Mi chiamo Angelina Felix, sono una giornalista molto
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Mi chiamo Angelina Felix, sono una giornalista molto
i Mi chiamo Angelina Felix, sono una giornalista molto incavolata, ho avuto una giornata pessima. A prevenire eventuali sorrisini ironici dei lettori, sia chiaro che “Angelina” non è il diminutivo di Angela, scelto per imitare la superstar Jolie, come accade a certe fan che, in delirio da replicanti, non danno segno di grande intelligenza con le loro esternazioni maniacali. E fra queste anche le madri che hanno la debolezza di dare ai figli i nomi dei divi del momento, specie quelli delle fiction tv, o sceneggiati e serial come li definivano un tempo, da “Dallas” e “Beautiful” in poi. No, Angelina è il nome autentico, i miei genitori lo hanno deciso in omaggio a una zia, dolce e molto bella, sempre sorridente, che si chiamava proprio così. Purtroppo scomparsa giovanissima. Ma anch’io sono incline a sorridere alla gente. Ad essere disponibile. Troppo, diceva mia madre. Meglio pensare sempre che gli altri tendono a fregarti. Forse è vero, forse non del tutto, perché il giorno in cui ti metti al tavolino onde rendere pan per focaccia, applicando il motto “la furbizia vince le battaglie, ma è l’intelligenza a vincere la guerra”, beh, allora sono cavoli amari per chi ti riteneva una mite, ingenua e troppo generosa. 7 Al liceo ho avuto un fidanzatino piuttosto romantico che mi aveva dedicato un doppio vezzeggiativo, Bluette Fiordaliso. Bontà sua, diceva che lo avevano ispirato i miei occhi, perchè in certi momenti sono blu elettrico come i fiordalisi, e in altri, specie quando mi girano le scatole, diventano blu zaffiro cupo, come il mare unico dell’isola di Stromboli. A causa della pietra lavica che sta sul fondo. Più originale dell’inflazionato verde-turchese del mar di Sardegna, cala di Volpe e dintorni. Aggiungeva che il contrasto con i miei capelli, nerissimi, li faceva somigliare a pietre preziose sul velluto nero. Non prendetemi sul serio, sto scherzando, non giudicatemi una narcisa, è vero soltanto che sono una bruna un po’ singolare nel contrasto di colori, e lo sappiamo bene che gli uomini sono propensi a dire qualsiasi scemenza pur di acchiappare quella cosa lì. Fino al momento in cui se ne dimenticano perché nella loro testa è entrata un’altra. E dai a ricamare nuovi complimenti, ma sempre mirati allo sbarco a due nel lettone. Infatti subito dopo di me il ragazzino innamorato aveva cominciato a corteggiare una qualsiasi bionda platino. Il cognome Felix invece è un “nome de plume” ispirato alla nonna materna, sempre gentile e disponibile con tutti, fin troppo, una signora che aveva l’abitudine di augurare “felice sera”, quando incrociava qualcuno a fine giornata, anziché il diffuso buonasera. Io ho scelto la versione latina di questa antica usanza romantica. Reminescenze da liceo classico. E poi, anche se non c’entra niente, mi piace perché un po’ evoca l’Arabia Felix, con tutte le sue leggende da mille e una notte. 8 Tornando al discorso iniziale, mi guardo allo specchio e mi sento uno schifo. Sono una persona che rivela molto delle emozioni, niente faccia di marmo, come sanno impostare e mantenere la maggior parte dei miei colleghi. No, non riesco davvero più a lavorare con questo direttore stregone, che curiosamente sembra anche un po’ una donna dal naso a becco. Una stranezza della natura. L’ho battezzato “il Puffo Malefico”. O forse dovrei dire la Puffa, considerando quel certo nonsoche di femmineo? Non riesco più a resistere, in questo settimanale milanese, “Persone”, che lui ha contribuito ad affondare, incolpando però, da abilissimo stronzo, termine gergale molto usato nell’ambiente, il precedente direttore, responsabile di aver impostato uno stile “nazionalpopolare” che faceva rivoltare i palati fini degli intellettualoidi, ma di certo incrementava la vendita di centinaia di migliaia di copie. Mi ha precluso davvero ogni possibilità di carriera. Per quale motivo? Molto probabilmente perché non ho mai avuto grande inclinazione per i pensieri di sinistra. Figurarsi, una