Impara a DIre tI amo (prIma che SIa troppo tarDI)

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Impara a DIre tI amo (prIma che SIa troppo tarDI)
Giacomo Dacquino
Impara a dire ti amo
(prima che sia
troppo tardi)
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Dello stesso autore
in edizione Mondadori
Che cos’è l’amore
Paura d’amare
Legami d’amore
Se questo è amore
Credere e amare
Bisogno d’amore
Seduzione
Relazioni difficili
Soldi, sesso e sentimenti
Dove incontri l’anima
Impara a dire ti amo (prima che sia troppo tardi)
di Giacomo Dacquino
Collezione Saggi
ISBN 978-88-04-62626-8
© 2013 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
I edizione gennaio 2013
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Indice
3 Introduzione
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I
31
II
61
III
89
IV
111
V
137
VI
171
VII
L’amore nella coppia
La narcisa, 16
La differenza tra uomo e donna
Un vuoto lontano, 50
La seduzione amorosa e sessuale
Il seduttore mancato, 73
Il matrimonio e la convivenza
La sindrome di Ulisse, 96
La crisi nella coppia
L’infedele, 120
La separazione e il divorzio
Vite in ostaggio, 159
L’amore maturo
La paziente matura, 190
203Conclusione
207 Ringraziamenti
209 Note
221 Bibliografia
233 Indice analitico
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Ai miei pazienti
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Avvertenza
I casi clinici riportati sono pubblicati con il consenso dei
pazienti. Per rispetto del segreto professionale sono stati
cambiati i nomi e alcune circostanze che avrebbero potuto facilitarne il riconoscimento.
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Introduzione
La psichiatria tradizionale ha in genere trascurato la dimensione affettiva dell’essere umano, dimenticando che una
persona è qualcosa di ben più complesso delle sue capacità di ragionamento, di linguaggio e di memoria. La stessa
diagnosi clinica è quasi sempre basata sulla sintomatologia evidente, per cui ignora per lo più certi aspetti immaturi della personalità che possono rendere la vita un inferno a chi ne è portatore e a chi gli è vicino. Infatti, l’amore è
gratificante tra persone psicoaffettivamente mature, mentre diventa doloroso quando si ha a che fare con un immaturo che ama in maniera dipendente, strumentalizzante,
possessiva, aggressiva ecc.
Proprio perché il suo lavoro lo porta a incontrare il dolore, la sofferenza delle persone, lo psichiatra è spesso più
incline, anche per un’insufficiente preparazione universitaria, a prendere in considerazione le emozioni negative
dei pazienti (ansia, paura, rabbia, depressione) che a osservarne e valutarne gli stati mentali positivi (amore, piacere,
serenità, spiritualità); tende cioè a registrare i sintomi, la
malattia, nei casi migliori l’ammalato, ma non tiene conto
di come il paziente vuole bene a se stesso e agli altri.
Anche la mentalità collettiva è più disposta ad accettare le malattie del corpo che quelle della psiche, soprattutto se riguardano le emozioni. La malattia dei sentimenti
è sconveniente, vergognosa, indice di debolezza, d’inferiorità. Per questo viene negata da chi ne soffre, a dispet-
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to dell’enorme consumo di ansiolitici e antidepressivi. La
conseguenza è che viviamo in un’epoca di grande sviluppo tecnologico, ma anche di perdita di maturità psicologica e di incapacità di compiere scelte etiche responsabili.
L’Occidente ha progettato il suo futuro sulla tecnica, smarrendo il senso dell’umano, il primato della persona. Un’ulteriore conseguenza è che si è globalizzati e confusi, si curano il fisico e il cervello ma non i sentimenti.
Mai come oggi sono frequenti i manuali, i seminari, a tutti
i livelli e in tutte le materie, che spesso inducono soltanto a
ricevere, inghiottire, evitando la fatica di usare il cuore, vivere i sentimenti, creare relazioni. Abbondano i corsi, per
lo più frequentati da un «popolo» di solitari e depressi: da
quelli di danza del ventre a quelli di spogliarello, dalla cucina al bucato, da quelli per organizzare cene per amici a
quelli per vivere senza complessi. È esplosa la mania dei
workshop o degli stage, per dirla con un linguaggio alla
moda: dalle dieci lezioni per diventare seduttivi ai corsi sul
look, dal perseguire la forma fisica alla scoperta del proprio
spirito guida, dal tango al kamasutra, da come lenire le ferite da perdita affettiva a diventare, sempre in dieci lezioni,
«genitore modello» per gestire i figli nei giorni di affido.
Più studio l’essere umano, più mi convinco che l’incontro decisivo è quello con noi stessi, per realizzare un’armonia con le varie parti della psiche, poiché spesso la nostra
mente è come una riunione di condominio in cui ognuno
pensa al proprio tornaconto e non al bene comune. Sovente ci si preoccupa delle cose esterne trascurando quelle interne. Per esempio, esiste una libertà interiore nel rapporto
con se stessi e una libertà esteriore nel rapporto con gli altri.
Normalmente si pensa troppo alla seconda e troppo poco
alla prima, al punto che i desideri di libertà dall’esterno non
sono sempre sorretti da una liberazione interiore. Si lotta
infatti per avere più diritti nei confronti degli altri, ma poco
o nulla ci si preoccupa di essere più liberi interiormente.
Non è facile però guardarsi dentro per comprendere le
ragioni dei nostri pensieri e delle nostre azioni. Conoscere
se stessi è infatti l’obiettivo di un cammino faticoso perché
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molte barriere ostacolano tale ricerca: sono le «resistenze»
che ognuno incontra nell’autoindagine. Occorre dunque
praticare l’insight per liberarsi, per dare un senso alla propria vita, un’impostazione di fondo alla propria esistenza.
Le risposte sono già dentro di noi, e quindi bisogna imparare a riconoscerle e a realizzarle. Perché spesso i motivi
per essere sereni si cercano all’esterno, ed è proprio la ricerca spasmodica di una felicità esteriore a causare l’infelicità interiore. La stessa affettività è dentro, non fuori di noi,
e la si coltiva nella propria interiorità. Ed è infatti l’armonia con se stessi che permette di armonizzarsi con gli altri.
L’indagine psicologica comprende soprattutto le esperienze affettive, e la psicoterapia indaga in maniera approfondita la vita interiore dell’uomo, lavorando per portare alla
luce i valori emotivi presenti nei pazienti e che loro stessi, a
volte, non sanno di possedere. Spesso pensano di non esserne dotati, poi scoprono di averne più di quanti credevano.
