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Costituzionalismo.it Un «programma» per il futuro Presidente della
Costituzionalismo.it
FASCICOLO 2 | 2006
9 maggio 2006
Un «programma» per il futuro Presidente della
Repubblica?
di Massimo Siclari
L’intervista all’onorevole Piero Fassino, segretario dei Democratici di Sinistra, a proposito
dell’elezione del Presidente della Repubblica (Il Foglio quotidiano, 6 maggio 2006), apre
uno scenario inquietante sulla cultura costituzionale diffusa nel ceto politico. Certo,
dall’esito referendario del 1993 abbiamo assistito a prese di posizione davvero discutibili,
a tentativi di riforma costituzionale di deliberato stravolgimento della Carta del 1947
(l’ultimo dei quali sarà sottoposto a un giudizio popolare il prossimo 25 giugno, i cui esiti
non sono del tutto scontati), a prassi parlamentari (sostenute da poco meditate modifiche
regolamentari di segno efficientista) che hanno sensibilmente alterato la funzione ed il
ruolo delle Camere. In questo quadro, le istituzioni di garanzia, Presidente della
Repubblica e Corte costituzionale, sono state sottoposte ad una inedita tensione, si pensi al
pressing che hanno dovuto subire, rispettivamente, in occasione della promulgazione (o
del rinvio) di talune leggi o dei giudizi aventi ad oggetto controversie ad alto grado di
politicità.
Per quanto riguarda, in particolare, il Capo dello Stato, non sono mancati i tentativi di
stravolgerne la figura, si pensi, in particolare, alla proposta, bocciata, di sottrarre alcuni
atti alla controfirma ministeriale, ovvero allo svuotamento di qualsiasi discrezionalità
dell’atto di scioglimento delle Camere per come è disciplinato dalla riforma costituzionale
sulla quale si terrà il prossimo referendum. Ancora, la ricostruzione del potere di grazia
come strettamente presidenziale (per ora sostenuta da parte della dottrina, ma sulla quale si
attende il giudizio definitivo della Corte costituzionale) spinge verso una ricostruzione
della figura presidenziale non coerente con quella di un Capo dello Stato in un sistema
parlamentare. Più di recente la proposta di organizzare delle «primarie» popolari, prima
del voto parlamentare sul Capo dello Stato, avanzata nell’ambito della Rosa nel Pugno, se
accolta, avrebbe introdotto un presidenzialismo surrettizio, mortificando ulteriormente il
ruolo del Parlamento nel sistema.
In un clima in cui certe idee erronee, manifestate in forme più o meno estemporanee, sulle
istituzioni costituzionali finiscono per avere il sopravvento (quanto meno mediatico) su
concezioni consolidate (nella migliore delle ipotesi liquidate con l’ipocrita etichetta di
«nobile conservatorismo»), si colloca l’intervista all’on. Fassino, il quale, alla ricerca di un
modo per fare apparire super partes ai grandi elettori dell’opposizione la candidatura
dell’on. D’Alema alla Presidenza della Repubblica, ha ritenuto opportuno di affidare al
Foglio alcune affermazioni sorprendenti.
In primo luogo, una contraddizione: «Non siamo una Repubblica presidenziale né lo
dobbiamo diventare. Ma è essenziale che il prossimo presidente svolga un ruolo di
garanzia e di coesione»; pur senza accedere a ricostruzioni mistiche della figura del Capo
dello Stato, nessuno ha mai pensato che il Presidente della Repubblica italiana non debba
svolgere un ruolo di garanzia. Non «essere» una Repubblica presidenziale non significa
che il Presidente non abbia il ruolo di garante, anzi, a rileggere la carta costituzionale
(piuttosto, ad ogni pié sospinto, che pensare di doverne redigere una nuova) si scopre che
il Presidente «rappresenta l’unità nazionale» (art. 87), non può che essere il Presidente di
tutti, anche se non è eletto da tutti. È ovvio che le forze politiche, dovendo scegliere il
nuovo Capo dello Stato, cerchino di prefigurarsi chi, per così dire, naturalmente, meglio
potrebbe interpretare il ruolo affidatogli dalla carta fondamentale, ma nessun Presidente
potrebbe sottrarsi dallo svolgerlo, anche (o forse a fortiori) se eletto con il minimo del
quorum richiesto, a pena di incorrere nelle ipotesi di responsabilità presidenziale.
Fassino non si ferma qui, ma indica quattro punti fondamentali che avrebbero dovuto
impegnare l’on. D’Alema nello svolgimento del mandato presidenziale: 1.