così a gestire il settore cinema, un “giro” nel quale tutti sono di quella tipologia lì. Eppure l’ho fatto con buon senso e successo, visto l’interesse con il quale mi gratificano i lettori, bontà loro. Vorrei spiegare: io non sono mai stata di sinistra nel senso che detesto il radicalismo chic, certi snobismi per cui ogni forma di espressione creativa (intellettualoide?) dev’essere a forza collocata in quell’area. Per cui i migliori sarebbero da quella parte e i cattivi dall’altra. Stronzate noiose. Ma se si tratta di voler bene alla gente, di rispettare le persone, e di concre- 9 tizzare la generosità, allora la mia coscienza vira al rosso cardiaco. Del resto è il colore di Babbo Natale. Detesto quelli che predicano bene e razzolano male. Certi ricconi “orientati”, o i politici stessi, che sbandierano l’uguaglianza, la fratellanza, e tutto ciò che di sacrosanto esiste al mondo nel senso dei diritti umani, per poi sfruttare fino all’osso la colf extracomunitaria. O certe autrici, registe o scrittrici che siano, abilissime nel trattare racconti di esistenze disagiate, miserie umane come purtroppo effettivamente ricorrono nella vita di molti, ma pretendono hotel a cinque stelle quando vanno in giro a presentare i libri. So di una tipa, vincitrice di premi tra i più alti a livello nazionale, che ha fatto telefonare dalla segretaria per una richiesta precisa: trovare lenzuola di lino nel suo letto d’albergo. Invece la generosità più autentica la puoi trovare in chiunque, a caso. Unita all’assenza di spocchia, al rispetto vero degli altri, senza dover sbandierare ad ogni costo la connotazione politica. Conosco un’anziana edicolante milanese, tanto fragile nell’aspetto, che vive sola, e oltre al lavoro faticoso di una giornata che non finisce mai, dedica le poche forze che le restano all’assistenza di altre persone senza nessuno vicino e agli animali abbandonati. Ebbene, il cuore di questa esile persona batte da tutt’altra parte che a sinistra, e dice che Gesù secondo i Vangeli siede alla destra di Dio, non a sinistra. E questo secondo lei rappresenta qualcosa di certo anche per l’umanità. Nella sua ingenua buonafede, non ha dubbi. Che mese di novembre schifoso, vedo tutto grigio inclusa la mia faccia, e mi sento una strega, sono 10 proprio in tema con certe maschere di Hollywood, anche se tutti si ostinano a dire che sono sempre una bella ragazza, perché non dimostro la mia età. Ho quarantatre anni e in effetti nei momenti migliori non me li sento, fatico a ricordare che non sono più una ventenne. Ma del resto è una sensazione che va di pari passo con i tempi, ormai nessuno dice più che la vita comincia a quarant’anni, la fanno iniziare perlomeno un decennio dopo. Oggi sono quarantenni gran parte delle donne in carriera quando decidono di diventare mamme. E vanno pure di moda le tardone cinquantenni e oltre, a volte aspiranti madri anche loro, vedi il caso di Gianna Nannini. Per non parlare di Jane Fonda ex Barbarella che si atteggia a strafiga nella pubblicità dei cosmetici, e di anni ne ha più di settanta. Anzi, ci sono persino i bei ragazzi che corteggiano queste tipe con insistenza, vedi Demi Moore che lasciò Bruce Willis per sposarsi con quel giovanotto un po’ bietolone di nome Ashton Kutcher, che al tempo delle nozze aveva venticinque anni. Vabbè che prima o poi finiscono per essere piantate, ma pare che i ragazzi si innamorino davvero di alcune tardone, a prescindere dal fatto che siano famose o meno! Sarà anche piacevole. Sarà. Ma io non ne sono convinta. Tanto più che, come dicevo, prima o poi ti mollano. Non mi seduce, l’immagine di questi tipi di coppia. Il mio primo marito, un industriale, aveva trent’anni più di me. Prima del nostro matrimonio era l’ultimo irriducibile dei playboy, come si diceva in un’era jurassica. Impazzì d’amore per i miei vent’anni, e morì d’infarto, a trenta mi sono ritrovata vedova. Senza figli perché non ne ave- 11 va voluti, desiderava mantenere in esclusiva il mio corpo intatto per il suo piacere, considerava i bambini intrusi rompiballe. Un po’ ero d’accordo anch’io, se, a parte lui, ho finito per