Attualità - Dental Tribune
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14 Attualità Dental Tribune Italian Edition - Gennaio 2017 «L’azienda ha un ruolo fondamentale quando si producono abutment in ceramica» I restauri su impianti non sono tutti uguali. Questo è confermato da un nuovo studio eseguito dal maggiore esperto di materiali, il prof. J. Robert Kelly (in foto). Il suo studio conferma la ricerca condotta da Nobel Biocare sulla resistenza degli abutment in zirconia NobelProcera. In questo articolo, analizziamo la sua ricerca, pubblicata di recente sull’International Journal of Oral and Maxillofacial Implants. Michael Stuart – La sua ultima ricerca ha testato la resistenza degli abutment in zirconia di quattro principali produttori. Che cosa l’ha portata a questo approccio? Prof. J. Robert Kelly – Volevamo studiare i prodotti in sé, non per fare un confronto commerciale. Il nostro obiettivo era individuare eventuali problemi di lavorazione e di progettazione, quindi aveva senso vedere cosa succede con i prodotti disponibili sul mercato. Abbiamo scelto gli impianti Straumann Bone Level (BL) come riferimento, e lo studio ha ricevuto la sovvenzione della ITI Foundation. La nostra ricerca su abutment di diversi produttori da confrontare con gli impianti BL ci ha portati a individuare gli abutment NobelProcera e Glidewell – per gli impianti BL, queste due aziende producono solo abutment in zirconia ibridi che hanno un inserto in titanio che si interfaccia con l’impianto – e gli abutment disponibili di Astra e Straumann che sono completamente in zirconia. Quale è stata la vostra metodologia per la valutazione di questi prodotti? Per impostare il metodo, abbiamo preso sei abutment da ciascuno dei quattro gruppi e li abbiamo testati con carichi ripetuti di 200 Newton. Abbiamo optato per 200 Newton per ottenere un’usura accelerata, sulla base di un nostro lavoro precedente. Non volevamo rompere gli impianti e quindi abbiamo iniziato con un carico adeguato. I risultati ci hanno poi permesso di impostare la fase due, determinando i carichi che avremmo usato per testare gli altri 12 impianti. Nel momento in cui abbiamo avuto i dati della fase uno, siamo rimasti esterrefatti. Vi erano chiaramente differenze significative tra i produttori in ciascuna categoria. Questo è stato successivamente confermato anche dal test sull’intero campione. In questo studio, NobelProcera si è comportato in modo eccellente: è corretto? Sì, assolutamente. Mentre con alcuni degli altri abutment abbiamo dovuto ridurre il carico, con NobelProcera siamo andati oltre (nessuna frattura a 25 milioni di cicli), così abbiamo potuto aumentare sempre più il carico. Come spiega la debolezza degli altri abutment? Non ci aspettavamo queste notevoli differenze, dato che i macrodesign dei diversi produttori sono simili. Per aiutarci a determinare il motivo di questi risultati così differenti, ho chiesto alla dott.ssa Isabelle Denry di eseguire le ana- lisi al SEM. Esaminando uno degli abutment dalle prestazioni peggiori, ha identiicato che la debolezza era insita nel danno provocato dal processo di lavorazione del produttore – un danno derivante dal fresaggio della supericie, numerose fratture interne, cristalli di zirconia disomogenei e un diffuso strato di porosità. Abbiamo chiaramente capito che il produttore ha un ruolo fondamentale. Vi sono molti studi che riportano danni causati da abutment di altre aziende utilizzati con un sistema non studiato per loro. Dato che il produttore è importante, consiglia di utilizzare solo componenti originali? In generale, sconsiglio di utilizzare componenti economiche non originali. Il rischio è troppo alto. In base a quello che abbiamo visto negli anni, la qualità dei materiali è inferiore e il risultato ha un valore così elevato – il paziente ha aspettative superiori a quelle del clinico – e, quindi, perché rischiare per risparmiare 100 dollari? In base ai risultati del vostro studio relativi agli abutment di altre aziende per gli impianti Straumann Bone