Rafał Blechacz - Società del Quartetto di Milano

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Rafał Blechacz - Società del Quartetto di Milano
Stagione
2011-2012
Martedì 6 marzo 2012, ore 20.30
pianoforte
Sala Verdi del Conservatorio
Rafał Blechacz
Bach
Partita in la minore BWV 827
Beethoven
Sonata in re maggiore op. 10 n. 3
Chopin
Ballata n. 1 in sol minore op. 23
2 Polacche op. 26
Szymanowski
Sonata n. 1 in do minore op. 8
10
Consiglieri di turno
Marco Bisceglia
Luciano Martini
Direttore Artistico
Paolo Arcà
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Soggetto di rilevanza regionale
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È vietato, senza il consenso dell’artista, fare fotografie e registrazioni, audio o video,
anche con il cellulare.
Iniziato il concerto, si può entrare in sala solo alla fine di ogni composizione.
Si raccomanda di:
• spegnere i telefoni e ogni apparecchio con dispositivi acustici;
• evitare colpi di tosse e fruscii del programma;
• non lasciare la sala fino al congedo dell’artista.
Il programma è pubblicato sul nostro sito web dal venerdì
precedente il concerto.
Johann Sebastian Bach
(Eisenach 1685 - Lipsia 1750)
Partita in la minore BWV 827 (ca. 15’)
I. Fantasia II. Allemande III. Courante IV. Sarabande V. Burlesca VI. Scherzo VI. Gigue
Anno di composizione: 1727
Anno di pubblicazione: 1731
Solo una minima parte della produzione di Bach ebbe l’onore della stampa,
durante la vita dell’autore. La prima edizione curata di persona furono le sei
Partite, che formano il primo libro della Clavier Übung, pubblicata a spese
dell’autore nel 1731. L’indicazione Opus I mette in luce l’importanza che l’ormai
maturo musicista attribuiva a questa impresa editoriale. Il termine Übung
richiama l’idea di esercizio, di metodo didattico, offrendo quindi all’acquirente
un percorso di apprendimento e di perfezionamento. Bach metteva a disposizione del pubblico l’esperienza di professionista e di didatta, unendo le difficoltà
tecniche alla ricreazione musicale. “Belli ma difficili”, fu per esempio il commento della fidanzata del poeta Johann Christoph Gottsched, amico e collaboratore di Bach. Difficili, ma non impossibili per un dilettante. La musica delle
Partite è prima di tutto un divertimento per gli occhi e le dita dell’esecutore. La
Partita, come la Suite, indica una raccolta di danze. Il titolo rendeva omaggio a
Johann Kuhnau, predecessore di Bach a Lipsia, che aveva chiamato così una
raccolta nel 1689. Ma l’idea di Bach era di offrire un prodotto di gusto moderno,
adatto al divertimento intellettuale. La danza diventa un modello stilistico a cui
riferirsi, come schema ritmico in primo luogo e come espressione di affetti. La
sequenza delle danze è Allemanda, Corrente, Sarabanda, Minuetto e Giga, più
altre Galanterien. L’introduzione invece è in stile libero. Nella Partita III prende per esempio il nome di Fantasia, un termine che evoca l’antica toccata organistica. Il carattere astratto delle danze si manifesta nella metamorfosi del
Minuetto in una Burlesca e in uno Scherzo, che prendono il posto della forma
tradizionale. La scrittura della Partita è molto densa, quasi sempre condotta a
tre voci e ricca di episodi contrappuntistici, ma senza mai dimenticare lo scopo
del lavoro: imparare con diletto.
Ludwig van Beethoven
(Bonn 1770 - Vienna 1827)
Sonata in re maggiore op. 10 n. 3 (ca. 25’)
I. Presto II. Largo e mesto III. Menuetto. Allegro IV. Rondò. Allegro
Anno di composizione: 1796/1798
Anno di pubblicazione: 1798
Le tre Sonate dell’op. 10 recano una dedica alla contessa Anna Margarete,
moglie di Johannes Georg von Browne-Camus, “Brigadier au service de S.M.I. de
touttes les Russies” [sic], come si legge nella dedica della Grande Sonata op. 22.