«L’assicurazione che se il governo di Prodi dovesse entrare in crisi si tornerà a votare, in
base al principio tipico delle democrazie dell’alternanza, per cui la legittimità di una
maggioranza e di un governo viene dal voto dei cittadini»; 2. «Da capo del Csm, un
presidente che eserciti la funzione di garanzia operando – come ha fatto Ciampi – per
evitare ogni possibile cortocircuito tra giustizia e politica»; 3. «Sulle grandi scelte di
politica estera un presidente che favorisca la massima intesa possibile». 4. «All’indomani
del referendum che – come noi auspichiamo – boccerà la revisione costituzionale della
destra, si riprenda un confronto tra le forze politiche sulle istituzioni che consenta di
portare a conclusione una transizione istituzionale da troppi anni incompiuta». Lascio da
parte le osservazioni relative alla Presidenza del CSM, che non costituiscono niente di più
che un’esplicitazione di quanto qualsiasi Capo dello Stato deve fare, per svolgere
convenientemente la sua funzione di direzione del CSM. Ma gli altri punti sono frutto di
una vera e propria alterazione della visione del ruolo del Presidente della Repubblica.
A proposito del punto 1, va detto che lo scioglimento delle Camere, nel nostro sistema
costituzionale, dipende dalla verifica dell’incapacità delle stesse ad esprimere un
(qualsiasi) governo, non da un presunto mandato imperativo che gli elettori avrebbero
affidato alle stesse. In secondo luogo, la Costituzione vigente impone di «sentire» i
Presidenti dei due rami del Parlamento, il cui avviso sarebbe del tutto vanificato da un
impegno del genere; inoltre l’atto di scioglimento delle Camere è qualificato dalla dottrina
prevalente come un atto complesso, nel quale convergono le volontà del Capo dello Stato
e del Presidente del Consiglio: a seguire l’on. Fassino il potere sarebbe formalmente e
sostanzialmente presidenziale. Peraltro, quanto «al principio tipico delle democrazie
dell’alternanza, per cui la legittimità di una maggioranza e di un governo viene dal voto
dei cittadini», non è ben chiaro a quali democrazie si riferisca l’on. Fassino. Non di certo a
quella inglese o a quella tedesca, a proposito delle quali tanti equivoci avrebbero dovuto
fugare non solo i molti, inascoltati interventi di Leopoldo Elia (ora raccolti nel volume La
costituzione aggredita, pubblicato qualche mese fa per i tipi del Mulino) e di Gianni
Ferrara (Per la critica della riforma della Costituzione del Governo Berlusconi, in
Costituzionalismo.it. Archivio, Torino, Giappichelli, 2006, p. 153), spesso imputati del
«nobile conservatorismo» di cui sopra, ma persino alcune osservazioni di un
costituzionalista aderente alla Fondazione Magna Carta, come Giovanni Pitruzzella (Il
Governo del Premier, in La Costituzione promessa. Governo del Premier e federalismo
alla prova della riforma a cura di P. Calderisi, F. Cintioli, G. Pitruzzella, Soveria
Mannelli, 2004, p. 18), che, pur con qualche distinguo, ammette come non vi sia
automatismo fra dimissioni del Premier inglese e scioglimento della Camera dei comuni.
Sul punto 3., si può osservare che il Presidente della Repubblica non concorre alla
determinazione della politica estera, che dovrebbe essere rimessa alle scelte governative,
sulla base di un indirizzo politico parlamentare. A meno che una determinata scelta non si
ponga in aperto contrasto con i principi costituzionali che regolano i rapporti
internazionali (ripudio della guerra, limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento
che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni e, più in generale, rispetto del «principi
supremi» dell’ordinamento costituzionale italano).
Infine, pur auspicando la vittoria del «No» al referendum (del cui esito il Capo dello Stato
dovrà essere garante), l’On. Fassino dichiara che il futuro Presidente dovrà assicurare che
riprenda il confronto tra le forze politiche sulle istituzioni che consenta di portare a
termine la transizione istituzionale da troppi anni incompiuta. Frase sibillina, che potrebbe
significare che il Presidente stimoli le forze politiche a introdurre quei correttivi al
maggioritario necessari ad eliminare gli effetti deteriori che tale scelta ha prodotto nel
sistema costituzionale italiano e riassumibili nell’espressione garanzie dell’opposizione
(per le quali non servono necessariamente interventi di revisione costituzionale, salvo,
prima di ogni cosa, l’innalzamento del quorum per la revisione costituzionale). Ma
l’ultimo punto del programma che l’on. Fassino vorrebbe imporre al futuro Capo dello
Stato potrebbe significare anche la richiesta di un impulso a riforme costituzionali, cosa
che il Presidente della Repubblica non dovrebbe mai fare, per non rischiare di violare il
giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza alla Costituzione che è condizione l’unica costituzionalmente prevista (art. 91) - per poter assumere le sue funzioni.