Dispensa del Lamma

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Dispensa del Lamma
Collana
RICERCA TRASFERIMENTO INNOVAZIONE
4
APPUNTI DI
METEOROLOGIA MARINA
RICERCA TRASFERIMENTO INNOVAZIONE
Collana del Settore delle politiche regionali
dell’innovazione e della ricerca
Dirigente responsabile: Simone Sorbi
Regione Toscana Giunta regionale
Direzione generale dello sviluppo economico
Curatore della collana: Marcello Aitiani
4
APPUNTI DI METEOROLOGIA MARINA
realizzato da
CoMMA-Med: Gabriele Brugnoni, Bartolomeo Doronzo, Giulia De Sario, Simone Petralli,
Andrea Scartazza, Stefano Taddei
IBIMET-CNR: Bernardo Gozzini, Laura Pellegrino, Francesco Primo Vaccari
collaborazione alla stesura:
IBIMET-CNR: Piero Battista, Giovanna De Chiara, Francesco Sabatini, Alessandro Zaldei
LaMMA: Maria Pia Di Bona, Laura Filippi, Carlo Brandini, Graziano Giuliani, Andrea Orlandi,
Alberto Ortolani, Francesco Pasi, Massimiliano Pasqui
Ringraziamenti:
Unione Europea, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Provincia di Livorno
Istituto Tecnico Nautico “A. Cappellini” di Livorno
In copertina: immagine dalla Terrazza Mascagni, Livorno (foto: S. Taddei)
Catalogazione nella pubblicazione (CIP) a cura
della Biblioteca della Giunta regionale toscana:
Appunti di meteorologia marina. – (Ricerca Trasferimento Innovazione)
I. Toscana. Direzione generale dello sviluppo economico II. Comma-Med
III. Cnr. Ibimet IV. Lamma 1. Previsioni meteorologiche – Temi particolari : Mari
551.65162
Edizioni Regione Toscana
Realizzazione redazionale, grafica e stampa
P.O produzioni editoriali, grafiche
e multimediali del Centro stampa
Via di Novoli 73a 50127 FirenZe
Tiratura copie 2000
Distribuzione gratuita
Febbraio 2006
INDICE
7
Presentazione
Ambrogio Brenna
9
Prefazione
Simone Sorbi
11
Introduzione
Giampiero Maracchi
17
I. IL TEMPO METEOROLOGICO
L’atmosfera terrestre
La radiazione solare
La temperatura dell’aria
La pressione atmosferica
I venti
L’umidità atmosferica
Nebbie e nubi
Le precipitazioni
Il rilevamento dei parametri
meteorologici
Modellistica previsionale
91
II. ELEMENTI DI OCEANOGRAFIA
Origine, composizione e
caratteristiche chimico-fisiche
delle acque marine
Le correnti marine
Fenomenologia del moto ondoso
Teoria lineare delle onde
Storm surges
Le maree
Il rilevamento in mare dei parametri
meteorologici ed oceanografici
145 III. I MODELLI PREVISIONALI
DI MOTO ONDOSO
Equazioni delle onde
Equazione di bilancio dello spettro
direzionale d’azione
Modelli
161 IV. PERTURBAZIONI ED EVENTI
METEO-MARINI ESTREMI
Cicloni tropicali
Cicloni extratropicali
Burrasche e tempeste
Temporali di mare
Tornado e trombe marine
Tsunami
179 V. IL SISTEMA ATMOSFERA-MARE
ED I CAMBIAMENTI GLOBALI
I fattori responsabili dei
cambiamenti climatici ed
il ruolo del mare
Incremento della radiazione UV-B
Incremento della temperatura media
superficiale terrestre
L’effetto serra e il mare
Analisi delle variazioni climatiche in
atto nel Mediterraneo
Scenari futuri
209 APPENDICE
Glossario
Acronimi
Riferimenti bibliografici
Presentazione
Ambrogio Brenna
Assessore all’artigianato, industria, PMI
internazionalizzazione del sistema produttivo,
innovazione, cooperazione
Le varie attività produttive e, più in generale, le azioni poste in essere dall’uomo
nel territorio per le sue esigenze vitali si ripercuotono inevitabilmente sugli aspetti
climatici; e questi, a loro volta, generano situazioni che condizionano in modo
rilevante il fare sociale. Esigenze e intraprese economico-produttive, modelli
culturali, ambiente e clima si intrecciano dunque inscindibilmente nel quadro
dinamico della biosfera.
Consapevole di ciò la Regione Toscana porta avanti una linea responsabile
di sviluppo, che si realizza attraverso l’assunzione degli obiettivi del vertice di
Lisbona (società della conoscenza, coesione sociale e pari opportunità, sviluppo
innovativo e buoni posti di lavoro) e presuppone il criterio direttivo, posto dal
vertice di Goteborg, di uno sviluppo sostenibile; di un’espansione, dunque, anche
qualitativa che costituisca una risposta matura ai molti appelli che, sulla scorta
di dati e proiezioni attinenti lo stato del nostro pianeta, le sue risorse e la loro
distribuzione, rendono ormai evidenti agli occhi della collettività i problemi
ambientali e le loro molteplici ripercussioni.
In quest’ottica risulta particolarmente evidente la grande importanza del mare
per la Toscana, sia in relazione alla meteorologia e al clima, che per le attività
economiche e produttive connesse alla pesca, alle comunicazioni, ai trasporti, alla
nautica e al turismo.
È dunque necessario studiare sempre più profondamente i fenomeni di
meteorologia marina e gli aspetti ad essi connessi, sviluppando anche strumenti
di divulgazione. Il rapporto di collaborazione con il Consiglio Nazionale delle
Ricerche, ormai avviato dal 1996, si colloca in questa direzione. Con l’Istituto
di Biometeorologia del CNR e con la Provincia di Livorno, la Regione Toscana ha
posto in essere il CoMMA-Med, Centro di Meteorologia Marina e Monitoraggio
Ambientale del Mediterraneo. Dall’attività del Centro trae origine questa
pubblicazione, utile strumento di informazione e di formazione per quanti, a vario
titolo, esplicano la propria attività sul mare o in rapporto ad esso; come anche
per quanti, consapevoli della rilevanza dei temi affrontati e delle loro molteplici
ripercussioni in vasti settori, sentono la necessità e la responsabilità di aumentare
le proprie conoscenze su aspetti diventati ormai di primaria importanza.
Prefazione
Simone Sorbi
Responsabile Settore politiche regionali
dell’innovazione e della ricerca
Direzione generale sviluppo economico
Regione Toscana
Emerge con sempre maggiore chiarezza l’esistenza di una strettissima
interrelazione tra i diversi fenomeni, soprattutto nelle realtà di tipo complesso.
Siamo pertanto sempre più consapevoli dell’importanza dello studio degli
ecosistemi, anche per porre in essere azioni di salvaguardia ambientale. Infatti il
rispetto della natura, dei suoi equilibri e delle sue risorse, è alla base di uno sviluppo
reale, che non si curi soltanto degli elementi quantitativi ma che si rifletta invece
sulla qualità della vita degli uomini in tutti i suoi aspetti. La Regione Toscana ha
attivato fin dal 1996 la costituzione di un proprio Laboratorio per la Meteorologia
e la Modellistica Ambientale (LaMMA), individuando dal 2002 il soggetto attuatore
del progetto nell’Istituto di Biometeorologia – IBIMET del C.N.R. Il Laboratorio,
creato a supporto delle attività dell’Amministrazione regionale e delle Agenzie
da essa derivate, offre pertanto servizi rivolti al miglioramento e al controllo del
nostro territorio, anche in funzione delle attività di sviluppo economico.
Sempre in collaborazione con il C.N.R. – IBIMET, la Regione ha inoltre attivato
il Centro LaMMA CoMMA-Med – Centro di Meteorologia Marina e Monitoraggio
Ambientale del Mediterraneo di Livorno, per lo studio dei fenomeni meteorologici e
climatici e in vista della salvaguardia e dello sviluppo del territorio, particolarmente
in connessione al mare e alle sue condizioni.
E’ in tale ottica che sono state tra l’altro avviate azioni di mantenimento e
d’incremento delle strumentazioni, in modo da assicurare al Centro un flusso di
dati costanti. Altre attività hanno inoltre riguardato lo sviluppo di un sistema di
previsione dello stato del mare e delle condizioni meteorologiche e marine ad
alto dettaglio spaziale; l’analisi dei dati sul moto ondoso al fine di creare uno
specifico dataset; il consolidamento delle procedure di validazione dei modelli
meteomarini.
Il programma è stato inoltre incentrato su attività connesse al controllo e al
monitoraggio ambientale degli ecosistemi del Mediterraneo, in termini di traffico
marino, inquinamento, cambiamenti climatici, attraverso l’uso di tecnologie e
strumenti innovativi.
Fra i compiti del Centro è infine da rilevare quello inerente il compimento di
attività editoriali, con lo scopo di informare sulle iniziative che vengono portate
avanti e, più in generale, con l’obiettivo di ampliare la conoscenza di tali temi.
Questi Appunti di meteorologia marina, pubblicati nella nostra Collana “Ricerca
Trasferimento Innovazione”, si pongono nell’ottica indicata, assumendo tuttavia
un’ulteriore dimensione didattica, utile alla preparazione dei giovani impegnati
nelle scuole nautiche. Essi risulteranno in ogni caso interessanti anche a tutti
coloro che, per diporto o per lavoro, operano in settori connessi al mare. Infine,
chi sia interessato al tema dell’ambiente, consapevole dell’importanza che esso
riveste per la vita di tutti, potrà comunque trovare in questo testo dati utili e
motivi di riflessione.
Seguiranno, dopo questa pubblicazione, altri studi vantaggiosi sia per la
diffusione di conoscenze a carattere scientifico che, in qualche caso, anche con
risvolti di tipo storico e umanistico.
Introduzione
Giampiero Maracchi
Direttore di IBIMET-CNR
La richiesta di informazioni relative al mare è aumentata in modo considerevole
negli ultimi anni, per motivi legati sia all’economia che alla protezione ambientale
e allo sviluppo eco-compatibile.
Lo sviluppo della nautica da diporto, dei trasporti marittimi, dell’economia legata alla pesca ed i problemi di impatto ambientale dovuti alla diffusione degli
inquinanti in mare, della qualità delle acque costiere e della salvaguardia degli
ecosistemi marini hanno infatti contribuito in modo sostanziale ad aumentare il
livello di attenzione dell’opinione pubblica sulla risorsa ‘mare’.
‘Mare’ come elemento comune di raccordo tra tutti questi settori.
In particolare il Mar Mediterraneo, che possiede un patrimonio ambientale estremamente ricco e delicato, data la criticità dei fattori sia antropici che naturali, che
insistono su questa area, deve essere salvaguardato con particolare attenzione.
La Toscana, inoltre, si affaccia su un tratto di mare particolarmente interessante da questo punto di vista; infatti tutto l’Arcipelago Toscano è un Parco Nazionale
che è stato recentemente incluso nell’iniziativa MAB (Man and Biosphere) dell’Unesco. Inoltre l’area di mare prospiciente la Toscana e la Liguria, oltre a rappresentare un’importante via di comunicazione dei trasporti marittimi lungo la direttrice
Nord-Sud, fa parte del Santuario dei Cetacei.
Per questi motivi l’Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBIMET-CNR) in collaborazione con la Regione Toscana e la Provincia di
Livorno hanno realizzato nel 2003 il CoMMA-Med, Centro di Meteorologia Marina
e Monitoraggio Ambientale del Mediterraneo, presso la sede dell’Istituto Tecnico
Nautico ‘A. Cappellini’.
Questi ‘Appunti di Meteorologia Marina’ costituiscono un primo compendio di
informazioni legate sia alla meteorologia che al mare. Essi si rivolgono in particolare ai giovani delle scuole nautiche, ma anche a tutti coloro che per la loro professione hanno a che fare con il mare, si tratti delle attività legate ai trasporti come
quelle della pesca, della nautica da diporto o del turismo. In ogni settore infatti è
auspicabile che con il tempo si sviluppino delle attività di formazione specializzate, in grado di creare delle professionalità che contribuiscano a rendere la nostra
economia più competitiva, abbandonando l’empirismo e l’approssimazione che a
questo si lega.
L’attività editoriale presso il CoMMA-Med va appunto nella direzione di preparare alcuni strumenti didattici che possano contribuire in questo senso alla preparazione delle giovani generazioni.
Questa raccolta di informazioni non pretende di essere esaustiva dei molteplici
aspetti che le discipline scientifiche coinvolte in questi settori offrono, ma vuole
solo gettare le basi per un lavoro ampio e complesso su quello che crediamo
essere un elemento fondamentale per lo sviluppo e l’unione delle civiltà che si
affacciano sul Mediterraneo: il mare.
11
La meteorologia marina è una disciplina
che utilizza le conoscenze meteorologiche
per comprendere e prevedere i fenomeni
che interessano il mare, inteso come l’insieme delle acque salate che ricoprono la
superficie terrestre.
Per comprendere l’importanza di questa
scienza è sufficiente pensare che gli oceani
ed i mari occupano approssimativamente i
tre quarti dell’intera superficie terrestre pari
a 361 milioni di km2,dei quali, circa 336
milioni sono oceani e 25 milioni sono mari.
Gli oceani ed i mari intervengono attivamente nei cicli biogeochimici del carbonio
e dell’acqua e, a causa della maggiore capacità termica delle acque rispetto al suolo,
esercitano una notevole azione mitigatrice
sul clima.
Il mare, ha da sempre esercitato una notevole influenza non solo su aspetti geografici
e biologici ma, in genere, anche sulla storia
e sullo sviluppo socio-culturale dell’uomo
che ha contribuito in maniera sostanziale
ad alterare la dinamica dei litorali accentuando l’erosione costiera ed aumentando
l’inquinamento delle acque marine.
Per questi motivi e sopratutto per le recenti
proiezioni sugli impatti del cambiamento del
clima in atto, anche sugli ecosistemi marini, si avverte la necessità di approfondire la
conoscenza e la comprensione dei fenomeni
meteorologici che interessano il mare.
APPUNTI DI
METEOROLOGIA MARINA
I. Il tempo meteorologico
I. Il tempo meteorologico
Il tempo meteorologico
Nella terminologia comune i concetti di tempo e clima vengono frequentemente utilizzati come sinonimi, ma dal punto di vista scientifico essi risultano nettamente distinti:
¿ con tempo si intende la condizione meteorologica in un dato luogo relativa
ad un breve intervallo temporale;
¿ con clima si intende la successione delle condizioni meteorologiche (ovvero
del tempo) in un dato luogo relativa ad un lungo intervallo temporale.
Le scienze che studiano il tempo ed il clima vengono indicate rispettivamente
con i nomi di meteorologia e climatologia. Quindi mentre la meteorologia si
occupa di studiare quei fenomeni atmosferici che mutano continuamente in un
determinato punto della superficie terrestre, la climatologia è basata sullo studio
dei valori medi dei parametri meteorologici che caratterizzano una certa località,
ricavati da osservazioni condotte per un lungo periodo (minimo quindici anni) e
riferite a differenti scale temporali (giorno, mese, anno).
Una importante distinzione di carattere generale va fatta tra elementi e fattori
meteo-climatici. I principali elementi del tempo e del clima sono:
¿ l'intensità e la durata della radiazione solare
¿ la temperatura
¿ la pressione
¿ i venti
¿ l'umidità relativa ed assoluta
¿ le precipitazioni.
Sono quindi parametri fisici misurabili tramite strumenti in grado di registrare
le loro variazioni nel tempo e nello spazio e di tradurle in valori numerici. L’insieme di questi strumenti costituisce una stazione meteorologica.
I principali fattori che causano le variazioni degli elementi meteorologici in un
determinato luogo sono:
¿ la circolazione atmosferica
¿ le correnti marine
¿ la distribuzione delle terre e dei mari
¿ la latitudine
¿ l'altitudine
¿ l’esposizione dei versanti
¿ la copertura vegetale
¿ gli effetti delle attività umane.
Il risultato dell’interazione fra elementi e fattori determina i differenti tipi di
clima presenti sulla Terra. È importante inoltre precisare che i singoli elementi
non concorrono isolatamente a determinare il tempo meteorologico, ma è combinandosi tra loro nel modo più vario e possibile che danno luogo ai fenomeni
atmosferici che si osservano in un determinato luogo.
Più precisamente, quando si descrivono i fenomeni atmosferici, ci si riferisce
spesso a differenti scale spaziali. Si parla di scala sinottica quando le dimensioni
orizzontali sono dell’ordine di migliaia di km fino alla scala globale, di mesoscala-α per dimensioni dell'ordine delle poche migliaia di km, di mesoscala-β per
dimensioni dell'ordine delle centinaia di km e di mesoscala-γ per dimensioni dell'ordine delle decine di km. Mentre il termine scala sinottica è di retaggio storico,
le altre denominazioni fanno riferimento all’insieme di scale definite da Orlanski
nel 1975 (tabella 1).
17
Appunti di meteorologia marina
Scala
Dimensione
Microscala-γ
< 20 m
Microscala-β
20-200 m
Microscala-α
200-2000 m
Mesoscala-γ
2-20 km
Mesoscala-β
20-200 km
Mesoscala-α
200-2000 km
Macroscala-β
2000-20000 km
Macroscala-α
> 20000 km
Tabella 1 - Definizione delle scale di Orlanski (1975).
L’atmosfera terrestre
L’atmosfera (dal greco atmòs = vapore) è l’involucro gassoso che circonda la
Terra sottoposto all’azione della forza gravitazionale che gli impedisce di sfuggire e disperdersi nello spazio interplanetario. L’atmosfera è indispensabile alla
vita, poiché contiene i gas necessari alla respirazione cellulare ed alla fotosintesi
clorofilliana e ci protegge dalle radiazioni solari ad alta energia. Man mano che
si procede dal suolo verso l’alto le caratteristiche chimico-fisiche dell’atmosfera
(temperatura, pressione, densità, composizione chimica, ecc.) variano, per cui è
stato possibile suddividere l’atmosfera in una serie di strati concentrici in base
soprattutto al variare della temperatura (figura 1):
¿ la troposfera
¿ la stratosfera
¿ la mesosfera
¿ la termosfera
¿ la esosfera.
Le zone di transizione tra i vari
strati vengono indicate con il nome
di “pause”; è possibile quindi distinguere una tropopausa, una stratopausa, una mesopausa ed una termopausa.
Il limite superiore dell’atmosfera
viene generalmente considerato intorno ai 900 km; tuttavia questo limite non è ben definito, poiché nell’esosfera l’attrazione gravitazionale della
Terra è ridotta al punto tale che i gas
tendono a sfuggire nello spazio. Di
conseguenza il confine dell’atmosfera può essere identificato nel luogo
in cui la sua densità diviene uguale
Figura 1 - Stratificazione dell’atmosfera e
a quella dell’atmosfera solare con la
andamento della temperatura col variare
quale finisce per confondersi.
dell’altezza dal suolo.
18
I. Il tempo meteorologico
Troposfera
La troposfera (dal greco tròpos = mutamento) è lo strato dell’atmosfera più vicino
alla superficie terrestre che comprende circa l’80% di tutta la massa atmosferica e la
quasi totalità del vapore acqueo. Essa rappresenta il luogo nel quale si verificano le
perturbazioni atmosferiche più intense, poiché in questo strato è presente l’acqua condensata nelle nubi o sotto forma di vapore. La troposfera costituisce quindi il luogo di
maggiore interesse per i meteorologi, essendo caratterizzata da tutti quei fenomeni che
abitualmente costituiscono l’evolversi del ‘tempo’ come i moti turbolenti dell’aria e le
precipitazioni. Lo spessore della troposfera non è uniforme ma varia con la latitudine da
circa 8-10 km sopra i Poli, a causa della maggiore compressione dei gas che la compongono, fino a raggiungere gli 11-12 km alle medie latitudini e
i 16-18 km sopra l’Equatore (figura 2).
Le caratteristiche principali della troposfera sono
essenzialmente tre:
¿ la costanza della composizione chimica, a
causa dei moti turbolenti orizzontali e verticali che provocano il continuo rimescolamento dei gas;
¿ il decremento della pressione con l’altezza, diminuzione del peso della colonna di aria
che sovrasta l’unità di superficie terrestre;
¿ la diminuzione della temperatura con l’altezza, poiché la troposfera si riscalda principalmente
a causa del calore ceduto dalla superficie terrestre (irraggiamento termico). Al limite superiore della troposfera si trova
la tropopausa, caratterizzata da uno spessore ridotto e da una temperatura di 50-80°C sotto lo zero.
Stratosfera
La stratosfera è compresa tra il limite superiore della troposfera ed i 50 km di altitudine (figura 3) ed è caratterizzata dalla presenza di ozono, un gas costituito da tre atomi
di ossigeno. Lo strato di ozono stratosferico (ozonosfera) si forma in seguito alla reazione fotochimica tra l’ossigeno ed i raggi ultravioletti (UV) presenti nella radiazione
solare. Le radiazioni UV provocano la dissociazione dell’ossigeno molecolare (O2) con
formazione di ossigeno atomico (O), che reagendo con una molecola di ossigeno origina l’ozono (O3). Questo gas è in grado a sua volta di assorbire parte delle radiazioni
ultraviolette provenienti dal Sole e si scinde in ossigeno molecolare e ossigeno atomico
(figura 3), per cui le molecole di ozono si trovano in uno stato di equilibrio dinamico essendo continuamente sintetizzate e scisse ad opera della radiazione UV.In assenza dello strato di ozono le radiazioni ultraviolette nocive per gli organismi viventi (UV-B) raggiungerebbero la Terra, perciò la stratosfera svolge da sempre un ruolo importantissimo
per la vita sul nostro Pianeta. Per questa ragione ha suscitato notevole preoccupazione
la scoperta del cosiddetto buco dell’ozono, ovverosia
la riduzione dello
spessore della fascia di ozono stratosferico a causa
dell’immissione
nell’atmosfera di
composti inquinanti di origine antropica. L’assorbimento
Figura 3 - La stratosfera e il ciclo di sintesi-scissione
dell’ozono ad opera della radiazione ultravioletta.
19
Appunti di meteorologia marina
della radiazione UV determina un aumento dell’agitazione termica delle particelle, perciò nella stratosfera la temperatura tende progressivamente ad aumentare con
l’altitudine, passando da valori prossimi a quelli osservati nella tropopausa a valori
di circa 10-17°C nella stratopausa. I valori molto bassi di densità dell’aria e la quasi
totale assenza di nubi e pioggia rendono la stratosfera la zona più trafficata dagli aerei
di alta quota.
Mesosfera
La mesosfera è lo strato dell’atmosfera compreso tra i 50 e i 90 km di altitudine: qui i
gas atmosferici sono molto rarefatti, sebbene si mantengano nella stessa percentuale
osservata negli strati inferiori e pressoché trasparenti alla radiazione elettromagnetica
solare. La temperatura nella mesosfera tende nuovamente a diminuire con l’altitudine,
raggiungendo il minimo termico assoluto (circa -90°C) nella mesopausa, dove la pressione atmosferica è circa un centomillesimo rispetto a quella registrata a livello del mare.
Questo profilo in altezza di temperatura e pressione provoca una circolazione verticale
delle masse d’aria, che occasionalmente può dar luogo alla formazione di nuvole al di
sopra delle regioni polari durante il periodo estivo: le nubi nottilucenti. Queste nubi
raggiungono altezze di 80-85 km e devono il loro nome al fatto che possono essere
visibili di notte a latitudini superiori a 50 gradi quando il Sole si trova 5-13 gradi sotto
l’orizzonte.
Termosfera
Oltre la mesosfera c’è la termosfera, compresa tra i 90 e i 500 km di altitudine, dove la
radiazione solare provoca la formazione di particelle ionizzate (atomi che hanno perduto od acquistato elettroni). Il fenomeno della ionizzazione è qui particolarmente intenso,
ma può interessare in parte anche la mesosfera al di sopra dei 60 km di altitudine. Lo
strato dell’atmosfera in cui avvengono i fenomeni di ionizzazione viene indicato anche
con il termine di ionosfera. Le particelle ionizzate sono in grado di riflettere le onde
radio emesse dalla superficie terrestre, consentendo le radiocomunicazioni anche a notevoli distanze. Poiché nella termosfera l’energia assorbita dalle molecole gassose proviene direttamente dal Sole, la temperatura aumenta con l’altitudine raggiungendo valori
di 500-2000°C a quote comprese tra i 300 e i 500 km a seconda dell’attività solare.
Nella ionosfera hanno luogo i suggestivi fenomeni luminosi indicati con il nome di
aurore polari, causati dalla collisione tra particelle elettricamente cariche che attraversano la termosfera ad elevata velocità ed alcuni gas (azoto ed ossigeno) qui preesistenti,
con conseguente liberazione di energia sotto forma di luminosità notturna.
Esosfera
L’esosfera è lo strato dell’atmosfera oltre i 500 km di altitudine, il suo limite superiore
non risulta ben definito. I composti gassosi che la compongono principalmente idrogeno
ed elio, sono sempre più rarefatti e la loro densità tende ad essere simile a quella dei gas
interplanetari circostanti. La forza gravitazionale terrestre è sempre più debole, perciò
i gas dell’esosfera tendono a sfuggire verso lo spazio interplanetario. La temperatura
può variare da valori minimi di 300°C a valori massimi di 1700°C a seconda dell’attività
solare, con valori medi di circa 700°C. L’esosfera comprende la magnetosfera (regione
di spazio intorno ad un corpo celeste che è influenzata dal campo magnetico del corpo
stesso), al cui interno si trovano le fasce di Van Allen. Queste fasce, costituite da particelle cariche di origine cosmica e/o solare intrappolate nel campo magnetico, formano
delle specie di gigantesche nubi attorno alla Terra che si interrompono in corrispondenza delle zone polari. La magnetosfera intercetta e devia le radiazioni ionizzanti nocive
impedendo che raggiungano la Terra, per cui svolge un ruolo di protezione verso tutti
gli organismi terrestri viventi.
20
I. Il tempo meteorologico
La composizione chimica dell’aria
L’atmosfera è costituita da una miscela di gas incolori, inodori e insapori, tra
cui predominano l’azoto (78%) e l’ossigeno (21%); ulteriori componenti sono
l’argon (0.95%), l’anidride carbonica (0.03%) e piccole quantità di altri gas rari
o nobili (elio, kripton, neon, xenon, radon), ozono, metano e pulviscolo atmosferico (polveri, granuli pollinici, spore, cristalli di sale). L’atmosfera contiene
anche composti gassosi inquinanti quali idrocarburi ed altre sostanze di origine
antropica (figura 4).
Figura 4 - Composizione chimica media dell’atmosfera terrestre.
La composizione attuale dell’atmosfera è molto differente da quella primordiale in cui predominavano composti gassosi altamente riducenti come ammoniaca,
metano e idrogeno. L’idrogeno, molto leggero, sfuggì in gran parte dall’atmosfera
terrestre per dissiparsi nello spazio interplanetario, mentre le frequenti eruzioni
vulcaniche portarono progressivamente ad un incremento del contenuto in acqua
ed anidride carbonica.
Circa due miliardi di anni fa, la composizione dell’aria subì un cambiamento
fondamentale con lo sviluppo di organismi in grado di svolgere la fotosintesi
clorofilliana, che portò alla liberazione nell’atmosfera di grandi quantità di ossigeno. Questo gas consentì lo sviluppo di organismi aerobi e la produzione dello
strato di ozono stratosferico in grado di filtrare i raggi ultravioletti e, quindi, di
proteggere gli organismi viventi dagli effetti dannosi di queste radiazioni.
In assenza di questo strato la vita non si sarebbe mai sviluppata sulla Terra o
avrebbe avuto forme ed evoluzioni diverse rispetto a quelle che noi conosciamo.
La composizione dell’atmosfera si mantiene pressoché invariata fino ai 90 km
di altitudine, cioè fino alla mesosfera, a causa del continuo rimescolamento verticale tra gli strati. Oltre i 90 km l’ossigeno tende a diminuire, mentre aumentano
i gas più leggeri. Lo strato di atmosfera a composizione pressoché costante al
variare dell’altezza si chiama omosfera; oltre questo strato ha inizio l’eterosfera,
ovverosia lo strato dell’atmosfera la cui composizione varia con l’altitudine.
Un discorso a parte meritano l’anidride carbonica (CO2) e l’ozono (O3), le cui
concentrazioni nell’atmosfera hanno subito negli ultimi anni profondi cambiamenti.
L’anidride carbonica entra a far parte di una serie di processi che assumono
una notevole importanza dal punto di vista biologico. La sua concentrazione è
regolata dal bilancio tra le quantità di CO2 emesse nell’atmosfera dai processi respiratori, dai vulcani e dalla combustione di combustibili fossili e quelle sottratte
all’atmosfera essenzialmente dalla fotosintesi e dall’assorbimento degli oceani
(figura 5).
21
Appunti di meteorologia marina
Figura 5 - Il ciclo globale del carbonio con indicate le riserve (in Gt di C = 1015 g di C)
ed i flussi (in Gt per anno) durante la decade 1989-1998. Fonte: IPCC.
L’attività dell’uomo altera il ciclo biogeochimico del carbonio con l’immissione
nell’atmosfera di grandi quantitativi di CO2 attraverso i processi di combustione
(figura 5) e con la deforestazione che provoca una riduzione dell’assorbimento
fotosintetico di CO2 da parte della biosfera terrestre. Questo fenomeno, che ha
assunto notevole rilevanza in seguito alla rivoluzione industriale, sta causando un
incremento sostanziale della concentrazione di CO2 nell’atmosfera ed è il principale responsabile dei cambiamenti climatici in atto sul nostro Pianeta.
Anche la concentrazione di ozono nell’atmosfera sta subendo profondi mutamenti in seguito alle attività umane. L’ozono è presente in quantità di circa 0.04
ppmv (parti per milione in volume) nella troposfera, mentre nella stratosfera la
sua concentrazione aumenta raggiungendo circa 10 ppmv.
Tuttavia, negli ultimi anni si è verificato un sensibile incremento di ozono a
livello di troposfera ed una sua diminuzione nella stratosfera. Quest’ultimo fenomeno, indicato con il nome di ‘buco dell’ozono’, è dovuto essenzialmente
all’immissione nell’atmosfera di clorofluorocarburi (CFC) e di altri composti chimici (ODS, Ozone Depleting Substancies) che provocano la distruzione dell’ozono
stratosferico. A livello di troposfera invece l’ozono è un inquinante secondario,
poiché non viene emesso direttamente da una sorgente specifica ma è prodotto
dalla reazione tra la radiazione solare e gli inquinanti primari (quali ossidi di azoto
e composti organici volatili) e costituisce uno dei più importanti componenti dello
smog fotochimico; infatti il livello di ozono troposferico raggiunge i valori più
elevati nelle grandi città in corrispondenza delle ore più calde del pomeriggio.
Quella che abbiamo descritto fino ad ora è la composizione media dell’aria secca. In realtà nell’atmosfera è normalmente presente anche il vapore acqueo, che
costituisce l’umidità atmosferica e si trova in quantità variabili nel tempo e nello
spazio, comprese tra lo 0.2 ed il 4%.
La quantità di umidità presente nell’atmosfera dipende essenzialmente dall’evaporazione degli oceani e delle acque continentali (fiumi e laghi) e dalla traspirazione dei vegetali. La presenza di vapore acqueo è di primaria importanza
nel determinare i climi terrestri ed il tempo meteorologico, poiché è la quantità
variabile di umidità presente nell’atmosfera che dà origine ai principali fenomeni
meteo.
22
I. Il tempo meteorologico
L’esplorazione dell’atmosfera
La storia dell’esplorazione sistematica dell’atmosfera risale al XVII secolo,
quando furono inventati alcuni importanti strumenti per la misura dei parametri
meteorologici quali il termometro ed il barometro. In assenza di mezzi in grado
di alzarsi in volo e di raggiungere quote elevate, i meteorologi dell’epoca si limitavano ad effettuare misurazioni sui luoghi più alti o ad utilizzare semplici mezzi
di ascensione come gli aquiloni.
Ovviamente queste osservazioni erano limitate alle fasce più basse della troposfera; ciononostante, gli scienziati, attraverso l’elaborazione delle loro osservazioni ed utilizzando calcoli piuttosto complessi, tentarono di effettuare le prime
previsioni meteorologiche.
Un notevole contributo all’esplorazione dell’atmosfera fu offerto dall’uso dei
palloni aerostatici. La prima ascensione di un aerostato con persone a bordo
avvenne a Parigi nel 1783; successivamente nel 1804 Gay-Lussac (1778–1850) e
Jean Baptiste Biot (1774-1842) effettuarono la prima vera missione scientifica di
esplorazione dell’atmosfera. Questi scienziati avvalendosi di un pallone aerostatico riuscirono a salire sul cielo di Parigi fino a circa 7 km di altezza, a misurare
la temperatura dell’aria e a raccogliere un campione di aria la cui composizione
risultò molto simile a quella presente in prossimità del suolo. Nel 1862 i meteorologi inglesi Coxwell e Glaisher, sempre tramite aerostato, raggiunsero un’altitudine di circa 8.8 km.
Nel 1880, Léon Philippe Teisserenc de Bort (1855-1913) introdusse l’uso sistematico dei palloni sonda, che hanno rappresentato un notevole passo avanti
nell’esplorazione dell’atmosfera.
Con questi mezzi è stato possibile raggiungere altitudini di circa 30 km e, tramite strumenti di alta precisione, eseguire il rilevamento dei principali elementi
meteorologici (sondaggi aerologici). In passato i palloni sonda erano equipaggiati con strumenti meccanici registratori in grado di procedere al rilevamento dei
dati in quota e di ridiscendere al suolo mediante un paracadute in seguito allo
scoppio del pallone stesso.
Successivamente questi strumenti sono stati sostituiti da una serie di sensori
riuniti a costituire una radiosonda elettronica che viene sollevata in quota da
palloni riempiti di idrogeno o elio ad una velocità costante di ascensione di circa
5 m s-1. Durante l’ascesa la radiosonda esegue il rilevamento dei parametri meteorologici alle varie altitudini e li trasmette direttamente ad una stazione a terra
per mezzo di un radiotrasmettitore. Analizzando gli spostamenti verticali della
radiosonda ad intervalli regolari, è possibile eseguire anche il rilevamento della
direzione e della velocità del vento in quota.
Nel corso del XX secolo fino ai giorni nostri sono stati compiuti notevoli progressi nell’esplorazione dell’atmosfera, grazie soprattutto all’introduzione di
mezzi molto potenti in grado di raggiungere altezze notevoli dal suolo (come
gli aerei ed i satelliti artificiali), oltre che di una strumentazione meteorologica
estremamente sofisticata.
In particolare, la rilevazione da satellite e la radar-meteorologia hanno consentito di ottenere numerose informazioni sui fenomeni atmosferici e di estendere le osservazioni meteorologiche anche ad aree della Terra in cui la rilevazione
dei dati meteo era assente ed è tuttora molto scarsa.
Queste nuove metodologie di indagine hanno consentito di incrementare notevolmente le nostre conoscenze sulla struttura dell’atmosfera e sui fenomeni
meteorologici e, quindi, hanno permesso di elaborare modelli previsionali sempre
più attendibili.
23
Appunti di meteorologia marina
La radiazione solare
L’atmosfera e la superficie terrestre ricevono energia dal Sole sotto forma di
radiazioni elettromagnetiche che si propagano nello spazio come onde. La distanza tra due creste1 successive di un’onda elettromagnetica prende il nome di
lunghezza d’onda, mentre il tempo che intercorre tra il passaggio di due creste
consecutive in un determinato punto dello spazio è chiamato periodo. In ordine
crescente di lunghezza d’onda la radiazione elettromagnetica solare può essere
suddivisa in raggi gamma, raggi X, raggi ultravioletti, radiazioni del visibile (violetto, indaco, azzurro, verde, arancio, giallo e rosso), raggi infrarossi e onde radio
(microonde, onde corte, onde medie e onde lunghe). L’intensità e la lunghezza
d’onda dell’energia radiante emessa da un corpo dipendono dalla sua temperatura. Un corpo come il Sole, avendo una temperatura superficiale di circa 5800
gradi Kelvin, emette radiazioni elettromagnetiche di lunghezza d’onda compresa
per il 99% tra 0.15 e 4 micrometri (mm), con un massimo in corrispondenza di
0.48 mm.
Figura 6 - Spettro elettromagnetico della radiazione solare.
La radiazione solare svolge un ruolo determinante su tutti i fenomeni fisici e
chimici che si verificano nell’atmosfera e su quelli biologici della Terra. In particolare, la radiazione solare costituisce la fonte primaria di energia della biosfera
terrestre, essendo catturata dai vegetali e convertita in energia chimica di legame
mediante la fotosintesi clorofilliana. Successivamente questa energia fluisce da
un organismo ad un altro come attraverso i diversi anelli di una lunga catena,
garantendo la sopravvivenza a tutti gli esseri viventi presenti sulla biosfera. La
radiazione solare inoltre rappresenta la sorgente di energia che permette l’evapotraspirazione ed i movimenti oceanici e delle masse d’aria atmosferiche,
da quelli che determinano la circolazione generale dell’atmosfera ai mulinelli di
aria a livello di microscala.
Unità di misura
Le unità di misura maggiormente utilizzate per esprimere la radiazione sono le
calorie per centimetro quadrato per minuto (cal cm2 min-1), il watt per metro
quadrato (W m-2) ed il joule per metro quadrato (J m-2). Le ultime due sono le
unità di misura prescritte dalla Commissione per l’International System of Units
(Sistema Internazionale - SI) e vengono utilizzate rispettivamente per esprimere il
flusso radiativo e la quantità di radiazione per unità di superficie.
1
La cresta costituisce la parte più alta di un’onda.
24
I. Il tempo meteorologico
Poiché 1 watt corrisponde all’esecuzione del lavoro di 1 joule per secondo e
1 caloria equivale a 4.1868 joule, i fattori di conversione tra le principali unità di
misura della radiazione sono:
1 cal cm-2 min-1 = 697.8 W m-2
1 cal cm-2 = 41868 J m-2
Il bilancio radiativo terrestre
Solo una minima parte di tutta l’energia radiante emessa dal Sole raggiunge
la Terra (Figura 7). Al limite esterno dell’atmosfera arriva una quantità di energia
pari a 1367 ± 0.07 KW m-2, indicata con il nome di costante solare.
A sua volta solo una porzione di questa energia raggiunge la superficie terrestre, poiché parte di essa viene assorbita dall’atmosfera o riflessa verso lo spazio
interplanetario (figure 7 e 8).
Figura 7 - Radiazione solare che giunge al limite superiore dell’atmosfera
e radiazione incidente sulla superficie terrestre.
In dettaglio, della radiazione solare incidente che giunge al limite superiore
dell’atmosfera, solo il 26% arriva direttamente sulla superficie terrestre (radiazione solare diretta), mentre il 43% è assorbita dall’atmosfera (principalmente dal
vapore acqueo delle nubi e dalla CO2) ed il 31% è riflessa dall’atmosfera verso lo
spazio interplanetario. In relazione alla quantità di energia assorbita dall’atmosfera, un ruolo fondamentale per la vita sulla Terra è svolto dalla fascia di ozono
stratosferico in grado di assorbire le radiazioni ultraviolette nocive per gli organismi viventi.
L’atmosfera trattiene solo il 18% della radiazione assorbita, mentre il restante
25% si diffonde verso la superficie terrestre (radiazione diffusa). Di conseguenza,
la radiazione solare globale che raggiunge la superficie terrestre è data dalla
somma della radiazione diretta e di quella diffusa. Tuttavia, per effetto dell’albedo (o potere riflettente) parte di questa radiazione viene riflessa dalla superficie
terrestre e rinviata nuovamente verso lo spazio (circa il 4%), perciò in conclusione
la Terra assorbe solamente il 47% della radiazione solare incidente che giunge al
limite superiore dell’atmosfera.
25
Appunti di meteorologia marina
Figura 8 - Il bilancio radiativo terrestre.
L’energia solare che raggiunge la superficie terrestre è costituita prevalentemente da radiazioni di lunghezza d’onda relativamente piccola. Un corpo come
la Terra, avendo una temperatura superficiale di circa 288 gradi Kelvin, emette
verso l’atmosfera parte dell’energia assorbita sotto forma di radiazioni elettromagnetiche di lunghezza d’onda compresa tra 4 e 80 mm, con un massimo intorno
ai 10 mm (radiazione terrestre). La radiazione terrestre, costituita principalmente
dall’infrarosso termico, viene in gran parte intercettata dai gas troposferici, in
particolare dal vapore acqueo e dall’anidride carbonica e rinviata verso la superficie terrestre. Questo fenomeno, noto come ‘effetto serra’, regola la temperatura
media della Terra mantenendola intorno ai 15°C.
I cambiamenti in atto nella composizione dell’atmosfera, causati principalmente dalle emissioni antropogeniche di anidride carbonica (CO2) e di altri gas-serra, stanno alterando il bilancio radiativo terrestre. Sussiste infatti il pericolo che
l’aumento costante di questi gas nell’atmosfera possa accentuare l’effetto serra
portando ad un riscaldamento globale della Terra, con conseguenze drammatiche
sul clima e sui complessi equilibri biologici del nostro Pianeta.
Fattori di variazione del bilancio radiattivo terrestre
I valori della radiazione solare globale e delle sue componenti sopra riportati,
rappresentano delle situazioni medie valide per l’intera superficie terrestre. In
realtà, il bilancio radiativo terrestre varia in funzione della latitudine, a causa
principalmente dei moti astronomici della Terra e dell’inclinazione del suo asse. I
luoghi della Terra posti a differenti latitudini ricevono infatti una quantità annuale
di radiazione solare diversa (figura 9), poiché vengono raggiunti dai raggi del Sole
con una differente inclinazione.
In particolare, la quantità di radiazione solare in arrivo sulla superficie terrestre
diminuisce procedendo dall’Equatore (dove i raggi solari sono perpendicolari alla
superficie terrestre) verso i Poli (dove i raggi solari mostrano la massima inclinazione rispetto alla superficie terrestre). Inoltre, spostandosi verso latitudini più
alte aumenta anche lo spessore dell’atmosfera che i raggi solari devono attraversare per raggiungere la superficie terrestre. In corrispondenza delle regioni
aride tropicali e subtropicali si osservano valori di insolazione annua molto vicini
a quelli massimi previsti per queste latitudini, mentre in prossimità dell’Equatore
26
I. Il tempo meteorologico
si registrano valori di insolazione inferiori rispetto a quelli massimi possibili. Ciò
è dovuto al fatto che in corrispondenza delle regioni tropicali e subtropicali la
copertura nuvolosa è molto ridotta e, quindi, risulta minimo anche l’assorbimento
dei raggi solari da parte dell’atmosfera.
Al contrario, in corrispondenza della zona equatoriale e di molte regioni oceaniche lo sviluppo di nubi pomeridiane di notevoli dimensioni, chiamate cumulonembi, è molto intensa, per cui l’estesa copertura nuvolosa provoca una sensibile
riduzione della quantità di radiazione solare che giunge direttamente sulla superficie terrestre.
Figura 9 - Distribuzione della radiazione solare sulla superficie terrestre
(i valori sono espressi in kcal cm-2 anno-1). Fonte: WMO.
Come già visto, la Terra e la sua atmosfera sono in grado di emettere e riflettere
radiazioni elettromagnetiche verso lo spazio interplanetario, perciò la radiazione
effettivamente disponibile su una determinata superficie è data dal bilancio netto
tra la radiazione in arrivo e quella in uscita. La quantità di radiazione solare in
arrivo sulla superficie terrestre compresa tra l’Equatore ed i Tropici è eccedentaria
rispetto a quella in uscita dalla Terra, mentre nella fascia compresa tra i Tropici ed
i Poli il bilancio energetico risulta deficitario (figura 10).
Figura 10 - Variazione
del bilancio energetico
con la latitudine.
27
Appunti di meteorologia marina
La vicinanza e l’inclinazione dei raggi solari variano anche con l’alternarsi delle stagioni (figura 11).
Quando il Sole si trova allo zenit dell’Equatore due volte all’anno, in corrispondenza dei due equinozi di primavera (21 marzo) e d’autunno (23 settembre),
invia i suoi raggi perpendicolarmente all’Equatore con la minima dispersione di
calore.
Durante il solstizio d’estate (21 giugno) il Sole si trova allo zenit del Tropico del
Cancro favorendo la massima illuminazione e, quindi, il massimo riscaldamento
dell’emisfero settentrionale (o boreale).
Al contrario, nell’emisfero meridionale (o australe) avviene l’opposto, per cui le
stesse condizioni di illuminazione e riscaldamento dell’emisfero Nord si verificano in corrispondenza del solstizio d’inverno (22 dicembre) quando il Sole invia i
suoi raggi perpendicolarmente al Tropico del Capricorno.
Figura 11- Variazione dell’irraggiamento solare con l’alternarsi
delle stagioni nell’emisferoboreale.
Altri fattori che possono provocare una variazione quantitativa e qualitativa
della radiazione solare disponibile sulla superficie terrestre sono, le condizioni
atmosferiche, poiché in una giornata nuvolosa la radiazione in arrivo sulla superficie terrestre è quasi completamente composta da radiazione diffusa, mentre
in una giornata serena con clima secco predomina la componente diretta e la
presenza di superfici riflettenti, poiché le superfici chiare riflettono più di quelle
scure.
La radiazione ultravioletta (UV)
La radiazione ultravioletta (dal latino ultra = oltre) è data dalla porzione di
spettro elettromagnetico solare compresa tra i raggi X ed il violetto (la banda del
visibile con lunghezza d’onda più corta), perciò è caratterizzata da una lunghezza
d’onda inclusa tra i 100 e i 400 nanometri (nm).
28
I. Il tempo meteorologico
Nel considerare gli effetti dei raggi ultravioletti sulla salute umana, l’intervallo
spettrale della radiazione UV viene in genere ulteriormente suddiviso in UV-A
(320-400 nm), UV-B (280-320 nm) e UV-C (100-280 nm).
¿
L’UV-A comprende le radiazioni ultraviolette che raggiungono in gran parte la Terra
poichè non sono assorbite dall’atmosfera. Costituiscono le principali radiazioni che contribuiscono alla nostra abbronzatura e non sono ritenute particolarmente dannose per
l’uomo, anche se in dosi eccessive possono causare invecchiamento precoce della pelle e
malattie agli occhi.
¿
L’UV-B comprende la gamma di radiazioni ultraviolette nocive per gli organismi viventi e
dovrebbero essere assorbite dallo strato di ozono a livello di stratosfera.
¿
L’UV-C comprende le radiazioni ultraviolette più dannose per gli organismi viventi; tuttavia non costituiscono un problema in quanto vengono completamente assorbite dall’ozono e dall’ossigeno molecolare presenti nella stratosfera.
L’ozono stratosferico svolge quindi un ruolo fondamentale per consentire la
vita sulla Terra, poiché in sua assenza verrebbe a mancare il filtro protettivo in
grado di difenderci da un eccessivo irraggiamento di UV-B.
La misura della radiazione solare
Per misurare la radiazione solare è necessario utilizzare degli strumenti dotati
di specifici sensori in grado di rilevare l’energia luminosa proveniente dal Sole.
In funzione del sensore o elemento sensibile si possono distinguere due tipologie principali di strumenti:
¿ a termopila
¿ fotovoltaici o a fotocella.
Negli strumenti a termopila l’elemento sensibile è costituito da un disco metallico suddiviso in settori colorati alternativamente di bianco e nero.Il principio di
funzionamento di questi sensori si basa sul fatto che il settore nero assorbe una
maggiore quantità di radiazione solare e, quindi, tende a scaldarsi di più rispetto
a quello bianco
Ciascun settore è collegato al giunto di una termocoppia in modo da costituire
una termopila che fornisce una tensione dipendente dalla differenza di temperatura tra i settori, la quale a sua volta è funzione dell’intensità della radiazione
assorbita. Questi strumenti consentono di ottenere un’elevata precisione, mentre
la capacità di risoluzione è più bassa rispetto agli strumenti che utilizzano sensori
a fotocella.
I sensori fotovoltaici o a fotocella sono costituiti da una piastrina di un semiconduttore fotosensibile (silicio) che reagisce alla radiazione incidente generando
una tensione proporzionale all’intensità della radiazione stessa.Questo tipo di
sensore è quello generalmente installato nelle stazioni meteorologiche.
Il suo principale inconveniente è dovuto al fatto che la risposta della fotocella
non è indipendente dalla lunghezza d’onda della radiazione incidente, mostrando, a parità di intensità radiativa, un massimo intorno ai 900 mm e valori minimi
sopra i 1200 mm e sotto i 400 mm.
Per questo motivo i sensori a fotocella sono meno precisi di quelli a termopila,
rispetto ai quali tuttavia mostrano una maggiore capacità di risoluzione ed un
costo sensibilmente inferiore.
La calibrazione degli strumenti viene effettuata in condizioni di cielo sereno;
tutti gli strumenti durante il periodo notturno devono restituire una tensione
uguale a zero.A seconda del tipo di radiazione solare che si vuole misurare (radiazione globale, radiazione diretta, radiazione diffusa, radiazione netta o albedo) si
possono utilizzare diverse tipologie di strumenti.
29
Appunti di meteorologia marina
Radiazione globale
La radiazione globale in arrivo sulla Terra è data dalla somma della radiazione diretta e
di quella diffusa. Gli strumenti utilizzati per la sua misura
prendono il nome di piranometri o solarimetri.
I piranometri a termopila (figura 12) producono una
tensione che risulta proporzionale alla quantità di radiazione assorbita dal sensore. Gli strumenti più accurati
sono inoltre dotati di circuiti per la compensazione degli
effetti causati dalle variazioni della temperatura ambiente. L’elemento sensibile è protetto dall’effetto del vento
Figura 12 - Piranometro
e di altri agenti atmosferici da due cupolette semisferiche
a termopila
concentriche e trasparenti, di cui quella più interna in ve(Kipp & Zonen CM22).
tro opportunamente trattato permette il passaggio della
radiazione nella banda compresa tra 295 e 2800 nm. Il più
conosciuto di questi strumenti è il piranometro di Appley
costituito da due anelli concentrici in argento, quello interno dipinto di nero e quello esterno di bianco.
Dalla misura della differenza di temperatura tra i due anelli mediante termocoppie è possibile risalire al valore di irraggiamento globale. Nei piranometri con cella fotovoltaica al
silicio (figura 13), il sensore (fotocella al silicio) è ospitato in
un supporto di PVC protetto da una cupoletta in teflon ed è
in grado di fornire direttamente una tensione proporzionale
all’intensità della radiazione globale incidente.
Figura 13 - Piranometro
a fotocella (Kipp & Zonen SPLite).
Radiazione diretta
Gli strumenti utilizzati per misurare la radiazione diretta proveniente dal Sole vengono
chiamati pireliometri. Il pireliometro è costituito essenzialmente da un cilindro di apertura ridotta, orientabile verso il Sole, sul fondo del quale si trova l’elemento sensibile.
Per effettuare la misura è necessario che l’elemento sensibile sia allineato in modo da
puntare direttamente verso il disco del Sole. Tale allineamento può essere ottenuto manualmente o mediante servomeccanismi guidati da computer che consentono di mantenere la superficie ricevente ortogonale ai raggi solari.
Radiazione diffusa
Per la misura della radiazione solare diffusa vengono utilizzati dei piranometri con
banda ombreggiante. Questi strumenti sono dotati di un dispositivo particolare, una
banda ombreggiante che garantisce l’ombreggiamento alla radiazione solare diretta del
sensore, generalmente una fotocella al silicio, che riceve esclusivamente la radiazione
diffusa proveniente dal cielo. Ciò è possibile grazie ad un dispositivo meccanico che
regola l’inclinazione della fascia ombreggiante rispetto all’orizzonte e la sua traslazione
durante l’anno in funzione della posizione del Sole. L’uscita del sensore è un segnale
elettrico continuo, la cui tensione è proporzionale alla radiazione diffusa registrata dallo
strumento.
Radiazione riflessa o albedo
Per misurare l’albedo, ovverosia il rapporto tra la radiazione riflessa e quella globale, si
utilizza un albedometro, che è costituito essenzialmente da due piranometri orientati rispettivamente uno verso il cielo che misura la radiazione globale incidente e l’altro verso
la superficie terrestre che misura la radiazione riflessa. Dallo strumento fuoriescono due
tensioni che, una volta giunte al sistema di acquisizione dati, vengono elaborate e dal
loro rapporto si ottiene l’albedo. Il sensore è generalmente una fotocella al silicio posta
in un supporto di PVC e protetta da una cupoletta di teflon.
30
I. Il tempo meteorologico
Radiazione netta
La radiazione netta rappresenta la radiazione effettivamente disponibile su una determinata superficie ed è data dal bilancio tra la radiazione in arrivo (input) e quella in
uscita (output). Quest’ultima è data dalla radiazione incidente che viene riflessa dalla
superficie in studio (in genere a lunghezze d’onda comprese tra 300 e 2900 nm) e da
quella che viene riemessa nella banda dell’infrarosso termico. I radiometri netti (figura
14) sono costituiti da due piccoli elementi sensibili assorbenti,
uno rivolto verso il cielo e l’altro verso la superficie, muniti
di termocoppia. La termopila risultante effettua direttamente
il bilancio tra le due facce, fornendo una tensione proporzionale alla radiazione netta. Gli elementi sensibili sono racchiusi
tra due schermi emisferici di polietilene che li proteggono da
vento e pioggia e, nello stesso tempo, consentono una buona
Figura 14 - Radiometro
trasparenza alle radiazioni comprese tra il visibile e l’infrarosso
netto (Middleton CN1).
termico.
Durata dell’irraggiamento solare o eliofania
La durata dell’irraggiamento solare (eliofania) viene misurata attraverso uno strumento chiamato eliografo o eliofanografo (figura 15). Esso misura la durata dell’insolazione, ovverosia le ore e le frazioni di ora durante le quali il Sole è presente sopra l’orizzonte libero da nubi, ed è costituito da una sfera di vetro ottico sostenuta ai poli da due
supporti posti alle estremità di un arco meridiano graduato, che permette di disporre
l’asse della sfera con un’inclinazione uguale ai gradi di latitudine del sito in cui è posta.
Sul piano equatoriale della sfera è situata una superficie sferica
cava e solidale con il sostegno graduato. Questa superficie è dotata di una serie di scanalature longitudinali nelle quali vengono
poste delle strisce di carta diagrammata per la registrazione dei
dati. La carta speciale fotosensibile viene bruciata dai raggi del
Sole concentrati dalla sfera e dalla posizione e lunghezza delle
bruciature è possibile risalire all’orario ed alla durata dell’insolazione. Il rapporto tra l’insolazione reale e quella teorica (calcolata
in funzione della latitudine e del giorno giuliano dell’anno) è detto eliofania relativa e viene espresso come percentuale.
Figura 15
Eliofanografo
Radiazione UV-B
Per misurare la radiazione ultravioletta-B (UV-B) si possono utilizzare dei sensori in
grado di rilevare le radiazioni nella banda compresa tra 280 e 320 nanometri. Questi strumenti possono anche rilevare la cosiddetta radiazione biologicamente efficace
(UV-BBE), ovverosia la componente UV-B in grado di determinare danni al DNA. Infatti, è
stato evidenziato come la curva di risposta spettrale cresca al diminuire della lunghezza d’onda della radiazione ultravioletta, analogamente alla curva di assorbimento della
radiazione UV-B da parte del DNA. I moderni bollettini meteorologici emettono i dati
relativi al cosiddetto indice UV, che rappresenta il parametro biometeorologico utilizzato a livello internazionale per esprimere il rischio associato all’esposizione diretta ai
raggi del Sole. Tale indice è riferito al mezzogiorno solare (massima elevazione del Sole
sull’orizzonte) ed è suddiviso in una scala di valori compresa tra 0 e 12. Per ogni valore
l’Organizzazione Mondiale della Sanità suggerisce una serie di strategie protettive che
vanno dall’uso di occhiali da sole per valori bassi dell’indice (1-3), cappelli con visiera
per valori medi (4-6), abbigliamenti idonei senza esporsi direttamente ai raggi solari in
determinate ore della giornata per valori alti (7-9), fino a consigliare di evitare l’esposizione al Sole in qualsiasi circostanza per valori di indice molto alto (superiore a 10). Naturalmente queste indicazioni sono valide per soggetti con pelle mediamente sensibile,
ma devono essere adattate a seconda del tipo di pelle.
31
Appunti di meteorologia marina
Tipo di pelle
Si abbronza
Si scotta
Capelli
Occhi
I
Mai
Sempre
Rossi
Blu
II
Talvolta
talvolta
Biondi
Blu/Verdi
III
Sempre
Raramente
Castani
Marroni
IV
Sempre
Mai
Neri
Marroni
Pelle tipo II
Pelle tipo III
Pelle tipo IV
Tabella 2 - Tipologia di pelle.
IndiceUV
Bambini
e pelle
tipo I
>9 (estremo)
<15 min.
<20 min.
<30 min.
<40 min.
7-9 (alto)
20 min.
30 min.
40 min.
50 min.
4-7 (medio)
30 min.
40 min.
60 min.
80 min.
2-4 (basso)
30-60 min.
40-80 min.
60-120 min.
80-160 min.
0-2 (minimo)
>60 min.
>80 min.
>120 min.
>160 min.
Tabella 3 - Tempi di esposizione massimi consigliati.
IndiceUV
Bambini
e pelle
tipo I
Pelle tipo II
Pelle tipo III
Pelle tipo IV
>9 (estremo)
Non uscire di
casa
Non uscire di
casa
Occhiali
Cappello con
visiera
Ombrello
Occhiali
Cappello con
visiera
Abbigliamento
idoneo
7-9 (alto)
Occhiali
Cappello con
visiera
Ombrello
Abbigliamento
idoneo
Evitare
l’esposizione per
i bambini
Occhiali
Cappello con
visiera
Ombrello
Abbigliamento
idoneo
Occhiali
Cappello con
visiera
Abbigliamento
idoneo
Occhiali
Cappello con
visiera
4-7 (medio)
Occhiali
Cappello con
visiera
Abbigliamento
idoneo
Evitare
l’esposizione per
i bambini
Occhiali
Cappello con
visiera
Abbigliamento
idoneo
Occhiali
Cappello con
visiera
Occhiali
Cappello con
visiera
2-4 (basso)
Occhiali
Occhiali.
Occhiali
Occhiali
0-2 (minimo)
Occhiali
Occhiali
Occhiali
Occhiali
Tabella 4 - Modalità di esposizione consigliate
32
I. Il tempo meteorologico
La temperatura dell’aria
La temperatura è una grandezza fisica che esprime lo stato di agitazione termica delle molecole di un corpo: più è alta la temperatura di un corpo, maggiore
è l’energia cinetica media delle sue molecole. Quando due corpi che possiedono
differenti temperature entrano in contatto tra di loro, avviene un trasferimento di
energia termica (calore) dal corpo a temperatura più alta verso quello a temperatura più bassa. Questo processo prosegue fino al raggiungimento dell’equilibrio
termico, in corrispondenza del quale l’energia cinetica molecolare dei due corpi
risulta uguale. I termini temperatura e calore sono quindi strettamente associati
ma si riferiscono a concetti diversi: la temperatura è una proprietà di un corpo,
il calore è una forma di energia che fluisce da un corpo ad un altro per compensare una differenza di temperatura.
Unità di misura
La temperatura in meteorologia viene generalmente espressa utilizzando la
scala Celsius, detta anche scala centigrada. In questa scala lo zero di temperatura coincide con la temperatura del ghiaccio fondente sotto la pressione costante
di una atmosfera, mentre il valore 100 è attribuito alla temperatura di ebollizione dell’acqua. Di conseguenza il grado Celsius, o grado centigrado (°C), viene
definito come la centesima parte del dislivello esistente tra la temperatura del
ghiaccio fondente e la temperatura di ebollizione dell’acqua, sotto la pressione
costante di una atmosfera.
Un’altra scala usata frequentemente nei paesi anglosassoni è la scala
Fahrenheit. In questa scala la temperatura di fusione del ghiaccio corrisponde
a 32 gradi Fahrenheit (°F) e quella di ebollizione dell’acqua a 212 °F. Le seguenti
formule possono essere usate per convertire i gradi Fahrenheit in gradi Celsius:
t °C = 5/9 (t °F - 32)
t °F = 9/5 t °C + 32
Il Sistema Internazionale (SI) delle unità di misura impone di utilizzare la scala di temperatura assoluta o scala Kelvin. In questa scala la temperatura del
ghiaccio fondente (punto triplo dell’acqua) è 273.15 gradi Kelvin (°K) ed il punto di
ebollizione dell’acqua 373.15 °K. La temperatura di 0°K viene detta ‘zero assoluto’
e rappresenta il valore di temperatura in corrispondenza del quale le molecole e
gli atomi di un corpo presentano la minore energia termica possibile. Per passare
dalla scala Kelvin alla scala Celsius si utilizza la seguente equazione:
t °C = t °K - 273.15
Altre scale termiche utilizzate nel passato ma attualmente in disuso sono la
scala Rankine e la scala Reamur.
Fattori di variazione della temperatura dell’aria
La temperatura dell’aria è soggetta a notevoli variazioni nel tempo e nello spazio. I principali fattori responsabili di queste variazioni sono i seguenti:
¿ altitudine
¿ latitudine
¿ distribuzione delle terre e dei mari
¿ venti e correnti marine
¿ distribuzione delle catene montuose
¿ esposizione
¿ copertura nuvolosa
¿ vegetazione.
33
Appunti di meteorologia marina
L'effetto dell'altitudine è dovuto al fatto che gli strati bassi dell’atmosfera si
riscaldano principalmente a causa della radiazione emessa dal suolo e solo subordinatamente per effetto del calore ricevuto direttamente dal Sole, perciò nella troposfera la temperatura diminuisce con l’aumentare dell’altitudine nella misura di
circa 6.5 °C per ogni 1000 m. L’effetto della latitudine dipende dalla quantità di
energia solare in arrivo sui vari luoghi della Terra, per cui si assiste ad un surplus
di energia termica nella zona compresa tra l’Equatore ed i Tropici rispetto alla
fascia compresa tra i Tropici ed i Poli. Di conseguenza, per effetto della diversa
inclinazione e distanza dei raggi solari rispetto alla superficie terrestre, le zone
intertropicali dovrebbero divenire progressivamente sempre più calde e quelle
extratropicali sempre più fredde; in realtà però intervengono altri fattori, tra cui
assume particolare importanza la circolazione dell’aria e delle acque, che consentono una ridistribuzione dell’energia termica tra le differenti aree della Terra
agendo da potente meccanismo regolatore.
In questo processo svolgono un ruolo importante anche gli ostacoli naturali,
come le catene montuose ed i rilievi sottomarini, che possono impedire o modificare la libera circolazione delle masse di aria e di acqua. Generalmente quando
una massa d’aria incontra un rilievo è costretta a sollevarsi in quota raffreddandosi (convezione forzata) e, una volta superata la cima, discende dal versante
opposto riscaldandosi per compressione adiabatica, cioè senza scambio di calore
con l’esterno. Un altro importante fattore regolatore della temperatura del Pianeta
è la capacità termica delle terre e dei mari. È noto infatti come il terreno e le
rocce siano caratterizzate da una scarsa capacità termica, per cui tendono a riscaldarsi rapidamente nelle ore centrali del giorno e durante l’estate, ma altrettanto
rapidamente si raffreddano durante la notte ed in inverno. Al contrario, le acque
sono caratterizzate da una maggiore capacità termica, perciò si riscaldano più
lentamente delle terre emerse e più lentamente cedono il calore immagazzinato.
Di conseguenza, le aree prossime alla costa mostrano un clima temperato e dolce,
caratterizzato da una minore escursione termica diurna e stagionale rispetto alle
zone continentali lontane dall’influenza del mare.
La temperatura locale è influenzata anche dall’esposizione dei versanti, poiché nell’emisfero settentrionale i pendii rivolti verso Sud ricevono una maggiore
quantità di radiazione solare e, quindi, tendono a riscaldarsi maggiormente rispetto a quelli rivolti verso Nord.
La copertura nuvolosa può svolgere un effetto contrastante sulla temperatura di una determinata località in base all’ora del giorno: durante le ore diurne
le nubi intercettano parte della radiazione solare impedendo che raggiunga il
Pianeta, perciò esercitano un effetto di raffreddamento sulla superficie terrestre;
al contrario, durante le ore notturne, le nubi formano uno ‘schermo’ che limita la
dispersione delle radiazioni infrarosse termiche emesse dalla superficie terrestre,
trattenendo il calore negli strati bassi dell’atmosfera.
È infine importante ricordare il ruolo svolto dalla vegetazione e, in particolare,
dalle foreste, che, attraverso il processo di traspirazione, sottraggono all’atmosfera grandi quantità di calore latente di evaporazione e quindi regolano la distribuzione della temperatura sulla Terra.
La distribuzione della temperatura
La distribuzione della temperatura su un determinato territorio è rappresentata
sulle carte attraverso le isoterme, linee continue che uniscono tutti i punti della
Terra aventi la stessa temperatura media durante l’intero anno o in determinati
periodi dell’anno. Di particolare importanza sono le isoterme relative ai mesi di
34
I. Il tempo meteorologico
luglio e di gennaio, quando le temperature raggiungono rispettivamente i valori
stagionali più elevati o più bassi a seconda della zona dell’emisfero in studio.
Dall’osservazione di queste due isoterme è infatti possibile valutare l’escursione
termica annua che risulta minima in corrispondenza dell’Equatore e massima ai
Poli, analogamente essa è più bassa in prossimità delle coste e più alta all’interno
dei continenti a causa della maggiore capacità termica dei mari rispetto alle terre
emerse. Per studiare la distribuzione della temperatura su vaste aree (continenti o
l’intera superficie terrestre) è opportuno eliminare l’effetto locale dei rilievi tenendo conto della variazione termica con l’altitudine e, quindi, riportando i valori reali
della temperatura a livello del mare. La distribuzione della temperatura sulla Terra
è regolata dall’interazione tra tutti i fattori prima analizzati. Su scala planetaria si
osserva una diminuzione della temperatura procedendo dall’Equatore verso i Poli
e si distinguono le seguenti zone:
¿ una zona torrida, inclusa tra i due Tropici
¿ due zone temperate, incluse tra i Tropici e i circoli polari
¿ due zone polari.
Dal confronto della distribuzione della temperatura tra i due emisferi (figura
16), si osserva come la diminuzione della temperatura con la latitudine sia più
graduale nell’emisfero meridionale rispetto a quello settentrionale.
gennaio
luglio
Figura 16 - Isoterme di gennaio e di luglio.
I valori sono espressi in °C.
35
Appunti di meteorologia marina
Nell’emisfero meridionale le isoterme appaiono per lunghi tratti rettilinee e
tendono a seguire la direzione dei paralleli, mentre in quello settentrionale le isoterme mostrano un andamento più irregolare e variabile nel tempo.
Le differenze tra i due emisferi sono dovute principalmente al fatto che a sud
dell’Equatore prevalgono le superfici marine sulle quali la distribuzione della temperatura risulta molto regolare, mentre nell’emisfero settentrionale prevalgono le
superfici continentali caratterizzate da valori estremi di temperatura e da un’ampia variabilità stagionale. Per questo motivo l’emisfero Sud presenta una minore
escursione termica rispetto a quello Nord.
Le variazioni giornaliere di temperatura sono causate essenzialmente dalla
posizione del Sole sopra l’orizzonte. All’aumentare dell’altezza del Sole sopra
l’orizzonte aumenta l’intensità della radiazione solare in arrivo sulla superficie
terrestre e, quindi, aumentano anche le temperature dell’aria e del suolo (figura
17). L’incremento termico prosegue fino a quando il calore ricevuto dal Sole supera quello emesso dal sistema atmosfera-Terra.
La temperatura raggiunge pertanto il suo massimo valore circa due ore dopo il
passaggio del Sole al culmine (massima altezza sopra l’orizzonte), cioè quando il
calore ricevuto dalla Terra è bilanciato da quello emesso.
Successivamente il calore in uscita supera quello in arrivo, per cui la superficie
terrestre e la sua atmosfera iniziano a raffreddarsi raggiungendo il valore minimo
di temperatura intorno all’alba.
Figura 17 - Variazione giornaliera della radiazione solare e della temperatura dell’aria
(dati del 1 ottobre 2004 - stazione meteorologica del CoMMA-Med
c/o l’ITN ‘Cappellini’ di Livorno).
La misura della temperatura
Per la misura della temperatura dell’aria si fa uso generalmente di metodi indiretti basati sugli effetti del riscaldamento o del raffreddamento di un corpo,
poiché i corpi hanno la proprietà di dilatarsi o di contrarsi in base alla loro energia
termica. Questo fenomeno, detto dilatazione termica, offre quindi la possibilità
36
I. Il tempo meteorologico
di ridurre la misura delle temperature a misure di lunghezza o di volume.
Il primo dispositivo per la misura della temperatura, il termoscopio, (figura
18) fu ideato da Galileo Galilei (1564-1642). Il termoscopio galileiano consiste in
un’ampolla di vetro piena di aria e munita di un sottile tubo capillare. In questo
strumento la sostanza termoscopica è rappresentata dall’aria contenuta nell’ampolla ed il suo principio di funzionamento si basa sulle variazioni di volume e di
pressione a cui questa è soggetta al variare della temperatura (legge dei gas di
Gay-Lussac).
Dopo aver riscaldato l’aria contenuta nell’ampolla, lo
strumento viene capovolto in modo che il capillare di vetro peschi in una bacinella piena di acqua.
In seguito alla contrazione subita dall’aria durante il
raffreddamento, viene ripescata dell’acqua dal recipiente
sottostante e l’altezza raggiunta dalla colonnina di acqua
all’interno del capillare risulta proporzionale alla temperatura dell’aria esterna. Una modifica a questo strumento
è stata introdotta dal Granduca Ferdinando II de Medici
(1610-1670) che sostituì l’aria con un liquido organico
detto ‘acquarzente’ (alcool etilico), caratterizzato da una
maggiore dilatabilità rispetto all’aria e dal fatto che solidifica a temperature più basse (- 116° C); inoltre, venne sigillata l’estremità aperta del capillare di vetro ed inserita
una scala graduata, con la trasformazione definitiva del
termoscopio galileiano in un vero e proprio termometro.
Da allora sono stati compiuti enormi progressi e numeFigura 18 - termoscopio.
rose sostanze termo-dilatabili (gas, liquidi e solidi) sono
state utilizzate come indicatori di temperatura.
Tra le sostanze liquide quelle maggiormente diffuse sono il mercurio e l’alcool.I
termometri a mercurio o ad alcool sono graduati con la scala centigrada (o scala
Celsius) nella quale il valore di 0°C corrisponde alla temperatura di fusione del
ghiaccio e quello di 100°C alla temperatura di ebollizione dell’acqua. Il convenzionale termometro a mercurio si basa sulla dilatazione termica del mercurio posto
all’interno di un bulbo munito di un tubetto capillare.
Quando il bulbo viene messo in contatto termico con un corpo a temperatura
ignota, il livello del mercurio sale all’interno del capillare in maniera proporzionale alla temperatura del corpo stesso. Alle dilatazioni volumetriche è associata una
scala lineare di variazione di temperatura riportata direttamente sul capillare.
Le caratteristiche che deve possedere un buon termometro a mercurio sono la
sensibilità, la prontezza e la precisione.
Affinché un termometro a mercurio possieda una elevata sensibilità occorre che
il bulbo sia grande ed il capillare sottile, in modo che ad una piccola variazione di
temperatura corrisponda uno spostamento relativamente grande del menisco di
mercurio all’interno del capillare.
Tuttavia, nel caso in cui il bulbo fosse troppo grande, esso richiederebbe un
tempo notevole per raggiungere l’equilibrio termico con l’ambiente circostante ed
il termometro risulterebbe poco ‘pronto’. La precisione dipende dalla cura con cui
è stata costruita la scala e da eventuali deformazioni o alterazioni che il termometro può subire nel tempo.
