Pag. 30 - Cicco Simonetta dal castello dì Caccuri alla corte degli

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Pag. 30 - Cicco Simonetta dal castello dì Caccuri alla corte degli
Voci dal Sud
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AnnoVI° nr. 8 Agosto 2010
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Calabresi con la “C” maiuscola
Cicco Simonetta dal castello dì Caccuri alla
corte degli Sforza a Milano
Un personaggio circondato dal mistero ma pregno di indubbio valore - La sua
storia va dal Castello di Caccuri, importante ancora oggi per i suoi contenuti
preziosi, al castello degli Sforza - La storia del maniero
di Bruno Gemelli
Dietro un’anonima targa stradale c’è la storia di un uomo
la cui vita fa segnata da un castello.
Anzi, da due castelli. Quello da dove partì e quello, a
oltre mille chilometri di distanza, dove perì tragicamente.
La vicenda di Francesco (detto Cicco e Cecco) Simonetta
si colloca tra il XIV e il XV secolo e prende l’avvio a Caccuri,
piccolo centro del Marchesato (n.d.r.: oggi provincia di
Crotone).
Il paese, posto a 663 metri sul livello del mare con circa
1.800 abitanti, è appollaiato su una rupe che guarda a Est
le vallate del Tacina e del Neto verso lo Jonio e a Ovest
verso i primi contrafforti della Sila.
Ci si arriva percorrendo la statale 107 (lungo il tragitto si
può notare la “Timpa di Salto” che somiglia in modo impressionante alla rupe del cartone animato di Walt Disney
“Il Re Leone”) che congiunge Crotone a Cosenza valicando la Sila Grande.
Cingono il paese le suggestive grotte scavate nell’arenaria
che richiamano paesaggi di frontiera.
Nel 1950 il regista Mario Camerini volle girare in questi
luoghi il film “Il brigante Musolino” con Amedeo Nazzari,
Silvana Mangano e Arnoldo Foà, una scelta felice quella di
Camerini perché l’ambiente aveva tutti i riferimenti estetici
per narrare quel tipo di drammaturgia.
Da allora il paesaggio non è granché mutato, così come
non è cambiato l’itinerario turistico che rivive oggi attraverso il parco letterario “Old Calabria”: i viaggi del Grand
Tour tanto cari a Norman Doluglas a cui il parco medesimo
è dedicato.
Sicché Caccuri è tappa importante di un ideale percorso
culturale perché in questo luogo fa bella mostra di sé il
castello, impresso mirabilmente dal grande fotografo
Mimmo Jodice nel volume curato da Mirella Barracco, animatrice col marito di “Old Calabria”.
Il castello sovrasta maestosamente il paese prendendo
la forma della rupe che disegna il punto più alto
dell’acrocoro.
Di lato, ad un tiro schioppo, si scorge Cerenzia, la vecchia Acerentia anch’essa onusta di storia patria.
Arrampicandosi per le viuzze pulite del paese si arriva in
un sentiero di pietre che ha sostituito il vecchio ponte levatoio, superando il quale si entra nel primo portale che conduce al castello.
Due cortili comunicanti introducono nella doppia rampa
di scale munite di portico che fanno guadagnare l’ingresso
al maniero.
Nel secondo cortile, di fronte all’ingresso, c’è il portale
che conduce alla cappella.
Detto in pillole: il castello, realizzato sulla rupe intorno al
IV secolo dove pare esistesse già un presidio bizantino,
appartenne alla famiglia Ruffo che possedeva le vaste terre
del Marchesato.
Nel 1418 Polissena Ruffo sposò Francesco Primo Sforza
al quale portò in dote il castello di Caccuri.
Questo matrimonio rappresentò la prima saldatura tra il
potere del Sud rappresentato dai Ruffo e il potere del Nord
rappresentato dagli Sforza.
Polissena Sforza si trasferì poi alla corte di Milano seguita dal caccurese Cicco Simonetta (1410-1480) che divenne
un famoso uomo politico per l’incarico che ebbe di segretario del duca di Milano Francesco Sforza e, alla morte di
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Si segnalano l’altare tardo barocco con rifiniture di seta
questi, fiero avversario del figlio Ludovico il Moro nel suo
tentativo di usurpazione del ducato ai danni del fratello e alcuni quadri del ‘600 e ‘700 attribuibili alla scuola napoletana e altri di incerta provenienza.
prima e del nipote dopo.