L’interesse specifico di questo libro è rivolto al significato
che il vissuto affettivo assume nella vita dell’uomo, particolarmente focalizzato sull’amare. L’esperienza clinica testimonia che le principali cause dell’ansia e della depressione
sono il fallimento del rapporto coniugale, le tensioni riferite all’esercizio della sessualità, i dolori da perdita affettiva. I
casi clinici descritti documentano che è la qualità dell’amore a essere disturbata, non la quantità: non si ama troppo, si
ama male, cioè in modo immaturo. Ogni paziente racconta
infatti il suo percorso di maturazione psicoaffettiva, imparando a conoscersi meglio, ad accettarsi, ad autonomizzarsi e soprattutto a volersi bene «bene» e ad amare «bene» gli
altri, quindi a vivere un’affettività psicologicamente matura.
Sono resoconti di psicoterapia ricchi di adesione personale, descritti in modo appassionato, quasi passionale,
da esseri umani per altri esseri umani. Leggendoli, si può
sentire il ritmo del loro cuore, un cuore che conosce la tristezza e la gioia, forse più la prima che la seconda, ma che
ha combattuto per imparare a voler bene e amare meglio.
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I
L’amore nella coppia
Indagando la fenomenologia dell’amore si scopre che, dopo
quello cortese medievale, quello passionale barocco, quello
romantico dell’Ottocento, quello genital-consumistico del
Novecento, l’attuale modo di vivere questo sentimento corrisponde all’affermazione di un diritto acquisito, da consumare come attestato di femminilità e virilità, come sinonimo di potere o come ostentazione di uno status symbol
da parte di una società che lo ha banalizzato confondendo la genitalità con la sessualità.1
Progrediti nella tecnica, siamo arretrati nei rapporti affettivi poiché la tecnologia ha sospinto indietro l’uomo nei
suoi valori. Viviamo in tempi di superficialità, la grande
malattia odierna, in cui la gente s’illude di prendere lezioni
d’amore dai programmi televisivi, che pretendono d’insegnare come trovare l’anima gemella, sedurla e sopravvivere all’abbandono.
L’amore è il sentimento più ricercato ma anche il più
sofferto. Tutti vogliono amare, ma non tutti riescono a
«liberare» l’amore e a viverlo in modo psicologicamente
maturo. Lo si desidera, ma non vi sono nemmeno più le parole per dirlo; per esempio, in alcune regioni italiane quasi
non esiste il verbo «amare», sostituito da «voler bene», per
cui il «Ti amo» è surrogato dal «Ti voglio bene». Non si ha
nemmeno tempo per i sogni; del resto è più comodo prenderli già confezionati dalle telenovele o dagli spot pubblicitari. Si ama la letteratura latino-americana proprio perché
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racconta grandi storie d’amore, ma mancano le passioni e,
quando ci sono, sono grigie. Se così non fosse, non avrebbero successo i meeting di single, i corsi di corteggiamento per
la felicità degli inibiti, i messaggi di ricerca di un partner
negli annunci dei periodici, i profili su Facebook e Twitter,
le agenzie matrimoniali, i supermarket dell’erotismo.
La latitanza nei sentimenti viene mascherata attraverso il commercio: il turbinio di gadget a forma di cuore, i
fiori nel giorno di San Valentino, la festa della mamma o
del papà ecc. sono l’orgia di una mercificazione compensatoria della carenza di affetti. Si sta diventando orecchianti nei confronti della vita affettiva, come geniali suonatori
di jazz, con la differenza che geniali non si è.
Nel mondo occidentale ogni sentiero verso l’amore vero
è diventato faticoso, per cui pochi desiderano scoprire il
gusto del corteggiare, il piacere della conquista, la soddisfazione di guadagnarsi l’amore. Perché è la capacità di
amare, e non quella di fare sesso, il metro di valutazione
per l’equilibrio psichico. E poiché è necessario volersi bene
per crescere e amare gli altri, chi non si ama o si ama male
non soltanto è psicologicamente immaturo, ma non è in
grado di amare il prossimo.
In passato l’educazione dei sentimenti faceva status, ma
oggi, purtroppo, uno tsunami di maleducazione e di aridità
si è abbattuto sull’Occidente investendo famiglie disgregate, scuole che licenziano fior di ignoranti, politici opportunisti, amministratori corrotti. Cattivi maestri offrono pessimi modelli di educazione affettiva, proponendo una ricerca
compulsiva d’amore e una richiesta sempre insoddisfatta
di felicità. Ormai è raro ascoltare o leggere le opinioni professionali e scientificamente motivate di un esperto in una
specifica materia. A dire la loro sono per lo più opinionisti onniscienti, e soprattutto narcisisti, che raccontano «testimonianze» immature, togliendo spazio alla voce di chi
da decenni studia sul campo quel determinato argomento.
Anche nei dibattiti televisivi si dà troppo spesso spazio alla cafoneria, al turpiloquio, alla volgarità. E chi urla
di più si guadagna il maggior numero di inquadrature.
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Gli stessi conduttori, che dovrebbero mediare i contributi dei partecipanti, sovente evitano il dialogo educato e
civile poiché diventa noioso e fa perdere ascolti. Meglio
l’arroganza e la licenziosità, che fanno più spettacolo e
audience. E purtroppo oggi vige l’irrefrenabile voglia di
apparire, del «dire tutto» non soltanto nel privato ma anche nel pubblico, senza alcun pudore (si vedano i reality
show), in modo indecente non soltanto per chi ascolta ma
soprattutto per i protagonisti, che spesso non hanno rispetto verso se stessi, i propri parenti, partner ecc. Oggi
trovarsi online è divenuta una pratica socialmente accettabile, addirittura diffusa, ma per incontrare l’amore,
quello autentico, occorrono silenzio, umile ascolto, condivisione. Solo allora si capisce la precarietà di quello che
appariva importante: la bellezza fisica, il partner influente, il numero dei coiti.
Seppur determinati biologicamente ad amare e programmati alla sessualità da pulsioni evoluzionistiche per la sopravvivenza della specie, nessuna scienza biochimica ha
saputo finora spiegare perché un uomo e una donna si amino, perché nasca un amore e quanto possa durare. La conoscenza scientifica non esaurisce infatti l’essere umano,
che è anche sentimento, emozione, amore, fede. Essa può
razionalizzare i comportamenti, studiare le variazioni degli ormoni e dei neurotrasmettitori, ma sempre ricordando che i fattori biologici rappresentano soltanto una spinta
alla genitalità, non certo all’amore, poiché il razionalismo
ignora il valore dei sentimenti.