Attraverso piccole modifiche i termometri ora descritti possono essere trasformati in termometri a massima e termometri a minima. Nel caso dei termometri
a massima, il capillare presenta una strozzatura in corrispondenza del punto di
37
Appunti di meteorologia marina
inserzione sul bulbo. Questa strozzatura consente l’uscita del mercurio dal bulbo
in seguito all’aumento della temperatura.
Quando la temperatura ridiminuisce, la strozzatura provoca la rottura della
colonnina di mercurio il cui menisco superiore continua ad indicare la massima
temperatura raggiunta. Il termometro a minima è un termometro ad alcool il cui
menisco quando si ritira trascina con sé un piccolo cilindro in acciaio immerso
nell’alcool. Quando la temperatura aumenta nuovamente, l’alcool si dilata senza
spostare il cilindretto che continua a segnare il valore minimo raggiunto. Per il
riazzeramento di questi termometri si utilizza in genere un piccolo magnete.
Nei termometri meccanici registratori (termografi) l’elemento sensibile termometrico è costituito da una lamina bimetallica composta da materiali a differente coefficiente di dilatazione termica.
La lamina è fissata ad una delle due estremità, mentre l’estremità libera è
collegata ad un braccio scrivente. La deformazione subita dalla lamina risulta
proporzionale alla variazione della temperatura esterna e provoca il movimento
dell’estremità libera connessa al braccio scrivente, il quale è dotato di un apposito pennino che registra la variazione termica su una carta diagrammata avvolta
attorno ad un tamburo azionato da un meccanismo ad orologeria.
Sullo stesso principio si basa anche il termometro a tubo di Bourdon, in cui
l’elemento sensibile è un tubo metallico di sezione ellittica avvolto a spirale.
L’estremità libera del tubo si deforma in funzione della temperatura ed è collegata
ad un sistema di leve che trasmette il moto ad un pennino registratore.
Nell’ambito delle misure meteorologiche moderne, stanno assumendo una notevole diffusione i termometri elettronici che producono un segnale elettrico in
uscita (tensione, corrente o resistenza) proporzionale alla temperatura esterna.
La variazione del segnale elettrico in uscita da questi strumenti in seguito ad una
variazione termica di 1°C viene indicata come coefficiente termico e fornisce
un’indicazione della ‘sensibilità’ del sensore in esame.
I termometri elettronici sono indispensabili qualora si voglia procedere all’acquisizione automatica dei dati e possono essere distinti in tre categorie principali:
¿ termometri a termocoppia
¿ termoresistenze
¿ termistori
38
I. Il tempo meteorologico
Termometri a termocoppia
Una termocoppia (figura 19) è costituita da due fili di materiale metallico differente
saldati ad una delle loro estremità, mentre l’altra estremità normalmente raggiunge dei
morsetti che la collegano a dei cavi elettrici per il trasporto del segnale ad un acquisitore. Il principio di funzionamento della termocoppia si basa sull’effetto termoelettrico,
scoperto da Seebeck. Tale effetto consiste nel fatto che quando si collegano tra loro
due metalli di natura diversa si stabilizza a cavallo della loro giunzione una forza elettromotrice che risulta proporzionale alla temperatura. Una saldatura tra i due fili della
termocoppia è mantenuta ad una temperatura nota (giunto di riferimento, t0), mentre
l’altra alla temperatura da misurare (giunto di misura, t). Il valore della tensione in uscita
dipenderà dalla differenza tra le due temperature e da un coefficiente (k) che è determinato dal materiale metallico da cui sono costituiti i fili: V = k (t – t0)
La termocoppia viene generalmente inserita in un cilindro di materiale isolante che
presenta due condotti assiali per i fili, in modo che da un lato sporga il giunto di misura
e dall’altro i fili che vanno direttamente all’acquisitore. Il giunto di misura della termocoppia deve essere opportunamente
schermato per impedire che si riscaldi ad
opera della radiazione solare incidente.
Tra le coppie maggiormente utilizzate vi
sono quelle a rame-costantana e a ferrocostantana.
Figura 19 - Termocoppia.
Termoresistenze
Questi strumenti si basano sul fatto che in certi materiali i termoconduttori, la resistenza varia linearmente in funzione della temperatura. Di conseguenza dalla misurazione della resistenza di un filo conduttore o termoresistenza (generalmente di platino) si
può risalire alla temperatura. Solitamente la termoresistenza viene mantenuta protetta
all’interno di una capsula di vetro da cui fuoriescono i due sottili conduttori che consentono il collegamento elettrico.
Termistori
I termistori consistono in semiconduttori, cioè materiali che presentano una conduttività elettrica intermedia tra quella dei conduttori e quella degli isolanti, caratterizzati
da un coefficiente termico molto elevato. In questi strumenti l’aumento di temperatura
di un grado Celsius provoca una diminuzione della resistenza di circa il 5%. Questi strumenti quindi presentano il vantaggio di avere una elevata sensibilità, ma necessitano di
opportuni circuiti elettrici per ovviare alla loro mancanza di linearità.
Indipendentemente dal sensore o strumento scelto, un’accurata misura della temperatura dell’aria richiede una serie di accorgimenti. Il sensore deve essere sempre collocato all’ombra all’interno di una struttura di legno o metallica che assicuri la protezione
dalla radiazione solare diretta e nello stesso tempo garantisca una buona ventilazione
naturale, nel caso non sia possibile disporre di una ventilazione artificiale per mezzo di
appositi ventilatori. I sensori inoltre devono essere posizionati ad un’altezza di circa 2
metri dal suolo per impedire che vengano influenzati dalla riflessione e/o dall’irraggiamento termico del substrato.
Anche nel caso delle navi, i sensori termometrici devono essere posti all’interno di
apposite strutture dipinte di bianco e dotate di feritoie, che consentono la ventilazione
ed il minimo assorbimento della radiazione solare. Queste strutture devono essere poste
sul ponte e lontano da sorgenti di calore (sala motori, fumaiole) che possono alterare
la misura.
39
Appunti di meteorologia marina
La pressione atmosferica
La pressione è definita come la forza che agisce perpendicolarmente sull’unità
di superficie. La massa d’aria atmosferica, come tutti i corpi sottoposti all’azione della gravità, ha un suo peso e quindi esercita una pressione sulla superficie
terrestre, indicata con il nome di pressione atmosferica. L’esistenza della pressione atmosferica è stata dimostrata per la prima volta dal fisico italiano Torricelli
(1608-1647), attraverso la nota esperienza che porta il suo nome. Egli ha dimostrato che a livello del mare, a 45° di latitudine e a 0°C di temperatura (condizioni
standard o normali), l’aria esercita su un 1 cm2 di superficie una pressione equivalente a quella di una colonna di mercurio alta 760 mm e con una sezione di 1
cm2 (pressione normale); Il mm di mercurio è stato chiamato torr in onore dello
scienziato.
Unità di misura
Da un punto di vista scientifico non è corretto esprimere una pressione attraverso una lunghezza, perciò in meteorologia la pressione atmosferica non viene
indicata con il mm di mercurio ma con altre unità di misura. Quella maggiormente
utilizzata in passato in ambito meteorologico era il bar, o meglio il suo sottomultiplo, il millibar (mb). La pressione atmosferica normale di 760 mm di mercurio
corrisponde a 1013.25 mb. Il Sistema Internazionale (SI) delle unità di misura
impone di utilizzare il Newton su metro quadrato (N m-2) definito Pascal (Pa), per
cui anche in ambito meteorologico la pressione atmosferica è attualmente espressa attraverso un multiplo del Pascal, l’ettopascal (hPa). Per chiarire le relazioni
esistenti tra le unità di misura della pressione maggiormente utilizzate in ambito
meteorologico si veda quanto riportato di seguito:
1 Pa = 1 N m-2
1 hPa = 100 Pa = 100 N m-2
1 mbar = 100 N m-2
1hPa = 1 mbar
Tuttavia alcune unità di misura, quali il millimetro o il pollice di mercurio,
sono ancora utilizzate, perciò di seguito vengono riportati i fattori di conversione
tra queste unità di misura e l’ettopascal:
1 hPa = 0.750062 mm di Hg = 0.02953 pollici di Hg
1 mm di Hg = 1.333224 hPa = 0.03937008 pollici di Hg
(dove 1 pollice = 25.4 mm)
Fattori di variazione della pressione atmosferica
La pressione atmosferica non agisce solamente perpendicolarmente al suolo ma,
essendo l’aria un fluido, in tutte le direzioni, per cui normalmente non abbiamo la
percezione del peso della massa d’aria che ci sovrasta. La pressione sulla superficie
terrestre non è uniforme, ma varia considerevolmente nel tempo e nello spazio in
funzione principalmente dei seguenti fattori:
¿ altitudine
¿ temperatura
¿ umidità
Per quanto riguarda l’altitudine, è noto come allontanandosi dal suolo il peso
dell’aria che sovrasta l’unità di superficie terrestre diminuisca rapidamente (figura
20). Di conseguenza anche la pressione atmosferica diminuisce con l’altitudine e
l’aria diviene sempre più rarefatta man mano che si sale in quota, perciò la pressione registrata a livello del mare è maggiore rispetto a quella registrata sulle cime
delle montagne. La diminuzione della pressione con l’altitudine è di circa 1 mbar
per ogni 10 m.
40
I. Il tempo meteorologico
Figura 20 - Variazione della pressione.
Figura 21 - Moti convettivi ascendenti
e discendenti con l’altitudine.
L’effetto della temperatura sulla pressione è dovuto essenzialmente al fatto
che le particelle che compongono un gas sono dotate di moto caotico e che la
velocità con cui si muovono aumenta con l’aumentare della temperatura.
L’aria riscaldandosi si dilata, diviene meno densa e, quindi, il suo peso per
unità di superficie diminuisce, perciò il riscaldamento determina il sollevamento
dell’aria verso l’alto ed una diminuzione della pressione atmosferica sottostante.
Al contrario, con l’abbassarsi della temperatura la massa d’aria diventa più
densa e tende a spostarsi verso il basso, provocando un aumento della pressione
sulla superficie terrestre. Il processo con cui l’aria riscaldandosi o raffreddandosi
modifica la propria densità e tende rispettivamente a salire in quota o a scendere
verso la superficie si definisce ‘convezione termica’.
Le masse d’aria calda in moto convettivo ascendente si spostano progressivamente verso zone dell’atmosfera caratterizzate da valori di pressione e temperatura più bassi, per cui tendono ad espandersi ed a raffreddarsi; al contrario, le
masse d’aria fredda in moto convettivo discendente tendono a comprimersi e a
riscaldarsi avvicinandosi al suolo (figura 21).
Un effetto determinante sulla pressione è esercitato anche dall’umidità.
Contrariamente a quello che comunemente si pensa l’aria umida è più leggera
di quella secca, perché le molecole di acqua sono più leggere di tutti gli altri componenti dell’atmosfera, perciò una massa d’aria contenente una certa percentuale
di vapore acqueo è più leggera rispetto ad una massa d’aria asciutta di uguale
volume. La combinazione dei suddetti fattori provoca ampie variazioni della pressione atmosferica nel tempo e nello spazio e regola la distribuzione di questo
elemento meteorologico sulla superficie terrestre.
41
Appunti di meteorologia marina
La distribuzione della pressione
La distribuzione della pressione nello spazio può essere rappresentata, analogamente a quanto avviene per la temperatura, mediante carte sulle quali si congiungono con una linea continua i punti della superficie terrestre caratterizzati
dagli stessi valori barici. Le linee che si ottengono prendono il nome di isobare,
che nelle carte meteorologiche sono solitamente intervallate di 4 mb. Queste linee
possono assumere una grande varietà di forme che indicano particolari configurazioni bariche (figura 22), tra cui le principali sono:
¿
il ciclone o depressione o zona di bassa pressione, area individuata dall’insieme di isobare chiuse, circolari o ellittiche, in cui il valore della pressione
decresce dalla periferia verso il centro;
¿
l'anticiclone o zona di alta pressione, area individuata dall’insieme di isobare
chiuse, circolari o ellittiche, in cui il valore della pressione decresce procedendo
dal centro verso la periferia;
¿
la saccatura, area individuata da un’espansione cuneiforme di una depressione
fra due anticicloni;
¿
il promontorio, area individuata da un’espansione cuneiforme di un anticiclone tra due depressioni;
¿
la pressione livellata, area individuata da isobare di uguale valore in cui la
pressione si mantiene pressoché uniforme.
Figura 22 - Raffigurazione delle isobare e delle principali configurazioni bariche.
A) Anticiclone o zona di alta pressione, B) Depressione o zona di bassa pressione,
S) Saccatura, P) Promontorio, L) livellata.
Le aree anticicloniche sono zone in cui l’aria fredda e secca tende a spostarsi
verso il basso e a divergere con moto vorticoso verso le zone circostanti di bassa
pressione; al contrario, in corrispondenza delle zone cicloniche l’aria calda ed
umida converge verso il centro di bassa pressione e si solleva in quota dando
luogo a nubi e precipitazioni. La distribuzione della pressione sul nostro Pianeta
è influenzata principalmente dal differente riscaldamento/raffreddamento della
superficie terrestre col variare della latitudine. In particolare, su scala planetaria è
possibile identificare le seguenti aree (figura 23):
¿ una fascia equatoriale di basse pressioni
¿ due fasce sub-tropicali di alte pressioni
¿ due fasce sub-polari di basse pressioni
¿ due fasce polari di alte pressioni.
42
I. Il tempo meteorologico
In realtà, a causa della distribuzione irregolare delle terre e dei mari, si osserva
la formazione di aree di alta e bassa pressione discontinue e variabili nel tempo.
Infatti, l’emisfero meridionale è caratterizzato da una maggiore superficie oceanica rispetto a quello settentrionale e, quindi, mostra una distribuzione della temperatura più regolare nello spazio ed escursioni termiche minori. Di conseguenza,
anche i valori della pressione sono strettamente associati al differente regime
termico che si osserva tra i due emisferi.
Le variazioni stagionali di pressione sono dovute essenzialmente al differente riscaldamento/raffreddamento della superficie terrestre durante l’anno e alla
minore capacità termica della crosta terrestre rispetto alle masse d’acqua, perciò
alle nostre latitudini la pressione presenta un minimo estivo e un massimo invernale sulle zone continentali e la situazione inversa sugli oceani (figura 23).
mare di gennaio
mare di luglio
Figura 23 - Distribuzione media della pressione (mb) a livello del mare in gennaio e luglio.
43
Appunti di meteorologia marina
Le variazioni giornaliere di pressione sono causate essenzialmente dalle
oscillazioni di temperatura ed umidità che si verificano nell’arco delle 24 ore col
variare soprattutto dell’insolazione e dell’irraggiamento termico del suolo (figura
24). L’andamento e l’ampiezza di queste variazioni sono estremamente variabili e
dipendono dalla località, dalle stagioni, dall’altitudine e dalle condizioni atmosferiche del giorno in cui si esegue la misura. Tuttavia, in linea generale si possono
osservare due tipi principali di variazioni giornaliere della pressione:
¿
una variazione regolare (detta anche variazione diurna), in cui si osserva
una doppia oscillazione con due massimi, intorno alle ore 10-11 e alle ore 22
23, e due minimi, intorno alle ore 4-5 e alle ore 16-17 (figura 24a). In genere
questa oscillazione è di piccola entità e risulta massima all’Equatore e minima
oltre i 60° di latitudine;
¿
una variazione irregolare, dovuta principalmente al passaggio di perturbazioni atmosferiche su una determinata località (figura 24b). In questi casi non si
osserva più la variazione diurna e la pressione può cambiare sensibilmente da
un giorno all’altro (anche di 10-20 mb).
Queste considerazioni sulla pressione svolgono un ruolo fondamentale nel
comprendere la circolazione delle masse d’aria sulla superficie terrestre. Infatti,
gli squilibri di pressione tra differenti aree della Terra determinano lo spostamento di masse d’aria da una zona di alta pressione relativa verso una zona di bassa
pressione relativa, dando origine al sistema dei venti.
Figura 24 - Andamento giornaliero della pressione registrata a Livorno
il 12 ottobre 2004 (a) e il 26 ottobre 2004 (b) (CoMMA-Med).
La misura della pressione
Gli strumenti utilizzati per misurare la pressione sono chiamati barometri (dal
greco bàros = peso). Il barometro a mercurio, ideato da Torricelli nel 1643, ha
rappresentato per numerosi anni l’unico strumento in grado di misurarla. In pratica, a questo barometro è annessa una scala graduata per leggere direttamente il
dislivello raggiunto dalla colonnina di mercurio (figura 25).
Uno dei barometri a mercurio più noti è il barometro FORTIN, costituito da una
vaschetta cilindrica in vetro contenente mercurio e da una canna di vetro protetta
esternamente da un cilindro in ottone sul quale è incisa una scala graduata.
44
I. Il tempo meteorologico
Figura 26 - Principio di funzionamento
di un barometro aneroide.
Figura 25 - Barometri a mercurio.
Per un uso corretto di questo barometro è necessario introdurre dei fattori di
correzione che tengano conto della variazione di densità del mercurio con la temperatura e della dilatazione termica della scala. Per questo scopo questi barometri
sono sempre dotati anche di un termometro per il rilevamento della temperatura
interna.
Un notevole progresso nella misura della pressione atmosferica si deve all’invenzione del barometro aneroide (1848). Questo barometro è costituito da una
scatola di lamiera ondulata (c) in cui viene fatto il vuoto (figura 26). La scatola
subisce delle deformazioni a causa della pressione esterna ed i piccoli spostamenti della lamiera vengono amplificati mediante un sistema di leve e trasmessi
ad un indice mobile su una scala graduata (figura 26). Questo strumento, rispetto
al barometro a mercurio, presenta il vantaggio di essere più maneggevole e più
facilmente trasportabile. I barometri elettronici maggiormente diffusi al giorno
d’oggi sono costituiti da capsule olosteriche o aneroidi. Questi strumenti sono
dotati di una membrana elastica che chiude una capsula contenente un gas mantenuto ad una pressione di riferimento (1013.25 mbar). L’elemento elastico è
soggetto anche alla forza peso esercitata dalla colonna d’aria sovrastante.
Quando la pressione interna alla capsula eguaglia quella esterna, la membrana
elastica non subisce alcuna deformazione; al contrario, quando la pressione esterna è differente rispetto a quella interna alla capsula, l’elemento elastico subisce
una deformazione (contrazione o espansione) che dipende dai seguenti fattori:
¿ dalla differenza tra la pressione del gas interno alla camera e la pressione media dell’atmosfera nel punto in cui si effettua la misura;
¿ dalla temperatura (che tende a provocare un aumento della pressione della
camera elastica);
¿ dall’accelerazione di gravità (che produce un effetto simile a quello della temperatura).
L’effetto della temperatura e dell’accelerazione di gravità viene contrastato e
corretto attraverso opportuni meccanismi compensatori, per cui la deformazione
della camera elastica è proporzionale alla sola differenza di pressione. Nel caso
dei barometri comunemente impiegati nelle reti di monitoraggio, la deformazione
della camera elastica viene infine tradotta in un segnale elettrico analogico che
consente l’acquisizione automatica della pressione atmosferica.
45
Appunti di meteorologia marina
I venti
I venti sono prodotti da spostamenti delle masse d’aria che si muovono parallelamente alla superficie terrestre. Precedentemente abbiamo visto come il riscaldamento o il raffreddamento delle masse d’aria determini la formazione rispettivamente di aree cicloniche e anticicloniche. Per ristabilire l’equilibrio barico, l’aria
tende a spostarsi in superficie dalle aree anticicloniche a quelle cicloniche dando
origine ai venti (figura 27). Dalle zone cicloniche le masse d’aria salgono in quota,
si raffreddano e, giunte nella parte alta della troposfera, si dirigono con moto
orizzontale verso le zone anticicloniche, ove discendono al suolo per convergere
nuovamente verso le zone di bassa pressione chiudendo il ciclo. Questo tipo di
circolazione elementare delle masse d’aria prende il nome di cella convettiva.
Figura 27 - Spostamenti delle masse d’aria tra le zone anticicloniche (A) e cicloniche (B).
La forza principale che origina ed alimenta gli spostamenti delle masse d’aria
sulla superficie terrestre è il gradiente barico, ovverosia il rapporto tra la differenza di pressione esistente tra le due aree in studio (ciclonica ed anticiclonica)
e la loro distanza. È ovvio che la velocità di spostamento delle masse d’aria, e
quindi la velocità del vento, sarà tanto più elevata quanto maggiore è il gradiente barico. Il vento tenderebbe a spostarsi dalle aree di alta pressione a quelle di
bassa pressione seguendo la via più breve, cioè perpendicolarmente alle isobare
(figura 28a).
Tuttavia, le masse d’aria in movimento vengono deviate rispetto alla direzione
teorica prevista dal gradiente barico a causa principalmente dei seguenti fattori:
¿ la rotazione terrestre (forza apparente di Coriolis)
¿ la forza di attrito
¿ la forza centrifuga
¿ gli ostacoli orografici.
La forza apparente di Coriolis è dovuta al fatto che, in seguito alla rotazione
della Terra attorno al proprio asse, tutti i punti del sistema Terra-atmosfera impiegano lo stesso tempo a compiere una rotazione completa ed hanno la stessa
velocità angolare, mentre la distanza percorsa è differente ed aumenta dai Poli
all’Equatore. Di conseguenza la velocità lineare (velocità = spazio/tempo) della
rotazione aumenta al diminuire della latitudine, per cui una massa d’aria in movi-
46
I. Il tempo meteorologico
mento dai Poli verso l’Equatore viene a spostarsi da zone in moto più lento verso
zone in moto più rapido e, quindi, viene a trovarsi progressivamente sempre più
in ritardo rispetto alla posizione che avrebbe in assenza di rotazione terrestre.
Dato che il movimento di rotazione della Terra è diretto da Ovest verso Est, i venti
deviano alla loro destra nell’emisfero boreale ed alla loro sinistra nell’emisfero
australe (legge di Ferrel).
La forza apparente di Coriolis fa sì che i venti vengano deviati fino a portarsi
in direzione quasi parallela a quella delle isobare ed in modo che un ipotetico
osservatore con le spalle al vento abbia la bassa pressione sulla sinistra nell’emisfero boreale e sulla destra
nell’emisfero australe (legge
di Buys-Ballot).
In realtà, il vento negli
strati bassi dell’atmosfera
non spira parallelamente alle
isobare, poiché la sua direzione risulta fortemente influenzata anche dall’attrito
con la superficie terrestre.
La forza di attrito risulta
sempre proporzionale alla
velocità del vento e diretta in
senso contrario ad esso, per
cui la direzione del vento al
suolo mostra una deviazione rispetto alla direzione del
gradiente barico (perpendicolare alle isobare) inferiore
rispetto a quella osservata ad
alta quota (figura 28a).
In particolare, l’angolo formato tra la direzione effettiva
del vento e la perpendicolare
alle isobare varia in superficie
da valori di 10-15° sul mare a
valori di 20-30° sulla terraferma, ove l’attrito è maggiore.
Come conseguenza di
queste tre forze modificatrici
Figura 28 - Effetto della forza del gradiente barico,
(forza del gradiente barico,
della forza apparente di Coriolis e delle forza di attrito
forza apparente di Coriolis e
sulla direzione di spostamento di una massa d’aria che
forza di attrito), nell’emisfesi muove da una zona di alta pressione o anticiclonica
ro boreale il vento tende ad
(A) verso una zona di bassa pressione o ciclonica (B).
entrare nelle aree cicloniche
e a convergere verso il nucleo centrale di bassa pressione con moto spiraliforme
antiorario e ad uscire dalle aree anticicloniche con moto spiraliforme orario (figura 28b).
Il vento inoltre si dirige dalle zone anticicloniche verso quelle cicloniche con
traiettorie curvilinee (figura 28b), che assumono un’importanza fondamentale per
stabilire le rotte ideali di navigazione.
47
Appunti di meteorologia marina
Anche la forza centrifuga può contribuire a modificare la direzione di provenienza del vento, determinando uno spostamento delle traiettorie curvilinee verso
l’esterno.
È importante evidenziare come la forza apparente di Coriolis agisca modificando solo la direzione di provenienza del vento, mentre la forza di attrito esercita
un’azione frenante sul vento modificando, oltre alla direzione, anche la sua velocità. In particolare, la velocità del vento sulla terraferma e sul mare è rispettivamente circa il 50-60% ed il 65-70% rispetto a quella che si avrebbe in assenza di
attrito superficiale.
Anche i rilievi montuosi possono influenzare le masse d’aria in movimento
modificando la direzione e la velocità dei venti, oltre che la loro temperatura ed
umidità. Quando una massa d’aria in movimento incontra il versante di un monte
(versante sopravvento) è costretta a risalirlo e ad alzarsi in quota (convezione forzata), ove si raffredda e condensa dando luogo a nebbie, nubi (cumuli orografici)
e pioggia. La massa d’aria quindi perde umidità e, giunta in cima al monte, scende
dal versante opposto (versante sottovento) riscaldandosi per compressione adiabatica e originando un vento caldo e secco. Il fenomeno che determina l’accumulo
di nubi sul versante sopravvento del rilievo viene indicato con il termine di Stau,
mentre il vento caldo e secco che si origina sul versante sottovento costituisce il
ben noto Föhn. Un esempio di questi fenomeni si osserva in corrispondenza della
catena alpina, in cui l’aria proveniente dall’Europa settentrionale è costretta a sollevarsi in quota e a raffreddarsi dando luogo a nubi e precipitazioni sul versante
alpino rivolto verso Nord, mentre sulle regioni sottovento si hanno le condizioni
tipiche del Föhn con cielo sereno, aria secca e visibilità ottimale.
Lo studio dei movimenti delle masse d’aria sulla superficie terrestre ha interessato l’uomo fin dall’antichità, come testimonia la ‘rosa dei venti’ di origine etrusco-latina (figura 29). Con essa vengono distinti i venti in base alla loro direzione
di provenienza rispetto ai quattro punti cardinali (Nord, Sud, Est ed Ovest).
Originariamente la ‘rosa dei venti’ era rappresentata solo da quattro direzioni
principali individuate dai punti cardinali, mentre successivamente fu ulteriormente suddivisa nelle direzioni intermedie o intercardinali (Nord-Est, Sud-Est, SudOvest e Nord-Ovest).
Ispirandosi ad essa l’architetto Andronico (vissuto
tra il II ed il I secolo a.C.)
costruì una torre di forma
ottagonale (la cosiddetta
‘Torre dei Venti’ di Atene)
con in cima una lamina
metallica a forma di tritone che ruotava intorno ad
un asse verticale in base
alla direzione di provenienza del vento (banderuola).
Su ogni lato dell’ottagono
sono raffigurate in bassorilievo delle divinità che
personificano il tempo associato a ciascun tipo di
vento (figura 30).
Figura 29 - Rosa dei venti.
48
I. Il tempo meteorologico
La ‘rosa dei venti’ attualmente viene suddivisa dai punti cardinali in quattro
quadranti, ciascuno dei quali è ulteriormente diviso in quattro parti uguali.
È possibile quindi individuare sedici differenti direzioni a partire da Nord e
procedendo in senso orario. Il vento che soffia da Nord è chiamato Tramontana
(dal latino trans montanus) poiché arriva oltrepassando i monti, quello da Sud
Mezzogiorno o Ostro (dal latino auster) perché di provenienza australe, quello da
Est Levante perché proviene dal punto in cui sorge il Sole e, infine, quello da Ovest
Ponente poiché proviene dal punto in cui tramonta il Sole.
I venti che soffiano da direzioni intermedie prendono il nome della regione
dalle quali sembrano provenire rispetto ad un ipotetico osservatore che si trovi al
centro del Mar Ionio.
Il vento che soffia da Nord-Est viene chiamato Greco o Grecale in quanto sembra provenire dalla Grecia, quello da Sud-Est Scirocco dalla Siria, quello da SudOvest Libeccio dalle coste della Libia e, infine, il vento che soffia da Nord-Ovest è
chiamato Maestro o Maestrale poiché è considerato il vento principale del Mediterraneo.
Il vento, essendo una grandezza vettoriale, viene espresso dalla velocità (o
intensità o forza) e dalla direzione di provenienza.
Le unità di misura maggiormente utilizzate per indicare la velocità del vento
sono i metri al secondo (m s-1), i chilometri all’ora (km h-1), i piedi al secondo (ft
s-1), le miglia all’ora (m.p.h, dove 1 miglio = 1620 m) e i nodi (kts, miglia nautiche
all’ora). Tuttavia, per favorire lo scambio di informazioni in ambito meteorologico
la velocità del vento viene per convenzione indicata in metri al secondo (unità di
misura del Sistema Internazionale) o in nodi. Questi ultimi vengono ampiamente
utilizzati soprattutto nella navigazione aerea, in quella marittima e nei bollettini
meteorologici.
Figura 30 - Torre dei venti di Atene (tratta dal sito www.sullacrestadellonda.it).
49
Appunti di meteorologia marina
Un nodo è l’equivalente di un miglio nautico all’ora, ovverosia 1852 metri all’ora
(o 0.5145 m s-1). Nei bollettini meteorologici l’intensità del vento può essere anche
riportata come vento sfilato (in km), che esprime la distanza in chilometri che
avrebbe percorso in quel determinato giorno una massa d’aria di uguale velocità.
Una scala empirica comunemente adottata per esprimere la velocità del vento
in ambito meteorologico è quella elaborata nel 1805 dall’Ammiraglio britannico
Francis Beaufort (1744-1857) e perciò denominata scala Beaufort della forza
del vento (tabella 5). Questa scala classifica la forza del vento in 12 gradi in base
agli effetti che il vento produce sulla superficie del mare lontano dalle coste e su
oggetti, piante, persone ecc. presenti sulla terraferma. I valori della velocità del
vento riportati nella tabella sono relativi ad un’altezza di 10 m al di sopra della
superficie terrestre o marina.
La direzione del vento indica la direzione di provenienza del flusso di massa
d’aria. Essa viene riportata in gradi e riferita al Nord geografico. Per favorire lo
scambio di informazioni in ambito meteorologico, i dati relativi alla direzione dei
venti sono riportati in intervalli di 10 gradi. Nei bollettini metorologici giornalieri
può essere indicata anche la frequenza
della direzione di provenienza, calcolata
eseguendo una misura di direzione otto
volte in un giorno (cioè ogni tre ore).
Per rappresentare i venti sulle carte
meteorologiche si ricorre ad una semplice simbologia internazionale (figura
31). La direzione dei venti sulle carte è
rappresentata con un segmento orientato nel senso di provenienza del vento
ed inserito su un cerchio che indica la
stazione di riferimento. La velocità viene
rappresentata per mezzo di una mezza
barretta trasversale ogni 5 nodi, una barretta ogni 10 nodi ed un piccolo triangolo
ogni 50 nodi; ad esempio, con il seguente simbolo:
Figura 31 - Simbologia internazionale
dell’intensità del vento. Il vento in figura
proviene sempre da Nord.
viene indicato un vento proveniente da
Nord-Est e con una velocità di 65 nodi.
In condizioni di calma (velocità inferiore a 1 nodo) la direzione e l’intensità sono
considerate nulle, perciò il vento viene generalmente rappresentato con un doppio cerchio concentrico.
I venti possono essere distinti in due tipologie principali:
¿ venti planetari
¿ venti locali
Mentre i venti locali compiono solo brevi percorsi e si ripetono con una certa
frequenza nelle stesse località, i venti planetari danno luogo alla circolazione
generale dell’atmosfera.
50
<1
1-3
4-6
7-10
11-16
17-21
22-27
28-33
34-40
41-47
48-55
56-63
64 e oltre
Bava di vento
Brezza leggera
Brezza tesa
Vento moderato
Vento teso
Vento fresco
Vento forte
Burrasca
Burrasca forte
Tempesta
Tempesta violenta o
fortunale
Uragano
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
118 e oltre
103-117
89-102
75-88
62-74
50-61
39-49
29-38
20-28
12-19
6-11
1-5
<1
Velocità in Velocità in
nodi
km h-1
Calma
Termine
descrittivo
0
Grado
Beaufort
32.7 e oltre
28.5-32.6
24.5-28.4
20.8-24.4
17.2-20.7
13.9-17.1
10.8-13.8
8-10.7
5.5-7.9
3.4-5.4
1.6-3.3
0.3-1.5
0-0.2
Velocità
in m s-1
Gravissime catastrofi
Grandi devastazioni
Sradica gli alberi
Asporta camini e tegole
Agita grossi alberi
Ostacola il cammino
Agita grossi rami
Agita i rami
Solleva polvere e carte
Agita le foglie
Si avverte sul viso
Il vento piega il fumo
Il fumo si alza
verticalmente
Effetti sulla
terraferma
L’aria è piena di schiuma e di spruzzi; il mare è completamente bianco a
causa dei banchi di schiuma alla deriva; la visibilità è fortemente ridotta
Onde eccezionalmente alte (le navi di piccola e media stazza scompaiono
per alcuni istanti); il mare è completamente coperto da banchi di schiuma
che si allungano nella direzione del vento; la sommità delle creste delle onde
è polverizzata dal vento; la visibilità è ridotta.
Onde molto alte con lunghe creste a criniera; la schiuma formatasi, addensata in larghi banchi, viene soffiata in strisce bianche e compatte nella direzione del vento; il mare appare completamente biancastro; le onde precipitano e
si accavallano in modo intenso e molto violento; la visibilità è ridotta.
Onde alte; si formano compatte strisce di schiuma lungo la direzione del
vento; le creste delle onde cominciano a vacillare, poi si infrangono rotolando; gli spruzzi possono ridurre la visibilità.
14 e
oltre
11.5
9
7
5.5
4
Il mare si gonfia; la spuma bianca che si forma al rompersi delle onde viene
soffiata in strisce nella direzione del vento
Onde di media altezza e maggiore lunghezza; la sommità delle creste inizia
a rompersi in spruzzi; la schiuma viene soffiata in bianche strisce ben visibili
nella direzione del vento.
3
2
1
0.6
0.2
0.1
-
min
-
16
12.5
10
7.5
5.5
4
2.5
1.5
1
0.3
0.1
-
max
Altezza probabile
delle onde (m)
Onde più grandi cominciano a formarsi; le creste di spuma bianca sono
ovunque più estese (probabile qualche spruzzo).
Onde moderate che assumono una forma più allungata; formazione di molti
marosi biancheggianti di spuma (possibilità di qualche spruzzo).
Onde piccole che cominciano ad allungarsi; i marosi biancheggianti di
spuma risultano più frequenti e più evidenti.
Onde molto piccole; le creste cominciano a rompersi; la schiuma ha apparenza vitrea; talvolta si osservano dei ‘marosi’ dalla cresta biancheggiante
di spuma.
Increspature corte ma più evidenti con creste che hanno apparenza vitrea e
non si rompono.
Si formano piccole increspature che sembrano scaglie di pesce senza creste
bianche di spuma.
Mare d’olio
Effetti sul mare lontano dalla costa
I. Il tempo meteorologico
Tabella 5 - Scala Beaufort della forza del vento.
51
Appunti di meteorologia marina
Venti planetari
I venti planetari possono essere suddivisi in:
¿ venti planetari di bassa quota
¿ venti planetari di alta quota.
I venti planetari di bassa quota o superficiali (figura 32) si creano per compensare le
differenze di temperatura e pressione esistenti tra la fascia tropicale e le due aree polari.
Riassumendo, a livello planetario è possibile distinguere una zona equatoriale di bassa
pressione o ciclonica con aria calda ed umida, due zone subtropicali di alta pressione
o anticicloniche con aria secca e mediamente meno calda rispetto alla zona equatoriale,
due zone polari di alta pressione o anticicloniche con aria fredda e secca e, infine,
due zone subpolari di bassa pressione o cicloniche con aria più umida e mediamente
più calda rispetto ai Poli. Questa distribuzione di aree cicloniche ed anticicloniche sulla
superficie terrestre determina lo spostamento di masse d’aria in base al gradiente barico
ed è responsabile della circolazione generale dell’atmosfera. Tra le aree anticicloniche
delle regioni subtropicali e l’Equatore spirano i venti tropicali orientali o Alisei, venti
costanti per tutto l’anno e ben noti ai navigatori. Per effetto della forza apparente di
Coriolis questi venti provengono da Nord-Est nell’emisfero boreale e da Sud-Est in quello
australe e tendono a convergere presso una zona vicino all’Equatore chiamata zona di
convergenza intertropicale (ITCZ) dove si concentra l’attività dei cumulonembi caratterizzata da piogge intense e continue. Sempre dalle aree anticicloniche subtropicali
spirano verso le zone subpolari i cosiddetti venti occidentali, provenienti da Sud-Ovest
nell’emisfero boreale e da Nord-Ovest in quello australe. Infine, dalle zone anticicloniche
polari spirano verso le zone subpolari i venti orientali polari, provenienti da Nord-Est
nell’area polare artica e da Sud-Est in quella antartica.
Ciascun emisfero mostra quindi tre celle convettive distinte (figura 32), indicate rispettivamente come cella di Hadley (o cella tropicale, figura 33) tra l’Equatore ed i 30°
di latitudine, cella di Ferrel (o delle medie latitudini) tra i 30° ed i 60° di latitudine e cella
polare oltre i 60° di latitudine. Dalle zone cicloniche di bassa pressione, l’aria calda ed
umida sale e si raffredda dando luogo a nubi e precipitazioni.
Al limite superiore della troposfera il moto diviene orizzontale, per cui le masse
d’aria tendono a spostarsi verso le zone anticicloniche, ove l’aria fredda scendendo
verso il suolo si comprime, si riscalda e diverge nuovamente verso le zone di bassa
pressione originando rispettivamente gli Alisei (cella di Hadley), i venti occidentali (cella
di Ferrel) ed i venti polari (cella polare). Tuttavia, la dinamica dell’atmosfera è molto più
complessa e meno schematica di quella ora descritta e, specialmente alle medie latitudini, le fluttuazioni delle masse d’aria rispetto alla cella di Ferrel sono estremamente
frequenti. Ciò è dovuto principalmente al fatto che il riscaldamento alle medie latitudini
non è costante, per cui il moto della cella convettiva non è stabile e continuo come quello
tropicale della cella di Hadley (figura 33).
Figura 32 - I venti planetari di bassa quota e le celle convettive di Hadley, di Ferrel e polare.
52
I. Il tempo meteorologico
Figura 33 - Rappresentazione schematica della cella di Hadley.
I venti planetari di alta quota presentano caratteristiche differenti rispetto a quelli
di bassa quota, non essendo influenzati dall’azione frenante dell’attrito e dalla presenza
di ostacoli orografici. Di conseguenza questi venti per azione della forza di Coriolis tendono a muoversi seguendo la direzione dei paralleli.
È opportuno mettere in evidenza come la carta delle pressioni a quote elevate non
coincida con quella delle pressioni a bassa quota, per cui in alcuni casi si può assistere
ad una inversione barica; ad esempio, il maggiore spessore della troposfera all’Equatore
rispetto ai Poli causa la formazione di un’area ciclonica polare di alta quota (sovrastante
l’anticiclone freddo), mentre sulla zona equatoriale sussiste un’area di elevata pressione
ad alta quota (sovrastante l’area ciclonica equatoriale). Questa inversione barica ad alta
quota determina lo spostamento di masse d’aria dall’Equatore verso i Poli.
Altri venti di alta quota sono le cosiddette correnti a getto (o jet stream) che si formano in seguito a forti differenze di temperatura e pressione a quote elevate (oltre i 9
km). Questi venti possono raggiungere i 300 km h-1 ed agire per migliaia di chilometri,
perciò vengono sfruttati per favorire la circolazione aerea e ridurre il consumo di carburante. In funzione della latitudine è possibile distinguere due tipi di correnti a getto,
indicate rispettivamente come corrente a getto subtropicale (o delle basse latitudini) e
corrente a getto del fronte polare (o delle alte latitudini).
Venti locali
I venti locali possono essere ulteriormente suddivisi in:
¿ venti periodici o regolari (monsoni e brezze)
¿ venti variabili.
I più importanti venti periodici sono i monsoni (figura 34), fra cui il più famoso è
quello delle aree asiatiche che circondano l’Oceano Indiano. Questi venti spirano dall’Oceano Indiano verso il continente asiatico durante i mesi estivi (monsoni di mare) e
dal continente verso l’Oceano durante i mesi invernali (monsoni di terra), determinando
l’alternanza di una stagione piovosa estiva ed una stagione secca invernale. La formazione dei monsoni è causata dalla contrapposizione tra la grande massa continentale a nord
dell’Equatore e la grande massa oceanica a sud.
Figura 34 - Rappresentazione schematica dei monsoni di terra e di mare.
53
Appunti di meteorologia marina
Durante il periodo invernale l’Oceano Indiano si raffredda meno della massa continentale, perciò si genera un’area di alta pressione sul continente asiatico (aria più fredda
e secca rispetto a quella presente sulla superficie marina) ed un’area di bassa pressione
sull’Oceano Indiano, che determina uno spostamento delle masse d’aria dalla terra verso
il mare per ristabilire l’equilibrio barico. Durante il periodo estivo la massa continentale
si riscalda più rapidamente rispetto all’Oceano Indiano, per cui il movimento dell’aria
si inverte. Questo fenomeno assume un’importanza fondamentale anche dal punto di
vista socio-economico, influenzando l’attività agricola e, in particolare, la coltivazione
intensiva del riso in una delle aree più popolate della Terra.
Un altro esempio di vento periodico sono le brezze, venti regolari ad andamento
diurno che possono essere spiegati come monsoni ma a scala ridotta. Le brezze si distinguono ulteriormente in brezze di mare e brezze di terra nelle regioni costiere e
in brezze di monte e brezze di valle nelle regioni montuose. Analogamente a quanto
osservato per i monsoni, le brezze si creano per compensare le differenze di temperatura e pressione che si stabiliscono tra terra e mare o tra monti e pianura. Le brezze sono
importanti per la navigazione e per il clima costiero, perciò esamineremo ora in dettaglio
il loro meccanismo di formazione e le loro principali caratteristiche.
Le brezze marino-costiere (figura 35) sono tipiche dei periodi caldi e soleggiati,
quando le differenze termiche fra acqua e terra sono particolarmente accentuate. Durante il giorno la terra si riscalda più intensamente rispetto al mare, per cui anche l’aria sovrastante la costa tende ad essere più calda rispetto a quella sopra la superficie marina.
L’aria sopra la costa, più calda, si dilata e tende a salire verso l’alto originando una zona
di bassa pressione; al contrario, l’aria sovrastante il mare, essendo più fresca, tende a
stazionare verso il basso originando una zona di alta pressione. Il gradiente barico che
viene a formarsi provoca un afflusso di aria dal mare verso la costa indicato come brezza
di mare (figura 35).
Figura 35 - Rappresentazione schematica delle brezze di terra e di mare.
L’aria che in prossimità della costa si solleva in quota trasportando vapore acqueo,
può condensare e dare origine a cumuli sui rilievi. La situazione si inverte durante il
periodo notturno, quando la superficie terrestre si raffredda più rapidamente rispetto
a quella marina. Di conseguenza, l’aria di costa durante la notte è più fresca e quindi
mostra una pressione maggiore rispetto all’aria che sovrasta il mare. Per compensare
questa differenza di pressione avviene uno spostamento delle masse d’aria dalla terraferma verso il mare che viene indicato come brezza di terra (figura 35).
Questo movimento delle masse d’aria durante la notte può portare ad un po’ di foschia sul mare e a cielo limpido sulla costa. Alle nostre latitudini le brezze raggiungono
54
I. Il tempo meteorologico
intensità comprese tra 1 e 5 m s-1 in mare aperto e tra 5 e 10 m s-1 in prossimità della
costa. Le brezze di mare iniziano circa verso le 10 del mattino e raggiungono la massima
intensità intorno alle 13-14 del pomeriggio, per poi diminuire progressivamente fino ad
annullarsi al tramonto. Dopo il tramonto ha origine la brezza notturna o di terra che risulta sempre di minore intensità rispetto a quella di mare, per cui interessa una fascia di
mare minore. Le brezze inizialmente spirano in direzione perpendicolare alla costa, per
poi ruotare in senso orario fino a disporsi quasi parallelamente ad essa.
I venti locali possono avere anche un andamento irregolare nel tempo, in questo
caso si parla di venti variabili. A seconda della direzione da cui provengono assumono
denominazioni particolari. Di seguito vengono riportate le caratteristiche di alcuni dei
più importanti venti locali del Mediterraneo (figura 36).
Figura 36 - I principali venti del Mediterraneo.
Tramontana - è un vento molto freddo proveniente da Nord che spira a raffiche e che
può investire, specialmente in inverno, tutta la penisola italiana. Si genera in seguito alla
contrapposizione tra un’area di alta pressione a Sud-Ovest della Francia ed una depressione sul Mediterraneo centro-occidentale. Durante il suo tragitto la massa d’aria non
attraversa la superficie marina, perciò è caratterizzata da bassi tassi di umidità. Generalmente porta tempo freddo e asciutto, cielo sereno e visibilità ottima. Assume nomi vari
(Aquilone, Buriana) in funzione delle regioni di provenienza.
Bora - vento freddo e molto forte che soffia da Nord-Est specie nei mesi invernali e che,
dopo aver oltrepassato le montagne, investe il Mare Adriatico con effetti particolarmente intensi sul Golfo di Trieste e sul Quarnero dove possono essere registrate raffiche
di 65-70 nodi. Provoca una brusca diminuzione della temperatura e, talvolta, pioggia e
nevicate (bora scura).
Grecale - vento intenso che spira a raffiche e che proviene principalmente da Nord-Est
durante il periodo invernale; porta generalmente tempo buono e cielo sereno. Si genera
in seguito alla contrapposizione tra un’area anticiclonica sull’Europa nord-orientale ed
un’area ciclonica mediterranea.
Levante - vento fresco e umido di debole intensità che, come si evince dal nome, spira
dalla direzione da cui sorge il Sole (Est) principalmente durante il periodo estivo; nel
Tirreno di solito preannuncia l’arrivo delle perturbazioni da Scirocco e può dare origine
a nebbie e foschie.
55
Appunti di meteorologia marina
Scirocco - vento originariamente caldo e secco proveniente da Sud-Est dal continente
africano. Durante il suo tragitto attraversa gran parte del Mediterraneo caricandosi di
umidità, perciò raggiunge l’Italia come vento caldo ed umido che porta generalmente
tempo nuvoloso al Nord, mare mosso e nebbie o nubi basse che possono ridurre la
visibilità.
Ostro o Mezzogiorno - vento caldo-umido molto debole proveniente da Sud e con scarsa influenza sui mari italiani.
Libeccio - vento proveniente da Sud-Ovest che, pur essendo un vento di mare, si distingue da questi ultimi mostrando caratteristiche peculiari. Si genera in seguito all’ingresso
nel Mediterraneo di una perturbazione atlantica che ha origine dallo scontro tra un fronte freddo proveniente da una depressione situata nell’Europa centrale ed aria calda ed
umida proveniente da una zona anticiclonica posta più a sud. La sua origine è in genere
molto rapida e improvvisa e si sviluppa raggiungendo una forte intensità, per poi calmarsi con la stessa rapidità con cui è nato. Il libeccio è generalmente preceduto da venti
di Scirocco e da una rapida diminuzione della pressione con peggioramento del tempo.
Cessato il suo effetto si osserva solitamente un innalzamento di pressione che preannuncia l’arrivo di tempo buono e cielo sereno. A causa del fetch molto ampio, questo
vento genera onde tra le più alte osservate nel Tirreno del Nord.
Ponente - vento estivo, fresco e pomeridiano che, come dice il nome stesso, spira dalla
direzione da cui tramonta il Sole (Ovest). La sua influenza è sentita principalmente sul
Tirreno e sull’Adriatico centro-meridionale.
Maestrale (o Mistral) - vento freddo e intenso di origine atlantica proveniente da NordOvest. Presenta caratteristiche analoghe alla Tramontana ma è dotato di una forza maggiore e, perciò, è denominato ‘maestro dei venti’. Questo vento si incunea tra i Pirenei ed
il Massiccio Centrale e sbocca nel Mediterraneo in corrispondenza del Golfo del Leone,
portando in genere tempo freddo, asciutto e sereno. Durante i mesi invernali interessa
principalmente la zona compresa tra l’alto Tirreno ed il Mar Ligure.
Ghibli, Chili e Khamsin - venti meridionali caldi e secchi con caratteristiche simili allo
Scirocco. Possono caricarsi di sabbia e soffiare rispettivamente sui territori della Libia,
della Tunisia e dell’Egitto. Si creano in seguito alla contrapposizione tra un anticiclone
sull’Africa del Nord e una depressione sul Mediterraneo centro-occidentale. Possono
creare un flusso d’aria calda ed umida che, talvolta, può dirigersi verso il Mediterraneo
settentrionale generando dense foschie su ampi tratti di mare.
Marin - vento umido e temperato proveniente da Sud-Est che, nella stagione invernale,
investe la costa mediterranea compresa tra la Francia e la Spagna. Può causare la formazione di onde alte in prossimità delle coste francesi, analogamente al libeccio sulle coste
tirreniche e può portare ad un’estesa nuvolosità e a piogge intense.
Meltemi - vento fresco stagionale proveniente da Nord-Est o Nord-Ovest a seconda delle
zone e che soffia nella stagione estiva sulle aree della Turchia e dell’Egeo.
Levantes e Vendaval - venti, rispettivamente orientali ed occidentali, che interessano la
fascia di mare intorno allo stretto di Gibilterra. Il Levantes è un vento caldo ed umido,
generalmente moderato, che proviene dal Mediterraneo, mentre il Vendaval è un vento
che soffia dall’Atlantico specialmente nei mesi invernali.
Chergui - vento caldo e secco proveniente da Est e che spira sul Marocco in primavera
ed estate.
56
I. Il tempo meteorologico
La misura del vento
Gli strumenti impiegati per la misura della velocità del vento prendono il
nome di anemometri (dal greco anemos = vento e metron = misura). L’invenzione dell’anemometro a pressione risale alla prima metà del 1400 ad opera di
Leon Battista Alberti (1404-1472). Come egli stesso descrive nella sua opera ‘Ludi
matematici’, questo anemometro consiste in una piccola lamina sospesa ad una
staffa per mezzo di una cerniera in grado di orientarsi in base alla direzione del
vento (tramite una banderuola). Dalla maggiore o minore pressione esercitata dal
vento sulla lamina sarebbe stato possibile stimare la velocità del vento per mezzo
di un’asta graduata piegata ad arco. La scienza meteorologica del 1500 vanta
l’invenzione del primo strumento per misurare la direzione di provenienza dei
venti (anemoscopio) ad opera del matematico e cosmografo italiano Egnazio
Danti (1536 - 1586). Lo strumento prende spunto dalla banderuola a forma di tritone posta sulla ‘Torre dei Venti’ di Atene (figura 30). Danti inventò un dispositivo
che, collegato al prolungamento dell’asta metallica di una banderuola, recava un
indice in grado di orientarsi in funzione della direzione del vento su una ‘rosa dei
venti’ disposta all’interno del locale sul cui tetto era situata la banderuola stessa.
Un esemplare di questo strumento è conservato a Firenze nella Villa delle Rose.
Gli anemometri maggiormente utilizzati al giorno d’oggi si dividono in tre
gruppi principali:
¿ anemometri che misurano l'energia cinetica dell'aria in movimento
(anemometri a coppe e ad elica);
¿ anemometri che misurano l'effetto raffreddante dell'aria in movimento
(anemometro a filo caldo e a campo termico);
¿ anemometri sonici che misurano il tempo di propagazione
del suono in aria.
L’anemometro a coppe (figura 37) è uno degli strumenti più antichi ed il più
impiegato nelle stazioni meteorologiche: esso è costituito da tre superfici cave
emisferiche (coppe) che, in virtù della loro forma, offrono una resistenza aerodinamica diversa a seconda che il flusso di vento investa la parte concava o convessa. Queste coppe, equidistanti angolarmente l’una dall’altra, vengono collegate
rigidamente ad un asse centrale rotante (albero) ad una distanza ottimale di 2-2.5
cm. Il sistema così costituito ruota in presenza di vento e la sua velocità di rotazione risulta proporzionale all’intensità del vento stesso. Tale velocità viene infine
tradotta in un segnale elettrico attraverso tre differenti metodi:
¿ per mezzo di un contatore numerico. In questo caso l’albero è collegato
mediante vite senza fine e coppia di ingranaggi ad un contatore numerico che
fornisce direttamente il valore in centesimi, decimi e chilometri del vento sfilato (anemometro totalizzatore);
¿ per mezzo di un fotoaccoppiatore, costituito da un disco dotato di una
serie di fessure che consentono ad un raggio luminoso di raggiungere una
cella fotoelettrica. Il disco è collegato direttamente al rotore e gli impulsi di
luce in uscita vengono trasformati in una tensione che risulta
proporzionale alla velocità di
rotazione;
¿ per mezzo di una dinamo tachimetrica direttamente collegata all’albero rotante
dell’anemometro, che in uscita
produce una tensione proporzionale alla velocità di rotazio- Figura 37 - Anemometri a coppe con banderuola:
a) Young 03101, b) Davis 7911.
ne (anemometro generatore).
57
Appunti di meteorologia marina
Tra gli anemometri che misurano l’energia cinetica del vento si deve ricordare
anche l’anemometro ad elica (figura 38), che è dotato di un’elica montata su un
asse di rotazione orizzontale ed è costantemente orientato dal vento in funzione
della sua direzione. I sistemi di traduzione del segnale sono analoghi a quelli
descritti per l’anemometro a coppe, rispetto al quale è in grado di fornire, oltre
all’intensità del vento, anche la sua direzione di provenienza.
L’anemometro a filo caldo (figura 39) è costituito da un filamento che, percorso da una corrente elettrica, viene portato ad una temperatura superiore a quella
dell’aria ambiente. Il flusso d’aria in movimento provoca un raffreddamento del
filamento, per cui è possibile determinare la velocità del vento misurando direttamente l’abbassamento di temperatura del filamento o l’intensità della corrente
necessaria per mantenere il filamento stesso ad una temperatura preimpostata.
Il principale vantaggio di questi strumenti risiede nelle loro limitate dimensioni
che ne consentono l’installazione anche all’interno di coperture vegetali, mentre
i limiti sono dovuti alla loro fragilità ed al campo di misura più limitato rispetto
agli anemometri a coppe. Sullo stesso principio è basato anche l’anemometro a
campo termico.
Questo strumento è costituito da un piccolo cilindro disposto verticalmente e
con al suo interno una resistenza elettrica che lo mantiene ad una temperatura costante superiore a quella dell’aria esterna. Dalla misura dell’intensità di corrente
necessaria a mantenere il cilindro ad una temperatura preimpostata si risale alla
velocità del vento.
Figura 38 - Anemometro ad elica.
Figura 39 Anemometro
a filo caldo con
banderuola
direzionale,
centralina di
acquisizione
e sistema di
trasmissione
dati.
Un’altra categoria di strumenti utilizzati per misurare la velocità del vento sono
gli anemometri sonici (figura 40), il cui principio di funzionamento si basa sulla
misura del tempo di propagazione del suono nei fluidi in movimento. La velocità
di trasmissione del suono in aria è dipendente dall’intensità del vento, aumentando nel caso in cui il suono si propaghi lungo la direzione del vento e diminuendo
in caso contrario. Tali strumenti sono solitamente costituiti da tre trasduttori,
posti ai vertici di un triangolo equilatero orizzontale, in grado di trasmettere e
ricevere un impulso di ultrasuoni. Dalla misura del tempo necessario affinché un
impulso ultrasonico transiti tra due trasduttori contigui in entrambe le direzioni
è possibile risalire all’intensità del vento. Questi strumenti sono principalmente
utilizzati per lo studio degli scambi gassosi a livello di ecosistema, poiché consentono di misurare la componente verticale del vento (oltre a quella orizzontale
58
I. Il tempo meteorologico
e trasversale) associata agli scambi di acqua ed anidride carbonica tra biosfera ed
atmosfera. Infatti, sebbene la principale componente del vento sia quella orizzontale, i fenomeni di attrito determinano la formazione di piccoli mulinelli di aria all’interno della direzione prevalente del vento, per cui gli spostamenti di aria negli
strati bassi dell’atmosfera sono caratterizzati da moto turbolento (piuttosto che
da moto laminare) che può essere scomposto nelle sue tre componenti spaziali.
Figura 40 - Anemometri sonici: a) Campbell, b) Young 81000.
L’altezza standard alla quale viene generalmente eseguita la misura della velocità del vento è di 10 metri dal suolo (WMO, 1983). Ovviamente, a causa dell’attrito superficiale la velocità del vento tende a diminuire avvicinandosi al suolo,
per cui se si vuole calcolare la velocità del vento ad altezze diverse da 10 metri
è possibile utilizzare delle apposite formule come, ad esempio, quella di Naegeli
(1954): Vh = V10 [0.233 + 0.656 log ( h + 4.75)]
dove Vh è la velocità del vento all’altezza h, V10 è la velocità del vento
a 10 metri dal suolo e h è l’altezza dal suolo espressa in metri.
Associato all’anemometro si trova l’anemoscopio, con cui viene misurata la
direzione di provenienza del vento. Il più noto è il gonioanemometro, più comunemente conosciuto come anemometro a banderuola (figure 37 e 39). Questo
strumento consiste essenzialmente di una lamina metallica di forma rettangolare
(banderuola) collegata mediante un’asta metallica orizzontale ad un asse verticale
rotante che offre la minima frizione. Il peso della banderuola è bilanciato da un
contrappeso metallico posto sull’estremità opposta dell’asta orizzontale.
La banderuola metallica tende ad orientarsi secondo la direzione del vento e, in
seguito al suo spostamento, provoca la rotazione del cursore di un potenziometro
che genera una tensione proporzionale allo spostamento angolare della banderuola rispetto alla direzione di riferimento.
Considerando la forte variabilità associata alla determinazione della direzione
del vento, si ritiene generalmente sufficiente ottenere una risoluzione angolare di
10° ed eseguire la media di un elevato numero di valori istantanei.
A questo scopo è importante considerare come la semplice media aritmetica
non sia sempre indicata per ottenere dei valori attendibili della direzione prevalente del vento. Per ottenere una stima attendibile di questo parametro è possibile
ricorrere ad un’appropriata analisi statistica, suddividendo la direzione del vento
in intervalli di gradi o classi e determinando la frequenza di direzione per ciascuna classe di appartenenza.
59
Appunti di meteorologia marina
L’umidità atmosferica
L’umidità è una grandezza che esprime la concentrazione di vapore acqueo
presente nell’atmosfera. Il vapore acqueo è una componente costante dell’atmosfera presente in proporzioni variabili tra lo 0.2 ed il 4%. Il suo contenuto varia
nel tempo e nello spazio e dipende principalmente dall’evaporazione dell’acqua
dal suolo, dai fiumi, dai laghi e, soprattutto, dagli oceani e dalla traspirazione delle piante. L’evaporazione dell’acqua è favorita dall’irraggiamento solare, tuttavia
questo processo non può procedere indefinitamente, poiché esiste una quantità
massima di vapore che l’aria può contenere in forma di gas.
Questo limite si raggiunge quando l’aria risulta satura di vapore, per cui ogni
ulteriore aggiunta di vapore acqueo viene eliminata mediante condensazione
(passaggio dallo stato aeriforme a quello liquido) o sublimazione (passaggio dallo stato aeriforme a quello solido). Una massa d’aria che contiene la massima
quantità di vapore ammissibile per la temperatura alla quale si trova è una massa
d’aria satura e la temperatura alla quale si verifica questa condizione è detta
temperatura (o punto) di rugiada.
Questo parametro varia in funzione della temperatura dell’aria: maggiore è
la temperatura, più alta è la quantità di vapore che la massa d’aria in studio è in
grado di contenere e, quindi, più elevato è il punto di rugiada. La conoscenza del
punto di rugiada è di fondamentale importanza, poiché questo parametro permette di ottenere informazioni sul meccanismo e sulla probabilità di formazione
delle nebbie e delle nubi. Entrambi i fenomeni sono infatti causati dalla condensazione del vapore acqueo in eccesso rispetto a quello necessario a saturare la
massa d’aria, con formazione di goccioline di acqua (o di cristalli di ghiaccio) che
rimangono in sospensione nell’aria. Di conseguenza, un raffreddamento rapido e
sensibile della superficie terrestre e dell’aria sovrastante provoca un abbassamento della temperatura di rugiada e la possibile formazione di nebbia.
Questo tipo di nebbia si verifica in genere dopo il tramonto, nella tarda serata
e durante la notte.Il grado di umidità nell’aria viene espresso mediante differenti
grandezze, fra le quali assumono particolare importanza l’umidità assoluta e
l’umidità relativa. Con umidità assoluta si intende la quantità di vapore acqueo
presente in un dato volume di aria e ad una data temperatura, mentre con umidità
relativa si intende il rapporto tra il contenuto reale di vapore acqueo di un dato
volume di aria e quello che sarebbe teoricamente presente se lo stesso volume di
aria fosse saturo ad una data temperatura.
Unità di misura
L’umidità assoluta è espressa come la quantità in grammi di vapore acqueo
contenuto in un centimetro cubo d’aria (g cm-3), mentre l’umidità relativa (UR)
è una grandezza adimensionale che viene espressa dal rapporto percentuale (%)
fra la quantità di vapore acqueo contenuto in un determinato volume di aria e la
quantità di vapore che questa dovrebbe contenere per essere satura nelle stesse
condizioni di temperatura e di pressione.
Ad esempio, un valore di umidità relativa pari al 50%, significa che l’aria in
questione contiene la metà del vapore che potrebbe contenere in condizioni di
saturazione (quando l’umidità relativa è il 100%). Di conseguenza, un aumento
dell’umidità relativa in un determinato luogo è indicativo dell’approssimarsi di
precipitazioni o di altre forme di condensazione del vapore acqueo.
Un altro modo di esprimere il contenuto di vapore acqueo nell’atmosfera è
attraverso la cosiddetta umidità specifica, che è data dalla quantità in grammi di
vapore acqueo contenuta in 1 kg di aria umida.
60
I. Il tempo meteorologico
La distribuzione dell’umidità atmosferica
L’umidità mostra ampie fluttuazioni nello spazio e nel tempo che risultano
strettamente associate alle variazioni del bilancio radiativo terrestre ed al processo di evapotraspirazione. In linea generale, l’umidità relativa dell’aria varia
da un valore medio del 90% sulla superficie marina a valori del 5-10% sulle zone
desertiche. L’umidità relativa mostra una relazione inversa con la temperatura,
in quanto tende ad essere minore in zone e/o periodi caldi rispetto a zone e/o
periodi freddi.
Al contrario, l’umidità assoluta presenta una relazione diretta con la temperatura, poiché un determinato volume di aria calda è in grado di contenere una maggiore quantità di vapore acqueo rispetto ad uno stesso volume di aria fredda.
La misura dell’umidità
Il primo strumento per la misura dell’umidità (igroscopio) fu inventato da Leon
Battista Alberti (1404 - 1472) nella prima metà del 1400. Ne troviamo un’accurata descrizione nel De re Aedificatoria ‘…riscontrai come la spugna si impregna
dell’umidità dell’aria, quindi formai una misura per pesare la gravezza dei venti,
dell’aria e la siccità…’ (lib. X, cap. 3). Il principio dell’igroscopio si ritrova anche in
un altro libro, il ‘De staticis experimentis’, del filosofo, matematico ed astronomo
tedesco Nikolaus Chrypffs, noto in Italia come Niccolò Cusano (1401-1464).
L’igroscopio dell’Alberti e del Cusano consisteva essenzialmente di una sostanza molle, porosa ed elastica come una spugna o della lana, capace di assorbire
liquidi in modo considerevole ed aumentare di peso. Dall’incremento di peso era
possibile risalire all’umidità dell’aria. Su questo principio sono basati anche gli
indicatori di umidità ideati da Leonardo da Vinci (1452-1519), in cui le sostanze
igroscopiche sarebbero state una piccola spugna e del cotone.
Un tipo differente di strumento per misurare l’umidità è stato introdotto da Ferdinando II dei Medici (1610-1670) verso la metà del XVII secolo e chiamato igrometro a condensazione. Questo strumento è costituito da un vaso di sughero a
forma di tronco di cono rivestito internamente di pece ed esternamente di latta.
L’apertura più stretta del vaso è posizionata in un imbuto conico di cristallo con
il vertice rivolto verso il basso e sostenuto da un treppiedi. Le pareti del cristallo
venivano raffreddate utilizzando ghiaccio tritato finemente e l’umidità dell’aria,
che condensava sulle pareti, veniva raccolta in un misuratore cilindrico graduato
posizionato sotto l’imbuto.
I dispositivi che al giorno d’oggi sono maggiormente utilizzati per misurare
l’umidità relativa dell’aria sono gli igrometri (dal greco igròs = umido e metron =
misura) e gli psicrometri.
Gli igrometri vengono suddivisi in due categorie principali:
¿ risposta lenta (quelli comunemente usati in una stazione meteorologica)
¿ a risposta rapida (usati soprattutto per misurare i flussi di vapore acqueo).
Tra gli igrometri a risposta lenta possiamo operare una ulteriore suddivisione in
funzione del tipo di sensore:
¿ igrometri di tipo meccanico
¿ igrometri di tipo elettrico con sensori di tipo resistivo, capacitivo o misti
¿ igrometri con sensori a punto di rugiada.
Tra i sensori igrometrici di tipo meccanico il più conosciuto è quello a fascio di capelli che è costituito essenzialmente da un fascio di capelli sgrassati
chimicamente che si allunga o si accorcia rispettivamente con l’aumentare o il
diminuire dell’umidità relativa. L’accuratezza di questo sensore è dell’ordine di ±
3%. Questo tipo di strumento richiede una cura e una pulizia dei capelli continua e
61
Appunti di meteorologia marina
la loro protezione da agenti inquinanti. Con questi strumenti è possibile eseguire
solo una lettura istantanea del valore di umidità (igrometri a lettura diretta) o
procedere alla registrazione della lettura su carta diagrammata tramite dei pennini ad inchiostro speciale.
Gli igrometri di tipo elettrico si basano sul fatto che la resistenza elettrica o la
capacità dielettrica di una determinata sostanza cambiano col variare dell’umidità
relativa dell’aria in cui sono immersi. In particolare, nei sensori di tipo resistivo
che utilizzano sali igroscopici (come il cloruro di litio o gli ossidi di alluminio e
tantalio), viene misurata la variazione di resistenza elettrica indotta dall’assorbimento sulla loro superficie di umidità dell’aria. I principali difetti di questo tipo
di sensori risiedono nelle possibili contaminazioni da parte di polveri o sostanze
inquinanti e nei fenomeni di isteresi2 durante le fasi di assorbimento e rilascio
dell’umidità. I sensori capacitivi sfruttano la variazione di capacità dielettrica di
una membrana igroscopica (in genere un polimero) che costituisce il dielettrico
di un condensatore.
L’assorbimento di acqua da parte del dielettrico provoca una variazione della
capacità del condensatore, proporzionale all’umidità presente nell’aria. La variazione di capacità del condensatore genera un cambiamento nella frequenza di
oscillazione di un circuito elettrico che viene infine convertito in una variazione
di tensione continua. Il vantaggio di questi sensori risiede nel fatto che risultano
meno soggetti a fenomeni di isteresi, per cui stanno trovando sempre maggiore
diffusione in campo meteorologico.
Gli igrometri con sensori a punto di rugiada misurano la temperatura a cui
avviene la formazione di rugiada sopra una superficie raffreddata artificialmente,
ad esempio mediante il passaggio di una corrente elettrica (effetto Peltier).
Con questo tipo di sensori, la difficoltà principale risiede nell’individuare il
momento preciso (e quindi la temperatura) in cui avviene la condensazione della rugiada sulla superficie. A tal fine vengono impiegati sistemi fotoelettrici: la
superficie su cui avviene la condensazione viene colpita da un fascio luminoso
orientato normalmente; quando si forma la rugiada la luce viene diffusa e può
raggiungere una cella fotosensibile posta sulla superficie speculare che fornisce
un segnale elettrico.
Un altro strumento utilizzato per misurare l’umidità dell’aria è lo psicrometro,
costituito essenzialmente da due termometri uguali, affiancati e disposti sopra un
medesimo sostegno. Uno di essi ha il bulbo nudo e asciutto e serve a misurare la
temperatura dell’ambiente (termometro asciutto), mentre il bulbo dell’altro è avvolto da una garza mantenuta imbevuta di acqua (termometro bagnato). L’acqua
evaporando sottrae calore al bulbo e determina una diminuzione della temperatura del termometro bagnato (t’) rispetto a quella del termometro asciutto (t).
L’evaporazione, e quindi l’abbassamento termico, sarà tanto maggiore quanto
minore è la percentuale di vapore acqueo presente nell’aria, ovverosia quanto
più questa è asciutta. Di conseguenza, la differenza tra i valori registrati dai due
termometri (t - t’, detta ‘differenza psicrometrica’), mediante particolari calcoli,
consente di risalire al valore di umidità relativa dell’aria. Esistono anche apposite
tabelle psicrometriche che consentono di risalire direttamente ai valori della
temperatura di rugiada e dell’umidità relativa dell’aria misurando le temperature
del termometro asciutto e bagnato e, quindi, la differenza psicrometrica.
Lo psicrometro deve essere opportunamente ventilato, poiché la velocità di
evaporazione dell’acqua del bulbo bagnato dipende, oltre che dall’umidità atmo2
L’isteresi di uno strumento è determinata dal fatto che a parità di valore della grandezza in ingresso lo
strumento fornisce indicazioni diverse a seconda che questo valore sia stato raggiunto per valori crescenti o decrescenti della grandezza in studio.
62
I. Il tempo meteorologico
sferica, dalla velocità con cui l’aria fluisce sopra di esso.
Di conseguenza i bulbi dei termometri devono essere ventilati artificialmente
o tramite sistemi manuali. Ad esempio nello psicrometro di Assmann, la ventilazione dei bulbi avviene tramite aspiratore centrifugo azionato da un motorino
elettrico in bassa tensione a batterie. Per il rilevamento dei dati di umidità a bordo
delle navi il sistema tradizionale è lo psicrometro a fionda, che consiste in uno psicrometro che viene fatto ruotare manualmente in aria per mezzo di una manovella
prima di eseguire la lettura.
Nebbie e nubi
Le principali forme di condensazione del vapore acqueo che si osservano nell’atmosfera sono le nebbie e le nubi.
La condensazione può avere luogo sia in seguito ad un aumento del vapore acqueo nell’atmosfera dovuto all’evaporazione di una superficie liquida sottostante,
sia a causa del raffreddamento di una massa d’aria che provoca un rapido abbassamento del punto di rugiada. Questo fenomeno può essere causato dal sollevamento di masse d’aria calde ed umide in quota o dal contatto di masse d’aria
cariche di umidità con superfici fredde.
Le nebbie
La nebbia (figura 41) è formata dall’accumulo di minuscole goccioline d’acqua
che rimangono in sospensione negli strati bassi dell’atmosfera riducendo sensibilmente la visibilità. Quando la visibilità resta superiore al chilometro, si usa
generalmente il termine di foschia o bruma.
Nel caso in cui la condensazione avvenga direttamente a contatto con il suolo si
ha la formazione di rugiada o brina.
In particolare, la rugiada si forma se la
temperatura è superiore a 0°C, mentre
la brina, costituita da minuscoli cristalli di ghiaccio, si forma nel caso in cui
la temperatura al suolo risulti inferiore
al punto di congelamento dell’acqua.
