Nuovi Movimenti Religiosi
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Nuovi Movimenti Religiosi
Sommario EDITORIALE di L. Meddi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 DOSSIER La ministerialità della Chiesa via della missione di Sandra Mazzolini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Ministeri “missionari”. Per una orientazione teologica di Gianni Colzani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 Presbitero e missione di Fernando Domingues, mccj . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 Ministeri laici: una prospettiva missionaria di Vito del Prete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 Il contributo dei movimenti ecclesiali alla missione nel XX secolo di Fidel González Fernández mccj . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 SPECIALE Sette e nuovi fenomeni religiosi. Cosa caratterizza sociologicamente una setta o movimento religioso di Luca Pandolfi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 Nuovi Movimenti Religiosi di Jesus Angel Barreda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 Quali atteggiamenti e comportamenti nella pastorale? di Paul Steffen. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 PERCORSI BIBLIOGRAFICI Ecumenismo di Adele Scarnera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 SUSSIDI MISSIONARI Dati statistici e sfide per la missione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 Città del Vaticano In data 20 maggio 2006 il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato Arcivescovo Metropolita di Napoli (Italia) l’Eminentissimo Card. Crescenzio Sepe, finora Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. […] e ha nominato Prefetto della medesima congregazione l’Eminentissimo Card. Ivan Dias, Arcivescovo di Bombay (India). Al card. C. Sepe un grato ringraziamento per la guida svolta in questi anni e al card. I. Diaz un benvenuto caloroso. Il Cardinale Ivan Dias, Arcivescovo di Bombay (India), è nato a Mumbai il 14 aprile 1936. È stato ordinato sacerdote a Bombay l’8 dicembre 1958. Ha studiato presso la Pontificia Accademia Ecclesiastica a Roma (1961-1964). Si è laureato in Diritto Canonico nel 1964 presso la Pontificia Università Lateranense a Roma. Nel 1964 ha lavorato presso la Segreteria di Stato per preparare la visita di Papa Paolo VI a Bombay in occasione del Congresso Eucaristico Internazionale. Tra il 1965 e il 1973 è stato Segretario presso le Nunziature Apostoliche in Danimarca, Svezia, Norvegia, Islanda, Finlandia, Indonesia, Madagascar, Isola della Riunione, Isole Comore, Mauritius. Tra il 1973 e il 1982 è stato Capo Sezione presso la Segreteria di Stato per l’Unione Sovietica, gli Stati Baltici, Bielorussia, Ucraina, Polonia, Bulgaria, Cina, Viet Nâm, Laos, Cambogia, Sudafrica, Namibia, Lesotho, Swaziland, Zimbabwe, Etiopia, Rwanda, Burundi, Uganda, Zambia, Kenya, Tanzania. L’8 maggio 1982 è stato nominato Arcivescovo titolare di Rusubisir e Pro-Nunzio Apostolico in Ghana, Togo e Benin (1982- 1987). Il 19 giugno dello stesso anno ha ricevuto l’ordinazione episcopale nella Basilica di San Pietro. Tra il 1987 e il 1991 è stato Pro-Nunzio Apostolico nella Corea del Sud. Dal 1991 al 1997 Nunzio Apostolico in Albania. L’8 novembre 1996 è stato nominato Arcivescovo di Bombay e il successivo 13 marzo ha preso possesso della diocesi. È stato Presidente Delegato alla 10ª Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2001). È stato creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 21 febbraio 2001, del Titolo dello Spirito Santo alla Ferratella, da Giovanni Paolo II. È Membro delle Congregazioni: per la Dottrina della Fede; per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti; per l’Educazione Cattolica; dei Pontifici Consigli: della Cultura; per i Laici; della Pontificia Commissione per i Beni culturali della Chiesa; della Prefettura per gli Affari Economici della