La biologia si ferma sulla soglia dell’amore, come la razionalità sull’uscio della fede religiosa, poiché non esiste
un’affettività soltanto intellettiva, di cervello: l’emotivo,
cioè i sentimenti, si trasmette sempre e, come non s’impara dai libri l’autorevolezza, così non si ricavano dallo studio le doti empatiche, intuitive, la capacità d’amare e di
voler bene. In questo ci conforta la psicoterapia, la quale,
indagando e portando alla coscienza i meccanismi psichici, permette di conoscere e valorizzare l’uomo nella sua
parte mentale, che va ben oltre le molecole.
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Attualmente siamo all’inizio di una nuova era, quella
delle emozioni. Persino le canzonette si valutano sulla base
dell’emotività, mentre aumentano nei quotidiani i supplementi di psicologia spicciola, le rubriche di posta del cuore
ecc. quali segnali di maggior attenzione per i sentimenti,
nel contesto di un ritorno al privato dopo le delusioni politiche e sociali. Tutto questo non stupisce, poiché la parola «amore» è la più abusata, ma anche la più indefinibile
del vocabolario, e scrivere al riguardo significa raccontare
un’esperienza misteriosa, spesso più immaginata che vissuta, più sofferta che goduta. Infatti, sull’amore si fanno
tanta retorica e vuota poesia.
Chi conosce le leggi della psicologia amorosa sa che
ciascuno ha nel proprio inconscio un enorme potenziale affettivo. E se anche vi sono molte interazioni fra il razionale e l’emotivo, l’affettività è sempre presente perfino in coloro che la sottovalutano. Tutti hanno bisogno di nutrirsi
d’amore: si nasce per amore, si cresce nell’amore e si vive
d’amore, che è come l’ossigeno, condizione essenziale per
esistere. L’essere voluti bene dai genitori durante l’età evolutiva e amati da adulti influisce sulla robustezza dell’Io,
per cui i successi o i fallimenti amorosi possono rinforzare o frantumare la coesione del Sé e quindi l’autostima.
L’affettività è la reazione a quanto avviene dentro e fuori
di noi, ed è ciò che ci fa sentire vivi. Quando s’immiserisce,
viene a mancare anche il desiderio di vivere. L’inedia affettiva porta alla noia, all’aridità, alla depressione. Perché
una persona priva di emozioni è un soggetto psichicamente
morto nei confronti degli esseri umani, degli animali, della
natura e persino dell’arte, poiché il sentimento dell’amore è spesso la base d’ispirazioni creative quali la musica,
la letteratura, le arti figurative ecc. Per amore dell’amore l’uomo è diventato poeta, pittore, musicista, scrittore.
Vivere l’amore è un regalo che l’esistenza non fa a tutti,
poiché amare non è facile come falsamente ci dicono i media, in quanto la pulsione amorosa, pur essendo qualcosa
di istintivo, deve essere sublimata, cioè raffinata come la
percettibilità musicale. La qualità delle cure materne nel-
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la prima fase della vita ha un ruolo fondamentale nel regolare il sistema emotivo del bambino, dal momento che,
fin dalla culla, ricevendo il sorriso amorevole della mamma impara ad attivare gli affetti; inoltre mette in atto processi di identificazione con le persone significative che lo
accompagneranno lungo la crescita.
Tali modelli introiettati ne condizionano l’orientamento psicoaffettivo anche da adulto, rendendolo sensibile a
una persona che trasmette messaggi amorosi simili a quelli
trasmessi dai genitori durante la prima infanzia. E proprio
perché l’affetto che si riceve aiuta a crescere, la famiglia in
cui si nasce e si viene educati è importante come preludio
alla relazionalità amorosa adulta. Infatti, i figli di genitori
generosi e amorevoli cercano l’amore in persone valide e
mature, mentre quelli di genitori egoisti e distanti lo trovano in persone egotiste e ipoaffettive. Nessun partner è abbastanza «nutriente», se si ha un’insaziabile fame affettiva.
L’identità personale si acquisisce nei rapporti con gli altri, ma soprattutto in una relazione di coppia, che inizia con
la fase dell’innamoramento. Questo si verifica quando vi
è disponibilità all’amore, se cioè si è disposti a sviluppare sentimenti amorosi verso un partner, se si è desiderosi
di un’intimità affettiva gratificante, di un piacere sessuale.
A parte gli «assi pigliatutto» o quelli «basta che respiri»,
soggetti immaturi che s’innamorano anche dei paracarri,
l’apertura all’amore comporta che vi siano sintonia emotiva con una persona e l’assenza di gravi preoccupazioni
personali o dolori di varia natura. Per esempio, le persone sotto grave stress respingono dichiarazioni d’amore e
inviti sessuali, anche perché gli ormoni indicatori dello
stress (adrenalina, norepinefrina, corticotropina, cortisolo) bloccano l’azione dell’ossitocina, cancellando i desideri romantici e genitali.
L’innamoramento è un sentimento che sconvolge la psiche in quanto l’emotivo domina il razionale, cioè il buon
senso, provocando una sorta di regressione infantile nel
linguaggio e nei comportamenti. Da innamorati, in certi
momenti ci si sente più belli, più giovani, più in forma, più
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creativi, più tutto; in altri, anche gelosi e insicuri («Questo
vestito gli/le piacerà?»). Anche il corpo ne viene coinvolto per gli effetti neurormonali. Talora, quando si è vicini
alla persona amata, si ha la tendenza ad arrossire, a sudare freddo, oppure la sensazione che manchi l’aria, mentre,
quando se ne è lontani, essa è sempre presente nei pensieri,
nei desideri, nei progetti, nei sogni. Si possono poi avere
sbalzi d’umore (dalla depressione all’esaltazione), pensieri
ricorrenti e persistenti, quasi ossessivi, come il desiderio
intenso e irrazionale di stare il più possibile vicino all’altro, oppure comportamenti ritualistici, come il controllare
ripetutamente il telefonino per vedere se vi sono chiamate o sms, o verificare continuamente l’arrivo di messaggi
nella posta elettronica. Tale componente ossessiva è dovuta alla serotonina (neurotrasmettitore implicato anche nei
disturbi ossessivo-compulsivi) e alla feniletilamina, che
agisce in maniera simile all’anfetamina.