In funzione del loro meccanismo di
formazione, le nebbie vengono classificate in:
¿ nebbie di avvezione
¿ nebbie di irradiazione
¿ nebbie frontali
La nebbia di avvezione è causata dallo spostamento di masse d’aria
calde ed umide sopra superfici fredde
terrestri, marine o lacustri. In conseguenza del raffreddamento causato
dal contatto con superfici fredde, la
temperatura dell’aria scende a valori
inferiori al punto di rugiada provocando la condensazione dell’umidità contenuta nella massa d’aria in movimento. Le nebbie costiere appartengono
Figura 41 - Riduzione della visibilità (in alto)
e formazione di banchi di nebbia in mare
generalmente a questa categoria.
(in basso).
63
Appunti di meteorologia marina
Le nebbie di irradiazione si originano quando la superficie terrestre subisce un
rapido raffreddamento, soprattutto in seguito all’irraggiamento notturno. Questo
fenomeno causa una brusca diminuzione anche della temperatura dell’aria umida
sovrastante il suolo, con conseguente condensazione del vapore acqueo e formazione di minuscole goccioline d’acqua che rimangono sospese
in aria. Infine, le nebbie frontali si formano in
seguito al sollevamento di aria calda ed umida in
corrispondenza della superficie di discontinuità
(superficie frontale) che si origina dall’incontro
tra masse d’aria con proprietà fisiche differenti.
Un tipo particolare di nebbia è costituita dallo
smog (dai termini inglesi smoke = fumo e fog
= nebbia) (figura 42), che si forma in seguito
alla combinazione di nebbia e fumo o altre sostanze inquinanti, come i gas industriali e quelli
derivanti dai tubi di scappamento delle automobili e dagli impianti di riscaldamento. In molte
delle grandi città industriali lo smog costituisce
un serio pericolo, perché provoca effetti molto
dannosi sulla salute umana e sulla crescita e sviluppo di tutti gli organismi animali e vegetali in
genere.
Figura 42 - Lo smog.
Fonte: International Cloud Atlas
del WMO.
Le nubi
Le nubi (o nuvole) sono costituite dall’insieme di goccioline di acqua e/o di cristalli di ghiaccio della dimensione di 1-100 micron che si formano in seguito alla
condensazione del vapore acqueo intorno a minuscole particelle solide (nuclei di
condensazione).
Le goccioline sono talmente piccole da essere più leggere dell’aria, perciò rimangono sospese in quota muovendosi verso l’alto o verso il basso trasportate
dai movimenti atmosferici.
Il principale meccanismo di formazione delle nubi consiste nel raffreddamento di una massa d’aria in movimento verso l’alto (convezione termica).
Tale raffreddamento è definito adiabatico in quanto avviene senza scambi di calore con l’atmosfera circostante ed è prodotto da una crescente espansione dell’aria
che sale in un ambiente sempre più rarefatto (vedi anche figura 21).
L’evaporazione delle acque superficiali porta facilmente alla formazione di
masse d’aria calde ed umide che si sollevano in quota espandendosi e raffreddandosi (figura 43a). Quando la massa d’aria in moto ascendente raggiunge la
temperatura di rugiada, avviene la condensazione del vapore acqueo attorno a
piccole impurità o nuclei di condensazione (polveri di origine diversa, piccoli cristalli marini, ceneri) con la formazione delle nubi.
Altri meccanismi con cui possono formarsi le nubi sono (figura 43):
¿
lungo la superficie frontale che si genera in seguito allo scontro tra due
masse d'aria a differente temperatura (nubi frontali), la massa d’aria più
calda tende a salire gradualmente sopra la massa d’aria più fredda (fronte
caldo) o a sollevarsi bruscamente in quota (fronte freddo) dando luogo a condensazione del vapore acqueo e alla formazione di nubi;
64
I. Il tempo meteorologico
¿
in prossimità di rilievi (nubi orografiche), la massa d’aria umida che incontra
il versante di un monte è costretta a risalirlo e ad alzarsi in quota (convezione
forzata) ove, raggiunta la temperatura di rugiada, condensa formando nubi;
¿
in seguito al passaggio di una massa d'aria calda ed umida sopra una
superficie fredda, l’umidità contenuta nella massa d’aria a contatto con la
superficie fredda raggiunge la temperatura di rugiada e condensa dando luogo
a nubi.
Figura 43 - Meccanismi di formazione delle nubi: convezione termica (a), scontro tra masse
d’aria con differente temperatura ed umidità (b), convezione forzata (c) e passaggio di
masse d’aria calde ed umide sopra superfici fredde (d).
La classificazione delle nubi
Le molteplici forme e colori che possono assumere le nubi hanno da sempre
affascinato l’uomo, il quale dalla loro osservazione ha tratto ispirazioni artistiche
ed informazioni fondamentali per lo svolgimento di attività produttive e per la
propria sopravvivenza in mare. Le nubi possono essere classificate in base
all’altitudine nella quale si formano o alla loro forma.
A seconda dell’altitudine possiamo distinguere tre differenti tipologie di nubi
(figura 44): nubi alte, nubi di media altezza e nubi basse.
65
Appunti di meteorologia marina
Figura 44 - Classificazione delle nuvole in funzione della loro altezza rispetto al suolo.
Foto delle nubi tratte.
¿
Nubi alte, si tratta di nubi caratteristiche del livello superiore della troposfera
(compreso tra i 6 Km ed il limite della troposfera). Queste nubi vengono
indicate con il prefisso cirro-(cirri, cirro-strati e cirro-cumuli).
¿
Nubi di media altezza, si tratta di nubi caratteristiche del livello medio della
troposfera (compreso tra i 2 e i 6 Km). Queste nubi vengono indicate con il
prefisso alto- (alto-strati e alto-cumuli).
¿
Nubi basse, si tratta di nubi caratteristiche del livello inferiore della troposfera
(compreso tra 0 e 2 Km). Queste nubi sono indicate senza alcun prefisso
(strati, cumuli, strato-cumuli e nembo-strati).
In funzione della forma possiamo distinguere due categorie principali di nubi:
¿
nubi stratiformi a sviluppo orizzontale e spessore ridotto;
¿
nubi cumuliformi a sviluppo verticale con aspetto rotondeggiante o a cavolfiore.
La forma delle nubi dipende essenzialmente dal loro meccanismo di formazione: se la risalita dell’aria umida avviene per moti convettivi in veloce ascensione
o lungo un fronte freddo, si formano nubi cumuliformi (quali i cumuli e i cumulo-nembi); se la risalita dell’aria avviene invece a causa del superamento di una
montagna o lungo un fronte caldo, si formano nubi di tipo stratiforme (quali gli
strato-cumuli, i nembo-strati e gli strati di bassa quota).
In linea del tutto generale si può dire che un’atmosfera stabile determina la
formazione di nubi distese, mentre l’instabilità causa movimenti verticali molto
rapidi con formazioni nuvolose di tipo globulare.
Il prefisso nembo- o nimbo- (dal latino nimbus = tempesta) indica una nube
che porta pioggia. Il termine è spesso presente in parole composte che descrivono
le caratteristiche di queste nubi: ad esempio, il cumulonembo è una nuvola a notevole sviluppo verticale che porta a intense precipitazioni temporalesche, mentre
66
I. Il tempo meteorologico
il nembostrato è una nube a sviluppo prevalentemente orizzontale che si forma a
quote molto basse dando luogo a precipitazioni.
La colorazione delle nubi (nubi chiare e scure) dipende principalmente dalla
loro composizione. Quelle nubi che viste dal basso ci appaiono chiare sono generalmente alte, trasparenti e costituite prevalentemente da aghetti di ghiaccio. Le
nubi che invece appaiono scure sono costituite principalmente da gocce d’acqua
che la luce non può attraversare; queste ultime sono le nubi che a breve scadenza portano la pioggia. Le nubi sono soggette a continui cambiamenti di forma
e composizione; ad esempio, è frequente che le goccioline d’acqua della parte
superiore della nube si portino lentamente verso gli strati più bassi e caldi, ove
evaporando producono aria tiepida ed umida che si espande e risale nuovamente
verso gli strati più alti. Le nubi possono assumere anche colori e riflessi che sono
determinati dalla posizione del Sole sull’orizzonte ma che risultano indipendenti
dalla loro composizione.
Sebbene le nubi siano in mutamento continuo, si identificano soltanto dieci
principali tipologie di nuvole. Si riportano la simbologia (figura 45), i nomi, le
caratteristiche di queste nubi e le informazioni principali che si possono trarre
dalla loro osservazione. Le immagini sono tratte da International Cloud Atlas
del WMO.
Figura 45 - Simboli con cui vengono rappresentate
le principali tipologie di nubi.
67
Appunti di meteorologia marina
Figura 46 - Cirrus fibratus e Cirrus uncinus.
a
b
Figura 47 - Altocumulus stratiformis
translucidus perlucidus (a)
e Altocumulus lenticularis (b).
Cirro (Ci)
I cirri (dal latino cirrus = ricciolo) sono nubi
fini e bianche (a strisce o filamenti). Si formano ad altitudini elevate (tra i 6 e i 12 Km di
altitudine nella zona temperata) ed assumono
un aspetto fibroso a forma di ricciolo, di virgola o di piuma. Queste nubi sono costituite
da cristalli di ghiaccio trasportati dai venti e
rivelano la presenza di umidità ad elevate altitudini. È importante riuscire a distinguere i
cirri di ‘bel tempo’ da quelli che precedono
il cattivo tempo. I cirri di ‘bel tempo’ sono
alti nel cielo, si spostano lentamente e presentano forma irregolare ed estensione limitata. I cirri di ‘cattivo tempo’ si dispongono
parallelamente coprendo tutto il cielo e, all’avvicinarsi della perturbazione, si muovono
velocemente.
Altocumulo (Ac)
Gli altocumuli sono costituiti da estese file
di nubi cumuliformi ravvicinate tra loro a costituire strati di aspetto solitamente ondulato
e/o fibroso di colore bianco o grigio. Nella
fascia temperata queste nubi sono comprese
tra i 2.5 e i 5 km d’altitudine. Una tipologia a
parte è rappresentata dagli altocumuli lenticolari, che si originano generalmente in prossimità di formazioni montuose ed assumono
forma di lenti allungate con contorni ben definiti. Gli altocumuli, se non sono associati
ad altri generi di nubi, non provocano alcun
fenomeno significativo, mentre se si trovano
associati a nubi medio-basse possono portare
a precipitazioni.
Stratocumulo (Sc)
Gli stratocumuli si presentano come una distesa continua di masse cumuliformi scure,
generalmente allungate e connesse tra loro
mediante nubi sottili. Sono di aspetto simile
agli altocumuli, ma si distinguono da questi
per essere localizzati ad un’altezza inferiore
(compresa tra gli 800 ed i 2000 metri nella fascia temperata). Alcuni possono avere aspetto
minaccioso, anche se in genere non originano
precipitazioni. Come gli altocumuli, anche gli
stratocumuli possono generare piogge se si
trovano associati a nubi medio-basse.
Figura 48 - Stratocumulus
cumulogenitus da Cumulus mediocris.
68
I. Il tempo meteorologico
Figura 49 - Cirrocumulus stratiformis
undulatus.
Cirrocumulo (Cc)
I cirrocumuli si riconoscono facilmente per
la loro classica conformazione ‘a pecorelle’.
Possono essere raggruppati a strisce o a banchi ed assumere forme differenti (lamelle,
granuli, crespe, ecc). I loro colori risultano
brillanti in quanto sono costituiti interamente
da cristalli di ghiaccio. L’altezza a cui si formano è compresa tra i 5 e i 7 km d’altitudine
nella fascia temperata e la loro presenza annuncia aria instabile ed il probabile arrivo di
una perturbazione (‘cielo a pecorelle acqua a
catinelle).
Cumulonembo (Cb)
I cumulonembi sono nubi ad elevato sviluppo verticale che assumono la forma di torri,
montagne o cupole. La parte superiore di
queste nubi è generalmente bianca, molto
estesa e spesso presenta una conformazione
a incudine, a cavolfiore o a carciofo, mentre
la base è piatta e molto scura. Queste nubi
accompagnano generalmente manifestazioni temporalesche, causando precipitazioni
intense (piogge, grandine o neve) e, in alcune circostanze, anche tornado (Capitolo IV).
I cumulonembi rappresentano le formazioni
nuvolose più pericolose per la navigazione,
poiché la loro presenza è causa scatenante di
venti che generano quello che viene definito
un ‘caotico moto ondoso’.
Figura 50 - Cumulonimbus calvus.
Figura 51 - Nimbostratus con Stratus fractus.
Figura 52 - Altostratus translucidus e
Cumulus fractus.
Nembostrato (Ns)
I nembostrati sono nubi stratiformi di colore
grigio-scuro e con la base generalmente non
ben definita. Essi si formano a quote basse
(qualche centinaia di metri nella fascia temperata) e rendono il cielo particolarmente scuro
anche durante il giorno. Sono nuvole tipiche
del cattivo tempo e possono facilmente dare
origine a precipitazioni (pioggia o neve).
Altostrato (As)
Gli altostrati sono nubi stratiformi che si sviluppano a quote intermedie e si presentano
come una distesa nuvolosa più o meno densa
di colore grigio e con la base liscia. Queste
nubi possono dare luogo a neve leggera o a
pioggia fine e fitta, ma di solito sono così alte
che le precipitazioni da esse provocate evaporano ancor prima di raggiungere il suolo.
Gli altostrati possono essere associati sia al
‘bel tempo’ che al ‘brutto tempo’. Nel primo
caso le nubi si presentano alte nel cielo, di
colore più chiaro e con la base ben definita,
mentre nel secondo caso risultano più scure e
con la base non ben definita. La comparsa nel
cielo dei cirrostrati seguiti dagli altostrati può
annunciare l’arrivo di una perturbazione.
69
Appunti di meteorologia marina
Figura 53 - Stratus nebulosus.
Figura 54 - Cumulus congestus,
mediocris e fractus. **
Figura 55 - Cirrus fibratus e Cirrostratus.
70
Strato (St)
Gli strati sono nubi basse (a circa 600 m di
altitudine), spesse, grigie e con la base estesa
ed uniforme. Si possono presentare a banchi isolati o coprire totalmente il cielo. Dato
il loro limitato spessore di solito non danno
luogo ad alcun fenomeno, tranne che ad una
riduzione di visibilità nel caso in cui si formino negli strati più bassi dell’atmosfera. Quando danno luogo a leggere piogge o nevicate
vengono in genere indicati con il nome di
nembostrati.
Cumulo (Cu)
I cumuli possono presentarsi con la parte
superiore arrotondata, bianca e soffice, e la
base grigia e appiattita, oppure come nubi
scure ed espanse con la sommità a cupola e
dotata di estese protuberanze a forma di cavolfiore (cumulo congesto). Nel primo caso
i cumuli si formano a basse quote nei giorni
caldi e soleggiati e indicano solitamente la
persistenza del bel tempo, mentre nel secondo caso indicano l’arrivo del brutto tempo e
sono associati ad intense precipitazioni a carattere temporalesco.
Cirrostrato (Cs)
I cirrostrati sono nubi trasparenti situate ad
alte quote (tra i 5 e i 12 Km) che conferiscono
al cielo un aspetto ‘velato’. Questo particolare aspetto è causato dai cristalli di ghiaccio
che diffondono la luce e creano un alone o
un velo sottile attorno al Sole o alla Luna. Di
solito queste nubi possono annunciare l’arrivo di un periodo caldo o di una tempesta.
Nel secondo caso i cirrostrati si presentano in
cielo dopo i cirri, indicando l’approssimarsi di
una perturbazione.
I. Il tempo meteorologico
La misura della visibilità
Con il termine visibilità orizzontale si intende la distanza alla quale un osservatore dotato di vista normale è in grado di distinguere ad occhio nudo ed in maniera nitida i contorni di un determinato oggetto. Essa rappresenta un importante
parametro meteorologico per consentire una viabilità ed una navigazione sicure,
poiché la scarsa visibilità costituisce una delle principali cause di collisione sulla
terraferma e in mare. La riduzione di visibilità può essere dovuta a fumo, nebbie
ed altre forme di condensazione del vapore acqueo. La nebbia rappresenta la principale causa di una ridotta visibilità e può interessare un territorio molto vasto o
essere localizzata su aree ristrette.
La misura della visibilità può essere eseguita tramite:
¿ stima a vista
¿ radar
Per stimare correttamente la distanza orizzontale da un oggetto bisogna sempre
tenere presente da che altezza viene effettuata l’osservazione e considerare i possibili fenomeni di rifrazione della luce che possono dare luogo ad inganni visivi. Sulla
terraferma la misura della visibilità è facilitata dalla presenza di numerosi oggetti da
poter utilizzare come punti di riferimento, mentre in mare aperto essi sono estremamente rari. Un metodo per stimare la visibilità in mare consiste nell’usare come
riferimento la lunghezza della nave oppure, nel caso di nebbia talmente fitta da non
riuscire a vedere tutta la nave, la distanza tra gli oggetti presenti sul ponte.
Oltre alla stima a vista, la distanza da un oggetto può essere determinata attraverso il radar. Questo strumento emette delle onde elettromagnetiche che vengono riflesse dall’oggetto di cui si vuole determinare la distanza e rilevate da un
apposito ricevitore. Dal tempo che intercorre tra l’emissione e la ricezione del
segnale si risale alla distanza tra il radar e l’oggetto. Un limite di questa tecnica è rappresentato dalla presenza delle goccioline d’acqua sospese in aria che
assorbono parte delle onde elettromagnetiche e provocano un’attenuazione del
segnale.
La misura della nuvolosità
Con il termine nuvolosità si intende la percentuale di nubi al di sopra dell’orizzonte. Questo parametro viene misurato in ottavi o decimi di cielo
coperto. Nel caso in cui venga utilizzata la scala in
ottavi, con il grado 0/8 si intende un cielo sereno
e con 8/8 un cielo completamente coperto.
Generalmente la stima della nuvolosità viene
effettuata a vista ogni tre ore. Per facilitare la
stima di questo parametro, è utile immaginare il
cielo diviso in quadranti da due archi tracciati ad
angolo retto passanti per lo zenit. Valori numerici
da 0 a 2 possono essere assegnati a ciascun quadrante, dove 0 corrisponde ad un cielo completamente o quasi completamente libero da nubi, 1
ad un cielo con una copertura nuvolosa di circa
un mezzo e 2 ad un cielo completamente o quasi
completamente coperto da nubi. Dalla somma dei
valori assegnati a ciascun quadrante si risale alla
stima della nuvolosità di un determinato luogo.
Figura 56 - Simbologia internazionale
utilizzata per rappresentare la nuvolosità
sulle carte meteorologiche.
71
Appunti di meteorologia marina
Le precipitazioni
Quando le goccioline d’acqua o i cristalli di ghiaccio che costituiscono le nubi
raggiungono dimensioni tali da non poter più essere sostenute dall’aria, si verificano le precipitazioni sotto forma di pioviggine, pioggia, nevischio, neve o grandine
a seconda dello stato fisico dell’acqua e delle dimensioni delle singole particelle.
Le precipitazioni vengono espresse in millimetri di acqua (mm) per la pioggia.
Un mm di pioggia equivale ad un apporto al suolo di 1 litro di acqua per ogni metro quadrato di superficie (ovvero 10 m3 per ettaro).
Nel caso della neve si utilizzano i centimetri di neve o i millimetri equivalenti
d’acqua, per cui grossolanamente a 1 mm di pioggia corrispondono circa 10 mm
di neve fresca.
È possibile anche esprimere l’intensità della pioggia come mm di pioggia
caduti in un’ora (mm h-1). Nei riepiloghi mensili, oltre al valore totale delle precipitazioni, viene generalmente indicato anche il numero dei giorni nei quali si è
verificato un evento piovoso.
Le precipitazioni sono distribuite in maniera molto disomogenea sulla Terra,
mostrando ampie variazioni nel tempo e nello spazio. Per rappresentare questa
distribuzione, analogamente alla temperatura ed alla pressione, si utilizza la carta
delle isoiete, ovverosia linee continue che uniscono i punti della superficie terrestre in cui si registra lo stesso quantitativo di pioggia in un determinato periodo
temporale.
Se si prende in esame la carta delle isoiete annue e mensili dell’intero Pianeta,
è possibile classificare le regioni della Terra in base alla quantità annua ed alla
ripartizione stagionale delle precipitazioni, indicata anche come regime pluviometrico.
Di seguito, i principali regimi pluviometrici che si osservano sulla Terra.
¿
Regime equatoriale: interessa esclusivamente le regioni equatoriali in cui si registrano
piogge intense durante l’intero anno (circa 2000 mm) con due massimi in corrispondenza degli equinozi.
¿
Regime tropicale: interessa le regioni tropicali in cui si registrano piogge abbondanti
durante una sola stagione dell’anno (stagione delle piogge) che coincide con il solstizio
(quando il Sole passa allo zenit dei Tropici).
¿
Regime mediterraneo: è tipico delle regioni mediterranee in cui si registrano piogge
concentrate durante il periodo invernale ed estati aride.
¿
Regime monsonico: in cui si registrano piogge intense durante il semestre estivo (quando spira il monsone di mare carico di umidità) e una stagione arida durante il semestre
invernale (quando il monsone spira da terra verso il mare).
¿
Regime delle regioni temperate: è influenzato dalla vicinanza del mare, dalla presenza
di rilievi, dai cicloni ed anticicloni extra-tropicali e dai venti umidi che soffiano da Ovest
verso Est. Nell’ambito di questa tipologia si possono distinguere due sub-regimi: i) di
tipo marittimo o oceanico e ii) di tipo continentale. Il primo interessa specialmente le
regioni occidentali dei continenti esposte ai venti provenienti dall’Oceano (California del
Nord, America Settentrionale, Portogallo, Galizia, Paesi Baschi, Francia e isole britanniche) ed è caratterizzato da piogge regolari e ben distribuite durante l’anno. Il secondo
interessa le regioni interne dei continenti delle fasce temperate in cui le precipitazioni
sono scarse durante l’intero anno, in particolare modo se esistono barriere montuose che
fanno scaricare l’umidità nelle masse d’aria.
¿
Regime desertico: è caratterizzato da piogge scarse o assenti durante l’intero anno. È
possibile distinguere zone desertiche calde (zone subtropicali di alta pressione) e fredde
(zone artiche di alta pressione).
72
I. Il tempo meteorologico
La pioggia
Nelle “nubi calde” le gocce di pioggia possono formarsi per coalescenza, ovverosia per
fusione di goccioline d’acqua che entrano in collisione tra di loro fino a formare delle gocce
di dimensioni tali da non poter più rimanere in sospensione all’interno della nube.
La neve
Nelle ‘nubi fredde’ le goccioline d’acqua in caduta verso terra si trasformano in cristalli di
ghiaccio. Questi ultimi agiscono da nuclei di coalescenza, attorno ai quali si aggregano altre
goccioline di acqua che vanno a formare un fiocco di neve. Se nella parte inferiore della
troposfera le temperature si mantengono inferiori a 0°C si verificherà una nevicata, mentre
se la temperatura sale sopra 0°C il fiocco di neve si trasformerà in pioggia.
Perché la neve possa ricoprire il suolo è necessario che anche il terreno si mantenga a
temperature inferiori a 0°C. Viceversa, quando l’aria in
prossimità della superficie terrestre è superiore a 0°C la
neve si scioglie immediatamente. I cristalli di neve che
si raggruppano in fiocchi hanno tutti forma esagonale,
ma non ne esistono due esattamente identici. I fiocchi di
neve sono molto più leggeri delle gocce d’acqua, perciò
la loro velocità di caduta in aria è molto più lenta e, a seconda dell’altezza delle nubi, possono impiegare anche
alcuni giorni per raggiungere la superficie terrestre.
Figura 57 - Cumulonembo con
precipitazione nevosa.
La grandine
I chicchi di grandine sono costituiti da granuli di ghiaccio rotondeggianti (figura 58), formati generalmente da strati alterni di ghiaccio trasparente e ghiaccio opaco. La grandine
si sviluppa generalmente all’interno dei cumulonembi, caratterizzati da violenti correnti
ascensionali.
Queste ultime trasportano le goccioline di acqua verso l’alto, dove la temperatura è compresa tra i -5 ed i -20°C, trasformandole in cristalli di ghiaccio.
In questi strati del cumulonembo sono generalmente presenti anche goccioline di acqua che
rimangono in uno stato liquido instabile nonostante le basse temperature, noto come stato
sopraffuso.
Quando un cristallo di ghiaccio è trasportato dalle correnti ascensionali in questi strati del
cumulonembo, le goccioline sopraffuse essendo molto instabili possono aggregarsi al cristallo per semplice collisione e solidificare in superficie. Se il fenomeno avviene negli strati
più alti e freddi della nube, in cui le goccioline d’acqua sopraffuse sono presenti in piccole
quantità, durante il processo di congelamento vengono incorporate anche bollicine di aria
che conferiscono il caratteristico aspetto opaco allo strato di ghiaccio; al contrario, se il
fenomeno interessa gli strati intermedi della nube, le goccioline sopraffuse sono molto
numerose e solidificano in superficie dando luogo ad uno strato di ghiaccio trasparente.
In seguito a questo processo i chicchi di grandine aumentano di dimensione fino a che
non cominciano nuovamente a scendere. Se durante la discesa incontrano un’altra corrente ascensionale possono essere nuovamente trasportati verso l’alto. Il chicco di grandine
può andare incontro a numerosi cicli di salita e discesa all’interno della nube, aumentando
progressivamente di dimensione in seguito all’aggregazione in superficie di altre goccioline di acqua allo
stato sopraffuso.
Questo processo può ripetersi numerose volte fino a
quando i chicchi di grandine diventano di dimensioni
tali da non poter più essere trattenuti dalle correnti
ascensionali all’interno del cumulonembo. Dalla misura della serie di strati concentrici di ghiaccio è possibile risalire ad una stima del numero dei cicli che
sono avvenuti all’interno del cumulonembo prima che
il chicco di grandine sia giunto a terra.
Figura 58 - Chicchi di grandine.
73
Appunti di meteorologia marina
Fenomeni fisici associati alle precipitazioni
Associati alle precipitazioni vi sono alcuni fenomeni di natura elettrostatica
(lampi e fulmini) e fenomeni di rifrazione e riflessione della luce (arcobaleno).
Lampi e fulmini
I lampi (scariche elettriche interne alla nube) ed i fulmini (scariche elettriche fra le nubi e
la superficie terrestre) sono causati da fenomeni di ionizzazione che si verificano nelle nubi.
Le gocce d’acqua più leggere ed i cristalli di ghiaccio che si collocano nella parte superiore
delle nubi presentano una carica positiva, mentre le gocce più pesanti situate nella parte
inferiore delle nubi sono cariche negativamente (figura 59).
Inoltre, per il fenomeno dell’induzione elettrica la superficie terrestre possiede una carica positiva. Le cariche di segno opposto sono generalmente separate da strati isolanti, ma
quando le differenze di potenziale elettrico superano una certa soglia (dell’ordine di 1-2
milioni di volt) si verificano delle scariche elettriche tra le zone con polarità opposta, accompagnate da fenomeni luminosi (lampi e fulmini) ed acustici (tuoni).
In particolare, i fulmini si generano quando dalla base della nube si diparte una ‘scaricaguida’ o ‘pilota’ che si dirige verso la superficie terrestre. Quando la scarica ‘pilota’ tocca
il suolo, si genera una ‘scarica di ritorno’ molto luminosa che costituisce la fotometeora
(figura 60) che generalmente osserviamo durante un temporale. Il tuono invece è causato
dall’onda d’urto prodotta dall’espansione violenta dell’aria che in prossimità del fulmine
raggiunge valori prossimi a 20000-30000°C. Le scariche elettriche possono raggiungere valori di intensità di corrente compresi tra 5000 e 100000 Ampère e velocità anche di 150000
km al secondo.
Figura 59 - Scariche elettriche interne alle
nubi (lampi) e tra le nubi e la superficie
terrestre (fulmini).
Figura 60 - Scariche elettriche
durante un temporale (fotometeora).
L’arcobaleno
L’arcobaleno è l’arco di luce colorata che si origina in seguito all’interazione tra i raggi solari e le goccioline d’acqua sospese in aria. Questa fotometeora è causata da tre fenomeni ottici: rifrazione, riflessione e dispersione. Ogni gocciolina agisce come un prisma, provocando
la rifrazione (cioè deviando la traiettoria) dei raggi solari al suo interno e separandoli in una
serie di raggi monocromatici con angolatura variabile tra i 40° (corrispondente al viola) ed
i 42° (corrispondente al rosso). Se il raggio all’interno della goccia subisce una deviazione
superiore ai 48°, viene riflesso e nuovamente rifratto.
Da ogni goccia escono quindi i raggi secondo sette specifiche angolature (raggi di Descarte), ognuna delle quali corrisponde ad un determinato colore (i colori dell’iride). In particolare, i colori componenti l’arcobaleno a partire dall’esterno verso l’interno dell’arco sono i
seguenti: il rosso, l’arancione, il giallo, il verde, l’azzurro, l’indaco ed il violetto.
L’intensità dei colori dipende anche dalle dimensioni delle gocce, poiché gocce di grandi dimensioni originano colori nitidi e distinti, mentre goccioline fini originano colori che
tendono a sovrapporsi fino a dar luogo ad arcobaleni completamente bianchi nel caso della
nebbia.
74
I. Il tempo meteorologico
La misura delle precipitazioni
Il pluviometro
Lo strumento utilizzato per misurare le precipitazioni prende il nome di pluviometro,
che è uno strumento di origini molto antiche. Si trovano tracce della sua invenzione sia in India (IV- III secolo a.C.), come attesta il manoscritto sanscrito Arthasastra, che in Palestina (I
secolo d.C), come si evince dal manoscritto Mishnah. In entrambi i casi si tratta di pluviometri primordiali, costituiti da un recipiente di forma più o meno rotonda posto all’aperto per
raccogliere e misurare la quantità di pioggia. In Europa la sua introduzione risale al 1639 ad
opera del monaco bresciano Benedetto Castelli (1577-1643), discepolo di Galileo Galilei.
I moderni pluviometri a lettura diretta si basano sullo stesso principio, essendo costituiti essenzialmente da un contenitore graduato di forma cilindrica di 1300 cm3 di volume e
con bocca tarata di 200 cm2 (pluviometro totalizzatore) o da un imbuto a bocca tarata che
raccoglie l’acqua e la invia al contenitore sottostante. Quest’ultimo è graduato in millimetri
e consente quindi di misurare direttamente la quantità di acqua piovana che raggiunge il
suolo. Nel caso delle precipitazioni solide, neve e grandine, viene misurata la quantità di
acqua che deriva dalla loro fusione.
Nei pluviometri registratori (pluviografi) meccanici o elettronici l’acqua viene convogliata da un imbuto a bocca circolare tarata verso un sistema di misurazione che registra direttamente la quantità di acqua piovuta. Tra l’imbuto ed il sistema di misura è generalmente
posto un filtro asportabile che impedisce l’ingresso di foglie e di altro materiale estraneo.
Il sistema di misura può essere costituito da un cilindro all’interno del quale è presente un
sensore di livello a galleggiante che chiude un contatto elettrico ogni 0.2 mm di pioggia caduta. Tuttavia, il sistema di misura dei pluviografi elettronici maggiormente utilizzati nelle
stazioni meteorologiche è del tipo a vaschetta oscillante,
costituito da due vaschette di capacità nota (circa 0.2 mm)
disposte simmetricamente rispetto ad un fulcro centrale,
in modo che quando una vaschetta si è riempita si abbassa
rapidamente e si scarica tramite un’apertura, mentre inizia
a riempirsi l’altra vaschetta (figura 61). Questo movimento
a bilanciere può azionare un sistema di leve meccaniche
in grado di trasmettere il moto ad una penna (pluviografo meccanico), oppure può essere collegato ad un interruttore elettromagnetico che genera un impulso elettrico
utilizzato in un sistema digitale che lo converte in un impulso di conteggio (pluviografo elettronico). Per misure
eseguite in ambienti particolarmente freddi il pluviometro
può essere dotato di un elemento riscaldatore, in modo da
poter misurare direttamente l’equivalente in acqua della
neve. Noto il volume delle vaschette ed il numero degli
impulsi inviati, si risale al volume totale di pioggia caduta
in un determinato intervallo di tempo.
Figura 61 - Pluviometro
elettronico a vaschetta oscillante.
Il radar
Nei principali Paesi industrializzati è attiva anche una rete di radar meteorologici che
consente di determinare le precipitazioni sull’intero territorio con precisione spaziale molto
elevata. Le precipitazioni infatti possono variare nello spazio in modo significativo anche su
brevi distanze, per cui i pluviometri non sono in grado di rilevare questi cambiamenti.
Il principio di funzionamento dei radar si basa sull’emissione di microonde che vengono
riflesse dalle goccioline d’acqua che compongono le precipitazioni e rilevate da un ricevitore.
Dall’intensità del segnale acquisito dal ricevitore è possibile stimare la quantità di pioggia
che cade in un determinato luogo, permettendo di elaborare delle mappe delle precipitazioni.
Dallo studio di queste mappe è possibile ottenere informazioni dettagliate sulla distribuzione
spaziale delle precipitazioni e seguire in tempo reale la loro dinamica ed evoluzione.
75
Appunti di meteorologia marina
Il rilevamento dei parametri meteorologici
La stazione meteorologica
Per conoscere il clima locale e per ottenere informazioni sui principali eventi
atmosferici che caratterizzano un determinato luogo della superficie terrestre,
è necessario procedere al rilevamento sistematico degli elementi meteorologici
esaminati nei paragrafi precedenti. A tal fine è possibile costruire un piccolo osservatorio costituito da una serie di strumenti assemblati in apposite strutture
chiamate stazioni meteorologiche (figura 62).
Una stazione meteorologica può quindi essere definita come un ‘laboratorio’
attrezzato con una strumentazione idonea
al rilevamento e alla misura sistematica dei
vari elementi meteorologici. Gli strumenti
utilizzati in una stazione di rilevamento
possono effettuare la sola lettura diretta
del dato meteorologico in determinati momenti della giornata (strumenti a lettura
diretta meccanici o elettronici), oppure la
sua registrazione in continuo (strumenti
registratori meccanici o elettronici). Nel
caso in cui vengano utilizzati strumenti registratori elettronici, i dati vengono rilevati
e trasmessi ad un centro di acquisizione dati
in cui sono elaborati ed immagazzinati.
Figura 62 - Stazione Meteorologica
Una particolare elaborazione consiste
alimentata da pannello solare.
nel visualizzare i dati in tempo reale (figura
63). Per eseguire una corretta osservazione meteorologica è necessario, oltre che
utilizzare sensori di buona qualità, rispettare alcuni criteri nella installazione della
stazione che vengono indicati di seguito:
¿ la scelta del sito
¿ la sistemazione logistica della strumentazione
Il sito in cui viene posizionata la stazione meteorologica deve essere privo di
ostacoli o ostruzioni di qualsiasi genere; deve essere inoltre collocato lontano da
aree irrigate, ristagni d’acqua e da zone fortemente urbanizzate o ad elevata comunicazione viaria, in modo da evitare effetti che possano alterare le misure su scala
locale.
Figura 63 - Esempio di interfaccia grafica (CoMMA-Med).
76
I. Il tempo meteorologico
Un altro aspetto fondamentale per la scelta del sito è la sua accessibilità, poiché
deve essere facilmente raggiungibile in modo da rendere più agevole le operazioni di controllo e di manutenzione ordinaria e straordinaria della stazione. Infine,
l’aspetto più importante è che il sito deve essere altamente rappresentativo delle
condizioni geografiche, topografiche e produttive della zona che si vuole monitorare.
Per la sistemazione logistica della strumentazione e del sistema di acquisizione
dati si deve tenere conto di una serie di criteri che dipendono essenzialmente dal
tipo di sensore.
¿
I sensori barometrici devono essere collocati in modo da evitare vibrazioni e
lontano da eventuali sorgenti di calore che possono provocare sbalzi termici;
¿
I sensori termoigrometrici devono essere collocati in apposite strutture di
legno o metalliche (shelter) in modo da non essere alterati dalla radiazione
solare o da altri agenti atmosferici. Solitamente queste strutture sono a ventilazione forzata al fine di diminuire il tempo di risposta dei sensori. È consigliabile inoltre collocare questi strumenti ad un’altezza di circa 2 metri dal suolo
per evitare che siano influenzati dalle caratteristiche del substrato;
¿
Gli anemometri e gli anemoscopi devono essere collocati alla sommità del
‘palo meteorologico’ della stazione (a circa 10 metri di altezza dal suolo in
campo meteorologico e a 2 metri in ambito agrometeorologico). Eventuali ostacoli devono essere situati ad una distanza non inferiore a dieci volte l’altezza
di ubicazione dell’anemometro. L’anemoscopio inoltre deve essere installato
in modo che si abbia lo zero in uscita quando la banderuola è orientata verso
Nord e che l’Est si trovi a 90° in senso orario rispetto al Nord;
¿
I pluviometri devono essere posti in un luogo riparato dal vento e lontano da
fattori esterni che possono alterare la misura quali tettoie e alberi. I pluviometri inoltre devono essere collocati orizzontalmente rispetto ad una superficie
rigida, evitando il cemento su cui l’acqua può rimbalzare e ricadere all’interno
dello strumento. Anche l’eccessiva esposizione ai raggi solari diretti può causare perdite di acqua per evaporazione e quindi alterare la misura;
¿
I sensori per la misura della radiazione solare devono essere collocati lontano da sorgenti di luce artificiale e da oggetti ombreggianti o riflettenti che
possono alterare la misura.
Le stazioni meteorologiche più diffuse possono essere distinte nelle seguenti tre
categorie:
¿ capannina meteorologica
¿ stazione meteorologica elettronica
¿ stazione meteorologica elettronica con trasmissione satellitare.
La capannina meteorologica (figura 64) deve essere costruita in modo da garantire l’ombreggiamento ed una buona ventilazione della strumentazione per
l’acquisizione dei dati meteorologici. A tal
fine, la capannina meteorologica tradizionale, posta ad un’altezza media dal suolo
di 1.80 m, è costruita in legno di larice stagionato, con pareti laterali in listelli di legno a persiana verniciati di bianco e tetto a
intercapedine d’aria con lastra di zinco che
Figura 64 - Capannina
meteorologica con strumenti.
77
Appunti di meteorologia marina
permette la circolazione dell’aria ma impedisce l’entrata dell’acqua di pioggia.
All’interno della capannina meteorologica vengono posizionati alcuni strumenti
meccanici registratori (barografi e termoigrografi), mentre altri sensori vengono
generalmente posizionati a varie altezze su un ‘palo meteorologico’.
Figura 65 - Stazione elettronica con
trasmissione satellitare.
Le moderne stazioni meteorologiche elettroniche (figura 65) sono in grado,
grazie alla diffusione delle nuove tecnologie, di procedere direttamente all’acquisizione, all’elaborazione ed all’archiviazione dei dati meteorologici registrati.In
queste stazioni è presente una centralina in grado di acquisire i segnali elettrici
provenienti dai vari sensori, di trasformarli in dati numerici e, infine, di trasmetterli ad un centro di elaborazione che gestisce i dati.
Queste stazioni dispongono generalmente di strumenti registratori elettronici
dotati di sensori per la misura degli elementi meteorologici e di una centralina
che include una memoria di backup che permette di conservare i dati per un certo
periodo di tempo. La centralina solitamente è collegata ad un sistema per la trasmissione dei dati ad un centro di acquisizione ed archiviazione degli stessi.
I sistemi di trasmissione più comuni sono:
¿ modem con linea
telefonica analogica
¿ modem con cellulare
¿ ponte radio
¿ satelliti geostazionari.
78
I. Il tempo meteorologico
Queste tipologie di stazioni grazie sia ai sistemi di trasmissione che all’alimentazione elettrica con pannello solare fotovoltaico possono essere installate in siti
dove non è presente la corrente elettrica ed una linea telefonica convenzionale.
Un ulteriore progresso nel campo del rilevamento meteorologico è stato compiuto
attraverso l’uso di stazioni meteorologiche elettroniche con trasmissione attraverso satelliti orbitanti (figura 65).
La rete di monitoraggio locale
Quando su un determinato territorio sono disponibili più stazioni meteorologiche, è possibile costituire una rete di monitoraggio locale. Questa permette
l’osservazione diretta dello stato del tempo atmosferico in atto e quindi la possibilità da parte di un servizio di previsioni meteorologiche di seguire nel dettaglio
l’evolversi della situazione meteo. Inoltre i dati delle stazioni permettono di svolgere a posteriori un’analisi climatologica dettagliata del territorio in modo da evidenziarne le caratteristiche principali e verificarne eventuali variazioni di rilievo.
Ovviamente tanto più numerose sono le stazioni che compongono la rete e tanto
maggiore è il dettaglio dell’analisi che può essere effettuata su quel determinato
territorio.
Figura 66 - Schema di una rete di monitoraggio locale.
Una rete di monitoraggio automatica è essenzialmente costituita da una serie
di stazioni meteorologiche elettroniche (figura 66). Ogni stazione appartenente
alla rete, collegata direttamente ad un sistema di trasmissione dati, lavora in piena autonomia, memorizzando in una memoria locale i dati acquisiti da ciascun
sensore in funzione del tempo di campionamento preimpostato. Il sistema di ricezione riceve e preleva i dati dalle singole stazioni in sequenza e ad un orario
stabilito, senza l’ausilio di operatori presenti in loco.
Il centro di acquisizione, mediante operazioni automatiche e/o manuali provvede alla validazione ed alla elaborazione dei dati al fine di garantirne la coerenza e
l’integrità e procede alla loro archiviazione e gestione.
79
Appunti di meteorologia marina
La rete di monitoraggio globale: la World Weather Watch
I progressi compiuti nell’interpretazione dei fenomeni meteorologici, hanno
messo in evidenza l’importanza di considerare gli eventi atmosferici non come
fenomeni isolati, ma inseriti all’interno di un sistema più complesso: il sistema
Terra. La Terra infatti deve essere considerata come un sistema in cui ogni fenomeno che si manifesta in un determinato luogo può avere origine e/o esercitare
effetti anche su territori lontanissimi.
Di conseguenza l’osservazione meteorologica non può essere limitata su scala
locale ma deve essere estesa su scala planetaria. Questo rappresenta il principale
motivo per cui è nata la World Meteorological Organization (WMO), una organizzazione mondiale delle Nazioni Unite che si occupa di meteorologia.
A livello operativo, il WMO si avvale del World Weather Watch (WWW), un sistema meteorologico globale che raccoglie le informazioni meteo provenienti da
tutte le nazioni del mondo che vi cooperano. I tre elementi principali del WWW
sono:
¿
il Sistema di Osservazione Globale: sistema coordinato di metodi, tecniche
e attrezzature per l’esecuzione di osservazioni su scala globale;
¿
il Sistema Globale di Data-processing: sistema coordinato per l’elaborazione
e la conservazione di informazioni meteorologiche;
¿
il Sistema Globale di Telecomunicazione (GTS): sistema coordinato per favorire la raccolta, lo scambio e la distribuzione su scala mondiale delle informazioni meteorologiche.
Nelle stazioni appartenenti a questa rete globale, le osservazioni degli elementi principali del tempo meteorologico vengono effettuate contemporaneamente
quattro volte al giorno in determinate ore (00.00, 06.00, 12.00 e 18.00 del tempo
medio di Greenwich), indicate come ore sinottiche (dal greco sin = insieme e
opsis = visione); perciò le carte che rappresentano gli elementi osservati vengono
dette carte sinottiche o carte del tempo.
L’osservazione meteorologica satellitare
Un notevole contributo allo sviluppo delle conoscenze in ambito meteorologico
è stato possibile grazie all’analisi satellitare.I satelliti meteorologici acquisiscono
immagini della Terra dalle quali è possibile ottenere informazioni relative alla
copertura del cielo, ai venti in quota, alla temperatura della superficie terrestre e
marina, al contenuto di vapore acqueo delle nubi e al moto ondoso.
Questi satelliti, oltre a fornire un’ampia copertura del globo, hanno permesso
di estendere.le osservazioni dei fenomeni atmosferici anche a territori in cui il
rilevamento dei dati meteorologici era praticamente assente come deserti, oceani
e paesi in via di sviluppo.
Il primo satellite meteorologico (TIROS-1, Television and Infrared Observation
Satellite) è stato lanciato in orbita il primo di aprile del 1960 da Cape Canaveral
in Florida (USA), ad opera dall’agenzia meteorologica americana.
Il TIROS-1 era un satellite ad orbita polare localizzato a circa 720 Km di altitudine che, nel giro di 78 giorni, fornì circa 23000 immagini della Terra.
Da allora la nascita della meteorologia satellitare moderna, assieme alla radar-meteorologia, ha consentito di realizzare enormi progressi in campo meteorologico e climatologico.
I vari tipi di satelliti
È possibile distinguere due tipologie principali di satelliti:
¿ satelliti ‘geostazionari’
¿ satelliti ‘polari’.
80
I. Il tempo meteorologico
Figura 67 - Immagine Meteosat ad infrarosso
I satelliti ‘geostazionari’ devono il loro nome al fatto che visti da Terra rimangono fissi in un determinato punto del cielo sopra l’Equatore.
Essi descrivono delle orbite mantenendosi a circa 36000 Km di altitudine e
ruotano sul piano equatoriale con la stessa velocità angolare di rotazione del nostro Pianeta (orbita geosincrona), per cui il loro periodo di rotazione è di 24 ore,
come quello della Terra attorno al proprio asse.
Una delle serie di satelliti più famosi è quella del METEOSAT, le cui immagini
diffuse in molti bollettini meteorologici televisivi sono divenute estremamente
popolari (figura 67).
Il METEOSAT si trova immobile ai nostri occhi in corrispondenza della verticale
alla superficie terrestre passante per il punto di coordinate 0° di latitudine e 0° di
longitudine e ad una distanza di circa 35800 chilometri. Le immagini grezze in arrivo dal METEOSAT giungono alla stazione DATTS (Data Aquisition, Telemetry and
Tracking Station), situata in Germania vicino a Darmstadt, che le inoltra alla ESOC
(European Space Operations Centre), dove sistemi di processamento provvedono
a campionare le immagini, a correggerle geometricamente e ad elaborarle per poi
trasmetterle agli utenti.
Il compito dei satelliti meteorologici geostazionari è quello di osservare una
porzione di Terra compresa tra i 60° Nord e i 60° Sud mediante un sistema composto da 5 satelliti equidistanti (figura 68).I satelliti ad orbita polare descrivono
orbite ellittiche rispetto ai Poli. Ogni orbita completa attorno alla Terra richiede
circa 100 minuti, per cui in genere vengono effettuate 14 orbite al giorno. Solitamente un satellite di questa classe è programmato in modo da osservare una data
area ad intervalli di tempo regolare, in genere di 6-12 ore.
Di particolare interesse sono i satelliti eliosincroni, ad orbita quasi polare (98°
rispetto al piano equatoriale). Questi satelliti, come dice lo stesso nome, descri-
81
Appunti di meteorologia marina
Figura 68 - Orbite e localizzazione di alcuni dei principali satelliti meteorologici.
vono un’orbita sincrona rispetto al Sole, per cui si trovano in una posizione fissa
rispetto ad un osservatore ipotetico posto su questo astro; questo permette di
ottenere osservazioni della Terra durante le ore diurne.
Al contrario, questi satelliti appaiono in movimento rispetto ad un osservatore
posto sulla Terra ed il loro moto si ripete ogni 24 ore, per cui il satellite passa
sopra un’area specifica della Terra approssimativamente alla stessa ora. Ad esempio i satelliti polari NOAA-9 e NOAA-10 sorvolano l’Equatore rispettivamente alle
14.30 e 02.30 e alle 07.30 e 19.30. I satelliti polari sono localizzati ad un’altitudine inferiore rispetto a quelli geostazionari (intorno agli 800-900 Km) ed il loro
compito, complementare a quello dei satelliti geostazionari, è quello di osservare
le alte latitudini (cioè quelle oltre i 60°), consentendo una copertura globale della
Terra (figura 68).
Di seguito, gli Stati e le Agenzie che gestiscono i principali satelliti meteorologici.
¿ Europa - European Weather Satellite Organization (EUMETSAT):
METEOSAT
¿ Stati Uniti - National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA):
GOES (Geostationary Operational Environmental Satellite)
NOAA series
Quikscat
¿ Giappone - Japanese Meteorological Agency (JMA):
GMS (Geostationary Meteorological Satellite)
¿ India - Indian Meteorological Department:
INSAT (Indian National Satellite)
¿ Cina - National Satellite Meteorological Center (NSMC) della China
Meteorological Administration:
FY-1 (Feng-Yun 1)
FY-2 (Feng-Yun 2)
¿ Russia - Russian Planeta-C Meteorological Space System:
GOMS (Geostationary Operational Meteorological Satellite)/ELECTRO series
METEOR series
82
I. Il tempo meteorologico
Principio di funzionamento e potenzialità del rilevamento satellitare
L’osservazione satellitare della Terra avviene attraverso l’uso di una strumentazione in grado di acquisire immagini nei campi del visibile, dell’infrarosso e di
altre lunghezze d’onda. Lo strumento base di cui sono dotati tutti i satelliti meteorologici è il radiometro, che è in grado di captare ed analizzare la radiazione
in arrivo dalla superficie terrestre. I radiometri a bordo dei satelliti possono acquisire immagini nei campi:
¿ del visibile
¿ dell’infrarosso termico
¿ di altre lunghezze d’onda
L’analisi di queste immagini permette di risalire, in modo diretto o indiretto, a
molti dati relativi ai fenomeni atmosferici quali: l’analisi dei sistemi nuvolosi e del
loro moto, stime del vento in quota, temperatura dei mari e delle terre emerse,
estensione delle nevi e dei ghiacciai. I satelliti meteorologici permettono anche lo
studio dei fenomeni temporaleschi ed in modo particolare dei fulmini.
Una sola immagine proveniente da satellite è in grado di fornire un numero
superiore di dati rispetto a qualsiasi rete di osservazione posizionata a terra.
Immagini acquisite nel campo del visibile
Durante le ore diurne, l’intensità della luce riflessa dalla Terra dipende dalla presenza di
corpi in grado di riflettere in modo differente la radiazione luminosa nel campo del visibile. Ad esempio, la neve e la sommità di grossi corpi nuvolosi riflettono gran parte della
luce visibile, mentre la superficie terrestre priva di nuvole e gli oceani forniscono un debole
segnale. Le immagini sono processate in bianco e nero, perciò le aree prive di copertura
nuvolosa risultano più scure rispetto a quelle coperte da nuvole.
La riflessione delle nubi varia inoltre in funzione del loro spessore, per cui le nubi più sottili hanno un albedo del 30-50% mentre quelle più spesse del 60-90%. Gli oceani riflettono
meno del 10% della luce solare incidente e perciò appaiono neri. I deserti sabbiosi come il
Sahara risultano piuttosto chiari, mostrando un albedo variabile tra il 25 ed il 40%, mentre le
superfici ricoperte di neve pulita riflettono circa il 75-95% della luce solare incidente.
Il limite delle immagini acquisite nel campo del visibile è che non sono disponibili durante il periodo notturno, perciò è necessario utilizzare sensori radiometrici in grado di
acquisire immagini anche nel campo dell’infrarosso termico.
Immagini acquisite nel campo dell’infrarosso termico
L’intensità delle radiazioni emesse nel campo dell’infrarosso termico risulta strettamente dipendente dalla temperatura del corpo che le emette (legge di Stefan-Boltzmann).
Quindi, ad esempio, il segnale nell’infrarosso aumenterà passando dalla superficie Sahariana priva di nubi (circa 60-70°C) alle sommità delle nubi dei cumulonembi equatoriali (circa
-70°C). Le immagini vengono processate in bianco e nero, per cui un segnale intenso appare
di colore nero ed un segnale debole di colore bianco.
Pertanto, il segnale che arriva da superfici fredde come le nuvole appare bianco. Il principale vantaggio di utilizzare l’infrarosso termico consiste nella possibilità di acquisire immagini in maniera continua per 24 ore al giorno.
Immagini acquisite ad altre lunghezze d’onda
I radiometri posti sui satelliti meteorologici coprono uno spettro più ampio ed includono la radiazione infrarossa nella banda di assorbimento del vapore acqueo. In questa
banda il vapore acqueo presente nell’atmosfera assorbe, completamente o parzialmente,
la radiazione emessa dalla superficie terrestre sottostante (suolo o mare) e ne riemette una
parte verso il sensore del satellite, il quale è così in grado di generare ‘immagini’ del vapore
acqueo. Queste immagini forniscono informazioni sull’estensione ed il tipo di copertura
83
Appunti di meteorologia marina
nuvolosa, poiché i colori chiari indicano una presenza consistente di vapore acqueo, mentre
i colori scuri una quantità progressivamente decrescente di questo componente atmosferico (ad esempio, tonalità chiare sono caratteristiche dei sistemi frontali e dei cumulonembi
temporaleschi).
Un cenno a parte meritano i sensori di cui sono dotati i satelliti di nuova generazione, i
quali sono in grado di acquisire immagini anche nel campo delle microonde. Questi sensori
(SAR e altimetri) sono definiti ‘attivi’, poiché trasmettono impulsi di microonde e ricevono il
segnale riflesso dalla Terra. I satelliti dotati di questa tipologia di sensori vengono indicati
anche come ‘satelliti per le risorse terrestri’, in quanto trovano naturale impiego nei rilievi
cartografici e nell’analisi delle caratteristiche fisiche della superficie terrestre.
Tuttavia, il SAR (Synthetic Aperture Radar) e gli altimetri stanno assumendo un’importanza rilevante anche nel campo della meteorologia marina e in oceanografia, poiché sono
in grado di fornire immagini radar della superficie del mare con un’elevata risoluzione spaziale. Un ulteriore progresso nel campo delle osservazioni satellitari si avrà con la serie di
satelliti METEOSAT di seconda generazione (MSG, Meteosat Second Generation).
Essi prevedono l’utilizzo di sensori radiometrici in grado di acquisire 12 canali. Questo
permetterà un più facile monitoraggio dello strato dell’ozono e lo studio della microfisica
dell’atmosfera. La rete meteorologica satellitare, per la mole e precisione di dati che è in grado di fornire, svolge un ruolo fondamentale anche per lo sviluppo dei modelli previsionali.
Infatti, una previsione è tanto più accurata ed attendibile, quanto più nel modello previsionale si tiene conto della variabilità quotidiana dei parametri meteorologici.
Inoltre, i satelliti meteorologici servono anche a ricevere e/o inviare dati in aree remote.
Per esempio, l’Inghilterra (Met Office), la Francia e l’Italia inviano tramite satellite bollettini o
dati meteorologici in zone che non sarebbero altrimenti in grado di riceverli.
Modellistica previsionale
La meteorologia contemporanea si è evoluta molto grazie allo sviluppo continuo sia delle reti terrestri e satellitari di rilevamento dei parametri meteorologici,
sia dei sistemi di calcolo, sempre più potenti ed economici.
In particolare, l’enorme crescita della potenza di calcolo ha dato luogo, negli
ultimi decenni, ad una vera e propria esplosione di interesse per la modellistica
numerica.
I modelli meteorologici previsionali hanno subito un progresso costante in
termini di affidabilità e dettaglio sul territorio, grazie anche alla quantità senza
precedenti di dati utili alla definizione dello stato iniziale dell’atmosfera, ed hanno ormai raggiunto uno stadio di avanzamento tale da renderli una fonte d’informazione sufficientemente affidabile per la valutazione dei parametri atmosferici.
Questa nuova e moderna fonte di informazione è quindi complementare a quelle
tradizionali e fornisce un ulteriore supporto alle attività di previsione.
I primi tentativi di prevedere il tempo mediante metodi numerici risale al 1922,
con il lavoro di L. F. Richardson. L’opera di Richardson mise in evidenza che,
anche per previsioni a breve termine su un’area ristretta della Terra, la quantità
di operazioni aritmetiche necessarie era enorme. Inoltre, il dettaglio e la qualità
dei dati meteorologici da fornire come dati iniziali al modello erano a quell’epoca
piuttosto scarsi.
A causa di questi problemi, il lavoro di Richardson fornì scarsi risultati e fu
quindi temporaneamente abbandonato.
L’interesse per la modellistica numerica si rinnovò dopo la seconda guerra
mondiale, grazie all’espansione della rete di osservazioni meteorologiche, che
fornì dati iniziali molto più dettagliati ed attendibili, e alla nascita dei primi calco-
84
I. Il tempo meteorologico
latori. Nelle equazioni di base del modello di Richardson furono inoltre introdotte
delle semplificazioni (J. G. Charney, 1948), in modo che richiedessero una minore
quantità di risorse di calcolo. I modelli risultanti fornivano però delle previsioni
non molto attendibili.
In tempi recenti, grazie all’enorme incremento della potenza di calcolo, sono
stati sviluppati modelli atmosferici previsionali a ‘fisica completa’, che risolvono
numericamente il set completo delle equazioni dinamiche relative ai moti atmosferici, con le parametrizzazioni per la diffusione turbolenta, le radiazioni solari
e terrestri, i processi umidi (inclusa la formazione e l’interazione tra nuvole e
idrometeore), lo scambio di calore sensibile e latente fra atmosfera, suolo, vegetazione e acqua, gli effetti cinematici del terreno, la convezione cumuliforme.
Un modello meteorologico si basa generalmente su un sistema di equazioni
differenziali alle derivate parziali, che esprimono in forma matematica i principi
di conservazione propri del fluido atmosferico, relativi alla massa, all’energia e
alla quantità di moto.
La dipendenza dal tempo di tali equazioni rende possibile il calcolo dell’evoluzione futura del sistema e, quindi, dà la possibilità di effettuare previsioni. Le
equazioni sono molto complesse, per cui di solito è impossibile trovare una soluzione analitica, a meno di approssimazioni molto limitative. Per questa ragione la
soluzione delle equazioni che descrivono l’evoluzione dello stato dell’atmosfera è
ottenuta mediante metodi numerici realizzati su calcolatori.
I metodi numerici si basano su una rappresentazione discretizzata dello spazio
e del tempo. Ciò significa che lo stato dinamico del sistema fisico è descritto specificando il valore che assumono le grandezze fisiche di interesse su tutti i punti
di una griglia spaziale.
L’evoluzione temporale del sistema è poi calcolata dal modello mediante algoritmi di integrazione numerica.
Tale integrazione numerica consente di calcolare i valori che assumono le grandezze fisiche in tutti i punti della griglia di discretizzazione, ad istanti di tempo
successivi, a partire da un dato stato iniziale.
Anche la descrizione dell’evoluzione temporale è di tipo discretizzato, cioè gli
istanti di tempo ai quali le condizioni del sistema vengono calcolate sono separati
da una distanza finita. La grandezza degli intervalli di discretizzazione sia spaziale che temporale definisce la granularità della descrizione dell’atmosfera fornita
dal modello.
Tale descrizione è tanto migliore, quanto più la granularità è fine, ovvero quanto più la risoluzione spaziale e quella temporale sono elevate.
Un fattore importante da valutare, quando si sviluppano ed utilizzano modelli
meteorologici previsionali, è la scala spaziale su cui operano. Esistono modelli
meteorologici formulati per simulare lo stato e l’evoluzione dell’atmosfera alla
scala globale (l’intero pianeta) e modelli che operano su domini limitati.
Mentre i modelli globali, quale per esempio quello utilizzato presso il Centro
Europeo per le Previsioni a Medio Termine ECMWF, necessitano delle sole condizioni iniziali per procedere alla risoluzione delle equazioni dell’atmosfera, i modelli ad area limitata necessitano anche delle condizioni al contorno del proprio
dominio di calcolo. Tali condizioni possono essere fornite sia dalle osservazioni
reali che da modelli a scala più grande.
Le potenzialità predittive e l’attendibilità di un modello dipendono fortemente
dalla qualità dei dati utilizzati per fornire le condizioni al contorno e l’informazione sullo stato iniziale da cui l’integrazione numerica deve partire, nonché dal
85
Appunti di meteorologia marina
modo stesso in cui tali dati vengono forniti al modello.
Esistono oggi numerosi modelli a grande scala che possono fornire condizioni
al contorno ad alta risoluzione; tali modelli fisico-matematici vengono risolti numericamente e validati mediante dati e registrazioni sperimentali. In Europa, nella
maggior parte dei casi, si utilizzano le condizioni iniziali ed al contorno fornite dal
modello globale del ECMWF.
I modelli AVN/MRF del National Centers for Environmental Predictions (NCEP)
costituiscono una ulteriore fonte di dati per inizializzare i modelli a mesoscala.
Infine, ai campi forniti dai modelli a grande scala, si va ad aggiungere anche l’assimilazione diretta di osservazioni fatte da stazioni a terra e da satellite.
I modelli ad area limitata si differenziano, inoltre, per la risoluzione spaziale.
Una limitazione pratica all’uso di risoluzioni spaziali molto elevate su domini di
calcolo relativamente vasti risiede nel drastico aumento dei tempi di calcolo a causa dell’incremento del numero di punti di griglia. È questo il motivo per cui generalmente modelli ad alta risoluzione spaziale sono utilizzati su aree di dimensioni
relativamente piccole.
Per ottenere risoluzioni particolarmente elevate su aree di grande interesse per
le quali si intende fornire previsioni meteorologiche di dettaglio si ricorre spesso
alla tecnica dell’innesto di griglie a risoluzione crescente (figura 69): i risultati
ottenuti mediante le griglie più grandi vengono utilizzati come condizioni al contorno per le griglie più piccole.
Figura 69 - Esempio di innesto di griglie a risoluzione crescente.
Naturalmente, una volta sviluppato un modello, è necessaria una fase di validazione, che avviene attraverso una serie di simulazioni, condotte su dati già
esistenti, cioè su dati i cui risultati sono già noti.
Se i risultati teorici ottenuti sono confrontabili con quelli sperimentali in possesso, allora il modello si considera valido. Per effettuare una validazione corretta
è necessario compiere questo tipo di operazione su molti insiemi di dati in modo
da verificare un’ampia variabilità di situazioni.
Un tipico modello a fisica completa, in grado di simulare virtualmente qualsiasi
struttura atmosferica a risoluzione arbitraria, è il RAMS (Regional Atmospheric
Modeling System), sviluppato all’Università del Colorado (Pielke et al., 1992) ed
86
I. Il tempo meteorologico
utilizzato per esempio, presso il centro meteorologico regionale LaMMA di Firenze (www.lamma.rete.toscana.it).
Il modello RAMS è particolarmente adatto per applicazioni ad alta risoluzione
in virtù della sua capacità di assimilare rappresentazioni della superficie di qualsiasi risoluzione e dettaglio, nonché della sua capacità di descrivere le strutture
atmosferiche virtualmente a qualsiasi livello di dettaglio, come nella simulazione
di fenomeni di microscala, quali i tornado o il flusso turbolento intorno a edifici.
Per poter risolvere (esplicitamente o per mezzo di parametrizzazioni) sistemi
atmosferici locali o alla mesoscala-γ (scale delle decine di km) come i temporali e,
allo stesso tempo, di rappresentare l’evoluzione dei sistemi a scala più grande,
si impiegano di solito griglie innestate a risoluzione crescente verso l’interno.
RAMS, al fine di assicurare il continuo equilibrio delle griglie, offre la caratteristica di scambio reciproco (two-ways) delle informazioni tra una griglia innestata e
quella “madre”.
Inoltre, in questo modello, è particolarmente evoluta la rappresentazione della
interazione tra superficie terrestre, biosfera ed atmosfera, la cui rilevanza per la
ricostruzione delle strutture meteorologiche, ed in particolare dei flussi superficiali (sia in termine di direzione che di intensità), è stata individuata da tempo
(Avissar & Pielke, 1989; Molders & Raabe, 1996).
L’interazione tra superficie ed atmosfera all’interno di RAMS, è descritta da un
modello prognostico (LEAF-2) che si occupa, tra l’altro, della valutazione dei flussi
di calore e turbolenza tra superficie e atmosfera (Walko et al., 2001).
87
APPUNTI DI
METEOROLOGIA MARINA
II. Elementi di oceanografia
II. Elementi di oceanografia
Elementi di oceanografia
Per comprendere i fenomeni meteorologici che interessano il mare è necessario
analizzare le sue principali caratteristiche.
La scienza che studia l’ambiente marino, i processi fisici, chimici e biologici che
si sviluppano in esso e ne caratterizzano struttura e movimenti è l’oceanografia.
Lo studio dell’ambiente marino è comunque fortemente legato alle conoscenze
del sistema atmosferico.
Infatti le interazioni che avvengono tra mare e atmosfera sono così forti che si
potrebbe parlare di un unico sistema ‘atmosfera-marÈ caratterizzato da scambi
continui di energia termica e meccanica.
In particolare, dallo scambio energetico che avviene tra lo strato inferiore dell’atmosfera e lo strato superficiale del mare, dipendono il moto ondoso ed altre
dinamiche meteo-marine.
Altri fenomeni che interessano il mare sono le correnti, causate ad esempio dall’azione del vento sulla superficie marina o da gradienti di densità e di livello, e le
maree, che possono essere viste come gigantesche onde generate dall’attrazione
gravitazionale della Luna ed altri corpi celesti.
Vi sono, infine, movimenti ‘eccezionali’ come storm surges e tsunami che possono creare danni ingenti a oggetti e persone che si trovano in mare o sulle coste.
I movimenti del mare possono essere raggruppati in funzione della frequenza con
cui si manifestano nelle seguenti tre categorie:
¿ periodici (maree)
¿ costanti, o meglio caratterizzati da debole variabilità (correnti)
¿ variabili o irregolari (moto ondoso, storm surges, tsunami).
Origine, composizione e caratteristiche
chimico-fisiche delle acque marine
Origine
L’origine delle acque marine viene fatta risalire alle prime fasi evolutive della
Terra quando, in seguito al raffreddamento della superficie terrestre, le enormi
quantità di vapore acqueo presenti nell’atmosfera condensarono.
In seguito alla condensazione e precipitazione del vapore acqueo le depressioni e le irregolarità della crosta terrestre furono colmate di acqua originando
gli oceani e i mari, mentre la dinamica delle placche della crosta terrestre andava
plasmando la forma dei bacini oceanici.
La roccia basaltica costituente il fondale di questi ultimi viene infatti continuamente prodotta da eruzioni di magma lungo le dorsali medio-oceaniche. Queste
sono vere e proprie catene di vulcani sottomarini che attraversano gli oceani con
un’estensione di oltre 60000 km e altezze che possono raggiungere anche i 2000
m. Alla continua formazione di roccia basaltica medio-oceanica corrisponde un
altrettanto continuo sprofondamento del fondale oceanico sotto la crosta continentale. Le zone in cui tale sprofondamento avviene sono dette margini di subduzione e sono ovviamente localizzate lungo i bordi continentali.
In corrispondenza di esse si hanno archi insulari di origine vulcanica, continuamente caratterizzati da intensa attività vulcanica, connessa proprio con i moti di
subduzione (il Giappone ne è un tipico esempio).
Tali moti sono anche la causa di formazione delle più profonde fosse oceaniche
note (ad esempio la fossa delle Marianne, con i suoi 11.000 metri di profondità).
91
Appunti di meteorologia marina
Composizione chimica
Le acque marine contengono in media il 3.5% di sali minerali, di cui il più abbondante è il cloruro di sodio che conferisce il caratteristico sapore salato. L’acqua
marina contiene inoltre cloruro di magnesio e solfati di calcio, magnesio e
potassio (figura 70). Siccome i sali risultano completamente dissociati in acqua,
si usa esprimere i costituenti dell’acqua marina sotto forma di ioni (atomi dotati
di cariche positive o negative). Gli ioni maggiormente presenti nelle acque marine
sono il cloruro (Cl-, 55%), il sodio (Na+, 30.6%), il solfato (SO42-, 7.7%), il magnesio (Mg2+, 3.7%), il calcio (Ca2+, 1.5%) ed il potassio (K+, 1.5%). L’origine dei
sali è attribuita prevalentemente ai composti minerali contenuti nelle rocce che
vengono parzialmente disciolti ad opera delle acque continentali che scorrono in
superficie. Altre possibili cause sono attribuite all’attività vulcanica dei fondali
sottomarini (in particolare lungo i margini attivi delle placche oceaniche) ed alla
decomposizione di organismi marini con rilascio in acqua di sali minerali.
Figura 70 - Composizione chimica media dell’acqua marina.
Il colore del mare e la penetrazione della luce in acqua
Le radiazioni che compongono lo spettro elettromagnetico solare penetrano a
differenti profondità del mare in funzione della loro lunghezza d’onda (figura 71).
La componente della radiazione solare che penetra più in profondità è rappresentata dal blu, capace di raggiungere i 200-300 metri. Le radiazioni corrispondenti al
verde ed al violetto arrivano intorno ai 100 metri, mentre le radiazioni corrispondenti al giallo, arancione e rosso vengono assorbite dagli strati più superficiali.
Per questa ragione il colore del mare appare generalmente blu o verde-azzurro.
Tutto ciò vale per acque limpide, mentre in acque torbide, a causa dei meccanismi
indotti dalla presenza di pulviscolo in sospensione, le componenti che risultano
più penetranti sono quelle nella banda del giallo, con conseguenti differenze nel
colore con cui appaiono le acque ad esempio in alcune zone costiere ed in corrispondenza della foce di fiumi.
Per calcolare l’intensità della luce alle differenti profondità del mare può essere
utilizzata la seguente equazione:
Iz = I0 exp (-kz)
dove I0 è l’intensità della radiazione che giunge in superficie, Iz è l’intensità della
radiazione alla profondità z al di sotto della superficie marina e k è il coefficiente
di estinzione della luce che dipende dalla limpidità dell’acqua. Tale espressione
è valida per ogni singola componente spettrale della luce; la diversa capacità di
penetrazione è in relazione al valore di k, che dipende quindi dalla frequenza della
radiazione considerata. Alle componenti più penetranti corrispondono valori di k
più piccoli. In particolare, per la componente blu, i valori di tale parametro variano
da valori di circa 0.02, in acque oceaniche limpide (per cui il rapporto Iz/I0 è circa
22% a 10 m di profondità e 2% a 200 m), a valori di circa 2, in acque torbide di
92
II. Elementi di oceanografia
costa (per cui la luce non raggiunge i 10 m di profondità).
In realtà il valore di k non è omogeneo ma tende a variare con la profondità,
poiché le acque superficiali sono più ricche di schiuma, bolle d’aria, particelle
solide in sospensione e organismi animali e vegetali microscopici che le rendono
più torbide rispetto agli strati di acqua profondi.
La distribuzione della radiazione solare alle differenti profondità svolge un ruolo fondamentale sui cicli biologici che avvengono in mare.
La luce infatti costituisce il fattore limitante la
fotosintesi clorofilliana, per cui le alghe presenti
alle diverse profondità sono dotate di pigmenti
specifici in grado di captare ed assorbire radiazioni luminose a differenti lunghezze d’onda. Di
conseguenza è possibile distinguere una zona
eufotica, illuminata dalle radiazioni solari, ed
una zona disfotica non illuminata; nella zona
eufotica si sviluppano organismi autotrofi in
grado di compiere la fotosintesi clorofilliana e,
quindi, di trasformare l’energia solare in composti organici, mentre in quella disfotica vivono
solo organismi consumatori e decompositori.
Le misure dell’intensità della luce alle differenti profondità e del colore del mare richiedono attrezzature specifiche molto complesse che
Figura 71 - Penetrazione della luce difficilmente sono disponibili durante le spedizioni scientifiche oceanografiche. Un semplice
in mare alle differenti lunghezze
strumento adottato per misurare l’intervallo di
d’onda.
visibilità (o limpidità) delle acque marine è il
disco di Secchi. Questo strumento consiste in un disco bianco di circa 30 cm
di diametro che viene mantenuto orizzontale ed immerso in acqua tramite una
corda. La media tra la profondità alla quale il disco scompare alla vista dell’operatore e la profondità alla quale ricompare nel momento in cui viene riportato in
superficie, fornisce una stima empirica dell’intervallo di visibilità e del coefficiente
di estinzione della luce per lo strato di mare in studio.
