1. ANTICHI E MODERNI. LA NASCITA DELLA «NUOVA» POLITICA
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1. ANTICHI E MODERNI. LA NASCITA DELLA «NUOVA» POLITICA
1. ANTICHI E MODERNI. LA NASCITA DELLA «NUOVA» POLITICA SOMMARIO: 1. Nascita dell’arte politica. Il mito di Protagora. – 2. Le idee di Callicle. – 3. Sofistica e politica. – 4. La «nuova politi ca». Le idee di Trasimaco. I. I termini «politica», «politico», e gli altri di significato affine, derivano etimologicamente dal termine greco «polis», vale a dire «città-stato». Con esso s’intende «lo stato dei politi», cioè lo stato dei cittadini liberi e uguali. Ma non si tratta solo d’una derivazione etimologica: anche il significato che noi oggi diamo al termine «stato» si collega strettamente al termine e al concetto di «città-stato» (polis). Se anche per noi oggi dire organizzazione politica è lo stesso che dire organizzazione statale, è appunto perché noi abbiamo ereditato il linguaggio dei Greci del VI e V e IV sec. a.C., per cui stato e città si identificavano. La città forniva l’esercito per la difesa, i magistrati e gli impiegati per l’amministrazione, i sacerdoti per i templi, i denari per la finanza. Fosse il governo monarchico, aristocratico o democratico, questi elementi essenziali per lo stato non variavano. La storia greca è per ciò nel complessostoria di città che sapevano di appartenere a una stirpe e a una civiltà comune. Tra queste città, due assunsero una importanza non paragonabile a quella delle altre: e non solo per potenza e per ricchezza, ma per valore ideale. In queste due città – Sparta e Atene – erano infatti rappresentati nel modo più rigoroso il sistema oligarchico (o aristocratico) di governo e quello democratico (l’Atene 10 Storia e ragione politica. Tra antico e moderno «scuola dell’Ellade», l’elogio della democrazia ateniese che lo storico Tucidide fa dire a Pericle, il maggiore uomo di stato del suo tempo). Tutti gli altri stati greci, secondo che aspiravano a darsi forme di governo rispettivamente oligarchiche o democratiche, guardavano a uno di questi due stati, ne invocavano l’aiuto e ne imitavano le istituzioni. Strettamente legata alla città-stato e alla sua storia è la riflessione sull’arte politica, che a partire dalla seconda metà del sec. V, particolarmente in Atene, costituisce il motivo centrale d’un intenso e serrato dibattito culturale. La ragione è chiara. Nel periodo che va dalla fine delle guerre persiane (480/479 a.C.) all’inizio della guerra del Peloponneso (413 a.C.), la potenza economica, militare e l’influenza politica di Atene crebbero in misura cospicua. S’accrebbe così in proporzione l’esigenza delle classi e dei gruppi fino ad allora «subalterni» di partecipare in modo diretto alle decisioni riguardanti il governo della città. Tale diffusa esigenza di partecipazione politica aveva necessità d’un adeguato sostegno culturale, che i criteri etico-politici tradizionali e la scala di valori cui questi s’inspiravano non potevano più soddisfare. Alle attese di un’opinione pubblica ansiosa di novità e insofferente del passato veniva incontro quel movimento di pensiero e di cultura noto correntemente col nome di Sofistica. È stato più volte riconosciuto che nella Sofistica non si deve vedere una scuola filosofica uniforme e coerente, ma che piuttosto sia meglio accogliere l’opinione, molto diffusa nell’antichità, che considerava «Sofisti» coloro che a quel tempo andavano da una città all’altra della Grecia per inse gnarvi pubblicamente la loro «sapienza» ( sophìa) dietro compenso. Il contenuto di tale sapienza variava secondo gli inse gnanti di essa; tuttavia i Sofisti, senza eccezione, si dichiaravano maestri di «virtù» (areté), sostenendo d’impartire ai loro discepoli un insegnamento rivolto a finalità ch’erano insieme individuali e sociali. Al centro del loro insegnamento i Sofisti mettevano