Altre turbe da innamoramento possono essere la difficoltà di concentrazione, la trascuratezza nel lavoro, l’indifferenza all’opinione degli altri, il fastidio per i buoni consigli,
l’insonnia, la perdita dell’appetito ecc. Ed è il neurotrasmettitore cerebrale dopamina a generare i sintomi dell’amore:
iperattività, batticuore, perdita del sonno ecc. Questa sintomatologia negativa è in linea con le frasi populiste: «essere
pazzi d’amore», «aver perso la testa», «essere consumati
dalla febbre d’amore», «amare da impazzire». Tali disturbi sono anche dovuti al «festival» dei neurotrasmettitori
noradrenalina ed epinefrina (sostanze eccitanti simili alle
anfetamine naturali), che, passando dall’ipotalamo al sistema limbico, determinano tensione e agitazione.2
L’innamoramento trasporta in terre sconosciute e pericolose, quindi perturbanti, poiché vi è un’alterazione del rapporto con la realtà e ci si abbandona all’altro senza difese.
È infatti un sentimento stritolato da forti emozioni, quindi poco controllabile e gestibile: una «meravigliosa malattia» che solleva i piedi da terra, riducendo il senso pratico. Nell’innamoramento il cervello diventa «illogico» per
uno «sballo» romantico, perché gli alti livelli di ossitoci-
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na e dopamina affievoliscono la capacità critica azzerando
quella di giudizio. Ci si comporta da drogati (la dopamina
procura euforia), si riduce il visus psichico, calano le diottrie del raziocinio, anche perché la zona corticale frontale
e prefrontale del cervello, sede del pensiero critico, diventa quasi inattiva e lascia spazio a quella limbica, sede delle emozioni. Si è quindi ciechi, perché nella persona amata
non si percepisce ciò che dispiace, mentre si vedono anche le qualità che non vi sono ma che si desidera vi siano.
È quindi un periodo potenzialmente pericoloso, una trappola, poiché si vede l’altro perfetto, senza difetti, con il rischio d’illudersi che la persona sbagliata sia quella giusta; è
una nevrosi transitoria che fa diventare anche bugiardi, dal
momento che ci si racconta all’altro nella luce migliore, nascondendo le parti negative. Purtroppo, tale fase rende anche
molto presuntuosi: per esempio, a volte ci s’illude di modificare un partner mammone, dongiovanni, superlavoratore,
fannullone o tossicodipendente. Ma il partner non si cambia
con l’amore, per cui se è un immaturo psicoaffettivo, uno
sfaticato, un infedele o un tossicodipendente, resterà tale.
L’innamoramento è un periodo di regressione caratterizzato da comportamenti piacevoli ma irrazionali, quali
inviare alla persona amata parecchi messaggi o telefonarle molte volte al giorno, fare lunghe corse in macchina per
stare insieme pochi minuti ecc. Per questo ognuno si porta dentro la nostalgia e la voglia di un grande innamoramento, perché quando si ama riamati, si vive un superaffollamento incosciente di emozioni e si dimentica l’Imu,
l’Irpef, l’Iva, i tracolli della Borsa e lo spread…
Tuttavia, bisogna insegnare ai giovani e ai meno giovani che una persona si riconosce da come ama, e che l’amore non parte soltanto dal cuore ma anche dal cervello; soprattutto, non è solo quello tra le lenzuola. Occorre quindi
evitare la «sindrome da telenovela», che si manifesta quando a un rapporto di coppia viene richiesto tutto e subito,
cioè tenerezza, complicità, solidarietà, genitalità. L’amore
necessita invece di dialogo, regole, disciplina: tutte conquiste da fare insieme nel corso di mesi e anni, anche se
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l’attuale società dei media stimola di più l’innamoramento e meno l’amore.
La fase dell’innamoramento, proprio per la notevole tensione psicofisica che comporta, dura qualche settimana o
pochi mesi, anzi, attualmente si è molto abbreviata, dal
momento che la coppia ha maggiore libertà di frequentarsi nei fine settimana o durante i periodi di vacanza. Con il
passare del tempo, si sente il bisogno di un rapporto più
tranquillo, senza stress e, soprattutto, stabile per ragioni di
«economia psichica» e di risparmio fisico, per cui si passa
alla fase successiva dell’amore, nella quale si recuperano
l’equilibrio e la ragione; inoltre, caduta l’idealizzazione, si
ha una visione più realistica e veritiera del rapporto. Gradualmente si vedono nell’altro per la prima volta difetti,
carenze, immaturità e negatività, che possono portare a una
crisi del legame affettivo; ma se nel partner prevalgono i
pregi e le qualità positive, se ne accettano anche le imperfezioni, lo si stima e lo si ama con maggiore profondità e
più a lungo, tanto da poter realizzare insieme un progetto
di vita. Diventano così basilari l’intesa e la complicità, oltre alla relazione sessuale.
Amare è un difficile percorso, il cui itinerario è sempre privato, personale. Ognuno ama come può ed è capace, ma la costruzione di un legame è un «lavoro in corso»
che dura tutta la vita. Infatti, la cosa più importante da
imparare è quella di farlo crescere e mantenerlo nel tempo, nutrendolo con pazienza e sapienza poiché si accompagna a responsabilità pesanti. Quando la vita dell’uno
diventa quella dell’altro, si sente il dovere di aiutare la
persona amata a realizzarsi, magari mettendo in ombra
il proprio Io.
Proprio perché l’amore è un sentimento vivo e vitale va
sostenuto e alimentato. Ci si continua a scegliere giorno per
giorno, anche se ogni individuo, quando ama, è convinto
dell’eternità del proprio sentimento e non pensa che potrà indebolirsi e svanire. Spesso pensa che «se vi è l’amore, il futuro è per sempre». Poi le cose vanno come vanno,
poiché l’amore è un valore dinamico, senza un traguardo
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sicuro, reiteratamente da conquistare perché continuamente in pericolo.
Può essere profondo e consolidato nel tempo, ma non
significa «per sempre». È come se fosse in affitto, per farlo
durare bisogna costantemente rinnovare il contratto. Inoltre
non si automantiene, ma è come una pianta che va innaffiata periodicamente. Occorre la capacità di aggiornare il
patto di unione tra i partner, poiché ogni età e ogni nuova
situazione necessitano di nuove regole e accordi. Per ravvivare il sesso non è necessario ricorrere a ménage à trois o
frequentare locali per scambisti, ma coltivare l’eccitazione
del partner lavorando di fantasia e d’inventiva.