La pressione idrostatica
La pressione idrostatica è data dal peso della colonna di acqua che sovrasta
l’unità di superficie ed aumenta di circa 1 atmosfera per ogni 10 metri di
profondità, per cui negli abissi oceanici può superare anche le 1000 atmosfere.
La pressione esercita un’influenza notevole sugli organismi marini che vivono in
mare, tanto che alcuni pesci abissali non sono in grado di sopravvivere in superficie senza subire gravi lesioni in seguito alla forte diminuzione della pressione
esterna. Solo appositi mezzi sottomarini (i batiscafi) sono in grado di sopportare
pressioni elevate e quindi di esplorare le profondità degli oceani.
La temperatura del mare
La temperatura del mare è soggetta ad ampie variazioni sia in superficie che in
profondità.
La variazione della temperatura marina in superficie è strettamente dipendente dall’energia solare ricevuta alle varie latitudini, perciò la temperatura diminuisce passando dalle regioni intertropicali con valori medi annui intorno ai 27-28
°C e verso i Poli dove si raggiunge il punto di congelamento.
Le variazioni stagionali invece risultano meno evidenti rispetto a quanto av-
93
Appunti di meteorologia marina
viene per la terraferma, a causa dell’elevata capacità termica delle acque. Questa
caratteristica delle acque fa sì che il riscaldamento ed il raffreddamento dei mari
avvenga più lentamente rispetto alla terraferma e che le variazioni termiche stagionali in superficie risultino sempre molto limitate. Un ruolo importante nel determinare la temperatura del mare è svolto anche dall’azione delle correnti marine
calde e fredde e dall’azione di raffreddamento o riscaldamento delle masse d’aria
in movimento sopra la superficie marina.
Per quanto riguarda le variazioni lungo il profilo verticale, la temperatura
tende a diminuire rapidamente ed in modo non uniforme procedendo dalla superficie marina verso i fondali. In genere la diminuzione è inizialmente molto rapida
fino ad una profondità di 100-200 metri, per poi divenire notevolmente più lenta.
Al di sotto dei 4000 metri le temperature si mantengono uniformemente basse in
ogni regione oceanica, superando di poco 0°C.
La zona in cui la temperatura scende rapidamente ed il gradiente termico raggiunge il massimo valore prende il nome di termoclino (figura 72).
Alle basse latitudini il termoclino tende ad essere molto ripido e localizzato
a circa soli 100 m sotto la superficie del mare, i valori di temperatura che solitamente si osservano sono: 20°C o più in superficie, 8°C a 500 m di profondità, 5°C
a 1000 m e 2°C a 4000 m.
Alle medie latitudini, dove lo strato superficiale del mare risulta più freddo
rispetto alle basse latitudini, il termoclino è meno ripido ed è localizzato più in
profondità rispetto ai Tropici e soggetto ad un’ampia variabilità stagionale. Alle
alte latitudini il raffreddamento in superficie determina un rimescolamento convettivo con gli strati più profondi, perciò le acque superficiali e profonde mostrano valori di temperatura comparabili (figura 72).
Figura 72 - Variazione della temperatura con la profondità alle diverse latitudini.
La temperatura svolge un ruolo fondamentale sulle biocenosi marine. Alcuni
organismi marini richiedono valori costanti di temperatura (specie stenoterme),
mentre altri risultano maggiormente adattabili a variazioni termiche (specie
euriterme). Ogni specie è caratterizzata comunque da un differente valore
di temperatura del mare che risulta ottimale per la sua crescita, sviluppo e
riproduzione, perciò le variazioni termiche possono avere notevoli ripercussioni
94
II. Elementi di oceanografia
sulla biodiversità e sulla distribuzione degli organismi marini nei vari luoghi della
Terra. La temperatura influenza anche la densità delle acque, per cui si assiste ad
una diminuzione di densità, a parità di salinità e pressione, passando da acque
fredde ad acque calde.
Per misurare la temperatura delle acque superficiali o SST (Sea Surface Temperature) il metodo tradizionale si avvale di appositi recipienti per la raccolta di
campioni di acqua marina, sui quali si esegue rapidamente la misura della temperatura tramite un termometro in vetro a mercurio o ad alcool.
I recipienti hanno una capacità di 4-6 litri e sono in genere costituiti da un
materiale sufficientemente resistente da contrastare la pressione idrostatica esercitata dall’acqua.
Il campionamento viene effettuato ad una profondità inferiore al metro, in
modo da evitare lo strato più superficiale in stretto contatto con l’aria sovrastante,
e facendo attenzione a non collezionare acqua che può essere stata termicamente
alterata dal passaggio della nave. Una volta che l’acqua è giunta a bordo, è necessario procedere immediatamente alla misura in un luogo ombreggiato. In alternativa a questo metodo vengono utilizzati termometri che misurano la temperatura
dell’acqua in ingresso nella sala motori della nave.
Questo metodo può incorrere più facilmente nel rischio di alterazione della
misura, ma può essere preferibile nel caso in cui il mare risulti particolarmente
agitato o qualora la nave viaggi a velocità sostenute. Altri sistemi di misura della
temperatura dello strato superficiale del mare si avvalgono di termometri elettrici
a resistenza o di termistori inseriti sullo scafo di una nave o su boe che inviano i
dati rispettivamente ad un quadrante situato sul ponte o a stazioni poste a terra.
I termometri elettrici più utilizzati misurano la variazione di resistenza di un
filo conduttore al variare della temperatura dell’acqua. Oltre a questi metodi tradizionali, al giorno d’oggi stanno avendo sempre più diffusione i metodi di misura a
distanza. Questi metodi si basano sulla misura della radiazione infrarossa emessa
dalla superficie del mare tramite l’uso di opportuni sensori o radiometri (termometri radiativi) in grado di operare nel campo spettrale compreso tra 10.4 e 12.5
micrometri (infrarosso termico).
Il principio di funzionamento di questi sensori si basa sul fatto che qualsiasi
oggetto con una temperatura superiore allo zero assoluto emette una radiazione
elettromagnetica la cui potenza irraggiante è funzione della sua temperatura (legge di Stefan-Boltzmann).
Questi sensori possono essere situati su navi, aerei o satelliti e consentono di
rilevare la temperatura del mare con notevole precisione. I sensori radiometrici
satellitari (quale ad esempio il sensore AVHRR – Advanced Very High Resolution
Radiometer - del satellite NOAA) sono in grado di fornire informazioni su superfici
molto ampie della Terra, tuttavia i dati ottenuti da satellite richiedono di essere
convalidati ed integrati con misure eseguite con più alta capacità di risoluzione.
Per questo motivo assumono notevole importanza i rilevamenti termici effettuati
con sensori radiometrici montati su battelli oceanografici o velivoli.
Ad esempio, lo Sky Arrow ERA (Environmental Research Aircraft) (figura 73),
nato da una collaborazione tra IBIMET-CNR, NOAA (National Oceanographic Atmospheric Administration) ed un’impresa italiana specializzata nella costruzione
di velivoli (Iniziative Industriali Italiane), costituisce una piattaforma aerea particolarmente adatta a studi e ricerche di monitoraggio ambientale, poiché è dotato
di una botola posta sul ventre della fusoliera che offre la possibilità di installare
sensori per il rilevamento dei principali parametri ambientali.
Nel caso specifico della misura della temperatura superficiale delle acque viene
95
Appunti di meteorologia marina
Figura 73 - Lo Sky Arrow ed i sensori installati
sul ventre della fusoliera.
Figura 74 - Esempio di immagine ottenuta dal sensore della FLIR System montato sulla
fusoliera dello Sky Arrow e corrispondente ricostruzione 3D.
utilizzata una telecamera termica, in grado di rilevare le variazioni di radiazione
infrarossa termica emessa dalla superficie marina e di risalire alla sua temperatura (figura 74).
Per determinare la temperatura del mare alle differenti profondità si possono
utilizzare dei termometri reversibili (in inglese reversing thermometer).
Questi strumenti sono costituiti da un termometro a mercurio che quando viene rovesciato provoca la rottura della colonnina di mercurio in corrispondenza di
una costrizione del capillare di vetro.
Ciò permette di mantenere la registrazione della temperatura nel momento in
cui il termometro viene nuovamente rovesciato e portato in superficie.
Operativamente il termometro viene fissato ad un filo metallico ed immerso
alla profondità alla quale si vuole effettuare la misura; raggiunta la profondità desiderata, viene fatto scorrere lungo il filo metallico un piccolo peso che, giunto in
prossimità del termometro, aziona un fermo che provoca il suo rovesciamento.
Si possono distinguere due categorie di termometri reversibili che si trovano
generalmente affiancati ed applicati sulla parete di una bottiglia di Nansen:
¿ termometri protetti
¿ termometri non protetti
I primi sono contenuti all’interno di un bulbo in vetro che consente di contrastare la pressione idrostatica esercitata dall’acqua in profondità. A causa della
96
II. Elementi di oceanografia
compressione, la temperatura registrata dal termometro non protetto risulta superiore rispetto a quella del termometro protetto, perciò la differenza di lettura
tra i due termometri fornisce una stima indiretta della pressione idrostatica esercitata dall’acqua. Considerando che l’aumento della pressione idrostatica con la
profondità è di circa 0.1 atmosfere per metro, è possibile risalire alla profondità
del mare a cui è stata eseguita la misura della temperatura.
Un altro strumento che permette di misurare le variazioni di temperatura con la
profondità del mare è il batitermografo inventato da Spilhaus nel 1937. Questo
strumento viene calato in mare da una nave in movimento ed immerso in acqua
tramite un cavo metallico.
Il sensore di temperatura è costituito da un tubo di Bourbon, riempito con un
liquido termodilatabile (xilene) che si dilata o si contrae col variare della temperatura dell’acqua. Il tubo è collegato ad uno stilo che si muove sopra una lastra
di vetro affumicato al variare della temperatura. La lastra di vetro è connessa ad
un soffietto che si contrae o si dilata al variare della pressione con la profondità,
spostando la lastra perpendicolarmente al movimento dello stilo.
Dalla traccia lasciata dallo stilo sulla lastra durante l’immersione e la risalita
in superficie dello strumento, si ottiene una registrazione della variazione della
temperatura con la profondità del mare.
La salinità delle acque marine
La salinità delle acque marine viene generalmente espressa come grammi di
sali contenuti in 1000 grammi di acqua, perciò le acque marine contengono in
media 35 grammi di sali ogni 1000 grammi di acqua il che equivale a dire che in
media le acque marine presentano una salinità del 35 per mille - ‰ -. Tuttavia,
la salinità è soggetta a notevoli variazioni nel tempo e nello spazio. Ad esempio,
il Mar Baltico mostra una salinità nettamente inferiore alla media (circa il 7‰),
mentre il Mar Rosso supera il 40‰ ed il Mediterraneo il 38‰.
Si può comunque dire che la salinità media degli oceani è costante, almeno su
un periodo di decine o centinaia di anni, nonostante il continuo apporto di materiali dai corsi d’acqua, poiché si è instaurato un equilibrio tra la quantità apportata
e quella sottratta dalle precipitazioni chimiche o dall’utilizzazione di organismi
viventi. I principali fattori da cui dipende la salinità delle acque marine sono i
seguenti:
¿ l'apporto di acqua dolce proveniente dalle piogge, dai fiumi e dallo scioglimento dei ghiacciai, per cui i mari che ricevono numerosi apporti di acqua dolce
mostrano in genere valori bassi di salinità;
¿
il livello di evaporazione, per cui i mari delle zone calde sono generalmente
più salati rispetto a quelli delle zone fredde;
¿
le correnti marine che determinano lo spostamento di masse d’acqua e consentono le ‘comunicazioni’ tra mari ed oceani, per cui i mari ‘chiusi’ tendono
ad avere uno scarso scambio con gli oceani ed una elevata salinità.
In base a queste considerazioni si deduce come la maggiore salinità si riscontri negli oceani tropicali e nei mari ‘chiusi’ caratterizzati da forte evaporazione e
scarso apporto di acqua dolce da fiumi e precipitazioni, quali il Mediterraneo.
Su scala globale è possibile individuare le zone della Terra disposte a differenti
latitudini che si differenziano per una diversa salinità delle acque marine superficiali (figura 75):
¿
fascia equatoriale, in cui a causa delle elevate precipitazioni e della scarsa
evaporazione, dovuta all’elevata umidità relativa dell’aria, la salinità tende ad
essere inferiore alla media;
¿
fascia intertropicale soggetta agli Alisei asciutti, in cui a causa dell’elevata
97
Appunti di meteorologia marina
evaporazione e dello scarso apporto di acqua dolce dai fiumi, la salinità tende
ad essere superiore alla media;
¿ zone delle alte latitudini polari o subpolari, in cui a causa della scarsa evaporazione e dell’apporto considerevole di acqua dolce proveniente dai fiumi e
dallo scioglimento dei ghiacciai, la salinità tende a raggiungere valori minimi.
Figura 75 - Distribuzione della salinità sulla Terra (i valori sono espressi in ‰).
Le acque marine profonde mostrano variazioni temporali e spaziali di salinità
molto minori rispetto agli strati più superficiali, per cui a profondità superiori ai
4000 metri la salinità degli oceani è ovunque compresa tra 34.6 e 34.9‰.
La salinità riveste un ruolo di notevole importanza sulla composizione delle
biocenosi marine. Infatti la maggior parte degli organismi animali che vivono in
mare necessitano di condizioni di salinità poco variabili (specie stenoaline), anche se esistono alcune specie che vivendo presso le coste o in prossimità delle
foci dei fiumi mostrano una maggiore capacità di adattamento a condizioni variabili di salinità (specie eurialine).
La salinità inoltre influenza anche un altro importante parametro fisico delle
acque marine, la densità; in particolare, la densità delle acque aumenta, a parità
di temperatura, all’aumentare del contenuto in sali.
I campioni di acqua per la misura della salinità vengono prelevati per mezzo di
una bottiglia reversibile (bottiglia di Nansen) in cui l’ingresso e l’uscita sono
chiusi tramite apposite valvole.Queste valvole vengono mantenute aperte durante
l’immersione della bottiglia in modo da consentire all’acqua di fluire liberamente
attraverso di essa.
Raggiunta la profondità a cui si vuole eseguire il campionamento, un piccolo
peso viene fatto scorrere lungo il filo metallico che mantiene la bottiglia in posizione provocandone il rovesciamento.
Quando la bottiglia si rivolta avviene la chiusura automatica delle valvole e l’acqua rimane intrappolata al suo interno.
La salinità del campione di acqua viene determinata successivamente in laboratorio tramite titolazione o misurando la conduttività elettrica. Con il primo
98
II. Elementi di oceanografia
metodo viene determinata la concentrazione dei cloruri (Cl-) con una soluzione di
nitrato di argento e la salinità è data dalla seguente equazione:
Salinità (‰) = 0.03 + [1.805 · Cl- ‰]
Il secondo metodo si basa sulla misura della resistenza elettrica di un campione
di acqua di mare tramite un conduttimetro ed è più preciso e veloce rispetto alla
titolazione. Un altro metodo di laboratorio per misurare la salinità consiste nella
determinazione dell’indice rifrattometrico.
Oltre ai metodi di laboratorio indicati precedentemente, la salinità può essere
determinata direttamente per mezzo di appositi sensori che, immersi in mare,
modificano la propria resistenza in funzione delle variazioni di salinità, temperatura e pressione.
La densità delle acque marine
La densità (r) di una qualsiasi sostanza viene espressa dal rapporto tra la massa (espressa in kg) e l’unità di volume (espressa in m3). A causa del contenuto in
sali, l’acqua di mare mostra valori di densità leggermente più elevati rispetto alle
acque dolci variando, negli strati superficiali oceanici, da 1.02100 a 1.02750 kg
m-3. In oceanografia, per convenienza numerica, è stato introdotta la quantità:
st = (r - 1) x 103
Per esempio ad un valore di r di 1.02730 corrisponde un valore di st di 27.30.
La densità dell’acqua marina varia nel tempo e nello spazio in funzione delle
variazioni di temperatura, salinità e pressione. Per le acque superficiali l’effetto della pressione può essere considerato trascurabile, perciò la loro densità
può essere facilmente determinata graficamente attraverso il diagramma temperatura-salinità, in cui vengono riportate le relazioni tra temperatura, salinità e
densità in condizioni di pressione atmosferica (figura 76).
Nel caso di acque dolci, la temperatura alla quale si osserva il valore massimo
di densità (Trmax) è di circa 4°C. Questo valore di temperatura diminuisce all’aumentare della salinità, perciò a
valori di salinità del 17‰ Trmax
scende sotto la temperatura di
congelamento dell’acqua priva
di sali. Conoscendo la salinità
(S) è possibile determinare il
valore di Trmax attraverso la seguente equazione:
Trmax = 3.95 - 0.2 S - 0.0011 S2
Figura 76 - Diagramma temperatura-salinità.
Il rettangolo ombreggiato indica i valori relativi
a circa il 90% delle acque marine presenti sulla
Terra.
Per le acque profonde invece
non è possibile trascurare l’effetto associato alla pressione
idrostatica. Infatti negli strati
marini più profondi, la pressione è sufficiente a provocare
una compressione adiabatica
(cioè senza scambio di calore
con l’esterno) che determina
un leggero incremento termico
e, quindi, una variazione anche
della densità delle acque.
99
Appunti di meteorologia marina
La distribuzione della densità delle acque marine sul Pianeta mostra un’ampia variabilità nel tempo e nello spazio (figura 77).
I valori più elevati di densità (st superiore a 27.8 kg m-3) si osservano negli
oceani dell’emisfero meridionale vicino all’Antartide, mentre i valori più bassi (st
inferiore a 20 kg m-3) si registrano nelle acque in prossimità dell’Indonesia. Nell’emisfero settentrionale c’è una tendenza ad un decremento graduale della densità passando dalle alte alle basse latitudini, con alcune eccezioni; ad esempio, la
densità delle acque superficiali del Mediterraneo è molto elevata specialmente in
inverno, quando i valori di temperatura e salinità delle acque sono tali da causare
valori di st superiori ai 29 kg m-3.
La densità svolge un ruolo fondamentale nei confronti delle dinamiche degli
oceani e dei mari, in quanto la circolazione delle acque in mare dipende, oltre
che dall’azione del vento sulla superficie marina, dalle differenze di densità tra le
masse d’acqua poste a differenti latitudini.
A
B
Figura 77 - Densità superficiale delle acqua marine durante l’inverno (A) e l’estate (B).
(st in kg m-3).
100
II. Elementi di oceanografia
La formazione di ghiaccio in mare
Un altro compito della meteorologia marina consiste nello studiare i meccanismi che provocano la formazione, la frantumazione e lo scioglimento del ghiaccio
in mare, in modo da prevedere la sua genesi ed evoluzione. Il ghiaccio influenza
le rotte di navigazione e può costituire una delle principali cause di collisione in
mare, oltre a concorrere alla deviazione delle grandi correnti oceaniche termoaline, con notevoli ripercussioni sul clima di vaste aree del nostro Pianeta.
Il passaggio dell’acqua dallo stato liquido a quello solido avviene quando la
temperatura dello strato superficiale del mare a contatto con l’atmosfera scende
al di sotto del punto di congelamento (freezing point). Questo parametro risulta
strettamente dipendente dalla salinità delle acque marine, poiché i sali disciolti in
acqua provocano un abbassamento crioscopico, cioè una diminuzione del punto
di congelamento dell’acqua.
Ad esempio, le acque circumpolari presentano valori di salinità compresi tra
32‰ e 34‰ e raggiungono la temperatura di congelamento a circa -2°C. Oltre che
dalla salinità, la formazione di ghiaccio in mare può essere influenzata anche da
altri fattori che possono modificare la temperatura del mare ed indurre fenomeni di risalita delle acque profonde (upwelling) con conseguente rimescolamento
termico tra gli strati. In linea generale, il ghiaccio si forma più facilmente quando
l’abbassamento termico avviene in acque poco salate, superficiali e con scarso
rimescolamento tra gli strati.
Il congelamento dell’acqua marina determina la formazione di cristalli di ghiaccio di acqua pura che possono assumere forma di aghi o, nel caso in cui la superficie marina sia agitata dall’azione del vento e delle onde, di sottili dischi di
ghiaccio di forma esagonale.
Durante questo processo i sali presenti nell’acqua marina non vengono incorporati nel ghiaccio, ma restano in soluzione provocando un ulteriore aumento della densità e della salinità dello strato d’acqua sottostante il ghiaccio in formazione. Ciò provoca una ulteriore diminuzione del punto di congelamento degli strati
di acqua sottosuperficiali, perciò la temperatura a cui si verifica il congelamento
dell’acqua marina diminuisce man mano che si ha la formazione di ghiaccio in
superficie. Tuttavia, questo processo non continua all’infinito, principalmente per
due motivi:
1. lo strato superficiale di ghiaccio, agendo da isolante, limita la dispersione di
calore verso l’atmosfera;
2. l’acqua che rimane dopo il congelamento dello strato superficiale diviene
progressivamente più densa e tende a sprofondare richiamando in superficie acqua profonda meno densa e più calda.
Entrambi questi fenomeni impediscono l’ulteriore raffreddamento dell’acqua
oltre una certa profondità.
I cristalli di ghiaccio una volta formatisi possono aggregarsi tra loro dando
luogo ad uno strato superficiale di ghiaccio sottile e poroso che va a formare delle
placche di circa 1- 3 m di diametro e 10 cm di spessore chiamate pancake-ice.
Queste placche possono riunirsi tra loro e dare origine al cosiddetto ‘ghiaccio
marino giovane’ che, in seguito all’azione del vento e delle onde, può rompersi e
generare lastre di varie dimensioni (sheet ice).
Infine, queste lastre possono aggregarsi e formare uno strato continuo di ghiaccio, che nelle regioni circumpolari viene chiamato banchisa. Durante i mesi più
caldi, la banchisa tende a frantumarsi e a formare dei lastroni di ghiaccio (pack)
che tendono ad andare alla deriva.
Il ghiaccio ha una densità inferiore rispetto all’acqua, per cui tende a galleg-
101
Appunti di meteorologia marina
giare sulla superficie marina. Tuttavia, a seconda della velocità con cui avviene il
congelamento, all’interno della massa di ghiaccio in formazione si creano delle
cavità ripiene di acqua salata (brine) e di aria che causano un’ampia variazione
di densità.
La frantumazione e/o lo scioglimento delle masse di ghiaccio in mare possono
essere causati dalla concomitanza di numerosi fattori, primo fra tutti un incremento della temperatura dell’aria. Il processo ha inizio all’interno del blocco di
ghiaccio con un aumento del volume della soluzione salina inglobata nelle sue
cavità. In seguito a questo fenomeno, il volume degli interstizi aumenta ed il liquido al loro interno esercita una pressione sulle pareti e tende a fuoriuscire dalla
lastra di ghiaccio.
Anche l’azione combinata del vento e delle onde può esercitare una notevole
pressione sulla massa di ghiaccio compromettendo la sua stabilità. Infine, il gradiente termico che si instaura tra gli strati superficiali e profondi della massa di
ghiaccio genera delle tensioni interne che favoriscono la sua frantumazione.
Ad esempio, in Antartide questo processo determina il distacco di grandi blocchi di ghiaccio dai bordi delle calotte polari con formazione di iceberg.
Gli iceberg antartici hanno in genere una forma tabulare e possono avere
un’estensione di oltre 100 km in lunghezza, e spessori che tipicamente sono di
qualche centinaio di metri ma eccezionalmente possono arrivare a qualche chilometro. In Artide gli iceberg possono formarsi dai grandi ghiacciai della Groenlandia, in seguito al distacco di blocchi di ghiaccio nella parte terminale delle lingue
glaciali che sboccano in mare in prossimità dei fiordi.
A causa della diversa modalità di formazione, questi icebergs hanno una forma
differente rispetto a quelli antartici risultando più irregolari e di dimensioni molto
variabili. La profondità di immersione degli iceberg dipende essenzialmente dal
loro peso specifico rispetto all’acqua di mare e, quindi, dal volume e dalla quantità di soluzione salina e di aria intrappolata negli interstizi.
Un notevole passo avanti per studiare la tipologia, l’estensione e la localizzazione delle masse di ghiaccio in mare alle alte latitudini, è stato compiuto con la
diffusione delle tecniche di osservazione satellitare.
Le immagini satellitari acquisite nel campo del visibile e dell’infrarosso forniscono numerose informazioni sulla copertura dei ghiacci e sui loro movimenti e
risultano di estrema utilità per consentire una navigazione sicura e per studiare
l’effetto del riscaldamento globale sulla riduzione delle grandi masse di ghiaccio
del nostro Pianeta.
102
II. Elementi di oceanografia
Le correnti marine
Le correnti marine sono costituite da spostamenti orizzontali di grandi masse
d’acqua secondo direzioni più o meno costanti (correnti continue) o variabili a
seconda della stagione (correnti periodiche).
Le correnti possono essere classificate in base alla loro profondità in due categorie principali:
¿ correnti superficiali
¿ correnti profonde
Le correnti superficiali interessano i primi 200 m di acqua e sono condizionate essenzialmente dal vento e da gradienti di densità. Le correnti profonde sono
originate invece esclusivamente da differenze di densità dovute a variazioni di
temperatura e salinità; sono caratterizzate da velocità generalmente minori delle
correnti superficiali e possono raggiungere anche i fondali oceanici.
Per quanto riguarda le cause, solitamente si usa operare una distinzione tra
cause primarie (che originano le correnti) e cause secondarie (che modificano la
loro direzione). Le principali cause primarie sono rappresentate dalle differenze di
temperatura e salinità tra le masse d’acqua oceaniche (cause interne) e dall’azione
dei venti e della pressione atmosferica sulla superficie marina (cause esterne).
In funzione delle cause primarie, le correnti marine possono essere classificate
nelle seguenti tre categorie:
¿ correnti di deriva
¿ correnti di densità (o termoaline)
¿ correnti di pendio
Le cause secondarie che deviano le correnti dalla loro direzione originale sono
rappresentate essenzialmente dalla forza apparente di Coriolis e dalla configurazione dei bacini oceanici e delle coste.
La forza apparente di Coriolis è dovuta alla rotazione terrestre attorno al proprio asse ed agisce deviando le correnti verso destra nell’emisfero settentrionale
e verso sinistra in quello meridionale, portando alla formazione in ogni oceano di
due grandi circuiti chiusi e distinti (figura 78):
¿ nell'emisfero Nord, in cui la circolazione avviene in senso orario
¿ nell'emisfero Sud, in cui la circolazione avviene in senso antiorario.
I bacini oceanici influenzano l'ampiezza dei singoli circuiti che risultano più
estesi nell’Oceano Pacifico rispetto all’Atlantico.
L’attrito con il fondale e la configurazione irregolare delle coste possono modificare la direzione delle correnti e originare delle controcorrenti. In particolare,
la presenza di golfi, stretti e promontori influenza le correnti in prossimità delle
coste facendole deviare dalla loro direzione originale; ad esempio, quando una
corrente giunge in prossimità di un promontorio devia verso la costa, seguendone
la curvatura naturale, e torna indietro dando origine ad una controcorrente
Le correnti, in funzione della loro temperatura, possono essere classificate in:
¿ correnti calde
¿ correnti fredde
Le correnti calde e fredde sono caratterizzate rispettivamente da temperature
più elevate e più basse rispetto alle acque circostanti; le prime si dirigono dall’Equatore verso i Poli, mentre le seconde si muovono dalle alte latitudini verso
l’Equatore (figura 78).
Le correnti calde e fredde lambiscono rispettivamente le coste orientali e occidentali dei continenti a latitudini comprese tra 0° e 40° in entrambi gli emisferi,
mentre oltre i 40° la situazione si inverte (figura 78).
103
Appunti di meteorologia marina
Oceano Atlantico
Oceano Pacifico
Oceano Indiano
1 Corrente del Golfo
10 Corrente di Humboldt (o del Perù)
19 Corrente del Mozambico
2 Corrente Atlantica Settentrionale
11 Corrente della California
20 Corrente Australiana
Occidentale che si prolunga
nella Corrente Equatoriale
3 Corrente delle Canarie
12 Corrente del Pacifico Settentrionale
4 Corrente del Labrador
13 Corrente di Kuro Siwo
5 Corrente Equatoriale Nord
14 Corrente Australiana Orientale
6 Corrente Equatoriale Sud
15 Corrente Equatoriale Nord
7 Corrente del Benguela
16 Corrente Equatoriale Sud
8 Corrente del Brasile
17 Corrente di Oya Siwo
9 Controcorrente di Guinea
18 Controcorrente Equatoriale
Figura 78 - Le principali correnti marine calde (linea tratteggiata) e fredde (linea continua).
104
II. Elementi di oceanografia
Correnti di deriva
Le correnti di deriva si formano in seguito allo scambio energetico che avviene tra le
masse d’aria in movimento e la superficie del mare sottostante. L’attrito che si genera tra
lo strato inferiore dell’aria e la superficie marina provoca il trasporto delle masse d’acqua superficiali secondo la direzione del vento prevalente. Tra questo tipo di correnti,
quelle maggiormente note ai naviganti sono causate dagli Alisei.
Questi venti tropicali costanti ‘trascinano’ le acque superficiali verso l’Equatore e verso occidente in entrambi gli emisferi, originando una forte corrente marina equatoriale.
In corrispondenza dell’Equatore le correnti superficiali danno luogo ad una controcorrente equatoriale diretta verso oriente.
Una corrente di deriva di tipo periodico è quella che si osserva nella parte settentrionale dell’Oceano Indiano, dove le acque superficiali spinte dai monsoni scorrono
verso Nord-Est durante il periodo estivo (quando il monsone spira dal mare verso terra)
e verso Sud-Ovest durante il periodo invernale (quando il monsone spira da terra verso
il mare).
A causa della forza di Coriolis, le correnti di deriva tendono a deviare verso destra
nell’emisfero Nord e verso sinistra nell’emisfero Sud, formando un angolo di circa 45° tra
la direzione del vento dominante e la direzione del flusso d’acqua superficiale. Il moto
di deriva viene trasmesso dagli strati superficiali a quelli profondi per effetto della forza
di attrito, perciò la velocità di spostamento dell’acqua diminuisce esponenzialmente con
la profondità, mentre l’angolo formato tra la direzione del vento dominante e quella del
flusso d’acqua aumenta gradualmente man mano che ci si allontana dalla superficie.
Di conseguenza, se consideriamo un’ipotetica colonna d’acqua costituita da una sequenza di strati sovrapposti, ciascuno strato viene rallentato e deviato verso destra rispetto a quello immediatamente superiore, dando luogo ad una distribuzione a spirale
Figura 79 - Spirale di Ekman.
delle direzioni dei singoli strati indicata come spirale di Ekman (figura 79). Il trasporto
completo effettivo degli strati d’acqua guidati dai venti è allora a 90° a destra della direzione dei venti nell’emisfero Nord (a sinistra nell’emisfero Sud).
La velocità delle correnti di deriva dipende dall’intensità del vento che le ha generate
e dall’ampiezza del tratto di mare su cui il vento può correre indisturbato senza incontrare ostacoli (fetch). Quando il fetch non è limitante, l’intensità della corrente in superficie è stimata circa pari all’1.5 – 3% della velocità del vento che l’ha generata.
Tuttavia, in virtù dell’inerzia dei sistemi in gioco, questa velocità viene raggiunta
gradualmente e, quindi, con un certo ritardo rispetto al momento in cui il vento inizia a
spirare sulla superficie del mare.
105
Appunti di meteorologia marina
Correnti di densità
Le correnti di densità (o termoaline) (figura 80) sono causate da differenze di temperatura e/o salinità (e quindi di densità) tra le masse d’acqua oceaniche. Le principali
cause che modificano la densità delle masse d’acqua sono il differente riscaldamento/
raffreddamento della superficie marina col variare della latitudine e il diverso rapporto
tra evaporazione e precipitazioni. Anche la formazione e lo scioglimento del ghiaccio
in mare possono causare variazioni di densità e, quindi, contribuiscono a modificare la
circolazione termoalina oceanica.
I valori più elevati di densità durante l’inverno dell’emisfero Nord si osservano in corrispondenza del Mare del Labrador e del Mar di Groenlandia, mentre durante l’inverno
dell’emisfero Sud i valori più alti di densità si osservano nelle acque del Mare di Weddell
che circondano l’Antartide. La densità in queste zone raggiunge valori sufficientemente elevati da provocare lo spostamento delle acque superficiali in profondità. In
seguito a questi moti convettivi, le acque fredde e salate del Mar di Groenlandia sprofondano e diffondono lentamente attraverso l’Atlantico fino a raggiungere la Corrente
Circumpolare Antartica, ove incontrano le acque profonde che si generano nel Mare di
Weddell durante l’inverno dell’emisfero Sud.
Da queste aree, le masse d’acqua profonde si dirigono verso la fascia equatoriale
degli Oceani Pacifico ed Indiano, ove risalgono lentamente in superficie per dar luogo ad
una corrente calda superficiale che si sposta verso l’Oceano Atlantico. Giunte in questo
Oceano, le masse d’acqua superficiali si uniscono alla Corrente del Golfo per raggiungere nuovamente il Mare di Groenlandia chiudendo il ciclo (figura 80).
Tuttavia, la circolazione termoalina è certamente più complessa di quella ora descritta, poiché l’effetto dei venti sulla superficie marina si ripercuote sugli strati sottosuperficiali modificando la distribuzione verticale della densità e, quindi, influenzando gli
spostamenti delle masse d’acqua in profondità.
In conclusione, la circolazione termoalina oceanica è costituita da masse d’acqua di
densità diversa che scorrono più o meno velocemente, affiancate o sovrapposte l’una
all’altra, seguendo una direzione più o meno costante e conservando inalterate le loro
caratteristiche fisiche per lunghi tratti di mare.
Figura 80 - La circolazione termoalina oceanica. Fonte: Climate Change 2001–IPCC.
106
II. Elementi di oceanografia
Correnti di pendio
Le correnti di pendio hanno origine in tutti i casi in cui si genera una differenza di
livello tra due punti della superficie marina. Quelle più frequenti si creano in seguito
all’azione del vento e/o della pressione atmosferica sulla superficie del mare.
I venti stabili che spirano in prossimità della costa o al largo allontanano le acque
superficiali e originano delle correnti di deriva che, a loro volta, possono creare un dislivello della superficie marina.
Se il vento spira dal mare verso la terraferma (vento di flusso), lo strato d’acqua superficiale è trascinato verso terra ed il livello in prossimità della costa sale; al contrario, se
il vento spira dalla terraferma verso il mare (vento di riflusso), l’acqua superficiale viene
trasportata al largo ed il livello in prossimità della costa scende.
La differenza di livello tra la zona vicina alla costa ed il mare aperto genera una corrente di pendio che tende a ristabilire l’orizzontalità della superficie marina.Una corrente
di pendio può essere provocata anche da differenze di pressione atmosferica sulla superficie del mare e, in particolare, dalla contrapposizione tra un’area ciclonica ed un’area
anticiclonica.
L’area anticiclonica provoca un abbassamento di livello della superficie marina sottostante, mentre la depressione nell’area ciclonica determina un innalzamento di livello;
se le due aree sono sufficientemente vicine si genera uno spostamento di masse d’acqua
dalla zone di bassa pressione relativa verso quella di alta pressione relativa per ristabilire
l’equilibrio di livello.
Un dislivello della superficie marina può essere causato anche dagli effetti delle maree, perciò le correnti di marea (figura 81) possono essere considerate come dei casi
particolari di correnti di pendio.
Figura 81 - Corrente di marea
107
Appunti di meteorologia marina
La circolazione generale degli oceani
Nonostante si tenda a classificare le correnti in base alla causa principale da cui
hanno origine (correnti di deriva, di densità e di pendio), in realtà esse risultano
spesso generate dalla combinazione di cause differenti, perciò il vento, la densità
e il dislivello possono agire in concomitanza nel determinare la circolazione
generale degli oceani (figura 78). L’emisfero Sud risulta generalmente più freddo
rispetto a quello Nord, poiché è influenzato dalla Corrente Circumpolare Antartica
presente alle alte latitudini. Le principali correnti calde oceaniche dell’emisfero
Sud sono quelle del Brasile, del Mozambico (o Corrente di Aguhlas) e dell’Australia
Orientale, mentre le correnti fredde sono quelle del Perù (o Corrente di Humboldt),
del Benguela e dell’Australia Occidentale. Le principali correnti calde dell’emisfero
Nord sono quelle del Golfo, dell’Atlantico del Nord e di Kuro Siwo, mentre tra
le correnti fredde più importanti sono da annoverare quelle della California, del
Labrador, delle Canarie e di Oya Siwo (figura 78). Le correnti equatoriali Nord e
Sud spingono le acque superficiali verso il Pacifico occidentale, provocando un
accumulo di acqua che, a sua volta, genera una controcorrente equatoriale diretta
da Ovest verso Est.
La circolazione generale del Mediterraneo ed il bilancio idrico con l’Oceano
Atlantico
Il bacino del Mediterraneo è interessato generalmente da correnti di debole intensità e direzione variabile. Ciò è dovuto principalmente al fatto che il Mediterraneo è un mare tendenzialmente ‘chiuso’ e caratterizzato da un fetch di estensione
limitata. In queste condizioni, i venti che spirano al largo sono in grado di generare delle correnti superficiali che difficilmente superano velocità di 1-2 nodi.
Il Mediterraneo è diviso essenzialmente in un bacino occidentale ed uno orientale separati da una soglia profonda circa 400 metri che si estende dalla Sicilia al
Nord Africa. Raggiunge una profondità di cira 3400 m nel bacino occidentale e
4200 m in quello orientale.
I due bacini sono costruiti, a loro volta, da una serie di mari interni: nel bacino
occidentale troviamo il Mare di Alboran, Bacino Balearico e Mar Tirreno; il bacino orientale comprende il Mar Adriatico, Mar Ionio, Mar Egeo e Bacino Levantino. Questa conformazione è fondamentale per comprendere la circolazione delle
masse d’acqua. La circolazione del Mediterraneo
è complessa e composta
da circolazioni a diversa
scala e a diversa profondità che interagiscono tra
di loro. Essa è determinata in gran parte dagli
scambi di masse d’acqua
con l’Oceano Atlantico,
dall’azione del vento e
dal flusso superficiale
dovuto alle acque dolci e
agli scambi di calore (figura 82).
Figura 82 - Bilancio idrico
tra l’Atlantico
ed il Mediterraneo.
108
II. Elementi di oceanografia
Il Mar Mediterraneo e l’Oceano Atlantico sono separati dallo Stretto di Gibilterra e presentano caratteristiche chimico-fisiche profondamente differenti. Il Mediterraneo, a causa dell’elevata evaporazione, è caratterizzato da una accentuata
salinità che non può essere compensata dall’apporto di acqua fluviale e piovana.
Questo mare, infatti, riceve dai fiumi solo circa un terzo della quantità di acqua
persa per evaporazione, mentre la rimanente parte proviene principalmente dall’Oceano Atlantico.
La differenza di densità tra questi due bacini idrici determina il passaggio attraverso lo Stretto di Gibilterra di acqua proveniente dall’Atlantico che, essendo
più leggera, rimane in superficie; al contrario, l’acqua del Mediterraneo, essendo
più pesante, tende a sprofondare e ad uscire dallo Stretto di Gibilterra originando
una corrente sottosuperficiale (figura 82).
Il passaggio di acqua superficiale dall’Atlantico al Mediterraneo è favorito anche dalle correnti di pendio che si generano a causa del dislivello esistente tra
questi due bacini idrici (circa 30 cm a favore dell’Oceano Atlantico). Altre masse
d’acqua di modesta entità possono entrare nel Mediterraneo dal Mar Nero, sotto
forma di correnti superficiali che attraversano il Bosforo, il Mar di Marmara e lo
Stretto dei Dardanelli. Il differente flusso di masse d’acqua in entrata ed in uscita
dal Mediterraneo è compensato dall’evaporazione.
Le correnti fredde oceaniche sono troppo profonde per riuscire a passare attraverso lo Stretto di Gibilterra, perciò il Mar Mediterraneo risulta tendenzialmente
caldo. Il flusso d’acqua in ingresso attraverso lo stretto di Gibilterra alimenta la circolazione generale del Mediterraneo (figura 83). In ogni caso, al fine di descrivere la
circolazione generale, è importante identificare e caratterizzare le masse d’acqua.
Figura 83 - La circolazione generale del Mediterraneo.
Le frecce indicano a direzione media delle correnti superficiali.
L’Acqua Atlantica (AW – Atlantic Water) che entra dallo stretto di Gibilterra
occupa uno strato con una profondità non superiore al centinaio di metri. Questa
massa d’acqua, a causa dell’evaporazione che ne aumenta la densità, scende via
via più in profondità man mano che avanza da ovest verso est.
La corrente costeggia le coste dell’Africa prendendo il nome di Corrente Algerina, all’inizio ben definita e profonda (200-400 m) e via via più irregolare ed
ampia man mano che si avvicina al Canale di Sardegna. All’altezza della Tunisia
un ramo della corrente si stacca e va ad alimentare la circolazione del bacino
Sardo-Balearico.
109
Appunti di meteorologia marina
Superato il Canale di Sardegna la corrente si biforca: un ramo si dirige verso
Nord nel Mar Tirreno dove circola in maniera ciclonica (in senso antiorario) e arriva fino al Bacino Ligure-Provenzale. L’altro ramo supera il Canale di Sicilia e in
parte si dirige verso Nord formando un giro ciclonico nello Ionio Occidentale ed
una parte prosegue verso sud rimanendo prossima alla costa africana. La corrente
continua a scorrere verso est dove raggiunge le coste del Medio Oriente in una
zona compresa tra Cipro e Rodi dove si trasforma in Acqua Levantina.
Le masse d’acqua sottosuperficiali caratteristiche del Mediterraneo sono l’acqua intermedia e l’acqua profonda. Queste si formano o a causa di un intenso
raffreddamento superficiale dovuto ad esempio all’arrivo di masse d’aria continentali fredde e secche sul mare oppure a causa di un aumento di salinità dovuto
ad esempio ad una forte evaporazione.
L’Acqua Levantina Intermedia (LIW – Levantine Intermediate Water) si forma nel
bacino Levantino settentrionale, in prossimità di Cipro, nel tardo inverno attraverso processi di convezione intermedia cioè processi di mescolamento fino ad una
profondità di circa 200-300 m. Dopo Creta la LIW si biforca: un ramo raggiunge il
Mar Adriatico ed un altro prosegue, attraverso il canale di Sicilia, nel bacino occidentale, raggiungendo profondità di 500-600 m.
Qui la corrente si divide ulteriormente: un ramo prosegue direttamente verso
ovest lungo le coste dell’Algeria, l’altro scorre in senso antiorario prima nel Mar
Tirreno e poi prosegue nel Bacino Balearico. La LIW è importante perché contribuisce in maniera predominante alla fuoriuscita di acqua dal Mar Mediterraneo
all’Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra.
Nel Mar Mediterraneo la formazione di acque profonde avviene in inverno. Nel
bacino occidentale si ha nel Golfo del Leone, dove in inverno il Maestrale causa il
raffreddamento e lo sprofondamento delle acque superficiali (WMDW – Western
Mediterranean Deep Water). La WMDW in parte si mescola con la LIW e riesce a
fuoriuscire dallo Stretto di Gibilterra.
Nel bacino orientale la formazione di acqua profonda avviene nel sud Adriatico
e nel Mar Egeo (EMDW – Eastern Mediterranenan Deep Water) per fenomeni di
convezione quando acqua fredda sprofonda, raggiunge il Mar Ionio e poi il bacino orientale. La EMDW non si mescola con la WMDW perché scorre a profondità
maggiori del Canale di Sicilia. Recenti osservazioni hanno anche dimostrato la formazione nel bacino Levantino nord-orientale di acque profonde (LDW – Levantine
Deep Water) in inverni eccezionalmente freddi.
Per quanto riguarda i mari italiani in particolare si ha quindi che nel Mar Adriatico prevale una circolazione in senso antiorario. Le acque provenienti dalla Grecia
risalgono verso nord lungo le coste della Croazia e ridiscendono lungo la costa
italiana. La corrente costiera è quindi diretta verso Sud e può raggiungere valori di
intensità prossimi a 1 nodo vicino al Gargano ed a Capo d’Otranto.
Nel Tirreno, dove la corrente superficiale forma un giro ciclonico, le coste della
penisola sono lambite da correnti dirette verso nord e di debole intensità (circa
0.5 nodi); in Sardegna invece c’è una corrente predominante diretta verso sud. Nel
Mar Ionio prevale una circolazione ciclonica e la corrente costiera è quindi diretta
verso sud.
La conformazione irregolare delle coste e le numerose isole generano altre
correnti locali e delle controcorrenti che contribuiscono alla circolazione generale
del Mediterraneo (figura 83).
È importante sottolineare come la direzione e l’intensità delle correnti nel Mediterraneo possano subire modifiche sostanziali rispetto alla situazione descritta
precedentemente, a causa principalmente della variabilità climatica stagionale e
110
II. Elementi di oceanografia
delle caratteristiche locali dei venti e degli altri elementi che contribuiscono alla
formazione delle correnti marine.
I cambiamenti climatici stanno modificando i flussi di energia e di acqua che
interessano il Mediterraneo, alterando la quantità di energia in arrivo sulla superficie marina, gli apporti idrici dai fiumi ed il bilancio tra evaporazione e precipitazioni. Di conseguenza, anche la circolazione generale del Mediterraneo potrà
subire profondi cambiamenti rispetto alla situazione attuale, con notevoli ripercussioni sul clima e sulle biocenosi marino-costiere.
Il ruolo delle correnti sul clima della Terra e sulle biocenosi marine
Le correnti svolgono un ruolo determinante sul clima della Terra, rendendo le
coste che lambiscono più fredde o più calde rispetto ai valori che si osservano alle
medesime latitudini in aree in cui esse non sono presenti. Gli effetti delle correnti
sono particolarmente evidenti nel caso in cui siano accompagnate da venti che si
dirigono verso terra che, scambiando energia termica con gli strati superficiali del
mare, contribuiscono a modificare le caratteristiche fisiche delle masse d’aria in
movimento.
Un esempio di corrente calda è rappresentato dalla Corrente del Golfo che
proviene dai mari caldi dell’America Centrale e che si spinge verso Nord-Est fino a
lambire le coste atlantiche dell’Europa, accompagnata da venti che contribuiscono
a mitigare i rigori invernali delle regioni europee che si affacciano sull’Oceano
Atlantico. Inoltre, mentre i venti che spirano sopra le correnti calde si caricano di
umidità e la trasportano sulla terraferma dando origine a precipitazioni, le correnti fredde possono provocare la condensazione dell’umidità presente nei venti che
spirano sopra di esse ed impedire che raggiunga la terraferma.
Le correnti influenzano profondamente anche le biocenosi marine. Le acque
profonde risultano più ricche di elementi nutritivi che generalmente giacciono sul
fondo. Ciò è dovuto al fatto che nei fondali oceanici avviene la decomposizione
dei resti degli organismi marini con liberazione di grandi quantità di sostanze
nutritive.
Quando si generano correnti di risalita delle acque profonde, upwelling (figura
84), si riscontra un’elevata pescosità. Questo perché l’acqua,
durante il suo spostamento da
zone profonde verso la superficie, trascina con se una grande
quantità di nutrienti che vengono così a trovarsi ad una profondità minore, alla quale è possibile la fotosintesi e la produzione
di fitoplancton, il primo anello
della catena alimentare.
L’upwelling favorisce il rimescolamento tra gli strati superficiali e quelli profondi del mare,
permettendo la sostituzione
delle masse d’acqua in superficie ed il rinnovo degli elementi
nutritivi indispensabili alla vita
degli organismi marini.
Figura 84 - Fenomeno dell’upwelling.
111
Appunti di meteorologia marina
Il meccanismo che determina la risalita in superficie delle acque profonde è
dovuto prevalentemente all’azione dei venti e delle correnti oceaniche. Se il vento
soffia parallelamente alla costa, lasciandola a sinistra (a destra nell’emisfero meridionale), per il meccanismo di trasporto di Ekman, la massa d’acqua si allontanerà
dalla costa (con un angolo di 90°) richiamando acque profonde (figura 84).
L’upwelling è particolarmente intenso in prossimità delle coste del Perù e del
Cile del Nord, dove le temperature delle acque superficiali sono in genere di 7-8°C
inferiori rispetto alle medie di queste latitudini, e rappresenta uno dei principali
motivi a cui si deve l’elevata pescosità di questi mari. In Mediterraneo il fenomeno è molto noto nel Mar Ligure che non a caso è un mare ricco di plancton dove
amano spesso trattenersi grandi cetacei.
La misura delle correnti
Per descrivere il moto di un fluido si possono utilizzare due approcci differenti:
¿ approccio euleriano
¿ approccio lagrangiano
Il primo approccio considera il moto di un fluido in un punto fisso dello spazio,
mentre il secondo studia il moto di una parcella di fluido in funzione del tempo.
Tra gli strumenti per misurare le correnti marine che utilizzano l’approccio
euleriano si distinguono due tipi di trasduttori del segnale:
¿ statici
¿ dinamici
Tra i primi i più utilizzati sono i correntometri a rotore che consentono di
misurare la velocità e la direzione delle correnti marine in un determinato punto.
Questi strumenti sono dotati di un apposito rotore, solitamente a forma di elica o
di pala, che viene posto in rotazione dall’acqua in movimento.
Uno degli strumenti più diffusi in passato era il correntometro di Ekman, dotato
di un rotore costituito da un elica a lame multiple (ventola). Il principale inconveniente di questi sistemi è dovuto alla possibile influenza che il moto verticale delle
acque può esercitare sul rotore. Per minimizzare questo effetto il rotore può essere inserito
all’interno di un cilindro vuoto che costituisce
un rivestimento protettivo intorno alla ventola.
Alternativamente può essere utilizzato un
rotore di Savonius (figura 85), formato da due
semicilindri cavi montati verticalmente rispetto
all’asse di rotazione ed inseriti su due dischi posti alle loro estremità.
Nei sistemi attuali la rotazione del rotore viene convertita in un segnale elettrico trasmesso
via cavo ad un registratore situato a bordo delle
navi, o comunicato via radio da una boa ai centri
di elaborazione posti a terra o su navi specializzate.
La direzione predominante della corrente viene registrata per mezzo di un meccanismo che
provoca la caduta di piccole sfere di bronzo in un
vassoio circolare suddiviso in trentasei settori (di
10° ciascuno) ad intervalli regolari; la disposizione delle sfere è regolata dall’ago di un compasso
che indica la direzione della corrente.
Figura 85 - Rotore di Savonius.
112
II. Elementi di oceanografia
Tra gli strumenti con approccio euleriano che utilizzano trasduttori statici bisogna ricordare l’elettrocinetografo geomagnetico. Questo strumento si basa
sulla misura della forza elettromotrice che viene indotta in un conduttore quando
si sposta attraverso un campo magnetico.
Nel caso specifico il conduttore è costituito dall’acqua marina ed il campo magnetico è rappresentato dalla Terra; due elettrodi vengono sospesi in acqua da
una nave e dalla misura della forza elettromotrice che si genera tra di essi è possibile risalire alla velocità e direzione della corrente.
Tra i metodi per misurare la corrente che utilizzano l’approccio lagrangiano,
i più semplici si avvalgono di oggetti galleggianti in mare. In passato sono state utilizzate bottiglie, fogli di carta, pali di legno, mentre attualmente vengono
utilizzati anche traccianti costituiti da sostanze coloranti, oli, aste e boe mobili.
Tutti questi mezzi di superficie presentano il difetto di essere influenzati anche
dall’effetto del vento, per cui è necessario ridurre al minimo la superficie esposta
esternamente al pelo libero dell’acqua.
Tra questi dispositivi quelli che forniscono i migliori risultati sono le boe mobili, anche per la possibilità che offrono di trasmettere segnali radio e di essere
localizzate e seguite a distanza tramite postazioni aeree e satellitari.
Un’altra tecnica moderna per lo studio delle correnti marine consiste nella tomografia acustica. Questa tecnica utilizza onde sonore per studiare la temperatura e la velocità delle masse d’acqua. Il principio di funzionamento di un correntometro acustico si basa sulla misura del tempo impiegato da una pulsazione
acustica emessa da un trasmettitore a raggiungere un ricevitore.
Questo parametro fornisce una stima della velocità della corrente e, poiché la
velocità del suono in mare dipende anche dalla temperatura della massa d’acqua
attraversata, consente di determinare il valore della temperatura delle acque sottosuperficiali.
Un altro tipo di correntometro acustico (Acoustic Doppler Current Profiler) si
basa sull’emissione di ultrasuoni e sulla ricezione da parte dello stesso strumento
del segnale Doppler riflesso da particelle sospese (per esempio, plancton), che
sono diffuse praticamente ovunque e si muovono con la stessa velocità dell’acqua.
Fenomenologia del moto ondoso
Il moto ondoso costituisce uno dei principali argomenti di studio della meteorologia marina. Le onde di superficie infatti generano intense sollecitazioni su
qualsiasi tipo di struttura in mare o sulle coste, sia che essa sia fissa o mobile,
sommersa o di superficie. Influenza quindi un vasto campo di attività: navigazione, pesca, turismo, controllo dell’inquinamento e installazioni industriali.
Nel caso di grandi navi, per esempio, il moto ondoso può diminuire la velocità
di avanzamento, incrementare i consumi di carburante ed influire sul comfort del
viaggio, mentre nel caso di piccole imbarcazioni può costituire un vero e proprio
pericolo. Inoltre, le onde vicino a costa possono causare movimenti della sabbia,
svolgendo un’azione erosiva su condotte sottomarine e su manufatti e fabbricati
situati in prossimità delle coste. Infine, le onde svolgono un’azione di modellamento sui litorali, contribuendo all’erosione costiera e a modificare la linea di
costa.
I tipi di onde che si propagano in mare sono:
¿ onde sonore
¿ onde capillari
¿ onde di gravità
113
Appunti di meteorologia marina
¿ onde interne
¿ storm surges
¿ tsunami
¿ maree.
Le onde sonore che si propagano in mare sono analoghe alle onde sonore
nell’atmosfera. Le onde capillari e le onde di gravità sono onde di superficie e
costituiscono il moto ondoso ordinario. Le onde interne sono oscillazioni che si
propagano all’interfaccia tra strati di acqua a differente densità, analogamente
alle onde di superficie (interfaccia aria-mare). Le storm surges rappresentano
fenomeni particolari di innalzamento o abbassamento del livello medio marino,
legati al passaggio di perturbazioni atmoferiche. Gli tsunami, detti anche maremoti, sono eventi estremi ed altamente energetici generati principalmente da
terremoti, eruzioni o smottamenti sottomarini. Le maree rappresentano innalzamenti e abbassamenti periodici della superficie marina, legati all’attrazione gravitazionale della luna e del sole.
La generazione e l’evoluzione delle onde marine possono essere attribuite a
numerose cause, tra cui le principali sono:
¿ l’interazione tra l’atmosfera e la superficie del mare
(moto ondoso ordinario, i.e. onde di superficie, e storm surges);
¿ perturbazioni del gradiente di densità (onde interne);
¿ terremoti, eruzioni o smottamenti sottomarini (tsunami);
¿ fenomeni astronomici (maree).
Il concetto di onda ed i suoi elementi caratteristici
Il concetto di onda in fisica è estremamente generale e riguarda innumerevoli
fenomeni fisici, dalle onde marine a quelle sismiche, dalle oscillazioni di una corda a quelle acustiche (suono), dalle onde elettromagnetiche (onde radio, microonde, luce visibile, raggi X, raggi gamma) a quelle di materia (le onde di Schrödinger
in meccanica quantistica).
Le onde sono una forma di trasporto di energia associata ad un’oscillazione
che si propaga nello spazio; esse non comportano un effettivo trasferimento di
materia ma solo la propagazione dell’oscillazione. Alcuni tipi di onde hanno bisogno di un mezzo per propagarsi (acqua, aria, solidi), altre, come le onde elettromagnetiche, non ne hanno necessità.
Per definire gli elementi caratteristici di un’onda consideriamo la semplice onda
sinusoidale, così chiamata perché il suo profilo è descritto dalla funzione trigonometrica seno (figura 86).
Figura 86 - Onda sinusoidale a due istanti diversi t1 e t2.
114
II. Elementi di oceanografia
In realtà, l’onda sinusoidale è solo l’approssimazione più semplice possibile
per descrivere le onde marine. Nonostante questo, però, essa permette già di
descrivere la maggior parte delle caratteristiche del moto ondoso. L’onda sinusoidale rappresenta la base della teoria lineare delle onde.
In un’onda viene chiamata cresta o dorso la parte più elevata e gola, cavo, o
ventre quella più bassa. Gli elementi caratteristici essenziali di un’onda sinusoidale sono:
¿ l’altezza (H): distanza verticale tra la cresta e la gola;
¿ la lunghezza (L): distanza orizzontale tra due creste consecutive;
¿ il periodo (T): tempo che intercorre tra il passaggio di due creste consecutive
in un punto fissato.
Le onde marine
Le onde marine ordinarie sono generate dallo scambio energetico che avviene
nell’interfaccia tra lo strato superficiale delle acque marine e lo strato inferiore
dell’atmosfera. Quando il vento spira sopra la superficie marina, parte dell’energia cinetica della massa d’aria in movimento viene trasferita al mare. Una certa
quantità di questa energia genera delle correnti superficiali, mentre la maggior parte
di essa è causa della formazione di onde.
Il moto ondoso interessa normalmente
soltanto la parte superficiale del mare e,
contrariamente alle apparenze, non comporta, tranne che in prossimità delle coste,
né un importante trasferimento orizzontale di acqua, né un suo semplice abbassamento ed innalzamento. Se da un punto
di osservazione fisso si osserva un piccolo
Figura 87 - Meccanismo di propagazione galleggiante libero situato in acque suffidel moto ondoso con indicata l’orbita
cientemente profonde, si potrà constatare
(cerchio) di un galleggiante (pallino)
che esso non viene trascinato via dall’onda,
situato sulla superficie marina.
ma descrive un moto approssimativamente
circolare (figura 87). Sebbene, infatti, al passaggio della perturbazione l’acqua in
un certo punto formi una cresta o una valle alternativamente, in realtà essa non
può soltanto muoversi verticalmente, a causa del fatto che è sostanzialmente incomprimibile. Quindi, se una cresta si abbassa, parte dell’acqua sottostante deve
spostarsi anche lateralmente e la superficie adiacente si deve innalzare.
Più precisamente, l’acqua si sposta in avanti in corrispondenza di una cresta
e indietro in corrispondenza di una gola, pertanto le particelle d’acqua seguono
un moto approssimativamente circolare e chiuso. Per questo motivo tali onde
sono dette onde progressive orbitali: sono dette orbitali perché al passaggio
dell’onda le particelle di acqua si muovono su un’orbita quasi chiusa; sono dette
progressive perché la forma d’onda si muove in direzione orizzontale.
Naturalmente, le particelle d’acqua che risentono di questo moto non sono soltanto quelle in superficie, ma anche quelle più profonde, solo che il raggio delle
orbite diminuisce progressivamente, in modo esponenziale, all’aumentare della
profondità. In definitiva, dunque, al passaggio dell’onda le particelle d’acqua non
si spostano molto dalla posizione di partenza, per cui in realtà è soltanto la forma
dell’onda a propagarsi nello spazio e non le particelle stesse.
Per concludere, però, è necessario precisare che anche in acque profonde si
ha un lieve ma effettivo trasferimento orizzontale di acqua dovuto ad effetti non
lineari (Stokes drift) e al frangimento in acque profonde; questo provoca correnti
115
Appunti di meteorologia marina
superficiali piccole rispetto alla velocità orbitale, ma non completamente trascurabili.
Le onde marine possono essere classificate in funzione della loro altezza (H) e
della loro lunghezza (L); convenzionalmente si definiscono le seguenti categorie:
¿ onde basse (H < 2 m)
¿ onde medie (H = 2-4 m)
¿ onde alte (H > 4 m)
¿ onde corte (L < 100 m)
¿ onde medie (L = 100-200 m)
¿ onde lunghe (L > 200 m).
Si devono infine distinguere due tipologie di moto ondoso sulla base della
profondità delle acque:
¿ Acque profonde: quando la profondità del mare può essere considerata ‘infinita’ o, in altri termini, le onde non sono influenzate dalla presenza del fondale
marino. Questa condizione si realizza quando la profondità dell’acqua è superiore a 1/2 della lunghezza d’onda.
¿ Acque basse: quando la presenza del fondale marino influenza in maniera sensibile l’evoluzione stessa delle onde. Questa condizione si realizza quando la
profondità dell’acqua è inferiore a circa 1/25 della lunghezza d’onda.
Come vedremo, il moto ondoso in acque basse presenta delle caratteristiche specifiche.
La formazione delle onde
Le principali forze che contribuiscono alla formazione e propagazione del moto
ondoso sono la forza generatrice rappresentata dal vento e le forze di richiamo
le forze che tendono a riportare l’acqua nella posizione di equilibrio, costituite
dalla tensione superficiale dei liquidi e dalla gravità. La tensione superficiale costituisce la principale forza di richiamo quando la lunghezza d’onda è inferiore a 1.7
cm (onde capillari), mentre diviene trascurabile rispetto alla gravità per lunghezze
d’onda superiori ai 10 cm (onde di gravità o da vento).
Quando il vento inizia a soffiare, si formano modeste increspature di pochi
millimetri della superficie marina, le onde capillari appunto, caratterizzate da un
profilo con cresta piatta e larga e cavo stretto e ripido.
Le onde guadagnano energia sia per azione diretta dovuta all’attrito del vento
sulla superficie marina, sia per differenze di pressione che si generano tra i vari
punti del profilo d’onda. Se il vento continua ad agire sulla superficie marina, le
onde capillari crescono fino a diventare onde di gravità che, a differenza di quelle
capillari, sono caratterizzate da un cavo piatto e largo e da una cresta stretta e
ripida.
Mentre le onde capillari si interrompono nel momento in cui termina l’azione
del vento sulla superficie marina, quelle di gravità non si estinguono immediatamente al cessare del vento. Le onde di gravità possono propagarsi anche esternamente alla zona di influenza del vento che le ha generate, percorrendo notevoli
distanze dal punto in cui si sono originate ed assumendo un profilo approssimativamente sinusoidale.
Naturalmente, le onde non possono crescere all’infinito; ad un certo punto
raggiungono un’altezza critica e si rompono. In acque profonde il frangimento
è legato alla ripidità d’onda (H/L, in inglese stepness): se H/L > 1/7 (Stokes) le
onde diventano instabili e frangono generando schiuma (white capping). Il frangimento è il principale meccanismo di dissipazione di energia in acque profonde.
116
II. Elementi di oceanografia
Vento e onde
Il vento genera sulla superficie del mare delle onde che si propagano nella direzione del vento stesso. L’altezza raggiunta dalle onde dipende dall’intensità del
vento: maggiore è l’intensità del vento, più elevata è l’altezza delle onde. Tuttavia,
lo scambio energetico tra vento e superficie marina è influenzato anche dal tempo di persistenza del vento che insiste su un determinato tratto di mare, perciò
l’altezza raggiunta dalle onde sarà determinata, oltre che dall’intensità del vento,
anche dalla sua durata. Man mano che il vento insiste sulla superficie del mare, le
onde crescono in altezza fino al limite di rottura. Quando si verifica questa condizione si parla di mare completamente sviluppato e l’onda raggiunge l’altezza
massima per quei determinati valori di intensità e durata del vento. La figura 88
mostra la relazione esistente tra l’altezza d’onda e la velocità e persistenza del
vento, nel caso di onde in acque profonde.
Questa relazione non tiene però conto dell’estensione del tratto di mare, privo
di ostacoli significativi, su cui il vento può soffiare con direzione e velocità invariate, che di solito viene indicato con il termine internazionale fetch. In un mare delimitato e di piccole dimensioni come il Mediterraneo, per esempio, non si hanno
solitamente onde con altezze elevate, poiché l’effettiva influenza che la velocità e
la persistenza del vento svolgono sulla formazione delle onde è fortemente limitata dal fetch (figura 89).
Figura 88 - Altezza delle onde in funzione della velocità del vento e della sua persistenza.
Figura 89 - Altezza delle onde in funzione della velocità del vento e del fetch.
L’unica zona dove è più probabile incontrare onde molto alte, è l’area situata
ad Ovest della Sardegna. Questa zona è infatti caratterizzata dalla persistenza del
Maestrale e da un ampio tratto di mare privo di ostacoli; queste condizioni creano
il presupposto per la formazione di onde tra le più alte di tutto il bacino del Mediterraneo. Tenendo conto di questi tre fattori (fetch, intensità e tempo di persistenza
del vento) è possibile stimare l’altezza delle onde nelle più svariate condizioni.
A questo scopo è possibile utilizzare delle tabelle (tabella 6) o degli appositi
diagrammi in scala bilogaritmica (figura 90) che mettono in relazione i suddetti
parametri con l’altezza raggiunta dalle onde.
Tramite il diagramma di figura 90, che si riferisce ad un regime di acque profonde, conoscendo il valore della velocità del vento ed il fetch è possibile risalire
ai seguenti parametri del moto ondoso:
117
Appunti di meteorologia marina
¿ l’altezza d’onda, tramite la scala logaritmica posta sull’asse delle ordinate a sinistra del diagramma;
¿ il periodo dell’onda, tramite le curve tratteggiate del diagramma;
¿ la durata del vento necessaria perché si formino onde con determinate caratteristiche di altezza e periodo, tramite la scala logaritmica posta sull’asse delle
ascisse.
Le parti del diagramma in cui l’altezza ed il periodo delle onde risultano praticamente indipendenti sia dal fetch che dalla durata del vento, indicano una situazione di mare completamente sviluppato.
Velocità del vento (nodi)
Durata del vento (ore)
Fetch (Km)
Altezza delle onde
(m)
10
6
40
0.5-0.6
20
18
250
2.3-2.5
30
24
600
5.0-5.5
40
48
1500
9
Tabella 6 - Stima dell’altezza delle onde in funzione di:
intensità del vento, tempo di persistenza e fetch.
Figura 90 - Diagramma per determinare l’altezza ed il periodo delle onde in funzione
della velocità e durata del vento e del fetch in regime di acque profonde.
Lo stato del mare
Con stato del mare si intende lo stato di agitazione della superficie marina.
Sulla base di quanto già detto, è possibile distinguere due categorie di stato del
mare a seconda della tipologia di onde che lo caratterizzano:
¿ mare di vento (o mare vivo; in inglese, wind sea);
¿ mare lungo (o mare morto; in inglese, swell).
Il mare di vento è caratterizzato da una serie di onde generate dal vento che
insiste sul tratto di mare su cui sono rilevate. La lunghezza delle onde è general-
118
II. Elementi di oceanografia
mente piccola ed il moto ondoso presenta un comportamento molto irregolare,
caratterizzato da un susseguirsi di onde alte e basse senza un preciso ordine.
È anche possibile osservare la formazione di onde più piccole che si propagano
sulla cresta di onde di maggiori dimensioni. Il mare vivo determina generalmente
un mare agitato e condizioni difficili di navigazione.
Il mare lungo è caratterizzato da onde provenienti da zone anche molto distanti
da quella nella quale si sta effettuando l’osservazione o da onde residue in zone
che in precedenza sono state interessate da venti intensi. Le onde in questione,
quindi, non dipendono più dall’azione diretta del vento e possono propagarsi
per centinaia di chilometri attraverso aree in cui il vento può essere anche
completamente assente. Le creste di queste onde sono più arrotondate e più
lunghe rispetto a quelle del mare vivo. Inoltre, esse mostrano una direzione di
provenienza dominante. D’altronde, quando le onde lasciano l’area dove sono
state generate, sono soggette ad una dispersione angolare rispetto a tale direzione
(angular spreading).
Il risultato è che la loro energia si distribuisce su un’area sempre maggiore;
quindi, l’energia media per unità di area e conseguentemente l’altezza delle onde
diminuiscono con la distanza dal luogo di origine.
Questa è la causa principale di diminuzione dell’altezza delle onde. Le onde
lunghe o morte non sono generalmente considerate pericolose per la navigazione,
tranne che in prossimità di bassi fondali o alle entrate di determinati porti, in cui
sono presenti barriere sabbiose o altri ostacoli che possono provocare la rottura
violenta delle onde.
È possibile procedere ad una classificazione dello stato del mare tramite la
scala Douglas (tabella 7). Questa scala è suddivisa in 10 gradi (da mare calmo a
tempestoso) e si trova spesso associata alla scala Beaufort della forza del vento,
che rappresenta la scala più conosciuta per studiare la relazione tra la velocità del
vento e lo stato del mare (tabella 5).
La scala Beaufort pone in relazione il grado Beaufort con la velocità del vento
determinata a 10 metri di altezza sopra la superficie marina, l’altezza probabile
delle onde e la descrizione degli effetti esercitati dal vento sul mare. In figura 91
è possibile osservare fotografie dello stato del mare in corrispondenza dei differenti gradi Beaufort.
La scala Beaufort è di indubbio valore pratico, tuttavia presenta il limite di poter
essere applicata solo in mare aperto lontano dalle coste, quando il fetch e la persistenza del vento non sono limitati dalla vicinanza della terraferma.
Grado Douglas
Descrizione del mare
0
Calmo
Altezza media delle onde (m)
0.00
1
Quasi calmo
0.00 - 0.10
2
Poco mosso
0.10 - 0.50
3
Mosso
0.50 - 1.25
4
Molto mosso
1.25 - 2.50
5
Agitato
2.50 - 4.00
6
Molto agitato
4.00 - 6.00
7
Grosso
6.00 - 9.00
8
Molto grosso
9.00 - 14.00
9
Tempestoso
oltre 14.00
Tabella 7 - Scala Douglas dello stato del mare.
119
Appunti di meteorologia marina
Figura 91 - Immagini relative allo stato del mare in corrispondenza dei differenti gradi
della scala Beaufort (tratta dal personal web-site di J.M.J. Journée).
Acque basse ed ostacoli
Nei paragrafi precedenti sono state esaminate principalmente le caratteristiche
del moto ondoso al largo, in acque profonde. Vogliamo adesso descrivere alcune
caratteristiche specifiche del moto ondoso vicino alla costa, o più in generale in
acque basse, ed in presenza di ostacoli.
Una prima differenza rispetto al caso di acque profonde riguarda il moto orbitale delle particelle d’acqua. Come si è visto, i raggi delle orbite circolari diminuiscono esponenzialmente con la profondità. Più precisamente, ad una profondità
uguale alla metà della lunghezza d’onda, gli spostamenti delle particelle d’acqua
sono circa il 4% di quelli alla superficie.
Questo significa che a profondità maggiori di questa l’influenza del fondale
sul moto delle onde è trascurabile. Viceversa, nel caso di acque la cui profondità
è meno della metà della lunghezza d’onda il fondale comincia a far sentire i suoi
effetti. Per convenzione si assume come limite di acque basse la profondità di
circa 1/25 della lunghezza d’onda, mentre il tratto compreso tra il limite di acque
profonde e quello di acque basse è detto zona di transizione.
120
II. Elementi di oceanografia
Nelle acque basse le particelle d’acqua risentono dell’attrito esercitato dal fondale e le traiettorie circolari da esse descritte tendono ad appiattirsi, assumendo
forme ellittiche sempre più schiacciate man mano che si scende verso il fondo
(figura 92).
Figura 92 - Schema delle orbite descritte dalle particelle d’acqua a differenti profondità.
Avvicinandosi alle coste, le onde subiscono anche modifiche in velocità, direzione, lunghezza, altezza ed altre caratteristiche; solo il periodo resta costante.
