Padri e Figlie - Teatro Nuovo Verona

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Padri e Figlie - Teatro Nuovo Verona
2015
Lunedì 2 novembre ore 16.00 - 18.30 - 21.00
Martedì 3 novembre ore 15.30 - 17.45 - 20.30
Mercoledì 4 novembre ore 16.00 - 18.30 - 21.00
Giovedì 5 novembre ore 16.30 - 19.00 - 21.30
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Padri e Figlie
(Fathers and Daughters)
Regia: Gabriele Muccino.
Con: Russell Crowe, Amanda Seyfried, Aaron Paul, Diane Kruger, Quvenzhané Wallis.
Durata: 1h56’- USA, Italia 2015 - Drammatico
New York, 1989. Jake Davis è uno scrittore che ha già vinto un premio Pulitzer. Quando sua
moglie muore in un incidente d’auto Jake si ritrova a dover crescere la figlia Katie da solo, e a
gestire una serie di problemi fisici e mentali che lo costringono ad un temporaneo ricovero presso
un ospedale psichiatrico. Purtroppo Katie viene affidata alla zia, sorella della madre defunta, che
nutre verso Jake un profondo rancore. New York, 25 anni dopo. Katie è diventata un’assistente
sociale che si occupa di bambini disagiati e che nel tempo libero si concede a chiunque, rifiutando
di instaurare legami che vadano oltre il sesso occasionale.
Il grande amore che ha provato per il padre le ha lasciato un vuoto incolmabile e ha fatto di lei
una persona in grado di aiutare gli altri, ma non se stessa.
Che Gabriele Muccino abbia compiuto con Padri e figlie un salto di crescita si capisce soprattutto
dall’ultima scena, che chiude il cerchio emotivo della storia in campo lungo, rinunciando al primo
piano che il regista avrebbe usato in passato. Fedele al suo registro narrativo melodrammatico,
Muccino sceglie qui di contenere le emozioni invece che lasciarle traboccare ovunque, e segue
in modo lineare e rigoroso la progressione esteriore e interiore della storia pur muovendosi su
due diversi piani temporali, di fatto mescolando due film attraverso continui flash back e flash
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forward. Lavorando su una sceneggiatura preesistente (di Brad Desch) e all’interno di una
macchina produttiva angusta come quella statunitense (sulla quale però questa volta il regista
esercita una misura di controllo maggiore perché nel team ci sono anche Andrea e Raffaela Leone,
i figli di Sergio) Muccino tira fuori tutto il mestiere che non gli è mai mancato senza sconfinare
nelle derive autoriali che spesso gli hanno teso uno sgambetto. E paradossalmente la confezione
artigianale valorizza la cifra d’autore del Muccino regista: quel modo di far lievitare la storia
attraverso le emozioni e di gonfiare il petto dei protagonisti della forza necessaria a superare gli
ostacoli, spingendoli a compiere azioni esagerate al cospetto di circostanze paralizzanti.
In Padri e figlie c’è tutto Muccino: la corsa della ragazza che insegue il suo sogno, l’ansimare dei
personaggi in difficoltà, lo strazio genitoriale nel promettere ai propri figli ciò che non si è certi
di poter mantenere, i sentimenti viscerali e fagocitanti secondo i quali una persona dev’essere
“mia e di nessun altro”. Ancora una volta Muccino racconta una storia di antieroi donchisciotteschi che si arrampicano
su una parete insaponata continuando a scivolare a valle, ma che non mollano la loro impresa titanica ad alto rischio
fallimentare.
Lunedì 9 novembre Martedì 10 novembre Mercoledì 11 novembre Giovedì 12 novembre 6
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 15.30 - 17.45 - 20.30
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 16.30 - 19.00 - 21.30
Io e Lei
Regia: Maria Sole Tognazzi.
Con: Margherita Buy, Sabrina Ferilli, Fausto Maria Sciarappa, Domenico Diele,
Ennio Fantastichini.
Durata: 1h37’- Italia 2015 - Commedia drammatica
Marina e Federica sono una coppia stabile che convive da 5 anni. Marina è un’ex attrice e
un’imprenditrice di successo che ha sempre saputo di essere lesbica, ma che per esigenze
di lavoro ha aspettato qualche tempo a fare outing. Federica è architetto, è stata sposata, ha
un figlio ormai adulto, e dopo il divorzio si è innamorata di Marina, la sua prima relazione
omosessuale. Ma non si considera lesbica e non gradisce che la sua convivenza diventi di
dominio pubblico. Quando Federica si imbatte in una figura del proprio passato il rapporto
fra le due donne si incrina e vengono alla luce tutte le loro fragilità.