l’uomo e quello ch’è il suo peculiare strumento, il linguaggio, che è pensiero che s’esprime in parole. Il pensiero espresso in «aeree parole» e «l’impulso a ordinarsi in città» nascono dalla stessa radice, sono opera dell’uomo, sono una sua Antichi e moderni. La nascita della «nuova» politica 11 creazione. Così afferma uno dei grandi tragici, Sofocle, nell’Antigone, la tragedia rappresentata in Atene probabilmente nel 441 a.C. Retorica e politica, discorso umano e arte politica o arte di governo, così nascevano insieme. T anto Sofocle quanto Protagora di Abdera, l’esponente maggiore della prima Sofistica, che per la prima volta fu ad Atene, e si legò d’amicizia con Pericle, nel 444 circa, decisamente puntano sul significato delle «arti» (téchnai) e sul motivo che quelle stesse arti resterebbero svuotate senza l’ arte politica. È quest’arte infatti che rende possibile il rapporto umano, il discorso umano, che è pensiero appunto esprimentesi in «aeree parole». Un altro rappresen tante della prima Sofistica, Gorgia da Leontini, che per la prima volta fu in Atene nel 427 a.C., fa l’elogio dellaparola in questi termini: «Gran dominatore è la parola, che con piccolissimo corpo e invisibilissimo riesce a compiere divinissime cose». L’attività dei Sofisti, il loro particolare insegnamento, incontravano – ed è comprensibile – non poche difficoltà e diffidenze nei detentori del potere, cui non sfuggiva la pericolosità delle idee da essi sostenute. Se essi avevano successo presso un’opinione pubblica di ventata più aperta e disponibile alle nuove idee, non mancarono certo l’opposizione e l’ostilità di parte conservatrice. Ciononostante, Protagora poteva apertamente dichiararsi in pubblico «sofista e educatore di uomini» senza più bisogno di na scondere la sua attività. Si trattava di un importante segno di cambiamento. Non è senza significato, infatti, che Protagora accetti di rispondere in pubblico alle domande che Socrate intende rivolgergli a proposito del suo insegnamento. Ciò ch’egli intende insegnare è l’ arte politica, la più utile di tutte le arti, quella che rende i cittadini migliori. Essa consiste «nel sapersi condurre con senno, tanto nelle faccende domestiche (…) quanto in quelle pubbliche, sì da essere perfettamente capace di trattare e discutere le cose della Città …» ( Protagora 318d319a). Il dialogo poi continua, e Socrate mette in dubbio che la «virtù» politica possa essere insegnata, portando ad esempio il caso che gli uomini di stato più eminenti appaiono incapaci di trasmettere la loro arte ai loro figli. Protagora allora propone di 12 Storia e ragione politica. Tra antico e moderno spiegare la cosa ricorrendo ad un mito. Torneremo più avanti su questo punto. Intanto il passo era fatto: l’arte politica, frutto del pensiero e dell’attività dell’uomo, era nata e con essa era nato quell’umanesimo che segnò, com’è noto, una svolta rispetto al pensiero precedente. Molti problemi appariranno trattati dalla Sofistica in modo non soddisfacente. Ma resterà il merito dei Sofisti di aver concesso all’uomo – com’è stato detto – vita, parola, pensiero umani. Così s’esprime M. Untersteiner , uno dei maggiori e più acuti studiosi della Sofistica 1. 1. Nascita dell’arte politica. Il mito di Protagora Il sapiente deve, con la sua arte, persuadere i più a considerare migliori quelle opinioni che più s’accordano con la natura umana, ossia con la condizione normale dell’uomo sano di corpo e di mente, respingendo quelle nocive. Così l’arte medica risana i corpi, così il contadino, l’agricoltore, salvaguarda quelle buone e utili, mentre strappa le erbe dannose alla pianta e alla sua salute. Sulla stessa linea, anche se di gran lunga più importante delle altre arti o tecniche, è l’arte politica. I sapienti e i perfetti oratori fanno in modo che dalle città e dai cittadini siano considerati giusti e preferibili, migliori