1.4. Bisogni degli alunni
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1.4. Bisogni degli alunni
I bisogni degli alunni Abbiamo finora parlato delle sfide, specifiche, che gli alunni “stranieri” si trovano ad affrontare su diversi piani. Ma essi condividono con tutti gli scolari alcuni bisogni fondamentali la cui soddisfazione è essenziale perché possano investire energie nell’apprendimento. Si tratta di bisogni legati alla sfera emozionale che, come la ricerca nel campo ha mostrato, è strettamente collegata ai processi di apprendimento che ne sono condizionanti. Proseguendo lungo una via tracciata da Abraham Maslow, C. A. Tomlinson (“Adempiere la promessa di una classe differenziata”, LAS Roma, 2006) individua cinque bisogni fondamentali che ogni scolaro cerca di soddisfare stando nella classe: - Bisogno di sentirsi riconosciuto e confermato come persona (autostima). - Bisogno di realizzare cose significative (autoefficacia), di partecipare e contribuire alla vita del gruppo in cui sono inseriti (appartenenza). - Bisogno di controllare e dominare il proprio mondo: ciò che imparo è utile per rendermi autonomo e dominare la realtà. - Bisogno di dare un significato alle attività e alle cose: ciò che faccio ha importanza e senso. - Bisogno di essere messo alla prova, di affrontare sfide e rischi. L’apprendimento è una sequenza di sfide. Evitarle può essere una soluzione ma non fa crescere e d’altra parte troppe sfide perse possono creare sfiducia nelle proprie capacità di apprendimento. L’autrice li denomina rispettivamente come bisogni di affermazione, contributo, potere, scopo e sfida. I bisogni costituiscono una trama sotterranea, una sorta di sottobanco che emerge a tratti nei comportamenti e nelle parole degli alunni specialmente quando essi sono frustrati: sta all’insegnante di coglierne i segnali. I bisogni individuati dalla Tomlinson costituiscono una guida per analizzare i comportamenti degli insegnanti e i contesti in cui vengono svolte le attività. Abbiamo considerato i protocolli osservativi proposti nel documento 1.4., in particolare, per cogliere se e in che misura le insegnanti li hanno colti e hanno dato risposte. L’attività di stesura e di analisi di protocolli osservativi effettuati in situazioni reali quotidiane consente agli insegnanti di riflettere sul lavoro che stanno conducendo e di introdurre, poi, i cambiamenti necessari. L’analisi approfondita dei due protocolli ha fatto emergere, durante la discussione in aula, diversi aspetti che non possiamo qui riportare estesamente. In estrema sintesi, si sono notate differenze evidenti fra i due contesti scolastici. Il bambino di scuola dell’infanzia che partecipa attivamente, magari senza comprendere pienamente, ai gesti e alle drammatizzazioni dei compagni, isolandosi poi in un suo mondo durante la lettura della storia, manifesta sia il suo bisogno di partecipare e di relazionarsi sia di comprendere ciò che avviene; bisogni che l’insegnante, intenta nel suo percorso prestabilito, pare non cogliere. Anche le ripetute valutazioni negative delle parole “scorrettamente” pronunciate dal bambino paiono frustrare il suo bisogno di essere confermato come persona. In direzione differente agiscono le insegnanti della scuola primaria del secondo protocollo osservativo. Esse riconoscono la competenza dell’alunna neoarrivata e la valorizzano dando un senso alle sue poche parole accompagnate dal disegno nella farina. E, per rispondere alla sua richiesta di sentirsi parte e di partecipare, accettano e seguono anche deviazioni dall’itinerario che avevano programmato. Nel primo caso inoltre il bambino pare non ricevere alcun riconoscimento neppure da parte dei compagni. E’ possibile formulare l’ipotesi che essi stiano seguendo il modello relazionale che l’insegnante pare avere adottato, non sappiamo quanto consapevolmente. Nella classe primaria invece il riconoscimento da parte delle insegnanti si riverbera positivamente negli atteggiamenti dei bambini. La questione che si pone allora riguarda le risposte che gli insegnanti danno. Accogliere tali bisogni significa averli presenti nella propria azione didattica, nelle comunicazioni e nelle relazioni quotidiane anche con i bambini stranieri neoarrivati, spesso spersi in contesti nuovi e sconosciuti, e nella situazione di essere “privi di parole”, delle parole di quella lingua mediante la quale si comunica nel nuovo paese. L’incompetenza nell’italiano L2, così evidente, può indurre gli insegnanti di scuola primaria a concentrare il loro impegno su percorsi di insegnamento/apprendimento della lingua, specialmente scritta, ponendo in secondo piano i bisogni fondamentali dell’alunno o rinviando la loro soddisfazione a quando sarà in grado di comunicare più o meno correttamente. Talvolta però si può pensare che occorra dare tempo al bambino e si assume un atteggiamento “attendista”, In particolare nella scuola dell’infanzia, se si hanno davanti tre anni, si pensa che, appunto con il tempo, il bambino straniero si socializzerà e apprenderà la lingua semplicemente stando con i compagni, svolgendo le attività comuni. Si tratta invece di progettare attività e percorsi di apprendimento che rispondono, contemporaneamente, ai bisogni fondamentali: sollecitare e dare valore ai contributi personali senza forzare, far emergere e riconoscere le competenze al di là della lingua, insegnare la lingua per comunicare con i compagni e intessere relazioni, porre obiettivi di apprendimento raggiungibili e sostenere nel perseguirli…