Maria Sole Tognazzi si cimenta ancora una volta con quelle figure femminili che popolano
la realtà italiana contemporanea ma sembrano essere bandite dal nostro cinema: donne
complesse, contraddittorie, non riducibili a un ruolo tradizionale ma in cerca di una propria
identità da inventarsi ogni giorno, scevra da compromessi e aspettative. Anche Io e lei è privo
di moralismi e prese di posizione aprioristiche e sceglie di raccontare una storia d’amore
che solo incidentalmente ha luogo fra persone appartenenti allo stesso sesso, riproponendo
dinamiche di coppia universalmente riconoscibili. L’irrequietezza di Federica, donna adulta
assai meno risolta di Marina, è un modo di non accettare fino in fondo la propria natura
profondamente anticonvenzionale, che va ben al di là delle scelte sessuali. Per contro Marina
rinuncia, per amore, a pretendere da Federica quella coerenza che a lei è costata non poca
fatica.Seguendo l’esempio della urban comedy d’oltreoceano, Io e lei racconta la quotidianità
di una coppia omosessuale senza cedere agli stereotipi, esplorando la complessità degli
equilibri fra persone che si amano ma che non per questo rinunciano alla propria unicità.
La sceneggiatura (della regista insieme a Francesca Marciano e Ivan Cotroneo) è raffinata e
credibile, si declina su dimensioni socioculturali diverse (benché dia più spazio all’ambiente
alto-borghese) e mantiene un tono divertito anche nei momenti dolorosi, un sottotesto
dolente anche nei momenti comici.
Il cast corale funziona in modo magistrale e Margherita Buy mette a frutto la sua intrinseca vaghezza per rappresentare
i dubbi esistenziali di Federica. Ma Io e lei appartiene a Sabrina Ferilli, irresistibile nei panni di Marina, una donna
completa che non rinuncia alle proprie radici ma che ha voluto diventare la donna che sapeva da sempre di essere.
Non c’è saccenza nella sua interpretazione, né facili concessioni alla macchietta. La sua Marina è, semplicemente,
una persona reale, piena di tenerezza e ironia, di passione e curiosità, e non permette a nessuno di dirle chi è, o
chi deve amare.
Lunedì 16 novembre ore 16.00 - 18.30 - 21.00
Martedì 17 novembre ore 15.30 - 17.45 - 20.30
Mercoledì 18 novembre ore 16.00 - 18.30 - 21.00
Giovedì 19 novembre ore 16.30 - 19.00 - 21.30
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La Bella Gente
Regia: Ivano De Matteo.
Con: Monica Guerritore, Antonio Catania, Iaia Forte, Giorgio Gobbi, Victoria Larchenko.
Durata: 1h38’- Italia 2009 - Drammatico
Susanna è una psicologa di cinquant’anni e lavora in un centro per donne in difficoltà o
vittime di violenza. È sposata con Alfredo, architetto, con cui fa coppia sin dai tempi del
liceo. Susanna e Alfredo vivono a Roma, però trascorrono i week end e gran parte della
stagione estiva nella casa di campagna. È questo il luogo, lontano da tutti, in cui si svolge
la storia. Molto spesso Susanna va a fare la spesa in paese e un giorno, lungo la strada del
ritorno, nota per caso una giovanissima prostituta. Accanto a lei un uomo che la strattona e
la picchia umiliandola. Questa immagine resta impressa nella mente di Susanna, al punto
di decidere di salvarla dalla strada. Con la complicità del marito riesce a portarla nella casa di campagna e dopo
attimi di smarrimento e paura Nadja, questo il nome della prostituta, comprende il buon intento della coppia e
si rasserena. La bella gente è il secondo lungometraggio diretto da Ivano De Matteo, regista italiano conosciuto
principalmente per Gli equilibristi e I nostri ragazzi. E’ un film del 2009 che esce in sala solo ora. Vincitore del
Grand Prix e del Premio migliore interpretazione femminile a Victoria Larchenko al Festival del film italiano ad
Annecy, ha riscosso notevole successo di pubblico e critica in Francia. E’ un film che racconta due mondi lontani
tra loro. Da un lato quello della prostituzione delle donne dell’Est e dall’altro quello della borghesia romana.
Susanna è una donna dalla mentalità aperta, progressista che decide di accogliere e offrire una via di fuga a Nadja.
Cerca di ridurre la distanza che c’è tra loro, forse con un pizzico di egoismo, senza ponderare però fino in fondo
la sua decisione. Inevitabilmente gli iniziali equilibri saltano, e a poco a poco viene fuori “la distanza tra ciò che
si è e ciò che si vorrebbe essere”. La bella gente è una storia semplice, lineare, senza grandi drammi o momenti
di pathos. Non ci sono personaggi buoni o cattivi, né eroi o fate madrine. De Matteo porta sul grande schermo
il reale. La visione di due donne: una nata e vissuta nell’agiatezza, in un mondo fatto di riferimenti intellettuali,
comodo e monotono; l’altra meno fortunata, costretta alla sopravvivenza, con poche possibilità e appartenente ad
una cultura diversa. Un piccolo film che ruota attorno alla “divisione” per classi sociali, alla distanza tra chi ha i
soldi e chi non li ha.Susanna è felicemente sposata e ancora innamorata di Alfredo, ma in fondo la sua è una vita
triste, senza motivazione. Circondata da gente della sua stessa “specie”, prova noia e vive insoddisfatta. Poter
essere d’aiuto per Nadja la rende gioiosa e contenta prima, ma insicura, sofferente e fragile dopo. È espressione
di una “società pronta a far finta di nulla di fronte alle differenze e alle prime difficoltà”. Nadja, invece, è una
giovane donna indifesa, rassegnata al suo destino, che trova in Susanna e Alfredo un miraggio di salvezza, una
possibilità di riscatto che termina nel peggiore dei modi: un secondo abbandono. Nadja rappresenta la visione
disincantata e senza speranza dell’attuale società. Emblema di ciò è la scena finale in cui raccoglie i capelli in una
coda e mette il rossetto, pronta ad indossare nuovamente la maschera che solo per pochi giorni ha accantonato.