cioè, quegli indirizzi politici che giovano alla vita comune in luogo di quelli dannosi. Almeno secondo le interpretazioni più recenti, questo dovrebbe essere il significato della celebre affermazione di Protagora dell’ uomo misura di tutte le cose , di quelle «che sono, per quel che sono, di quelle che non sono, per quel che non sono». In altri termini, in contrasto con la interpretazione tradizionale soggettivistica o relativistica, s’è avanzata l’ipotesi che l’uomo di Protagora non possa essere il singolo individuo ma l’uomo in generale, e che quindi la natura umana – e non l’uomo nella sua soggettività immediata – sia la vera misura delle cose. È questo un pun- 1 Cfr. M. UNTERSTEINER, I Sofisti, Torino 1949, p. 6. Antichi e moderni. La nascita della «nuova» politica 13 to di capitale importanza per l’approfondimento della dottrina di Protagora, particolarmente in rapporto alla sua concezione della politica. Secondo lo stesso principio, anche il Sofista, che si dichiara maestro di politica e che ha la capacità d’indirizzare in questo senso chi viene educato da lui, merita d’essere considerato sapiente dai suoi discepoli e d’essere compensato per il suo insegnamento. Tra i sapienti capaci di trasformare le opinioni correnti in altre migliori, capaci cioè di discriminare le une dalle altre, s’instaura una specie di parentela ideale ché tutti, medico, agricoltore, sofista operano secondo uno stesso principio, ossia nell’interesse della collettività. Essi costituiscono un insieme d’individui, appartenenti ad una determinata categoria, che si trovano uniti dal fatto che le loro conoscenze a proposito d’una certa esperienza finiscono col coincidere. Gli aspetti in cui tutti s’accordano, si risolvono nella conoscenza migliore rispetto alle altre, ossia in qualcosa di relativamente universale rispetto alle altre particolari; su quegli aspetti in cui al contrario tale accordo manca, prevale il fatto elementare dell’esperienza immediata e grezza di ciascuno, ossia di qualcosa che contrasta con le esigenze della collettività e della generalità. Dunque solo l’uomo collettivo, l’uomo in generale, il tipo d’uomo che diciamo normale, è in grado di perfezionare la conoscenza delle singole esperienze nell’interesse dell’individuo. Va detto però che tale generalizzazione dell’elemento soggettivo va inteso non come punto di partenza, bensì come la meta finale del pensiero di Protagora. La necessità di porre un limite all’estrema mutevolezza dei dati sensibili, senza di che l’uomo non potrebbe neppure vivere, avendo comunque bisogno di qualche valore anche fittiziamente stabile, fa sì che Protagora ricorra alla «convenzione» tra gli uomini, al reciproco accordo, per dare una certa stabilità al fluire delle sensazioni, delimitando così una certa zona, un certo ambito abbastanza immune dal loro influsso, dove essi possano accordarsi e intendersi. Tutta l’importanza di questo principio di Protagora si può saggiare, anzitutto, mediante l’analisi del celebre mito attribuito al Sofista nel Protagora platonico (320d-322d). Il mito filosofico di Protagora è modellato nella materia 14 Storia e ragione politica. Tra antico e moderno drammatica e appassionante costituita dalla storia della civiltà umana. Questa veniva concepita dai Greci ora in senso pessimistico, quando l’umanità era raffigurata nel suo decadere da una felice età primitiva nella tristezza dei tempi presenti; ora secondo una visione ottimistica, che ricostruiva un progresso da un originario «stato ferino» degli uomini, verso sempre nuove conquiste materiali e spirituali della civiltà. Protagora entro tutto questo fermento di opposte concezioni vuole creare una sintesi, che gli era suggerita dalla sua concezione della conoscenza (gnoseologia) e che a questa offriva in qualche modo la confer ma tratta dalla storia e dalla preistoria. Ne venne fuori una