Il Conte, giunto a Vienna nel 1795, si era distinto ben presto come “il primo
Mecenate della musa” di Beethoven, che si dichiarava “profondamente colpito
dalla Sua munificenza tanto discreta quanto liberale”. La dedica dell’op. 10 alla
giovane contessa venne ricompensata infatti con un bel cavallo da sella, affidato
alle cure di un domestico disonesto e in seguito dimenticato tristemente in una
stalla. Un purosangue sembra un regalo appropriato per queste Sonate dinamiche ed essenziali, compresa l’ultima in re maggiore. Il linguaggio di Beethoven
qui diventa sferzante come le sciabolate di un ussaro e forse non è il più adatto
alle mani delicate di una contessa, ma in compenso non richiede un virtuosismo
da concertista, anche se non mancano i passaggi spettacolari, come per esempio
gli incroci delle mani nella fase culminante dello sviluppo del “Presto” iniziale.
Il punto di forza della Sonata è tuttavia il tempo successivo, indicato “Largo e
mesto”. Il movimento lento si contrappone in maniera integrale al precedente,
manifestando in ogni forma un rovesciamento di valori, a partire dalla tonalità
di re minore. Dall’incalzante corrente del primo si passa al soliloquio meditabondo del secondo, dal dialogo costante tra le due mani al predominio assoluto
della melodia accompagnata, dall’articolazione ritmica al cantabile legato, dallo
stile diatonico a quello cromatico. Il pianoforte non aveva mai sondato prima, in
maniera così analitica, le profondità del cuore umano, preparando il terreno alle
sconvolgenti novità della musica del nuovo secolo. Di fronte a due movimenti
così impegnativi, Beethoven ha forse sentito l’esigenza di rinforzare l’ultima
parte della Sonata aggiungendo un “Menuetto” prima del “Rondò” finale.
Quest’ultimo riprende il carattere icastico del “Presto” iniziale e anche il materiale tematico del primo movimento, elaborato in forma sintetica. Ma a differenza dell’inizio, la Sonata mostra adesso un volto meno serioso e un desiderio di
concludere il discorso con una leggerezza quasi mozartiana.
Frédéric Chopin
(Zelazowa Wola 1810 - Parigi 1849)
Ballata n.1 in sol minore op. 23 (ca. 10’)
Anno di composizione: 1841
2 Polacche op. 26 (ca. 12’)
n. 1 in do diesis minore
n. 2 in mi bemolle minore
Anno di composizione: 1835
Nell’ambito del pianoforte, come sosteneva Debussy, Chopin «fu capace di scoprire qualunque cosa». Ma anche di riqualificare il repertorio pianistico, elevando a forma artistica generi rimasti fino allora nell’ambito dell’intrattenimento.
Alcuni li trovò già pronti, come i Notturni o le Polacche, altri li inventò quasi da
zero, come le Ballate o gli Scherzi. Le Ballate incarnano in maniera esemplare
lo spirito del Romanticismo. Chopin trasferì nell’ambito del pianoforte l’idea di
poesia senza parole, scrivendo delle Ballate prive di un’origine letteraria.
Schumann sosteneva che fossero ispirate agli omonimi lavori di Mickiewicz, la
voce più alta della poesia polacca, ma non risultano prove di un tale rapporto.
Chopin ha riversato nelle Ballate ogni aspetto della sua arte: espressione lirica,
senso della forma, drammaticità, poesia del suono. La prima, in la bemolle maggiore, fu completata nel 1841. L’autografo è stato distrutto nel corso dell’occupazione nazista di Varsavia. Nella prima parte si ravvisano due temi principali, ma
forse sarebbe più opportuno parlare di libera proliferazione tematica. L’architettura
formale viene diluita in una sorta di percorso emotivo interiore, che si muove da un
mondo di dolcezza lirica verso un clima più drammatico e cupo.
La critica musicale ha sempre interpretato le polacche e le mazurke alla luce
del sentimento nazionale. Occorre tuttavia domandarsi cosa significasse il termine nazione per un artista come Chopin, cresciuto in una città cosmopolita
come la Varsavia del primo Ottocento. Al momento della nascita del musicista,
l’identità politica della Polonia non esisteva più da decenni e la lotta per l’indipendenza riguardava solo una ristretta cerchia di nobili, pronti al sacrificio ma
privi di un progetto chiaro e realistico. L’idea di Polonia era coltivata e tramandata soprattutto nella sfera letteraria e artistica, dove lo spirito nazionale trovava un fragile riparo sotto il tallone di ferro del regime zarista. Chopin, figlio
di un professore francese e di una donna polacca, finì per incarnare il dualismo
di una terra da sempre teatro di incontri e scontri tra il mondo slavo e la civiltà
latina. La sua idea di patria, tuttavia, era poco conforme alle istanze dei movimenti politici degli anni Venti e Trenta, che alimentarono una velleitaria lotta di
liberazione costata il suicidio della migliore gioventù polacca.