L’amore dà senso alla vita, motivandone le strategie
quotidiane e i progetti. Non soltanto consola dalla fatica
di esistere, ma sostiene nelle difficoltà. E anche se a volte provoca inquietudine, vivere senza amore rende l’esistenza gelida, arida, vuota. Per questo bisogna prendersi
cura dell’amore come di un bene prezioso, non danneggiarlo, non sciuparlo o distruggerlo; soprattutto, non lo si
può abbandonare come un oggetto sperando di ritrovarlo
intatto quando si torna a prenderlo, poiché l’amore si scarica come una pila e finisce nell’indifferenza. È quindi necessario imparare ad assaporarlo con maturità e creatività, affinché resti sempre un palpito d’amore.
Acquisire tale capacità non è facile, poiché è ormai scientificamente accertato che ognuno impara a voler bene e ad
amare da come ha visto i genitori amarsi tra loro e da come
padre e madre gli hanno voluto bene durante la crescita.
Spesso i pazienti che sono stati affettivamente soli durante l’infanzia restano tali anche nell’età matura, nonostante
indossino ogni giorno una maschera per celare, non solo
agli altri ma anche a se stessi, insicurezze e paure. E purtroppo l’alfabeto dei sentimenti, la grammatica affettiva e
la psicologia dell’amore non si apprendono grazie a una
pillola, poiché la «capacità d’amare» è una medicina che
il farmacista non vende.
In un mondo dove ogni certezza, anche a livello scientifico, filosofico e politico, è una domanda sempre aper-
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ta con risposte sempre nuove – per cui ogni convinzione
deve essere continuamente problematizzata e revisionata –,
l’amore assume ancora di più la forma di struttura-rifugio,
all’interno della quale gli individui cercano un recupero di
equilibrio. In una società perennemente pressante e competitiva, e in tempi di progressivo tramonto delle ideologie, l’amore resta l’unico ideale, e si avverte il bisogno di
ritirarsi nel privato, di investire i sentimenti su poche persone, quindi di riscoprire e rivalutare la coppia, seppure
in un orizzonte culturale diverso, meno rigido, dove le
decisioni possono essere anche reversibili. Tale valorizzazione dei sentimenti è un fenomeno positivo, poiché
corrisponde a una maggiore responsabilizzazione dell’individuo, anche se comporta, quali inevitabili risvolti negativi, una prevalenza dell’aspetto soggettivo su quello
oggettivo, il rischio che il privato diventi talvolta troppo
privato o che il soggetto prenda in considerazione semplicemente quanto gli si confà, interpretando la realtà secondo i propri comodi.
La narcisa
Laura è una famosa attrice quarantacinquenne, dal look
moderno: occhiali enormi, scarpe firmate, giubbotto lucido di marca francese, come la borsa. Il tutto per farsi notare. Come molti attori è vanitosa e ambiziosa, e infatti la
sua professione comporta un certo esibizionismo. Del resto non l’avrebbe scelta, anche a costo di tanti sacrifici, se
nel calcare le scene non ricevesse consensi e applausi. Però
vede solo se stessa, non sa cogliere le sfumature altrui e
manca di educazione dei sentimenti.
È una persona troppo costruita, per niente naturale.
Ogni situazione è per lei un’occasione di recita. È un’egolatra, centrata su se stessa. Nel parlare, talvolta Laura ha
un tono lamentoso, talaltra pretenzioso e saccente, che
irrita: «Io non so più cosa fare di me stessa. Sento di navigare alla cieca. Non posso continuare a nutrire le mie
paure restando sempre nel mio giardinetto ad attende-
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re che se ne vadano, invece di affrontarle. Per questo lei,
professore, deve mettere ordine nella mia mente, che è
come un cassetto disordinato. Sarò un caso difficile… Se
fosse ancora vivo, Sigmund Freud ne scriverebbe un saggio interessante…».
La paziente è una narcisista,3 come dimostrano anche le
sue ultime affermazioni, polarizzata su di sé. Schiava del
culto dell’apparire, ha molta cura di se stessa, vive con l’imperativo di imporsi all’attenzione. Le piace piacere, e continua a specchiarsi nel proprio Io. È una bambina adulta
che ha poca capacità di riprendersi da avversità e traumi,
e non riesce a trovare in se stessa la forza per fronteggiare
e superare le difficoltà.
Usa il proprio corpo per guadagnare i riflettori. In balìa
delle istanze narcisistiche dell’Io, passa la vita a guardarsi: si rimira nel vetro dell’ascensore, si osserva nello specchietto retrovisore dell’auto, camminando scruta la sua figura riflessa nelle vetrine; senza contare gli appuntamenti
quotidiani con gli specchi di casa, cui dedica sempre più
tempo. Si guarda non per capirsi, ma per ammirarsi, non
per vedersi dentro, al fine di sondare i propri sentimenti
e meditare, ma per ricevere una confortante verifica e rassicurazione contro le ingiurie degli anni, per esorcizzare
l’angoscia che la sua bellezza dovrà sempre più confrontarsi con l’invecchiamento.
Il raggiungimento dei fatidici «anta» ha mandato in crisi la paziente, che ha sviluppato un’angoscia da disistima:
è passata dall’altezzosità al sentirsi una nullità, dal piacere
di mostrarsi in pubblico alla fuga nell’isolamento. Quando
la vita diventa più esibizione che realtà interiore, quando
ci si identifica nella corporeità e non nei propri sentimenti, avviene una frattura tra quello che appare e quello che
si sente. Quanto più la persona ha considerato la bellezza fisica come elemento principale nella gerarchia dei valori e come strumento essenziale per realizzarsi, tanto più
si scontra con la realtà oggettiva dell’invecchiare. E con il
declino dell’aspetto esteriore, privata dell’arma vincente,
cadrà inevitabilmente in crisi.
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Vi sono donne che utilizzano il corpo per ottenere vantaggi economici o guadagnare posizioni di prestigio e di
potere. Laura se ne è servita per calcare i palcoscenici. Sapendo anche recitare, non ha esitato a usare la sua aggressività narcisistica in imprese impegnative pur di conquistare
la notorietà. Non ha però mai maturato un vero Sé, anzi, ha
sviluppato un’immagine grandiosa e idealizzata, con l’infantile pretesa di essere costantemente al centro dell’attenzione. Essendo molto avvenente, è sempre stata incline a
trarre profitto dalle sue doti naturali puntando sull’involucro, senza preoccuparsi di cercare successi culturali o spirituali. Il suo agire non è stato dettato da valori interiori,
ma dall’immagine che doveva proiettare, anzi, Laura ha
legato il senso della propria identità all’apparenza, ignorando che vi sono altre caratteristiche vincenti, quali la capacità d’amare.
