Canali di vendita - Retaildesignweb.it

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L'albero e il
lettore
Intervista a Paolo Lucchetta*
L’ultima delle librerie.coop è nel pieno
centro di Bologna. Frutto del recupero di
un ex mercato ottocentesco – tra via Orefici, via Drapperie e via Pescherie Vecchie
– lo spazio è stato prima una strada su
cui si affacciava la Chiesa medievale di
San Matteo degli Accarisi, poi mercato,
infine cinema rimasto poi in stato di abbandono per molti anni. È una struttura
che si sviluppa su tre piani, per un totale
di 1.200 mq. Ma definirla «libreria» è certamente riduttivo perché siamo in presen* Retail Design, Venezia
za di un concetto commerciale completamente nuovo rispetto alla tradizione
del nostro Paese, frutto di un accordo tra
librerie.coop e l’insegna enogastronomica
di cibi e bevande di alta gamma Eataly.
Il nuovo Ambasciatori è uno spazio innovativo che unisce cultura e sapori e dove trovano posto, senza soluzione di continuità,
una libreria con 85 mila volumi, 42 mila
titoli, un caffè, un’enoteca-birreria e aree
per incontri, lezioni ed eventi.
La narrativa è al piano terra insieme allo
spazio forum e alla caffetteria con il banco
per panini e spuntini; i libri sul tempo libero
stanno al primo piano insieme all’osteria
e alla gastronomia da asporto; al terzo i
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Giornale della libreria gennaio 2009
Fotografia di Marco Zanta
La nuova libreria.coop,
aperta a inizio dicembre
nel centro di Bologna, è
un esempio di ricerca di
qualità e di fusione tra
prodotti e spazi diversi,
con la volontà di offrire
ai clienti un luogo in cui
«rallentare» e arricchire il
proprio tempo
Canali di vendita
Canali di vendita
Giornale della libreria gennaio 2009
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Cosa sta avvenendo nel retail moderno,
in cui anche gli spazi di vendita del libro
si trovano sempre più coinvolti?
La tendenza più rilevante che registriamo è quella della trasformazione dei negozi da luoghi di scambio di merci e di
prodotti a proposte di spazi che vengono definiti come dei «community store».
Spazi in cui la comunità dei consumatori
– dei lettori nel caso della libreria – si
riconosce nel marchio dell’insegna. Non
solo «pretende» di avere a disposizione
l’assortimento dei prodotti e delle merci,
ma di trovar vi anche spazi di relazione, di
approfondimento sui prodotti che intende
acquistare, di conoscenza, di racconto
del valore del marchio. Insomma spazi
in cui si viene a instaurare una sorta di
partnership. Il mondo del retail si sta spostando nel progettare gli spazi di vendita
verso la ricerca di adesione da parte dei
consumatori a progetti più coinvolgenti. Il
caso internazionale che rappresenta meglio questo diverso modo di immaginare
gli spazi di vendita è quello degli Apple
store. Apple, senza avere in precedenza
alcuna esperienza di retail, ha concepito
un luogo in cui si racconta il marchio e si
vendono i prodotti Apple, ma che al suo
interno prevede anche spazi di raccolta,
fruizione, lettura e soluzione dei problemi
legati al funzionamento dei prodotti del
mondo Apple. Quindi il consumatore, in
uno spazio aperto 24 ore su 24 come
una sorta di piazza, si riconosce totalmente in una filosofia che accompagna
tutta l’esperienza del prodotto.
Come questo nuovo concetto di negozio
si declina nella nuova libreria.coop di Bologna che avete progettato e che è stata
appena aperta?
Va detto che è stata al tempo stesso una
fortunata coincidenza e una interessante
intuizione da parte di tutti i protagonisti,
a partire da Coop Adriatica, librerie.coop,
Eataly. Fortunata coincidenza perché ha
unito sul tema della cultura del cibo e della
cultura del libro due aziende di eccellenza:
librerie.coop e Eataly. Fortunata coincidenza è l’eccezionalità del luogo che abbiamo
trovato: siamo nel centro di Bologna, l’edificio presenta una stratificazione al tempo
stesso storico-architettonica e di memoria
per tutti i bolognesi. La somma di questi e
altri elementi ha fatto sì che questo luogo si
prestasse eccezionalmente bene rispetto a
quello che dicevo prima: la città riconosce
la propria storia all’interno di uno spazio in
cui sono passati momenti importanti della
propria vicenda di comunità: una strada,
poi una chiesa, un mercato, un cinema. I
cittadini di Bologna si possono riconoscere in un luogo in cui trovare prodotti di eccellenza alimentare che possono essere
conosciuti, acquistati, consumati a casa o
direttamente nello spazio del negozio, secondo la filosofia di Eataly. A sua volta la
libreria.coop non fa solo una proposta di
assortimento ma contiene al suo interno
anche una libreria storica bolognese come
la libreria Palmaverde di Roberto Roversi. Il
tutto in un luogo in cui ci sono ampi spazi
dedicati alla lettura, a incontri e presentazioni.