Level, qual è la sua opinione su NobelProcera? Nobel Biocare è un produttore di elevata qua- lità. L’azienda produce componenti che sono studiati, testati e poi veriicati per il sistema implantare BL. Intervista a cura di Michael Stua rt Scopri te di più! Visi tate nob e lbiocare. com/ news per consultare la rivista completa. Il prof. J. Robert Kelly e i suoi colleghi hanno studiato la resistenza degli abutment in ceramica CAD/CAM in funzione del design e della lavorazione della ceramica. I loro importanti risultati sulle prestazioni convalidano l’approccio di Nobel Biocare che consiste nel produrre abutment in zirconia con una base in titanio per gli impianti bone-level. L’uso di antibiotici nel trattamento della parodontite potrebbe essere ridotto, secondo i ricercatori Monaco, Germania – La crescente resistenza antimicrobica costituisce un serio problema per i medici e per gli ospedali. Può essere attribuita, tra l’altro, al crescente uso di antibiotici per il trattamento di diverse malattie per le quali spesso non si prende in considerazione un trattamento alternativo. In odontoiatria, gli antibiotici sono spesso utilizzati per combattere la parodontite. Molti studi hanno dimostrato l’eficacia degli antibiotici nel trattamento della parodontite grave, ma una nuova ricerca condotta da studiosi tedeschi suggerisce che, nei casi di malattia parodontale moderata, i dentisti il più delle volte po- trebbero rinunciare agli antibiotici. In un recente studio, ricercatori provenienti da otto ospedali universitari tedeschi hanno esaminato il progresso della malattia parodontale e la conseguente perdita di massa ossea in 406 pazienti con parodontite da moderata a grave nel corso di 27,5 mesi. I partecipanti allo studio sono stati trattati con debridement meccanico, metà di loro ha ricevuto in associazione una terapia antibiotica e l’altra metà un placebo. I pazienti sono stati riesaminati e hanno ricevuto una terapia di mantenimento ogni tre mesi. L’obiettivo dei ricercatori era studiare l’effetto degli antibiotici nella progressione della malattia e l’ulteriore perdita d’attacco dei denti. Si è scoperto che sia il trattamento con antibiotici sia quello senza antibiotici è risultato efiInsieme ai ricercatori di altri sette ospedali universitari tedecace nel preveschi, il prof. Benjamin Ehmke del Münster University Hospital nire l’avanzata ha condotto uno studio sugli effetti degli antibiotici rispetto della malattia; alla progressione della malattia parodontale (Foto: Münster anche se i paUniversity Hospital). zienti che han- no assunto gli antibiotici hanno mostrato risultati leggermente migliori rispetto a quelli che hanno ricevuto un placebo. La malattia parodontale è progredita nel 5,2% dei pazienti nel gruppo che ha assunto antibiotici e nel 7,6% dei pazienti nel gruppo che ha assunto il placebo. La percentuale di siti che ha mostrato un’ulteriore perdita di attacco è stata pari al 5,3% nel gruppo con antibiotici e del 7,8% nel gruppo placebo. In una più recente sub-analisi dello studio, i ricercatori hanno inoltre osservato l’effetto degli antibiotici su possibili forcazioni. Le forcazioni sono una forma di perdita ossea che avviene di frequente in pazienti affetti da parodontite. Con denti poliradicolati colpiti da parodontite, il tessuto parodontale è distrutto, non solo verticalmente ma anche orizzontalmente tra le radici, generando possibili biforcazioni. In linea con i precedenti risultati dello studio, la sub-analisi ha rilevato che, mentre alcuni parametri nei siti con forcazioni (sanguinamento al sondaggio, riduzione della profondità della tasca parodontale e perdita di attacco) hanno mostrato miglioramenti leggermente più signiicativi nel gruppo con antibiotici rispetto al gruppo placebo, non vi erano invece differenze nel tipo di classiicazione delle forcazioni nei due gruppi. Pertanto, i ricercatori hanno concluso che, anche se il risultato complessivo è stato leggermente migliore nei pazienti che hanno ricevuto antibiotici, non sembra esserci alcun beneicio