«Passo la vita a recitare il dramma dell’esistenza, inneggiando spesso all’amore, e poi vivo da sommersa e perdente. Sono bravissima nell’incastrarmi in relazioni sbagliate, e a volte il fallimento è davvero pesante, al punto
che attraverso periodi in cui mi faccio vedere in giro il
meno possibile per evitare di incrociare lo sguardo altrui.
Molti uomini mi hanno corteggiato con le solite esche
(fiori, regali, inviti) per portarmi a letto. Con loro a volte
ho civettato per il gusto di sentirmi seduttiva, altre volte
ho vissuto soltanto storie distruttive. Talora mi sono anche incapricciata di castratelli, che poi ho abbandonato,
anche se per quegli ominidi ho fatto romanticherie assurde. Ho persino mantenuto un rapporto con un uomo che
non amavo solo per dire che ero fidanzata con qualcuno. In altri momenti ho anche frequentato uomini sposati, ma legarsi a un maschio con moglie è come acquistare
una multiproprietà.
«Ogni relazione è stata una storia a sé, anche se ho sempre avuto paura di non ottenere quello che mi spettava di
diritto e non ho mai trovato un cuore che si sintonizzasse con il mio. Ancora oggi vivo nella paura di non essere amata abbastanza e continuo a cacciarmi in situazioni
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insostenibili, a collezionare fallimenti che mi lasciano più
sola e sfiduciata di prima.
«Io non m’innamoro di un uomo, ma di ciò che di sbagliato vi è in lui. Si potrebbe dire che sono affetta dalla “sindrome del bastardo”, in quanto tendo a dipendere dal maschio violento che mi considera sua proprietà.
Alla fine lo scarico, ma con il successivo il ciclo si ripete,
secondo un copione già scritto: le solite promesse dettate dagli ormoni in ebollizione, i soliti cedimenti e le conseguenti lacrime.»
Il desiderio patologico di amore porta a scegliere partner
sbagliati. Capita poi sovente d’incontrare pazienti narcisistici, capaci soltanto di prendere e non di dare, incapaci di
stabilire un rapporto amoroso maturo in quanto la scelta
del partner risponde a un interesse centrato sul Sé e quindi
escludente l’altro. Manca il «rispetto» per l’altro, sentimento che è stato sostituito dalla presunzione e dall’orgoglio:
comportamenti che derivano dall’esagerazione dell’amor
proprio e da una continua esaltazione di se stessi. Tali narcisi, infatti, non sono capaci di empatia, cioè non sanno percepire e comprendere gli stati d’animo altrui, e quindi non
riescono a esprimere amore, che è dono di sé, vivibile soltanto dalla persona eterocentrata e non da quella autocentrata. Normalmente, l’individuo innamorato si dimentica
di sé per l’altro; il narcisista, invece, si dimentica dell’altro
per sé. È infatti un soggetto che pretende di essere amato,
ma non sa amare.
Giustamente Sigmund Freud4 ha scritto che chi ama è
umile, perché ha perduto una parte del proprio narcisismo e può riconquistarla solo se è a sua volta amato. Infatti, nella persona innamorata le preoccupazioni personali diminuiscono, al punto che il partner è sopravvalutato,
a volte al di fuori di ogni riflessione critica.5 Questo non è
certo il caso della paziente, che ha sempre avuto bisogno
di una dose giornaliera di gratificazioni. Laura, infatti, si
cura con l’apparire, l’esibirsi, il recitare. Si bea della propria immagine sia davanti alla macchina da presa per girare un film sia dinanzi a una telecamera per una compar-
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sata televisiva, sia su un palcoscenico di teatro sia quando
sfila sul red carpet per ritirare un premio.
Vivere una relazione affettiva in modo maturo richiede
capacità che la paziente non possiede, poiché nel rapporto amoroso celebra soltanto il suo narcisismo vivendo l’affettività a mezzo servizio. Questo le impedisce relazioni
profonde e durature. Infatti non ama nessuno oltre se stessa. Di conseguenza ha alle spalle vari amori infelici, sia
per un individualismo esasperato, con assenza del senso
del «noi» a vantaggio del puro interesse per l’Io, sia perché la sua bellezza, accompagnata dalla consapevolezza
di possederla, l’ha portata a una sprezzante ipomania e a
uno stato di ansiosa iperattività. Nel rapporto di coppia,
Laura è capace soltanto di soddisfare le proprie esigenze
e considera il partner un mezzo anziché una persona, per
cui nella vita a due non è in grado di stabilire un rapporto
maturo in quanto vive l’altro in modo deformato e mistificato, proprio perché ha come principale finalità l’amore
per se stessa. Attua quindi una scelta poco legata alle caratteristiche della persona che crede di amare, di cui distorce le qualità reali utilizzandola soltanto per riflettere
la propria luce.
Il partner si sente così sempre più piccolo, perde fiducia
nel proprio valore e, dovendo spesso cedere alle richieste
di Laura e vivere in funzione della sua volontà, finisce per
abbandonarla. Innamorarsi di un individuo narcisistico significa cadere in un’angosciosa delusione, poiché tale immaturo psicoaffettivo non solo è incapace di dare, ma è
un compagno faticoso in quanto manifesta un’eccessiva
richiesta di valorizzazione, comprensione e tolleranza. Il
partner non riceve da lui gratificazione, ma anzi corre il
rischio di essere tradito per quel bisogno di trofei affettivi
e sessuali che rende il narcisista strutturalmente infedele.
Ecco perché Laura ricomincia una nuova storia, facilitata
dal fatto che esercita un enorme fascino sugli uomini sia
per la sua notevole capacità recitativa sia per il sussiego,
l’altezzosità e l’inaccessibilità, che ne rendono più stimolante la conquista. Non dimentichiamo che, per un’edu-
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cazione maschile tradizionale, la donna più desiderabile
è appunto quella riluttante a farsi sedurre.
La paziente ha quindi bisogno di un nuovo partner per
una «coazione a ripetere» ma, essendo innamorata della
propria immagine, non riesce a legarsi intimamente a lui.
E poiché i suoi innamoramenti infantili sono la proiezione
di un bisogno d’amore, gli uomini a volte la usano per appagare il proprio narcisismo. In più è presente in lei una
vocazione al masochismo sentimentale, che permette ai
partner di soddisfare la propria aggressività.
