Azione - Settimanale di Migros Ticino Leviatani e cannibali

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Azione - Settimanale di Migros Ticino Leviatani e cannibali
Leviatani e cannibali
/ 21.11.2016
di Cesare Poppi
Un mesetto orsono la versione online di un noto quotidiano cisalpino pubblicava una foto (se così
possiamo chiamarla) dal titolo «Riuscite a vedere lo squalo in questa foto?». No, lo squalo non si
vedeva, perlomeno d’emblée. La foto richiamava piuttosto l’opera di un pittore pointilliste estremo:
una superficie fitta di puntini che, se e solo si fosse guardata in un certo modo (che l’Altropologo non
è stato in grado di strologare dalle laboriose istruzioni) avrebbe rivelato il Mostro in agguato. Si
trattava, didatticamente, di spiegare come funzionano gli autostereogrammi (boh? ma non è
comunque roba da mangiare) altresì dette illusioni ottiche in 3D (no, neanche quelle commestibili).
Ma questo non è il punto che ci interessa. Quel che ci interessa è che «la bestia in agguato» fosse
uno squalo invece che essere – che so – una colomba o un panettone.
In principio fu il film di Spielberg (1975) certomanonsidice ispirato dalla famosa novella di
Hemingway (1952) di ben altro merito culturale. Da allora, con il tedio reiterato di una pubblicità
televisiva, gli squali cannibali riempiono l’universo mediatico con la scadenza certa e prevedibile di
una campana a morto. Nella fattispecie, il quotidiano di cui sopra non lascia passare una quindicina
senza che non vi sia una notizia relativa agli squali: «Squalo attacca pescatore»; «Squalo attacca
pescatore mentre dorme»; «Pescatore attaccato dallo squalo mentre dorme (lo squalo)»; «Pescatore
attaccato da squalo mentre guarda film su squali in web»; «Turista in gabbia antisquali attaccato da
squalo»; «Squalo in gabbia antiturista attacca turista»; «Turista sogna attacco di squali e azzanna
moglie» – e via di questo passo.
Gli scettici facciano un giro nel web per persuadersi che non se ne può proprio più: squali-notizia più
fitti nel mare magnum della rete delle sardine in una scatola di sardine.
Squali, zombi, krampus e vampiri di Halloween in agguato dietro ogni angolo mediatico: i media
cavalcano la voglia di paura di un’audience infantilizzata tardo-post-trans-moderna che nelle paure
virtuali trova una sorta di antidoto alle ansie e alle paure reali. Proprio come i bambini che trovano
piacere nell’avere paura delle Streghe perché così ne hanno meno della Maestra: «Il veleno venduto
come antidoto», ha commentato Zygmunt Bauman, decano dei sociologi europei, a proposito delle
Ultime Elezioni. «Possiamo solo sperare che funzioni» – mi si dice avrebbe detto Mitridate VI, Re del
Ponto, mentre ingeriva l’ennesima dose di veleno che lo avrebbe reso immune al punto – ahilui - da
dover essere ucciso con ben più scomode pugnalate quando Pompeo gli presentò il conto.
Mostri marini e leviatani delle nostre paure: di certo differenti dalle acque culturali reali, realissime,
nelle quali navigavano i marinai della baleniera americana Essex a 4600 chilometri a sud-ovest di
Capo Horn il 20 novembre 1820. Qualche giorno prima una balena aveva attaccato una delle lance
da caccia danneggiandola gravemente pur senza fare vittime. Un’altra lancia da caccia era stata
danneggiata la mattina stessa e l’equipaggio dell’Essex era intento a ripararle entrambe: era ormai
chiaro che si fosse in presenza di un branco di balene particolarmente aggressive.
Ad un certo punto qualcuno avvistò una balena – forse un capodoglio – di dimensioni abnormi
stimate sui 26 metri che si comportava in maniera strana. Rimase immobile in superficie per qualche
tempo. Poi cominciò ad avvicinarsi alla nave puntando alla prua: guadagnava velocità con brevi
immersioni. Poi urtò la prua dell’Essex facendola rollare pericolosamente. Il leviatano tornò in
superficie: i suoi 26 metri avvolgevano i 30 metri dell’Essex da prua a poppa. Impossibile arpionarlo
poiché si temeva una reazione che avrebbe danneggiato il timone. Dopo poco, l’animale che
sembrava stordito dal colpo contro la prua si riprese e nuotò al largo.
Dalla relazione di Owen Chase, un ufficiale sopravvissuto al disastro: «Mi voltai e Lo vidi prendere la
rincorsa a circa 500 metri dalla nostra prua. Si avvicinava a circa 24 nodi di velocità (44 km/h), il
doppio della velocità normale. Sembrava volesse vendicarsi». Stavolta il leviatano centrò la prua
mandandola in schegge per poi rigirarsi e tornare a mare senza mai più esser visto. La nave
cominciò ad affondare. Alla vista, la lancia del Capitano che stava perseguendo altre balene tornò
velocemente verso l’Essex: «Perdio, Chase, cosa sta succedendo!?». «Capitano, siamo stati distrutti
da una balena».
Il viaggio dei sopravvissuti dell’Essex attraverso migliaia di miglia d’oceano è storia: al cannibalismo
al quale furono costretti – cinque cadaveri in tutto, morti di stenti – se ne aggiungano altri due
estratti a sorte fra i vivi, messi a morte fra le lacrime dai loro compagni e mangiati. Tragedia reale,
viva, concreta – certo non virtuale. La saga dell’Essex ispirò quel capolavoro di Melville che è Moby
Dick: una parabola surreale sulla paura fra fantasia, vendetta e follia dell’età moderna. Parabola che
ci coinvolge in pieno: quando sarà che lasceremo i Leviatani (sì, anche gli squali che ci mangiano)
nuotare liberi da paure – e liberi soprattutto da quelle che riguardano solo la nostra incapacità di
essere dalle paure liberi?