clinicamente rilevante a lungo termine del trattamento antibiotico in pazienti affetti da parodontite. «Nei partecipanti al nostro studio, la terapia antibiotica aggiuntiva offriva solo un limitato vantaggio per quanto riguarda la progressione della malattia», ha dichiarato a Dental Tribune Online l’autore dello studio, il prof. Benjamin Ehmke, capo del dipartimento di Parodontologia e Odontoiatria conservativa al Münster University Hospital. Tuttavia, ha sottolineato Ehmke, alcuni parametri della malattia parodontale, quali in particolare la profondità della tasca parodontale, hanno mostrato un miglioramento maggiore nel gruppo con antibiotico. «A seconda di come un dentista valuta questi parametri, il professionista può giungere alla decisione di utilizzare molto meno antibiotici». Secondo Ehmke, questo vale soprattutto per i pazienti che hanno una forma moderata di parodontite. «Misure di igiene orale e di prevenzione possono inluenzare in modo notevole la gravità dell’iniammazione», ha affermato Ehmke. «Per i pazienti di mezza età con una progressione della malattia “normale”, il trattamento senza antibiotici nella maggior parte dei casi è suficiente». Il prof. Ehmke e il suo team di ricerca raccomandano una terapia parodontale individualizzata, tenendo conto dell’età e del rischio complessivo di parodontite. «I pazienti affetti da forme gravi e aggressive di parodontite sono un’eccezione. Per loro, gli antibiotici rimangono il trattamento di scelta», ha detto Ehmke. La sub-analisi, intitolata “Is furcation involvement affected by adjunctive systemic amoxicillin plus metronidazole? A clinical trials exploratory subanalysis”, è stata pubblicata nel numero di ottobre 2016 del Journal of Clinical Periodontology. Lo studio originale, dal titolo “Is progression of periodontitis relevantly inluenced by systemic antibiotics? A clinical randomized trial”, è stato pubblicato nel numero di settembre 2015 della stessa rivista. Dental Tribune International Attualità 15 Dental Tribune Italian Edition - Gennaio 2017 Piani di trattamento complessi: ortodontista e protesista a confronto A Eliana Di Gioia, ortodontista, e Carlo Poggio, protesista, recentemente eletto presidente AIOP, Dental Tribune ha posto una serie di domande per approfondire le modalità e implicazioni di un confronto interdisciplinare ricco di contenuti. Confronto che ha preso le mosse da una sessione scientiico-congressuale svoltasi di recente dal titolo “SIDO incontra AIOP”. Per l’ortodontista e per il protesista i casi clinici complessi costituiscono una sida importante? Eliana Di Gioia – Certamente. Prevedono diverse fasi di lavoro, svolte da più operatori coinvolti in base alle diverse competenze professionali. La stessa multidisciplinarietà può essere fonte di criticità da valutare nella conduzione del caso clinico. È pertanto cruciale che gli operatori dialoghino tra loro sin dalla fase diagnostica ed integrino le competenze per raggiungere obiettivi fondamentali quali: • individuazione del leader clinico nella gestione di ciascun caso (scelto in base alle caratteristiche cliniche); • deinizione dei protocolli diagnostici e terapeutici chiari, condivisi dagli operatori e con il paziente; • eliminazione della criticità di comunicazione nel trasferimento informazioni tra gli operatori; • monitoraggio del caso con periodici clin check in corso d’opera. La chiave del successo passa anche attraverso l’eficacia del setting organizzativo del team e l’integrazione dei diversi punti di vista (ortodontico, protesico, chirurgico, parodontale) degli operatori coinvolti nella gestione del caso. Il dialogo, l’interazione e il confronto tra gli specialisti dei diversi settori diventano pertanto armi necessarie per affrontarla con maggior serenità ed eficacia. Ma perché accada, è fondamentale sedersi accanto, protesisti e ortodontisti insieme, nelle stesse aule e ascoltare le stesse relazioni. Nella sessione scientiica “SIDO incontra AIOP” quali erano i principali obiettivi dell’apprendimento? Eliana Di Gioia – È