non farne neppure con altri. Molti credono che non possa averne. La vera motivazione? Ebbene, sembra una balla, lo riconosco, ma ho avuto paura di amarli troppo. E quindi di lasciarli soli quando vengo travolta dagli impegni professionali. Non sono riuscita a condividere del tutto la teoria odierna per cui le donne possono dividersi senza problemi fra il lavoro e i figli, conosco i bambini, li amo, i figli delle mie amiche da piccoli mi consideravano una specie di fata, e ricordo ancora con sofferenza la sensazione di buio doloroso che provavo a due, tre anni quando mi sentivo sola, anche per poche ore, e temevo che la mamma non sarebbe più tornata quando usciva per le compere. Ipotizzavo quindi che, madre travolta dal lavoro, sarei stata lacerata dai sensi di colpa, e così, temendo un egoismo che forse non sarebbe stato, vivendo in una sorta di rigore morale, ho finito per sacrificare il mio desiderio di maternità. Esageratamente responsabile, a costo di mortificarmi negando a me stessa un diritto che hanno tutte le donne. Il secondo marito era un giornalista, di specchiate tendenze marxiste, come del resto la maggior parte degli uomini di penna nel nostro paese, ma ormai dovremmo dire di computer, a parte i dinosauri che proprio non sono riusciti a staccarsi dal ticchettio della lettera 22, nel terrore di affrontare lo schermo virtuale, oppure per semplice presunzione e conseguente rifiuto di applicarsi, con altezzosa pigrizia. 12 Più giovane rispetto al primo, lui aveva “soltanto” quindici anni più di me. Abbiamo divorziato. E se scorrete l’albo d’oro cercando il Gotha dei professionisti, scoprirete che quasi tutti i direttori, i vice, comunque i capi, hanno fatto il ’68 e dintorni. Tornando ai fatti miei, oggi immagino accanto a me quale compagno ideale un uomo secondo la tradizione. Cioè più o meno coetaneo, diciamo dai quaranta ai cinquanta, ma si sa che gli uomini di quell’età preferiscono le ragazze. E anche se ero piuttosto corteggiata, io non sono mai stata di manica larga. Non l’ho mai data facilmente, neppure per fare carriera, nonostante il metodo sia diffuso, e conduca spesso a soddisfacenti risultati, a prescindere dai meriti reali. Ho preferito restare single, anziché sbraitare secondo lo stile femminista. C’è chi dice che probabilmente sono lesbica, a forza di vedermi sempre sola, rare volte con qualche amica. Non sono lesbica, anzi la categoria ha il potere di infastidirmi. Ritengo che ognuno abbia libertà di scelta sessuale, ci mancherebbe altro, ma non dovrebbe acquisire potere continuando a sbandierare la propria emarginazione, proclamandosi martire e addossando agli altri ogni forma e colpa di ottusità. Oggi i veri emarginati sono gli eterosessuali: per spiegare meglio, a me non sarebbe permesso dichiarare di essere infastidita dalle attenzioni di qualche lesbica. Ne ho subito alcuni, di insistenti corteggiamenti saffici, a cominciare da una compagna di scuola delle medie che mentre studiavamo insieme mi baciò a sorpresa sulla bocca. Un disagio che ricordo ancora, ma non lo posso dire, le “donne solidali” applaudono solo se racconti che è stato un uomo a infastidirti. 13 Dimenticando, tanto per parità, che a volte anche le donne ammazzano i mariti. Nelle maniere più subdole. O fanno di peggio, novelle Medee. A proposito di queste signore, così carine fra di loro, vorrei vederne una, tra quelle famose nel nostro paese, che, per dignità totale, sappia davvero scegliere la solitudine e non si tenga alle spalle un marito traditore per sentirsi comunque rassicurata, quando circumnavigare le difficoltà della vita diventa frustrante per ragioni di sovraccarico. Oppure mi piacerebbe incontrarne una che, se il marito non ce l’ha, e anche se non si lamenta, resista comunque alla tentazione di andare alla ricerca disperata di un uomo. Conosco una tipa rimasta vedova di un marito intelligente e affascinante, che adorava, ricambiata, ma ha impiegato pochissimo a rimpiazzarlo: piuttosto di restare sola, terrorizzata dai commenti fintopietosi della gente, è arrivata a sposarsi una specie di gigolò nullatenente che probabilmente