La velocità delle onde, per esempio, diminuisce al diminuire della profondità;
inoltre, poiché le onde che precedono vengono rallentate prima di quelle che seguono, anche la lunghezza d’onda diminuisce.
Ne consegue che, a causa della conservazione del flusso di energia, l’altezza
delle onde aumenta. Il fenomeno relativo all’aumento dell’altezza dell’onda con la
risalita graduale del fondale marino, prende il nome di shoaling.
Naturalmente, anche in acque basse l’altezza dell’onda non può aumentare
indefinitamente; ma mentre in alto mare l’onda si rompe una volta raggiunta una
ripidità di circa 1/7, in acque basse la rottura avviene quando la profondità del
mare è circa 1.3 volte l’altezza dell’onda. In realtà, questo numero dà solo un’indicazione qualitativa: dai molti studi fatti per trovare una relazione che permetta di
prevedere l’altezza di rottura dell’onda in funzione della profondità, si è visto che
essa dipende fortemente dalla conformazione del fondale e dal tipo di onda.
La rottura dell’onda dà luogo ai frangenti (in inglese, breakers). La formazione
dei frangenti, con la conseguente caduta in avanti della cresta dell’onda rispetto
alla gola, origina un movimento orizzontale di acqua verso terra.
Quando i frangenti si dispongono su una linea più o meno continua, originano
una barra o linea di rottura (in inglese, surf). La zona compresa tra il punto di
rottura dell’onda e la costa è detta surf zone. Il frangimento dell’onda si può classificare in quattro tipi (Galvin, 1968): a deflusso (spilling), a cascata (plunging), a
collasso (collapsing) e a flusso montante (surging).
Il frangimento a deflusso è caratterizzato da un’onda concava sia sul fronte
che sul dorso, con la cresta che si rompe e cade gradualmente in avanti generando schiuma (figura 93a); è associato a fondali con modesta pendenza ed onde con
bassa ripidità. Il frangimento a cascata è caratterizzato da un’onda fortemente
concava sul fronte e convessa sul dorso, con la cresta che cade in avanti formando
una fragorosa cascata e generando schiuma (l’onda preferita dai surfisti, con la
formazione del famoso tubo; figura 93b); è associato a fondali con media pendenza ed onde con media ripidità.
Il frangimento a collasso è caratterizzato da un’onda con la cresta che non si
rompe, mentre la parte bassa del fronte diventa ripida, cade in avanti in modo
121
Appunti di meteorologia marina
turbolento e genera schiuma (figura 93c); è associato a fondali con pendenza
maggiore rispetto ai precedenti ed onde con media-forte ripidità. Il frangimento
a flusso montante è caratterizzato da un’onda con la cresta che non si rompe,
mentre la parte bassa del fronte avanza verso la spiaggia generando schiuma
senza un vero e proprio getto d’acqua (figura 93d); è associato a fondali con forte
pendenza ed onde con forte ripidità.
Un altro fenomeno che si verifica in corrispondenza delle coste è quello della
rifrazione, analogo alla deviazione che i raggi luminosi subiscono attraversando
strati adiacenti di materiali differenti.
a
b
c
d
Figura 93 - Frangimento delle onde: (a) a deflusso, (b) a cascata, (c) a collasso, (d)
a flusso montante. Fonte: Coastal Engineering Manual, U.S. Army Corps of Engineers.
Se le onde che entrano nella zona di acque basse non stanno avanzando perpendicolarmente alle curve di livello dei fondali (o isobate), la parte del fronte
d’onda che si trova in acque più profonde si muove più rapidamente di quella in
acque più basse; di conseguenza il fronte ruota fino a disporsi parallelamente alle
curve di livello e, quindi, alla riva stessa (figura 94).
Per studiare la traiettoria di queste onde, è possibile tracciare delle linee perpendicolari alle loro creste (dette ortogonali d’onda) utilizzando riprese aeree o
modelli di bacino. Le ortogonali d’onda risultano molto ravvicinate in prossimità
dei promontori e, in genere, delle sporgenze presenti sulla costa, indicando una
concentrazione di energia in queste zone che origina un mare agitato (figura 95)
Al contrario, nelle baie le ortogonali d’onda risultano più distanziate, indicando
le zone in cui le onde giungono attenuate permettendo così la deposizione e la
sedimentazione di materiale fine come la sabbia (figura 95).
Tramite la rappresentazione delle ortogonali d’onda è possibile anche individuare la presenza di valli e creste sottomarine. Quando un’onda giunge sopra
una valle sottomarina, si osservano delle divergenze delle ortogonali d’onda che
indicano la presenza di una zona più calma rispetto alle zone limitrofe (figura
96a). Al contrario una convergenza delle ortogonali al di sopra di una determinata
area, indica la presenza di rilievi sottomarini perpendicolari alla costa che provo-
122
II. Elementi di oceanografia
Figura 94 - Rifrazione delle onde in prossimità di una costa dritta con isobate parallele.
Fonte: Coastal Engineering Manual, U.S. Army Corps of Engineers.
Figura 95 - Rifrazione delle onde in prossimità di una costa irregolare con baie e
promontori. Fonte: Coastal Engineering Manual, U.S. Army Corps of Engineers.
cano una concentrazione di energia (figura 96b); di conseguenza in queste zone
bisogna evitare l’ancoraggio o la costruzione di strutture offshore. In particolare,
se i rilievi sottomarini sono costituiti da brusche risalite del fondale, per la presenza di scogli affioranti, l’altezza e la ripidità delle onde aumentano improvvisamente, per cui le onde si rovesciano in avanti e frangono (figura 97).
Il moto ondoso può inoltre subire ulteriori modifiche a seconda del genere di
ostacoli che le onde possono incontrare nel loro propagarsi. Le onde marine sono
soggette a fenomeni di diffrazione, interferenza e riflessione del tutto analoghi
a quelli che si verificano nel caso delle onde acustiche e luminose.
Il fenomeno della diffrazione si può verificare, per esempio all’ingresso di un
porto. La diffrazione avviene quando la lunghezza d’onda è dello stesso ordine di
grandezza di un ostacolo o di un’apertura in una barriera (figura 98).
Un altro fenomeno tipico del moto ondoso è quello dell’interferenza che determina di solito un mare molto agitato, ma in alcuni casi i treni d’onda possono
123
Appunti di meteorologia marina
anche annullarsi e causare il deposito di materiale con formazione di tomboli.
Infine, soprattutto nel caso di barriere ripide (un molo, una scogliera verticale),
si deve tener conto del fenomeno della riflessione. In casi come questi, le onde
riflesse dalla parete tornano indietro e possono interferire con quelle in arrivo
dando origine ad una zona con acque agitate.
Figura 96 - Rifrazione delle onde da parte di: (a) una valle sottomarina, (b) una cresta
sottomarina. Fonte: Coastal Engineering Manual, U.S. Army Corps of Engineers.
Figura 97 - Effetto della risalita brusca del fondale sulle onde.
Figura 98 - Diffrazione all’ingresso di un porto.
124
II. Elementi di oceanografia
La misura del moto ondoso
Prima dell’introduzione degli strumenti automatici per il rilevamento del moto ondoso, la misura delle caratteristiche delle onde e l’analisi dello stato del mare venivano
effettuate con stime a vista dal bordo delle navi, con osservazioni ottenute tramite aste
graduate vincolate ai pali dei pontili o con particolari teodoliti posti in posizione elevata.
Ovviamente queste osservazioni erano soggette a notevoli errori di valutazione. Per ovviare a questi inconvenienti, negli ultimi decenni sono stati approntati metodi e strumenti sempre più sofisticati in grado di fornire risultati estremamente precisi ed attendibili.
Questi i principali metodi di rilevamento del moto ondoso:
Osservazioni visuali
Le osservazioni visuali da navi sono tuttora utilizzate come fonte attendibile di dati
meteo-marini. Le osservazioni di questo tipo, per essere attendibili, devono però essere fatte da marinai esperti abituati a simili valutazioni e seguendo regole ben precise.
I parametri che possono essere stimati in questo modo sono l’altezza, il periodo e la
direzione di provenienza delle onde.
Si deve comunque considerare che l’occhio dell’osservatore, come si è visto da analisi
fatte, tende a concentrarsi sulle onde più alte e su quelle più a breve periodo; questo
implica che la misura dell’altezza media delle onde ottenuta in questo modo si avvicina
di solito all’altezza significativa delle onde (media del terzo di onde più alte), mentre il
periodo medio delle onde tende ad essere sottostimato.
Ondametri a pressione
Gli ondametri a pressione misurano le variazioni di pressione dovute al cambiamento
di altezza della colonna d’acqua sovrastante a causa del moto ondoso ed operano ad
una determinata profondità dalla superficie dell’acqua. Essi possono essere appoggiati
sul fondo, oppure vincolati a qualche sostegno fisso.
Questi strumenti possono essere utilizzati anche per la misura della direzione del
moto ondoso; infatti, disponendo un certo numero di essi lungo linee o poligoni, si può
ottenere la distribuzione spaziale di determinati parametri e da questa si ricavano le informazioni riguardanti la direzione di propagazione delle onde. Ovviamente, la capacità
di risoluzione di questi sistemi aumenta all’aumentare del numero di sensori utilizzati.
Un vantaggio di questi strumenti, rispetto ai sistemi di superficie, consiste nell’essere
meno soggetti a rotture e alla formazione di incrostazioni biologiche, per cui forniscono
generalmente maggiori garanzie di durata.
D’altronde, per l’invio dei dati ad una stazione di terra, necessitano di un lungo cavo
oppure di un cavo attaccato ad una boa con un sistema di radio-trasmissione. Inoltre,
un loro difetto consiste nel fatto che essi misurano la variazione della pressione anziché
lo spostamento della superficie dell’acqua, per cui quest’ultimo parametro va determinato tramite una successiva elaborazione che può comportare una perdita di precisione. Infine, dato che gli effetti di variazione della pressione non sono rilevabili in modo
accurato a profondità troppo elevate, questi strumenti sono di solito utilizzati in acque
relativamente basse.
Ondametri ad ultrasuoni
Gli ondametri ad ultrasuoni sono anch’essi appoggiati sul fondo, ma rilevano direttamente l’andamento del pelo libero dell’acqua misurando la distanza che intercorre tra
lo strumento e la superficie marina. Il loro principio di funzionamento si basa sull’emissione di un fascio di ultrasuoni da parte di un generatore di impulsi ultrasonici che viene
riflesso dalla superficie di separazione acqua-aria e captato nuovamente da un apposito
ricevitore posto sullo strumento. Alcuni di questi strumenti sono a registratore incorporato, mentre altri sono collegati a terra tramite cavo sottomarino. Strumenti di questo
tipo sono molto simili ai correntometri ad ultrasuoni già descritti e possono essere anche utilizzati per la misura della direzione del moto ondoso.
Se si sfruttano infatti le riflessioni delle onde acustiche dovute a particelle sospese (per
125
Appunti di meteorologia marina
esempio, plancton), si possono misurare le velocità orbitali delle particelle d’acqua e
da queste la direzione delle onde. Inoltre, se si combinano in un unico strumento più
fasci di ultrasuoni con differenti direzioni, si possono distinguere i pacchetti d’onda
provenienti da direzioni diverse. Un problema di questi strumenti, come nel caso degli
ondametri a pressione, è quello di non poter operare a profondità troppo elevate.
Boe oceanografiche
I sistemi operanti in superficie maggiormente diffusi sono le boe oceanografiche. La
maggior parte di esse sono boe accelerometriche, il cui funzionamento è basato sulla
misura dell’accelerazione verticale subita dalla boa per effetto del moto ondoso; mediante una doppia integrazione di tale accelerazione, infatti, si può risalire allo spostamento
della superficie dell’acqua. Le boe accelerometriche costituiscono un metodo diretto e
abbastanza accurato di misurazione del moto ondoso, richiedono di essere ancorate
sul fondo, ma non presentano limiti pratici d’impiego per quanto riguarda la profondità
d’installazione, in quanto possono essere posizionate su fondali che arrivano anche a
200 metri di profondità. Un loro limite, però, è la relativa fragilità a causa dell’esposizione a fattori di danneggiamento (collisioni con natanti, incrostazioni biologiche, furto) e
la conseguente necessità di frequenti manutenzioni.
Oltre all’altezza delle onde, alcune boe oceanografiche possono rilevare anche la direzione del moto ondoso. Nelle boe a inclinazione (pitch-roll), per esempio, si misura
l’inclinazione della boa rispetto ad un piano di riferimento orizzontale individuato mediante giroscopi interni; inoltre, con un sistema di bussole, si determina l’orientamento
della boa rispetto al campo magnetico terrestre. Combinando le due misure, è possibile
definire la direzione di propagazione delle onde. Nelle boe a traslazione, invece, si individua allo stesso modo l’orientamento rispetto al campo magnetico terrestre mediante
un sistema di bussole, ma invece di misurare l’inclinazione della boa, si misura la sua
accelerazione nelle direzioni orizzontali mediante due ulteriori accelerometri.
Alcune boe oceanografiche, inoltre, possono essere considerate delle vere e proprie
stazioni meteorologiche automatiche marine, essendo equipaggiate con sensori elettronici idonei a rilevare anche i seguenti parametri:
¿ la pressione atmosferica
¿ la velocità e la direzione del vento
¿ la temperatura dell’aria
¿ la temperatura superficiale e sottosuperficiale del mare.
L’alimentazione elettrica dei sensori delle boe oceanografiche è fornita generalmente
da batterie alcaline o a manganese e litio o per mezzo di appositi pannelli solari montati
sullo scafo della boa stessa. I dati acquisiti vengono trasmessi via radio ad un’apposita centralina posta a terra, dove vengono elaborati graficamente e salvati in formato digitale.
Sonde, altimetri laser, radar e acustici su piattaforma
Un’altra possibilità per la misura dell’altezza delle onde è quella di utilizzare sonde
(wave staff), fissate per esempio ad una piattaforma, che attraversano la superficie del
mare e rilevano i cambiamenti di alcune proprietà elettriche (resistenza, capacità o induttanza) conseguenti alle variazioni di immersione della sonda stessa durante il passaggio
dell’onda. A seconda del metodo si possono distinguere tre tipologie di sonde:
sonde resistive, sonde capacitive, sonde induttive.
Nelle sonde resistive sono presenti apposite sostanze porose igroscopiche che modificano la loro resistenza elettrica in seguito all’assorbimento di acqua sulla loro superficie,
per cui la resistenza di queste sostanze varia con l’immersione della sonda in acqua. I
sensori capacitivi sfruttano la variazione di capacità dielettrica di una membrana igroscopica che costituisce il dielettrico di un condensatore. L’assorbimento di acqua da parte del
dielettrico durante l’immersione provoca una variazione della permettività dielettrica del
condensatore che viene convertita in una variazione di tensione continua.
Nelle sonde induttive il trasduttore è costituito da una bobina di materiale ferromagnetico che modifica la sua induttanza in seguito all’immersione in acqua. Tra le varie
126
II. Elementi di oceanografia
tipologie, le boe con sonde induttive mostrano generalmente le migliori prestazioni, sia
come accuratezza di dati che come resistenza nel tempo, sebbene risultino anche quelle
maggiormente costose.L’altezza delle onde si può misurare anche da sopra la superficie,
puntando verso il basso altimetri laser, radar o acustici fissati anch’essi su piattaforme
e misurando la radiazione o le onde acustiche riflesse.
Nell’installazione su piattaforma degli strumenti sopra descritti, si deve però fare
attenzione agli effetti di rifrazione, diffrazione e riflessione del moto ondoso dovuti alla
piattaforma stessa. Gli strumenti devono quindi essere posizionati in modo da minimizzare tali effetti.
Ondametri a bordo delle navi
Un’altra possibilità è di utilizzare ondametri posizionati a bordo delle navi. Ne esistono di vario tipo. Si può associare, per esempio, un altimetro laser, radar o acustico,
che misuri la variazione del livello del mare rispetto al natante, ad un accelerometro che
fornisca lo spostamento verticale della nave; dalla combinazione delle due misure si
ottiene l’andamento della superficie dell’acqua.
Questi strumenti, però, possono essere utilizzati solamente quando la nave è ferma
o quando si muove con velocità non troppo elevate.
Tra i metodi che fanno uso di strumentazione imbarcata a bordo di navi, citiamo
anche una tecnica che consente di estrarre dettagliate informazioni riguardanti il moto
ondoso mediante opportuna elaborazione dei dati raccolti dai radar in banda X, comunemente usati per la navigazione marittima. In particolare, ciò è possibile analizzando la
parte di segnale denominata clutter, che è generata proprio dall’interazione delle onde
elettromagnetiche della banda X con le onde del mare e che è scartata come fenomeno
spurio nelle applicazioni legate alla radiolocalizzazione di navi ed alla navigazione.
HF radar da costa
Le onde radio ad alta frequenza (HF) hanno lunghezze d’onda comprese tra i 10 e i
100 metri circa. Un segnale radar di questo tipo viene inviato sulla superficie del mare
da stazioni di costa e si propaga ben oltre l’orizzonte, molto di più rispetto ai segnali dei
più comuni radar a microonde.
Il segnale così inviato viene riflesso in varie direzioni a causa della superficie scabra
del mare, ma per direzioni e lunghezze particolari delle onde marine (la metà della
lunghezza d’onda del segnale elettromagnetico) i segnali riflessi si sommano coerentemente (interferenza costruttiva, secondo la legge di Bragg) generando un segnale di
ritorno altamente energetico e con frequenza ben definita. Il sistema fisico è analogo a
quello dei reticoli ottici o cristallini. Da questo segnale è possibile ricavare informazioni
riguardo la lunghezza, il periodo, e la direzione di propagazione delle onde.
Mediante due stazioni ad una certa distanza tra loro, inoltre, è possibile ottenere vere
e proprie mappe direzionali. Infine, mediante opportuna elaborazione dei dati di radar
HF, è inoltre possibile determinare lo spettro direzionale di Fourier del moto ondoso e
anche mappe di correnti superficiali.
Tecniche ottiche e radar mediante aerei
Al gruppo di tecniche ottiche appartengono, per esempio, le tecniche fotogrammetriche: lo spettro direzionale di energia viene valutato tramite metodi digitali a partire
dall’analisi stereoscopica di due fotografie riprese in simultanea da due punti diversi (ad
esempio due aerei opportunamente posizionati e dotati di apparecchiature fotografiche
sincronizzate via radio). I limiti di tecniche come queste consistono essenzialmente nel
fatto che esse risentono in maniera notevole delle condizioni meteorologiche e di visibilità. Tra le tecniche radar, una di quelle di maggior importanza è basata sull’uso del SAR
(Synthetic Aperture Radar) che sfrutta lo spostamento lungo la traiettoria dell’aereo per
sintetizzare i dati ricevuti da più punti come se l’antenna fosse molto più lunga di quanto è in realtà. Dato che il passo di risoluzione di un radar è inversamente proporzionale
alla sua apertura, con questo trucco, si possono ottenere immagini radar che hanno
127
Appunti di meteorologia marina
una risoluzione molto elevata. Il principio su cui si basa il metodo di misura del moto
ondoso mediante SAR è la legge di Bragg. Solo che questa volta, poiché il SAR opera nel
campo delle microonde, le onde che danno luogo ad interferenza costruttiva, e che quindi
possono essere rilevate, sono lunghe solo pochi centimetri (onde capillari). Tali onde,
però, si formano anche sulle creste e le gole delle onde di gravità, ne consegue una modulazione del segnale che permette di ricavare informazioni su quest’ultime. Un vantaggio
del SAR, rispetto per esempio ai radar altimetrici, è che si riescono ad ottenere informazioni non solo sull’altezza delle onde, ma anche sulla loro direzione di propagazione.
D’altronde le informazioni che si ricavano non sono una misura diretta del moto ondoso,
ma necessitano di una successiva elaborazione, basata anche sull’utilizzo di modelli numerici; per questo motivo l’uso del SAR come strumento di misura delle onde è ancora in
fase di sviluppo.
Altimetri radar e SAR su satellite
Nelle ultime decadi hanno avuto un notevole sviluppo le tecniche radar da satellite. La
prima missione spaziale specifica per la misurazione della topografia degli oceani è stata
quella del satellite SEASAT, lanciato il 28 giugno 1978 dalla NASA. Purtroppo, a causa di
un cortocircuito, SEASAT fu attivo soltanto per un centinaio di giorni, la missione terminò
infatti il 10 ottobre 1978. Tra gli strumenti che aveva a bordo, SEASAT era dotato di un
altimetro radar a microonde e di un SAR.
Il principio di funzionamento dell’altimetro radar si basa sulla misura del tempo necessario affinché un impulso elettromagnetico (in questo caso nel campo delle microonde)
raggiunga la superficie del mare e venga riflesso nuovamente verso il satellite.
All’interno dell’area monitorata dal satellite, la parte di impulso radar che viene riflessa
dalle creste delle onde giunge al satellite in tempi più brevi rispetto alla parte riflessa dalle
gole. Come risultato di questo fenomeno, l’impulso radar che torna verso il satellite risulta
temporalmente allargato rispetto a quello che si otterrebbe se la superficie del mare fosse
completamente liscia. Ovviamente più le onde sono alte e maggiore risulterà questo allargamento; di conseguenza, da esso si possono ricavare informazioni relative all’altezza significativa delle onde. Il SAR a bordo di un satellite funziona invece con lo stesso principio
di quelli a bordo di aerei, soltanto che l’area analizzata è molto più ampia.
Benchè in teoria il SAR possa dare maggiori informazioni rispetto all’altimetro radar,
esso presenta il problema discusso in precedenza che le misure di moto ondoso non sono
misure dirette, ma devono essere interpretate (processo che può comportare una notevole
perdita di precisione). Inoltre, il SAR necessita di immagazzinare e trasmettere una quantità notevole di dati e questo costringe a raccogliere informazioni solo su aree selezionate.
Nonostante la brevità della sua missione, SEASAT dimostrò la possibilità di utilizzo di un
satellite per lo studio della topografia dei mari e degli oceani.
Durante questa missione, per esempio, il SAR fu in grado di fornire immagini radar della superficie marina con una risoluzione spaziale di circa 25 m x 25 m e di misurare onde
oceaniche con lunghezza maggiore di 100 metri e con altezze d’onda significative superiori a 1 metro. I dati ottenuti da satellite risultarono in accordo con le osservazioni degli
stessi fenomeni effettuate in situ con tecniche tradizionali. In seguito al parziale successo
di questa missione, circa sei anni più tardi fu lanciato il satellite GEOSAT della US Navy
(1985-1989). GEOSAT era dotato di un altimetro radar ulteriormente perfezionato e fornì
dati altimetrici del moto ondoso di elevata qualità. I dati, dapprima di uso militare, furono
declassificati completamente e messi a disposizione della comunità scientifica dal 1995.
Dopo GEOSAT si svilupparono due differenti famiglie di satelliti: una nata da una collaborazione tra USA e Francia e dotata di altimetri radar specifici per oceani e mari, un’altra
facente capo all’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e fornita sia di altimetri radar di uso generale che di SAR. Della prima famiglia fanno parte le missioni TOPEX/POSEIDON (1992) e
JASON-1 (2001), della seconda ERS-1 (1991-2000), ERS-2 (1995) e ENVISAT (2002). Grazie
a queste missioni, la comunità scientifica ha a disposizione dati che coprono periodicamente, purtroppo con intervalli di tempo di alcuni giorni, quasi tutta la superficie oceanica
e marina della Terra.
128
II. Elementi di oceanografia
Teoria lineare delle onde
Per valutare gli effetti delle onde su strutture galleggianti, immerse o confinanti
con il mare, o per prevedere lo stato del mare, è necessario formulare una teoria
del moto ondoso.
Il moto ondoso marino, però, è estremamente complesso ed una teoria completa porta ad equazioni troppo complicate da risolvere; per questo motivo si introducono di solito approssimazioni che permettono di semplificare il problema.
La più semplice teoria delle onde marine si basa su una serie di approssimazioni di cui la principale è che l’altezza delle onde sia molto piccola.
Nei calcoli, questo permette di considerare soltanto grandezze che dipendono
linearmente da tale altezza, trascurando termini dipendenti dal suo quadrato o
potenze ancora maggiori; per questo motivo si parla di teoria lineare.
Tale teoria è stata sostanzialmente sviluppata da Airy nel 1845.
La teoria lineare delle onde, benché basata su una forte semplificazione, dà una
ragionevole descrizione delle caratteristiche principali del moto ondoso. Per
esempio, molti problemi ingegneristici possono essere trattati, con ragionevole
approssimazione, mediante questa teoria. Inoltre, molte delle teorie più complete
possono essere costruite proprio a partire dai risultati della teoria lineare.
Come conseguenza delle semplificazioni introdotte, alla base della teoria lineare c’è il risultato che le onde marine possono essere rappresentate da onde
sinusoidali, o sovrapposizioni di onde sinusoidali, analoghe a quella descritta precedentemente. Oltre alle grandezze caratteristiche fondamentali di un’onda ce ne
sono altre di uso ricorrente, quali:
¿ l’ampiezza (A): massimo spostamento verticale dell’acqua rispetto al livello
medio del mare, per un’onda sinusoidale A = H/2;
¿ la frequenza (n): numero di oscillazioni complete compiute dall’onda nell’unità di tempo, è quindi l’inverso del periodo (n = 1/T);
¿ la velocità di fase o celerità (c): rappresenta la velocità a cui si propaga
un’onda sinusoidale ed è data dal rapporto tra la lunghezza d’onda ed il periodo
(c = L/T).
Tenendo presente queste definizioni, la formula matematica che rappresenta
un’onda sinusoidale unidimensionale che si sposta in avanti (Figura 84) si può
scrivere:
dove x è lo spazio, t è il tempo, k = 2π / L, e ω = 2π / T = c k. Le grandezze
k e ω vengono chiamate rispettivamente numero d’onda e frequenza angolare.
Tra esse esiste una relazione, detta relazione di dispersione, che deriva dalle
equazioni del moto linearizzate, ed è data da: ω2 = (g k) tanh(k D)
dove g è l’accelerazione di gravità e D la profondità del mare; ne consegue che
la velocità di fase può essere scritta:
Nel caso di acque profonde e di acque basse, la relazione precedente può essere semplificata e si possono quindi distinguere i seguenti due regimi:
¿ acque profonde (D > L/2): ,
¿ acque basse (D < L/25): ;
chiaramente, nel caso di profondità intermedie (acque di transizione) è necessario usare la relazione completa. Questa formula è molto importante; ci dice, per
esempio, che la velocità delle onde in acque profonde è direttamente proporzio-
129
Appunti di meteorologia marina
nale alla loro lunghezza, ovvero le onde lunghe si propagano più velocemente
rispetto alle onde corte.
Di conseguenza, in un determinato luogo ad una certa distanza da dove le onde
si sono generate, arrivano prima le onde lunghe di quelle corte. Dato che, le onde
corte, in seguito a fenomeni di viscosità e turbolenza, subiscono perdite di energia molto più consistenti rispetto a quelle lunghe, si ottiene come risultato che in
un determinato punto, situato a grande distanza dal luogo di origine della perturbazione, arriva un’agitazione abbastanza regolare e a cresta lunga, di ampiezza e
periodo lentamente variabile nel tempo, chiamata comunemente swell.
In un certo senso il mare agisce da filtro passa-basso, facendo passare le
componenti ondulatorie di periodo più lungo e, quindi, caratterizzate da frequenze più basse.D’altronde, la relazione di dispersione ci dice anche che le onde in
acque basse risentono in maniera evidente del fondale e la loro velocità è determinata dalla radice quadrata del prodotto tra l’accelerazione di gravità e la profondità del mare.
È proprio questa dipendenza della velocità dalla profondità che produce gli
effetti di rifrazione già descritti. Questa velocità viene chiamata anche velocità
critica ed assume una notevole importanza per le navi che avanzano in acque
basse. La velocità di avanzamento di una nave infatti non dovrebbe superare l’80%
della velocità critica, al fine di evitare fenomeni eccessivi di resistenza da parte
delle acque e di possibile cedimento delle strutture.
Come già detto, le onde sono associate a forme di trasporto di energia. L’energia totale associata all’onda è in parte energia cinetica, dovuta al moto delle particelle d’acqua, ed in parte energia potenziale, dovuta allo spostamento verticale
delle particelle d’acqua nel campo gravitazionale.
Si può dimostrare che quando la superficie dell’acqua è priva di perturbazioni,
l’energia potenziale è minima. Nel caso delle onde di gravità, uno spostamento
delle particelle d’acqua rispetto al livello medio del mare genera una forza di richiamo dovuta al campo gravitazionale che tende a riportarle nella posizione di
equilibrio.
Si può anche dimostrare che l’energia cinetica media per unità di area dovuta
al moto delle particelle d’acqua è uguale all’energia potenziale media per unità di
area (equipartizione dell’energia).
In definitiva, si ottiene che l’energia totale media per unità di area (E), associata
ad un’onda sinusoidale di ampiezza A, è data dalla seguente espressione:
E (J/m2) = rw g A2 / 2
dove rw è la densità dell’acqua.
Si noti che l’energia dell’onda non dipende dalla profondità o dalla lunghezza
d’onda, ma solo dalla sua ampiezza. Quello che si propaga nello spazio è proprio
questa combinazione di energia potenziale ed energia cinetica, che viene trasmessa da una colonna d’acqua a quella adiacente. A questo punto sorge spontanea una domanda: a che velocità si sposta l’energia dell’onda?
Prima di rispondere a questa domanda è necessario approfondire il seguente
aspetto del moto ondoso: le onde sulla superficie marina non sono semplici onde
sinusoidali, in particolare nel caso di mare vivo. Un fenomeno che spesso si osserva è che le onde si muovono in gruppi, costituiti da onde di diversa altezza e
celerità. Per comprendere meglio alcune caratteristiche di un gruppo di onde,
consideriamo il caso semplice derivante dalla sovrapposizione di due onde sinusoidali della stessa ampiezza e con frequenza e numero d’onda leggermente diversi. Il grafico risultante dalla somma di queste due componenti è rappresentato
in figura 99.
130
II. Elementi di oceanografia
Figura 99 - Sovrapposizione di due onde sinusoidali.
Come si vede dalla figura, la sovrapposizione di due sole componenti è sufficiente a formare gruppi di onde con un profilo ben definito. Si può dimostrare
che la velocità di propagazione dell’energia non corrisponde alla velocità di fase
delle singole componenti, ma a quella di propagazione del profilo del gruppo,
che, per questo motivo, è detta anche velocità di gruppo (cg). In acque profonde
la velocità di gruppo risulta la metà di quella di fase: cg = c/2; in acque basse le
due velocità coincidono: cg = c. Questo risultato vale in generale, anche nel caso
di gruppi composti da un numero maggiore di componenti sinusoidali.
In realtà, la situazione relativa alle onde marine è ben più complessa di quella
descritta dalla sovrapposizione di due sole onde sinusoidali.
Le onde generate dal vento hanno un comportamento fortemente irregolare, per cui la superficie
marina appare ai nostri occhi come una manifestazione estremamente caotica. Nella teoria lineare, tale comportamento può essere approssimato
considerando la sovrapposizione di più onde sinusoidali, ognuna caratterizzata da una propria
altezza, lunghezza e periodo (figura 100).
Questo approccio corrisponde a quello che
matematicamente si chiama sviluppo di Fourier,
basato sul lavoro di Joseph Fourier (1768-1830).
Secondo Fourier, quasi ogni funzione può essere
rappresentata su un’intervallo finito come la somma di una serie infinita di seni e coseni con differenti frequenze moltiplicati per dei coefficienti costanti (serie di Fourier). Quindi, se si considera la
superficie del mare ad un certo istante, essa può
essere sempre rappresentata tramite una serie
infinita di seni e coseni con distinti numeri d’onda. Poiché i coefficienti delle singole componenti
sono costanti e i numeri d’onda indipendenti tra
loro, negli istanti successivi ognuna delle componenti sinusoidali evolverà indipendentemente.
In realtà, questa è soltanto un’approssimazione
Figura 100 - Il moto ondoso
per lo stato del mare, valida per tempi non troppo
sulla superficie marina può
lunghi ed aree non troppo grandi; esistono teorie
essere approssimato dalla
più sofisticate che tengono conto anche dei cosidsovrapposizione di più onde
detti effetti non lineari di interazione tra le onde.
sinusoidali.
131
Appunti di meteorologia marina
Analisi statistica delle onde marine
Il moto ondoso marino è un fenomeno estremamente caotico. Se si registra il
movimento della superficie del mare al passare del tempo in una posizione ben
definita, il risultato è del tipo riportato in figura 101. In un grafico di questo genere non è possibile definire in modo univoco l’altezza d’onda, la lunghezza o il
periodo. Inoltre, una successiva registrazione del moto ondoso nello stesso punto
non darebbe un segnale identico a quello precedente.
Il meglio che si può fare, dunque, è assumere che la registrazione in oggetto
rappresenti un campione statistico dei possibili stati del mare nell’area in considerazione (descrizione statistica) e, a questo punto, stimare in termini probabilistici i valori medi di alcuni importanti parametri come, per esempio:
¿ l’altezza media dell’onda
¿ l’altezza significativa delle onde
¿ il periodo medio dell’onda.
Quello che ci si aspetta è che le proprietà statistiche di più registrazioni successive siano simili, si assume quindi che lo stato del mare sia un sistema stazionario, cioè che statisticamente non cambia nel tempo; nella realtà, però, questo è
vero solo su periodi non troppo lunghi. Sono possibili due differenti approcci per
la stima dei valori medi sopra definiti: uno basato sull’analisi statistica temporale ed uno sull’analisi statistica spettrale del segnale.
Nel primo approccio si stimano direttamente i valori medi
che interessano, a partire da
analisi statistiche del segnale
visto come sequenza temporale dei dati di moto ondoso.
Nel secondo si esegue invece
un’analisi in frequenza del
segnale basata sul suo sviluppo in serie di Fourier.
Figura 101 - Esempio di registrazione temporale
del movimento di un punto della superficie marina.
Analisi statistica temporale
Esistono vari modi per stimare i valori medi dei parametri più significativi del
moto ondoso. Ognuno di essi presenta vantaggi e svantaggi. Alcune delle definizioni più frequentemente usate sono le seguenti.
L’altezza media (Hmedia) delle onde può essere calcolata facendo la somma delle
altezze delle singole onde e dividendola per il numero totale di onde registrate
durante un determinato intervallo di tempo (generalmente 10-20 minuti).
Volendo, oltre al semplice valor medio, si può anche calcolare la probabilità
di manifestarsi di onde di una determinata altezza, ma bisogna ricorrere ad un
procedimento statistico più laborioso. Le onde registrate nell’ambito di un determinato periodo di tempo vengono suddivise in funzione della loro altezza in un
certo numero di intervalli regolari ad esempio onde comprese tra 0 e 0.5 metri,
tra 0.5 e 1 metro, tra 1 e 1.5 metri. Successivamente viene contato il numero di
onde appartenenti a ciascun gruppo e le somme ottenute si dividono per il numero totale delle onde registrate durante l’intero intervallo temporale.
132
II. Elementi di oceanografia
In questo modo vengono calcolate le frequenze o densità di probabilità per
ciascuna categoria di onde, ovverosia la probabilità con cui possono manifestarsi
onde di una determinata altezza. Facendo la somma delle probabilità dei singoli
gruppi si ottiene la funzione di probabilità cumulata, cioè la probabilità che si
manifesti un’onda di altezza minore o uguale ad un determinato valore.
L’altezza significativa (H1/3) delle onde viene definita come la media del terzo
di onde più alte registrate durante un determinato intervallo di tempo e si ottiene
ordinando le onde per altezza crescente, prendendo il terzo più alto di esse e
facendone la media. È interessante notare che l’altezza significativa delle onde
risulta essere abbastanza simile all’altezza stimata a vista da un marinaio esperto,
poiché probabilmente le onde di maggiore altezza rimangono più impresse nella
memoria di un osservatore. Questa definizione permette quindi un confronto diretto con le misure eseguite tramite metodi tradizionali.
Questo parametro, inoltre, assume un’importanza pratico-applicativa notevole
nella progettazione di infrastrutture costiere; infatti, nel caso in cui si voglia valutare l’effetto impattante delle onde su queste infrastrutture, è necessario tener
conto dell’altezza delle onde stesse. Tuttavia se si considerasse la sola altezza
media, le onde più basse avrebbero un peso troppo significativo, portando ad una
sottostima in fase progettuale dell’altezza d’onda impattante.
D’altra parte, se nel progetto si considerassero solo i valori delle onde più alte
registrate in una determinata area, si potrebbe incorrere in una sovrastima dell’altezza d’onda impattante. Per questo motivo in fase progettuale viene spesso
considerata un’altezza media calcolata solo sul terzo di onde più alte; più precisamente H1/3 si usa prevalentemente per strutture tipo dighe foranee, barriere,
mentre per strutture a parete verticale è preferibile usare H1/10 o addirittura Hmax.
Per chiarire ulteriormente i concetti appena descritti, in tabella 8 è riportata
l’analisi statistica relativa ad un ipotetico stato del mare registrato durante un determinato intervallo temporale. Il periodo medio delle onde può essere definito a
partire dalle misure del tempo che intercorre tra due attraversamenti consecutivi
in salita (o in discesa) del livello medio marino, chiamati in inglese zero up-crossing (o down-crossing). In pratica, il periodo medio di un’onda si può calcolare
dividendo la durata della registrazione per il numero di up-crossing (o down-crossing). Tale valore si indica di solito con il simbolo Tz.
Analisi statistica spettrale
Come già detto, segnali del tipo di figura 101, e quindi le onde sulla superficie marina, possono essere approssimati mediante una serie di Fourier, ovvero scrivendoli come
somma di componenti sinusoidali con differenti
ampiezze, numeri d’onda e frequenze. Se adesso
si considerano i valori medi temporali, calcolati
tramite campioni statistici successivi, dei quadrati delle ampiezze relative alle varie componenti, si
può costruire la cosiddetta funzione di densità
spettrale (o semplicemente spettro).
Riportando in un diagramma cartesiano tali
valori medi in corrispondenza alle relative frequenze, dividendoli convenzionalmente sia per
due che per l’intervallo tra le frequenze, si ricava
infatti un grafico come quello in figura 102.
Figura 102 - Funzione di densità
spettrale.
133
Appunti di meteorologia marina
L’altezza media delle onde si può calcolare attraverso
la seguente espressione:
Hmedia (m) = (0.25·22+0.75·46+1.25·20+1.75·16+ 2.25·12+2.75·11+3.25·5)/132 = 1.26;
mentre per l’altezza significativa si ha:
H1/3 (m) = (1.75·16+ 2.25·12+2.75·11+3.25·5)/44 = 2.31.
Intervalli di altezza
d’onda (m)
N° di onde
registrate (ni)
Altezze d’onda
medie (m)
Probabilità
(ni/totale)
0.00 - 0.50
0.50 - 1.00
1.00 - 1.50
1.50 - 2.00
2.00 - 2.50
2.50 - 3.00
3.00 - 3.50
Totale
22
46
20
16
12
11
5
132
0.25
0.75
1.25
1.75
2.25
2.75
3.25
0.17
0.35
0.15
0.12
0.09
0.08
0.04
1.00
Probabilità
cumulata
(∑ni/totale)
0.17
0.52
0.67
0.79
0.88
0.96
1.00
Tabella 8 - Analisi statistica di una registrazione del moto ondoso in un punto,
in un determinato intervallo temporale.
Si noti che, poiché il quadrato dei coefficienti di Fourier è proporzionale all’energia associata alle corrispondenti componenti sinusoidali, a meno di un fattore ρwg/2, la funzione di densità spettrale è anche detta spettro d’energia dell’onda (o, per brevità, spettro d’onda).
Lo spettro d’energia dell’onda rappresenta la distribuzione dell’energia totale
dell’onda tra le varie onde sinusoidali che la compongono.
Anche a partire dallo spettro si possono calcolare i valori medi dei parametri
che caratterizzano lo stato del mare, definiti nel caso dell’analisi temporale. Per
esempio, si può dimostrare che l’altezza significativa delle onde, H1/3, è circa
uguale a quattro volte la radice dell’area sotto la curva che descrive la funzione di
densità spettrale; tale valore si indica di solito con il simbolo Hs, per cui H1/3 ≈ Hs.
Inoltre, sempre a partire dallo spettro, si può anche calcolare un periodo medio
dell’onda equivalente a quello definito tramite gli zero down-crossing, Tz. Lo spettro d’onda appena descritto è in funzione solo della frequenza delle onde componenti. Se le onde marine fossero specificate soltanto in termini di esso, sarebbero
rappresentabili solo mediante onde con lunghe creste parallele, poiché andrebbe
perso il loro carattere bidimensionale. In realtà, il moto caotico della superficie
marina implica l’esistenza di onde con differenti frequenze che si propagano in
varie direzioni.
Per tener conto di tutte queste componenti, si definisce lo spettro direzionale
d’energia dell’onda (figura 103), che rappresenta la distribuzione d’energia in
funzione non solo delle frequenze, ma anche delle direzioni di provenienza delle
singole onde.
Un limite delle precedenti definizioni della funzione di densità spettrale, basate sull’approssimazione che il moto ondoso sia composto da onde sinusoidali
indipendenti (teoria lineare), è che le ampiezze delle singole componenti siano costanti e, quindi, sia la distribuzione di energia che tutti i valori medi dei parametri
che si ricavano dallo spettro non varino col tempo limite che deriva dall’ipotesi
iniziale che il sistema considerato sia stazionario.
Questo implica che lo stato del mare non cambia nel tempo, ma ciò ovviamente
non rispecchia la realtà. Per tener conto degli effetti che causano una variazione
dello spettro d’energia dell’onda occorrono teorie più sofisticate di quella lineare.
134
II. Elementi di oceanografia
Figura 103 - Spettro direzionale d’energia dell’onda.
Storm surges
L’azione del vento e/o della pressione sulla superficie del mare può dare origine ad innalzamenti o abbassamenti del livello medio marino che vengono indicati
con il termine di surges. In genere si parla di surge positiva quando la superficie
del mare è più elevata rispetto al previsto e di surge negativa quando è più bassa.
Questi fenomeni sono indipendenti dalle maree e sono causati dalle variazioni di
pressione atmosferica e/o dall’azione del vento che soffia sulla superficie marina.
La diminuzione o l’aumento di pressione atmosferica determina rispettivamente
un incremento o un decremento del livello medio del mare.
Anche il vento che soffia sulla superficie marina può causare un innalzamento
del livello dell’acqua in prossimità della costa quando il trasporto di acqua avviene
verso la terraferma, mentre determina una diminuzione di livello nel caso in cui
l’acqua venga allontanata dalla costa.
In particolare, i venti che si originano in seguito ad una forte depressione atmosferica su un mare poco profondo possono dare luogo ad un moto ondoso
particolarmente intenso a cui viene dato il nome di storm surges o, in alcuni casi,
di ‘marea anomala’.
Questo nome è dovuto al fatto che nelle zone soggette a questo fenomeno si
registra un’alta marea che non è direttamente dipendente dall’attrazione gravitazionale esercitata dagli astri. In questi casi il centro di bassa pressione provoca
un ‘ingrossamento’ del mare sottostante con formazione di onde che vengono
ulteriormente alimentate ed accelerate dal forte vento che spira su di esse.
Questo fenomeno è particolarmente sentito nelle baie e nei mari tendenzialmente ‘chiusi’ come il Mare del Nord e, nelle regioni tropicali, nei Carabi e nella
Baia del Bengala. L’origine degli storm surges è differente a seconda della latitudine, essendo solitamente generati da uragani nelle regioni tropicali e da forti
depressioni sulla superficie marina nelle regioni extra-tropicali.
Questi fenomeni risultano difficilmente prevedibili, non solo a causa delle incertezze intrinseche delle previsioni meteorologiche, ma anche per la difficoltà di
studiare e comprendere le complesse interazioni che avvengono tra il vento e la
superficie marina. Surges negative possono creare pericoli per la navigazione, in
particolare nel caso di acque poco profonde come quelle del Mare del Nord, mentre
surges positive possono favorire i processi di erosione costiera e di inondazione.
135
Appunti di meteorologia marina
Le maree
Le maree consistono in un movimento periodico di innalzamento e di abbassamento del livello del mare (figura 104). Quando il livello del mare tende a crescere
si parla di alta marea (o flusso), mentre quando diminuisce si parla di bassa marea
(o riflusso); il dislivello tra un’alta ed una bassa marea viene indicato come ampiezza o escursione della marea.
L’ampiezza della marea non è molto elevata nei mari interni come il Mediterraneo e negli oceani aperti dove non supera il metro, mentre può raggiungere anche
i 15-20 metri di altezza nelle lunghe insenature e negli stretti golfi oceanici.
Ad esempio le più alte maree sono state osservate sulle coste canadesi nella
baia di Fundy, dove il livello del mare può aumentare di 19-20 m.
Un altro esempio è rappresentato dall’isoletta di Mont Saint-Michel in Bretagna
che, in seguito al ritirarsi del mare durante le basse maree, risulta unita alla terraferma solo durante determinate ore del giorno.
La causa delle maree è da attribuire all’attrazione gravitazionale esercitata dal
Sole e dalla Luna.
Il primo a formulare una teoria quantitativamente abbastanza valida fu Isaac
Newton (1642-1727). Newton mostrò che i rigonfiamenti delle acque sui lati opposti della Terra lungo la congiungente Terra-Luna (analogamente per il Sole)
possono essere spiegati tramite la sua legge di gravitazione universale.
Tali rigonfiamenti sono infatti dovuti al gradiente (differenza) di forze che si
genera a causa delle diverse distanze dei vari punti della Terra rispetto alla Luna,
dato che la forza gravitazionale è inversamente proporzionale al quadrato della
distanza.
La teoria di Newton mantiene parte della sua validità anche oggi, ma essa era
basata su forti semplificazioni; non considerava infatti il moto di rotazione della
Terra, la presenza delle masse continentali, l’inerzia delle acque e gli attriti. Altri
autori estesero successivamente il lavoro di Newton, tenendo conto di alcuni dei
fattori trascurati.
Ma l’approccio più moderno ad una teoria delle maree che permettesse di fare
previsioni è basato sul lavoro di William Ferrel (1817-1891) e Lord Kelvin (18241907) che svilupparono una teoria basata su uno sviluppo armonico. Teoria successivamente perfezionata da George Darwin (1845-1912), Lord Rayleigh (18421919) ed altri.
Per quanto semplice, la teoria di Newton permette di spiegare alcuni fatti salienti relativi alle maree.
Le forze gravitazionali determinano, come si è detto, un rigonfiamento delle
acque marine sia sul lato che guarda verso la Luna (marea lunare) che sul lato
opposto (marea antilunare).
In seguito a questo fenomeno, i mari e gli oceani mostrano due alte maree
e due basse maree nell’arco di circa un giorno cioè il tempo necessario affinché
avvenga una rotazione completa della Terra attorno al proprio asse.
Anche il Sole esercita un’azione sulle maree, ma data la sua notevole distanza
dalla Terra l’attrazione gravitazionale risulta inferiore, di circa 2.51 volte rispetto
a quella della Luna.
Quando Terra, Luna e Sole si trovano allineati lungo una stessa retta ipotetica
(sigizie), le forze di attrazione esercitate dalla Luna e dal Sole agiscono in sinergia
provocando un forte movimento verticale delle acque (maree sigiziali o maree
vive).
136
II. Elementi di oceanografia
Al contrario, quando i due
astri vengono a trovarsi disposti ad angolo retto rispetto alla Terra (posizione di
quadratura), le forze di attrazione di Luna e Sole sono in
contrapposizione, per cui le
maree risultano attenuate e
dirette verso la Luna (maree
morte).
La teoria di Newton ha
comunque molti limiti. Per
esempio, secondo questa teoria l’alta marea dovrebbe verificarsi nel momento in cui la
Luna viene a trovarsi sul meridiano o antimeridiano di un
determinato luogo; tuttavia a
causa dell’inerzia delle masse
d’acqua e dell’attrito con il
fondo, la marea avviene con
un certo ritardo rispetto alla
culminazione della Luna.
Questo ritardo, indicato
come ‘ora di porto’, è un
parametro costante per una
determinata località e consente di indicare le ore del giorno in cui le navi possono più
facilmente entrare ed uscire
dai porti sfruttando gli effetti delle maree. È interessante
osservare che le maree possono essere utilizzate al fine di
produrre energia elettrica nelFigura 104 - L’azione combinata della Luna e del Sole
le centrali mareomotrici, che
determina le maree vive (o sigiziali) e le maree morte
sfruttano il dislivello tra alta e
(o di quadratura).
bassa marea per far funzionare apposite turbine a propulsore. Perché ciò sia possibile è necessario che questo
dislivello raggiunga valori elevati (di almeno 10 m), perciò questi impianti sono
realizzabili solo in poche aree della Terra in cui sono presenti insenature strette
ed un flusso e riflusso di marea consistente; ad esempio una grande centrale mareomotrice è stata realizzata presso la foce del fiume Rance in Francia.
Infine, si deve far presente che la variazione del livello del mare, associata
alla marea, determina inevitabilmente la formazione di correnti di pendio anche
di notevole intensità (correnti di marea) che vanno ad aggiungersi a quelle già
descritte.
La misura del livello marino
La misura del livello del mare può essere effettuata attraverso differenti metodologie. Il metodo più semplice consiste nell’utilizzo di un’apposita asta graduata
(asta idrometrica) realizzata generalmente con un materiale plastico che consen-
137
Appunti di meteorologia marina
te di mantenere inalterate per lunghi periodi di tempo le caratteristiche fisiche
dell’asta anche in condizioni climatiche estreme.
Uno degli strumenti maggiormente utilizzati in passato nelle reti mareografiche per misurare il livello dell’acqua è il mareografo meccanico a registrazione
cartacea, che sfrutta il movimento verticale di un galleggiante sospeso tramite un
cavo di acciaio avvolto su una puleggia e tenuto in trazione da un contrappeso.
La puleggia è collegata generalmente ad un albero a doppia scanalatura elicoidale
che consente di trasformare il movimento rotatorio del cavo sulla puleggia in un
movimento di traslazione.
La registrazione avviene tramite un pennino inserito sopra l’albero direttamente su un foglio di carta diagrammata avvolto su un tamburo.
Nei moderni mareografi elettronici, invece, il sensore maggiormente utilizzato è costituito da una sonda ad ultrasuoni in grado di inviare impulsi ultrasonici in
superficie e di registrare tramite un ricevitore il messaggio di ritorno. Dal tempo
che intercorre tra emissione e ricezione del segnale si risale alla distanza tra il
sensore e la superficie marina. Indipendentemente dallo strumento utilizzato, le
misure di livello effettuate dai mareografi devono essere sempre riferite ad un
caposaldo quotato con livellazione di alta precisione.
Il rilevamento in mare dei parametri meteorologici ed oceanografici
Il metodo tradizionale per eseguire le osservazioni in mare di parametri meteo-marini si avvale dell’uso di imbarcazioni equipaggiate con strumentazione di
bordo in grado di effettuare la misura dei principali parametri meteorologici o, se
possibile, di navi appositamente configurate per i rilievi oceanografici.
Tuttavia, le spedizioni oceanografiche presentano notevoli difficoltà e lo stesso
ambiente marino risulta particolarmente ‘ostilÈ per la delicata strumentazione,
causando frequentemente problemi di corrosione, avarie e rotture di strumenti o
di loro parti. Recentemente è aumentato anche l’uso di mezzi sottomarini in grado di eseguire lo studio delle caratteristiche delle acque profonde e di resistere
ad elevate pressioni esterne.
I dati ottenuti dalle navi presentano l’inconveniente di essere spesso limitati
alle rotte commerciali, perciò sono relativi principalmente all’emisfero settentrionale e solo in minima parte a quello meridionale. Inoltre, per quanto riguarda la
qualità dei dati, bisogna tenere conto sia del fatto che i marinai che eseguono i
rilevamenti non ricevono generalmente una preparazione di base adeguata, sia
del fatto che le imbarcazioni stesse, con il loro passaggio, disturbano il sistema
atmosfera-mare.
Dal 1921 le osservazioni vengono trasmesse via radio a stazioni di terra e sono
effettuate in corrispondenza delle ore sinottiche standard (00.00, 06.00, 12.00
e 18.00 del tempo medio di Greenwich) ed eventualmente ad ore standard intermedie (03.00, 09.00, 15.00 e 21.00), od ogni volta in cui l’osservatore ritenga
importante segnalare particolari condizioni atmosferiche.
I parametri che vengono rilevati sono:
¿ latitudine e longitudine
¿ correnti marine (direzione e velocità)
¿ venti (direzione e forza secondo la scala di Beaufort)
¿ pressione barometrica
¿ ore di nebbia, pioggia, neve, grandine
¿ stato del mare
138
II. Elementi di oceanografia
¿ temperatura superficiale e sottosuperficiale dell’acqua
¿ stato del tempo
¿ segnalazioni di tempeste, tornadi, uragani, masse di ghiaccio in mare, ecc.
Un notevole contributo alla meteorologia marina è stato fornito dall’uso, per
esempio, delle boe oceanografiche. Questi mezzi hanno il vantaggio di non alterare in maniera sensibile le condizioni esterne, per cui forniscono dati molto
attendibili e precisi. Inoltre, le boe oceanografiche permettono di estendere le
osservazioni meteo-marine anche a regioni oceaniche raramente visitate dalle
rotte navali, di poter acquisire automaticamente dati concernenti le interazioni
atmosfera-mare su una determinata area per lunghi periodi di tempo e di poterli
trasmettere a stazioni di terra secondo tempi preimpostati, anche mediante rete
satellitare.
Un altro mezzo impiegato per il rilevamento dei dati meteo-marini è il cosiddetto FLIP (Floating Instrument Platform), che può essere considerato una via
di mezzo tra una nave ed una boa. Il FLIP consiste in una piattaforma mobile in
grado di ospitare strumentazione e personale specializzato per il rilevamento e
l’elaborazione di dati oceanografici e meteo-marini.
Infine, come già detto, molti dati meteo-marini sono ottenibili anche mediante
telerilevamento. Lo sviluppo di una rete satellitare di rilevamento ha consentito
un notevole passo avanti in campo oceanografico, incrementando notevolmente
le conoscenze relative al sistema atmosfera-mare ed ai principali fenomeni che
interessano il mare e le coste.
La rete di monitoraggio italiana
Il Servizio Mareografico Nazionale svolge l’importante compito di realizzare
un sistema integrato di monitoraggio dei nostri mari. A tal fine questo servizio
realizza, gestisce e mantiene le reti ondametriche e mareografiche per il rilevamento delle principali caratteristiche fisiche dei mari italiani, oltre che raccogliere,
validare elaborare ed infine pubblicare i dati ottenuti. La Rete Ondametrica Nazionale (RON), attivata nel luglio del 1989, era originariamente composta da otto
boe a disco direzionali Datawell-Wavec di tipo pitch-roll localizzate al largo di La
Spezia, Alghero, Ortona, Ponza, Monopoli, Crotone, Catania e Mazara.
Ogni boa, ancorata su fondali di circa 100 metri di profondità, è in grado di seguire il profilo della superficie dell’acqua, determinando l’altezza e la direzione di
provenienza delle onde con misure realizzate ogni tre ore (o semiorarie nel caso
di valori sopra la soglia).
Questi strumenti sono stati inoltre dotati di un sistema di localizzazione satellitare (satellite ARGOS) per il controllo continuo della loro posizione.
Nel 1999 la rete originaria è stata integrata di altre due boe direzionali a traslazione del tipo Datawell-Waverider dislocate al largo di Cetraro ed Ancona, mentre
la boa di Catania originaria è stata sostituita da una boa a traslazione. I dati raccolti dalle boe vengono trasmessi via radio ad una stazione a terra che provvede
ad elaborarli e, infine, a inviarli al centro di controllo e gestione della rete presso
la Direzione del Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale.
All’inizio del 2002 sono state avviate una serie di attività finalizzate al potenziamento della rete, per la realizzazione di un efficiente sistema di monitoraggio
e diffusione dei dati in tempo reale. Inoltre la rete originaria è stata portata a 14
stazioni di rilevamento (figura 106), inserendo altre quattro nuove boe posizionate al largo di Capo Linaro (Civitavecchia), Capo Gallo (Palermo), Chioggia (alto
Adriatico) e Siniscola (Sardegna orientale).
139
Appunti di meteorologia marina
Figura 105 - Rete Ondametrica Nazionale.
Dal 2002 le boe utilizzate per la rete sono tutte del tipo TRIAXIS, l’acquisizione
dei dati è semioraria ed il rilevamento satellitare della posizione è effettuato tramite Immarsat D+.
I principali parametri del moto ondoso che vengono rilevati dalla rete sono:
¿ altezza d'onda significativa
¿ periodo di picco
¿ periodo medio
¿ direzione media di propagazione.
Inoltre per ogni banda di frequenza vengono analizzati anche i seguenti parametri:
¿ densità di energia o densità spettrale
¿ frequenza
¿ direzione media di propagazione
¿ dispersione direzionale o spread
¿ asimmetria o skewness.
In caso di mareggiate di forte intensità, l’elaborazione dei dati avviene in continuo.
La Rete Mareografica Nazionale (RMN) è gestita dal Dipartimento dei Servizi
Tecnici Nazionali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è costituita
da una rete di stazioni di misura distribuite uniformemente nei principali porti
di tutto il territorio italiano. Attualmente la RMN è costituita dalle seguenti 26
stazioni mareografiche: Trieste, Venezia Lido, Ancona, Ravenna, Pescara, Ortona,
Isole Tremiti, Vieste, Bari, Otranto, Taranto, Crotone, Reggio Calabria, Messina,
Catania, Porto Empedocle, Lampedusa, Palermo, Palinuro, Salerno, Napoli, Cagliari, Carloforte, Porto Torres, Civitavecchia, Livorno, Genova ed Imperia.
Queste stazioni sono dotate di due tipologie di strumenti di misura del livello
140
II. Elementi di oceanografia
delle acque: un mareografo meccanico a registrazione cartacea ed un mareografo elettronico con sensore ultrasonico.Il primo strumento ha lo scopo di verificare le misure effettuate dal mareografo elettronico e di recuperare eventuali
perdite di dati nel caso di suo errato funzionamento. I mareografi che appartengono alla RMN sono stati tutti tarati rispetto ad un caposaldo quotato con elevata
precisione in riferimento al più vicino caposaldo IGM.
Oltre a determinare il livello marino, le stazioni appartenenti alla RMN rilevano i
dati relativi alla velocità e direzione del vento a 10 m dal suolo, la pressione atmosferica, la temperatura dell’aria e la temperatura dell’acqua. Tutte le stazioni sono
inoltre dotate di un sistema locale per la gestione e raccolta dati e di un apparato
di trasmissione dati in tempo reale alla sede centrale di Roma.
La rete di monitoraggio internazionale
Per comprendere i fenomeni meteo-marini e per elaborare modelli previsionali attendibili, è necessario considerare il ‘sistema atmosfera-mare’ nella sua
complessità ed estendere le osservazioni a scala globale. A questo scopo sono
nate delle organizzazioni mondiali che si occupano dello studio delle scienze
marine. Tra queste quelle di maggiore interesse per la meteorologia marina, sono
la Intergovernmental Oceanographic Commission (IOC) e la World Meteorological
Organization (WMO). La IOC rappresenta la principale istituzione che si occupa di
oceanografia all’interno dell’Unesco.
Uno dei principali programmi attivati dalla IOC, in collaborazione con il WMO, è
l’Integrated Global Ocean Station System (IGOSS). Questo programma ha l’obiettivo di fornire agli Stati Membri informazioni di supporto a tutte le attività marine
e di ricerca scientifica che interessano gli oceani. Le strutture fondamentali dell’IGOSS sono il sistema di osservazione globale, il sistema di elaborazione dati ed
il sistema di telecomunicazione per favorire lo scambio di informazioni tra gli Stati
Membri. Le attività che interessano il mare all’interno del WMO possono invece
essere suddivise in tre categorie:
¿ quelle che ricadono all'interno del programma meteorologico globale del WMO,
il World Weather Watch (WWW);
¿ quelle che vengono gestite dalla Commission for Marine Meteorology (CMM);
¿ quelle che ricadono all'interno del Global Atmospheric Research Programme
(GARP).
Per quanto riguarda il WWW, esso comprende il rilevamento di dati meteorologici provenienti da stazioni marine (navi mobili e di ricerca, piattaforme oceaniche
fisse, boe oceaniche e stazioni localizzate su isole).
La CMM è l’organismo internazionale appartenente al WMO responsabile della
gestione e sviluppo del Marine Meteorological Service (MMS). Quest’ultimo costituisce un programma coordinato internazionale finalizzato a fornire avvertimenti,
previsioni e informazioni generali sul tempo meteorologico e il mare (inclusi tempeste, cicloni tropicali, stato del mare, nebbia e ghiaccio in mare) di supporto alla
navigazione, alla pesca e a tutte le attività marine offshore e delle zone costiere.
Il GARP analizza le fluttuazioni atmosferiche su larga scala e comprende una
sezione relativa alle interazioni oceano-atmosfera, finalizzata a valutare il ruolo
fondamentale che gli oceani svolgono nel regolare le dinamiche di circolazione
atmosferica a scala globale.
141
APPUNTI DI
METEOROLOGIA MARINA
III. I modelli previsionali di moto ondoso
III. I modelli previsionali di moto ondoso
I modelli previsionali di moto ondoso
La richiesta di previsione del moto ondoso è andata sempre più aumentando
in tempi recenti grazie alle grandi potenzialità di sviluppo socio-economico offerte dal mare e alla grande importanza dell’ambiente e dell’ecosistema marino. Il
moto ondoso è infatti di gran lunga il maggior responsabile delle sollecitazioni
che avvengono sulle strutture marine, sia imbarcazioni che installazioni fisse.
L’impatto del moto ondoso sulla costa è inoltre importante per la valutazione delle sollecitazioni sui porti e le strutture costiere, nonché per le dinamiche litoranee.
È stato poi ripetutamente sottolineato come, attraverso il frangimento e il rimescolamento continuo, dovuto alla turbolenza, degli strati superficiali del mare, il
moto ondoso abbia importanti conseguenze per la vita stessa.
La conoscenza del moto ondoso, negli ultimi anni, ha tratto un importante
contributo dai progressi della modellistica meteo-marina e dalla maggior quantità
di fonti di informazioni disponibili. I modelli meteo-marini, infatti, hanno ormai
raggiunto un tale stadio di avanzamento da renderli una fonte d’informazione
sufficientemente affidabile per la valutazione del moto ondoso.
In particolare, questa nuova e moderna fonte di informazione è complementare
a quelle tradizionali (rapporti visivi forniti dalle navi in transito, misure in loco da
parte di boe ondametriche, rilevazioni mediante strumenti satellitari) e, quindi, è
fondamentale per integrare i dati disponibili sinora usati, generalmente poveri di
risoluzione e che spesso non forniscono informazioni di natura direzionale.
Lo studio della dinamica dei sistemi marini ha una storia molto antica. Si trovano citati al riguardo lavori di Aristotele, Leonardo da Vinci e Benjamin Franklin.
Naturalmente gli stessi pionieri della moderna fluidodinamica, Lagrange, Airy,
Stokes, Rayleigh, per citarne alcuni, avevano studiato già nel XIX secolo molte
proprietà delle onde di superficie.
Ma i maggiori sviluppi relativi allo studio delle onde marine sono avvenuti nel
XX secolo. In particolare, l’interesse nella previsione del moto ondoso è cresciuto
notevolmente durante la seconda guerra mondiale a causa della necessità di pianificare nel modo migliore lo sbarco degli alleati in Normandia.
Un ruolo di primo piano in quel periodo fu svolto da Sverdrup e Munk, che nel
1947 pubblicarono i risultati dei loro studi.
La tecnica per la previsione del moto ondoso da loro sviluppata, e successivamente perfezionata da Bretschneider, era basata su relazioni semi-empiriche
costruite a partire dall’analisi e identificazione di parametri in grado di descrivere
accuratamente lo stato del mare.
Il metodo, detto SMB dai nomi degli autori, ricostruisce il moto ondoso in funzione di informazioni relative al vento, ma la visione che fornisce è a una scala
locale. In realtà, è dimostrato che, per avere una reale predicibilità degli eventi
meteo-marini, i modelli previsionali devono essere utilizzati su aree sufficientemente estese e con risoluzioni adeguate, che consentano una rappresentazione
sufficientemente completa e accurata della situazione meteo-marina generale.
I successivi modelli di previsione, basati sugli studi di Pierson (1955), Gelci
ed altri (1956), che introdussero i concetti di spettro d’energia dell’onda e della
corrispondente equazione di bilancio, hanno cercato di fornire una descrizione
fisicamente più corretta dei processi di creazione, propagazione e dissipazione
del moto ondoso.
Tali modelli, però, tenevano conto degli effetti di formazione delle onde solo
mediante espressioni puramente empiriche.
Solo dopo gli studi successivi di Phillips e Miles (1957) sui meccanismi di gene-
145
Appunti di meteorologia marina
razione delle onde, e quelli di Hasselmann (1962) sui meccanismi di interazione
non lineare delle onde fu possibile scrivere un’espressione generale relativa agli
effetti di creazione e dissipazione delle onde.
Tale espressione è costituita da tre termini: l’input del vento, l’interazione non
lineare e la dissipazione. I modelli che sono derivati da questi studi, sono stati
classificati in tre generazioni.
I modelli di prima generazione, risalenti agli anni ’60 e ’70, non tenevano conto
delle interazioni non lineari tra onde ed assunzioni ad hoc venivano introdotte per
compensare le lacune del modello.
Le ragioni delle semplificazioni adottate nell’equazione di bilancio dello spettro
d’energia erano di due tipi: da un lato il ruolo importante delle interazioni non
lineari non era ancora chiaro, dall’altro la limitata potenza di calcolo dei computer
di allora precludeva la possibilità di risolvere l’equazione completa.
L’importanza degli effetti di trasferimento non lineare di energia divenne più
evidente dopo una serie di esperimenti condotti da Mitsuyasu, Hasselmann,
Snyder ed altri negli anni dal 1968 al 1986.
Questo portò allo sviluppo dei modelli detti di seconda generazione. Tali modelli tenevano conto del termine di interazione non lineare, ma in una forma semplificata e parametrizzata.
Essi, quindi, soffrivano ancora di problemi di fondo per il calcolo corretto del
moto ondoso. Sebbene per campi di vento tipici i risultati erano abbastanza corretti, nel caso di moto ondoso più complesso, generato da campi di vento rapidamente variabili, come per esempio uragani o altri fenomeni atmosferici significativi, le simulazioni non davano risultati appropriati.
Nel 1985 ci fu uno studio comparativo tra nove differenti modelli di prima e
seconda generazione, ad opera di un gruppo di ricerca denominato SWAMP, sia
per condizioni atmosferiche semplici che nel caso di un uragano.
In quest’ultimo caso, in particolare, fu verificato che i risultati dei vari modelli
erano molto diversi tra loro e che, quindi, le differenti parametrizzazioni dell’equazione di bilancio dello spettro d’energia non consideravano in modo corretto tutti i fattori.
A seguito di ciò, fu deciso di sviluppare un modello di terza generazione che
tenesse conto in modo più completo (pur con ancora qualche semplificazione) di
tutti i processi fisici rilevanti.
Le applicazioni di questo modello, denominato WAM, e di modelli analoghi, tipo
WAVEWATCH III e SWAN, richiedono naturalmente un’elevata potenza di calcolo
che si è resa disponibile solo in anni recenti. Questi sono i modelli di simulazione
del moto ondoso utilizzati tutt’oggi.
Oltre al perfezionamento dei modelli stessi, sono stati fatti progressi anche
nelle tecniche di acquisizione dei dati meteo-marini.
Tali dati vengono inseriti nei modelli per inizializzare e per ricalibrare i campi di
vento e onde, permettendo di ottenere previsioni più accurate del moto ondoso.
Un’ulteriore fase di sviluppo dei modelli meteo-marini dovrà prevedere un accoppiamento reciproco tra modelli di onde, idrodinamici e atmosferici per tener
conto dell’interazione reciproca tra mare ed atmosfera.
È infatti importante sia inserire la dinamica e la termodinamica del mare attraverso un modello idrodinamico, che è la controparte marina del modello atmosferico e
permette di simulare le condizioni di moto del mare (correnti marine, temperatura,
salinità) sia, mediante uno scambio dinamico di informazioni con il modello atmosferico, considerare le molteplici interazioni tra l’atmosfera e l’oceano.
146
III. I modelli previsionali di moto ondoso
Equazioni delle onde
Nonostante la grande generalità di fenomeni fisici descritti mediante il concetto di onda, le equazioni che governano tali fenomeni sono tutte molto simili e,
dal punto di vista matematico, sono equazioni differenziali alle derivate parziali.
Quello che cambia, di volta in volta, è soprattutto l’interpretazione fisica dei parametri che compaiono all’interno di tali equazioni, le cosiddette ‘condizioni al
contorno’, che definiscono la geometria del problema in esame, e le ‘condizioni
iniziali’, che definiscono lo stato iniziale del sistema fisico.
Una tipica equazione delle onde è l’equazione di D’Alembert in una dimensione:
dove c è una costante che dipende dalle caratteristiche del sistema fisico considerato e corrisponde alla velocità di propagazione dell’onda, x è la posizione e t è
il tempo. Come si può verificare per sostituzione (facendo le derivate), le soluzioni
di questa equazione sono funzioni del tipo:
dove f 1 e f 2 sono funzioni che dipendono dalle condizioni al contorno e da
quelle iniziali.
Per esempio, una tipica soluzione dell’equazione di D’Alembert è l’onda sinusoidale che si sposta in avanti (figura 91) È anche facile verificare, per sostituzione, che la sovrapposizione di onde sinusoidali è a sua volta una soluzione.
Se si conoscono l’equazione delle onde, la geometria del sistema e le condizioni ad un certo istante iniziale, si può trovare un’espressione che fornisce lo stato
dell’onda ad un qualsiasi istante successivo. Una soluzione analitica per l’equazione delle onde si può trovare però solo in casi particolari. Nel caso di condizioni
al contorno complesse, potrebbe essere necessario ricorrere a metodi numerici.
Benché l’equazione di D’Alembert sopra considerata riguardi il caso relativamente semplice di onde che si propagano in uno spazio ad una dimensione, essa
contiene già l’essenza di cosa significhi costruire un modello di moto ondoso: si
tratta infatti di derivare dai principi primi della fisica l’equazione differenziale alle
derivate parziali che descrive il moto delle onde e poi trovarne le soluzioni.
In tal modo, conoscendo lo stato del mare a un certo istante sarebbe in teoria
possibile ricavarne lo stato futuro.
Purtroppo, come vedremo in seguito, la situazione relativa alle onde marine è
molto complessa, a causa della conoscenza incompleta sia dello stato del mare
ad un certo istante che dei meccanismi di formazione delle onde. Inoltre, le equazioni che descrivono il moto ondoso in mare sono estremamente complicate da
risolvere e necessitano di alcune semplificazioni.
La derivazione dell’equazione fondamentale (equazione di bilancio dello
spettro d’energia), che sta alla base della modellistica del moto ondoso, è piuttosto lunga e complessa. Si cercherà qui di delinearne i passaggi logici fondamentali.
Equazioni di Navier-Stokes
Il punto di partenza per la costruzione di un modello di simulazione del moto
ondoso è rappresentato dalle equazioni di Navier-Stokes. Queste sono le equazioni differenziali fondamentali della dinamica dei fluidi, valgono per fluidi di
vario genere e derivano direttamente dai principi di conservazione della massa,
dell’impulso e dell’energia.
Nello studio del moto ondoso marino il fluido da considerare è un fluido inomo-
147
Appunti di meteorologia marina
geneo a due strati, costituiti rispettivamente da aria e da acqua, con una superficie di discontinuità rappresentata dall’interfaccia aria-acqua.