rappresentazione ottimistica dell’evoluzione dell’umanità, che muove da uno stato primitivo per salire all’organizzazione ra zionale della vita umana. L’importanza del mito di Protagora consiste soprattutto nel suo substrato filosofico, che dà un senso alla storia generale della civiltà – e come si vedrà più innanzi –alle singole manifestazioni di essa. Consideriamo ora il contenuto di questo mito. Quando giunse il momento, in cui dovevano essere create le stirpi mor tali – così ha inizio il racconto di Protagora – gli dèi che già esistevano, le plasmarono nel seno della terra. Si tratta del concetto antichissimo della terra concepita come grembo materno di tutti gli organismi mediante una mescolanza di terra e di fuoco e di tutti gli elementi che si combinano col fuoco e con la terra. Ma nell’atto in cui stavano per portare alla luce quelle stirpi, gli dèi ordinarono a Prometeo e ad Epimeteo di distribuire a cia scuno facoltà naturali in modo conveniente affinché potessero sopravvivere. Epimeteo rivendicò a sé la cura della distribuzio ne, mentre a Prometeo spettò il controllo. Dopo che Epimeteo ebbe svolto il suo compito, preoccu pandosi di salvaguardare l’equilibrio tra le diverse specie, s’accorse d’essere incorso in una grave, quanto imbarazzante, di menticanza. Poiché egli mancava d’una compiuta sapienza, aveva consumato, senza accorgersene, tutte le facoltà e le risorse naturali in favore degli esseri privi di ragione, lasciando fuori l’uomo. Sopraggiunse allora Prometeo a controllare la distribuzione e notò che mentre tutti gli altri esseri viventi disponevano Antichi e moderni. La nascita della «nuova» politica 15 in misura sufficiente del necessario per sopravvivere, l’uomo, al contrario, appariva nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi per difendersi. Intanto s’avvicinava il giorno fatale in cui anche l’uomo sarebbe uscito dalla terra alla luce. Se si voleva che la stirpe umana potesse sopravvivere, non restava che il ricorso a mezzi straordinari. È ciò che fece Prome teo, decidendo di carpire a Efesto, il dio artefice, e ad Atena, la dea della sapienza, insieme col fuoco la «scienza tecnica», il sa pere utile, facendone dono agli uomini. L’uomo dunque venne in possesso, col favore divino, della scienza della vita, ma non aveva ancora la scienza politica. Questa era fuori dalla sua portata, in un mondo dove neppure Prometeo poteva giungere. Protagora è stato verosimilmente il primo a descrivere con ricchezza di particolari lo stato di natura dell’uomo, prima che si costituissero associazioni e «città» stabili e durevoli. Proba bilmente Platone si servì nel Protagora dello scritto di lui, an dato perduto come le altre sue opere, Sulla condizione primitiva dell’uomo. Comunque, le idee di Protagora hanno avuto larga influenza sul pensiero etico-politico dei secoli successivi, ogni volta che s’è posto il problema di spiegare l’origine della società e dello stato. L’invenzione delle arti e delle scienze fu possibile all’uomo perché «fu partecipe di sorte divina ( teìa moira)», innanzi tutto «per la sua parentela con la divinità, unico fra gli esseri viventi, credette negli dèi e si dette ad erigere altari e sacre statue». Ottenute così originali attitudini naturali, l’uomo potè imparare ad usare il linguaggio, «articolò ben presto la voce in parole», a costruirsi case, a procurarsi vesti, calzari, cibo, insomma tutte le agiatezze della vita. Ma gli uomini, poiché vivevano sparsi, senza dimore stabili, erano esposti agli attacchi delle fiere; e, poi, quando per evitare questo rischio si riunirono in «città» o associazioni stabili, per mancanza dell’arte politica, si offendevano reciprocamente, cosicché, di nuovo dispersi, correvano pericolo di venire annientati. È «la guerra di tutti contro tutti» (hellum omnium contra omnes), la rappresentazione dello stato di natura dell’uomo, che sarà ripresa, con le varianti suggerite dalle diverse condizioni storiche e culturali, dai «moderni», Hobbes, G.B. Vico, Rousseau. 