Santa Sede; del Consiglio di Cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede. (S.L.) (Agenzia Fides 20/5/2006) 2 Editoriale di Luciano MEDDI Questo numero della rivista è dedicato a due ricerche che hanno appassionato recentemente la vita del nostro Istituto. *** 3 editoriale Il primo tema è l’analisi dei ministeri per la missione. Anche se in modo incompleto la rivista ha voluto indagare alcuni aspetti di questa tematica così determinante per il futuro della missione. Abbiamo voluto mettere l’accento su alcuni aspetti. In primo luogo abbiamo focalizzato il tema riflettendo sulla natura ministeriale della missione. La comune responsabilità verso l’annuncio porta con sé una rilettura della ministerialità della chiesa come sfondo per la comprensione dei ministeri adatti alla missione. S. Mazzolini offre alcuni punti di partenza di natura ecclesiologica. L’affermazione che la Chiesa è per sua natura è essenzialmente missionaria porta naturalmente alla affermazione che l’annuncio del Vangelo è dovere che attiene a ciascuno di coloro che sono pienamente incorporati nella comunità dei credenti in Cristo. L’incommensurabilità di Dio e del suo amore salvifico e la piccolezza del segno umano che lo manifesta fa comprendere il riconoscimento del peccato e del limite creaturale che disegnano le forme della vita ecclesiale e dei ministeri. L’odierna valorizzazione della Chiesa locale e/o particolare, con riferimento allo sviluppo e alla pluralità delle forme ministeriali, comporta una rigorosa ed effettiva presa in considerazione del progetto ecclesiologico ed ecclesiale delle small christian communities, variamente denominato e articolato nelle diverse aree continentali. Un uso corretto delle fonti della Tradizione consente una congrua lettura del processo di istituzionalizzazione, che ha configurato il cammino della Chiesa nella storia degli uomini e delle donne sin dalle sue origini. A partire da questi principi e riferendosi principalmente a EN 73 si può delineare una lettura diacronica dello sviluppo della ministerialità della Chiesa che attesta la progressiva concentrazione sul ministero ordinato, ma anche il suo superamento verso una visione plurale dei ministeri. G. Colzani riprende la linea storica dell’indagine sottolineando la riduzione di tipo sacramentale-liturgico; la riduzione dei ministeri entro la sfera autoritativa e gerarchica della chiesa ma anche che solo da poco l’affermazione della corresponsabilità di tutti i battezzati ha trovato rinnovata attenzione. Seguendo il suggerimento di H.U.von Balthasar, ripropone di avvicinare ministero e sequela come l’orizzonte in cui il ministero prende for- editoriale ma per concludere che è l’amore universale della Pasqua che dà concretamente forma ai ministeri che, in questo modo, nascono dalla missione e sono per la sua continuazione come centro della propria vita. Provando a riarticolare le forme della ministerialità egli propone l’ambito della attenzione alla persona umana, della coppia e della famiglia, della società civile. F. Domingues propone una riflessione pastorale sul presbitero e la missione in due momenti specifici. In un primo momento si chiede in che modo l’identità e la missione del presbitero si colleghino alla missione di evangelizzare i non credenti e i membri delle altre tradizioni religiose del mondo. Il secondo momento è dedicato a riflettere sul ruolo specifico del presbitero e su alcuni elementi caratteristici del suo ruolo in quei contesti umani e geografici dove si sta annunziando il vangelo ‘per la prima volta’, i contesti ad gentes. Egli individua tre compiti fondamentali per il ministero del presbitero: la responsabilità della circolazione della parola; l’animazione dei ministeri della comunità, la presidenza della eucaristia. L’esperienza missionaria di V. Del Prete consente una panoramica sulle figure ministeriali laicali maggiormente presenti nei diversi