Francesca Colombini Cinelli, ovvero: storia di una contessa che vuol

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Francesca Colombini Cinelli, ovvero: storia di una contessa che vuol
DI PAOLO PERAZZOLO - FOTO DI GIANCARLO GIULIANI/CPP
L
a vita e la figura di Francesca Colombini Cinelli può essere raccontata in tanti modi. Si potrebbe parlare di lei come della “signora del Brunello”,
dal momento che è proprietaria della Fattoria
dei Barbi di Montalcino, il maggiore produttore toscano del pregiatissimo vino. Bisognerebbe poi ricordare che si tratta di una contessa, proveniente da un’illustre famiglia modenese successivamente trasferitasi in Toscana, che non ha mai avuto paura di “sporcarsi
[IL PERSONAGGIO]
A sinistra: Francesca
Colombini Cinelli. Qui
accanto: lo stemma
nobiliare della sua
famiglia. In basso:
bottiglie d’annata
del mitico Brunello
smo, eppure gestì la carica con
tanta dedizione per la sua gente
che, alla fine della guerra, una delegazione di cittadini, fra cui alcuni partigiani, gli chiese di diventare
sindaco». Lui rifiutò, perché aveva in mente
l’azienda di famiglia. «Come imprenditore»,
continua la contessa, «fu senz’altro lungimirante: capì che bisognava puntare sul Brunello, sulla qualità, farne un prodotto di nicchia e farlo arrivare direttamente sul tavolo
Francesca Colombini Cinelli, ovvero: storia
di una contessa che vuol salvare la “contadinità”
LA SIGNORA DEL BRUNELLO
le mani” lavorando la terra. Ma non andrebbe dimenticato nemmeno che è stata in assoluto una delle prime “donne manager” dell’Italia, negli anni Settanta, quando ancora il
significato di questa espressione non era ben
chiaro. E ancora, si dovrebbe citare il suo impegno culturale come creatrice di premi letterari e come autrice di un paio di libri godibilissimi, in cui ripercorre la sua vita e rievoca le
tradizioni della sua terra: Il vino fa le gambe
belle e 1899: Elina Colombini, una gentildonna ai fornelli (editi da Cantagalli).
Insomma, Francesca Colombini Cinelli è
una donna che ha molto da raccontare. Si
parte dalla famiglia, e, come si vedrà, non è
certo un caso. «Ho avuto nonni e genitori eccezionali», comincia. «Il nonno era rettore
dell’Università di Modena: un uomo coltissimo, che frequentava le persone più importanti del suo tempo, come Giolitti. Da lui mio padre ereditò l’amore per la storia locale e per la
Toscana, che venne coronato dal matrimonio
con una ragazza di Montalcino».
Una figura eccezionale, quella del padre di
Francesca, che segnò la storia del paese toscano. «Fu podestà durante gli anni del fasci씮
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[IL PERSONAGGIO]
In questa foto: visitatori nelle cantine della Fattoria
dei Barbi. Qui accanto e sotto: la stagionatura dei
prosciutti e dei formaggi nella stessa Fattoria
Nessuno può fare a meno della dimensione contadina:
“
”
Noi italiani abbiamo
avuto la fortuna di
ereditare queste terre
uniche, sono ciò che
più ci contraddistingue
nel mondo
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씮
dei consumatori, saltando gli intermediari».
Concetti noti all’imprenditoria moderna,
ma quasi profetici per quei tempi. «Uno dei
momenti più duri per l’azienda fu la fine
della mezzadria, con la necessità di liquidare
le terre ai contadini ma anche di provvedere
rapidamente alla meccanizzazione dell’agricoltura. In questa situazione mio padre dimostrò la sua forza e il suo coraggio. Convocò attorno a sé i familiari – io ero una ragazzina di
10 anni – e disse: “La vogliamo salvare questa
azienda? È finita l’epoca del tè al pomeriggio con le amiche, ci dobbiamo
rimboccare le maniche, dobbiamo ricomprarcela!”».
Alla morte del padre,
nel 1976, toccò a Francesca prendere in mano
le redini dell’azienda.
«Per lungo tempo non
mi sono allontanata
dai nostri terreni,
mi sono dedicata
anima e corpo all’azienda, anche rifiutando incarichi di
prestigio». Fu la prima donna a essere invitata a New York dal Wine Experience, la bibbia mondiale dell’enologia, prima e unica donna, a quei tempi, titolare di un’impresa.
Per i risultati, parlano i numeri: la Fattoria
dei Barbi oggi è proprietaria di 338 ettari a
Montalcino, 102 a Scansano e 9 nel Chianti;
produce 760 mila bottiglie all’anno, molte delle quali vendute all’estero, soprattutto negli
Usa, in Canada e Germania; ha 70 dipendenti
e un fatturato di 11 milioni di euro annui.
Di recente la responsabilità gestionale è
passata al figlio Stefano, mentre lei si è assunta il compito di tenere viva la memoria, di ricordare a tutti che cosa è Montalcino e dove
affondano le nostre radici. La pubblicazione
del libro Il vino fa le gambe belle è solo il primo atto di questa nuova sfida. L’apertura del
Museo della comunità di Montalcino e del
Brunello, vicino alla fattoria, ne è un passaggio fondamentale. Al suo interno, infatti, rivivono l’antico paese, gli abitanti di una volta,
le loro case e i loro mestieri scomparsi, la trasformazione del paesaggio... Di recente è uscito il libro dedicato alla nonna Elina, in apparenza solo un volume di ricette, in realtà l’af-
infatti chi vive in città appena può torna in campagna
fresco di un periodo storico visto con gli occhi di una donna. «Questi libri e il museo altro non sono che il mio omaggio a questa terra, a cui dobbiamo tutto».
Dal nonno che viveva a Modena, passando
per l’amatissimo padre, l’amore per la Toscana e la sua terra è arrivato intatto alla contessa. «Montalcino è una patria, un destino
che appartiene a tutti, anche a chi non lo ha
mai visitato», spiega, «perché rappresenta
la nostra comune radice, che è la terra. Si dice che oggi i contadini non esistono più, ed è
vero, ma ciò che non è morto né mai morirà è
la “contadinità”, quel vivere semplice a contatto con la natura, la terra, gli alberi, il sole…
Nessuno può fare a meno di questa dimensione, come dimostra il fatto che anche chi vive
nelle metropoli torna alla campagna e alla natura, appena gli è possibile. Da Montalcino,
da queste terre arriva questo messaggio, che
dovrebbe essere ascoltato anche dal mondo
dell’imprenditoria: noi italiani abbiamo avuto la fortuna di ereditare queste terre uniche, questo paesaggio meraviglioso che regala all’uomo splendidi frutti, come appunto il Brunello. Dovremmo valorizzare al me-
glio un patrimonio del genere, che è ciò che ci
contraddistingue nel mondo, e puntare sui
prodotti d’artigianato d’eccellenza».
Ora la contessa ha 77 anni, trascorre il suo
tempo fra la casa di Siena e quella a Montalcino, all’interno dell’azienda. Con la serenità di
chi ha vissuto intensamente e duramente lavorato, per difendere quella contadinità che rende al mondo unici noi italiani, si sta dedicando alla memoria della civiltà della terra, affin왎
ché la sua lezione non vada perduta.
In alto: la contessa
Colombini Cinelli
con il figlio Stefano.
Qui sopra: degustazione
del Brunello
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