, in Foro Padano, 1972, I; Cass. 632/1968, in Giust.Civ., 1968, I; Cass.2179/1961, in Giur.It., 1962,
p. 101; Trib. Bari 16.04.2008
120
dell’art.769 c.c. si inquadra in questo tentativo volto a limitare
pure la portata dell’art.782 c.c., facilmente aggirabile, nella
prassi,
mediante
una
serie
di
strumenti
alternativi,
comunque
sostenuti dalla possibile qualificazione dell’attribuzione (ma in
termini di donazione indiretta).
Ulteriore delicata questione viene posta dagli artt. 787 e 788
c.c.,
i
quali
esprimono
la
particolare
rilevanza
che,
nella
donazione, è rivestita dal motivo che ha determinato a compiere la
liberalità.
Un parte della dottrina ritiene senza dubbio estensibili tali
norme alla donazione mista225; altri226 superano eventuali dubbi
interpretativi considerando la necessità di verificare, caso per
caso, l’applicabilità delle norme.
A dire il vero e premesso che al quesito sembra potersi dare
risposta
specie,
affermativa,
in
cui
la
pare
che
liberalità
nelle
ipotesi,
costituisca
la
come
quella
ragione
di
pratica
dell’attribuzione, essa dovrebbe di volta in volta essere colta
per
poter
dare
rilievo
nel
caso
concreto
all’errore
di
cui
all’art.787 c.c. o ai motivi illeciti di cui all’art.788 c.c. che
rendono
nulla
la
donazione.
Si
dovrebbe
pertanto
attribuire
In Cass. 23215/10 si legge “…la forma contrattuale è quella propria del negozio adottato, sia perché il negozio
indiretto costituisce un’espressione dell’autonomia privata sia perché la congruità di tale soluzione trova conferma
con riguardo alle donazioni indirette nel dato normativo contenuto nell’art.809 c.c. il quale nell’individuare quali
norme (cc.dd. materiali) sulle donazioni si applicano agli atti di liberalità diversi dallo schema negoziale tipico di
cui all’art.769 c.c. non richiama l’art.782 c.c. che prescrive la specifica forma solenne dell’atto pubblico. ”.
V. anche Cass. 5333/2004.
E’ stato altresì evidenziato (Cass.23297/09) che l’estensione delle norme sulla forma della donazione, dettate a
tutela del donante (e non dei terzi), a negozi che perseguono l’intento di liberalità con schemi negoziali non
‘puri’, rappresenterebbe un sacrificio troppo radicale dell’autonomia privata
225 Cataudella, in op. cit. p.156 sulla base del fatto che le norme citate prevalgono su quelle disposte per i
contratti a prestazioni corrispettive poiché di natura speciale rispetto a queste ultime; Torrente, in La Donazione,
cit., p.67, ritiene invece estensibili tali norme alle donazioni indirette
226 Carnevali, in Le Donazioni, cit., p. 535
121
esclusivo rilievo, anche in questi casi, alla volontà effettiva
dei
contraenti:
l’art.
787
c.c.
viene
così
ad
assumere
una
funzione ausiliaria rispetto a quella rivestita dalla ‘causa’,
costituendo una sorta di secondo filtro, un’ulteriore garanzia
affinché gli interessi obiettivati dei contraenti coincidano con
la causa dell’accordo.
Nessun dubbio sembra, invece, sorgere circa l’applicabilità degli
artt.777
(che
vieta
le
donazioni
fatte
da
rappresentanti
di
persone incapaci) e 778 c.c.(che dichiara nullo il mandato che
attribuisca
a
terzi
la
facoltà
di
designare
la
persona
del
donatario e l’oggetto della donazione), in ragione della ratio
tutelatrice delle medesime227.
I
medesimi
criteri
consentono
di
affermare
l’estensibilità
di
altre norme che, sia pure in modo meno palese, trovano fondamento
in esigenze di garanzia. Di tal genere sono, per esempio, gli
interessi
tutelati
dall’art.
779
c.c.
che
commina,
a
certe
condizioni, la nullità della donazione fatta a favore del tutore o
protutore del donante, o beneficiante.
Da ultimo, vanno considerate le norme che pongono a carico del
donatario l’obbligo di prestare gli alimenti al donante (art.437438 c.c.) e che assoggettano a revocatoria l’atto con cui il
donante arrechi pregiudizio alle ragioni del proprio creditore
(art.2901
c.c.):
l’applicazione
di
esse
non
presenta
alcun
conflitto con altre, sicché va senz’altro ammessa.