16 Storia e ragione politica. Tra antico e moderno Tornando a Protagora, ha inizio a questo punto la seconda parte del mito, quella decisiva, contrassegnata dal particolare intervento di Zeus, il padre degli dèi, preoccupato per le sorti umane. Egli mandò sulla terra Hermes, il suo messaggero, perché portasse tra gli uomini il «pudore» (aidòs), ossia il rispetto per gli altri, e «il senso di giustizia» ( dìche), affinché fossero principi ordinatori e legami che stringessero solidarietà non effimere. Essi hanno, dunque, un’origine divina. E aggiunse – punto importante – che la distribuzione fosse fatta in modo che ciascuno possedesse parte uguale di «pudore» e «di senso del giusto». Alla domanda di Hermes se la distribuzione andava fatta, questa volta, in modo simile alle altre arti, il padre degli dèi, che simboleggia l’idea – presente già in Omero – che la difesa della società è affidata alla provvidenza divina, così precisò il suo pensiero. Se le arti furono distribuite in modo cheuno solo che possegga l’arte medica, ad esempio, basta per molti profani, e lo stesso vale per ogni altra arte o professione, «pudore» e «senso di giustizia» debbono essere distribuiti a tutti, sono, in altre parole, innati in ciascuno. Le «città», gli stati, non potrebbero esistere «se solo pochi possedessero pudore e senso di giustizia, come avviene per le altre arti. Istituisci, dunque – ingiunge Zeus al suo messaggero tra gli uomini – a nome mio, una legge (nomos) per la quale sia messo a morte come peste della città chi non abbia la capacità di avere in sé pudore e senso di giustizia» (322a-d). Così termina il racconto. L’atteggiamento di Protagora, che si serve del mito per esporre il proprio pensiero, deve esser considerato una novità per i Greci e le loro tradizioni culturali. Fino all’età della Sofistica, infatti, lo sforzo della speculazione filosofica aveva scoperto via via con sempre maggiore chiarezza il lògos, il motivo razionale, che sta alla base del mito e serve a illuminarlo e a completarlo. Tale processo di razionalizzazione sempre più intenso culminò nella tragedia attica, il genere letterario cui era riuscito come mai in precedenza di scorgere nel fondo del mito le più antitetiche possibilità filosofiche. Ora – com’è stato messo in luce dallo stesso studioso del movimento sofistico – «s’inizia un movimento inverso in quanto il pensiero permea di sé compiuta - Antichi e moderni. La nascita della «nuova» politica 17 mente il mito, la raffigurazione fantastica degli eventi e delle cose, affinché si presti a diventare ricettacolo delle proprie forme». Al mito – osserva ancora Untersteiner – tocca lasciarsi plasmare da quel pensiero, che, per il passato, aveva dovuto riconoscerlo come suo collaboratore e come filtro 2. Il mito è ormai avviato, in quest’opera non a caso definita dell’illuminismo greco, a diventare forma esterna, involucro, del pensiero . Così anche i pensatori, che appartengono a quest’epoca di rinnovamento spirituale, ricorrono al mito. In particolare, la Sofistica rappresenta un tentativo di sintesi ideale, in quanto vuole fissare i capisaldi della realtà umana, isolata dal mondo della natura, che originariamente la condizionava. Pure il mito deve perciò corrispondere a questo mutato atteggiamento che – partendo dalle esperienze del passato – si propone di creare un’idea nuova. Il racconto di Protagora rientra in questo nuovo modo d’interpretare la funzione tradizio nale del mito, segnando ancora un passo avanti sulla via della razionalizzazione del suo contenuto, in questo caso dell’arte politica. Questa infatti, mediante la forza dominatrice, nell’ordine, di «pudore» (aidòs) e di senso di giustizia (dìche) giunge a conseguire una più profonda e più vasta conoscenza