Varie coincidenze che hanno portato a delineare un vero e proprio community store:
uno spazio commerciale pubblico di ultima
generazione, come se ne vedono nelle
grandi capitali europee.
Il vostro studio si occupa della progettazione delle librerie.Coop nei centri commerciali. Quali problemi avete dovuto
affrontare in questo nuovo contesto? O
quali opportunità avete potuto cogliere?
La prima grande opportunità data da questo luogo è stata quella di poter parlare
di libri in uno spazio in cui la possibilità
di leggere il luogo stesso è fondamentale: da parte dei progettisti, delle aziende coinvolte, del cliente. La difficoltà e
la sfida a cui ci siamo trovati di fronte è
stata quella di lasciare visibili le tracce
del passato – dai materiali alla copertura – andando poi a integrare gli elementi
contemporanei che abbiamo inserito. C’è
stata insomma la fatica e l’opportunità di
progettare uno spazio e una libreria che
fosse un collegamento con la cultura della città e dei suoi abitanti. La seconda
difficoltà è stata quella di fondere le culture delle due aziende – librerie.coop ed
Eataly – mantenendone al contempo l’autonomia del funzionamento, anche semplicemente logistico. Ma dando la sensazione al frequentatore e al cliente che si
tratta di uno spazio unico, senza cuciture,
in cui non c’è una linea di demarcazione
tra libreria e spazio ristorazione, tra scaffali dei libri e dei cibi; tra le sedute per
leggere e quelle per mangiare.
La volontà è stata quella di far percepire
questo spazio come un luogo dove poter
leggere un libro e poi acquistarlo, oppure
assistere a incontri con autori, ma anche
come un luogo in cui ci si può recare per
andare a pranzo o a cena. Un posto in
Fotografia di Marco Zanta
libri per i ragazzi e la saggistica, insieme
alla vineria e alla birreria, e a un secondo
spazio per incontri. Al primo piano troviamo
anche i libri della Palmaverde di Roberto
Roversi, la storica libreria antiquaria di via
dei Poeti, il cui magazzino è stato acquisito
da Coop Adriatica.
Un investimento complessivo di oltre 3,7
milioni di euro (2,5 circa per la realizzazione dei lavori, oltre 1,2 per l’allestimento
della libreria e delle aree per la ristorazione) che ha dato vita a uno spazio commerciale innovativo difficile da definire
in base ai tradizionali modi in cui siamo
abituati a definire le librerie, e di cui parliamo con Paolo Lucchetta che ha curato
il progetto.
Canali di vendita
La necessità di creare un momento di
«rallentamento» nei processi di acquisto
che avete proposto nella progettazione
architettonica delle librerie nei centri
commerciali, qui si ritrova...
Qui in fondo siamo all’apoteosi del concetto di «rallentamento». Non solo l’acquisto
dei libri è di per sé un processo che richiede un rallentamento – prenderlo in mano,
leggerne dei brani, la quarta di copertina,
ecc. – ma c’è anche la possibilità di avere, nel centro della città e in tutte le ore
della giornata, l’occasione di entrare in
uno spazio in cui «rallentare» il ritmo delle
attività quotidiane, facendo una sosta per
girare e scegliere un libro da acquistare,
decidere di assistere a una presentazione, o di prendere un caffè, fermarsi a
mangiare all’osteria, o acquistare prodotti alimentari. La scelta è stata quella di
progettare tutti gli elementi di uno spazio
in cui l’esperienza dello shopping – libri e
non – sia lenta e coinvolgente. Uno spazio che cattura il tempo ma non lo ruba,
perché lo restituisce arricchito in qualità
e in conoscenza. Il rallentamento diventa
una qualità di fruizione alta, più articolata
e ricca di suggestioni.