227 La stessa ratio che induce alcuni a ritenere che tali norme vadano estese anche alle liberalità diverse dal
contratto di donazione, v. D’Ettore, in Intento di liberalità ed attribuzione patrimoniale, Cedam, 1996, p.276 ss.:
l’A. nota che esiste un nucleo di norme, rispondente al criterio generale di tutela di cui all’art.809 c.c., che
andrebbe applicato anche alle donazioni indirette (la cui disciplina, quindi, non sarebbe limitata a quella cd.
materiale ex artt.809-737 c.c.). Alla medesima conclusione perviene Alcaro, in Vita not., 2001, 3
122
Il
prefigurato
sperimentare
esercizio-tentativo
non
vuole
–né
potrebbe
che
qui
si
è
ragionevolmente-
inteso
risultare
esaustivo, vista l’ampiezza e la imprevedibilità degli esiti, più
o meno problematici, che la prassi e l’autonomia dei contraenti
potrebbero di volta in volta proporre228. E’ sufficiente, tuttavia,
aver apprestato un metro d’indagine che potrebbe affiancarsi e,
per certi versi, assistere, le riflessioni già vagliate (le quali
spesso si limitano ad enunciare un principio informatore, senza
poi dar seguito all’esame delle eventualità realizzabili).
Pur nella consapevolezza di tale incompiutezza, un cenno meritano
anche
alcune
prescrizioni
tipiche
dei
contratti
a
prestazioni
corrispettive che, insieme alla donazione, creano la commixtio
oggetto d’esame.
Della rescissione si è già detto (v. infra).
Quanto
alla
risoluzione
per
inadempimento
(che
in
materia
donativa è prevista solo per la donazione modale), si tende a
riconoscere l’esperibilità del rimedio anche nella donazione mista
che, come detto, vive di prestazioni corrispettive: in tal caso,
ad esempio, l’acquirente affronta un sacrificio per l’acquisto ed
il suo affidamento nella corretta esecuzione del contratto appare
meritevole
di
maggiore
tutela.
Allo
stesso
modo,
l’interesse
sottostante alla posizione del donante-venditore costituisce il
punto di riferimento per della sua tutela giuridica in caso di
mancato adempimento.
228 “Un compiuto esame dei problemi applicativi prospettati dalle molteplici ipotesi di mistione ipotizzabili ci
porterebbe certo assai lontano” così, Cataudella, in op. cit. p.167
123
Questo riscontro sembrerebbe prima facie svilire la premessa da
cui si è partiti, creando il dubbio che la consistenza data ai cd.
rimedi
sinallagmatici
cancelli
la
rilevanza
della
liberalità.
Tuttavia, tale timore non è fondato: prima di tutto perché restano
sempre
e
secondo
comunque
luogo,
applicabili
poi,
perché
le
non
regole
è
sulla
donazione;
necessariamente
vero
in
che
l’inadempimento sia fenomeno tipico solo dello scambio, anche in
considerazione del fatto che la scelta consapevole, concorde e
complessa
fatta
delle
l’affidamento delle
parti
stesse
in
nella
donazione
un sistema
di
mista,
comporta
rimedi capaci
di
ripercuotersi anche sull’intero negotium, ove d’uopo (si immagini
che l’acquirente -già favorito da un prezzo conveniente- non paghi
neppure quello229). Che la risoluzione possa travolgere l’intero
acquisto risponde, quindi, oltre che ad un’esigenza di giustizia
sostanziale, anche ad un’applicazione della regola di buona fede.
Quanto alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta preme fare
un ragionamento più ampio.
Vero è che si è detto che la causa concreta e sui generis della
donazione mista partecipa alla logica liberale ed a quella di
scambio, tanto che a questi due aspetti ci si è sinora riferiti;
ma è altrettanto vero che si è parlato di
una sintesi dinamica
229 E’ lecito supporre che l’inadempimento dell’acquirente determini nell’alienante un sentimento di sfiducia che
lo distolga anche dal proposito liberale: quindi, ove l’alienante mostrasse il suddetto interesse, è da chiedersi se
quello ‘che resta’ sia sempre il contratto inizialmente voluto. Usando espressioni figurate, tolto lo scambio non
rimane che il profilo liberale, cioè qualcosa di diverso dal primitivo assetto di interessi.
Per l’inadempimento totale dell’alienante, vale quanto già detto: l’inesecuzione coinvolge necessariamente
entrambi gli aspetti, cosicché la risoluzione è totale.
Con ciò si giunge a rispondere negativamente a chi si domandi se l’alienante, di fronte all’inadempimento totale
dell’acquirente, possa limitarsi a domandare una risoluzione pro quota, relativa cioè alla quota di bene il cui
valore corrisponde al prezzo pattuito e non versato, e se possa perciò lasciare all’acquirente la quota
corrispondente al valore eccedente (valore della liberalità)
124
che accorpa (e non scompone) i profili creando un tertium genus
non
identificabile
più
solo
nella
somma
degli
stessi.