stata una bellissima opportunità per creare occasione di dialogo e di confronto tra ortodontisti e protesisti: i presidenti SIDO ed AIOP hanno creduto nell’importanza di questo progetto e lo hanno sostenuto. Ho chiesto a Carlo Poggio di focalizzare l’attenzione su ortodonzia e protesi: cos’è, in questo caso, realmente importante e qual è la best practice nel lavoro di squadra. I relatori della giornata hanno pertanto affrontato la pianiicazione interdisciplinare dei trattamenti complessi nella gestione dei casi con ortodonzia e implantologia; la tematica dei supporti ortodontici per una protesi minimamente invasiva; la spinosa questione di quando, invece, non fare ortodonzia nei casi multidisciplinari. Malgrado la comune base odontoiatrica, ortodontista e protesista sembrano appartenere a due specialità diverse, tanto dissimili sono le loro “mission”. Quale leader della sessione “SIDO incontra AIOP”, Carlo Poggio chiarisce cosa sia a suo giudizio, particolarmente importante conoscere per l’ortodontista e il protesista. Carlo Poggio – Nella programmazione di un caso complesso, la collaborazione tra ortodontista, protesista e odontotecnico svolge un ruolo di primaria importanza nella deinizione degli obiettivi raggiungibili nell’ambito delle singole discipline e nella formulazione del piano di trattamento globale del caso. L’approccio interdisciplinare, realizzato con l’integrazione tra diverse terapie, consente di effettuarle con ottima prognosi se basate su un preciso protocollo operativo condiviso tra gli operatori e con il paziente. In estrema sintesi in un trattamento interdisciplinare è fondamentale che ogni step della terapia abbia una precisa inalità rilevante al raggiungimento degli obiettivi inali speciici del singolo paziente. Trattamenti interdisciplinari miranti al puro raggiungimento di obiettivi ideali teorici non individualmente speciici rischiano spesso di produrre overtreatment e risultati inali non soddisfacenti. Alla luce dei nuovi sistemi di imaging 3D quali esami sono al momento indispensabili alla programmazione di un trattamento interdisciplinare? Carlo Poggio – L’evoluzione della diagnostica 3D (RX, sistemi di scansione morfologica ecc.) sicuramente promette di fornire ai clinici strumenti eccezionali di analisi. Tuttavia al momento tendiamo ancora a ragionare sulla base di strumenti consolidati, probabilmente per prassi e per limitazioni alla diffusione dei sistemi più innovativi legati alla complessità e ai costi. C’è da lavorare ancora molto e le società scientiiche su questo avranno negli anni un ruolo certamente importante. Cosa si intende quando si parla di “setting organizzativo del team”? Carlo Poggio – Signiica puntare ad avere una conduzione coordinata e attenta delle varie fasi del lavoro clinico: la sinergia di competenze, capacità cliniche e potenzialità di tutte le differenti specializzazioni, la buona conoscenza di cosa sia realmente importante nell’insieme e delle interazioni possibili tra le varie discipline, dovrebbero essere obbligatorie per ogni clinico per incorporare nel lavoro di tutti i giorni piani di trattamento realmente interdisciplinari e lavorare eficacemente in team interdisciplinari. Dental Tribune Italia Il dentista e gli emocomponenti per uso non trasfusionale Le osservazioni del clinico (Mozzati) e dell’avvocato (Fiorentino) Il Decreto del Ministero della Salute del 2 novembre 2015 “Disposizioni relative ai requisiti di qualità e sicurezza di sangue e degli emocomponenti” dice che «per le attività che riguardano gli emocomponenti per uso non trasfusionale […] la richiesta deve essere effettuata da un medico o, solo per le attività cliniche di competenza, da un odontoiatra». Ribadisce la presidente FNOMCeO Chersevani: «Il sanitario iscritto al solo Albo degli odontoiatri può svolgere tale prestazione solo per le attività cliniche di competenza della professione odontoiatrica». «Il problema non va visto soltanto in relazione all’uso degli emocomponenti in odontoiatria, ma in relazione a tutte le competenze che