pratica del mondo umano. Così gli uomini, diversi naturalmente tra loro, vengono trasformati dall’uniforme distribuzione di «pudore» (aidòs) e senso di giustizia (dìche), sì da rendere possibile la vita in comune. Sul significato di questo mito, sul suo rapporto col pensiero di Protagora, s’è molto discusso da parte degli studiosi. Particolarmente convincente appare l’opinione di chi vi vede, in forma storica e sotto il travestimento fantastico, la traduzione delle due costruttive proposizioni di Protagora. Con «il sapere tecnico» ( éntechnos sophìa) viene raffigurata l’idea individualistica dell’uomo-misura, il quale conquista con le sue sole forze il dominio personale sull’esperienza, o meglio su una parte limitata di essa. 2 Cfr. ancora M. UNTERSTEINER, I Sofisti, cit., pp. 76-77. 18 Storia e ragione politica. Tra antico e moderno Invece «l’arte politica» ( politiché sophìa) costituisce il discorso più forte che riesce a dominare quello debole, che era proprio del sapere precedente. Tale superiorità dell’«arte politica» sulle altre arti è espressa, nel mito, mediante il particolare che essa è dono di Zeus. Ma la superiorità dell’«arte politica» s’esprime, in termini razionali, con l’estensione del concetto di «sensazione» (aìstesis) – ogni conoscenza, per Protagora, è sensazione – ai concetti di «pudore» ( aidòs) e di «senso di giustizia» (dìche). Nell’opera La Verità, andata perduta, Protagora esponeva verosimilmente la sua dottrina della conoscenza. Essa ci è nota nelle sue linee essenziali da quanto Platone fa dire al Sofista nel Teeteto, anche se non è affatto certo che essa ri sponda pienamente alle idee di lui. Intendendo chiarire il principio dell’uomo-misura rispetto alle critiche che gli vengono rivolte, Protagora esclude che, in tal modo, egli voglia negare l’esistenza della «sapienza e dell’uomo sapiente». Sapiente, a suo giudizio, può dirsi colui che faccia in modo, coi discorsi, di fare apparire a ciascuno buone quelle cose che gli appaiono e sono cattive. All’ammalato il cibo appare, ed è effettivamente, amaro, e al sano, invece, è ed appare il contrario. Né l’uno né l’altro dei due – argomenta Protagora – è, dunque, da ritenersi più sapiente – ché non sarebbe possibile – né si deve accusare d’ignoranza l’altro perché tale è la sua opinione: si deve, invece, trasformare il primo atteggiamento nel secondo, perché il secondo è migliore (Teet. 167a). Analogamente nell’educazione si deve trasformare una certa disposizione in altra migliore: solo che il medico trasforma con le medicine, il sofista coi discorsi. Non si può certo ammettere che si passi indifferentemente dal falso al vero: non è possibile, infatti, avere un’opinione su quel che non è, né su altro all’infuori di quel che si avverte coi sensi . La conoscenza è pur sempre sensazione. Ma Protagora ritiene che se una condizione d’animo inferiore fa pensare cose dello stesso genere, una retta disposizione farà pensare cose diverse da quelle e ad essa conformi. C’è chi, per irriflessione, chiama vere queste rappresentazioni: Protagora, dal canto suo, si limita a dire «le une migliori delle altre, ma niente affatto più vere». Vero è dunque ciò che appare, ed è tale per ciascuno di noi, fin- Antichi e moderni. La nascita della «nuova» politica 19 ché tale lo ritiene. Ciò che il sapiente può fare è d’indurre a pre ferire l’opinione che le cose giuste e oneste siano da anteporre a quelle ingiuste e dannose. Ricorrendo ancora una volta al raffronto con l’arte medica e con quella dell’agricoltore esperto che cerca, con i mezzi più opportuni, d’inserire nelle piante – come il medico nei corpi – utili e sane sensazioni in luogo di quelle dannose e nocive, Protagora afferma che i sapienti e i valenti oratori fanno sì, con la loro arte, che s’ingeneri nelle città la convinzione che giuste sono le cose oneste di contro a quelle disoneste. Al