«Durante le sedute di psicoterapia dovrei rievocare la
mia storia, ma il mio passato non mi piace. Spesso evito
di dire “quello che mi viene in mente” per non scoprirmi
troppo e per non farmi imbrogliare dagli altri. In seduta il mio inconscio rumoreggia, ma io non ho alcuna voglia di guardarmi dentro e nemmeno intorno. Non creda,
caro professore, che per sondare i miei abissi emozionali, io mi debba spogliare come una cipolla! Visto che è lei
lo psicoanalista, si rimbocchi le maniche e deduca. Certamente un mercenario della psiche bravo come lei troverà
una via d’uscita! Penso al sofà nell’ambulatorio del dottor Freud, a Vienna…
«Però devo ammettere che io mi sono sempre molto guardata allo specchio vedendomi troppo poco. E lei,
professore, mi aiuti a capirmi e mi indichi nuove forme di
pensiero e di azione. Per questo avverto la necessità di rimanere ancorata a un punto di riferimento. Recita un proverbio cinese: “I maestri aprono l’uscio, ma tu devi entrare da solo”. Forse è ora di cominciare a prendere in mano
la mia vita…»
Il paziente, nelle sedute iniziali, racconta cose distanti
da sé, prive di un vero contatto con le sue parti profonde.
È consapevole solo dei propri sintomi, non delle cause, e
chiede aiuto per eliminare i primi, ignorando che in essi si è
condensata la conflittualità. La sua identità è infatti amputata di interiorità e confusa, e il metodo delle «associazioni
libere», che consiste nell’invitarlo a dire tutto quanto gli
viene in mente senza operare alcuna selezione intenziona-
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le, ha appunto l’intento di farlo parlare a ruota libera, saltando da un argomento all’altro. La stessa domanda «Che
cosa le fa venire in mente?» è posta dall’analista affinché il
paziente si metta in contatto con l’inconscio.
Prosegue Laura: «Non è facile riuscire a parlare di quello di cui non si è orgogliosi, è faticoso ammettere un errore, per paura che qualcuno ne approfitti. Io, quando leggo
un copione, incontro un ruolo e una situazione già definiti, in cui le parole sono state precedentemente scritte e
poco rimane per la fantasia dell’attore. In seduta, invece,
devo essere me stessa, non recitare una parte. E quella me
stessa non mi piace. Vorrei vedere, nascosta in un armadio, gli altri pazienti in analisi; mi consolerebbe delle mie
solitarie farneticazioni…».
La paziente rifiuta di ricevere sostegno nei momenti di
difficoltà, di accettare i cambiamenti come fattori intrinseci all’esistenza, di muoversi perseguendo i propri obiettivi. Proprio perché ha una visione troppo nevrotica di se
stessa, non riesce a rapportarsi al mondo, ad affrontare e
superare le difficoltà della vita. E non è che non voglia invecchiare, non ne è capace, perché vive l’età matura in un
letargo adolescenziale, con un precario senso di sé e mancanza di autocritica.
Come gran parte delle narcisiste, non si sente mai in colpa, anzi, si aspetta sempre approvazione incondizionata.
Vuole essere al centro dell’attenzione perché soffre della
«sindrome del faro», che porta a voler primeggiare e rende faticosa la vita poiché gli altri non sopportano chi ne
è affetto. Infatti, la pretesa di emergere le procura scontri,
perdite e rivalità. Inoltre, la sua permalosità corrisponde
a un ripiegamento su se stessa per difendersi da qualsiasi
attacco esterno tendente a modificare il concetto che ha di
sé. Si tratta quindi di una «resistenza», che le impedisce di
riconoscere e accettare le proprie immaturità.
«Durante le sedute collego i miei comportamenti a esperienze infantili. Sono reviviscenze che gettano fasci di luce
sulla mia vita e mi fanno vivere momenti in cui capisco di
essere ancora meglio di quello che pensavo. Mi rendo conto
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che il futuro può essere orientato attraverso la conoscenza
del passato e, se saprò mantenere e vivificare la consapevolezza delle mie risorse e capacità, potrò aprirmi a nuove
prospettive e opportunità che finora ignoravo o mi negavo. Capisco che devo essere “accompagnata” nel ripercorrere la mia vita per ripararne i guasti ed elaborarne il dolore, per evolvere verso un’identità solida che mi permetta
un futuro sereno. Certamente il cammino sarà lungo ma,
con il passo calmo e sicuro della cura, la meta della maturità psicologica non mi sarà preclusa.
«La mia vita non è stata tutta zucchero e caramelle. Dando un’occhiata retrospettiva al mio faticoso cammino, oltre
a soffrire per questioni di cuore ho avuto anche problemi
con la sessualità, in quanto non ho mai avuto un rapporto fluido con gli uomini. Non sono mai riuscita a stabilire con loro quella complicità e “alleanza” erotica che permette di assaporare le tenerezze del preludio, le sfumature
di un rapporto intimo e la sintonia del postludio. Il mio
coinvolgimento è sempre stato tiepido, per la scarsa passione e la ridotta intimità. Forse per questa ragione le mie
relazioni sono state particolarmente epidermiche e si sono
esaurite in tempi brevi. E poiché il traguardo non era la
procreazione e nemmeno il piacere, mi chiedo perché sono
stata con tanti uomini…»
Le motivazioni sono state l’affermazione di sé e una verifica della propria femminilità, per dimostrare a se stessa di essere una «vera donna». E anche se Laura si presenta ai partner come disponibile a dare piacere, nella realtà
non mantiene quanto promesso perché controlla sentimenti, emozioni e sensazioni. Manda cioè l’uomo «su di
giri» eccitandolo sessualmente, ma poi gli inibisce il piacere con un comportamento quasi da frigida.6 A volte interrompe persino il preludio, disorientando colui che ha subìto la sua corte sessuale.
Se, infatti, la libido oggettuale è una forza centrifuga che
parte dal soggetto per raggiungere l’oggetto, quella narcisistica è una forza centripeta che rimane nel soggetto stesso. Nell’individuo normale queste due forze sono in stret-
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to equilibrio, e lo scambio che avviene tra loro porta alla
gratificazione di entrambi i partner; Laura, invece, che ha
bisogno di conquistare per possedere, lamenta disturbi del
piacere e, anche se raggiunge l’orgasmo, non erotizza totalmente il partner. Se questi poi ne soffre, non gliene importa, anzi, gode perfino per aver messo in crisi l’onnipotenza virile.