La notizia della rivolta di Varsavia (novembre 1830) si diffuse subito a Vienna,
dove Chopin era appena arrivato per un giro di concerti. La successiva guerra
con la Russia, punteggiata da sanguinose battaglie e seguita da una scia di
feroci repressioni, si chiuse con la morte e l’esilio di migliaia di giovani patrioti,
molti dei quali figuravano tra i suoi amici più cari. La vita del musicista giunse
a una svolta, dopo i tremendi rivolgimenti del paese. Da Vienna Chopin si recò
a Parigi, in maniera clandestina, recidendo per sempre i rapporti con la terra
natale, malgrado non fosse coinvolto in alcun modo nella rivolta. La perdita del
proprio mondo ebbe traumatiche ripercussioni sulla sua produzione, soprattutto
sulla forma musicale più legata agli anni vissuti in Polonia. Le prime due Polacche
op. 26, in do diesis minore e in mi bemolle minore, completate nel 1835, mostrano
infatti la violenza delle passioni che scuotevano il petto del musicista. I contrasti
sonori sono esasperati all’estremo, mentre l’arco dell’armonia si tende in rapporti a volte di audace dissonanza. L’architettura diventa più libera e si allontana
dallo schema tripartito tradizionale, fino al punto di eliminare il da capo e di terminare con il Trio, come l’autore indica nella Polacca in do diesis minore.
Karol Szymanowski
(Tymosówska, Ucraina 1882 - Losanna 1937)
Sonata n. 1 in do minore op. 8 (ca. 25’)
I. Allegro moderato II. Adagio. Molto tranquillo e dolce III. Tempo di Minuetto. Comodo
IV. Finale. Introduzione Adagio – Fuga a 3 voci. Allegro energico
Anno di composizione: 1904
Prima esecuzione: Varsavia, 19 aprile 1907
Karol Szymanowski discendeva da una antica famiglia di proprietari terrieri
della vecchia Polonia. La tenuta era situata in un territorio passato nel corso di
due secoli dal Regno di Polonia all’Impero russo, all’Unione sovietica e oggi
all’Ucraina. Il punto di riferimento politico e culturale della famiglia rimaneva
tuttavia Varsavia. La capitale, nell’ultimo scorcio dell’Ottocento, era scossa da
forti spinte nazionaliste, alimentate da uno spirito irredentista mai domato dai
russi, malgrado le sanguinose repressioni. Agli inizi del Novecento nasceva a
Varsavia la prima orchestra sinfonica e si formava il movimento della cosiddetta Giovane Polonia, che coinvolgeva scrittori, artisti e musicisti. Il primo soggiorno di Szymanowski a Varsavia coincise con la fioritura di una generazione
di giovani artisti animati da una sensibilità di tipo nuovo, ansiosi di unirsi alle
correnti più moderne della cultura europea. I libri di Nietzsche, i drammi di
Ibsen e la poesia simbolista nutrivano le ambizioni spirituali dei Giovani
Polacchi, in netto contrasto con la vecchia e provinciale Varsavia dell’Ottocento.
La musica di Skrjabin, in particolare, rappresentava per il giovane Szymanowski
un potente filtro per depurare il linguaggio di Wagner (e il pianoforte di
Chopin) dalle scorie della tradizione. L’ombra di Skrjabin si staglia infatti sullo
sfondo dei primi lavori di Szymanowski, legato per motivi familiari a talmente
tante figure di primo piano del pianoforte dell’epoca da rendere quasi inevitabile che la sua produzione agli inizi fosse quasi interamente dedicata a questo
strumento. Si nota per esempio nella drammatica contrapposizione del carattere cromatico del tema principale dell’“Allegro moderato” con il luminoso stile
diatonico del suo antagonista, una mischia ambigua dai risultati incerti. La lotta
tra i due principi prosegue in forme diverse anche negli altri movimenti, dove
prevale ora l’uno ora l’altro. Il cromatismo per esempio erompe tumultuoso
nella parte centrale dell’“Adagio” in fa minore, dilagando con furia nella linea
melodica nascosta nelle quartine di semicrome. Il “Finale” è formato da una
possente Fuga a tre voci, che nasce da un’idea strettamente diatonica come la
successione di due intervalli di quinta (do-sol e la bemolle-mi bemolle). Gli sviluppi del tema tuttavia sommergono la fuga con una marea di cromatismi, che
avvolgono in un parossismo sempre più abbagliante i contorni delle voci fino a
toccare l’estrema dissonanza. Da qui nasce finalmente la tonalità di do maggiore, che suggella l’intero percorso della Sonata con un’affermazione maestosa
del tema diatonico della fuga.