Ci sono poi: un volto di Cristo in legno, una teca con
Quando il Moro riuscì nel suo intento, lo accusò di molti
crimini e lo fece decapitare sul rivellino del castello di Pavia. l’Addolorata e un quadro che raffigura San Rocco patrono
Ecco i due castelli che segnarono il destino del Simonetta di Caccuri.
All’interno della chiesetta sono presenti, sulla volta, lo
di cui scrisse il Machiavelli nel XVIII capitolo delle Istorie
Fiorentine: «...Messer Cecco, uomo per prudenza e per stemma gigliato dei Cavalcanti, e, su una parete, ancora i
gigli insieme ad una raffigurazione non decifrata, mentre
lunga pratica eccellentissimo...».
Il sodalizio Ruffo-Sforza ad
un certo punto si ruppe e il
castello di Caccuri ritornò pienamente ai Ruffo che lo tennero sino al 1500.
La struttura passò poi ad
altre famiglie, tra le quali gli
Spinelli e i Cavalcanti (16001700), questi ultimi pare avessero discendenze senesi.
La presenza nel castello di
stemmi fregiati di giglio richiamano i Cavalcante toscani.
Intorno al 1800 assume la
proprietà del castello e delle
sulla spalliera di una panca c’è lo stemma dei Barracco.
terre circostanti la famiglia Barracco.
Nel 1885 il barone Guglielmo Barracco fece realizzare,
Ma torniamo a Cicco Simonetta.
Per Paolo Colussi, che gli ha dedicato uno studio partiattraverso l’architetto Adolfo Mastrilli, importanti lavori di
ristrutturazione i cui effetti sono tutta ora presenti (vedi il colareggiato, divenne il capro espiatorio di Ludovico il Moro.
Scrive Colussi: «Dell’infanzia di Cicco Simonetta sapsistema di scarico delle acque); Mastrilli infatti ideò un grande sistema idrico utilizzando la torre di avvistamento come piamo pochissimo.
Nasce forse nel 1410 (la data non è certa) a Caccuri
serbatoio piezometrico che consentiva di calmierare l’acsulle pendici della Sila, vicino al lago Ampollino.
qua proveniente dalla Sila e poi distribuita a valle.
Anche il luogo di nascita è incerto, nel firmare talvolta
Circa settanta anni fa iBarracco vendettero il maniero
alle famiglie Fauci e Lopez, e successivamente ci furono Cicco si intitolerà “di Rossano” oppure “di Policastro”,
altri passaggi con l’interessamento del comune di Caccuri. probabili luoghi di origine della sua famiglia.
L’interno del castello, come tutti i castelli che si rispettaGià dal 1418 o poco più tardi (nel 1421), giovanissino, è ricco di oggetti, di ambienti e di sorprese per l’accu- mo, Cicco entra al servizio dello Sforza, ingaggiato dallo
zio Angelo assieme ai suoi due fratelli Andrea e Giovanni.
mulo storico che ha in sé un sito del genere.
Degli altri due suoi fratelli - Matteo e Cassandra - non
L’opera di restauro avviata dai Fauci ha portato alla luce
sappiamo invece nulla.
affreschi su legno, capitelli, portali e quant’altro.
L’educazione di Cicco è molto curata. Studia con i padri
Anche l’arredo, di varie epoche, offre spunti interessanti: il lavabo inglese di marmo e legno dell’800, l’armadio Basiliani, impara il greco e l’ebraico.
Più tardi darà prova di conoscere anche lo spagnolo,
con il water all’interno, le oltre 40 stante di varie dimensioni
che si aprono a balcone su panorami ancora incontaminati. il tedesco e il francese.
Si laurea in diritto civile e canonico, probabilmente a
C’è anche una ricca biblioteca (ci sono due messali: uno
del 1755 e l’altro del 1837) che, tra l’altro, contiene la Napoli.
documentazione del transvolo fatto da Italo Balbo nella
Difficile capire il suo ruolo a fianco dello Sforza in
Roma-Chicago del 1933 a cui partecipò il capitano Gennaro questi primi anni, nei quali il grande condottiero, ormai
Giordano di Isola Capo Rizzuto.
divenuto capo delle milizie del padre (morto nel 1424) si
L’altro pezzo pregiato del castello è la cappella che ha destreggia tra le diverse leghe (viscontee e antiviscontee)
uno splendido portale e una vetrata d’ingresso con motivi che si alternano seguendo le sconvolgenti e tortuose ala mosaico e cornice di legno intarsiato.
chimie politiche di Filippo Maria Visconti».