contesti missionari. Le aree del ministero laicale possono essere sintetizzate dalle tre parole che erano scritte su un grande poster pendente dalla facciata del Centro Diocesano Pastorale di Loikaw (Birmania): Worshipping, witnessing evangelizing community: comunità che adora, che testimonia e che evangelizza. Particolare attenzione viene data alla nascita dei Prayer Leaders. Questi che assumono varie denominazioni, dipendenti dal cammino e dalle particolarità delle Chiese locali fungono di fatto come capi delle comunità cristiane. Nelle Chiese dell’America Latina svolgono le funzioni di quasi parroci; in Asia di Prayer Leaders, in Africa di capi di comunità. Però vi sono delle note comuni a tutti: essi agiscono in comunione con la Chiesa, in un contesto di pastorale di insieme, sono scelti e designati dalla comunità, con nomina da parte del vescovo, cui tocca far il discernimento degli i carismi e dare il mandato di esercitarli. Questo non è un aspetto marginale, scontato, e moralistico della vocazione e missione laicale. Costituisce piuttosto il punto nevralgico della missione della Chiesa, oggi. Toglie il cristianesimo dalla sfera puramente cultuale, e ne fa emergere la forza del messaggio capace di innestarsi e trasformare la società nella sua visione e stili di vita, nei punti di interesse, nel lavoro, tempo libero, tecnologia, educazione, famiglia. L’importanza di questa figura ci fa decidere di dedicare in futuro una riflessione più adeguata. L’ultima riflessione di questa parte è dedicata al contributo dei movimenti ecclesiali alla missione nel XX secolo. F. González Fernández presenta la configurazione di questa nuova realtà della chiesa dal punto di vista della missione. Come soggetto comunitario può essere ritenuto ministero missionario. Egli riprende l’affermazione “laico, vale a dire cristiano” per indicare le radici dell’impegno dei nuovi movimenti ecclesiali vero l’evangeliz4 zazione. Come già altre volte nella storia della chiesa è il bisogno stesso della missione a chiamare nuovi soggetti all’annuncio. I cristiani che partecipano alla vita ecclesiale attraverso questi movimenti sono coscienti del fatto che il loro battesimo li mette in grado di fare missione: una missione che non passa attraverso deleghe, ma che scaturisce dalla stessa natura ontologica del loro battesimo e in stretto collegamento con la realtà concreta e le circostanze nelle quali ognuno si trova a vivere. Radicati nella “bellezza di essere cristiani e la gioia di comunicarlo”, coscienti di appartenere al Mistero della Pentecoste, coscienti che lo Spirito attua la missione nella storia, i movimenti ecclesiali si presentano come esperienze di unità e comunione, espressione di molteplicità dei carismi per la missione. Chiude questo numero della rivista una percorso bibliografico sull’Ecumenismo curato dalla prof.ssa A. Scarnera. *** “È vero, nel corso del millennio da poco concluso e specialmente negli ultimi secoli, tanti sono stati i progressi compiuti in campo tecnico e scientifico; vaste sono le risorse materiali di cui oggi possiamo disporre. L’uomo dell’era tecnologica rischia però di essere vittima degli stessi successi della sua intelligenza e dei risultati delle sue capacità operative, se va incontro ad un’atrofia spirituale, ad un vuoto del cuore. Per questo è importante che apra la propria mente e il proprio cuore al Natale di Cristo, evento di salvezza capace di imprimere rinnovata speranza all’esistenza di ogni essere umano” (Benedetto XVI, Messaggio Urbi et Orbi, Natale 2005) [l.m..] 5 editoriale Il secondo tema affrontato dalla rivista riguarda il vasto fenomeno delle sette e nuovi fenomeni religiosi. Questo tema è stato oggetto di una giornata di studio che ha visto riuniti docenti e studenti. Attraverso “le buone, vecchie categorie di C. Glock” di pratica, appartenenza, esperienza, credenza, conoscenza alle è stata aggiunta una sesta, organizzazione