la spellerà viva, nel senso di ogni suo avere. E almeno fosse un uomo piacevole come il primo marito, costui è un volgare, brutto buzzurro che non sa neppure dire buongiorno in modo decente. Lo ripeto, provatela davvero, la solitudine, magari in nome della dignità, come ho fatto io, senza ricorrere a trappole umilianti pur di acchiappare un marito (da parte delle più meschine come la signora di cui sopra), e neppure ai femminismi che vanno di moda e fanno tanto comodo (da parte di quelle che si ritengono più intelligenti). Del tipo “dai addosso agli uomini, ma non dimenticare mai di sfruttarli sino all’osso prima di affibbiar loro il calcio in culo definitivo”. 14 Non ridete, quando sono in crisi inizio a parlare a me stessa come fossi un’altra persona. Per autoincitarmi: Angelina, dai, forza, comincia a valutare la situazione. Non lasciarti influenzare dalle brume autunnali. Agisci, fai qualcosa, nella vita sei sempre stata una decisionista. Forse, tanto per cominciare, gioverebbe un salto dal parrucchiere per un taglio un po’ più movimentato, che vivacizzi. Non ti abbattere, pensa che molte tue coetanee già ingrigiscono, e tu come per miracolo non hai ancora neppure un capello bianco. A volte mi sento demente, con questa inclinazione a parlar da sola. Ma non lo faccio allo scopo di ascoltare comunque una voce. È anche un modo per tenermi compagnia e spingermi a fare le cose migliori. Altrimenti mi arrendo ai tanti cretini che circolano per il mondo. C’è il rischio che loro vadano avanti e io resti al palo. Sai che rabbia ti fanno, i deficienti in carriera. A volte credo che siano davvero decine i geni incompresi che hanno capolavori rimasti nel cassetto. Del resto che cosa dovrei fare di diverso? Diventare come certe mie colleghe single, la maggior parte della quali si dichiara femminista, e agisce secondo le modalità che dicevo prima? E sono tante, perennemente a caccia di uomini refrattari, anzi in fuga, fintocompiacenti e in falsa estasi di fronte alle nuove donne emancipate. Sempre in nome della parità, dicono di ammirare le donne che hanno il coraggio di mostrare le rughe, ma poi si fanno istericamente di botulino, acido glicolico, acido jaluronico, filler e quant’altro, e frequentano palestre sino ad ammazzarsi di fatica, per essere toniche al punto giusto, sperando che l’uomo concupito al momento si decida a sbatterle sul 15 primo letto che capita. Ignorando, le tapine, che il prescelto finisce per essere terrorizzato all’idea di doverle scopare ad ogni costo, e si aggiungono problemi di erezione, anche se non li ha mai avuti prima, insicurezze procurate proprio dai loro comportamenti smaniosi ed esigenti. Caricature di Bridget Jones, ecco che cosa sono. E pure peggio del quartetto maniacale di “Sex and the city”. Ma perché perdo tempo pensando a quelle lì, che più si dichiarano intelligenti più appaiono oche? No, ingiusto chiamare in causa le oche, da animalista qual sono devo riconoscere che quei bipedi candidi sono dotati di un egregio cervello. Salvarono Roma, con il loro starnazzare… qua qua qua. Chiaro che ci sono le eccezioni: le donne valide che conosco saranno un centinaio. Meravigliose, intelligenti e sensibili. Scintillanti punte di diamante che confermano la regola negativa descritta prima. Quanto a me, devo dire che del sesso in questo periodo francamente me ne infischio. Devo pensare ai miei problemi di lavoro. E un’idea mi è venuta. Mentre rigiravo un invito tra le mani. L’occasione è al Four Seasons, via del Gesù, a Milano. C’è un dibattito, alle sei, che ruota intorno al libro di una nota scrittrice di amenità del piffero. Si chiama Maria Giovanna Otaria, è specializzata in quei piccoli saggi di grande successo che dovrebbero insegnare come acchiappare i fidanzati, come farsi sposare, come mollarli acchiappando di conseguenza un sacco di soldi di “liquidazione” , e via di questo passo. Scemenze che “fanno trend” e per questo vendono. Fra i relatori ci sono due o tre personaggi sulla cre- 16 sta dell’onda, tv e carta stampata, incluso un nome che è una stella nel firmamento giornalistico: Luca Falco, direttore