deve avere l’odontoiatra verso il paziente», commenta Marco Mozzati, past president ANTHEC (Academy of non Trasfusional Hemo Components) e autore del volume I concentrati piastrinici. Preparazione e utilizzo clinico. «L’odontoiatra – continua – può crearsi un accesso venoso sia per inoculare farmaci che per prelevare sangue, a patto che la inalità sia correlata alle terapie del cavo orale. Per cui, se l’intento è quello di ottenere un’analgesia con riduzione di ansia durante il trattamento clinico, gli è concesso. Le tecniche di ansiolisi farmacologica stanno diventando molto diffuse e anche supportate da corsi altamente professionalizzanti e master post-universitari. Per quanto riguarda il prelievo venoso per la preparazione di emocomponenti a uso non trasfusionale – sottolinea sempre Mozzati – la problematica del prelievo era già stata affrontata e risolta nella Delibera regionale piemontese del 2010, in cui si speciicava che la delega alla preparazione e all’utilizzo poteva essere assegnata anche all’odontoiatra a patto che si attenesse a utilizzi associati a patologie del cavo orale». «Anche se le competenze dell’odontoiatra sono state estese ai tessuti periorali per l’emocomponente – osserva inine Mozzati – per ora non si prevedono estensioni all’utilizzo in medicina estetica, pratica attualmente non delegabile. Per cui, direi niente di nuovo, ma solo un’ulteriore speciica sull’appropriatezza dell’utilizzo in base alla laurea ottenuta». Stefano Fiorentino, legale dell’ANTHEC, ricorda invece che «nell’articolo pubblicato sul web il 5 febbraio 2016 dal titolo “Decreto con nuove norme sugli emocomponenti ad uso non trasfusionale: diamogli un voto”, avevamo promosso a pieni voti le nuove norme ministeriali nella parte che di fatto chiariva l’ambito soggettivo degli “autorizzabili”». Fiorentino riporta quanto era stato scritto: «Viene per la prima volta citato, come possibile titolare dell’autorizzazione alla terapia, l’odontoiatra, oltre che il medico. Questo dovrebbe deinitivamente sgomberare le incertezze in merito al fatto che possa fare o meno il prelievo di sangue per l’ottenimento dell’emocomponente: voto 10, almeno su questo aspetto un po’ di chiarezza». La presa di posizione della FNOMCeO è assolutamente fondata sulle norme vigenti citate, anche perché non è pensabile che il Decreto 2.11.2015 autorizzi l’odontoiatra alla manipolazione del sangue per l’ottenimento degli emocomponenti autologhi per uso non trasfusionale, ne consenta l’applicazione terapeutica sui pazienti (previa Marco Mozzati e Stefano Fiorentino. speciica convenzione autorizzatoria) e non lo abiliti al prelievo venoso inalizzato alla cura. «Per usare un paragone neanche tanto assurdo – osserva Fiorentino – è come se ci dessero la patente per guidare l’automobile, ma non fossimo autorizzati ad accendere il motore…» Il principio di diritto ricavabile da quanto sopra esposto, in linea con analoghe posizioni del Consiglio Superiore di Sanità e quello di Stato (chiamati a pronunciarsi sulla legittimità dei prelievi venosi dei biologi) è che il prelievo venoso, anche al di fuori del distretto corporeo di competenza, (quello dell’odontoiatra è limitato all’oro-buccale) è legittimo se inalizzato a una terapia da effettuarsi nel distretto di competenza: principio assolutamente in linea con quanto previsto dall’art. 32 della Costituzione. Già prima del D.M. del 2.11.2015 lo scrivente sia autonomamente, sia in ambito ANTHEC, ha sempre sostenuto questa tesi che trovava una concreta attuazione nelle attività di formazione speciica effettuate dal 2010 dalla Dental School di Torino, ai ini del rilascio delle convenzioni nella Regione Piemonte. E se l’odontoiatra non fosse materialmente in grado di fare il prelievo? «No problem – commenta Fiorentino –. Il nuovo decreto (Allegato X, punto E.2) prevede un obbligo formativo speciico dei servizi trasfusionali, obbligo “prodromico” inalizzato al rilascio delle convenzioni autorizzatorie. E con questo il cerchio deinitivamente si chiude». Dental Tribune Italia