Questo
preambolo serve a palesare la fondatezza delle conclusioni qui
suggerite, proprio per mezzo dell’istituto richiamato (art.1463
c.c.): difatti, ove ci si limitasse a vagliare la donazione mista
(rectius, la sua causa) come frutto di una somma di funzioni,
senza pervenire alla concezione di una causa complessa, l’istituto
della
risoluzione
senso,
se
accezione
ci
per
impossibilità
si riferisse alla
‘autentica’
(tant’è
sopravvenuta
non
componente liberale
che,
regolarmente,
avrebbe
nella
non
sua
potrebbe
verificarsi in capo al donatario -puro e semplice- la condizione
di
impossibilità
alcuna
sopravvenuta,
prestazione).
Al
dato
contrario,
che egli
ove
si
non
è tenuto ad
addivenga
all’esame
della complessivo assetto di interessi -perseguito dalle parti
stesse come un unicum-, ed insieme si esamini la ratio dell’art.
1463
c.c.,
allora
dell’istituto:
di
modo
si
che,
individua
nella
agevolmente
donazione
l’utilità
mista,
ove
il
donatario-acquirente è obbligato ad una prestazione, essa potrebbe
nel tempo rivelarsi impossibile da realizzare (allo stesso modo,
la
prestazione
impossibile,
del
tanto
da
donante-venditore
giustificare
il
potrebbe
rifiuto,
dell’acquirente di provvedere alla controprestazione)
Ciò
posto,
per
ragioni
simili,
non
si
divenire
vede
da
230
parte
.
motivo
per
non
includere tra quelli adottabili anche l’istituto della reductio ad
230 Cataudella evidenzia, molto acutamente, che tale conclusione viene supportata dal fatto che l’ipotesi di
impossibilità sopravvenuta è menzionata in casi di donazione modale: “ciò comporta la rilevanza degli eventi
sopravvenuti che alterino il rapporto ” ; in op. cit. p.163. Tuttavia, più che per la prevalenza esercitata
dall’art.1463 c.c. sulle norme poste per la donazione (ibidem, p.164), ci si sente di notare che sia piuttosto la vera
e propria ratio dell’istituto –affiancata dall’impostazione data al negotium- a giustificare la scelta fatta
125
aequitatem, in virtù del fatto che, applicabile di per sè ai
contratti a
contratti
prestazioni corrispettive,
con
dell’art.1468
obbligazioni
c.c.
(dunque
di
lo
una
rappresenta
è
sola
un
anche
in caso
parte
valido
in
di
virtù
richiamo
per
entrambe le declinazioni della donazione mista). Si pensi al caso
di eccezionale deprezzamento del bene (che sia di tale entità da
incidere sostanzialmente sull’equilibrio economico del patto ed in
misura tale da svilire il senso della liberalità): allora, la
riduzione ad equità dovrebbe avvenire in modo proporzionale, così
da salvare l’originario rapporto scambio-liberalità231.
Più
limitatamente,
per
quanto
attiene
all’ipotesi
usuale
di
vendita mista a donazione, è d’interesse la disciplina in materia
di evizione e vizi della bene venduto.
Innanzitutto, ancora una volta, è necessario aver riguardo alla
pattuizione contrattuale che determina il prezzo, tant’ è che ad
essa occorre guardare per comprendere l’entità del vizio rispetto
al
valore
pattiziamente
attribuito
al
bene
(e
non
a
quello
oggettivo).
In secondo luogo, la norma di rinvio in questo caso è l’art. 797
n.3
c.c.
che
adeguandola
consente
di
all’equilibrio
graduare
la
contrattuale.
tutela
Essa
dell’acquirente
prevede
che
il
donante sia tenuto alla garanzia per evizione, senza necessità di
apposita
pattuizione,
concorrenza
con
in
l’ammontare
determinate
degli
oneri
ipotesi,
o
fino
alla
dell’entità
delle
prestazioni ricevute: anche qui, come nella donazione mista, la
231 Dove per scambio si può intendere reciproco trasferimento in funzione di un unico disegno causale, nella
concezione di Biscontini, in Bilateralità, Onerosità, cit.
126
posizione del garantito è qualificata dal fatto di affrontare o
aver affrontato un sacrificio. Più genericamente, l’acquirente ‘ha
fatto qualcosa’ per meritarsi la liberalità.
Orbene, il fatto che l’acquirente abbia affrontato un sacrificio,
seppur
irrisorio
rispetto
al
valore
della
donatio,
sposta
necessariamente la bilancia degli affidamenti e della ripartizione
dei rischi. Pertanto, il donatario in questi casi ha diritto ad
una garanzia che, altrimenti, sarebbe di norma estranea al regime
attenuato di responsabilità che grava sul donante.