del “Corriere del Nord”, quotidiano controcorrente in senso politico che in quanto a diffusione sta facendo le scarpe a tutti. Un bell’uomo, capelli castano chiaro dai riflessi dorati, un po’ alla Grande Gatsby, fisico sottile ma atletico, si intuisce qualche ora di palestra alla settimana. Naturalmente elegante, sguardo di colore indefinibile, dove il fuoco si alterna al ghiaccio, occhi che non ti mollano, ma già da principio presumono di sapere tutto di te. Perché lui è convinto di non sbagliare mai. Iniziando dal giudicare le persone. Tipo Napoleone che si era autoincoronato, strappando l’attrezzo imperiale dalle mani del papa. Due divinità in terra, sia il Napo che Luca Falco. Dicono che le donne vadano pazze per lui, non ho capito bene quante mogli abbia avuto e quali amanti gli vengano attribuite in questo periodo. Oltre un anno fa ne aveva parlato in redazione anche quel befano del Puffo Malefico, con l’aria perenne di supremo disprezzo che esterna nei confronti di qualsiasi mortale, figurarsi un collega all’opposto di lui in chiave politica. «Ma quante mogli ha Luca Falco?», si chiedeva. «L’altra sera a una cena fra direttori è arrivato con Bianca Martini, sì, quella che ha il padre potente, un boss nell’editoria. Convivono more uxorio. Innamorata pazza di lui. Lei è un cesso, ciò non toglie che a lui sia molto servita nella sua escalation di potere. È da quando ha frequentato la Bianca che la sua carriera ha messo le ali. Ma a quanto pare resta solidamente ancorata al suo ruolo anche la mo- 17 glie legale. Non si schioda. Chissà cosa ci trovano tutte quante in lui. Sì, è un uomo elegante, spiritoso, ma a volte anche rude e solitario». Sì, penso io, un po’ con quell’aria da Robert Redford in “L’uomo che sussurrava ai cavalli”. La differenza con l’attore americano sta nel fatto che Luca non è politicamente corretto, non va a cavallo, proprio non ama i possenti quadrupedi, ma preferisce giocare a tennis e tirar di sciabola. Ah, il fascino dei samurai. Infatti fare a pezzi le persone, sia pur con le parole, è la sua specialità. A dire il vero, nel corso della vita io non avevo mai fatto molto caso al noto fascino di Luca Falco, anche se avevo avuto più volte occasione di incontrarlo. Per essere precisa l’avevo anche intervistato, quando dovevo fare un’inchiestina sul fascino dei giornalisti, perché Sharon Stone, diventata famosa per aver recitato senza mutande, scena madre con gambe accavallate in “Basic Instinct”, aveva sposato il direttore del “San Francisco Examiner”. Poi si sarebbero separati, ma allora sembrava grande passione. Senza fare una piega nel senso dell’espressione facciale (in quel momento io avevo pensato che evocava un po’ Peter O’ Toole ne “La notte dei generali”), Luca aveva comunque sottolineato che il panorama giornalistico italiano, sul fronte maschile, non gli sembrava particolarmente dotato di fascino. «Te l’immagini?», aveva commentato il modestino, sfottendo, conscio del suo potere seduttivo. «I nostri più famosi direttori che indossano lo stetson, il capello da cowboy alla texana? Sai che figura di merda. Non c’è uno che regga nell’aspetto fisico». 18 Già, sarà fascinoso solo lui, avevo pensato, ma non glielo potevo dire. Era trascorso qualche anno prima che lo rivedessi. Accadde quando mi venne in mente di chiedergli di collaborare con il nuovo quotidiano che era andato a dirigere, risollevandolo da una triste infamia di basse vendite. A quel punto Luca Falco era ormai entrato nella leggenda, qualsiasi foglio lui “toccasse” diventava oro, un re Mida del giornalismo. Andai a trovarlo indossando un rigoroso tailleur pantalone blu, camicia di seta bianca, taglio maschile, appena aperta sul seno. Mi aveva ricevuto nel suo ufficio facendomi un sacco di complimenti, e invitandomi a scrivere senza problemi tutti gli articoli di costume che avevo in mente, i miei pezzi erano proprio quelli che gli servivano per il suo giornale. Molto spiritosi, brillanti come il mio carattere, concluse riaccompagnandomi personalmente all’ascensore. Non feci particolare caso a quella sequenza di complimenti. Il Puffo Malefico mi