relativismo e allo scetticismo in sede teorica, Protagora farebbe così corrispondere, in sede etico-politica, il riconoscimento dei valori e delle virtù tradizionali. È vero infatti – ribadisce Protagora – che quel che ogni città ritiene giusto e bello, tale è per essa finché lo reputa tale. Ma il sapiente di contro a singole cose dannose per i cittadini fa in modo, con la sua arte, che siano e appaiono quelle utili. Pur tenendo fermo il principio gnoseologico della relatività delle sensazioni e del loro perenne trascorrere l’una nell’altra sempre diverse, Protagora sembra ammettere, ch’esse possano essere generalizzate fino a formare associazioni relativamente stabili e durevoli. Particolarmente interessanti per il nostro tema sono le ap plicazioni di tale dottrina all’ambito etico-politico. Il diritto (Nomos) ha il suo fondamento nel volere dei popoli – afferma Protagora – nelle prescrizioni dei capi, nelle sentenze dei giu dici: esso trova l’approvazione per mezzo del voto o del decreto popolare. Tanto grande è il potere delle votazioni e delle manifestazioni di volontà della moltitudine che la natura muta in seguito a un voto. La legge potrebbe trasformare in giusto ciò che è ingiusto. Ciò che è bene e ciò che è male dipende dal l’opinione, dal convincimento di ciascuno: così, escluso che giusto e ingiusto siano tali per natura ( physis), l’opinione, le convinzioni della comunità sono vere nell’atto stesso in cui diventano patrimonio collettivo e per tutto il tempo in cui restano tali (Teet. 172b). I sensi, infatti, non possono ingannarci – Protagora li considera per natura infallibili. La varietà delle opinioni e le opposte vedute degli uomini sono invece sogget- 20 Storia e ragione politica. Tra antico e moderno te al mutamento e al fluire dell’immaginazione. Protagora af ferma così la superiorità della legge sulla natura , anche se non esiste in lui vero contrasto tra nomos e physis: il primo limita l’altra. La legge viene così a conquistarsi una sua validità pra tica in contrapposizione alla pura natura, «considerata come una selvaggia e immorale condizione di vita» (Prot. 327a-d). Ai dubbi di Socrate sulla insegnabilità della virtù – si ricordino gli esordi del Protagora platonico – il Sofista può rispondere tes sendo l’elogio dell’educazione ( paideìa) e mettendo il suo interlocutore a cospetto dell’alternativa tra gli uomini, pure in giusti, ma comunque sottoposti alle leggi, e quelli che vivono nello stato di natura, senza educazione, né tribunali, né leggi, né coazione alcuna che li spinga alla virtù, per quanto sia possibile agli uomini. Per il punto d’equilibrio, costantemente ricercato, tra «na tura» e «legge», physis e nomos, Protagora viene chiamato l’uomo del Nomos. Ma se questa è la linea di pensiero svolta dal Sofista di Abdera, tipico rappresentante della cultura e del pen siero dell’età di Pericle, altri contrastanti indirizzi s’affermano in seno alla Sofistica. Interlocutori nel Protagora figurano anche altri due esponenti di tale indirizzo, Prodico e Ippia, che intervengono nel dibattito tra Protagora e Socrate. Sebbene i loro rispettivi interventi siano in sostanza interlocutori, si delineano soprattutto in quello di Ippia linee di pensiero divergenti rispetto a Protagora. In particolare, Ippia fa l’elogio della Natura e definisce la Legge «tiranna degli uomini» (337d), in quanto li costringerebbe a sottostare alle «convenzioni», agli «usi», alle «istituzioni umane», che vincolerebbero la loro li bertà naturale. Qualcuno ha anche voluto vedere nel passo in cui Protagora sottolinea il valore formativo dell’educazione (paideìa) una critica dell’esaltazione della natura propria di Ippia. L’opposizione tra la «legge» e la «natura», tra nomos e physis è notoriamente famigliare alla Sofistica e ai suoi diversi esponenti e può prestarsi, in effetti, agli sviluppi più vari e contrastanti.