Le onde che vi si propagano non sono le classiche onde longitudinali (oscillazioni lungo la direzione di propagazione) o trasversali (oscillazione perpendicolare alla direzione di propagazione) che si propagano in un mezzo omogeneo, ma
sono onde di superficie di tipo molto complesso (vedi capitolo II).
In un sistema fisico di questo tipo, parte delle condizioni al contorno, quelle relative alla superficie dell’acqua, sono rappresentate dalle onde stesse. La
complessità di tali condizioni al contorno fa sì che le equazioni complete che governano un fluido di questo genere siano estremamente difficili da risolvere, sia
analiticamente che numericamente.
Approssimazione lineare
La difficoltà nel risolvere le equazioni complete che descrivono il moto ondoso
marino rende necessarie alcune semplificazioni.
In primo luogo, dato che la densità dell’aria è molto minore di quella dell’acqua, il sistema si può descrivere in buona approssimazione mediante equazioni
più semplici, relative ad un fluido a singolo strato (acqua).
Ulteriori semplificazioni sono quelle di trascurare la viscosità dell’acqua, la tensione superficiale e l’eventuale formazione di vortici.
Infine, si può assumere, sempre in prima approssimazione, che le onde sulla
superficie del mare non siano troppo alte. In tal caso, si possono trascurare i
termini non lineari, ovvero quelli con potenze maggiori di uno dell’altezza delle
onde, nelle equazioni stesse (approssimazione lineare).
Le equazioni così semplificate sono molto simili all’equazione di D’Alembert
vista precedentemente e possono essere risolte analiticamente. Soluzioni particolari di esse sono le onde sinusoidali già viste, che in notazione complessa possono essere scritte:
dove c.c. sta per complesso coniugato (il neretto significa che x e k sono vettori
bidimensionali).
In definitiva, si ricava la teoria lineare delle onde già vista. Le soluzioni ottenute descrivono il moto di onde di superficie libere in un mezzo omogeneo. Non si
tiene quindi conto di correnti, variazioni di profondità, vento, attriti ed interazioni
tra onde.
Approssimazione WKB
Un’approssimazione migliore per l’equazione delle onde, che permette di tener
conto di ulteriori fenomeni come la disomogeneità del mare dovuta a correnti o
profondità variabili, è la cosiddetta approssimazione WKB (questo nome deriva
dalle iniziali di G. Wentzel, H. A. Kramers e L. Brillouin, che introdussero un’analoga approssimazione per la funzione d’onda in meccanica quantistica).
Questa è un’approssimazione di tipo non perturbativo, ovvero non si può ottenere partendo dalle soluzioni della parte lineare delle equazioni delle onde. Essa
consiste sostanzialmente nell’assumere che ampiezza, numero d’onda e frequenza siano non più costanti, ma funzioni dello spazio e del tempo:
Se si assume questa come soluzione particolare e si sostituisce nell’equazione
non linearizzata delle onde, si ottiene un’equazione di evoluzione per l’ampiezza
A(x,t), che tiene conto anche degli effetti delle correnti e delle variazioni di pro-
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III. I modelli previsionali di moto ondoso
fondità. Tale equazione si scrive di solito non in termini dell’ampiezza A(x,t) stessa, quanto piuttosto del suo quadrato. Più precisamente, si definisce la quantità
N(x,t)=2|A(x,t)|2/σ, chiamata densità di azione, dove σ è la frequenza in assenza
di correnti. L’equazione risultante per N(x,t) ha il classico aspetto di una legge di
conservazione, dove la variazione locale di una certa quantità (in questo caso la
densità di azione) è determinata dal flusso di quella che entra o esce.
Con le onde di tipo WKB si può costruire una sovrapposizione analoga allo sviluppo di Fourier in onde sinusoidali, che rappresenta così la soluzione generale
dell’equazione delle onde in questa approssimazione, ma che rispetto al semplice
sviluppo di Fourier tiene in considerazione anche la disomogeneità del mezzo.
Tale sovrapposizione è scrivibile come somma su un indice intero n che identifica
il numero d’onda locale kn(x,t).
A questo punto, se si tiene conto della dipendenza da x e t del numero d’onda,
sfruttando l’equazione di conservazione per N(x,t), si può ricavare un’equazione
di conservazione valida per le singole componenti Nn(x,t) della densità di azione.
La sovrapposizione di componenti WKB, invece che come somma su un indice
intero, si può esprimere anche come integrale su un numero d’onda continuo k.
Le tre variabili k, x e t risultano allora indipendenti e la densità di azione si può
scrivere in termini di componenti N(k,x,t), dipendenti anche da k. Adesso, dall’equazione di conservazione valida per le componenti con indice discreto, si può
ricavare un’equazione di conservazione per le componenti N(k,x,t).
Si noti infine che la grandezza Fn(x,t) = σ · Nn(x,t), è proporzionale al quadrato
delle ampiezze delle singole componenti nello sviluppo in serie della soluzione
dell’equazione delle onde; quindi, Fn(x,t) è proporzionale all’energia media per
unità di area associata a tali componenti.
Analogamente si può dimostrare che F(k,x,t) = σ · N(k,x,t) dà la distribuzione
dell’energia media per unità di area e per intervallo di numero d’onda, rispetto
alle singole componenti con numero d’onda continuo k.
Descrizione statistica
Per come è stato posto il problema fino ad ora, fissate le condizioni iniziali
l’equazione delle onde permette di ricavare univocamente l’evoluzione successiva
dello stato del mare (almeno in assenza di interazioni). In realtà, però, è impossibile determinare in modo esatto le condizioni iniziali di un problema di questo
tipo. Allora, come si è visto anche precedentemente, è necessario ricorrere ad una
descrizione statistica del sistema.
In termini matematici, si assume quindi che la grandezza u(x,t) che descrive il
profilo del mare non sia più una funzione ordinaria, ma un processo stocastico.
Questo significa che, in ogni punto ed in ogni istante, non si hanno valori univocamente definiti dell’altezza e della fase dell’onda, ma valori casuali distribuiti
secondo una certa legge di probabilità.
Le grandezze fisiche misurabili diventano dunque valori medi, determinabili secondo tale legge.La distribuzione di probabilità diventa allora la vera incognita
del problema, trovata quella è possibile calcolare il valor medio delle grandezze
che interessano.
Prendiamo adesso in considerazione le seguenti tre categorie di processi stocastici: processo stocastico non stazionario, stazionario, stazionario ed ergodico.
Nel caso di un processo stocastico non stazionario, i valori medi di cui sopra
devono essere calcolati su un insieme statistico di possibili stati del sistema (ensamble) e, inoltre, le medie rispetto a due istanti di tempo diversi differiscono in
generale tra loro. Nel caso di un processo stocastico stazionario, invece, le medie
sull’ensamble ad istanti diversi coincidono. Infine, nel caso di un processo stazio-
149
Appunti di meteorologia marina
nario ed ergodico, oltre alla coincidenza delle medie ad istanti diversi, si ha anche
che la media sull’ensamble è equivalente alla media temporale.
Detto questo, consideriamo prima il caso di approssimazione lineare. In questa
approssimazione si assume che lo stato del mare sia stazionario, ergodico e con
una distribuzione di probabilità Gaussiana.
Nel caso di una Gaussiana il problema è risolto quando si sa calcolare la funzione di covarianza a due punti <u(x+Δx,t+Δt)u(x,t)>, dove il simbolo <…> rappresenta il valor medio calcolato sull’ensamble. Partendo da questa funzione, infatti, la distribuzione di probabilità è facilmente calcolabile.
Se il processo stocastico è stazionario, inoltre, al posto della funzione di covarianza si può considerare la sua trasformata di Fourier, detta funzione di
densità spettrale, o spettro. Un’espressione esplicita per questa funzione si può
ricavare esprimendo le onde mediante una sovrapposizione di componenti sinusoidali, come nel caso non stocastico, assumendo questa volta che i coefficienti
delle varie componenti siano variabili stocastiche.
Si trova allora che la funzione di densità spettrale è proporzionale proprio al
valor medio sull’ensamble del quadrato dei coefficienti stocastici.
In definitiva, lo spettro qui definito coincide con quello già descritto; l’unica
differenza sostanziale è che lì la media delle ampiezze delle componenti sinusoidali era calcolata su campioni statistici corrispondenti a registrazioni temporali
successive dello stato del mare, mentre qui la media è calcolata su un insieme
astratto di possibili stati del sistema. Se però le onde marine sono un sistema
ergodico, le due medie coincidono (teorema ergodico).
Quindi, nel caso dell’approssimazione lineare, si ottengono di nuovo i risultati
già visti. Si ricava allora che la funzione di densità spettrale non cambia nel tempo
e non cambiano i valori medi che si ottengono a partire da essa.
Nel caso dell’approssimazione WKB, non si può più ipotizzare che lo stato del
mare sia stazionario, ma assumendo che esso vari lentamente, rispetto al periodo
delle singole onde, si può pensare che lo sia approssimativamente. Si può inoltre
assumere, sempre in prima approssimazione, che esso sia ancora descrivibile
come un processo stocastico gaussiano.
In questo caso, molte delle considerazioni fatte per il caso lineare sono ancora
valide e la funzione di densità spettrale, come definita sopra, coincide con il valor
medio sull’ensamble di Fn(x,t). Analogamente, se si considera lo sviluppo in termini dell’indice continuo k, si trova che il valore medio sull’ensamble di F(k,x,t)
coincide con lo spettro direzionale d’energia dell’onda.
Da questo deriva che le equazioni di conservazione che valevano per F(k,x,t),
o equivalentemente per N(k,x,t), sono valide anche per le corrispondenti funzioni
di densità spettrale.
Per convenzione, si utilizzano gli stessi simboli sia nel caso deterministico che
in quello stocastico; quindi, da ora in avanti, con il simbolo F si indicherà lo spettro d’energia e con N lo spettro d’azione.
In definitiva, risolvere l’equazione di conservazione per N(k,x,t) permette di
calcolare direttamente F(k,x,t) e quindi la distribuzione di probabilità.
Vento, attriti ed interazione tra onde
Fino ad ora si è considerato solo il caso di onde libere in un mezzo eventualmente non omogeneo (in presenza di correnti e/o variazioni di profondità), ma si
sono trascurati gli effetti dovuti al vento, agli attriti e all’interazione tra le onde.
Questi effetti possono essere tenuti di conto nell’equazione di conservazione mediante uno sviluppo perturbativo, assumendo che la variazione delle ampiezze
delle onde rispetto al tempo sia proporzionale ad essi. Se si considera poi il fatto
150
III. I modelli previsionali di moto ondoso
che lo spettro d’azione è esprimibile tramite il valor medio sull’ensamble del quadrato di tali ampiezze, si ottiene infine l’equazione completa di conservazione
dello spettro d’azione, detta anche equazione di bilancio.
Questa equazione, che richiede necessariamente una risoluzione numerica mediante computer con una notevole potenza di calcolo, costituisce la base per la
costruzione dei modelli previsionali di moto ondoso di ultima generazione.
Equazione di bilancio dello spettro direzionale d’azione
L’espressione completa dell’equazione di bilancio dello spettro direzionale
d’azione è:
dove θ è la direzione di provenienza delle onde e i coefficienti cx, cy, cσ e cθ danno la velocità di variazione dello spettro rispetto alle diverse variabili.
Il primo termine a sinistra nell’equazione rappresenta la variazione dello spettro d’azione nel tempo; il secondo e terzo termine rappresentano la variazione di
tale spettro nello spazio geografico, mentre il quarto e il quinto corrispondono
alla variazione rispetto alla frequenza relativa (frequenza in assenza di correnti) e
alla direzione di propagazione.
I tre termini a secondo membro rappresentano, invece, i termini sorgente di
energia. Sin rappresenta l’input dovuto al vento, Sds il contributo dovuto alla dissipazione e, infine, Snl quello delle interazioni non lineari tra onde. Nel seguito
questi tre termini vengono descritti in dettaglio.
Vento
Come si è visto, i parametri significativi che determinano gli effetti del vento
sulle onde sono la velocità e la durata del vento ed il fetch. Si è anche visto che è
possibile ricavare dei grafici che legano questi parametri all’altezza significativa
delle onde. Questi risultati derivano dall’analisi di molti insiemi di dati sperimentali, ma hanno alla base soltanto delle relazioni empiriche che non precisano i
processi fisici implicati. La formazione delle onde da vento è il risultato dell’interazione tra acqua e atmosfera, ma questa interazione, dovuta ad un flusso di aria
turbolento su una superficie variabile nello spazio e nel tempo, è estremamente
complessa.
Il problema di costruire un modello che la descriva non è ancora completamente risolto. Le prime due teorie di una certa importanza sono relativamente recenti
(1957) e sono dovute rispettivamente a Owen Phillips e John Miles.
La teoria di Phillips si basa sugli effetti di risonanza tra le fluttuazioni di pressione, dovuti alla turbolenza del flusso di aria sulla superficie marina, e le onde.
Secondo tale teoria, queste fluttuazioni sono sufficienti ad indurre piccole perturbazioni della superficie del mare e a causare una crescita lineare rispetto al tempo
dello spettro di energia delle onde.
Questo meccanismo, però, è valido soltanto nella fase iniziale di formazione
delle onde su un mare completamente calmo e non è pertanto molto utile in casi
realistici; esistono comunque studi sperimentali che supportano la correttezza
della teoria di Phillips in tale fase iniziale.
La teoria di Miles è invece basata su meccanismi di risonanza di tipo diverso; più precisamente, prende in considerazione la risonanza tra le fluttuazioni di
pressione indotte dalle onde e le onde stesse. Tale teoria assume che sulla superficie marina esistano già onde di ampiezza piccola, ma sufficiente ad influenzare
151
Appunti di meteorologia marina
il flusso di aria sopra di esse.
Secondo Miles, il profilo variabile del mare produce delle differenze di pressione nel flusso di aria su di esso, che tendono a risucchiare le creste e a spingere le
gole delle onde, amplificandone l’ampiezza. Questo meccanismo è direttamente
proporzionale allo spettro di energia e dà luogo quindi a una crescita esponenziale dello spettro stesso con il tempo.
La teoria di Miles ha suscitato particolare interesse, ma è stata anche soggetta
a molte discussioni, sia per la mancanza di accordo con studi sperimentali che
per lacune di base della teoria stessa. In realtà, anche le varie campagne di ricerca
sperimentale, a causa della difficoltà di compiere misure su un sistema così complesso, non hanno mostrato un completo accordo tra loro.
Per esempio, l’esperimento di Dobson del 1971 mostrò che il trasferimento di
energia dal vento alle onde era di un’ordine di grandezza maggiore di quello previsto da Miles; d’altronde, successive campagne condotte da Snyder (1974, 1981)
e Hasselmann e Bösenberg (1991) hanno mostrato un accordo migliore. Infine,
una recente ricerca (2003) condotta da scienziati della Johns Hopkins University e
della University of California (Tihomir Hristov, Scott Miller e Carl Frihe) ha mostrato un buon accordo tra i dati e i risultati originali di Miles.
Oltre ai problemi nel confronto con i dati sperimentali, però, la teoria di Miles
presenta anche delle lacune di principio a causa dell’eccessiva semplificazione
del problema. Miles trascura infatti la viscosità e la turbolenza dell’aria (approccio
quasi-laminare) e non tiene conto di importanti effetti non lineari.
I tentativi per superare la teoria di Miles sono stati molti, per esempio modellizzando i flussi turbolenti mediante metodi numerici. Sulla base di questi tentativi
si è visto che i risultati di teorie che tengono in considerazione gli effetti di turbolenza a piccola scala non differiscono in modo sostanziale da quelli della teoria di
Miles e che solo le turbolenze su scala più grande influiscono significativamente
sullo sviluppo del moto ondoso.
Alla fine, poiché i risultati di Miles non differiscono molto da quelli delle teorie
con turbolenza, la sua teoria è stata per il momento accettata e in parte estesa
per includere il contributo della turbolenza a grande scala. Questa situazione non
è tuttavia completamente soddisfacente e ancora molto lavoro viene svolto per
cercare di sviluppare una teoria più completa.
Benché esistano diversi modelli che estendono la teoria originale di Miles, il
contributo che ne deriva per quanto riguarda l’equazione di bilancio è proporzionale allo spettro di energia: Sin = γ F = γ σ N.
Il parametro γ rappresenta la velocità di crescita dell’energia delle onde e la sua
forma precisa dipende dalla teoria adottata.
Dissipazione
Anche il fenomeno della dissipazione di energia nell’ambito del moto ondoso
marino è molto complesso e non ancora pienamente compreso. A tutt’oggi non
sono disponibili teorie complete che descrivano questi effetti fortemente non lineari e ci si limita a formule semi-empiriche.
Le onde possono perdere energia per vari motivi: a causa della viscosità dell’acqua, per frangimento delle onde e per attrito con il fondo. Gli effetti della viscosità, che sono gli unici compresi a fondo, sono significativi solo per onde molto
piccole (per esempio, le onde capillari). Il frangimento delle onde può avvenire
sia in acque profonde (white capping) che in acque basse per effetto dell’innalzamento (shoaling) del fondo. Infine, l’attrito con il fondo influenza soltanto le onde
in acque basse. Gli ultimi tre effetti sono molto importanti per la determinazione
dell’energia dissipata dalle onde e il termine di dissipazione nell’equazione di bi-
152
III. I modelli previsionali di moto ondoso
lancio dell’azione si può scomporre in tre contributi, Sds = Sds,wc + Sds,sh + Sds,attr .
La rottura delle onde in acque profonde dipende principalmente dalla ripidità
dell’onda e per comprenderne la dinamica sono stati fatti molti studi, sia sperimentali (Duncun, 1981; Rapp e Melville, 1990; ecc.), che teorici (Longuet-Higgins
e Cokelet, 1978; Longuet-Higgins, (1988); ecc.). Benché alcuni aspetti relativi al
frangimento della singola onda siano stati capiti, l’estensione di questi risultati al
caso di un insieme statistico di onde e, quindi, la comprensione della dissipazione
di energia in termini del suo spettro, presenta ancora molte lacune.
Esistono varie teorie approssimate per questo meccanismo, ma quella utilizzata di solito nell’ambito della recente modellistica meteo-marina è basata sul lavoro di Hasselmann (1974). Il risultato di Hasselmann è che il termine Sds,wc risulta
circa proporzionale allo spettro d’energia.
Il frangimento in acque basse, dovuto allo shoaling, è altrettanto complesso.
La comprensione di questo processo è ancora molto incompleta, ma un modello
che funziona abbastanza bene è stato messo a punto da Battjes e Janssen (1978).
Il termine di dissipazione Sds,sh che si ricava risulta anch’esso proporzionale allo
spettro d’energia.
Infine, per quanto riguarda gli effetti di attrito con il fondo, un modello abbastanza valido è stato sviluppato da Hasselmann (1973) e anche in questo caso il
termine di dissipazione Sds,attr risulta proporzionale allo spettro d’energia.
Interazione non lineare
L’interazione non lineare tra onde è un problema largamente studiato in vari
settori della fisica: stato solido, fisica quantistica dei campi e fisica dei plasmi.
Nell’ambito del moto ondoso marino, gli studi più significativi sono stati quelli di
Phillips (1960) e Hasselmann (1960, 1962, 1966, 1967, 1968).
Nell’ipotesi che le onde non siano troppo alte e ripide e che l’interazione tra
esse non sia troppo forte, Hasselmann ha osservato che lo sviluppo perturbativo
dell’energia delle onde contiene contributi dovuti sia all’interazione a tre onde e
che a quella a quattro onde, più altri contributi meno significativi.
Le interazioni a tre e quattro onde, però, sono importanti solo in condizione
di risonanza, cioè quando è soddisfatta una certa relazione tra i numeri d’onda
e tra le frequenze delle varie onde (sia la somma dei numeri d’onda che quella
delle frequenze delle onde interagenti devono essere uguali a zero). D’altronde,
a causa della relazione di dispersione, la condizione di risonanza non può essere
soddisfatta per le onde di gravità nel caso dell’interazione a tre onde.
Il risultato finale del lavoro di Hasselmann è quindi che il contributo più significativo per il termine Snl nell’equazione del bilancio è quello derivante dall’interazione a quattro onde e tale contributo può essere espresso tramite una formula
analitica con un integrale in sei dimensioni.
L’interazione non lineare risultante conserva l’energia totale delle onde, ma la
ridistribuisce all’interno dello spettro, trasferendo energia tra onde a differenti
frequenze. Più precisamente, l’interazione trasferisce l’eccesso di energia dovuta
agli effetti del vento in corrispondenza del picco dello spettro sia verso le alte che
le basse frequenze. Ad alte frequenze l’energia viene dissipata, quindi l’effetto
risultante è quello di spostare il picco dello spettro verso le basse frequenze fino
al raggiungimento dell’equilibrio. A quel punto la forma dello spettro di energia
non cambia (self-similarity).
L’integrale a sei dimensioni relativo all’interazione a quattro onde può essere
calcolato numericamente con la precisione voluta, ma richiede un tempo di calcolo molto elevato. Per questo motivo, nei modelli meteo marini di simulazione
del moto ondoso si utilizza di solito una formula semplificata. In particolare, nei
153
Appunti di meteorologia marina
modelli di terza generazione (WAM, WAVEWATCH III, SWAN) si usa la Discrete Interaction Approximation (DIA) dovuta anch’essa a Hasselmann (1981, 1985).
Si deve infine precisare che la formula dell’interazione non lineare a quattro
onde è ragionevolmente valida solo in acque profonde. In acque a profondità
intermedia di solito tale formula viene scalata mediante un fattore correttivo. In
acque basse, invece, la formula precedente non è più valida.
Il trasferimento non lineare di energia tra le onde diventa infatti più significativo e l’approssimazione di interazione debole non è più corretta. Ne deriva che
in acque basse può essere importante anche l’interazione a tre onde, per la quale
esistono alcune formule semi-empiriche utilizzate, per esempio, in modelli come
SWAN.
Modelli
I modelli di simulazione del moto ondoso adottati in anni recenti vengono definiti di terza generazione; essi risolvono numericamente l’equazione di bilancio
dello spettro direzionale d’azione, tenendo conto esplicitamente delle interazioni
non lineari e senza fare alcuna ipotesi circa la forma dello spettro d’energia, in
modo da rappresentare la fisica dell’evoluzione del moto ondoso con un maggior
numero di gradi di libertà.
Tra i principali modelli di moto ondoso allo stato dell’arte citiamo:
¿ WAM, che può essere considerato il primo modello di terza generazione, sviluppato in ambito europeo (Max Planck Meteorological Institute, Hamburg) da un
gruppo capeggiato da Hasselmann (WAMDIG 1988, Komen ed altri autori 1994);
¿ WAVEWATCH III, sviluppato negli USA presso il National Oceanic and Atmospheric Administration / National Centers Environmental Prediction (NOAA/
NCEP), con i contributi di Tolman e altri autori (Tolman 1997, 1999);
¿ SWAN, sviluppato nell’ambito dell’Università di Delft in Olanda (1999).
Scale dei modelli
I modelli numerici di moto ondoso risolvono l’equazione di bilancio su opportune griglie di punti, che costituiscono la rappresentazione discretizzata di determinate estensioni geografiche.Alcuni dei principali problemi nello sviluppo di un
sistema previsionale meteo-marino sono legati alla scelta della scala spazio-temporale più adeguata alla rappresentazione dei fenomeni e alla conseguente scelta
della risoluzione spaziale e temporale da utilizzare nei modelli. Questi aspetti
devono tener conto sia della scala dei fenomeni stessi che della fisica contenuta
nelle equazioni utilizzate.
Una distinzione che si può fare è tra modelli a larga scala e modelli a scala
medio-piccola. Per esempio, mentre WAM e WAVEWATCH III sono modelli a larga
scala, SWAN è indirizzato in modo particolare allo studio del moto ondoso a scala
medio-piccola, in acque basse ed aree costiere.
I modelli a larga scala sono troppo dispendiosi dal punto di vista delle risorse
di calcolo per poter essere utilizzati ad alte risoluzioni.
Tuttavia, anche se ciò fosse possibile, la fisica contenuta nelle loro equazioni
potrebbe non tener conto di forti variazioni del campo di moto ondoso su scale
piccole e si otterrebbe solo una descrizione approssimata e mediata della situazione reale.
Tipiche applicazioni dei modelli a larga scala possono essere il calcolo del moto
ondoso oceanico, quello dell’intero Mediterraneo o quello del Tirreno.
154
III. I modelli previsionali di moto ondoso
WAM
Il modello WAM è stato il primo modello di terza generazione. Gli studi che hanno
portato alla sua realizzazione sono iniziati ad Amburgo nella primavera del 1984 su
iniziativa di Klaus Hasselmann. Il gruppo di scienziati europei che lo ha sviluppato prese
il nome di WAM (dall’inglese WAve Modelling).
La necessità di un nuovo tipo di modello fu messa in evidenza da una prova comparativa di una decina modelli esistenti, che mostrarono rilevanti discrepanze nello studio di
alcuni casi test. Inoltre, l’accresciuta potenza di calcolo dei moderni computer permetteva un approccio più completo alla risoluzione dell’equazione del bilancio.
Infine, lo sviluppo dei metodi di rilevazione satellitare del moto ondoso permetteva
l’uso di tali dati per la validazione dei modelli stessi. Il lavoro del gruppo WAM si concluse fondamentalmente nel 1994, con la pubblicazione di un resoconto sullo studio fatto
ad opera di G. J. Komen ed altri autori, anche se il modello WAM è stato successivamente
aggiornato.
Il modello WAM risolve numericamente l’equazione completa di bilancio dell’azione
spettrale, compreso il termine di interazione non lineare tra onde, sia nel dominio spaziale che in quello delle frequenze e delle direzioni di propagazione. Il modello, però,
non tiene conto degli aspetti tipici delle onde in acque basse e quindi non funziona bene
quando le onde subiscono rapidi processi di trasformazione ad opera dei fondali.
Il modello WAM è attualmente utilizzato in molti centri meteorologici ed oceanografici, tra cui, per esempio, l’European Centre for Medium-Range Weather Forecasts
(ECMWF).
WAVEWATCH III
Il modello WAVEWATCH III (Tolman 1997, 1999) è un modello di terza generazione, come WAM, che risolve l’equazione completa di bilancio. Il WAVEWATCH III è stato
sviluppato negli USA presso il NOAA/NCEP e rappresenta uno sviluppo successivo del
modello WAVEWATCH I, sviluppato alla Delft University of Technology (Tolman 1989,
1991) e del modello WAVEWATCH II, sviluppato alla NASA (Tolman 1992). WAVEWATCH
III differisce però dai suoi predecessori in alcuni aspetti come le equazioni di base, la
struttura, i metodi numerici e le parametrizzazioni.
Analogamente al modello WAM, WAVEWATCH III utilizza una parametrizzazione dei
processi fisici che non comprende gli aspetti tipici delle onde in acque basse. WAVEWATCH III ha quindi un campo di applicazione relativo ad aree esterne alla surf zone, con
una risoluzione spaziale tra 1 km e 10 km.
Il modello WAVEWATCH III è attualmente utilizzato, per esempio, presso il Laboratorio
di Meteorologia e Modellistica Ambientale (LaMMA) di Firenze ed il Centro di Meteorologia Marina e Monitoraggio Ambientale del Mediterraneo (CoMMA-Med) di Livorno (www.
lammamed.rete.toscana.it).
SWAN
Il modello SWAN (dall’inglese Simulating WAves Nearshore) è stato sviluppato presso
la Faculty of Civil Engineering and Geosciences della Delft University of Technology, in
Olanda, da M. Zijlema e N. Booij. SWAN è stato specificatamente sviluppato per la simulazione del moto ondoso in prossimità delle aree costiere (acque basse e presenza di
correnti).
Questo modello si basa sulle stesse formulazioni di WAM, pertanto l’equazione di
base è sempre quella di bilancio, ma implementa ulteriori effetti caratteristici delle zone
con bassi fondali ed utilizza tecniche numeriche più adatte per griglie ad alta risoluzione.
In particolare, rispetto a WAM e WAVEWATCH III, SWAN tiene conto sia del frangimento indotto dal fondo che delle interazioni non lineari a tre onde. Il modello SWAN
può comunque essere innestato negli altri due modelli. Il modello SWAN è attualmente
utilizzato, per esempio, presso i centri regionali toscani di meteorologia LaMMA e CoMMA-Med.
155
Appunti di meteorologia marina
I modelli a scala medio-piccola permettono invece di studiare aree con estensione limitata, tenendo conto della variabilità locale dei fenomeni e della geometria dettagliata della zona. Inoltre, le equazioni dei modelli a scala medio-piccola,
come SWAN, contengono termini che descrivono la fisica di fenomeni caratteristici
di acque basse. Le applicazioni dei modelli a medio-piccola scala possono riguardare golfi o aree costiere.
Sia i modelli a larga scala che quelli a scala medio-piccola richiedono come dati
in ingresso i dati di vento, le condizioni iniziali e le condizioni al contorno relative
all’area di calcolo che si è scelta. Se le aree sono molto vaste, i limiti dovuti alla potenza di calcolo a disposizione impediscono di raggiungere elevate risoluzioni.
In questo caso si adotta di solito una tecnica di innestamento (in inglese nesting): si calcola prima la soluzione delle equazioni su tutta l’area di partenza, ma
a bassa risoluzione, poi si utilizzano i dati ottenuti come condizioni al contorno
per aree ridotte sulle quali si esegue il calcolo a risoluzione più alta.
In particolare, dato che i modelli per acque basse e a scala medio-piccola non
sono di solito adatti per le applicazioni a larga scala, generalmente si utilizzano i
dati in uscita dei modelli a larga scala per fornire le condizioni al contorno relative, per esempio, ad aree costiere (figura 106).
Figura 106 - Scale di applicazione dei modelli di moto ondoso e nesting.
La catena previsionale
Nella modellistica meteo-marina le informazioni relative al vento giocano un
ruolo preponderante nella determinazione del moto ondoso e l’estrema sensibilità delle variabili descrittive dello stato del mare alle variazioni del vento ha forti
implicazioni soprattutto a livello previsionale.
La rappresentazione del vento in prossimità della superficie del mare appare
spesso carente nei modelli atmosferici e questo finisce per incidere in modo pesante negli attuali sistemi operativi di previsione numerica dello stato del mare. I
modelli di moto ondoso, infatti, utilizzano in ingresso i valori di vento ottenuti dai
modelli atmosferici. È quindi chiaro che i risultati delle previsioni di moto ondoso
dipendono fortemente da quanto tali valori sono corretti. La catena operativa per
la previsione del moto ondoso può essere riassunta nel modo seguente (figura
107):
156
III. I modelli previsionali di moto ondoso
Figura 107 - Catena previsionale.
1. I dati meteorologici prodotti da modelli a scala globale, in centri internazionali come l’European Centre for Medium-Range Weather Forecasts (UK) o il
National Centers for Environmental Prediction (USA), vengono utilizzati per l’inizializzazione di un modello meteorologico, per esempio il modello RAMS (Regional Atmospheric Modeling System), sviluppato presso la Colorado State University
(USA) e configurato per lavorare sia alla mesoscala che a scale inferiori.
2. I dati previsionali di vento vengono utilizzati come forzanti fisiche nei modelli di moto ondoso a grande, media e piccola scala.
3. I modelli di moto ondoso forniscono in uscita dati di altezza significativa,
periodo e direzione d’onda (figura 108).
Figura 108 - Altezza significativa e direzione media delle onde.
157
APPUNTI DI
METEOROLOGIA MARINA
IV. Perturbazioni ed eventi
meteo-marini estremi
IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi
Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi
Per eventi estremi si intendono gli eventi meteorologici che divergono fortemente dalla media. Questi eventi per la loro violenza ed il loro carattere improvviso causano danni ingenti a oggetti e persone e suscitano da sempre l’attenzione sia dei meteorologi che della popolazione. Per moltissimi anni l’uomo non è
riuscito a spiegare scientificamente questi fenomeni, perciò nei tempi più antichi
venivano attribuiti a cause misteriose o a ‘punizioni degli dei’.
Attualmente lo sviluppo di sofisticate tecnologie e metodi di indagine, ha reso
possibile studiare in dettaglio questi eventi e prevedere la loro nascita ed evoluzione.
Cicloni tropicali
Sono delle perturbazioni accompagnate da venti rotazionali ed ascensionali di
forte intensità (> 120 km h-1), che si generano solitamente in una fascia compresa
tra 5° e 15° di latitudine Nord e Sud sugli oceani tropicali.
Un altro termine comunemente utilizzato nell’Atlantico del Nord e nei Caraibi
per indicare questo tipo di perturbazione è quello di uragano, che deriva probabilmente dalla parola caraibica uracan (=grande vento). L’uragano infatti è classificato con il grado 12 nella scala di Beaufort della forza del vento (tabella 5), per
cui è uno tra gli eventi meteorologici (insieme ai tornado) caratterizzato dai venti
di maggiore intensità.
Altri termini come tifone (Estremo Oriente e Pacifico) e willy willy (Australia)
sono utilizzati per indicare questo tipo di fenomeno.
I cicloni tropicali hanno origine da un’area di bassa pressione situata sopra la
superficie marina che si forma in seguito alla rapida ascesa di una massa d’aria
calda ed umida. Questa depressione
richiama venti molto intensi dalle
zone circostanti che possono assumere un moto vorticoso e ruotare
intorno ad un’area centrale di bassa
pressione di 20-30 km di diametro
(denominata ‘occhio’ del ciclone),
dove i fenomeni risultano generalmente assenti o molto attenuati e la
nuvolosità scarsa (figura 109). Attorno all’‘occhio’ si osserva una formazione nuvolosa cilindrica e compatta, denominata ‘vortice’, costituita
essenzialmente da un ammasso di
cumulonembi. Questa zona è dotata
di moto vorticoso ed è caratterizzata
da venti di straordinaria violenza e
da piogge torrenziali.
È possibile distinguere anche una
terza zona periferica (detta margine)
dominata da cirri e cirrostrati dove i
Figura 109 - Rappresentazione di un ciclone
venti sono deboli ed il caldo oppritropicale visto in sezione (immagine superiore) mente.
ed in pianta (immagine inferiore).
161
Appunti di meteorologia marina
I fattori necessari a provocare lo sviluppo di queste perturbazioni sono la temperatura elevata del mare (sopra i 26°C) e l’assenza di vento (calme equatoriali);
queste condizioni, tipiche dei mari tropicali, favoriscono la formazione e l’ascesa
di masse di aria calda ed umida.
I movimenti ascensionali provocano il raffreddamento delle masse d’aria
e l’umidità presente, raggiunto il punto di rugiada, condensa liberando grandi
quantità di calore latente di condensazione e dando origine a cumulonembi e intense precipitazioni. Le masse d’aria ascendenti assumono un moto vorticoso per
effetto principalmente della forza apparente di Coriolis e la velocità di rotazione
aumenta avvicinandosi al centro del vortice dove la pressione raggiunge i valori
minimi. Il movimento vorticoso attorno all’occhio del ciclone avviene in senso
antiorario nell’emisfero boreale ed orario in quello australe.
Innescata la rotazione subentrano altre forze, quali quella di gradiente (causata
dalla differenza di pressione tra la periferia ed il centro del vortice) e quella centrifuga, che contribuiscono allo sviluppo della perturbazione di durata generalmente compresa tra le 12 e le 60-72 ore.
Durante questa fase di sviluppo la pressione al centro del vortice è in continua
diminuzione, mentre i venti non raggiungono ancora le massime velocità.
Quando il vortice ha quasi raggiunto il suo completo sviluppo la pressione
crolla ed i venti possono superare la velocità di 200 km h-1. Raggiunta la fase di
‘maturità’ la pressione cessa di diminuire, mentre contemporaneamente aumenta
l’area interessata da piogge e venti di
forte intensità che può raggiungere anche un raggio di 380 km.
L’intensità dei cicloni tropicali diminuisce quando spostandosi sulla terraferma non ricevono più l’apporto di aria
calda ed umida dal mare, oppure quando spostandosi verso maggiori latitudini incontrano acque marine più fredde.
Queste condizioni provocano un indebolimento del ciclone tropicale che
si trasforma in una tempesta tropicale
(con venti di 60-120 km h-1) o in una depressione tropicale (con venti inferiori
ai 60 km h-1) e, infine, in una semplice
perturbazione extratropicale che talvolta può raggiungere anche l’Atlantico
europeo.
I cicloni tropicali possono essere classificati in base alla velocità media del
vento, all’altezza raggiunta dalle storm
surges e all’entità dei danni stimati
utilizzando la scala di Saffir-Simpson;
questa scala è suddivisa nelle seguenti
cinque categorie (figura 110):
¿ debole
¿ moderato
Figura 110 - Rappresentazione grafica della
¿ forte
scala di Saffir-Simpson per la valutazione
dell’intensità dei cicloni tropicali. Fonte:
¿ molto forte
Coastal Engineering Manual, U.S. Army
¿ catastrofico.
Corps of Engineers.
162
IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi
I cicloni tropicali appartenenti alla categoria 5 risultano devastanti e provocano
danni ingenti a oggetti e persone, sebbene fortunatamente si verifichino con una
frequenza molto bassa; ad esempio, negli Stati Uniti tra il 1899 ed il 1980 sono
stati registrati 138 uragani, di cui 82 appartenenti alle categorie 1 e 2, 54 alle
categorie 3 e 4 e soltanto 2 alla categoria 5.
Questi ultimi due uragani hanno colpito gli Stati Uniti rispettivamente il 2 settembre del 1935 in Florida ed il 17 agosto del 1969 sulle coste della Lousiana e
del Missisippi (uragano Camille).
Il ciclone che, a memoria d’uomo, ha causato il maggior numero di vittime
è quello che ha colpito il Bangladesh nel 1970, provocando la morte di circa
500.000 persone. In questo ed in altri casi simili la principale causa di incidenti
mortali e di danni in genere non è stata il forte vento, ma piuttosto l’intenso moto
ondoso ed il rapido innalzamento del livello del mare che ha determinato l’inondazione di vaste aree.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento della frequenza di uragani
particolarmente violenti, in parte attribuito ai cambiamenti climatici in atto.
Cicloni extratropicali
Si formano alle medie latitudini, dove avviene la convergenza di aria fredda
proveniente dai Poli (N-E) ed aria calda proveniente dai Tropici (S-O). Nella fase
iniziale le due masse d’aria con proprietà fisiche differenti non si mescolano tra di
loro ma rimangono separate da una zona di transizione o di discontinuità indicata
come superficie frontale, mentre la sua proiezione al suolo prende il nome di
fronte.
Si parla in genere di fronte caldo quando una massa d’aria calda ne raggiunge una di aria fredda e di fronte
freddo quando è la massa d’aria
fredda che avanzando ne raggiunge una di aria calda (figura 111).
Nel primo caso l’aria calda con
densità minore tende a scorrere
sopra l’aria fredda più pesante;
nel secondo caso invece è l’aria
fredda più pesante che si incunea
sotto la massa d’aria calda e la
solleva bruscamente verso l’alto.
In entrambi i casi le masse
d’aria calda ed umida sollevandosi si raffreddano e, una volta raggiunto il punto di rugiada, danno
luogo a nubi e precipitazioni.
Tuttavia, la tipologia di nubi e
precipitazioni che originano è differente: nel caso del fronte caldo,
la massa d’aria calda scorrendo
gradualmente sopra quella di aria
fredda origina nubi di tipo stratiFigura 111 - Rappresentazione schematica dei
forme (a sviluppo orizzontale) e le
fronti freddi e caldi e delle formazioni nuvolose a
precipitazioni avvengono princicui danno origine.
163
Appunti di meteorologia marina
palmente sotto forma di pioggia fine e continua che, in alcuni casi, evapora prima
di giungere a terra (figura 111); nel caso del fronte freddo, il brusco sollevamento
della massa d’aria calda origina generalmente formazioni nuvolose di tipo cumuliforme (a sviluppo verticale) e le precipitazioni avvengono principalmente sotto
forma di violenti rovesci e temporali. Per facilitare la lettura delle carte meteorologiche e per consentire il riconoscimento delle perturbazioni in atto, in figura 112
sono riportati i simboli con cui vengono generalmente rappresentati i fronti.
Nel caso in cui le masse d’aria polari e tropicali non presentino forti differenze
in velocità e/o proprietà fisiche, il fronte polare che si origina dal loro incontro
tende a mostrare ondulazioni regolari e continue (fronte stazionario) e non dà
luogo ad alcun fenomeno di rilievo (figura 113).
Figura 112 - Simbologia con cui vengono
rappresentati i fronti sulle carte
meteorologiche.
Figura 113 - Ondulazioni
del fronte polare.
Al contrario, nel caso in cui le due masse d’aria che si fronteggiano siano caratterizzate da velocità e/o caratteristiche fisiche molto differenti, le ondulazioni del
fronte polare si accentuano ed originano una successione di fronti caldi e freddi
che si spostano da Ovest verso Est sotto la spinta dei venti occidentali e che possono evolvere originando i cosiddetti cicloni extratropicali (figura 114).
Il fronte freddo si sposta più rapidamente rispetto a quello caldo, per cui tende
a raggiungerlo provocando il sollevamento in quota dell’aria calda presente tra i
due fronti (settore caldo). I moti ascensionali generano una zona di bassa pressione verso la quale converge l’aria con moto antiorario per azione della forza
apparente di Coriolis. In seguito a questo fenomeno le masse d’aria iniziano a
ruotare velocemente attorno al centro di bassa pressione, il quale richiama anche
aria esterna generando forti venti. Dopo circa 24 ore il fronte freddo raggiunge
quello caldo, per cui le due masse d’aria si mescolano tra loro dando luogo ad un
fronte occluso e la perturbazione tende gradualmente ad esaurirsi.
A seconda che l’aria fredda in avanzamento (sulla sinistra di figura) risulti più
o meno fredda di quella che retrocede (sulla destra di figura), si parlerà rispettivamente di occlusione fredda o calda. In corrispondenza dell’occlusione si verifica
una sovrapposizione delle nubi e delle precipitazioni associate ai fronti.
Con l’avanzare dell’occlusione le nubi stratiformi che caratterizzano il fronte
caldo si dissolvono, mentre il sollevamento forzato dell’aria meno fredda da parte
del cuneo di aria più fredda che avanza provoca la formazione di cumulonembi.
I cicloni extratropicali presentano una estensione maggiore rispetto a quelli
tropicali (raggiungendo un raggio di circa 3000 km) e, anche se generalmente
sono meno pericolosi, possono creare danni ingenti a cose e persone.
164
IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi
Figura 114 - Evoluzione di un ciclone extratropicale. Lo scontro tra il fronte caldo e quello
freddo origina un fronte occluso che ruota attorno ad un centro di bassa pressione (B). A
sinistra: la rappresentazione del fenomeno visto in sezione, a destra: la simbologia con cui
viene rappresentata l’evoluzione di un ciclone extratropicale sulle carte meteorologiche.
Burrasche e tempeste
Hanno origine ed effetti simili ai cicloni, e sono classificate rispettivamente ai
gradi 8-9 (burrasche e burrasche forti) e 10-11 (tempeste e tempeste violente o
fortunali) della scala Beaufort della forza del vento (tabella 5).
Tuttavia, data la loro imprevedibilità e violenza, possono causare danni notevoli a oggetti e persone che si trovano in mare o sulle coste. Il più temibile tra
questi eventi è la ‘tempesta catastrofica’ che ha origine in seguito alla formazione
di una piccola depressione vicino alla zona costiera. Questa zona di bassa pressione richiama aria da zone anticicloniche circostanti, con un aumento improvviso
del vento e delle precipitazioni che possono raggiungere un’elevata intensità. Le
tempeste, per il loro carattere improvviso, possono causare danni ingenti ancora
prima che i servizi meteorologici abbiano potuto segnalarne il pericolo.
Tra le tempeste catastrofiche del XX secolo quella del 6 luglio 1969 ha determinato la morte di tredici diportisti, mentre quella del 7 giugno del 1987 ha visto la
scomparsa di quattro velisti nel bacino di Arcachon, nel Sud-Ovest della Bretagna.
In questi ed in altri casi simili, le tempeste hanno avuto origine in seguito alla
165
Appunti di meteorologia marina
formazione improvvisa di una piccola depressione durante il periodo estivo che
ha prodotto una linea di groppi violenti (fronti freddi in rapido spostamento) che
si sono abbattuti sulla costa senza alcun preavviso. Tra le tempeste catastrofiche
invernali più recenti, quelle del 3 febbraio 1990 e del 26-27 dicembre 1999 sono
state definite le ‘tempeste del secolo’ ed hanno investito gran parte delle coste
dell’Europa nord-occidentale raggiungendo valori record di intensità del vento e
causando ingenti danni anche nell’interno. In particolare, le tempeste di dicembre 1999 sono state causate dalla contrapposizione di una depressione islandese
molto profonda (955 hPa) e dell’anticiclone delle Azzorre (1030 hPa).
Nonostante la loro imprevedibilità vi sono dei segnali premonitori associati al
fenomeno che possono segnalare il potenziale pericolo, sebbene non consentano di valutarne l’intensità. Tra questi segnali di avvertimento assume particolare
importanza il cambiamento della pressione barometrica, sebbene anche le variazioni improvvise dei venti, delle temperature, dell’umidità e delle formazioni
nuvolose possano fornire utili indicazioni.
Una brusca variazione della pressione barometrica costituisce sempre un segnale di allarme, sia che si tratti di una diminuzione che di un aumento. Ad esempio, una rapida diminuzione della pressione con una tendenza superiore a 5 hPa
in tre ore indica l’improvvisa formazione di un centro depressionario e, quindi,
segnala l’avvicinarsi del fronte caldo della perturbazione, mentre la brusca risalita
del barometro indica l’arrivo dell’aria fredda posteriore. Nel caso di una perturbazione che si dirige da Ovest verso Est, la diminuzione della pressione è associata
a venti intensi da Sud-Est che indicano come il centro depressionario sia ancora
lontano e come la sua pressione sia molto bassa. All’arrivo della perturbazione
il vento girerà in senso orario fino a soffiare da Sud-Ovest e, una volta passata la
perturbazione, da Nord e, infine, da Nord-Est.
Figura 115 - Esempio di carta sinottica dell’Oceano Pacifico settentrionale con indicati i
centri di bassa (L) e alta pressione (H) ed i fronti caldi, freddi ed occlusi.
Fonte: CoastalEngineering Manual, U.S. Army Corps of Engineers.
166
IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi
Anche il moto ondoso subirà lo stesso cambiamento di direzione descritto per
il vento. Il passaggio della perturbazione è associato anche a variazioni termoigrometriche, poiché l’arrivo dei fronti caldi e freddi determina brusche variazioni
di temperatura ed umidità.
Dall’osservazione dei parametri meteorologici è possibile quindi ricavare informazioni sulla posizione del centro di bassa pressione, sulla sua direzione e sulla
velocità di spostamento stimata.
È importante considerare anche che il fronte freddo è generalmente più temibile del fronte caldo. Un ultimo accorgimento è relativo all’osservazione del cielo,
poiché l’arrivo di una perturbazione può essere annunciato dalla formazione di
cirri ad alta quota che occupano una porzione sempre maggiore di cielo, seguiti
da un velo di cirrostrati e, in seguito, di altostrati.
A queste formazioni nuvolose, che costituiscono la ‘testa’ della perturbazione,
fanno seguito formazioni nuvolose stratiformi e, infine, una linea di groppi costituiti da cumuli congesti e cumulonembi che possono dare luogo a violenti rovesci
a carattere temporalesco e a venti molto intensi.
Temporali di mare
Sono un fenomeno meno frequente rispetto a quelli di terra, ma per la loro
imprevedibilità e violenza possono costituire un serio pericolo per i natanti. Una
cellula temporalesca in mare può causare raffiche di vento anche superiori ai 40
nodi, oltre che pioggia intensa, fulmini e onde corte e ripide che rendono difficoltosa la navigazione.
I temporali si originano in genere in seguito alla formazione di grandi bolle
d’aria calde ed umide (le termiche) che tendono a salire in quota trascinando con
loro l’umidità. Le masse d’aria salendo si raffreddano e, giunte ad una certa altezza, il vapore acqueo in esse presenti condensa generando un semplice cumulo.
Il processo di condensazione determina la liberazione di una grande quantità di
calore (il calore latente di condensazione) che alimenta ulteriormente l’ascesa del
cumulo.
In presenza di determinate condizioni atmosferiche il processo continua a ripetersi fin quando il cumulonembo raggiunge il limite superiore della troposfera
(circa 10-12 km di altitudine), ove i valori di temperatura sono talmente bassi (circa -60°C) da impedire l’ulteriore ascesa della massa d’aria.
I cumulonembi temporaleschi possono formarsi anche lungo le superfici frontali (specialmente in corrispondenza dei fronti freddi) in seguito al brusco sollevamento delle masse d’aria calde ed umide. La formazione del cumulonembo
temporalesco è associata a venti anche di forte intensità (figura 116), provocati
dai moti di salita (updraft) e discesa (downdraft) dell’aria all’interno del sistema
nuvoloso.
Il primo vento che viene avvertito è in direzione della nuvola (a circa 10-12 km
di distanza) ed è causato dai cosiddetti venti d’aspirazione o correnti ascensionali, ovverosia quei venti che si generano in seguito alla depressione prodotta
dall’ascesa delle masse d’aria e che rispetto al temporale si trovano in posizione
avanzata. Avvicinandosi alle nuvole temporalesche il vento tende prima ad arrestarsi e successivamente, giunti a pochi chilometri di distanza, ad invertire la sua
direzione dirigendosi verso di noi.
Queste correnti discendenti derivano dall’apice del cumulonembo, per cui
sono più intense e fredde dei venti di aspirazione, raggiungendo velocità superiori
167
Appunti di meteorologia marina
anche a 80 km h-1 e temperature di circa 5-10 °C inferiori rispetto all’aria presente
in superficie. In concomitanza ai venti discendenti si verificano anche le precipitazioni che possono essere di forte intensità. I venti discendenti giungendo a terra
si aprono a ventaglio, per cui quando il temporale è passato la direzione del vento
si inverte nuovamente. Un cumulonembo presenta dimensioni di circa 20-30 km
ed è generalmente composto da più celle temporalesche attive, ciascuna caratterizzata da una vita media di circa 45 minuti ed un ritmo di rigenerazione di circa
15 minuti. Le singole celle temporalesche possono interagire tra loro e dare luogo
a quelli che in gergo vengono indicati come temporali multicellulari. In alcuni
casi i temporali multicellulari possono evolvere dando origine ad una supercella,
caratterizzata da un’unica formazione temporalesca attiva molto intensa e dotata
di moto rotatorio proprio (il mesociclone) che risulta in parte svincolato dalla
circolazione generale dell’atmosfera.
Solitamente i temporali a supercella sono i più pericolosi, poiché generano intense precipitazioni (spesso sotto forma di grandine) e, in alcuni casi, i tornado.
Nella fase di dissolvimento del temporale, le correnti discendenti occupano
tutta la cella temporalesca e la loro velocità non supera generalmente i 30 km h-1.
Inoltre, poiché in questa fase le correnti ascensionali sono assenti, la parte superiore del cumulonembo tende ad espandersi lateralmente e ad assumere la tipica
forma ad “incudine”.
Figura 116 - I venti associati al temporale rispetto alla sua direzione di spostamento.
Le frecce indicano i venti di aspirazione (o correnti ascensionali) ed i venti
discendenti dal cumulonembo.
Quando ci troviamo in mare è fondamentale conoscere la distanza e la direzione del temporale, poiché nella parte anteriore del cumulonembo i venti
discendenti possono raggiungere intensità fortissime ed aumentare improvvisamente (gust front o ‘fronte delle raffiche’) rappresentando un serio pericolo per i
natanti. Se si vuole stabilire la distanza dal temporale, oltre a notare la direzione
dei venti (figura 116), è possibile contare i secondi che intercorrono fra la comparsa del fulmine ed il momento in cui udiamo il tuono, sapendo che il suono
percorre circa 300 metri al secondo (figura 117); ad esempio, se udiamo il tuono
dopo circa 3 secondi la comparsa del fulmine, significa che il temporale è situato
a poco meno di 1000 metri da noi. Sebbene il pericolo di scariche elettriche in
mare sia estremamente raro, è bene che le imbarcazioni prive di parafulmini in te-
168
IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi
sta all’albero siano dotate almeno di un collegamento metallico tra l’attrezzatura
di bordo (albero, ecc.) ed il mare, in modo da consentire al fulmine di trovare una
via di resistenza minore per scaricarsi in acqua.
Figura 117 - Stima della distanza del temporale in base al tempo trascorso tra la
comparsa del flash luminoso ed il momento in cui udiamo il tuono.
Tornado e trombe marine
Sono eventi meteorologici simili che interessano rispettivamente la terraferma
ed il mare. Questi eventi rappresentano senz’altro i fenomeni atmosferici più incredibili e distruttivi noti all’uomo, poiché sono in grado di generare i più forti
venti osservabili in natura.
In alcuni tornado la velocità del vento può superare anche i 500 km h-1, mentre
le correnti ascensionali toccano anche i 300 km h-1 e possono sollevare da terra
oggetti anche molto pesanti. I più forti tornado sono stati registrati nelle pianure
centrali degli Stati Uniti ma possono verificarsi anche sulla nostra Pianura Padana,
sebbene con minore intensità rispetto a quelli osservati oltreoceano.
I tornado (da noi chiamati ‘trombe d’aria’) si formano generalmente in corrispondenza delle correnti ascensionali (updraft) dei temporali, formate da aria
calda ed umida. In determinate condizioni queste correnti possono muoversi in
maniera vorticosa ed assumere la forma di un ‘imbuto’ che, raggiunto il suolo,
diventa un tornado con venti che soffiano a velocità vicine ai 500 km h-1.
Essendo il tornado localizzato sul bordo delle correnti ascensionali dei temporali, e quindi vicino alle correnti discendenti contenenti pioggia o grandine,
un rovescio violento o una grandinata possono talvolta annunciare l’arrivo di un
tornado. Gli scienziati non hanno ancora chiarito quali siano esattamente le condizioni necessarie affinché le updrafts diano luogo ad un tornado, sebbene sia stato
osservato come la maggioranza dei tornado abbia origine da temporali a supercella. Al centro del vortice del tornado la pressione raggiunge valori molto bassi,
per cui tra il centro e la periferia del vortice si genera un gradiente barico molto
elevato (anche superiore ai 20-30 hPa) che tende a richiamare aria dalla periferia
e a farla ruotare attorno al centro di bassa pressione.
Le correnti ascensionali creano una zona di bassa pressione in superficie che
169
Appunti di meteorologia marina
richiama altra aria dalle zone circostanti. Anche questo vento convergente superficiale può raggiungere un’elevata intensità e creare notevoli danni a oggetti e
persone.
Quando il vento comincia a ruotare velocemente solleva materiale presente al
suolo che conferisce al tornado una colorazione scura (figura 118), perciò la colorazione assunta dal tornado dipenderà dal tipo e dalla dimensione del materiale
sollevato dal vortice. Un tornado singolo può durare da pochi secondi fino ad oltre
un’ora, sebbene la durata tipica sia di cinque minuti. L’intensità dei tornado può
essere valutata in base alla scala elaborata dal meteorologo giapponese Theodore Fujita e perciò indicata come Fujita-scale (o più semplicemente F-scale,
tabella 9).
Grado F
Velocità del vento
Tipologia di danni
F0
fino a 115 Km/h
danni leggeri
F1
116-179 Km/h
danni moderati
F2
180-251 Km/h
danni considerevoli
F3
252-330 Km/h
danni severi
F4
331-416 Km/h
danni devastanti
F5
sopra 417 Km/h
danni incredibili
Tabella 9 - Scala di Fujita dell’intensità dei tornado.
Quando il tornado ha origine sulla superficie del mare viene indicato con il
nome di tromba marina. Il meccanismo di formazione di una tromba marina è
simile a quello descritto per il tornado, sebbene talvolta sia sufficiente un cumulo
congesto perché abbia origine.
Sulla superficie del mare si formano facilmente masse d’aria calde ed umide, in
particolare durante il periodo estivo-autunnale, che possono sollevarsi in quota al
di sotto di formazioni nuvolose cumuliformi ed assumere un moto vorticoso per
azione della forza apparente di Coriolis avvertibile anche su moti a piccola scala.
Questo fenomeno è favorito dalla totale assenza di corrugamenti ed ostacoli sulla
superficie del mare, perciò le trombe marine si formano più facilmente e si esauriscono più lentamente rispetto ai tornado.
Figura 118 - Immagini di tornado. Fonte: International Cloud Atlas del WMO.
170
IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi
Tuttavia, la potenza che esse possono raggiungere è inferiore rispetto ai tornado (sebbene i venti rotanti possano sfiorare i 250 km h-1), poiché sulla superficie
marina le differenze di temperatura e pressione sono minori rispetto a quelle
osservate sulla terraferma. Il moto vorticoso provoca il sollevamento di goccioline
d’acqua dalla superficie marina.
Le trombe marine, avendo una minore potenza ed essendo costituite da aria
più umida rispetto ai tornado, possono originare vortici anche sottilissimi e con
condensazione ben evidente (figura 119). Nel momento in cui una tromba marina
raggiunge la costa e tocca il suolo viene classificata per convenzione come tornado.
Le trombe marine possono rappresentare un serio pericolo per le imbarcazioni
che si trovano in mare, poiché possono svilupparsi inaspettatamente e in un contesto di calma di vento. In queste condizioni l’unico vento di rilievo è quello che si
dirige verso la base della tromba marina, perciò risulta difficile per chi si trova in
mare riuscire a sfuggire alla meteora.
Figura 119 - Tromba marina. Fonte: International Cloud Atlas del WMO.
Tsunami
Sono costituiti da una serie di onde molto lunghe che dopo aver percorso anche
distanze notevoli si abbattono sulle coste distruggendo tutto ciò che incontrano
sul loro cammino. Il termine tsunami è di origine giapponese e può essere tradotto letteralmente come ‘onda del porto’.
In Italia gli tsunami sono più comunemente conosciuti con il termine di maremoti, anche se oramai il termine tsunami sta assumendo una diffusione sempre
maggiore anche nel nostro Paese. I termini onda anomala e onda di marea, con
cui talvolta gli tsunami sono indicati, sono invece usati impropriamente, dato che
si riferiscono a fenomeni fisici di altro tipo.
Lo tsunami ha origine in mare aperto in seguito principalmente a terremoti,
eruzioni o smottamenti sottomarini. Si forma così un’onda molto lunga (dell’ordine di centinaia di chilometri) e bassa (dell’ordine di decine di centimetri), che
quindi è praticamente impercettibile in mare aperto.
171
Appunti di meteorologia marina
A causa della sua enorme lunghezza, inoltre, lo tsunami presenta le caratteristiche tipiche delle onde in acque basse, per cui la sua velocità è determinata
dalla radice quadrata del prodotto tra l’accelerazione di gravità e la profondità
del mare. Di conseguenza gli tsunami in pieno oceano viaggiano a velocità molto
elevate; per esempio in acque profonde 4000 m la velocità dell’onda è di circa 200
m/s (oltre 700 km/h). Approssimandosi alla costa le onde rallentano a causa della
diminuzione di profondità ed aumentano progressivamente in altezza in seguito
al fenomeno dello shoaling (figura 120). Questo fenomeno provoca la formazione
di un vero e proprio muro d’acqua che si riversa sulla costa spingendosi verso
l’entroterra, con effetti devastanti su tutto ciò che incontra lungo il suo cammino.
La massima altezza verticale raggiunta dall’acqua rispetto al livello medio del
mare viene indicata con il termine inglese run-up. Il run-up viene generalmente
espresso in metri al di sopra del livello medio marino e può variare in maniera
sensibile in funzione della conformazione della costa e della tipologia dei fondali. Nel caso di alcuni tsunami, si sono osservati valori di run-up dell’ordine della
trentina di metri.
Figura 120 - Rappresentazione schematica dello sviluppo di uno tsumani.
Gli tsunami hanno origine dal rapido spostamento verticale di grandi masse
d’acqua in seguito al movimento del fondale marino o all’ingresso in mare di voluminose quantità di materiale di varia origine.
Le principali cause degli tsunami sono:
¿ terremoti
¿ eruzioni vulcaniche
¿ frane
¿ esplosioni sottomarine
¿ impatto di meteoriti.
I terremoti con epicentro in mare o in aree prossime alla costa costituiscono la
principale causa di formazione di tsunami, poiché provocano spostamenti considerevoli del fondale marino. L’altezza raggiunta dalle onde e gli effetti provocati
dallo tsunami sono generalmente associati all’intensità del terremoto, sebbene
assuma notevole importanza anche il senso del movimento di faglia.
La maggior parte degli tsunami sono infatti generati da spostamenti verticali
(sollevamento o sprofondamento) del fondo marino, mentre i movimenti di tipo
trascorrente (con piano di faglia verticale) hanno in genere una minore capacità
di generare tsunami.
172
IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi
L’ingresso in mare di materiale piroclastico in seguito all’eruzione esplosiva
di vulcani sub-aerei determina un rapido spostamento verticale di grandi masse
d’acqua e formazione di tsunami. L’eruzione esplosiva provoca il parziale svuotamento della camera magmatica e, quindi, può portare al collasso delle pareti
del cono vulcanico. Anche l’ingresso in mare dei detriti provenienti dal collasso
strutturale dei vulcani o da movimenti franosi di altra origine può dare luogo a
tsunami. Tsunami di modesta intensità sono stati registrati anche in seguito alle
esplosioni sottomarine avvenute nel corso degli esperimenti nucleari effettuati
dagli USA nelle isole Marshall negli anni ‘40 e ‘50, mentre attualmente non sono
noti esempi osservati o storicamente riportati di tsunami generati dall’impatto di
meteoriti sulla Terra. Tuttavia, studi geologici hanno evidenziato come l’impatto
di un asteroide sulla punta della penisola dello Yucatan alla fine del Cretaceo abbia probabilmente originato uno tsunami di notevole intensità, i cui depositi sono
stati ritrovati nella parte interna del continente lungo tutto il Golfo del Messico.
I danni principali provocati dagli tsunami possono essere dovuti a due principali effetti:
¿ effetti primari
¿ effetti secondari.
Gli effetti primari sono causati soprattutto dall’azione distruttiva delle onde,
mentre gli effetti secondari sono causati dai detriti scagliati come proiettili dall’onda, dall’azione erosiva nei confronti delle infrastrutture e dagli incendi che
si possono generare in seguito a danni a linee elettriche e condutture del gas.
Bisogna anche considerare come gli tsunami possano compromettere la fertilità
dei terreni e la potabilità delle falde acquifere, con danni che possono quindi ripercuotersi anche nel lungo periodo. Nella tabella 10 viene riportata la scala di
Ambraseys-Sieberg per la valutazione empirica dell’intensità degli tsunami.
Grado AmbraseysSieberg
Descrizione dei danni
1 - molto debole
Onda percettibile solo dai mareografi.
2 – debole
Onda avvertita da persone che vivono vicino alla spiaggia e hanno familiarità con
il mare. Osservata solo su spiagge molto piatte.
3 - abbastanza forte
Onda avvertita da tutti. Inondazione di coste a dolce pendenza. Piccole
imbarcazioni spinte sulla spiaggia. Modesti danni alle strutture leggere vicino
alla costa. Negli estuari inversione della corrente dei fiumi.
4 – forte
Inondazione delle spiagge fino ad un’altezza definita caso per caso. Leggera
erosione dei terreni non consolidati. Danni alle strutture leggere prossime
alla riva. Piccoli danni alle strutture in muratura sulla costa. Insabbiamento di
imbarcazioni o loro trascinamento al largo. Detriti galleggianti lungo le coste.
5 - molto forte
Inondazione delle spiagge fino ad un’altezza definita nelle diverse zone. Danni
significativi alle strutture in muratura lungo la spiaggia. Distruzione delle
strutture leggere. Forte erosione. Oggetti galleggianti ed animali marini sparsi
sulla riva e lungo la costa. Tutti i tipi di imbarcazione, a parte le grandi navi,
sono scaraventate a terra o trascinate in mare aperto. Alte ondate sugli estuari dei
fiumi. Danni alle costruzioni portuali. Persone affogate. Onda accompagnata da
un forte rombo.
6 – disastroso
Totale o parziale distruzione di tutte le costruzioni fino ad una determinata
distanza dalla spiaggia. Inondazione della costa fino ad una notevole altezza.
Danni forti anche alle grandi navi. Alberi sradicati e troncati. Molte vittime.
Tabella 10 - Scala di Ambraseys-Sieberg.
173
Appunti di meteorologia marina
Il luogo della Terra in cui si registra la frequenza maggiore di tsunami è il bacino del Pacifico, ove si verificano in media un paio di tsunami distruttivi ogni anno
ed uno tsunami catastrofico ogni 10-12 anni.
Ciò è dovuto al fatto che l’Oceano Pacifico è circondato da una fascia ad elevata
attività sismica e vulcanica (la cosiddetta ‘cintura di fuoco’). Nel XX secolo sono
stati registrati 94 tsunami distruttivi che hanno complessivamente provocato la
morte di 51000 persone.
Uno degli tsunami con effetti più disastrosi è stato quello del 26 dicembre
2004, generato da un terremoto di magnitudo 9.0 della scala Richter, con epicentro nell’oceano Indiano, tra le Isole Andamane e l’isola di Sumatra.
Lo tsunami ha investito le coste di gran parte del sud-est asiatico, dalla Malaysia alle Maldive, dalla Thailandia allo Sri Lanka e l’India, provocando circa 300000
morti e decine di miliardi di dollari di danni.
Sebbene in Italia la frequenza e l’intensità degli tsunami siano minori rispetto
a quelle registrate in altri luoghi della Terra, anche nel nostro Paese ne sono stati
osservati alcuni.
Quelli che hanno raggiunto la massima intensità sono stati registrati in Italia
meridionale ed hanno interessato specialmente le coste pugliesi, siciliane e calabresi (particolarmente distruttivo è stato quello di Messina del 1908).
In tutti questi casi la causa scatenante può essere fatta risalire ai terremoti verificatisi rispettivamente negli anni 1627, 1693, 1783 e 1908.
A fianco si riporta l’elenco dei principali tsunami registrati sulle coste italiane
(dati tratti dal sito dell’Istituto Nazionale di Geofisica e vulcanologia).
legenda della tabella a fianco
EA: sisma a terra - ER: sisma in mare - EL: frana in terra - VA: eruzione vulcanica a terra
VO: eruzione vulcanica sottomarina - GS: frana sottomarina).
174
IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi
Area
Descrizione
Causa
Mag.sisma
Int. tsunami
4/2/1169
Data
Stretto di Messina
Inondazione e distruzioni a Messina
ER
6.8
4
26/3/1511
Nord Adriatico
Forte innalzamento del livello marino a Trieste
EA
6.1
2
20/7/1564
Liguria/Costa Azzurra
Inondazione ad Antibes
EA
6.2
3
25/8/1613
Stretto di Messina
Inondazione a Naso
EA
5.6
30/7/1627
Gargano
Ritiro considerevole ed inondazione
EA
6.3
17/12/1631
Campania
Ritiro nel Golfo di Napoli
VA
27/3/1638
Calabria Tirrenica
Ritiro del mare di 2 miglia a Pizzo Calabro
EA
5
3
7.1
5/4/1646
Toscana
Aumento del livello marino a Livorno
EA
3.6
3
14/4/1672
Adriatico Centrale
Ritiro ed inondazione a Rimini
ER
5.7
2
11/1/1693
Sicilia Orientale
Ritiro considerevole ed inondazione
ER
6.8
4
14/5/1698
Campania
Ritiro nel Golfo di Napoli
VA
1/5/1703
Liguria/Costa Azzurra
Ritiro nel Golfo di Genova
ER
3.2
1/9/1726
Nord Sicilia
Ritiro a Palermo
EA
5.8
4/7/1727
Canale di Sicilia
Ritiro a Sciacca
ER
20/3/1731
Gargano
Aumento del livello marino a Siponto e Barletta
EA
6.3
19/1/1742
Toscana
Oscillazioni del mare nel porto di Livorno
ER
4.0
20/2/1743
Puglia
Ritiro a Brindisi
EA
7.3
2
2
5/2/1783
Calabria Tirrenica
Ritiro ed inondazione
EA
7.0
3
6/2/1783
Calabria Tirrenica
Piu’ di 1500 vittime a Scilla
EL
6.3
6
7/2/1783
Calabria Tirrenica
Aumento del livello del mare a Stilo
EA
6.4
1/3/1783
Calabria Tirrenica
Inondazione a Tropea
EA
5.6
28/3/1783
Calabria Tirrenica
Inondazione a Bagnara
EA
7.0
7/1/1784
Calabria Ionica
Inondazione a Roccella
ER
4.1
19/1/1784
Stretto di Messina
Inondazione a Faro e Catona
ER
4.1
26/7/1805
Campania
Aumento del livello del mare nel Golfo di Napoli
EA
6.6
2/4/1808
Liguria/Costa Azzurra
Flusso/riflusso a Marsiglia
EA
5.6
17/5/1813
Campania
Ritiro nel Golfo di Napoli
VA
19/6/1813
Campania
Ritiro nel Golfo di Napoli
VA
20/2/1818
Sicilia Orientale
Onde anomale a Catania
EA
9/12/1818
Liguria Costa Azzurra
Inondazione nel porto di Genova
EA
23/2/1818
Liguria Costa Azzurra
Onde violente ad Antibes
EA
5/3/1823
Nord Sicilia
Barche trascinate in mare e dannaggiate a Cefalu’
9/10/1828
Mar Ligure
Naufragio nel porto di Genova
8/3/1832
Calabria Ionica
Inondazione a Magliacane (Crotone)
25/4/1836
Calabria Ionica
14/8/1846
2
6.2
2
ER
5.9
4
EA
5.7
2
EA
6.7
2
Ritiro/inondazione: barche danneggiate
EA
6.2
3
Toscana
Aumento del livello di una yarda a Livorno
EA
5.6
3
17/3/1875
Adriatico Centrale
Inondazioni a Rimini e Cervia
ER
5,2
2
23/2/1887
Liguria Costa Azzurra
Notevole ritiro del mare, barche danneggiate
ER
6,4
3
30/7/1888
Liguria Costa Azzurra
2 ritiri a Pietra Lunga
8/12/1889
Gargano
Mare agitato
ER
16/11/1894
Calabria Tirrenica
Navi trasportate a terra a Reggio Calabria
EA
6,0
3
8/9/1905
Calabria Tirrenica
Forte inondazione e navi danneggiate
EA
6,9
3
4/4/1906
Campania
Oscillazioni del mare nel Golfo di Napoli
VA
23/10/1907
Calabria Ionica
Inondazioni a Capo Bruzzano
EA
5,9
3
28/12/1908
Stretto di Messina
Distruzioni e centinaia di vittime
ER
7,2
6
3/7/1916
Isole Eolie
Aumento del mare a Stromboli
EA
3
22/5/1919
Isole Eolie
Inondazione a Stromboli
VO
3
17/8/1926
Isole Eolie
Ritiro anomalo del mare a Salina
EA
11/9/1930
Isole Eolie
Ritiro/inondazione (Stromboli)
VO
3
20/8/1944
Isole Eolie
Inondazione/ abitazioni distrutte
VO
4
/2/1954
Isole Eolie
Debole tsunami a Stromboli
VO
18/4/1968
Liguria Costa Azzurra
Ritiro e inondazione ad Alassio
ER
3,6
2
15/4/1979
Adriatico Meridionale
Onda distruttiva a Kotorbay
ER
7.0
4
16/10/1979
Liguria Costa Azzurra
Onde alte tre metri ad Antibes
GS
13/12/1990
Sicilia Orientale
Onde anomale ad Augusta
ER
25/9/79
Campania
Ritiro nel Golfo di Napoli
VA
2
3
5,4
2
175
APPUNTI DI
METEOROLOGIA MARINA
V. Il sistema atmosfera-mare
ed i cambiamenti globali
V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali
Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali
Le attività antropiche alterano la composizione chimica dell’atmosfera terrestre,
provocando un cambiamento del clima che non può essere attribuito solamente
alla naturale variabilità climatica. Già nel 1980 l’Organizzazione Mondiale di Meteorologia (WMO - World Meteorological Organization) istituì la Prima Conferenza
Mondiale sul Clima al fine di ‘….prevedere e prevenire potenziali cambiamenti
climatici causati da attività umane che potrebbero avere un effetto negativo sul
benessere dell’umanità’.