E l’esposizione dei libri?
Questa è la quindicesima libreria che
apriamo, e con Romano Montroni e Fabrizio Lombardo abbiamo cercato di aumentare il livello della ricerca espositiva,
tesa soprattutto all’obiettivo di raccontare
i libri quasi uno alla volta. Mirando a non
fare un luogo che sia solo un grande raccoglitore, bensì cercando di raccontare le
storie di libri e di editori. Ad esempio, ci
sono moltissimi leggii anche nei luoghi di
passaggio; e libri anche sulle balaustre
proprio per renderli oggetti sempre leggibili, manipolabili, fruibili uno alla volta. Lo
scopo è quello di accrescere la visibilità
dei singoli argomenti, legati poi di volta in
volta a editori o autori o eventi, come lo
spazio dedicato interamente a Il Mulino.
Inoltre ci sono almeno tre punti che si prestano agli incontri, con spazi che possono
raccogliere dalle 30 persone al piano superiore, fino alle 100 al piano terra.
Libro e cibo: come si possono esporre
nello stesso spazio senza far avvertire l’esistenza di «cuciture», come le ha
chiamate. Ad esempio che ruolo ha l’illuminazione?
Ci sono almeno quattro diversi livelli. Innanzitutto la scelta di voler illuminare gli
spazi dedicati ai libri e ai cibi allo stesso
modo, volendo dare pari dignità alle due
merceologie. Poi c’è una specificità di illuminazione in tutti gli spazi di relazione:
nei luoghi di degustazione c’è un’illuminazione specifica, tesa ad illuminare le
superfici di contatto. Poi un’illuminazione
più tecnica che riguarda gli spazi delle cucine e delle retrovie della parte alimenta-
re. Il quarto livello riguarda l’illuminazione
dell’architettura, poiché l’involucro è cosi
particolare che ha richiesto una qualità
illuminotecnica specifica e particolare sia
sulle superfici restaurate che sulle pareti
della libreria. La visibilità delle pareti perimetrali in mattoni, che rispetto alla storia
dell’edificio sono solo apparentemente
le stesse, è stata una scelta essenziale
perché in esse sono inscritte scale, archi che segnano le diverse età del sito.
Abbiamo voluto mantenere queste specificità e renderle visibili ai cittadini che
frequentano questo luogo.
Per questo tutte le scaffalature della libreria sono senza schienale, permettendo di far vedere attraverso i libri la «pelle»
dell’edificio, che abbiamo illuminato con
una luce radente proprio per darle la giusta importanza. L’illuminazione è un elemento centrale della progettazione di uno
spazio come questo, perché consente di
porre attenzione alla scenografia e di valorizzare l’unicità di contesto di questo
spazio.
Librerie nei centri commerciali e nei centri storici: qual è la differenza di approccio?
Nel caso di librerie.coop ci sono due tipologie di inter vento nella scelta dei luoghi.
Una, che è forse più semplice, è quella
di entrare nei centri commerciali. Qui il
contenitore è asettico – è il «non luogo»
di Marc Augé – è una tipologia architettonica che è un posto di transito, o comunque totalmente sradicato dall’identità del
contesto. E con questa realtà ci si deve
confrontare nel progettare la libreria.
Molto più interessante è quando il punto
vendita va ad inserirsi in contesti urbani
e quindi c’è la volontà di leggere i luoghi
e i tanti collegamenti con la città in cui si
inserisce. Collegamenti che sono infiniti
e ricchissimi di evocazioni. C’è un libro
giapponese Wabi sabi, molto bello che
racconta di questo diverso approccio progettuale. La differenza principale tra la
cultura occidentale e la cultura orientale
nell’affrontare i luoghi è che nello stesso lotto di terra con al centro un albero,
l’architetto occidentale taglia l’albero per
costruire un edificio ricco di linguaggi articolati. L’architetto orientale progetta la
sua architettura intorno all’albero. Anche
ai ragazzi che vengono a lavorare da noi
diciamo spesso che la capacità di vedere quell’albero è fondamentale per farne dei progetti vivi ed evocativi del luogo
per chi lo frequenta. (Inter vista a cura di
D. Nannini e G. Peresson)
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Giornale della libreria gennaio 2009
cui poter vivere i due momenti in maniera
distinta, ma anche con la possibilità di
mescolarli assieme come due culture –
quella della lettura e quella del cibo – che
si fondono.