Ancora prima di Gli equilibristi e I nostri ragazzi, Ivano De Matteo ricostruisce il ritratto tragico di una società
finta, in cui all’apparente benessere e tranquillità si affiancano il senso di instabilità e incertezza dovuto non solo
alla crisi economica, ma anche alla perdita di umanità e al degrado morale. Chiave di questo mondo non perfetto
come sembra sono personaggi sempre in bilico tra necessità e decoro.
Lunedì 23 novembre Martedì 24 novembre Mercoledì 25 novembre Giovedì 26 novembre 8
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 15.30 - 17.45 - 20.30
ore 16.00 - 18.30 - 21.00
ore 16.30 - 19.00 - 21.30
La vita è facile ad occhi chiusi
(Vivir es facil con los ojos cerrados)
Regia: David Trueba.
Con: Javier Cámara, Natalia de Molina, Francesc Colomer, Ramon Fontserè, Rogelio Fernández.
Durata: 1h44’- Spagna 2014 - Commedia
È il 1966 e la Spagna è nel pieno del regime franchista. Nelle vicinanze di Madrid un professore
d’inglese insegna la lingua ai suoi studenti servendosi delle canzoni dei Beatles. Quando
viene a sapere che John Lennon si trova in Almeria sul set di Come ho vinto la guerra (1967,
regia di Richard Lester) decide di andare a conoscerlo. Lungo il viaggio offre un passaggio in
macchina a una ragazza fuggita dal collegio (Natalia de Molina) e un adolescente (Francesc
Colomer) scappato da casa dopo una lite con i genitori. Sarà un viaggio verso la libertà e
la speranza.
La vita è facile ad occhi chiusi, diretto da David Trueba, ha vinto sei Premi Goya nel 2014.
Il film è ispirato ad una storia vera, letta dal regista sul giornale. È la storia di Juan Carrión,
docente di inglese e appassionato dei Beatles, che realmente nel 1966 andò a conoscere John
Lennon impegnato a girare il film nel sud della Spagna. Carrión aveva un solo desiderio:
chiedere al noto cantante di correggere i testi trascritti sul suo quaderno per poterli dare, in
perfetta forma, ai suoi alunni. A quanto riportato dai titoli di coda, in seguito a quell’incontro
i dischi dei Beatles iniziarono a riportare i testi delle canzoni.
Curiosità: John Lennon era giunto in Spagna dopo aver pubblicato la canzone Help!, con cui
rivelava la sua crisi interiore dovuta al troppo successo, i dubbi sul futuro del gruppo e il
desiderio di allontanarsi da tutto ciò. Almeria diventò per lui un ruolo di riposo e riflessione.
Una terra fino allora poco conosciuta, dove si coltivano le fragole. E la storia della musica
racconta che, in seguito a questo periodo, Lennon compose Strawberry Fields Foreverer, uno
dei suoi brani più intimi. Protagonista di La vita è facile ad occhi chiusi è Javier Cámara, attore
spagnolo conosciuto per aver recitato in più film di Pedro Almodóvar e noto in Italia per La
vita segreta delle parole di Isabel Coixet. Il film è molto delicato, dai colori caldi e tiene da
parte il discorso politico del franchismo. È il viaggio verso John Lennon, verso la libertà e il
progresso. Il film, lontano dall’essere una rivisitazione del franchismo, regala un momento di
quel periodo tra l’esigenza di scappare, di ribellione e l’inevitabile povertà. È la storia di un
eroe del popolo che nel suo piccolo aiuta se stesso e gli altri e lo fa servendosi della musica.
Il centro del film è lui, questo straordinario professore, e non John Lennon, che per di più
appare solo per pochi istanti e in lontananza. Ad accompagnare il professore, due giovani
con storie completamente diverse, ognuno di loro in fuga per motivi differenti e in cerca di
pace e indipendenza. Tre personaggi, tre vite, tre diverse espressioni di ribellione “all’ordine
costituito”. Il film di David Trueba è tutto questo, “un profumo” – come definito da Javier
Cámara – per nulla tradizionale, di libertà e tradizione, di riforme sociali e cambiamento.
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