Alla base di questa Conferenza vi era il dubbio che le attività umane, in seguito all’immissione nell’atmosfera di alcuni gas, fossero in parte responsabili
dell’incremento delle temperature medie terrestri registrato successivamente alla
rivoluzione industriale. Il crescente interesse verso questa problematica ha portato nel 1988 alla nascita di una Commissione Internazionale sui Cambiamenti
Climatici (IPCC - Intergovernmental Panel on Climate Change) con il compito di
raccogliere e valutare le informazioni in campo scientifico, tecnico e socio-economico relative ai cambiamenti climatici, al loro impatto ed alle possibili strategie da
adottare per prevenire o limitare i loro effetti sul sistema Terra.
L’IPCC, composto da circa 3000 scienziati di tutto il mondo, ha fornito il primo rapporto nel 1990, presentato alla Seconda Conferenza Mondiale sul Clima tenutasi a Ginevra. Da questo rapporto emerse la correttezza delle previsioni
teoriche effettuate dieci anni prima, mettendo in evidenza un aumento reale delle
temperature medie terrestri.
Nel 1992 i capi di Governo dei Paesi industrializzati ed in Via di Sviluppo si
riunirono a Rio de Janeiro, dove si tenne la Conferenza delle Nazioni Unite per
discutere sul clima. Da questa Conferenza scaturì la Convenzione Quadro sui
Cambiamenti Climatici (UNFCCC - United Nations Framework Convention on Climate Change) in cui veniva indicata la priorità di ridurre le emissioni antropiche
di gas-serra. La suddetta Convenzione, sottoscritta da 154 Paesi oltre all’Unione
Europea, è entrata in vigore il 21 marzo 1994 con l’obiettivo di promuovere interventi a livello internazionale finalizzati a riportare entro il 2000 le emissioni di
gas-serra ai valori del 1990.
La Conferenza delle Parti (COP - Conference of the Parties) si riunisce annualmente al fine di valutare le azioni intraprese e gli impegni da prendere dai
Paesi membri per raggiungere l’obiettivo preposto. La prima Conferenza delle
Parti (COP 1) tenutasi a Berlino nel 1995, mise in evidenza l’insufficienza degli
interventi e degli impegni adottati dai Paesi membri, dando luogo all’apertura di
nuovi negoziati.
Un passo decisivo è stato effettuato nel 1997 alla COP 3 di Kyoto con la stesura
del cosiddetto Protocollo di Kyoto, in cui i Paesi industrializzati si impegnavano
a ridurre entro il 2008-2012 le emissioni di gas-serra a livello mondiale del 5%
rispetto al 1990. In questo Protocollo si stabiliva la possibilità per i Paesi membri
di raggiungere l’obiettivo, oltre che con una riduzione delle emissioni, anche favorendo l’assorbimento di anidride carbonica da parte delle foreste e dei terreni
agricoli coltivati (i cosiddetti ‘carbon sink’) e con i meccanismi di cooperazione
internazionale.
La COP 7 svoltasi a Marrakech nel 2001 e la COP 9 svoltasi a Milano nel 2003
hanno definito i dettagli operativi per l’attuazione del Protocollo e per la realizzazione di interventi cooperativi in campo agricolo e forestale. Tuttavia, affinché
queste predisposizioni diventino operative è necessario che vengano ratificate da
almeno 55 Paesi firmatari della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici,
179
Appunti di meteorologia marina
responsabili di almeno il 55% delle emissioni totali di CO2 nell’anno 1990.
Come si può intuire gli interessi in gioco sono notevoli ed il fatto che il Protocollo sia vincolante per i Paesi firmatari ha reso impossibile la sua attuazione
fino al dicembre del 2004, quando nell’ambito dell’ultima COP tenutasi a Buenos
Aires è stato raggiunto il quorum di ratifica necessario per la sua entrata in vigore
grazie all’adesione della Russia.
Da questo quadro emerge come le problematiche relative ai cambiamenti climatici vadano ben oltre gli aspetti prettamente biologici, meteorologici e climatologici, andando ad influenzare profondamente aspetti di natura economica e
culturale ed il complesso campo delle relazioni internazionali.
I fattori responsabili dei cambiamenti climatici ed il ruolo del mare
I principali fattori responsabili dei cambiamenti climatici sono:
¿ l'aumento della quantità di energia disponibile sulla superficie terrestre, a
causa dell’incremento nell’atmosfera di gas in grado di assorbire le radiazioni
infrarosse provenienti dalla Terra (effetto serra);
¿ le modifiche nella composizione chimica della stratosfera in cui si assiste ad
una progressiva diminuzione della concentrazione di ozono (buco dell’ozono).
L’incremento dei ‘gas-serra’ (anidride carbonica, metano, ossidi di azoto) nell’atmosfera provoca un cambiamento del bilancio radiativo terrestre alterando la
circolazione generale dell’atmosfera e degli oceani e, quindi, influenzando tutti i
fenomeni meteorologici e la loro distribuzione sul nostro Pianeta.
Studi recenti hanno evidenziato anche come questi cambiamenti si stiano già
ripercuotendo sulle biocenosi marine e terrestri, modificando la biodiversità e la
distribuzione degli organismi animali e vegetali sulla Terra. Anche i cambiamenti della concentrazione di ozono nella stratosfera contribuiscono a modificare il
bilancio radiativo terrestre, consentendo alle radiazioni ultraviolette-B (UV-B) di
raggiungere la Terra con effetti nocivi su tutti gli organismi viventi.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un incremento della frequenza di alcuni
eventi estremi (forti precipitazioni, inondazioni, ondate di calore) a cui l’uomo
non ha ancora saputo attribuire una causa certa.
Di fronte a questi fatti le domanda di rito sono sempre le solite: l’aumento della
frequenza di certi eventi meteorologici estremi è naturale o dovuta a cause antropiche? Quanto questi eventi possono essere attribuiti ai cambiamenti climatici
in atto? Questi interrogativi hanno portato ad un crescente interesse verso la meteorologia e la climatologia in genere, alle quali è chiesto di fornire una risposta
scientifica valida.
Per questi motivi la scienza meteorologica moderna non può prescindere dallo studiare questi fenomeni, al fine di comprendere e prevedere gli effetti che i
cambiamenti climatici potranno avere sugli ecosistemi e su tutte le attività dell’uomo.
L’ambiente marino risulta profondamente influenzato dai cambiamenti climatici. In particolare, l’aumento delle temperature superficiali modifica la circolazione
dell’acqua (correnti marine superficiali e profonde) e delle masse d’aria (venti)
sovrastanti il mare, con effetti considerevoli sui climi della Terra.
L’incremento del livello medio del mare e della frequenza di eventi estremi può
aumentare il pericolo di inondazioni, di erosione costiera e di eventi meteo-marini
catastrofici. I cambiamenti climatici possono inoltre alterare la produttività, i cicli
biogeochimici e la biodiversità faunistica e floristica degli ecosistemi marino-costieri. Infine, è importante ricordare che gli oceani rappresentano una delle più
importanti riserve di carbonio del Pianeta e possono scambiare grandi quantità di
180
V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali
CO2 con l’atmosfera, agendo da potente meccanismo regolatore dell’effetto serra.
Di seguito viene riportata un’analisi critica delle cause e degli effetti dei cambiamenti climatici sul nostro Pianeta, con particolare attenzione al sistema ‘atmosfera-marÈ che rappresenta l’oggetto di studio della meteorologia marina.
Incremento della radiazione UV-B
L’ozono presente nella stratosfera rappresenta l’unico gas atmosferico in grado di assorbire le radiazioni ultraviolette nocive, costituendo uno schermo protettivo per gli organismi viventi presenti sulla Terra. Durante il periodo primaverile
dell’emisfero australe, si assiste ad una diminuzione naturale della concentrazione di ozono in corrispondenza del Polo Sud.
Tuttavia, dai primi anni ottanta è stato osservato un sensibile aumento di questo fenomeno, al punto tale di parlare di ‘buco dell’ozono’. Negli ultimi anni il
fenomeno sembra essersi esteso anche all’emisfero Nord ed alle medie latitudini,
minacciando gli organismi viventi presenti su gran parte del nostro Pianeta.
La principale causa del buco dell’ozono è stata attribuita all’immissione nell’atmosfera di composti chimici di origine antropica (ODS, Ozone Depleting Substancies) in grado di reagire con l’ozono stratosferico e di demolirlo.
Tra questi composti i più importanti sono i clorofluorocarburi (CFC), utilizzati
generalmente come fluidi refrigeranti nei frigoriferi e nei condizionatori d’aria e
come propellenti nelle comuni bombolette spray, i bromofluorocarburi (halon),
presenti negli estintori antincendio, ed il bromuro di metile, utilizzato in campo
agricolo.
Nella stratosfera i raggi UV causano la dissociazione di questi composti con liberazione di radicali attivi di cloro e bromo che aggrediscono l’ozono e provocano
una sua progressiva distruzione (figura 121).
Nonostante l’uso dei CFC sia stato drasticamente ridotto in seguito al Protocollo di Montreal del 1987, il processo sembra ancora non arrestarsi, probabilmente perché questi composti sono estremamente stabili e possono rimanere per
decenni nell’atmosfera prima di raggiungere la fascia di ozono stratosferico.
Figura 121 – Meccanismi di parziale distruzione dell’ozono nella stratosfera.
181
Appunti di meteorologia marina
Studi condotti da vari gruppi di scienziati hanno evidenziato come ad ogni
riduzione della concentrazione di ozono stratosferico di un’unità percentuale,
corrisponda un aumento medio di UV-B in arrivo sulla superficie terrestre di circa
1.3-1.8% (Commission of the European Communities, 1993).
Questi dati destano notevole preoccupazione se si considera che la maggior
parte degli esseri viventi si sono sviluppati solo in seguito alla formazione dello
strato protettivo di ozono stratosferico e, quindi, non sono dotati di meccanismi
di difesa agli UV-B particolarmente efficienti.
In questo contesto diviene fondamentale studiare gli effetti delle radiazioni
ultraviolette sulla salute umana e sugli ecosistemi terrestri ed acquatici.
Effetti degli UV-B sulla salute umana
I principali effetti delle radiazioni ultraviolette sulla salute umana, in parte già
riscontrati negli ultimi anni, sono dovuti essenzialmente all’azione mutagena dei
raggi UV-B sull’acido desossiribonucleico (DNA) delle cellule epiteliali.
L’eccessiva esposizione ai raggi UV-B è quindi associata allo sviluppo di melanomi ed altri tipi di cancro della pelle (carcinoma squamoso e carcinoma delle
cellule basali). Altri effetti sulla salute dell’uomo sono dovuti all’interferenza dei
raggi UV-B sui meccanismi regolativi del sistema immunitario (immunodepressione) e all’azione esercitata a danno degli occhi. In particolare, le radiazioni
UV-B possono provocare gravi alterazioni alla cornea, alla retina ed al cristallino, quali cataratta, fotofobia, degenerazione della retina, arcus senilis e pterigia.
Le indagini compiute in alcune delle zone popolate della Terra maggiormente
esposte ai raggi UV-B, hanno evidenziato un incremento del numero di persone
affette da tumore alla pelle (Australia e Cile) ed un aumento della frequenza di
casi di cecità tra i greggi di pecore in Nuova Zelanda e Patagonia.
Allo scopo di prevenire possibili effetti dannosi degli UV-B sull’uomo, i moderni servizi di informazione meteorologica forniscono i dati relativi all’intensità di
radiazione UV-B in arrivo sulla Terra e consigliano i tempi e le modalità di esposizione al Sole durante i differenti periodi dell’anno
Effetti degli UV-B sugli ecosistemi terrestri e acquatici
Tutti gli organismi viventi presenti sulla Terra sono sottoposti al rischio di un
incremento di radiazione UV-B. Tra questi, quelli maggiormente vulnerabili sono
i vegetali, poiché si sono evoluti in modo da sviluppare organi fotosintetizzanti
caratterizzati da un’ampia superficie esposta alla radiazione solare. È stato dimostrato come la sensibilità delle piante ad un incremento di radiazione UV-B possa
variare tra le diverse specie e, nell’ambito di una stessa specie, tra popolazioni e
cultivar differenti.
Gli organismi vegetali possono proteggersi dalle radiazioni in eccesso attraverso pigmenti specifici o con meccanismi di riparazione dell’apparato fotosintetico.
Questo apparato consente il processo di organicazione della CO2, perciò i danni a
carico delle molecole responsabili dell’assorbimento e trasferimento dell’energia
luminosa portano inevitabilmente ad una diminuzione di attività fotosintetica da
parte delle piante e, quindi, ad una riduzione della quantità di carbonio organicato dalla biosfera.
In effetti gli studi compiuti su differenti specie vegetali hanno messo in evidenza un rallentamento della crescita ed una riduzione del peso secco e della superficie fogliare in seguito all’esposizione ai raggi UV-B. Gli organismi vegetali costituiscono i produttori primari di tutti gli ecosistemi, perciò una diminuzione della
fotosintesi determina inevitabilmente una riduzione di produttività primaria
che si ripercuote su tutti gli organismi viventi componenti la catena trofica.
182
V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali
Gli ecosistemi acquatici risultano maggiormente vulnerabili ad un incremento
di UV-B rispetto a quelli terrestri. Ciò è dovuto principalmente al fatto che gli organismi di piccole dimensioni (come quelli unicellulari) sono maggiormente esposti
ai danni da UV-B, poiché queste radiazioni vengono assorbite dagli strati cellulari
più superficiali.
Di conseguenza gli organismi marini del fitoplancton e dello zooplancton
risultano estremamente vulnerabili ad un incremento di UV-B. In particolare, il
fitoplancton, necessitando dell’energia solare per svolgere la fotosintesi, si trova generalmente sulla superficie marina, maggiormente esposto alla radiazione
solare e privo di tessuti epidermici protettivi in grado di impedire o limitare la
penetrazione di radiazione UV-B all’interno delle cellule.
Studi recenti hanno messo in evidenza come numerose specie di plancton si
trovino già al limite massimo di tolleranza agli ultravioletti, per cui un ulteriore
incremento di UV-B potrebbe provocare la loro morte. Per rendersi conto dei danni potenziali, basti pensare che il fitoplancton è collocato alla base delle catene
trofiche del mare e che una sua rapida diminuzione porterebbe a una sensibile
riduzione della produttività primaria e a conseguenze catastrofiche a livello di
intero ecosistema.
In alcune zone dell’Antartide sono già stati riscontrati alcuni danni sulle comunità planctoniche, con una riduzione del 25% dell’attività fotosintetica e, quindi,
della produttività primaria degli oceani dell’emisfero australe (Commission of the
European Communities, 1993). I ricercatori hanno dimostrato come un incremento di radiazioni UV-B possa danneggiare direttamente anche altri organismi marini, quali zooplancton, molluschi e pesci.
Alcuni studi, ad esempio, hanno mostrato come una diminuzione del 10% dell’ozono stratosferico possa causare un aumento di circa l’8% delle larve anomale
di alcune specie di molluschi, mentre una diminuzione di ozono del 9% causerebbe la morte di circa l’8% delle larve di alici.
Incremento della temperatura media superficiale terrestre
La Terra riceve continuamente la radiazione elettromagnetica emessa dal Sole.
Tuttavia, solo il 47% della radiazione che giunge al confine superiore dell’atmosfera viene effettivamente assorbita dalla superficie terrestre, mentre la rimanente
parte è assorbita dall’atmosfera o riflessa verso lo spazio interplanetario.
La superficie terrestre riemette parte dell’energia solare assorbita sotto forma di
radiazioni elettromagnetiche a lunghezza d’onda maggiore (gli infrarossi termici),
responsabili dell’effetto serra (figura 122).
L’atmosfera infatti si comporta come il vetro di una serra, essendo quasi completamente trasparente alla luce visibile ma in grado di trattenere la radiazione
infrarossa proveniente dalla Terra.
Questa caratteristica dell’atmosfera è dovuta alla presenza di alcuni componenti
gassosi denominati gas-serra, tra cui i principali sono:
¿ l'anidride carbonica (CO2)
¿ il vapore acqueo (H2Ovap)
¿ il metano (CH4)
¿ l’ossido nitroso o protossido di azoto (N2O)
¿ gli alocarburi: clorofluorocarburi (CFC), idroclorofluorocarburi (HCFC) e
idrofluorocarburi (HFC)
¿ l'ozono (O3).
183
Appunti di meteorologia marina
Per azione di questi gas gli infrarossi emessi dalla superficie terrestre riescono solo in parte a sfuggire nello spazio interplanetario, poiché la maggior parte
di essi rimane racchiusa tra la superficie terrestre e gli strati alti dell’atmosfera
(come in una serra dove sono intrappolati sotto i vetri).
È importante notare come questo fenomeno sia fondamentale per consentire
la vita sulla Terra, poiché in assenza di gas-serra la temperatura terrestre tenderebbe a scendere da valori medi di circa 15°C a valori incompatibili per le forme di
vita attualmente presenti (circa -18/-20 °C).
Figura 122 - Rappresentazione dell’effetto serra.
Effetto serra ed intervento antropico
Le attività dell’uomo richiedono enormi quantità di energia che viene ricavata
soprattutto dall’impiego di combustibili fossili (carbonio, petrolio, metano). La
combustione di queste sostanze porta ad un progressivo incremento della quantità di CO2 immessa nell’atmosfera.
In particolare, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è aumentata progressivamente passando da circa 280 parti per milione (ppm) durante il periodo compreso tra il 1000 ed il 1750 a circa 378 ppm nel 2004 (+36% di incremento).
Nello stesso periodo si è assistito ad un aumento della concentrazione atmosferica di metano (derivante dalle attività zootecniche, dalla coltivazione del riso,
dalle discariche e dai processi di decomposizione della sostanza organica in genere) ed ossido nitroso (derivante essenzialmente dai processi di nitrificazione e
denitrificazione), che insieme alla CO2 rappresentano i principali gas responsabili
dell’effetto serra (figura 123).
Anche la concentrazione dell’ozono troposferico è aumentata di circa il 35% tra
il 1750 e il 2000 a causa dell’inquinamento antropogenico, mentre l’uso dei CFC
è andato rapidamente diminuendo in seguito al Protocollo di Montreal del 1987.
Tuttavia, i CFC sono stati in gran parte sostituiti da altri alocarburi (HCFC e HFC)
meno dannosi per l’ozonosfera, ma in grado comunque di assorbire le radiazioni
IR e, quindi, di contribuire al riscaldamento globale del Pianeta.
Tra i gas-serra quello che attualmente desta maggiori preoccupazioni è l’anidride carbonica, che contribuisce per circa il 60% all’incremento dell’effetto serra. L’aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera è dovuto, oltre che ai
processi di combustione, ai cambiamenti d’uso del suolo e, in particolare, alla
deforestazione.
184
V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali
Figura 123 - Andamento della concentrazione di anidride carbonica (ppm), metano ed
ossido d’azoto (ppb) tra il 1000 e il 2000. (Radiative forcing). Fonte: IPCC. 2001.
La deforestazione infatti contribuisce per circa un terzo all’aumento delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera, poiché provoca il rilascio di CO2 immagazzinata nelle piante e, nello stesso tempo, riduce l’assorbimento fotosintetico
di questo gas da parte della biosfera terrestre. Considerando gli attuali andamenti
si pensa che nel 2100 la concentrazione di questo gas possa raggiungere le 540970 ppm se non si prenderanno opportuni provvedimenti per ridurre le emissioni
o per incrementare gli assorbimenti di CO2.
L’incremento dei gas-serra, e in particolare della CO2 atmosferica, altera profondamente il bilancio radiativo, portando ad un aumento dell’energia disponibile
sulla superficie terrestre (Radiative Forcing, figura 123) e, quindi, ad un riscaldamento dell’intero Pianeta. È stato dimostrato come la temperatura media della
superficie terrestre sia già aumentata di circa 0.6 ± 0.2 °C negli ultimi 100
anni (figura 124), in modo variabile a seconda delle zone del Pianeta. In Europa
questo incremento è stato di 0.95°C ed è risultato più elevato per le regioni meridionali e nord-orientali rispetto a quelle settentrionali (figura 126). L’IPCC prevede
che in seguito all’ulteriore incremento dei gas-serra nell’atmosfera la temperatura
media terrestre possa aumentare ancora in maniera consistente durante il XXI
secolo.
Il cambiamento del bilancio radiativo terrestre può alterare la circolazione generale dell’atmosfera e delle masse d’acqua oceaniche profonde e superficiali.
Infatti, come già visto, i movimenti delle grandi masse d’aria e d’acqua sono
causati essenzialmente da gradienti termici e, quindi, da variazioni dei campi di
pressione ad essi associati.
Il Pianeta reagirà ai cambiamenti climatici in modo diverso da zona a zona a seconda di una serie di fattori di feed-back, che possono accelerare o mitigare il processo di riscaldamento, e degli scenari socio-economici, che possono influenzare
185
Appunti di meteorologia marina
le emissioni e le strategie di mitigazione. Tuttavia, non è stato ancora scientificamente chiarito il modo in cui i fattori di feed-back potranno interagire tra loro nel
modificare l’effetto serra su scala globale, inoltre gli scenari socio-economici sono
soggetti a rapidi ed improvvisi mutamenti; ciò rende difficoltosa l’elaborazione di
modelli previsionali attendibili e spiega il loro ampio margine di errore.
Figura 124 - Andamento della temperatura media della superficie terrestre negli ultimi
140 anni (in alto) e 1000 anni (in basso). Fonte: IPCC 2001.
Variazioni temporali della concentrazione di CO2 e della temperatura media
terrestre
Nelle figure 125 e 126 sono riassunte le variazioni di CO2 e di temperatura registrate a partire dall’anno 1000 fino al 2000 e le previsioni fino al 2100 stimate
in base a modelli previsionali che tengono conto di differenti scenari socio-economici di emissione di CO2 (Special Report on Emissions Scenarios 2000 - SRES
- dell’IPCC). I diagrammi sono suddivisi in tre periodi storici in base al modo in cui
sono stati ottenuti i dati:
¿ la prima serie, indicata con ‘ice core data’ (figura 125) o ‘proxy data’ (figura
126), si riferisce rispettivamente all’andamento della concentrazione di CO2 stimato dall’analisi delle bolle di aria rimaste intrappolate nelle carote di ghiaccio
dell’Antartide e all’andamento della temperatura media superficiale dell’emisfero
Nord stimata attraverso dati proxy (cioè attraverso l’uso di indicatori indiretti quali anelli annuali degli alberi, coralli, carote di ghiaccio o di registrazioni storiche);
¿ la seconda serie, indicata con ‘direct measurements’ (figura 125) o ‘global instrumental observations’ (figura 126), si riferisce ai valori ottenuti tramite misure
dirette di concentrazione di CO2 e di temperatura;
¿ la terza serie (dal 2000 al 2100) indicata con ‘projections’ si riferisce alle
variazioni di concentrazione di CO2 (figura 125) e di temperatura (figura 126) previste attraverso differenti scenari e modelli previsionali di calcolo.
Come si evince da queste figure esiste un ampio intervallo temporale in cui le
concentrazioni di CO2 e le temperature si sono mantenute pressoché stabili.
186
V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali
Figura 125 - Andamento della concentrazione di CO2 atmosferica. Fonte: IPCC, 2001.
Figura 126 - Andamento della temperatura media della superficie terrestre.
Fonte: IPCC, 2001.
La situazione ha subito un drastico cambiamento in seguito ai processi di industrializzazione, che hanno determinato un rapido ed improvviso aumento sia della
concentrazione di CO2 che delle temperature medie terrestri.
I differenti scenari socio-economici relativi al periodo 2000-2100 sono stati desunti tenendo conto delle previsioni relative alla crescita economica, al progresso
tecnologico, alla crescita della popolazione ed alle forme di governo, per cui sono
soggetti ad una notevole incertezza (Third Assessment Report dell’IPCC - Climate
Change 2001: Synthesis Report).
Lo scenario medio assume le proiezioni delle Nazioni Unite per quanto riguarda
la crescita della popolazione, un continuo aumento dell’uso del carbone, sviluppi
solo modesti nell’uso delle fonti energetiche pulite e rinnovabili ed una limitazione graduale delle emissioni di CO2 del 30%; in queste condizioni si prevede il
raddoppio della CO2 nell’atmosfera entro la fine del XXI secolo.
Considerando i differenti scenari socio-economici elaborati dall’IPCC, la temperatura media terrestre potrà aumentare entro il 2100 da valori di 1.4°C a valori di
5.8°C, mostrando una notevole variabilità regionale. Per avere un’idea del tasso
di incremento della temperatura media durante il XXI secolo, gli studi dell’IPCC
prevedono un aumento di 0.4-1.1°C per il periodo 1990-2025 e di 0.8-2.6°C per il
periodo 1990-2050.
187
Appunti di meteorologia marina
In questo contesto devono essere presi in considerazione anche possibili risposte di feed-back da parte del sistema Terra, cioè i cambiamenti indotti dall’aumento delle temperature su altri fattori che, a loro volta, potranno presumibilmente
contribuire a modificare il regime termico del Pianeta.
I principali fattori di feedback comprendono:
¿ lo scioglimento di ghiaccio e neve
¿ l'aumento dell'evapotraspirazione
¿ l'incremento della copertura nuvolosa
¿ gli effetti dei cambiamenti climatici sugli scambi di CO2 tra i principali depositi
di carbonio della Terra (foreste e oceani) e l’atmosfera.
Il ghiaccio e la neve riflettono gran parte della radiazione solare incidente provocando un raffreddamento della superficie terrestre, perciò il loro scioglimento
(causato dall’innalzamento delle temperature) contribuirà presumibilmente a determinare un ulteriore riscaldamento del Pianeta.
Le temperature più alte potranno aumentare l’evapotraspirazione e la capacità dell’atmosfera di trattenere vapore acqueo, che essendo un potente gas-serra
porterà ad un ulteriore incremento della temperatura media terrestre.
L’effetto dell’incremento della copertura nuvolosa è ancora controverso, infatti se da una parte le nubi riflettono parte delle radiazioni solari verso lo spazio
impedendo che raggiungano la Terra, dall’altra creano uno ‘schermo’ al di sopra
della superficie terrestre che contribuisce a trattenere il calore negli strati bassi
dell’atmosfera soprattutto durante le ore notturne.
Le foreste e gli oceani rappresentano i maggiori depositi di carbonio della Terra e svolgono un ruolo fondamentale sul ciclo globale del carbonio agendo come
‘assorbitori di anidride carbonica’ (carbon sink). Tuttavia, il ruolo delle foreste
potrebbe essere in parte compromesso in seguito ai processi di deforestazione e
cambiamento d’uso del suolo, per cui una gran quantità di carbonio immagazzinato nelle foreste potrebbe passare da queste all’atmosfera sotto forma di CO2.
Il progetto europeo EUROFLUX ha costituito una rete di misura dei flussi netti
di CO2 delle principali foreste europee, dimostrando come queste ultime siano in
grado di assorbire dal 10 al 40% delle emissioni di anidride carbonica provenienti
dalle attività antropiche in Europa. I cambiamenti climatici influenzano l’attività
fotosintetica e respiratoria degli ecosistemi forestali modificando i flussi netti di
CO2, perciò il modo in cui le foreste risponderanno ai cambiamenti di temperatura
ed umidità potrà svolgere un ruolo fondamentale nell’esasperare o mitigare l’effetto serra su scala globale.
Anche gli scambi di CO2 tra atmosfera e oceani sono attualmente indagati da
numerosi progetti internazionali, con lo scopo di chiarire i meccanismi che li regolano ed il modo in cui possono essere influenzati dai cambiamenti climatici.
Gli oceani infatti svolgono un ruolo fondamentale sulla regolazione del ciclo del
carbonio e sull’effetto serra contenendo circa 50 volte la quantità di CO2 presente
nell’atmosfera, perciò sono considerati, insieme alle foreste, i principali compartimenti del Pianeta in grado di immagazzinare carbonio.
Tuttavia, questa loro capacità può essere sensibilmente modificata dai cambiamenti climatici in atto. La solubilità della CO2 in mare, e quindi la capacità degli
oceani di immagazzinare carbonio, diminuisce all’aumentare del riscaldamento
delle acque. D’altra parte è noto anche come il riscaldamento degli oceani possa
favorire lo sviluppo dello zooplancton e del fitoplancton, che costituiscono la cosiddetta ‘pompa biologica’ del mare. Il fitoplancton infatti è in grado di assorbire
la CO2 atmosferica per via fotosintetica e di trasportare il carbonio immagazzinato
188
V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali
negli oceani dagli strati superficiali a quelli profondi.
Infine, bisogna considerare anche l’effetto dell’incremento delle radiazioni ultraviolette in arrivo sulla superficie marina, poiché gli UV-B possono provocare la
morte del fitoplancton. Si prevede che l’insieme di questi fattori possa portare ad
una diminuzione della capacità degli oceani di immagazzinare il carbonio causando un incremento dell’effetto serra su scala globale.
Le possibili interazioni tra tutti i fattori esaminati in precedenza rendono ancora più incerte le previsioni, così man mano che il clima si modifica velocemente è
sempre più probabile che si inneschino processi di feed-back in grado di portare
a cambiamenti improvvisi ed inaspettati.
Interventi finalizzati a ridurre l’effetto serra
Gli interventi principali necessari alla mitigazione dell’effetto serra sono:
¿ la diminuzione dell’uso di combustibili fossili (petrolio, carbone, gas) impiegati per la produzione di energia e per l’autotrazione, in modo da ridurre
l’immissione di anidride carbonica e di altri gas-serra nell’atmosfera;
¿ l'incremento della superficie terrestre coperta da foreste che, attraverso la
fotosintesi clorofilliana, possono assorbire la CO2 e ‘immagazzinarla’ sotto
forma di carbonio organico;
¿ l'adozione di tecniche agronomiche in grado di incrementare la capacità di
stoccaggio di carbonio da parte dei suoli agricoli.
Il ruolo delle foreste e dei suoli agricoli nella mitigazione dell’effetto serra è
stato definitivamente sancito dal Protocollo di Kyoto (1997), che precisa come i
Paesi membri possano tenere fede agli impegni presi per la riduzione delle emissioni di gas-serra attraverso interventi finalizzati ad aumentare l’assorbimento di
CO2 da parte delle attività agricole e forestali (i cosiddetti carbon sink).
In particolare, nel Protocollo di Kyoto i ‘sink’ vengono riferiti ad attività di forestazione, riforestazione e afforestazione (art. 3.3) e ad attività associate all’uso
del suolo e a cambiamenti d’uso del suolo (art. 3.4).
Tra gli interventi finalizzati a ridurre l’effetto serra vi sono anche quelli che
prevedono di ‘catturare’ la CO2 che viene sviluppata dalle principali attività antropiche e di iniettarla con apposite condotte nel sottosuolo (all’interno di giacimenti
esauriti di idrocarburi, letti carboniferi) e/o negli oceani (carbon sequestration).
In particolare, gli oceani rappresentano il principale ‘serbatoio’ potenziale
per immagazzinare la CO2, sebbene vi siano ancora numerose controversie al
riguardo. Infatti se da una parte si disporrebbe già di mezzi tecnologici adeguati
per introdurre la CO2 in mare dissolvendola a profondità moderate (1000-2000 m)
o iniettandola a grandi profondità (oltre i 3000 m), sussistono ancora numerosi
dubbi sugli effetti che questo intervento potrebbe provocare sugli ecosistemi marini. Il dubbio principale consiste nel fatto che la CO2 è un gas acido, perciò la sua
immissione in mare provocherebbe inevitabilmente un cambiamento repentino
dell’acidità delle acque, il cui pH passerebbe rapidamente da valori medi di circa
8 a valori molto più bassi (compresi tra 5 e 7).
Questo aumento di acidità sarebbe troppo veloce per consentire agli organismi marini di adattarsi e/o di migrare, con conseguenze difficilmente prevedibili
sull’intero ecosistema. È importante sottolineare come tutti gli interventi finora
proposti potranno rallentare l’effetto serra ma non arrestarlo.
Infatti, bisogna considerare che, in virtù della grande dimensione dei sistemi
fisici che partecipano a questo fenomeno, i cambiamenti avvengono lentamente
ma altrettanto lentamente tendono a fermarsi. È necessario inoltre tenere conto
che il tempo di permanenza dei gas-serra nell’atmosfera è estremamente lungo
189
Appunti di meteorologia marina
(da centinaia a migliaia di anni), per cui questa ‘inerzia’ dei sistemi in gioco determina inevitabilmente un effetto prolungato nel tempo che, con tutta probabilità,
andrà avanti anche qualora avvenisse una riduzione drastica delle emissioni atmosferiche di CO2.
L’effetto serra e il mare
I cambiamenti climatici sono attesi esercitare una notevole influenza sul mare,
con effetti che interesseranno il nostro Pianeta nella sua globalità. Tra i principali
cambiamenti attesi a livello marino ricordiamo:
¿ aumento delle temperature medie delle acque marine superficiali
¿ riduzione delle calotte di ghiaccio del Polo Nord
¿ espansione termica degli oceani
¿ innalzamento del livello medio del mare
¿ aumento dell'erosione costiera e dell'invasione delle acque marine con
salinizzazione degli acquiferi
¿ modificazione della salinità e delle correnti marine
¿ aumento degli eventi meteo-marini estremi
¿ aumento dell'inquinamento biologico delle acque con proliferazione di
organismi infestanti
¿ variazione della biodiversità e della produttività degli ambienti marini
¿ riduzione della pescosità
¿ aumento dei fenomeni di eutrofizzazione e della formazione di mucillagini.
Questi fenomeni esercitano una notevole influenza sugli ecosistemi e su tutte
le attività produttive e ricreative che interessano il mare e le coste, con ripercussioni in campo ecologico, economico, sociale e culturale.
L’incremento del livello medio marino
L’IPCC ritiene che fra le manifestazioni attese a livello marino in seguito ai cambiamenti climatici, quella che risulta più preoccupante è l’incremento del livello
medio del mare. Numerosi fattori possono influenzare il livello marino agendo su
scale temporali molto differenti (figura 127): da scale temporali di breve periodo
(poche ore), come le maree, a scale temporali di lunghissimo periodo (milioni di
anni), come i movimenti tettonici ed i processi di sedimentazione.
In una scala temporale intermedia (da alcune decadi a secoli) il livello marino
varia in seguito all’influenza di una serie di fattori, tra i quali assumono un ruolo
preponderante quelli associati ai cambiamenti climatici. Il principale di questi fattori è l’espansione termica del volume oceanico causata dall’incremento della
temperatura media superficiale delle acque.
Figura 127 - Fattori che
influenzano il livello medio
marino. Fonte: IPCC, 2001.
190
V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali
L’incremento termico delle masse d’acqua provoca infatti un aumento dell’energia cinetica media molecolare che si riflette in un’espansione del volume
degli oceani. A causa dell’elevata capacità termica delle acque, questa variazione
della temperatura superficiale si trasmette molto lentamente agli strati più profondi degli oceani.
Di conseguenza il livello medio marino è atteso aumentare, a causa dell’espansione termica degli oceani, anche successivamente all’eventuale stabilizzazione
della concentrazione atmosferica di CO2.
Un’altra causa che influenza sensibilmente il livello del mare è lo scambio di
acqua che avviene tra oceani ed acque continentali. Le principali riserve di acqua
sulla terraferma sono costituite dai ghiacciai e dalle calotte polari. Lo scioglimento o la formazione di grandi calotte di ghiaccio durante l’epoca glaciale è stata la
causa rispettivamente dell’innalzamento e dell’abbassamento dei mari (movimenti eustatici).
Attualmente l’incremento delle temperature medie terrestri sta provocando il
parziale scioglimento delle masse di ghiaccio ed il conseguente innalzamento
del livello medio del mare. In particolare, i dati dell’IPCC (IPCC - Summary for
Policy Makers, 2001) mettono in evidenza un assottigliamento del 40% dello spessore dei ghiacci artici durante la tarda estate e l’autunno degli ultimi decenni e un
decremento in estensione di circa il 10-15% durante il periodo primaverile-estivo a
partire dal 1950. Anche i ghiacciai non polari hanno mostrato una ritirata diffusa
nel corso del XX secolo.
Ad esempio, la superficie europea ricoperta da ghiacciai si è ridotta di circa un
terzo tra il 1850 ed il 1980, mentre la loro massa è diminuita di circa la metà.
Inoltre, dal 1990 ai giorni nostri i ghiacciai alpini hanno mostrato un’ulteriore
riduzione di circa il 20-30%.
Le previsioni dell’IPCC su scala globale indicano che entro il 2100 si potrebbe
verificare una riduzione del 33-50% dei ghiacciai di montagna, una diminuzione
del 70% del tempo di permanenza del manto nevoso nelle grandi pianure degli
Stati Uniti, lo scioglimento parziale del permafrost (di circa il 16%) entro il 2050 e
la sua totale scomparsa nell’Europa del Nord.
All’innalzamento del livello medio del mare potrebbe contribuire anche lo scioglimento delle ampie distese di ghiaccio che ricoprono parte della Groenlandia e
dell’Antartide, sebbene il loro contributo sia considerato sensibilmente inferiore
rispetto a quello dei ghiacci artici e dei ghiacciai di montagna.
Altri fattori non associati direttamente ai cambiamenti climatici possono modificare le riserve di acqua terrestri e gli scambi con gli oceani, quali l’estrazione
di acqua dal suolo, la costruzione di cisterne e bacini idrici per la raccolta delle acque e le variazioni del runoff superficiale o dell’infiltrazione di acqua negli
acquiferi. Tra i fattori che possono svolgere un ruolo nel regolare localmente il
livello marino bisogna annoverare anche i fenomeni di subsidenza delle coste in
prossimità dei delta dei fiumi ed i movimenti verticali della superficie terrestre
(quali i movimenti tettonici della crosta terrestre).
Infine bisogna considerare come il probabile aumento della frequenza e intensità delle aree di bassa pressione sulla superficie marina possa provocare intense
perturbazioni, con variazioni del livello del mare e formazione di onde molto alte
(storm surges).
I dati registrati durante il XX secolo evidenziano un incremento globale del livello
medio marino di circa 10-20 cm (circa 1-2 mm all’anno), con un’ampia variabilità a
seconda della località in studio. In Europa questa variabilità è compresa tra 0.8 mm
(stazioni di Brest e Newlyn) e 3 mm all’anno (stazione di Narvik) (figura 128).
191
Appunti di meteorologia marina
Figura 128 - Variazione del livello medio marino in Europa nel periodo tra
il 1896 e il 1996. Fonte: EEA.
Sulla base delle poche registrazioni del livello medio del mare disponibili per
i secoli precedenti (figura 129), si evince come l’incremento del livello medio
marino sia risultato sensibilmente maggiore nel XX secolo rispetto al XIX secolo.
Uno studio realizzato dall’IPCC prevede un ulteriore incremento del livello medio del mare compreso tra 9 e 88 cm durante il periodo 1990-2100, a causa
principalmente dell’espansione termica degli oceani (9-37 cm) e secondariamente
della riduzione delle grandi masse di ghiaccio (1-23 cm).
Figura 129 - Andamento del livello medio del mare registrato tra il 1700 e il 2000.
Fonte: IPCC, 2001.
192
V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali
Questo incremento, tuttavia, è soggetto ad un’ampia variabilità nello spazio
a causa delle differenze regionali di distribuzione del calore e della circolazione
oceanica, per cui il livello del mare potrebbe variare localmente fino ad arrivare in
alcune aree a 2-3 metri di altezza.
Per avere un’idea del tasso di incremento del livello medio del mare durante
il XXI secolo, gli studi dell’IPCC prevedono un aumento di 3-14 cm per il periodo
1990-2025 e di 5-32 cm per il periodo 1990-2050.
L’ampia variabilità delle previsioni effettuate dall’IPCC è dovuta al fatto che i
modelli previsionali prendono in considerazione scenari socio-economici profondamente differenti.
Tuttavia, se non venissero rispettati gli accordi internazionali sulla riduzione
delle emissioni di CO2 o se gli effetti di feed-back risultassero diversi rispetto
a quelli previsti, l’aumento medio marino potrebbe essere anche notevolmente
superiore.
Un aumento del livello del mare di queste proporzioni causerebbe profonde alterazioni del sistema costiero, con notevoli ripercussioni su tutte le attività umane
che interessano il mare e le coste.
Il principale effetto di un innalzamento del livello marino sarebbe un’accelerazione dell’erosione costiera (figura 130), favorita dagli interventi antropici che
hanno modificato le condizioni di equilibrio naturale dei litorali (aumentando la
loro vulnerabilità) e dall’incremento della frequenza di storm surges.
Figura 130 - Effetto dell’erosione sulle spiagge e le strutture costiere
Fonte: Coastal Engineering Manual, U.S. Army Corps of Engineers.
È stato previsto che con gli attuali sistemi di protezione delle coste, l’aumento
del livello medio marino porterebbe alla perdita di circa il 17.5% del territorio costiero del Bangladesh e addirittura di circa 80% delle coste dell’atollo Majuro delle
Isole Marshall (Rapporto IPCC, 2001). In Europa, le zone maggiormente a rischio
di inondazione ed erosione costiera sono quelle dell’Olanda e quelle situate sul
Mar Baltico, in particolare le coste polacche.
L’invasione marina delle zone costiere determinerebbe inoltre l’introgressione
193
Appunti di meteorologia marina
di acqua salata negli acquiferi della fascia litoranea con la perdita di zone
umide di acqua dolce e salmastra che hanno notevole interesse per la pesca e
l’agricoltura. Le zone costiere sarebbero anche maggiormente esposte al rischio
di inondazioni, sia per l’aumento della frequenza di eventi meteo-marini estremi
associati ad onde di notevole altezza che per la maggiore difficoltà di deflusso dei
fiumi in mare e conseguente loro straripamento.
Le conseguenze socio-economiche di questi effetti sono ben immaginabili,
andando ad interessare attività del settore primario come la pesca e l’agricoltura
con la perdita di zone di pesca e di terreni agricoli; del settore secondario con
danni a strutture portuali offshore e costiere, oleodotti, metanodotti e terziario
con danni a strutture turistico-ricreative costiere.
Inoltre, non possono essere trascurati i possibili danni diretti alla popolazione e a livello paesaggistico-ambientale con la distruzione di interi ecosistemi
costieri. In definitiva questo fenomeno comporterebbe un cambiamento radicale
dell’ecosistema marino-costiero e di tutti gli organismi viventi che lo compongono, uomo compreso. I danni potrebbero interessare soprattutto le decine di
milioni di persone che vivono in prossimità dei delta dei fiumi, sulle aree costiere
basse e sulle piccole isole.
Il rischio di inondazione è ulteriormente accentuato dal probabile aumento della frequenza ed intensità dei cicloni tropicali e dei sistemi di bassa pressione in
mare, con conseguente incremento di tempeste, di precipitazioni intense e di
storm surges.
Considerando il numero elevato di persone che vivono sulle regioni costiere e
gli attuali sistemi di protezione delle coste, si prevede un notevole aumento del
numero di individui soggetti al rischio di inondazione a causa di storm surges
entro il 2080 (figura 131). In particolare, sarebbero a rischio di inondazione circa
70 milioni di persone in Bangladesh ed altrettante in Cina.
Questa situazione di rischio potenziale necessita che le attuali opere di difesa
idraulica delle coste e delle zone bonificate vengano appositamente modificate
per renderle maggiormente efficienti ed adattabili alle improvvise variazioni del
livello del mare, richiedendo un uso ingente di risorse umane ed economiche.
Figura 131 - Previsioni relative al numero di persone sottoposte al rischio di inondazione
nel 2080 a causa di storm surges con i sistemi attuali e con sistemi avanzati di protezione
delle coste. Fonte: Climate Change 2001 IPCC.
194
V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali
Effetto della variazione della temperatura superficiale del mare
sulla circolazione delle masse d’acqua e d’aria
La temperatura del mare mostra una distribuzione nello spazio strettamente
associata alle variazioni del bilancio radiativo terrestre, perciò questo parametro
risulta fortemente influenzato dall’effetto serra e, quindi, dal conseguente aumento della quantità di energia disponibile sulla superficie marina.
L’incremento della temperatura media superficiale del mare durante il XX secolo è stato di 0.6°C e si prevede un suo ulteriore aumento durante il XXI secolo.
Questo incremento termico può riflettersi sulla circolazione generale delle masse
d’acqua e d’aria e sulla composizione delle comunità biologiche degli ecosistemi
marino-costieri. Le correnti marine profonde sono generate dai gradienti di densità tra zone oceaniche differenti che, a loro volta, sono dipendenti dalla temperatura e dalla salinità delle acque, perciò un cambiamento termico della superficie
marina può modificare anche la circolazione delle masse d’acqua.
Ad esempio, l’incremento della temperatura del mare e lo scioglimento dei
ghiacci artici potrebbero determinare un apporto considerevole di acqua dolce
negli oceani, modificando la densità delle acque e quindi la circolazione termoalina oceanica. Si ipotizza che questi cambiamenti potrebbero causare una
deviazione e/o un progressivo indebolimento della Corrente del Golfo del
Messico, che attualmente mantiene nel Nord Atlantico ed in parte dell’Europa
occidentale temperature più elevate di alcuni gradi; se ciò dovesse verificarsi si
avrebbe come effetto un immediato abbassamento della temperatura in Europa
in un periodo in cui altre regioni della
Terra sono sottoposte ad un sensibile
riscaldamento.
Le masse d’aria sovrastanti la superficie marina, scambiando calore con il
mare, possono modificare la loro temperatura e la loro pressione, con notevoli
ripercussioni sulla circolazione dell’aria
a livello locale e globale. Un esempio
di come le temperature del mare e, di
conseguenza, le pressioni delle masse
d’aria sovrastanti possano influenzare
la circolazione marina e atmosferica su
ampia scala ci è dato dai fenomeni noti
come ‘El Niño’, ‘La Niña’ e la NAO (North Atlantic Oscillation). El Niño e La Niña
sono causati rispettivamente da periodi
anomali caldi e freddi rispetto alla media
Figura 132 - Circolazione delle masse
trentennale della superficie marina della
d’acqua e d’aria in assenza (in alto) ed in
zona del Pacifico compresa tra le coste
presenza (in basso) di ‘El Niño’.
del Cile e le isole di Papua. Questa anomalia termica dell’Oceano Pacifico si riflette in un cambiamento della circolazione
marina e atmosferica che va ad influenzare il clima di regioni poste a notevoli
distanze (come Australia, Americhe ed Africa del Nord). Il fenomeno atmosferico
associato a El Niño è indicato come ‘Southern Oscillation’, per cui con il termine
ENSO (El Niño Southern Oscillation) si intende il sistema accoppiato costituito dalla componente oceanica (El Niño) e da quella atmosferica (Southern Oscillation).
In assenza del Niño, gli Alisei spingono le acque calde superficiali dell’Oceano
Pacifico verso l’Indonesia e l’Australia (figura 132). L’allontanamento dell’acqua
195
Appunti di meteorologia marina
superficiale in prossimità delle coste del Cile e del Perù, provoca la risalita in
superficie di acqua fredda profonda (upwelling) che stabilizza la temperatura di
tutto il Pacifico e favorisce il rinnovo dei nutrienti in superficie e, quindi, è alla
base dell’elevata pescosità di questi mari.
Le acque fredde inoltre generano situazioni di tempo stabile (alta pressione)
sulle coste americane e situazioni di instabilità (bassa pressione) con piogge abbondanti sulle coste indonesiane.
Tuttavia, ogni 3-7 anni circa si verifica un’anomalia termica (El Niño) a causa
dell’indebolimento dei venti da Est, perciò le acque fredde profonde non risalgono
in superficie e la temperatura del mare in prossimità delle coste del Cile e del Perù
non si abbassa (figura 132).
In questo modo vengono a mancare sia l’effetto mitigante sul clima che il rinnovo dei nutrienti in superficie causati dall’upwelling.
Questa anomalia termica si ripercuote sulla circolazione globale delle masse
d’aria sovrastanti la superficie marina, portando alla scomparsa della zona di alta
pressione sulle coste americane e alla formazione di un centro depressionario sul
Pacifico Centrale, che provoca intense piogge in regioni solitamente semi-desertiche dell’America Latina.
Al contrario, in prossimità delle coste dell’Indonesia e dell’Australia si forma
una zona di alta pressione che provoca siccità prolungata e un aumento della
frequenza di incendi. In conclusione, fenomeni come El Niño causano un drastico
cambiamento nella distribuzione delle piogge e delle aree di alta e bassa pressione (con siccità in Indonesia e inondazioni in Sud America) che si ripercuote con
‘reazioni a catena’ sul clima dell’intero Pianeta.
La NAO è causata da fenomeni simili nella zona dell’Atlantico compresa tra le
Azzorre e l’Islanda e va ad influenzare il clima di parte dell’America nord-occidentale, dell’Europa e del Mediterraneo.
In condizioni normali, attorno ai 60° di latitudine Nord è presente una zona di
bassa pressione (il ciclone dell’Islanda), mentre attorno ai 30° di latitudine è presente un anticiclone sull’Oceano Atlantico (l’anticiclone delle Azzorre).
L’indice NAO è definito dalla differenza tra l’anomalia barica registrata in Portogallo e quella osservata in Islanda durante il periodo invernale. Nel caso in cui
l’indice NAO è positivo, l’anticiclone delle Azzorre è particolarmente intenso e
tende ad invadere il Mediterraneo (compresa l’Italia) portando a tempo stabile
anche durante l’inverno.
Al contrario, negli anni in cui l’indice NAO è negativo l’anticiclone è particolarmente debole e tende a ritirarsi verso Sud-Ovest permettendo alle perturbazioni
atlantiche di invadere il Mediterraneo. Questa situazione porta a condizioni di
tempo instabile tipiche del periodo invernale.
A partire dalla metà degli anni ’80 è stato osservato un incremento della frequenza di inverni con indice NAO positivo, con una riduzione delle piogge invernali che risultano concentrate in periodi sempre più limitati e a carattere spesso
torrenziale.
Fenomeni come El Niño e la NAO sono stati osservati fin dall’antichità, tuttavia a partire dalla prima metà degli anni ’70 è stato registrato un incremento di
frequenza, persistenza e intensità di questi fenomeni che gli scienziati hanno
attribuito in parte ai cambiamenti climatici in atto.
Da questa analisi emerge come le variazioni termiche della superficie marina
possano avere un ruolo determinante nell’influenzare il clima di vaste regioni della Terra, modificando anche radicalmente la situazione attuale.
196
V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali
Cambiamenti climatici ed eventi meteo-marini estremi
Gli studi condotti dall’IPCC hanno cercato di stabilire un’eventuale relazione tra
cambiamenti climatici ed aumento della frequenza di eventi meteorologici estremi. In particolare, è stato osservato come le variazioni di circolazione delle grandi
masse d’aria e d’acqua, possano modificare la distribuzione e la frequenza di
eventi estremi sulla Terra.
Si presume che in molte zone della Terra si potrà verificare un incremento delle
intensità delle piogge e dei fenomeni meteorologici più violenti (come tempeste
ed uragani) con conseguente aumento anche delle inondazioni e dei fenomeni
erosivi, mentre in altre aree si potrà assistere ad una sensibile riduzione dell’umidità con fenomeni di siccità ed intense ondate di calore che aumenteranno il
rischio di desertificazione.
Le analisi storiche e statistiche non sono ancora in grado di fornire delle risposte certe sulla relazione esistente tra cambiamenti climatici ed eventi estremi,
sebbene vi siano già una serie di indicazioni che fanno presupporre che i cambiamenti in atto possano effettivamente causare un incremento della frequenza di
fenomeni atmosferici particolarmente violenti.
I principi su cui si basano questi presupposti sono legati soprattutto al fatto
che l’aumento delle temperature può portare ad un incremento dell’evapotraspirazione e permettere all’atmosfera di contenere un maggiore quantitativo di vapore acqueo (circa 6% in più per ogni grado centigrado di aumento).
L’incremento del vapore acqueo nell’atmosfera, in seguito a condensazione,
potrebbe portare ad un aumento delle precipitazioni di forte intensità. È stato
inoltre evidenziato come l’incremento delle temperature abbia un effetto moltiplicatore sulla probabilità di verificarsi di un evento estremo, per cui in periodi durante i quali sono state osservate temperature del mare superiori alla norma sono
stati registrati frequentemente anche eventi meteorologici di forte intensità.
I cambiamenti climatici potrebbero quindi provocare un aumento della frequenza di eventi meteo-marini estremi, quali uragani, tempeste, burrasche e temporali
marini molto intensi, con conseguente incremento anche dei fenomeni di inondazione e di erosione costiera.
In realtà, negli ultimi anni non abbiamo assistito tanto ad un aumento del numero di tempeste, ma piuttosto ad un incremento della loro violenza ed intensità.
Ad esempio, nel dicembre 1999 si sono verificate una serie di tempeste che, sviluppatesi sull’Atlantico, hanno investito gran parte dell’Europa nord-occidentale
e, in particolare, le coste francesi, islandesi e danesi, dove sono stati registrati i
valori più alti di intensità del vento mai osservati in tali zone (raggiungendo anche
punte di 190 km h-1).
Sulla costa americana l’uragano Mitch ha investito l’America centrale nel 1998
ed è risultato uno degli eventi più catastrofici dell’intero secolo. Tra gli eventi più
recenti, in gennaio 2004 il ciclone Heta ha devastato la piccola isola di Niue (di
soli 260 km2) con venti che hanno raggiunto velocità di circa 300 km h-1 e onde
gigantesche, mentre in settembre 2004 il ciclone Jeanne ha colpito l’isola di Haiti
provocando oltre 2000 morti.
Queste ed altre osservazioni e lo studio di modelli ad alta risoluzione suggeriscono che i picchi di intensità del vento e delle precipitazioni associati ai cicloni
tropicali sono probabilmente in aumento in alcune aree della Terra. Gli eventi
piovosi di forte intensità e le storm surges possono causare allagamenti, anche
perché l’incremento del livello del mare e le piogge intense ostacolano il deflusso
dei fiumi in mare e provocano il loro straripamento.
I dati registrati durante il XX secolo indicano un incremento degli episodi che
197
Appunti di meteorologia marina
hanno provocato allagamenti in Europa (alluvioni improvvise o flush floods, straripamento dei fiumi e storm surges) e si prevede che la loro frequenza possa
ulteriormente aumentare nei prossimi anni (figura 133).
Un aumento della frequenza e/o dell’intensità degli eventi estremi avrebbe notevoli conseguenze anche sul piano economico. Per avere un’idea dei possibili danni
economici, alcuni studi dell’IPCC hanno già riscontrato un chiaro incremento del
numero e delle conseguenti perdite economiche associate ad eventi climatici catastrofici (figura 134). In particolare, le perdite economiche associate a questi eventi
sono aumentate su scala globale di circa dieci volte ed in maniera nettamente più
veloce rispetto all’inflazione. La quota assicurata di queste perdite è aumentata da
valori trascurabili a circa il 23% negli anni ’90.
Questo andamento dei costi è da attribuire in parte ai cambiamenti socio-economici (crescita della popolazione, urbanizzazione in aree vulnerabili) e in parte ai
fattori climatici (inondazioni, cambiamento del regime pluviometrico).
Figura 133 - Numero di eventi che hanno causato allagamenti in Europa
(Fonte: EEA Report - Impacts of EuropÈs Changing Climate, 2004).
Figura 134 - Perdite economiche associate ad eventi climatici estremi. I valori riportati
sono stati corretti per l’inflazione. Fonte: IPCC, 2001.
198
V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali
In conclusione, nonostante la casistica sia ancora limitata ed i fattori in gioco
estremamente numerosi e variabili, è certo che la destabilizzazione del clima
porterà ad una serie di risposte ‘non lineari’ che rendono difficile poter effettuare
previsioni attendibili. Di fronte a questa realtà in continuo divenire, l’uomo si
trova al centro di un complesso meccanismo di azioni e risposte di feed-back che
potranno causare effetti del tutto improvvisi ed inaspettati.
Impatto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini
Gli ecosistemi marini risultano fortemente coinvolti nelle variazioni climatiche
in atto e, in virtù della loro estrema complessità, possono dare luogo ad una serie
di reazioni a catena del tutto imprevedibili.
L’incremento della temperatura media della superficie marina ed i cambiamenti
di direzione e intensità delle correnti, possono alterare la biodiversità faunistica e floristica degli oceani. Infatti, nonostante le biocenosi marine siano sempre
state considerate tendenzialmente stabili, negli ultimi anni si è assistito a delle
sensibili variazioni rispetto a quella che è considerata la naturale variabilità degli
ecosistemi; ad esempio, nelle biocenosi di alcuni mari delle regioni temperate si è
osservato un incremento di specie subtropicali a spese delle specie indigene.
Gli scienziati stanno indagando per cercare di comprendere se e come i cambiamenti climatici possano contribuire a fornire una spiegazione su queste variazioni. In particolare, gli studi in atto stanno cercando di stabilire come le variazioni
di temperatura, salinità e circolazione delle masse d’acqua possano influenzare la
sopravvivenza, il successo riproduttivo, il comportamento e la competizione tra
le specie indigene e le specie provenienti da differenti areali. Uno dei principali
aspetti studiati dai ricercatori è l’effetto della temperatura sul ciclo biologico delle
principali specie ittiche e, in particolare, sulla riproduzione. Nella tabella 12 viene
mostrato come l’intervallo di temperatura ottimale per la deposizione delle uova
vari a seconda della specie in studio, perciò un cambiamento della temperatura
dei mari potrebbe modificare sensibilmente la distribuzione di specie ittiche che
assumono un’importanza rilevante sia dal punto di vista ecologico che economico.
I cambiamenti climatici potranno causare la migrazione di specie anche a notevoli distanze dagli areali di origine e, qualora questi spostamenti non fossero possibili o risultassero eccessivamente lenti rispetto alle modifiche climatiche in atto,
si potrebbe assistere all’estinzione di alcune specie o di intere biocenosi.
Specie
Area
Temperatura di deposizione
delle uova (°C)
Merluzzo
Atlantico del Nord
Mare della Groenlandia
Mare di Barents
0.4-7
Sgombro
Atlantico Nord-Ovest
10-15
Sardina del Pacifico
Pacifico
14-16
Sardina
Africa Sud-Ovest
15-19.5
Acciuga
Mar Mediterraneo
Atlantico
Giappone
Argentina
13-29
13-17.5
11-29
10-17
Aringa
Mare del Nord
Mar Baltico
Islanda
6-13 (autunno)
6-11 (primavera)
5-9 (primavera)
Tabella 12 - Areale di distribuzione ed intervallo di temperatura di esposizione
delle uova di alcune delle principali specie ittiche.
199
Appunti di meteorologia marina
Questi processi potranno portare ad un inquinamento biologico delle acque,
favorendo la proliferazione di organismi infestanti e modificando la biodivesità
degli ecosistemi marino-costieri. In particolare, i disequilibri che si verranno a
creare negli ecosistemi marini sono attesi causare una riduzione di biodiversità.
In Europa è stato osservato uno spostamento verso Nord delle specie di zooplancton e di altre specie tipiche delle regioni temperate. Nel Mare del Nord,
ad esempio, si è assistito ad un aumento di specie di zooplancton caratteristiche
di regioni più calde a discapito di altre specie tipiche di ambienti più freddi che in
passato popolavano questo mare (figura 135).
Figura 135 - Cambiamento nella composizione in specie di zooplancton nel Mare del Nord.
(fonte: EEA Report - Impacts of EuropÈs Changing Climate, 2004).
È stato inoltre dimostrato come l’aumento di solo 1°C delle temperature delle
acque, specialmente se associato anche ad altri fenomeni di stress (inquinamento
delle acque), può causare il cosiddetto ‘imbiancamento’ dei coralli, in seguito
alla morte delle alghe simbionanti o, addirittura, la loro stessa morte. Le barriere
coralline svolgono un ruolo fondamentale per la protezione delle coste da fenomeni erosivi e, pur coprendo solo l’1% circa della superficie della Terra, mostrano
un’elevata ricchezza biologica ospitando circa il 4-5% delle specie, poiché sono
fonte di cibo e di rifugio per numerose varietà di pesci e invertebrati.
La temperatura ottimale per la crescita dei coralli si aggira intorno ai 25-28°C,
perciò le barriere coralline sono considerate tra gli ecosistemi marini più vulnerabili ai cambiamenti climatici in atto.
Il riscaldamento delle acque ha già provocato la morte di circa il 50-98% delle
barriere coralline in una fascia di mare compresa tra il Mozambico del Nord e l’Indonesia e si teme che il processo possa non arrestarsi.
Molti ricercatori ritengono anche che l’incremento delle temperature del mare
possa provocare un aumento dell’eutrofizzazione e della formazione di mucillagini, comportando notevoli danni a livello biologico, economico e sanitario.
L’eutrofizzazione è causata essenzialmente dall’immissione in mare di sostanze
ad effetto fertilizzante (in particolare fosforo ed azoto) che provocano, in una
prima fase, una proliferazione anomala di microalghe che, decomponendosi, consumano l’ossigeno disciolto in acqua e, quindi, provocano la morte di organismi
che vivono sui fondali.
Questo fenomeno potrà essere esasperato dall’innalzarsi delle temperature
delle acque, che favorisce la crescita e lo sviluppo di microalghe termofile (aman-
200
V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali
ti del caldo). Anche la formazione delle mucillagini può essere influenzata dai
cambiamenti climatici; infatti, l’innalzamento termico favorisce il ristagno delle
acque, con conseguente accumulo ed affioramento di materiale mucillaginoso
naturalmente prodotto.
Le variazioni termiche potranno causare anche cambiamenti quali-quantitativi dei nutrienti e della produttività primaria, con conseguenze su tutta la
catena alimentare marina. Ad esempio, le variazioni termiche e di salinità si ripercuoteranno inevitabilmente sulle correnti marine profonde e superficiali, causando sensibili cambiamenti sulla distribuzione delle sostanze nutritive negli oceani
e, quindi, sul numero ed il tipo di specie animali e vegetali presenti.
Non è stato ancora chiarito come le correnti di risalita (upwelling) potranno
essere influenzate dai cambiamenti climatici, sebbene si tema che gli effetti dei
cambiamenti sulla circolazione oceanica possano causare un indebolimento dei
fenomeni di risalita delle acque profonde e del rinnovo superficiale dei nutrienti.
L’aumento della temperatura del mare determina anche un cambiamento della
biomassa di fitoplancton e della durata della stagione di crescita.
In particolare, è stato messo in evidenza come durante le ultime decadi la biomassa di fitoplancton e la durata della stagione di crescita siano aumentate nel
Mare del Nord e nell’Atlantico del Nord (fonte: EEA Report, Impacts of Europès
Changing Climate, 2004). Questi effetti, oltre ad avere notevoli ripercussioni sulla
produttività primaria, sul ciclo del carbonio e sulla distribuzione e ricchezza delle
specie marine, modificheranno le aree di pesca del nostro Pianeta con notevoli
ripercussioni a livello socio-economico.
Analisi delle variazioni climatiche in atto nel Mediterraneo
Il bacino del Mediterraneo risulta una delle aree maggiormente vulnerabili ai
cambiamenti climatici, sia per le caratteristiche naturali del suo clima che per
l’elevata densità di popolazione localizzata sulle regioni costiere. L’Italia rappresenta uno tra i Paesi del Mediterraneo in cui la situazione risulta particolarmente
critica, essendo già soggetta a fenomeni di dissesto idrogeologico del territorio
e ad uno sfruttamento eccessivo dei litorali.
Di seguito riportiamo le variazioni climatiche registrate durante il XX secolo ed
i possibili scenari futuri nel Mediterraneo e, in particolare, in Italia (fonte: contributo ENEA alla Terza Comunicazione Nazionale dell’Italia alla UNFCCC).
Figura 136 - Serie storica
della variazione della
temperatura superficiale
del Mar Tirreno in agosto.
201
Appunti di meteorologia marina
Variazione della temperatura dell’aria e dell’evapotraspirazione (1865-1996)
¿ aumento delle temperature massime e minime mensili
¿ aumento dell’evapotraspirazione nelle regioni centro-meridionali.
L’aumento delle temperature massime in Italia è stato di circa 0.6°C nelle regioni settentrionali e di 0.8°C in quelle centro-meridionali, mentre per quanto riguarda le temperature
minime l’aumento è stato rispettivamente di 0.4°C e di 0.7°C. L’aumento termico è risultato
particolarmente evidente durante la stagione invernale. L’aumento dell’evapotraspirazione
nelle regioni centro-meridionali, associato alla riduzione delle precipitazioni, ha portato ad
un’accelerazione dei fenomeni di riscaldamento e dei processi di aridità e desertificazione.
Variazione delle precipitazioni (1951- 1996)
¿
diminuzione delle precipitazioni totali sull’intero territorio italiano, ma con tendenza
più accentuata per le regioni centro-meridionali rispetto alle settentrionali;
¿
diminuzione dei giorni di pioggia su tutto il territorio nazionale di circa il 14%, con
una riduzione più accentuata in inverno rispetto alle altre stagioni;
¿
aumento generale dell’intensità delle piogge e diminuzione della loro durata.
Variazione del livello e della temperatura del mare
Il livello medio marino globale è andato progressivamente aumentando durante il XX
secolo di circa 1-2 mm all’anno. Tuttavia, il Mediterraneo presenta un comportamento che si
discosta dalla media, mostrando, dopo un primo periodo di innalzamento, una fase in cui il
livello del mare si è mantenuto più o meno stazionario. La spiegazione di questo fenomeno
può essere attribuita a due cause principali:
- la variazione della frequenza e dell’intensità dei cicloni extratropicali che hanno causato un incremento delle situazioni anticicloniche (di alta pressione) sul Mediterraneo con
conseguente ‘schiacciamento’ della superficie marina
- l’aumento dell’evaporazione delle acque del Mediterraneo e la diminuzione dell’apporto idrico da parte dei corsi d’acqua dolce, con conseguente diminuzione del livello del
mare ed aumento della sua salinità. L’incremento della salinità provoca anche un aumento
della densità delle acque mediterranee, impedendo alle acque atlantiche meno salate di
penetrare nel Mediterraneo attraverso lo Stretto di Gibilterra.
Un’altra conseguenza dei cambiamenti climatici nell’area mediterranea è l’aumento delle temperature medie della superficie marina. In particolare, il bacino del Mediterraneo
è soggetto ad un sensibile incremento della temperatura superficiale marina (SST), come
attesta il trend crescente della SST osservato nei nostri mari dal 1970 ad oggi (figura 137).
Nelle ultime estati si sono registrate temperature anche di 27-28°C e nei mesi di giugno-luglio 2003 le temperature estive del Mar Tirreno sono risultate di 3°C superiori rispetto alle
medie stagionali, con anomalie termiche anche di 6°C oltre la media.
La temperatura del Mediterraneo durante il 2003 è risultata in genere la più alta negli
ultimi 3000 anni, tanto da far parlare di ‘tropicalizzazione’ del Mediterraneo. Questo dato
è estremamente preoccupante se si considera che 27°C è considerato il valore soglia della
temperatura del mare per la formazione degli uragani e che un cambiamento così drastico
delle temperature si rifletterà inevitabilmente sulla composizione delle biocenosi e sui complessi equilibri dei nostri mari.
202
V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali
Effetti dei cambiamenti climatici sugli eventi meteorologici estremi
L’incremento delle temperature medie superficiali del Mar Mediterraneo è associato ad un aumento dei tassi di evaporazione e ad una variazione dell’instabilità
convettiva dell’atmosfera, con conseguente aumento del rischio di alluvioni e allagamenti. Ad esempio, le anomalie termiche del Mar Tirreno durante il periodo
di ottobre (con temperature prossime a 26°C) sono risultate associate ad eventi di
pioggia molto intensi, avvicinandosi a quei fenomeni di estrema violenza che si
osservano in prossimità dei Tropici.
Studi compiuti dall’IBIMET-CNR hanno inoltre messo in evidenza una stretta
relazione tra la frequenza dei giorni di pioggia oltre la soglia di 50 mm al giorno
registrati a Firenze e la temperatura media superficiale del Mediterraneo occidentale da marzo a dicembre (figura 137).
Figura 137 - Relazione tra la frequenza di eventi di pioggia a Firenze con intensità
superiore ai 50 mm al giorno e la temperature media superficiale del Mediterraneo
occidentale da marzo a dicembre (Fonte: dati IBIMET-CNR.).
Effetti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marino-costieri
L’aumento della temperatura delle acque del Mediterraneo può esercitare
effetti diretti ed indiretti sulle principali biocenosi marine. Gli effetti diretti
sono causati principalmente dall’influenza della temperatura sulla sopravvivenza,
sul successo riproduttivo, sul comportamento e sui meccanismi competitivi degli
organismi animali e vegetali che popolano il Mediterraneo, mentre gli effetti indiretti sono principalmente causati dai cambiamenti nella circolazione delle acque
(correnti marine superficiali e profonde).
Uno dei principali effetti di questi cambiamenti nel Mediterraneo consiste in
una variazione di composizione in specie delle biocenosi marine, con un incremento di specie ittiche tipicamente tropicali o caratteristiche di biocenosi di
acque più calde (First SINAPSI Workshop – Seasonal, interannual and decadal variability of the atmosphere, oceans and related marine ecosystems, Archo. Oceanogr. Limnol., 22, 2001).
Nelle regioni settentrionali del Mediterraneo è aumentata la cattura di specie
ittiche tipiche di regioni più meridionali, quali Thalassoma pavo, Sardinella aurata, Pomadasys incinus, Sphyraena sphyraena, Pomatosus saltator, Tetrapturus
belone imperialis, ecc., mentre altre specie tipiche di biocenosi di acque più fred-
203
Appunti di meteorologia marina
de quali lo Sprattus sprattus sono divenute progressivamente meno abbondanti.
Numerosi studi hanno indicato anche un incremento del tempo di permanenza
nelle regioni centro-settentrionali del bacino del Mediterraneo di alcune specie
che in passato migravano durante il periodo autunno-invernale verso altre regioni
per trascorrere l’inverno. Di conseguenza il numero di catture di alcune specie è
risultato strettamente associato all’andamento climatico stagionale e soprattutto
alle variazioni della temperatura del mare. Oltre ad uno spostamento verso Nord
di specie già presenti nel bacino del Mediterraneo, negli ultimi anni si è assistito
anche ad una infiltrazione di specie tipicamente tropicali attraverso il Canale di
Suez e lo Stretto di Gibilterra.
Attraverso il Canale di Suez sarebbero passate circa 56 specie originarie del
Mar Rosso, quali i barracuda atlantici ed il pesce palla. Anche alcune alghe, quali la Caulerpa taxifolia di provenienza caraibica, sono riuscite a diffondersi e a
proliferare nel Mediterraneo, raggiungendo un’espansione superiore a quella dei
luoghi di origine (circa 13000 ha di superficie).
Le variazioni termiche possono influenzare, oltre a singole specie, intere biocenosi marine del Mediterraneo. Ad esempio, il degrado delle praterie di Posidonia
osservato in molte zone del Mediterraneo può essere causato, oltre che dall’inquinamento delle acque, da interventi antropici e dal naturale declino di questa
specie, anche dai cambiamenti climatici in atto. Bianchi e Morri (2001) hanno
osservato una variazione parallela della densità delle praterie di Posidonia di Monterosso e la temperatura media dell’aria di Genova dal 1992 al 1997. Le praterie
di Posidonia presentano un’elevata ricchezza di specie, per cui il loro degrado può
portare a grossi sconvolgimenti a diversi livelli trofici della catena alimentare.