Oreste Bossini
Rafał Blechacz
Nato nel 1985 a Naklo nad Notecia in Polonia, Rafał Blechacz inizia lo
studio pianoforte a 5 anni. Ha proseguito gli studi alla scuola “Arthur
Rubinstein” di Bydgoszcz e all’Accademia Musicale di Bygdoszcz dove si
è diplomato nel 2007 sotto la guida di Katarzyna Popowa-Zydrón.
Premiato al Concorso Internazionale per Giovani Pianisti in memoria di
Arthur Rubinstein a Bygdoszcz (2002), al Concorso di Hamamatsu in
Giappone (2003) e in Marocco (2004), nel 2005 ha vinto all’unanimità il
primo premio al Concorso Chopin di Varsavia aggiudicandosi anche i
premi speciali per la migliore esecuzione delle Mazurche e delle Polacche,
per la migliore esecuzione concertistica e per la migliore esecuzione delle
Sonate, premio istituito da Krystian Zimerman.
La medaglia d’oro al Concorso Chopin gli ha aperto le porte delle maggiori sale da concerto in tutto il mondo quali Royal Festival Hall e Wigmore
Hall di Londra, Philharmonie di Berlino, Herkulessaal di Monaco di
Baviera, Alte Oper di Francoforte, Liederhalle di Stoccarda, Tonhalle di
Zurigo, Concertgebouw di Amsterdam, Salle Pleyel di Parigi, Avery
Fisher Hall di New York.
È ospite regolare dei festival di Salisburgo, Verbier, La Roque d’Anthéron,
Klavierfestival Ruhr, e Gilmore Festival negli Stati Uniti.
Nel luglio 2010 gli è stato assegnato il premio dell’Accademia Chigiana di
Siena.
Nel 2006 ha firmato un contratto in esclusiva con Deutsche Grammophon.
Il primo CD dedicato ai Preludi di Chopin ha vinto il Disco di platino,
l’ECHO Klassik e il Diapason d’or. Il CD dedicato ai Concerti di Chopin
registrati nel 2010 con l’orchestra del Concertgebouw di Amsterdam e
Jerzy Semkow ha vinto il Premio della critica tedesca e il Disco di Platino.
È stato ospite della nostra Società nel 2010.
Prossimo concerto:
Martedì 20 marzo 2012, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Marie-Elisabeth Hecker violoncello
José Gallardo pianoforte
Le origini di Marie-Elisabeth Hecker si trovano nella città natale di Robert Schumann,
Zwickau, dove il padre è un ministro della Chiesa luterana. L’abitudine a far musica con
gli altri sette figli, tra fratelli e sorelle, del pastore Hecker ha influito sulla carriera di
Marie-Elisabeth, che è una delle violoncelliste più ricercate per concerti di musica da
camera da artisti del calibro di Gidon Kremer, Christian Tetzlaff, Louis Lortie. Il primo
Premio al Concorso Rostropovich di Parigi nel 2005 ha spalancato a Marie-Elisabeth
Hecker le porte della carriera da solista, che procede parallela a quella cameristica. Il
programma scelto per il primo recital al Quartetto rivela il gusto raffinato di questa
giovane musicista, che ha scelto lavori meno conosciuti ma di grande qualità come la
Sonata di Poulenc, scritta per Pierre Fournier, e la stupenda Pohadka di Janáček, sorta
di ballata romantica ispirata a una leggenda popolare slava. Chiude il programma la
Sonata in sol minore di Chopin, un’opera capitale della letteratura per violoncello
scritta dal più grande autore di musica per pianoforte.
Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 - 20122 Milano - tel. 02.795.393
www.quartettomilano.it - e-mail: [email protected]