Oltre all’incapacità di comunicare affettivamente e sessualmente, la narcisa ha difficoltà a relazionarsi con gli
altri, poiché riduce tutto alla propria centralità. È quindi
più portata al dileggio che all’autoironia, all’egoismo che
all’oblatività. Laura presenta infatti un adattamento interpersonale soltanto apparente, ma con gravi distorsioni nel
socializzare. Nei rapporti con i colleghi manifesta intensa ambizione, sete di ammirazione e desiderio inesausto
di prevaricare. Le è quindi impossibile stabilire relazioni
nel segno della reciprocità; soprattutto, è incapace di voler loro bene a causa di un iperinvestimento sul proprio Sé
e di una sua ipervalutazione. È una donna insopportabile
che, quando una scena riesce bene per merito di un collega, dice: «Siamo stati bravi», mentre, se è lei ad aver recitato bene, afferma: «Sono stata brava».
A livello relazionale l’iperinvestimento sul Sé porta a un
ipoinvestimento sugli altri; ne deriva un’assenza di sintonia e di empatia. Con fatica, infatti, Laura sopporta i componenti della compagnia teatrale, facendo vita solitaria durante le tournée per l’Italia.
La paziente è sempre stata malata di protagonismo e chi
le è vicino non può che ripiegare su un ruolo forzatamente passivo. La sua è dunque una collaborazione opportunistica e manipolatrice, dove la troupe viene utilizzata
per un fine calcolato e un tempo determinato. Per questo
la sua pseudorelazione con gli attori termina alla conclusione della tournée. Anche sul versante amicale il suo destino è la solitudine.
Le cause che hanno portato Laura al narcisismo nevrotico7 risalgono all’infanzia, come racconta lei stessa: «Per
mia madre non ero un essere prezioso, ma soltanto un ri-
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fugio per la sua vulnerabile insicurezza e uno scudo contro gli altri. A volte mi sentivo usata per soddisfare i suoi
bisogni e fantasticavo di liberarmi di lei, ma subito me ne
colpevolizzavo con sensazioni di paura e di castigo. Certamente mi ha voluto bene solo perché esistevo, perché
ero nata. Non ha mai pensato che, procreandomi, aveva
messo­nei guai un’altra persona. Ora pretende di diventare anzia­na senza invecchiare, e continua a sbagliare i dosaggi: parla troppo, gesticola troppo, è troppo ansiosa e
agitata. È tutta un’overdose.
«Mio padre ha sempre dato a tutti, eccetto che in famiglia, per ricevere ammirazione, lodi e gloria, ma è sempre
stato un inetto, senza spina dorsale e senza una chiara e dignitosa linea di comportamento. In casa, al contrario, era
un prepotente che si serviva di noi per scaricare le sue frustrazioni. Io, purtroppo, non possedevo una natura “elastica”, per cui soccombevo alla sua arroganza. Fantasticavo
strategie di indipendenza ma, volendo studiare, non potevo autonomizzarmi da due genitori che scambiavano il
mio sano desiderio di emancipazione per ostilità, negandomi affetto e appoggio. Soltanto da qualche anno ributto loro in faccia, una per una, tutte le loro mancanze…»
A causa del carente affetto e dell’indifferenza dei genitori
alle sue infantili richieste, Laura ha sviluppato un profondo senso di inadeguatezza, accentuando la tendenza verso
il ritiro egocentrico come autodifesa. Non ha quindi potuto strutturarsi interiormente in modo da opporsi e reagire
con coraggio ed equilibrio alle difficoltà della vita. È una
persona che ha passato l’esistenza concentrata sui propri
bisogni, che ha pensato soltanto a se stessa e al proprio interesse, che usa continuamente il pronome «io» per enfatizzare i propri pregi. Il suo è stato un cammino da persona a personaggio ed è bravissima a sponsorizzarsi, a fare
la promoter di se stessa, a battersi il tam-tam personale.
Purtroppo, l’immagine di un Io grandioso ha compensato un Sé povero, poiché il senso di superiorità coesiste
sempre con quello d’inferiorità, e certe fantasie di grandezza le sono necessarie per neutralizzare l’angoscia profonda
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di non valere, per rassicurare il proprio senso di fragilità e
di inabilità che le procura emozioni interne di dubbio, di
panico, di fuga. Anche da adulta la paziente è infatti vittima di insicurezze, mascherate da una falsa sicurezza. I
problemi di relazione con i genitori, specie con la madre,
l’hanno portata a ricercare gli applausi e il successo per
tentare di cicatrizzare quelle ferite lontane, per compensare la sua disistima profonda. La stessa scelta di fare l’attrice è stata la conseguenza del bisogno di sedurre per ricevere calore e affetto.
L’unica cura, per Laura, è la psicoterapia, non certo i farmaci. Il lavoro d’analisi ha come meta il superamento del
narcisismo infantile e quindi dell’egoismo, compito non facile poiché la persona narcisistica ha difficoltà di introspezione e di autocritica, e soltanto un grave insuccesso o una
crisi depressiva possono farle sentire la necessità di curarsi.
Durante la psicoterapia, poi, non è facile che Laura viva un
transfert positivo, poiché spesso non si fida del terapeuta
a causa delle frustrazioni subite da bambina. Tuttavia, l’Io
ausiliario dell’analista le fornisce, oltre alle interpretazioni,
un supporto che le permette di «ritornare» a quelle fasi del
periodo evolutivo che da piccola ha vissuto in modo inadeguato. Di conseguenza, la paziente recupera, o stabilisce per la prima volta, il contatto con se stessa, con le proprie emozioni, al di là della facciata costruita all’esterno.
Dopo mesi di analisi Laura ha smussato quella personalità istrionica che manifestava con atteggiamenti teatrali
(faceva scena sempre e dovunque) e in modo plateale. Inizia a parlare senza recitare, a comunicare in modo sintonico: «Proseguo la mia ricerca interiore con due sedute settimanali. L’analisi è un percorso di consapevolezza, porta
luce nel buio. Il lavoro dell’analista mi ricorda la funzione
di Virgilio nei confronti di Dante, l’incontro tra un visitatore e l’abitante di un mondo pauroso, pieno d’incognite.
Malgrado le mie riserve nell’abbandonarmi, nel raccontare me stessa, credo di essermi quasi lasciata alle spalle le
ombre del passato e di aver acquisito la capacità di impegnarmi per la mia crescita.
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