aveva dato il permesso di collaborare con Falco, sia pur storcendo il naso non aveva osato dire di no. Tutti più o meno sanno che è meglio non diventare un suo nemico. Ma io scrissi soltanto due o tre pezzi. Troppo presa dal lavoro quotidiano e dalle diatribe con il secondo marito, in procinto di diventare ex. Mollai la collaborazione con Falco senza neppure avvisarlo prima. Il che non fu molto carino, oggi ne convengo. Mi sono ricordata che forse ero stata maleducata soltanto nel momento in cui avevo deciso di rivederlo. Perché mi ero rotta per sempre col Puffo Malefico e 19 a quel punto mi interessava il “Corriere del Nord”. Ricordavo tutte queste cose mentre Luca si esibiva con le sue micidiali battute accanto all’esperta di bon ton. Andai a bere un bicchiere di vino nell’attesa che finisse di dibattere. Accidenti alla golosità che provo di fronte a ogni tipo di sapore salato. Grana, champagne, più uva, non sono davvero capace di resistere. Finalmente la presentazione era finita, Luca si alzava e veniva incontro a me. No, mi sbagliavo. Si stava dirigendo verso un gruppo di persone e aveva ricominciato a discutere. Parlava, parlava, mentre le persone lo ascoltavano con deferenza. Alcuni erano addirittura a bocca aperta, come fosse un oracolo. Certo, Falco era il mito. Mi rassegnai ad aspettare con pazienza. Finché cominciai ad essere perplessa. E poi indispettita. A quel punto mi sembrava che lui lo stesse facendo apposta. Come per umiliarmi. Pensai che forse non mi aveva perdonata per aver piantato la collaborazione con lui, anni prima, senza dire nulla, da un giorno all’altro. Avevo deciso di andarmene, quando Luca si era voltato. Il destino, sul filo di un decimo di secondo. Sarebbe bastato quello, per non parlarci mai più, o viceversa. «Ti ricordi di me? Sono Angelina Felix». «Figurati se non mi ricordo». Fremevo. Chiaro che ci teneva a farsi corteggiare e desiderare. Quanto e come lo avrei sperimentato in seguito. Centellina la condiscendenza. Al punto da farti venir voglia di prenderlo a schiaffi. Luca non tiene mai conto del fatto che sei una donna, e qualcosa 20 potrebbe esserti perdonato in nome della cavalleria: se non lo omaggi quanto desidera lui “registra” soltanto che viene lesa la sua intangibile maestà. Voleva verificare se sapevo attendere, e in seguito avrebbe testato quanto sono capace di battermi contro tutto e tutti per affermare la mia volontà professionale, le mie capacità e anche la mia ambizione, che in questo lavoro va di pari passo con ogni altro requisito. Indispensabile per non lasciarsi andare alla rinuncia nei momenti di depressione. «Scusa se ti disturbo…». «Ma no, anzi». Ogni sua parola, per quanto stringata, trasudava ironia. «Sai, vorrei parlarti. Mi piacerebbe collaborare con il tuo giornale». «Ah sì?». Forse ero io che vi leggevo un interrogativo. Ma quello sguardo dubbioso e magnetico aveva tutta l’aria di chiedersi: “Chissà se vuole ancora prendermi per il culo”. Tuttavia, in linea con il suo carattere, aveva risposto con tono mellifluo. Tipico, lo fa anche con il suo peggior nemico, è capace di affermare “Io avercela con quello? Ma perché dovrei? Io non ho nemici, ci sono soltanto persone che a volte critico dal punto di vista giornalistico. Tutto qui”. E magari si tratta di uno al quale ha appena segato le gambe senza pietà. Oppure lo farà subito dopo avergli dichiarato tutto il suo affetto. «Certo, perché no? Chiama Ambrogina, la mia segretaria, è una donna proprio d’oro come il premio che assegnano ai milanesi meritevoli il 7 dicembre, giorno di Sant’Ambrogio, fatti fissare un appuntamento, dille che hai parlato con me». 21 Forse sbagliavo, ma c’era un impercettibile accento di soddisfazione, nel suo tono di voce. Come dire: “La stronza è tornata a Canossa”. Infatti, mi ha fatto aspettare molto. Sarà stato un caso, ma impiegai quasi un mese ad ottenere l’appuntamento. Infine era arrivata la garrula telefonata della segretaria. Solita tipa che si crede la depositaria assoluta delle azioni del boss. Come quasi tutte le addette ai potenti. “Cara signora, visto? Finalmente ce l’abbiamo fatta”. 22