il prof. L. Pandolfi ne ha illuminato la dimensione sociologica, anche attraverso la presentazione di un questionario distribuito tra gli studenti. J.A. Barreda a descritto i tratti storici e ideologici di alcune sette del vasto fenomeno del Pentecostalismo e della Nuova Era. P. Steffen ha illustrato gli atteggiamenti e i comportamenti che la pastorale può e deve assumere nella situazione di incontro-scontro con tali nuovi fenomeni religiosi. Dopo aver dato una panoramica della situazione nei diversi continenti, ha sottolineato come il superamento delle cause che generano l’entusiasmo dei cattolici verso tali nuove esperienze può aiutare la pastorale stessa. Dossier Ministeri per la missione La ministerialità della Chiesa via della missione di Sandra Mazzolini 1. La complessità di una tema sullo sfondo del Concilio Vaticano II La pertinenza di un rimando preliminare all’insegnamento ecclesiologico del Concilio Vaticano II può essere affermata, a partire dal fatto che esso non è stato ancora compiutamente recepito nell’odierna stagione ecclesiale. Di particolare rilevanza per il soggetto del nostro articolo è il complesso modello conciliare di una Chiesa che per sua natura è essenzialmente missionaria (cf. AG 2), costruito sulla triplice categoria della Chiesa come misteRM XXII (2006) 2, pp. 7-15 ro, sacramento e popolo di Dio (cf. LG I-II). Mistero, sacramento e popolo di Dio delineano innanzitutto una visione di Chiesa profondamente radicata sia nel mistero di Dio, sia nella storia umana. Ne consegue che la natura della comunità ecclesiale è configurata non estrinsecamente da una rete di relazioni, che rimandano, da un lato, alla sua origine e al suo compimento (il Dio Unitrino) e, dall’altro, alla sua presenza nel tempo intermedio della storia. A proposito di tale aspetto, i soggetti delle relazioni nella e della Chiesa sono molti: i soggetti ecclesiali della tradizione cattolica, le varie tradizioni cristiane, le diverse culture, religioni e sistemi di pensiero1. Il Concilio precisa conseguentemente che la missione della Chiesa è il suo stesso essere e ciò che ne giustifica la presenza nel cammino degli uomini e delle donne, metten- Tale complessa rete di relazioni introduce come elemento ecclesiologico costitutivo la categoria del dialogo; la riflessione ecclesiologica postconciliare si è occupata in modo sporadico di tale dato, a fronte di sua una attuazione anche istituzionale (cf. A.M. NAVARRO LECANDA,“Colloquium salutis”. Para una teología del diálogo eclesial. Un dossier, Editorial ESET, Vitoria-Gasteiz 2006). 1 7 dossier Il tema della ministerialità della Chiesa, sia pure assunto nella prospettiva del rapporto tra ministeri e missione, è troppo ampio per poter essere sviluppato in poche battute. Il nostro articolo si limiterà quindi a toccare alcune questioni, che costituiscono le coordinate fondamentali entro le quali l’argomento può essere più adeguatamente sviluppato: l’affermazione che la Chiesa peregrinante è per sua natura missionaria (cf. AG 2); la ministerialità come tema interdisciplinare ed ecumenico; la storicità delle forme della vita ecclesiale e dei ministeri; l’ermeneutica della Tradizione e il discernimento dei “segni dei tempi”. dossier do in rilievo i fondamenti teologici ed ecclesiologici della missione ecclesiale – il riferimento primo e fondante è al progetto salvifico universale del Dio Trinitario –, dai quali conseguono sia l’unicità della missione, sia la sua diversificazione, declinata a partire dai diversi contesti nei quali la Chiesa è radicata. L’annuncio del Vangelo è quindi dovere che attiene a ciascuno di coloro che sono pienamente incorporati nella comunità dei credenti in Cristo; tale effettiva valorizzazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana confligge con posizioni riduttive, talvolta ancora presenti nel vissuto ecclesiale, che formalizzano in vari modi tale dovere, utilizzando il mero lessico della delega e della supplenza. Soggetto della missione ecclesiale è per contro ciascun battezzato, in quanto membro di una Chiesa particolare, che per sua natura è missionaria e che, in quanto comunione, esiste come soggetto di una pluriforme rete di relazioni2. 