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A000378 Da IO DONNA del 15/11/03, pag. 34 <<VALE LA PENA DI
FONDAZIONE INSIEME onlus
A000378
Da IO DONNA del 15/11/03, pag. 34 <<VALE LA PENA DI DIVORZIARE?>> di Marina
Terragni, giornalista,
Per la lettura completa dell’articolo si rimanda al settimanale citato.
E’ un matrimonio orribilmente infelice, quello del mio migliore amico, sposato da cinque anni,
un figlio. Classico inferno privato: silenzio sordo intervallato da liti furiose. Lui scoppia,
vuole il divorzio. Sua madre lo supplica: <<Pensa al bambino. Tanto sei fuori tutto il giorno.
Quando stai in casa, chiuditi in studio>>. Chiuditi in studio? E questa sarebbe vita?
Secondo tempo, un decennio dopo. Secondo matrimonio. Seconda figlia. Secondo inferno.
Qui si litiga meno, è un silenzio mesto. Niente più sesso. Lei piange chiusa in camera,
guardando la tv. Lui chiuso in studio, con i suoi romanzi hard boiled. <<Dovevo farlo
prima>> dice. <<Chiudermi in quell’altro studio. Almeno lì il sesso funzionava. L’altro
studio era anche più carino>>.
Un secondo matrimonio, ci mancherebbe, può andare meglio del primo. Ma l’eventualità di
una storia fotocopia (due mogli, o i due mariti, che si somigliano perfino un po’) va messa in
conto. Siamo animali abitudinari. Tendiamo a reiterare i nostri errori A ricascare nelle
stesse trappole. Trappole madri: credere che tutti gli altri siano più felici di noi; credete che
con un’altro–altra sarebbe il paradiso. Il divorzio è un fatto devastante. Stressogeno quasi
quanto un lutto Sgombriamo il campo ad alcuni abusati luoghi comuni.
Primo: per i figli, meglio due genitori separati che due genitori che litigano. Be’, dipende da
quanto litigano. Non basta litigare un po’. Se si litiga un po’, i figli lo sopportano benissimo.
Ma come, sacrificarsi per i figli? E per chi, se no?
Secondo: meglio la solitudine che sentirsi soli in due. E’ tutto da vedere. Chi non lascia il
compagno per non restare solo non ha sempre torto: da soli si può stare anche molto peggio.
Anche quella del divorzio può essere un’ideologia. Però, di solito, con le ideologie ci si
lasciano le penne.
Un lavoro da fare ci sarebbe. Provare a stemperare gli “aut aut” in più miti e
compassionevoli “et et”. Rimettere insieme capre con i cavoli. Non eroico, ma più umano
Per esempio: possibile che non ci sia una terza via tra la coppia e la solitudine? Cosa ne è
stato delle vecchie Comuni –magari cambiamogli nome- liquidate in fretta e senza
ripensamenti? E se un matrimonio non funziona, davvero l’unica è il divorzio? Non ci sono
soluzioni meno cruente e definitive?
Non verrebbe la pena di pensarci, anche
legislativamente parlando? Quanti coniugi in lite si trascinano in un limbo infinito, con la
scusa che gli avvocati non si mettono d’accordo? Chiudiamoci in studio. A riflettere.
Alcuni lettori rispondono:
1__ Vogliamo ringraziare Marina Terragni per la profondità delle idee espresse nell’articolo
<<Vale la pena di divorziare? >> (IO Donna n. 46, A000378).
C’è proprio bisogno di interventi così per dissipare l’annebbiamento da luoghi comuni e per
rinforzare il concetto che l’amore non è un semplice sentimento, ma un atto umano tenace,
volitivo, capace di superare le difficoltà. Franca e Paolo xxx
2__ Val la pena divorziare? All’ironico e accattivante scritto di Marina Terragni risponderei di
sì. Penso a mio marito ed al bene che il secondo matrimonio gli ha recato.
Sì, bisogna divorziare. Anzi, deve divorziare da donne proprio come la sua prima moglie:
bugiarde, vendicative, fedifraghe, senza dignità e moralmente spregiudicate nei confronto
dell’unico figlio, all’epoca minore, strumentalizzato, messo contro il padre, reo quest’ultimo
soltanto di essere onesto, serio, moralmente ed eticamente educato.
Sì, bisogna divorziare anche perché quel tipo di donna, l’ex, potrebbe essere motivo del
fallimento del secondo matrimonio: per via dei ricatti serviti sempre in nome della tutela degli
interessi del minore che, con il tempo, grazie all’opera negativa della madre, rivendica –solo
materialmente- quanto può derivargli dalla figura paterna. E questo grazie anche alla legge,
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quasi completamente a favore delle donne, categoria a cui appartengo e con la quale, per
alcune componenti, non mi identifico. R.D.
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