Il punto, ora, è se tale tutela sia graduata e si estenda ‘fino
alla concorrenza dell’ammontare degli oneri o dell’entità delle
prestazioni
ricevute
dal
donante’
o
sia,
quella
più
ampia
e
totalizzante, prevista nella compravendita.
Nonostante sia accreditata la prima risposta232, si reputa più
coerente
il
altrimenti,
risultato233
il
cui
si
giunge
constatando
che,
venditore-donante
sarebbe
avvantaggiato
dalla
pattuizione proprio nel senso di evitare il vincolo più rigoroso.
Del resto, non è azzardato comparare l’ipotesi di donazione mista,
in cui si ravvisa anche lo schema della compravendita, all’ipotesi
di cui al n.1 dell’art.797 che dichiara tenuto il donatario alla
garanzia senza limitazioni nei casi in cui abbia ‘espressamente
promesso la garanzia’234.
Senza
considerare,
legittimare
poi,
l’isolamento
che
del
l’opposta
conclusione
contenuto
rispetto alla natura del patto.
232 In questo senso, ad es., si esprime Caredda, in op. cit.
233 Cataudella, in op. cit., p. 174
234 Di tale accostamento va dato il merito a Cataudella, ibidem
127
economico
sembrerebbe
dell’atto
E’
interessante,
‘promessa’
di
infine,
donazione
soffermarsi
mista.
E’
sull’eventualità
noto
che
la
di
una
donazione
non
sopporterebbe un preliminare obbligo di adempiere, tenuto conto
della necessaria spontaneità dell’attribuzione e della perfezione
dell’impegno assunto secondo lo schema ex art.782 c.c..
Nonostante
ciò,
non
sarebbe
altrettanto
arduo
ammettere
la
configurabilità di una promessa avente ad oggetto una donazione
mista, secondo l’inquadramento che ne è stato fatto. Il negotium
mixtum
sarebbe
esempio,
del
costituito
contratto
dalla
stessa
preliminare
promessa
con
il
oggetto,
quale
ad
si
è
consapevolmente perseguita una sproporzione tra le prestazioni.
Risultando, peraltro, l’effettivo intento negoziale diretto alla
conclusione
della
donazione
mista,
l’atto
dovrà,
in
forza
di
quanto detto, essere rivestito della forma solenne prevista.
Posta
l’ammissibilità235
di
un
contratto
preliminare
avente
ad
oggetto un negotium mixtum, l’eventuale trasferimento del bene
potrebbe
realizzarsi
mediante
la
definitivo
mediante
cui
contratto
successiva
si
conclusione
realizza
del
l’intento
di
liberali.
Non
resta
logica:
se
che
aggiungere
che
la
liberalità
è
la
soluzione
spesso
risponde
una
categoria
transnegoziale
a
che
informa di sè anche atti diversi, accomunati dall’essere diretti
pure alla realizzazione di un interesse liberale, la sua presenza
deve tradursi in un nucleo di disciplina ispirata proprio agli
aspetti che la unificano. Tale riflesso, se si sviluppa negli atti
235 Condivisa da D’Ettore, in La Donazione, cit. p.42
128
diversi da quelli ex art.769 c.c., a fortiori si avvertirà in caso
di donazione mista, ove si aderisca alla lettura, qui offerta, di
contratto
con
causa
rivelatrice
di
un
rapporto
a
prestazioni
corrispettive e donazione ‘pura’.
Considerato
medaglia,
che
tale
bisogna
accordo
notare
presenta
che
la
più
facce
disciplina
di
risente
un’unica
di
tale
complessità: la natura multiforme dell’atto in questione richiede,
quindi, la sua integrale valutazione. La necessità di provvedere
ad una simile valutazione dell’atto impone la considerazione di
vari profili di rilevanza, anche ai fini dell’individuazione delle
norme applicabili. Le aree di conflitto tra questi complessi di
norme
sembrano
assai
meno
frequenti
di
quello
che
si
può
immaginare, benché non se ne possa sottovalutare l’importanza. Ma
quando più norme si trovano a regolare in modo difforme i medesimi
aspetti, non sempre esse entrano in rotta di collisione.
Ne
riesce
dimostrata,
dell’applicazione
ancora
una
con-corrente:
volta,
tale
la
possibilità
considerazione
non
è
impossibile se si ricorda che lo studio è ricaduto su accordi in
cui
la
compenetrazione
l’isolamento
di
uno
dei
dei
profili
due
non
fattibile.
129
è
decisa
pare
e
sempre
dove,
quindi,
un’operazione