Queste osservazioni hanno aperto una serie di interrogativi sugli effetti dei
cambiamenti climatici sulle biocenosi mediterranee. In particolare, gli studi recenti hanno sottolineato la necessità di considerare le interazioni tra cambiamenti
climatici, inquinamento delle acque ed altre azioni antropiche per spiegare le
variazioni nelle popolazioni animali e vegetali che stanno avvenendo nel Mediterraneo.
I cambiamenti climatici possono influenzare anche i fenomeni di eutrofizzazione e di formazione ed accumulo di mucillagini, che stanno assumendo
sempre maggiore rilevanza nei mari italiani e, in particolare, nell’Adriatico. Lo
studio di questi fenomeni è difficoltoso a causa della loro complessità, poiché
sono regolati da un numero considerevole di fattori.
In particolare, l’eutrofizzazione è strettamente associata all’inquinamento delle
acque e, quindi, allo scarico di sostanze fertilizzanti in mare; tuttavia, si ritiene
che l’incremento della temperatura del Mediterraneo possa favorire la proliferazione delle alghe che è alla base del fenomeno di eutrofizzazione.
Anche l’incremento delle mucillagini nell’Adriatico può essere in qualche modo
associato ai cambiamenti climatici in atto. Le mucillagini da un punto di vista
chimico non sono altro che dei polisaccaridi di origine biologica (in particolare
essudati di diatomee e fitoflagellati) che tendono ad affiorare in superficie.
Questo fenomeno risulta accentuato nel Mare Adriatico, sia per la sua scarsa
profondità che per il riscaldamento in atto (soprattutto in periodo estivo) che favoriscono il ristagno e l’affioramento superficiale delle mucillagini.
Questi rappresentano solo alcuni degli esempi in cui i cambiamenti climatici
possono intervenire modificando i complessi equilibri biologici del Mediterraneo.
Tuttavia, bisogna considerare che qualsiasi cambiamento si rifletterà inevitabilmente sull’intero ecosistema nella sua complessità, con risultati difficilmente prevedibili.
204
V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali
Scenari futuri
Gli scenari futuri che riguardano il Mediterraneo sono soggetti a notevoli incertezze, soprattutto per le difficoltà di prevedere quelli che saranno i cambiamenti a
livello socio-economico e la capacità di adattamento dei sistemi mediterranei alle
variazioni climatiche. Queste difficoltà sono rese accentuate dall’estrema complessità dei sistemi mediterranei, caratterizzati da un’ampia varietà di situazioni
ambientali, sociali ed infrastrutturali e da una ricchezza del patrimonio storico
ed artistico-culturale unica nel suo genere che li rende particolarmente vulnerabili. Nonostante queste incertezze, i principali problemi che gli scenari futuri
sembrano prospettare riguardano soprattutto un cambiamento sostanziale del
ciclo idrologico, con un’accentuazione delle differenze di abbondanza d’acqua tra
Nord e Sud Europa e, in Italia, tra le regioni settentrionali e quelle meridionali, che
diventeranno sempre più calde e secche.
Questo fenomeno porterebbe inevitabilmente ad uno spostamento verso le regioni settentrionali di tutti i sistemi ecologici ed ambientali, nonché delle classiche produzioni agricole delle regioni meridionali. L’Europa meridionale, e in
particolare il Mediterraneo, potrebbe quindi andare incontro ad una perdita di
biodiversità e a fenomeni di desertificazione, con ripercussioni notevoli sulle attività produttive (agricoltura ed industria), il turismo, l’urbanizzazione e la saluta
pubblica.
Per quanto riguarda la temperatura in Europa, si prevede che nei prossimi anni
essa continuerà ad aumentare con un ritmo compreso tra 0.1 e 0.4°C per decennio, in particolare modo nell’Europa nord-orientale e nel Mediterraneo.
È attesa inoltre una diminuzione della lunghezza stagionale e degli estremi di
freddo in inverno ed un aumento della lunghezza stagionale e degli estremi di caldo in estate. Le precipitazioni in Europa sono attese aumentare di circa 1-2% per
decade nelle regioni settentrionali e diminuire di circa 1% in quelle meridionali.
Nel Mediterraneo inoltre si assisterà ad una diminuzione dei giorni di pioggia e
ad un incremento della frequenza di precipitazioni intense.
Nonostante sia difficile poter prevedere il verificarsi di eventi meteorologici
estremi, è probabile che i cambiamenti climatici possano portare ad un incremento della frequenza di fenomeni meteorologici di forte intensità, quali alluvioni,
inondazioni, onde di calore e siccità estrema.
Nonostante il livello del mare nel Mediterraneo abbia mostrato un comportamento differente rispetto agli oceani, mantenendosi praticamente stazionario
negli ultimi anni, le stime dell’IPCC prevedono un suo aumento entro il 2090 di
circa 18-30 cm. Questo aumento è stato stimato senza considerare i fenomeni di
subsidenza naturale e potrebbe portare in Italia al rischio di inondazione di circa
4500 chilometri quadrati di aree costiere così distribuite sul territorio nazionale
(contributo ENEA alla Terza Comunicazione Nazionale dell’Italia alla UNFCCC, figura 138):
¿ 25.4 % nell’Italia settentrionale (alto Adriatico)
¿ 5.4 % nell’Italia centrale (medio Adriatico e medio Tirreno)
¿ 62.6 % nell'Italia meridionale (Golfo di Manfredonia, coste tra Taranto e
Brindisi, Sicilia sud-orientale)
¿ 6.6 % in Sardegna.
Il pericolo di inondazioni sarà particolarmente accentuato se, come previsto,
potranno aumentare quei fenomeni meteo-marini estremi accompagnati da forti
mareggiate e storm surges. Le zone costiere basse saranno ovviamente quelle
maggiormente sottoposte al rischio di inondazione, anche perché la pressione
205
Appunti di meteorologia marina
antropica e l’eccessivo sfruttamento dei litorali hanno reso queste zone particolarmente instabili e soggette ad erosione. Fenomeni di inondazione ed erosione
costiera sono già stati riscontrati negli ultimi anni per le coste dell’alto Adriatico
e, in particolare, a Venezia dove i casi di ‘acqua alta’ sono andati aumentando
negli ultimi decenni.
Altre zone del territorio nazionale a rischio di inondazione e/o erosione sono
quelle situate in prossimità delle foci dei fiumi (es. Magra, Arno, Ombrone, Tevere, Volturno, Sele, ecc.), le aree lagunari (come quella di Orbetello) e le coste basse
caratterizzate già da problemi di erosione (Piombino, Tavoliere delle Puglie).
Le zone costiere in Italia assumono un’importanza fondamentale dal punto di
vista socio-economico ed ambientale, poiché sono caratterizzate da un’alta densità di popolazione e da un proliferare di attività produttive e turistico-ricreative,
oltre che da ecosistemi complessi caratterizzati da una elevata biodiversità.
Per questi motivi l’ambiente costiero mediterraneo è da sempre considerato
una delle aree maggiormente vulnerabili ai cambiamenti climatici.
Questa situazione di emergenza necessita che vengano redatte delle apposite
‘carte di vulnerabilità’ del territorio costiero nazionale, in modo da individuare
le zone più critiche e maggiormente soggette al pericolo di erosione ed attuare
opportune strategie di protezione delle nostre coste.
Inoltre, a causa delle notevoli incertezze relative agli scenari futuri ed ai potenziali rischi, è necessario ampliare le nostre conoscenze sugli eventi meteo-marini
e sulle complesse interazioni che caratterizzano l’ambiente marino-costiero mediterraneo ed i suoi ecosistemi.
Figura 138 - Territorio italiano sottoposto al rischio di inondazione previsto entro il 2090
(Fonte: dati ENEA).
206
APPUNTI DI
METEOROLOGIA MARINA
foto
Appendice
Glossario
GLOSSARIO
A
ACQUE MARINE - Insieme delle acque salate che ricoprono la superficie terrestre.
ADIABATICI, PROCESSI DI RAFFREDDAMENTO E RISCALDAMENTO Processi che
provocano una variazione della temperatura
dell’aria senza scambio di calore con l’esterno e che avvengono in seguito all’espansione/compressione delle masse d’aria durante i loro moti ascendenti/discendenti.
ALBEDO - La frazione di energia radiativa che viene riflessa da una superficie.
ALBEDOMETRO - Strumento per la misura dell’albedo.
ALISEI (o VENTI TROPICALI) - Venti
planetari di bassa quota costanti per tutto
l’anno che spirano tra le aree anticicloniche
delle regioni subtropicali e l’Equatore. Vengono deviati per effetto della forza di Coriolis verso destra nell’emisfero boreale e
verso sinistra in quello australe.
ALTEZZA D’ONDA - Distanza verticale
fra il cavo (detto anche ventre o gola) e la
cresta (detta anche dorso) dell’onda.
ALTEZZA MEDIA DELLE ONDE - È determinata dal rapporto tra la sommatoria delle
altezze delle singole onde registrate durante un determinato intervallo temporale ed il
loro numero.
ALTEZZA SIGNIFiCATIVA DELLE ONDE
Viene definita come la media del terzo di
onde più alte registrate durante un determinato intervallo temporale. Questo parametro si ottiene ordinando le onde per altezza
crescente, prendendo il terzo più alto di
esse e facendone la media.
ALTITUDINE - Distanza verticale tra il
livello medio del mare ed un punto (o una
superficie orizzontale) situata nello spazio
atmosferico.
ALTOCUMULI - Nubi cumuliformi degli
strati medi della troposfera (2-6 km di altitudine).
ALTOSTRATI - Nubi stratiformi degli
strati medi della troposfera (2-6 km di altitudine).
AMPIEZZA D’ONDA - Distanza tra il livello medio del mare e la sua cresta (o cavo).
ANEMOMETRO - Strumento per misurare
la velocità del vento che nelle stazioni meteorologiche viene posto generalmente ad
un’altezza dal suolo di 10 m.
ANEMOGONIOMETRO o ANEMOSCOPIO - Strumento per misurare la direzione
del vento.
ANTICICLONE - Area di alta pressione
delimitata solitamente da isobare chiuse,
circolari o ellittiche, che mostra valori di
pressione decrescenti dal centro verso la
periferia. Le aree anticicloniche sono caratterizzate da una circolazione spiraliforme
del vento che diverge dal centro verso la periferia (in senso orario nell’emisfero boreale
e antiorario in quello australe).
ARCOBALENO - Fenomeno ottico generato dalla rifrazione e riflessione interna di un
raggio di luce solare che attraversa uno strato di goccioline d’acqua sospese in aria. Da
ogni gocciolina fuoriescono i raggi di luce
secondo sette differenti angolature (raggi di
Descarte), ognuna delle quali corrisponde a
un diverso colore (i colori dell’iride).
ARIA - Miscela di gas incolori, inodori e
insapori che costituiscono l’atmosfera terrestre, tra cui i principali sono l’azoto (78%),
l’ossigeno (21%), l’argon (0.95%) e l’anidride
carbonica (0.03%).
ASTA IDROMETRICA - Asta graduata,
generalmente in plexiglass, che permette di
registrare le variazioni di livello della superficie marina.
ATMOSFERA TERRESTRE - Involucro
gassoso soggetto alla forza gravitazionale
che circonda la Terra.
AURORE POLARI - Fenomeni luminosi
che si verificano nella termosfera in seguito
alla collisione tra particele ionizzate emesse
dal Sole e i gas (azoto ed ossigeno) preesistenti in questo strato dell’atmosfera.
AVVEZIONE - Trasporto orizzontale di
masse d’aria.
AVVEZIONE, NEBBIA DI - Formazione di
nebbia in seguito allo spostamento di masse
d’aria calde ed umide sopra superfici fredde
terrestri, marine o lacustri.
B
BANCHISA - Strato continuo di ghiaccio
che si forma sulla superficie marina nelle regioni circumpolari.
BAROMETRO - Strumento per misurare
la pressione atmosferica.
BAROMETRO A MERCURIO - Strumento
per misurare la pressione atmosferica costituito da una vaschetta contenente mercurio
e da una canna di vetro con annessa una
scala graduata.
BAROMETRO ANEROIDE - Strumento per
misurare la pressione atmosferica costituito
209
Appunti di meteorologia marina
da una capsula metallica con pareti di lamiera ondulata. Le deformazioni della capsula,
al cui interno c’è il vuoto, vengono amplificate da un sistema di leve e trasmesse ad un
indice mobile su una scala graduata.
BATITERMOGRAFO - Strumento meccanico registratore che consente di registrare
le temperature del mare a differenti profondità.
BIOCENOSI - Insieme di organismi viventi animali e vegetali che coabitano in un determinato luogo interagendo tra loro.
BIODIVERSITA’ - Diversità biologica, intesa come variabilità di organismi viventi
(marini e/o terrestri) che vivono su un determinato territorio.
BOE ACCELEROMETRICHE - Boe galleggianti sulla superficie marina utilizzate per
misurare le caratteristiche del moto ondoso
(altezza dell’onda, direzione di provenienza, ecc.). Questi strumenti sono dotati di appositi sensori (accelerometri) che misurano
l’accelerazione verticale subita dalla boa in
seguito al passaggio dell’onda.
BORA - Vento freddo ed intenso proveniente da NE che spira a raffiche.
BREZZE - Venti periodici ad andamento
diurno che si originano per compensare le
differenze di temperatura e pressione che
si stabiliscono tra terra e mare (brezza di
mare e brezza di terra) o tra monti e pianura
(brezza di monte e brezza di valle).
BRINA - Formazione di minuscoli cristalli
di ghiaccio in seguito al congelamento del
vapore acqueo dell’aria (sublimazione) a
contatto con superfici a temperature inferiori a 0°C.
BURRASCA - Perturbazione atmosferica
con caratteristiche simili alla tempesta (si
veda voce tempesta), ma rispetto alla quale
presenta venti di minore intensità (gradi 8 e
9 della Scala di Beaufort).
BUYS-BALLOT, LEGGE DI - Le masse
d’aria in movimento vengono deviate fino a
portarsi in direzione quasi parallela a quella
delle isobare ed in modo che un ipotetico
osservatore con le spalle al vento abbia la
bassa pressione sulla sinistra nell’emisfero
boreale e sulla destra nell’emisfero australe.
C
CALORE LATENTE DI CONDENSAZIONE
Quantità di calore che viene liberata da 1
grammo di acqua durante il passaggio dallo stato gassoso a quello liquido (condensazione). Esso è pari a circa 600 calorie (o
2500 joule).
210
CALORE LATENTE DI EVAPORAZIONE
Quantità di calore che occorre fornire a 1
grammo di acqua per farla passare dallo
stato liquido a quello gassoso (evaporazione). Esso è pari a circa 600 calorie (o 2500
joule).
CALORE LATENTE DI FUSIONE - Quantità di calore che occorre fornire a 1 grammo
di acqua per farla passare dallo stato solido
a quello liquido.
CAMBIAMENTI CLIMATICI - Qualunque
variazione del clima causata da fattori naturali o antropici. Con questo termine la
Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui
Cambiamenti Climatici (UNFCCC) intende i
cambiamenti del clima che possono essere
attribuiti direttamente o indirettamente alle
attività antropiche, che alterano la composizione chimica dell’atmosfera, in aggiunta
alla naturale variabilità climatica.
CAPACITA’ TERMICA - Grandezza che
esprime la capacità della materia di acquisire o cedere calore; corrisponde alla quantità di calore necessaria ad elevare di 1°C
la temperatura di un corpo. Il suolo ha una
capacità termica inferiore rispetto all’acqua,
per cui le terreferme tendono a riscaldarsi
più rapidamente e più velocemente cedono
il calore assorbito rispetto ai mari.
CAPANNINA METEOROLOGICA - Stazione meteorologica costituita da una struttura
con pareti in legno e tetto ad intercapedine
d’aria con lastra di zinco che consente una
buona ventilazione ed impedisce l’ingresso
di acqua piovana.
CAPSULE OLOSTERICHE o ANEROIDI
Capsule contenenti un gas di riferimento
mantenuto a pressione costante (1013.25
mbar) dotate di una membrana elastica che
si contrae o si espande in funzione della differenza di pressione tra l’interno e l’esterno
della capsula.
CARBON SINKS - Con questo termine si
indicano genericamente gli ‘assorbitori di
carbonio’, quali le foreste e i terreni agricoli
coltivati, che nell’ambito del Protocollo di
Kyoto sono considerati serbatoi potenziali
per aumentare l’assorbimento della CO2 atmosferica da parte del sistema Terra.
CARTE SINOTTICHE - Carte meteorologiche in cui vengono riportate le osservazione
effettuate nello stesso tempo da tutte le stazioni di una rete meteorologica mondiale.
CAVO, GOLA o VENTRE DELL’ONDA Parte più bassa dell’onda.
CELLA CONVETTIVA - Circolazione elementare delle masse d’aria: dalle zone ci-
Glossario
cloniche le masse d’aria salgono in quota, si
raffreddano e, giunte nella parte alta della
troposfera, si dirigono con moto orizzontale verso le zone anticicloniche, ove discendono al suolo per convergere nuovamente
verso le zone di bassa pressione chiudendo
il ciclo. La più nota cella convettiva su scala
planetaria è la cella di Hadley (o cella tropicale) che al suolo origina gli Alisei. Altre
celle convettive sono la cella di Ferrel (o delle medie latitudini) e la cella polare che al
suolo originano rispettivamente i venti occidentali ed i venti polari.
CENTRALE MAREOMOTRICE - Centrale
elettrica che sfrutta il dislivello tra alta e
bassa marea per azionare apposite turbine
a propulsore.
CICLONE o DEPRESSIONE - Area di bassa
pressione delimitata solitamente da isobare
chiuse, circolari o ellittiche, che mostra valori di pressione crescenti dal centro verso
la periferia. Le aree cicloniche sono caratterizzate da una circolazione spiraliforme del
vento che converge dalla periferia verso il
centro (in senso antiorario nell’emisfero boreale e orario in quello australe).
CICLONE TROPICALE - Perturbazione
tropicale accompagnata da venti rotazionali
ed ascensionali di forte intensità che possono provocare danni ingenti a cose e persone. A seconda della zona può essere chiamato uragano (Atlantico del Nord e Caraibi),
tifone (Estremo Oriente e Pacifico) e willy
willy (Australia). Ha origine generalmente a
latitudini comprese tra 5° e 15° dove si trovano le condizioni necessarie affinché si formi, quali temperature superficiali del mare
superiori ai 26°C e assenza di vento (calme
equatoriali).
CICLONE EXTRATROPICALE - Perturbazione tipica delle medie latitudini che si origina in seguito allo scontro tra masse d’aria
fredda di origine polare e masse d’aria calda
proveniente dai Tropici. In determinate condizioni le due masse d’aria assumono moto
vorticoso attorno ad un centro comune di
bassa pressione originando i cicloni extratropicali.
CIRRI - Nubi fini e bianche di aspetto
fibroso caratteristiche degli strati alti della
troposfera (tra i 6 km ed il limite superiore
della troposfera).
CIRROCUMULI - Nubi cumuliformi caratteristiche degli strati alti dell’atmosfera (tra
i 6 km ed il limite superiore della troposfera). Generalmente annunciano aria instabile
e l’arrivo di una perturbazione (‘cielo a pecorelle’).
CIRROSTRATI - Nubi stratiformi caratteristiche degli strati alti dell’atmosfera (tra i 6
km ed il limite superiore della troposfera).
CLIMA - Insieme dei fenomeni meteorologici che caratterizzano lo stato medio dell’atmosfera in un determinato punto della
superficie terrestre. La scienza che si occupa dello studio del clima prende il nome di
climatologia.
CLOROFLUOROCARBURI (CFC) - Composti chimici di origine antropica formati da
cloro, fluoro e carbonio che agiscono come
gas-serra nella troposfera e sono responsabili della parziale distruzione dell’ozono
nella stratosfera. Sono stati molto utilizzati
nel passato come gas refrigeranti e come
propellenti nelle bombolette spray.
COALESCENZA - Processo che permette
la formazione e la crescita delle gocce di
pioggia in seguito alla fusione per collisione
delle goccioline di acqua presenti all’interno
delle nubi.
COMMISSION FOR MARINE METEOROLOGY (CMM) - Commissione internazionale del WMO responsabile della gestione e
sviluppo del Marine Meteorologial Service
(MMS).
CONDENSAZIONE DEL VAPORE ACQUEO - Processo che permette il passaggio
del vapore acqueo dallo stato gassoso a
quello liquido. La condensazione del vapore
acqueo può avvenire in seguito al raffreddamento di una massa d’aria che si solleva in
quota o durante il passaggio di una massa
d’aria calda ed umida sopra una superficie
fredda.
CONFERENZA DELLE PARTI (COP) Commissione internazionale che si riunisce
annualmente al fine di valutare le azioni intraprese e gli impegni da prendere dai Paesi
membri per ridurre la concentrazione atmosferica dei gas-serra nell’ambito degli accordi della UNFCCC.
CONFiGURAZIONI BARICHE - Aree delimitate da isobare che indicano la presenza
di particolari campi di pressione a terra (anticiclone, ciclone, promontorio, saccatura e
pressione livellata).
CONVERGENZA - Processo che determina la confluenza di masse d’aria provenienti
da differenti direzioni verso una linea o un
punto. La convergenza si verifica ad esempio nelle aree cicloniche in cui l’aria tende
a convergere verso il centro di bassa pressione.
CONVEZIONE - Meccanismo di propagazione del calore nei fluidi per spostamento
211
Appunti di meteorologia marina
delle loro particelle. Il processo con cui l’aria
riscaldandosi diminuisce di densità e tende
a salire in quota si definisce ‘convezione
termica’, mentre il sollevamento in quota indotto dal superamento di ostacoli orografici
viene indicato come ‘convezione forzata’.
CORRENTI A GETTO (JET STREAM) Venti di alta quota che si formano a causa
delle forti differenze di temperatura e pressione ad elevate altitudini (sopra i 9 km).
Possono raggiungere velocità di 300 Km h-1
ed agire per migliaia di chilometri.
CORRENTI MARINE - Spostamenti orizzontali di masse d’acqua secondo direzioni
più o meno costanti (correnti continue) o
variabili nel tempo (correnti periodiche). Si
distinguono correnti superficiali ( correnti di
deriva) e correnti profonde ( correnti di densità o termoaline). Le prime sono causate
essenzialmente dall’azione del vento sugli
strati più superficiali dell’acqua (fino a 200
m di profondità), le seconde si generano a
causa delle differenze di salinità e temperatura e quindi di densità, tra le masse d’acqua oceaniche. Altre tipologie di correnti
sono quelle di pendio e quelle di marea.
CORRENTI DI MAREA - Correnti marine generate dalla variazione del livello del
mare associato alle maree, possono essere
considerate un tipo particolare di corrente
di pendio.
CORRENTI DI PENDIO - Correnti marine
che si originano per compensare la differenza di livello della superficie marina tra due
aree contigue. Il dislivello può essere dovuto
all’azione del vento oppure della pressione
atmosferica sulla superficie del mare.
CORRENTOMETRI - Strumenti per misurare la velocità delle correnti.
COSTANTE SOLARE - Quantità di energia solare che giunge al limite esterno dell’atmosfera, corrispondente a 1367 ± 0.07
kW m-2.
CRESTA o DORSO DELL’ONDA - Parte
più elevata di un’onda.
CUMULI - Nubi degli strati bassi della troposfera a sviluppo verticale e con la sommità
espansa e dotata di estese protuberanze. Il
cumulo congesto è facilmente riconoscibile
per le sue protuberanze a forma di cavolfiore e per la sua maggiore estensione rispetto
al cumulo. Questa nube generalmente annuncia l’arrivo di un temporale e talvolta dà
origine a piccoli rovesci.
CUMULONEMBO - Nube a elevato sviluppo verticale che accompagna generalmente
fenomeni temporaleschi caratterizzati da
intense precipitazioni.
212
D
DATA
ACQUISITION
TELEMETRY
TRACKING STATION (DATTS) - Stazione di
telerilevamento situata in Germania vicino
a Darmstadt che riceve le immagini provenienti dal Meteosat.
DENSITA’ DELLE ACQUE MARINE - Rapporto tra la massa in kg e l’unità di volume
dell’acqua in m3. La densità delle acque marine superficiali è determinata dall’interazione tra salinità e temperatura per mezzo
di appositi diagrammi, mentre nel caso di
acque profonde bisogna tenere conto anche
dell’effetto termico associato all’aumento
della pressione idrostatica con la profondità.
DILATAZIONE TERMICA - Fenomeno che
provoca la dilatazione o la contrazione di un
corpo con l’aumentare o il diminuire della
sua temperatura.
DISFOTICA, ZONA - Strato di mare non
illuminato dalle radiazioni solari.
DIVERGENZA - Processo che determina
l’allontanamento delle masse d’aria da un
punto o una linea verso altre direzioni. La
divergenza si verifica ad esempio nelle aree
anticicloniche, di alta pressione, in cui l’aria
tende a spostarsi dal centro verso la periferia.
E
ECOSISTEMA - Complesso dinamico costituito dall’insieme di fattori abiotici e biotici che interagiscono tra loro in una determinata area.
EFFETTO SERRA - Riscaldamento degli
strati bassi dell’atmosfera causato dall’azione di schermo esercitata da alcuni gas troposferici nei confronti delle radiazioni infrarosse termiche provenienti dalla superficie
terrestre.
ELEMENTI E FATTORI DEL TEMPO E
DEL CLIMA - I principali elementi che concorrono a determinare il tempo ed il clima
sono la radiazione solare, la temperatura,
la pressione, i venti, l’umidità, le precipitazioni. Questi elementi, a loro volta, sono
influenzati da una serie di fattori (quali la
latitudine, l’altitudine, la distanza dal mare,
la circolazione atmosferica).
ELIOFANIA - Durata dell’irraggiamento
solare, espressa in ore e frazioni di ora durante le quali il Sole è presente sopra l’orizzonte libero da nubi.Il rapporto percentuale tra l’insolazione reale e quella teorica è
chiamato eliofania relativa.
Glossario
ELIOGRAFO o ELIOFANOGRAFO - Strumento per la misura dell’eliofania.
EL NIÑO SOUTHERN OSCILLATION - Fenomeno causato da un riscaldamento anomalo dell’Oceano Pacifico che determina una
diminuzione della differenza di pressione e
temperatura tra Est e Ovest, con conseguente variazione della circolazione delle masse
d’aria e d’acqua. Nei casi più drammatici
può causare piogge torrenziali sul Pacifico
Centrale e la formazione di uragani.
ENERGIA SOLARE - Rappresenta la fonte principale di energia per il nostro Pianeta, permettendo la fotosintesi clorofilliana,
l’evapotraspirazione ed i movimenti oceanici e delle masse d’aria atmosferiche.
ESCURSIONE TERMICA - Differenza tra il
valore più alto e più basso della temperatura
di un determinato luogo. Può essere riferita
all’intero anno (escursione termica annua) o
a un periodo limitato di tempo (escursione
mensile, giornaliera.
ESOSFERA - Strato dell’atmosfera oltre i
500 km di altitudine in cui i gas tendono a
sfuggire verso lo spazio interplanetario.
ETEROSFERA - Strato dell’atmosfera oltre
i 90 km di altitudine in cui la composizione
chimica varia col variare dell’altezza.
ETTOPASCAL - Unità di misura della
pressione atmosferica in ambito meteorologico adottata dal Sistema Internazionale
delle unità di misura. L’ettopascal si indica
con il simbolo hPa ed è pari a 100 volte il
pascal (Pa).
EUROPEAN SPACE OPERATIONS CENTRE (ESOC) - Centro europeo il cui calcolatore provvede a campionare le immagini
provenienti dal Meteosat, a correggerle geometricamente e ad elaborarle per poi trasmetterle agli utenti.
EUFOTICA, ZONA - Strato di mare illuminato dalle radiazioni solari.
EUROPEAN WEATHER SATELLITE ORGANIZATION (EUMETSAT) -Agenzia che
gestisce i satelliti geostazionari europei.
EURIALINE, SPECIE - Specie animali e
vegetali in grado di adattarsi a condizioni
variabili di salinità.
EUTROFiZZAZIONE - Fenomeno causato
dall’immissione in acqua di sostanze fertilizzanti che provocano una proliferazione
anomala di alghe, le quali decomponendosi
sottraggono ossigeno all’acqua e determinano la morte di organismi animali aerobi.
EVENTI ESTREMI - Eventi meteorologici
che divergono fortemente dalla media.
F
FENG-YUN 1 e 2 - Satelliti artificiali ad
orbita geostazionaria (FY-2) e polare (FY-1)
gestiti dalla Cina.
FETCH - Estensione del tratto di mare, privo di ostacoli significativi, su cui il vento può
soffiare con direzione e velocità invariate.
FÖEHN - vento caldo e secco delle Alpi
che si forma quando una massa d’aria in
movimento incontra un ostacolo orografico.
La massa d’aria è costretta a sollevarsi in
quota perdendo umidità e a scendere lungo il versante sottovento riscaldandosi per
compressione adiabatica. Il fenomeno che
determina l’accumulo di nubi sul versante
sopravvento del rilievo viene indicato con il
nome di Stau, mentre il vento caldo e secco
che si origina sul versante sottovento costituisce il Föehn.
FORZA APPARENTE DI CORIOLIS - La
forza apparente di Coriolis è dovuta alla rotazione terrestre e provoca la deviazione di
una massa d’aria (o un qualsiasi altro corpo)
in movimento sulla Terra. Se il corpo in questione si sposta dall’Equatore verso il Polo
Nord, esso viene deviato a destra rispetto al
meridiano; al contrario, se lo spostamento è
diretto verso il Polo Sud, il corpo viene deviato a sinistra.
FORZA DI ATTRITO - Forza che agisce
in prossimità del suolo e che risulta sempre
proporzionale alla velocità del vento e diretta in senso contrario ad essa. Provoca una
diminuzione della velocità del vento e la sua
deviazione rispetto alla direzione del gradiente barico (perpendicolare alle isobare).
FORZA DI GRADIENTE BARICO - Forza
che origina ed alimenta gli spostamenti delle masse d’aria in direzione perpendicolare
alle isobare (si veda gradiente di pressione
o gradiente barico orizzontale).
FOSCHIA o BRUMA (MIST) - Sospensione
in aria di minuscole goccioline di acqua che
riducono la visibilità. Rispetto alla nebbia le
goccioline sono più piccole e disperse, per
cui la visibilità non viene ridotta al di sotto
di 1 km.
FOTOSINTESI CLOROFiLLIANA - Processo che trasforma l’energia luminosa del Sole
in energia chimica di legame con liberazione di ossigeno libero.
FRANGIMENTO DELLE ONDE - Rottura
dell’onda che può avvenire in acque profonde quando la ripidità supera 1/7, o in acque
basse quando la profondità è circa 1.3 volte
l’altezza dell’onda.
213
Appunti di meteorologia marina
FREQUENZA D’ONDA - È l’inverso del
periodo ed indica il numero di oscillazioni
complete compiute dall’onda nell’unità di
tempo.
FRONTE - Proiezione al suolo della superficie di separazione o di discontinuità (detta
anche superficie frontale) che ha origine dall’incontro tra due masse d’aria con caratteristiche di temperatura ed umidità differenti.
FRONTE CALDO - Si forma quando una
massa d’aria calda avanzando ne raggiunge una di aria fredda. La massa d’aria calda
tende a salire lungo la superficie frontale
raffreddandosi progressivamente e, in seguito a condensazione, origina nubi stratiformi e precipitazioni fini e continue.
FRONTE FREDDO - Si forma quando
una massa d’aria fredda avanzando ne raggiunge una di aria calda. La massa di aria
fredda si incunea sotto quella di aria calda
e la solleva bruscamente verso l’alto dando
luogo lungo tutto il fronte alla formazione
di grandi sistemi nuvolosi cumuliformi che
possono originare precipitazioni anche di
forte intensità
FRONTE OCCLUSO - Si genera quando
il fronte freddo raggiunge quello caldo, per
cui le masse d’aria calda e fredda tendono a
mescolarsi ed a ruotare intorno ad un centro comune di bassa pressione (si veda anche ciclone extratropicale).
FULMINI - Fenomeni luminosi causati da
scariche elettriche fra le nubi e la superficie
terrestre.
G
GAS-SERRA - Insieme di composti gassosi localizzati nella troposfera in grado di
assorbire le radiazioni infrarosse termiche
emesse dalla superficie terrestre. Questi gas
trattengono il calore nella parte bassa dell’atmosfera e sono responsabili del riscaldamento del nostro Pianeta. I principali gasserra sono l’anidride carbonica, il vapore
acqueo, il metano, l’ossido nitroso, l’ozono
ed i clorofluorocarburi.
GEOSTATIONARY OPERATIONAL ENVIRONMENTAL SATELLITE (GOES) - Satelliti
geostazionari gestiti dalla NOAA.
GEOSTATIONARY OPERATIONAL METEOROLOGICAL SATELLITE (GOMS) - Satelliti gesotazionari gestiti dalla Russia.
GLOBAL ATMOSPHERIC RESEARCH
PROGRAMME (GARP) - Programma internazionale del WMO finalizzato a studiare
le fluttuazioni atmosferiche su larga scala,
comprese le interazioni oceano-atmosfera.
214
GLOBAL TELECOMMUNICATION SYSTEM (GTS) - Rete di telecomunicazioni del
WMO finalizzata a favorire la raccolta, lo
scambio e la distribuzione su scala mondiale di informazioni meteorologiche.
GRADIENTE DI PRESSIONE o GRADIENTE BARICO ORIZZONTALE - Rapporto tra
la differenza di pressione tra due punti e la
loro distanza. GRANDINE - Idrometeora caratterizzata
da granuli di ghiaccio rotondeggianti costituiti da strati alterni concentrici di ghiaccio
trasparente ed opaco che si formano in seguito ai moti ascendenti e discendenti all’interno dei cumulonembi.
GRECALE o GRECO - Vento intenso che
spira a raffiche proveniente da Nord-Est.
GROPPO - Perturbazione meteorologica
con improvviso aumento dell’intensità del
vento accompagnata da brusche e temporanee variazioni di direzione del vento e da
precipitazioni. Si trova spesso associato a
temporali o a fronti freddi dotati di rapido
spostamento.
GUST FRONT - In italiano viene indicato
anche come fronte delle raffiche e indica la
parte anteriore di un cumulonembo temporalesco in cui il vento aumenta improvvisamente di intensità.
I
ICE SHEETS - Lastre di ghiaccio che si
formano in mare in seguito al congelamento
dell’acqua in superficie.
ICEBERGS - Grandi blocchi di ghiaccio
galleggianti che possono formarsi in seguito al distacco di ghiaccio dalle calotte polari
o dalle lingue glaciali che sboccano in prossimità dei fiordi della Groenlandia.
IGROMETRO - Strumento per la misura
dell’umidità relativa dell’aria. Si distinguono in funzione del sensore igrometri di tipo
meccanico (es. a fascio di capelli), igrometri
di tipo elettrico (con sensori di tipo resistivo
e capacitivo) e igrometri con sensori a punto
di rugiada.
INDICE UV - Parametro biometeorologico
che esprime il rischio associato all’esposizione diretta ai raggi del Sole. L’indice UV
varia da 1 a 12.
INFRAROSSO TERMICO (IR) - Componente dello spettro elettromagnetico costituita da radiazioni ad elevata lunghezza
d’onda che possono essere assorbite dai
gas atmosferici (in particolare da CO2 e vapore acqueo).
Glossario
IOC (INTERGOVERNMENTAL OCEANOGRAPHIC COMMISSION) - Commissione internazionale che si occupa di oceanografia
all’interno dell’UNESCO.
INDIAN NATIONAL SATELLITE (INSAT)
Satelliti artificiali ad orbita geostazionaria
gestiti dall’India.
INTEGRATED GLOBAL OCEAN STATION
SYSTEM (IGOSS) - Programma internazionale attivato dalla IOC insieme al WMO con
l’obiettivo di fornire agli Stati Membri informazioni di supporto a tutte le attività marine e di ricerca che interessano gli oceani.
INTERGOVERNMENTAL
OCEANOGRAPHIC COMMISSION (IOC) - Commissione internazionale che si occupa di oceanografia all’interno dell’UNESCO.
INTERNATIONAL PANEL ON CLIMATE
CHANGE (IPCC) - Commissione internazionale nata nel 1988 con il compito di raccogliere e valutare le informazioni in campo
scientifico, tecnico e socio-economico relative ai cambiamenti climatici, al loro impatto ed alle possibili strategie da adottare per
prevenire o limitare questi effetti.
IONIZZAZIONE - Processo che provoca la
formazione di ioni (atomi che hanno perso
od acquistato elettroni) ad opera della radiazione solare.
IONOSFERA - Strato dell’atmosfera interessato dai fenomeni di ionizzazione che
comprende la termosfera e la mesosfera al
di sopra dei 60 km di altitudine
IRRAGGIAMENTO - Meccanismo di propagazione del calore a distanza mediante
radiazioni elettromagnetiche. L’irraggiamento termico è più elevato quando il cielo
è sereno e l’aria secca rispetto a quando il
cielo è coperto e l’aria umida, poiché il vapore acqueo tende ad assorbire le radiazioni
infrarosse emesse dalla superficie terrestre
e a rinviarle verso il suolo.
ISOBARA - Sulle carte meteorologiche
rappresenta la linea che unisce i punti che,
al livello medio del mare, mostrano la stessa
pressione atmosferica.
ISOIETA - Sulle carte meteorologiche
rappresenta la linea che unisce i punti caratterizzati dagli stessi valori di piovosità.
ISOTERMA - Sulle carte meteorologiche
rappresenta la linea che unisce tutti i punti
della Terra aventi la stessa temperatura durante l’intero anno (isoterma annua) o in periodi limitati dell’anno (isoterma estiva, ecc.).
L
LAMPI - Fenomeni luminosi causati dalle
scariche elettriche che si verificano all’inter-
no delle nubi.
LEVANTE - Vento fresco ed umido di debole intensità proveniente da Est.
LIBECCIO - Vento molto intenso proveniente da Sud-Ovest.
LIVELLATA, PRESSIONE - Area delimitata
da isobare di uguale valore in cui la pressione si mantiene pressoché uniforme.
LIVELLO MEDIO MARINO - Altezza media delle acque se la superficie non fosse
increspata dalle onde.
LUNGHEZZA D’ONDA - Distanza orizzontale tra due creste (o gole) consecutive
di un’onda.
M
MAESTRALE - Vento molto intenso proveniente da Nord-Ovest; è considerato il
vento principale del Mediterraneo.
MAREA - Movimento oscillatorio del livello medio marino causato dell’attrazione gravitazionale esercitata da Sole e dalla Luna
sulle acque terrestri.
MARE VIVO (WIND SEA o SEA) - Sistema
di onde che si formano e propagano sotto
l’influenza diretta del vento che soffia sul
posto o nelle immediate vicinanze (onde
vive).
MARE MORTO (SWELL) - Sistema di onde
che hanno origine da una zona di perturbazione lontana rispetto al luogo in cui vengono rilevate (onde lunghe) o da onde residue
in zone che in precedenza sono state interessate da venti intensi (onde morte).
MARE COMPLETAMENTE SVILUPPATO
Mare in cui l’altezza delle onde raggiunge
il massimo valore possibile per determinati
valori di intensità del vento, tempo di persistenza del vento e fetch.
MAREOGRAFO - Strumento per il rilevamento del livello medio marino. Si distinguono due tipologie principali di mareografi utilizzati nell’ambito della RMN: il mareografo meccanico a registrazione cartacea
e il mareografo elettronico con sonda ad
ultrasuoni.
MARINE METEOROLOGICAL SERVICE
(MMS) - Programma internazionale del WMO
finalizzato a fornire avvertimenti, previsioni
ed informazioni generali sul tempo meteorologico e sul mare di supporto a tutte le
attività marino-costiere.
MASSA D’ARIA - Un determinato volume
di aria le cui caratteristiche fisiche (temperatura, umidità, ecc.) si mantengono omo-
genee.
MESOPAUSA - Zona di transizione tra la
215
Appunti di meteorologia marina
mesosfera e la termosfera (intorno a 80-90
km di altitudine).
MESOSFERA - Strato dell’atmosfera compreso tra i 50 e i 90 km di altitudine in cui la
temperatura va generalmente diminuendo
con l’altezza.
METEOSAT - Satellite artificiale europeo
ad orbita geosincrona.
METEOR - Satellite artificiale russo ad orbita polare.
METEORA - Con questo termine vengono
indicati genericamente tutti i fenomeni che
hanno luogo nell’atmosfera, quali le precipitazioni e le manifestazioni di natura ottica
(arcobaleno) o elettrica (lampi e fulmini).
MILLIBAR - Unità di misura utilizzata in
passato per misurare la pressione atmosferica in campo meteorologico al posto dei
millimetri di mercurio (torr). Ultimamente
è stata sostituita dall’ettopascal (hPa), che
costituisce l’unità di misura della pressione
adottata dal Sistema Internazionale.
MONSONI - Venti periodici che spirano
dall’Oceano Indiano verso il continente asiatico durante i mesi estivi (monsoni di mare)
e dal continente verso l’Oceano Indiano durante i mesi invernali (monsoni di terra).
MOTO ONDOSO - Movimento oscillatorio della superficie marina causato principalmente dallo scambio energetico che avviene tra lo strato superficiale delle acque
marine e lo strato inferiore dell’atmosfera.
Le principali forze che contribuiscono alla
formazione e propagazione del moto ondoso sono la forza generatrice rappresentata
dal vento e le forze di richiamo costituite
dalla tensione superficiale dei liquidi e dalla
gravità.
MUCILLAGINI - Polisaccaridi di origine
biologica (principalmente essudati di diatomee e dinoflagellati) che tendono ad affiorare in superficie.
N
NATIONAL OCEANIC AND ATMOSPHERIC ADMINISTRATION (NOAA) - Agenzia
governativa che gestisce i satelliti meteorologici negli Stati Uniti.
NEBBIA - Accumulo di minuscole goccioline d’acqua negli strati bassi dell’atmosfera
che riducono la visibilità orizzontale sulla
superficie terrestre a meno di un chilometro. Si distinguono nebbie di avvezione,
causate dallo spostamento di masse d’aria
calde ed umide sopra superfici fredde, e
nebbie di irradiazione, causate dal rapido
raffreddamento della superficie terrestre in
216
seguito all’irraggiamento notturno. Si possono infine generare anche nebbie frontali
in seguito allo scontro tra masse d’aria calde e fredde.
NEMBOSTRATI - Nubi stratificate di colore grigio-scuro degli strati bassi della troposfera che accompagnano il cattivo tempo.
NEVE - Precipitazione costituita da cristalli di ghiaccio di forma esagonale che si
raggruppano in fiocchi.
NODO - Unità di misura del vento equivalente ad un miglio nautico all’ora (1852
metri all’ora).
NORTH ATLANTIC OSCILLATION (NAO)
- Questa sigla indica l’oscillazione dei valori di pressione e temperatura tra le Azzorre
ed il Mare d’Islanda. Si ritiene in parte responsabile del tempo meteorologico e dei
fenomeni atmosferici che interessano il Mediterraneo.
NUBE - Insieme di goccioline di acqua e/
o di cristalli di ghiaccio che rimangono
in sospensione nell’atmosfera. In base
alla loro forma si distinguono nubi a
sviluppo verticale o cumuliformi e nubi a
sviluppo orizzontale o stratiformi. In base
all’altezza a cui si formano, si distinguono
nubi alte (tra i 6 km ed il limite superiore
dell’atmosfera), nubi di media altezza (tra i
2 ed i 6 km) e nubi basse (tra 0 e 2 km).
NUBI NOTTILUCENTI - Nubi che si formano ad altitudini di circa 80-90 km e che
sono visibili dopo il tramonto a latitudini
sopra i 50°.
NUCLEI DI CONDENSAZIONE - Piccole
impurità presenti nell’aria costituite da minuscole particelle solide di differente origine (polveri, cristalli marini, ceneri, ecc.) sulla
cui superficie può avvenire la condensazione del vapore acqueo atmosferico.
NUVOLOSITÀ - Grandezza che esprime
il grado di copertura del cielo. Si misura in
decimi o in ottavi (da cielo sereno a coperto) eseguendo la stima a vista generalmente
ogni tre ore.
O
OMOSFERA - Strato dell’atmosfera compreso tra 0 e 90 km di altitudine in cui la
composizione chimica si mantiene pressoché inalterata col variare dell’altezza.
ONDE CAPILLARI - Onde che si generano
per azione della tensione superficiale sulla
superficie del mare. Sono caratterizzate da
lunghezze d’onda inferiori a 1.7 cm.
ONDE DI GRAVITÀ o DA VENTO - Onde
che si generano per azione della forza di
Glossario
gravità sulla superficie del mare. Sono caratterizzate da lunghezze d’onda superiori
a 10 cm. Le onde di gravità possono propagarsi anche a notevole distanza dal punto in
cui sono state generate ed originare onde a
profilo sinusoidale, a periodo ed ampiezza
lentamente variabili nel tempo, indicate con
il termine di swell.
ORTOGONALI D’ONDA - Linee perpendicolari alle creste delle onde che tendono
a convergere in prossimità di promontori
e creste sottomarine (indicando una concentrazione di energia in queste zone) e a
divergere in prossimità di baie e valli sottomarine.
OSTRO o MEZZOGIORNO - Vento caldo
e umido che proviene da Sud.
OZONO - Forma molecolare tri-atomica
dell’ossigeno (O3).
OZONO, BUCO DELL’ - Processo che
determina il deterioramento dello strato di
ozono stratosferico ad opera di composti
chimici (quali i clorofluorocarburi, i bromofluorocarburi, il bromuro di metile ecc.) di
origine antropica. Il fenomeno è particolarmente evidente sopra i cieli dell’Antartide in
cui il livello di ozono negli ultimi 30 anni è
sceso di quasi il 40%.
OZONOSFERA - Fascia della stratosfera
in cui la concentrazione di ozono raggiunge
i valori più elevati osservati nell’atmosfera.
Di conseguenza questo strato svolge un
ruolo determinante nell’assorbimento delle
radiazioni ultraviolette comprese tra i 240 e
i 340 nm provenienti dal Sole.
P
PALLONI SONDA - Palloni riempiti di
elio o idrogeno in grado di salire ad altitudini elevate (intorno a 30 km) e di eseguire
i rilevamenti di pressione, temperatura ed
umidità (sondaggio aerologico) per mezzo
di appositi apparecchi registratori (spesso
riuniti in una radiosonda).
PACK - Grandi lastre di ghiaccio che si
formano in seguito alla frantumazione della banchisa polare e che tendono ad andare
alla deriva.
PANCAKE ICE - Placche di ghiaccio di circa 1-3 m di diametro e 10 cm di spessore
che si formano in seguito all’aggregazione di
cristalli di ghiaccio sulla superficie marina.
PERIODO DELL’ONDA - Tempo che intercorre tra il passaggio di due creste consecutive in un dato punto (oscillazione completa). Generalmente in una registrazione
di un’onda viene misurato dal tempo che
intercorre tra due attraversamenti consecutivi del livello medio marino in salita (zero
up-crossing period) o in discesa (zero downcrossing period).
PERIODO MEDIO DELL’ONDA - Questo
parametro rappresenta la media degli zero
up-crossing periods registrati durante un
determinato intervallo temporale. In pratica, il periodo medio dell’onda può essere
determinato dividendo la durata della registrazione per il numero di up-crossing (o
down-crossing).
PIRANOMETRI o SOLARIMETRI - Strumenti per la misura della radiazione solare
globale.
PIRANOMETRI CON BANDA OMBREGGIANTE - Strumenti per la misura della radiazione solare diffusa.
PIRELIOMETRI - Strumenti per la misura
della radiazione solare diretta.
PLUVIOMETRO - Strumento per la misura delle precipitazioni.
PONENTE - Vento estivo, fresco e pomeridiano proveniente da Ovest.
PRECIPITAZIONI ATMOSFERICHE - Termine con cui si indicano genericamente tutti
i prodotti della condensazione o sublimazione del vapore acqueo che precipitano verso
la superficie terrestre.
PRESSIONE ATMOSFERICA - Pressione
esercitata da una colonna di aria sull’unità
di superficie terrestre.
PRESSIONE IDROSTATICA - Pressione
esercitata da una colonna di acqua sull’unità di superficie.
PRESSIONE BAROMETRICA - Altro termine per indicare la pressione atmosferica
quando viene determinata tramite l’uso di
un barometro.
PRESSIONE NORMALE - Pressione esercitata al livello del mare, a 45° di latitudine
e alla temperatura di 0°C da una colonna di
mercurio alta 760 mm e della sezione di 1
cm2.
PROMONTORIO - Espansione cuneiforme di un anticiclone tra due aree di bassa
pressione o cicloniche.
PSICROMETRO - Strumento per la misura dell’umidità relativa dell’aria costituito da
due termometri uguali, di cui uno a bulbo
nudo (termometro asciutto) e l’altro avvolto
da una garza imbevuta di acqua (termometro umido). Dalla differenza di temperatura
tra il termometro asciutto e quello umido
(detta differenza psicrometrica) si risale
all’umidità relativa dell’aria ed alla sua temperatura di rugiada.
217
Appunti di meteorologia marina
PULVISCOLO ATMOSFERICO - Insieme di
minuscole particelle composte da sostanze
organiche ed inorganiche che rimangono
sospese in aria in quantità e qualità molto
variabili a seconda dei luoghi.
Q
QUOTA - Altezza in metri rispetto al livello medio marino.
R
RADAR METEOROLOGICO - Il radar meteorologico è uno strumento in grado di rilevare le idrometeore presenti nell’atmosfera.
Il principio di funzionamento del radar si
basa sull’emissione di onde elettromagnetiche (nel campo delle microonde) da parte
di un trasmettitore che vengono riflesse dai
bersagli meteorologici (goccioline di acqua
in sospensione, ecc.) e captate da un apposito ricevitore. Il radar può trovare impiego
anche per lo studio dell’altezza delle onde e
di altre caratteristiche della superficie marina tramite rilevamento satellitare (altimetri,
SAR, ecc.).
RADIATIVE FORCING - Termine introdotto dall’IPCC per indicare l’incremento
dell’energia radiativa disponibile sulla superficie terrestre in seguito all’aumento nell’atmosfera di composti gassosi ad effetto
serra.
RADIOMETRO - Strumento che misura
l’intensità della radiazione emessa da un
corpo.
RADIOMETRI NETTI - Strumenti per la
misura della radiazione effettivamente disponibile su una superficie (data dal bilancio
tra la radiazione in arrivo - input - e quella in
uscita - output -).
RADIAZIONE SOLARE GLOBALE - Radiazione solare ricevuta da una superficie unitaria orizzontale. È data dalla somma delle
radiazione solare diretta e di quella diffusa
dal cielo e dai sistemi nuvolosi.
RADIAZIONE ULTRAVIOLETTA (UV) - È
data dalla porzione di spettro elettromagnetico solare compresa tra i raggi X ed il
violetto. Può essere ulteriormente suddivisa
in UV-A (320-400 nm), UV-B (280-320 nm) e
UV-C (100-280 nm).
REGIME PLUVIOMETRICO - Indica la
quantità e la distribuzione stagionale delle
piogge in un determinato luogo.
RETE DI MONITORAGGIO - Insieme di
stazioni meteorologiche situate in un territorio più o meno vasto e gestite da un’unità
centrale secondo i protocolli WMO. È possi-
218
bile distinguere le reti di monitoraggio locale, nel caso in cui il territorio in questione è
limitato ad una zona della Terra, e la rete di
monitoraggio globale che interessa l’intero
Pianeta ed è gestita dalla World Meteorological Organization (WMO).
MAREOGRAFiCA
NAZIONALE
RETE
(RMN) - Rete di stazioni di misura distribuite
uniformemente sul territorio nazionale con
il compito di rilevare i dati relativi al livello
medio marino, alla velocità e direzione del
vento, alla pressione atmosferica ed alle
temperature dell’aria e delle acque.
ONDAMETRICA
NAZIONALE
RETE
(ROM) Rete di rilevamento costituita da una
serie di boe accelerometriche dislocate uniformemente sul territorio nazionale.
RIPIDITA’ o INCLINAZIONE DELL’ONDA
(STEPNESS) - rapporto tra l’altezza e la lunghezza dell’onda.
RUGIADA - Formazione di minuscole
gocce d’acqua in seguito alla condensazione
del vapore acqueo dell’aria a contatto con
superfici che presentano temperature superiori a 0°C.
RUN-UP - Massima elevazione verticale
raggiunta dall’acqua rispetto al livello medio
del mare durante la risalita di un’onda sulla
spiaggia o sulle pareti di una struttura costiera. Viene generalmente espresso in metri
al di sopra del livello medio marino.
S
SACCATURA - Espansione cuneiforme di
una depressione tra due aree di alta pressione o anticicloniche.
SALINITA’ DELLE ACQUE MARINE - Viene generalmente espressa come grammi di
sali contenuti in 1000 grammi di acqua.
SATELLITI ARTIFiCIALI - I satelliti artificiali descrivono delle orbite nello spazio
ad altezze tali da monitorare ampie superfici terrestri per mezzo di appositi sensori
radiometrici che rilevano le radiazioni elettromagnetiche a differenti lunghezze d’onda provenienti dalla Terra. Si distinguono i
satelliti geostazionari (o ad orbita geosincrona), che descrivono orbite mantenendosi
a circa 36000 km di altitudine in una posizione fissa rispetto alla Terra, e satelliti ad
orbita polare che descrivono orbite ellittiche
rispetto ai Poli ad una altitudine da Terra di
circa 800-900 metri.
SCALA BEAUFORT DELLA FORZA DEL
VENTO - Scala empirica elaborata dall’Ammiraglio Francis Beaufort nel 1805 per classificare la forza del vento in base agli effetti
Glossario
che esso provoca sulla superficie del mare
lontano dalla costa o su oggetti animati e
inanimati presenti sulla terraferma.
SCALA CENTIGRADA o SCALA CELSIUS
Scala termica in cui lo ‘zero’ corrisponde
alla temperatura del ghiaccio fondente sotto la pressione costante di 1 atmosfera ed il
‘cento’ alla temperatura di ebollizione dell’acqua. La centesima parte del dislivello tra
le due temperature prende il nome di grado
centigrado o grado Celsius (°C).
SCALA DI AMBRASEYS-SIEBERG - Scala
empirica per la valutazione dell’intensità degli tsunami suddivisa in sei gradi (da molto
debole a disastroso).
SCALA DI FUJITA - Scala per la valutazione dell’intensità dei tornado suddivisa in
cinque gradi (gradi F) in base ai danni provocati (da danni leggeri a danni incredibili) ed
alla velocità del vento.
SCALA DOUGLAS DELLO STATO DEL
MARE - Scala per valutare lo stato del mare
suddivisa in 9 gradi (da mare calmo a tempestoso).
SCALA FAHRENHEIT - Scala termica in cui
la temperatura di fusione del ghiaccio sotto
la pressione costante di 1 atmosfera corrisponde a 32 gradi Fahrenheit (°F) e quella di
ebollizione dell’acqua a 212 °F.
SCALA KELVIN - Scala termica in cui la
temperatura del ghiaccio fondente (punto
triplo dell’acqua) corrisponde a 273.16 gradi
Kelvin (°K) e quella di ebollizione dell’acqua
a 373.16 °K. Il valore di 0°K viene indicato
come zero assoluto.
SCIROCCO - Vento caldo proveniente da
Sud-Est.
SERVIZIO MAREOGRAFiCO NAZIONALE (SMN) - Servizio nazionale che svolge il
compito di realizzare un sistema integrato
di monitoraggio dei nostri mari. Gestisce e
mantiene le reti mareografiche e ondametriche nazionali.
SHOALING - Fenomeno che provoca un
aumento dell’altezza dell’onda con la risalita graduale del fondale marino.
SMOG - Combinazione di nebbia e fumo
o altre sostanza inquinanti di origine antropica.
SOPRAFFUSIONE - Stato fisico dell’acqua in cui le goccioline possono rimanere
liquide anche a temperature inferiori a 0 °C
senza essere trasformate in ghiaccio. Questo stato di sopraffusione è instabile, perciò
è sufficiente una semplice collisione con un
piccolo cristallo di ghiaccio perché le goccioline solidifichino sulla superficie. Questo
processo si verifica all’interno dei cumulonembi fino ad una temperatura di -40 °C e
svolge un ruolo fondamentale per la formazione della grandine.
SPETTRO D’ONDA o SPETTRO D’ENERGIA DELL’ONDA - Funzione che si ottiene
riportando su un diagramma cartesiano
l’energia delle singole componenti sinusoidali dello sviluppo in serie di Fourier dell’onda (in ordinata) in funzione della frequenza
d’onda delle stesse (in ascissa).
SPETTRO D’ONDA DIREZIONALE - Spettro d’energia dell’onda che tiene conto, non
solo delle frequenze d’onda, ma anche delle
direzioni di provenienza delle singole componenti sinusoidali dello sviluppo in serie di
Fourier.
SPETTRO ELETTROMAGNETICO - Insieme delle onde elettromagnetiche emesse
dal Sole. In funzione della lunghezza d’onda
possono essere suddivise in raggi gamma,
raggi X, raggi ultravioletti, radiazioni del
visibile, raggi infrarossi e onde radio (microonde, onde corte, onde medie e onde
lunghe).
STATO DEL MARE - Con questo termine
si intende lo stato di agitazione della superficie marina. Lo stato del mare dipende,
oltre che dalla velocità e dal tempo di persistenza del vento su una determinata area,
anche dall’estensione del tratto di mare su
cui spira il vento senza incontrare ostacoli
significativi (fetch).
STAZIONE METEOROLOGICA - Apposita
struttura in cui vengono assemblati gli strumenti per il rilevamento dei parametri meteorologici. Si distinguono tre tipi principali
di stazioni: la capannina meteorologica, la
stazione meteorologica elettronica e la stazione meteorologica elettronica a trasmissione satellitare.
STEFAN-BOLTZMANN, LEGGE DI - Un
qualsiasi corpo che si trovi ad una temperatura superiore allo zero assoluto emette nel
vuoto una quantità di energia che risulta proporzionale alla sua temperatura assoluta.
STENUALINE, SPECIE - Specie animali e
vegetali in grado di vivere in condizioni di
salinità poco variabile.
STORM SURGES - Moto ondoso particolarmente intenso che provoca innalzamenti
o abbassamenti del livello medio marino più
elevati rispetto a quelli previsti dall’attrazione gravitazionale degli astri (maree) e che
risultano causati dagli effetti del vento e/o
della pressione atmosferica sulla superficie
marina.
219
Appunti di meteorologia marina
STRATI - Nubi basse (circa 600 m di altitudine) e grigie con la base estesa ed uniforme che possono presentarsi in banchi o
coprire totalmente il cielo.
STRATOCUMULI - Nubi costituite da una
distesa continua di masse cumuliformi scure
localizzate ad altitudini comprese tra gli 800
e i 2000 m nella fascia temperata.
STRATOPAUSA - Zona di transizione situata tra la stratosfera e la mesosfera generalmente intorno ai 50-55 km di altitudine.
STRATOSFERA - Strato dell’atmosfera
compreso tra il limite superiore della troposfera e i 50 km di altitudine in cui la temperatura va generalmente crescendo con
l’altezza.
STRUMENTI INDICATORI - Strumenti che
consentono la lettura diretta di un determinato parametro limitatamente al momento
in cui si esegue l’osservazione.
STRUMENTI REGISTRATORI - Strumenti
che consentono la registrazione in continuo
di un determinato parametro. Si possono
distinguere due categorie di strumenti: gli
strumenti registratori meccanici e gli strumenti registratori elettronici.
SUBLIMAZIONE - Passaggio di stato da
gas a solido e viceversa.
T
TABELLE PSICROMETRICHE - Tabelle
attraverso le quali è possibile risalire direttamente all’umidità relativa dell’aria ed alla
temperatura di rugiada dal valore della differenza di temperatura tra il termometro
asciutto ed il termometro bagnato di uno psicrometro (detta differenza psicrometrica).
TEMPERATURA o PUNTO DI RUGIADA
Temperatura alla quale un determinato volume di aria contiene la quantità massima
di vapore ammissibile per quella determinata temperatura (massa d’aria satura). Un
abbassamento della temperatura o un aumento dell’umidità provocano la diminuzione del punto di rugiada e quindi la condensazione del vapore acqueo contenuto nella
massa d’aria.
TEMPERATURA o PUNTO DI SOLIDIFiCAZIONE - Temperatura alla quale avviene
il passaggio dallo stato liquido a quello solido.
TEMPESTA - Perturbazione atmosferica
caratterizzata da venti di forte (grado 10
della Scala Beaufort) e fortissima (grado 11
della Scala Beaufort) intensità, violenti piogge e, talvolta, grandinate. Le tempeste hanno origine da aree di bassa pressione sulla
220
superficie del mare e possono dare luogo ad
una brusca diminuzione della temperatura e
a mare molto agitato.
TEMPO METEOROLOGICO O ATMOSFERICO - Rappresenta le condizioni dell’atmosfera di un dato luogo ed in un determinato
momento. La scienza che si occupa dello
studio del tempo prende il nome di meteorologia.
TEMPORALE - Perturbazione locale, generalmente di breve durata, che può essere
associata a venti intensi, violenti precipitazioni (anche sotto forma di grandine), scariche elettriche e tuoni. Ha origine in seguito
alla formazione di un cumulonembo all’interno del quale sono presenti forti correnti
ascensionali causate da una notevole instabilità dell’aria. I cumulonembi generalmente
sono costituiti da più celle temporalesche
attive (temporali multicellulari) che, in alcuni
casi, possono interagire tra loro dando origine ad un’unica formazione temporalesca
molto intensa (temporali a supercella).
TERMICHE - Grandi bolle d’aria calda ed
umida che si sollevano in quota e che hanno
origine dall’evaporazione di una superficie
d’acqua sottostante.
TERMOCLINO - La zona del mare in cui il
gradiente termico raggiunge il massimo valore scendendo dalla superficie verso il fondale.
TERMOGRAFO - Strumento meccanico registratore per la misura della temperatura.
TERMOMETRO A MERCURIO - Strumento
per la misura della temperatura costituito da
un bulbo contenente un liquido termodilatabile (mercurio o alcool) e da un sottile capillare in vetro dotato di una scala graduata
su cui viene letto direttamente il valore della
temperatura. Con lievi modifiche è possibile
fare il modo che lo strumento misuri i valori
più bassi e più alti raggiunti dalla temperatura in un determinato luogo (rispettivamente termometri a minima e a massima).
TERMOMETRI ELETTRONICI - Strumenti
che producono un segnale elettrico in uscita
(tensione, corrente o resistenza) proporzionale alla temperatura esterna. A seconda del
sensore utilizzato si distinguono termometri
a termocoppia, termoresistenze e termistori.
TERMOMETRI REVERSIBILI - Particolari
termometri a mercurio che vengono utilizzati per misurare la temperature del mare
in profondità. Sono caratterizzati dal fatto
che la colonnina di mercurio si spezza in
seguito al rovesciamento del termometro,
mantenendo la registrazione della temperatura alla profondità a cui è stato immerso lo
strumento.
Glossario
TERMOPAUSA - Zona di transizione compresa tra la termosfera e l’esosfera, generalmente intorno ai 500 km di altitudine.
TERMOSCOPIO - Strumento per la misura
della temperatura dell’aria ideato da Galileo
Galilei costituito da un’ampolla di vetro (piena di aria) munita di un sottile tubo capillare.
TERMOSFERA - Strato dell’atmosfera
compreso tra 90 e 500 km di altitudine in
cui la temperatura tende progressivamente
a salire raggiungendo valori molto elevati
(500-2000°C).
TIFONE - Si veda ciclone tropicale.
TORNADO o TROMBA D’ARIA - Perturbazione accompagnata da venti rotatori di
fortissima intensità (fino a 500 km h-1), ma
generalmente di estensione limitata e di breve durata.
TRAMONTANA - Vento molto freddo proveniente da Nord e che investe l’Italia dopo
avere oltrepassato i monti.
TROMBA MARINA - Perturbazione che
ha origine in mare e che presenta caratteristiche simili al tornado, rispetto al quale
è caratterizzata da una minore potenza e
da vortici sottili e con condensazione bene
evidente.
TROPOPAUSA - Zona di transizione tra la
troposfera e la stratosfera in cui la temperatura cessa improvvisamente di diminuire
con l’altitudine.
TROPOSFERA - Strato dell’atmosfera
compreso tra la superficie terrestre e gli 818 km di altitudine in cui la temperatura diminuisce con l’altezza. Rappresenta il luogo
nel quale si verificano i principali fenomeni
atmosferici caratteristici del tempo meteorologico.
TSUNAMI - Serie di onde molto lunghe
che si originano in mare aperto in seguito
a fenomeni che provocano lo spostamento
verticale di consistenti masse d’acqua (quali
i terremoti con epicentro in mare, eruzioni
vulcaniche, movimenti franosi) e che dopo
aver percorso migliaia di chilometri si abbattono come muri d’acqua sulle coste distruggendo tutto ciò che incontrano sul loro cammino. In Italia vengono indicati anche con il
termine di maremoti.
TUONO - Fenomeno acustico causato
dall’onda d’urto prodotta dall’espansione
violenta dell’aria in prossimità dei fulmini.
U
UMIDITÀ ASSOLUTA - Quantità in grammi di vapore acqueo contenuta in 1 cm3
cubo di aria.
UMIDITÀ RELATIVA - È definita come il
rapporto percentuale tra la quantità di vapore acqueo contenuta in un determinato volume di aria e la quantità di vapore acqueo
che questa dovrebbe contenere per essere
satura nelle stesse condizioni di temperatura e pressione.
UMIDITÀ SPECIFiCA - Quantità in grammi di vapore acqueo contenuta in 1 kg di
aria umida.
UNITED NATIONS FRAMEWORK CONVENTION ON CLIMATE CHANGE (UNFCCC)
Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui
Cambiamenti Climatici finalizzata a promuovere interventi a livello internazionale per ridurre le emissioni di gas-serra.
UPWELLING - Fenomeno che provoca la
risalita in superficie di acqua fredda dalla
profondità oceanica, permettendo la sostituzione degli strati superficiali ed il rinnovo
degli elementi nutritivi indispensabili per la
vita.
URAGANO - Vedi ciclone tropicale.
V
VELOCITÀ o CELERITÀ DELL’ONDA Rapporto tra la lunghezza d’onda ed il periodo. Per le onde marine che viaggiano in
acque poco profonde (regime di acqua bassa) la celerità è data dalla radice quadrata
del prodotto tra l’accelerazione di gravità e
la profondità del mare e viene indicata anche come velocità critica, mentre per quelle
che viaggiano in acque profonde (regime di
acqua profonda) la celerità è direttamente
proporzionale alla lunghezza delle onde.
VENTO - Consiste in un movimento orizzontale delle masse d’aria che si spostano da
zone anticicloniche (di alta pressione) verso
zone cicloniche (di bassa pressione). Essendo una grandezza vettoriale viene espresso
dalla sua direzione di provenienza e dalla
velocità (o intensità o forza del vento).
VENTO, DIREZIONE DEL - Direzione di
provenienza del vento riferita al Nord geografico. Può essere indicata per mezzo della
rosa dei venti che risulta suddivisa dai punti
cardinali (Nord, Sud, Est e Ovest) in quattro
quadranti, ciascuno dei quali è ulteriormente diviso in quattro parti uguali.
VISIBILITÀ ORIZZONTALE - Si intende la
distanza massima alla quale è possibile distinguere in maniera nitida i contorni di un
oggetto ad occhio nudo da parte di un osservatore dotato di una vista normale.
221
Appunti di meteorologia marina
W
WILLY WILLY - Si veda ciclone tropicale.
WORLD METEOROLOGICAL ORGANIZATION (WMO) - Organizzazione mondiale
delle Nazioni Unite che si occupa di meteorologia.
WORLD WEATHER WATCH (WWW) - Sistema meteorologico globale del WMO che
ha il compito di raccogliere informazioni
meteorologiche provenienti da tutte le nazioni del mondo che vi cooperano.
222
Z
ZERO TERMICO - individua l’altitudine
alla quale la temperatura dell’atmosfera
passa da valori negativi a valori positivi. Si
ricava da profili verticali di temperatura tramite radiosonde.
Acronimi
ACRONIMI
AVHRR - Advanced Very High Resolution
Radiometer
CFC - Clorofluorocarburi
CH4 - Metano
CMM - Commission for Marine Meteorology
CNES - Centre National d’Etudes Spatiales
CO2 - Anidride carbonica
CoMMA-Med - Centro di Meteorologia
Marina e Monitoraggio Ambientale del
Mediterraneo
COP - Conference of the Parties
DATTS - Data Acquisition Telemetry and
Tracking Station
ECMWF - European Centre for MediumRange Weather Forecasts
EEA - European Environment Agency
ENSO – El Niño Southern Oscillation
ESA - European Space Agency
ESOC - European Space Operations Centre
EUMETSAT - European Weather Satellite
Organization
FAO - Food and Agricultural Organization
FLIP - Floating Instrument Platform
FY-2 - Feng- Yun 2
GARP - Global Atmospheric Research
Programme
GOMS - Geostationary Operational
Meteorological Satellite
GMS - Geostationary Meteorological
Satellite
GOES - Geostationary Operational
Environmental Satellite
GST - Global Telecommunication System
Gt C - Gigatonnellate di carbonio
HCFC - Idroclorofluorocarburi
HFC - Idrofluorocarburi
IBIMET-CNR - Istituto di Biometeorologia
del Consiglio Nazionale delle Ricerche
IGOSS - Integrated Global Ocean Station
System
INSAT - Indian National Satellite
IOC - Intergovernmental Oceanographic
Commission
IPCC - International Panel on Climate
Change
IR - Infrarosso termico
ITCZ - Intertropical Convergence Zone
LaMMA - Laboratorio di Meteorologia e
Modellistica Ambientale
JMA - Japanese Meteorological Agency
MMS - Marine Meteorological Service
MSG - Meteosat Second Generation
NAO - North Atlantic Oscillation
N2O - Ossido nitroso
NASA - National Aeronautics and Space
Administration
NOAA - National Oceanic and Atmospheric
Administration
NSMC - National Satellite Meteorological
Center
O3 - Ozono
ODS - Ozone Depleting Substancies
ppm - Parti per milione
ppb - Parti per bilione
RAMS - Regional Atmospheric Modeling
System
RMN - Rete Mareografica Nazionale
ROM - Rete Ondametrica Nazionale
SAR - Synthetic Aperture Radar
SMN - Servizio Mareografico Nazionale
SRES - Special Report on Emissions
Scenarios
SST - Sea Surface Temperature
SWAM - Simulating Waves Nearshore
TIROS - Television and Infrared
Observation Satellite
UNESCO - United Nations Educational,
Scientific and Cultural Organization
UNFCCC - United Nations Framework
Convention on Climate Change
UV - Radiazioni Ultraviolette
WAM - Wave Modelling
WHO - World Health Organization
WMO - World Meteorological Organization
WWW - World Weather Watch
223
Riferimenti bibliografici
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Secretariat of the World Meteorological Organization, Geneva, Switzerland.
World Meteorological Organization (1998).
Guide to wave analysis and forecasting.
WMO - No. 702, Geneva, Switzerland.
225
VOLUMI GIÀ PUBBLICATI
1.
PICCOLA IMPRESA/GRANDE CIVILTÀ
Strategie regionali ed europee per lo sviluppo delle PMI
2.
INNOVAZIONE E TURISMO
Innovation and tourism
3.
INNOVAZIONE TECNOLOGICA IN TOSCANA
programma regionale di azioni innovative 2002-2003
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