2. La ministerialità della Chiesa come tema interdisciplinare ed ecumenico La ricerca sulla ministerialità della Chiesa deve tenere in considerazione altri due altri elementi, che riguardano sia il metodo sia i contenuti: l’argomento è infatti interdisciplinare ed ecumenico. In entrambe le due prospettive, è evidente Tale pluriformità riguarda pure modalità e finalità della missione ecclesiale. 2 8 che l’argomento non può essere indagato in senso unilaterale e che richiede capacità dialogica e di discernimento; fruttuoso appare l’uso di modelli ecclesiologici e ministeriali, dato anche lo stretto rapporto tra modello di Chiesa e modello di ministero3. Il tema della ministerialità della Chiesa è un tema interdisciplinare, un argomento cioè nel quale sono coinvolte discipline diverse del sapere teologico e non (basti pensare all’ecclesiologia, alla teologia pastorale, al diritto canonico, alla storia della Chiesa, ecc.). Tale interdisciplinarietà è gravida di conseguenze. Le discipline di riferimento, pur trattando il medesimo argomento, sono di fatto differenti per la metodologia d’indagine perseguita e per gli specifici criteri ermeneutici assunti. La disamina dell’argomento comporta quindi, da un lato, di superare i limiti della propria specifica competenza disciplinare e, dall’altro, di procedere rigorosamente, senza equiparare o confondere i diversi piani. Mancando tali precauzioni, non è assente il rischio di proiettare i propri desideri su sta- Cf. A. DULLES, Modelli di Chiesa, EMP 2005, 191-207; E. CATTANEO (ed.), I ministeri nella Chiesa antica. Testi patristici dei primi tre secoli, Paoline 1997, 31s; Ministero presbiterale in trasformazione, Morcelliana, Brescia 2005 (cf. in particolare il contributo di A. Maffeis, che studia la prospettiva tridentina, sia analizzando i testi dogmatici e di riforma, sia individuandone la ricezione nei concili provinciali presieduti da Carlo Borromeo e nella diocesi di Brescia durante l’episcopato di Domenico Bollani). 3 A tale proposito, il Cattaneo osserva che tenere “distinti i due orizzonti, quello storico e quello teologico, non è sempre facile, però deve essere tentato, perché la ricerca sia metodologicamente corretta e non inficiata da giudizi anacronistici. Di questo tipo sono, a esempio, quei non rari processi di “idealizzazione delle origini”, dove in realtà quelle “origini” non sono altro che la proiezione ideale di scelte personali, senz’altro rispettabili, ma non applicabilit tali e quali al passato” (E. CATTANEO [ed.], I ministeri nella Chiesa antica, 31s.). 5 Cf W. KASPER, Vie dell’unità. Prospettive per l’ecumenismo, Queriniana, Brescia 2006, 195-198. 6 Cf. E. CATTANEO (ed.), I ministeri nella Chiesa antica, 25s. Cf anche G. FROSINI, “Ministeri”, in G. BARBAGLIO – G. BOF – S. DIANICH (edd.), Teologia, San Paolo, Milano 2002, 981s. 4 stessa del dialogo ecumenico presuppone infatti che ciascun partner, consapevole della propria identità cristiana e della propria appartenenza a una tradizione ecclesiale specifica, si impegni da tale prospettiva integralmente assunta nella faticosa, ma possibile, ricerca di punti essenziali comunemente condivisi. In tale prospettiva, esemplificativo appare l’invito di Giovanni Paolo II a ripensare congiuntamente il ministero di unità del vescovo di Roma (cf. Ut unum sint 96)7, che “rappresenta, probabilmente, in campo ecumenico, il passo più impegnativo e ricco di conseguenze che sia stato fatto da parte cattolica dal concilio Vaticano II ad oggi”8. Per quanto concerne l’uso di modelli, tralasciando da parte i problemi ancora aperti (non ultimo quello della loro valutazione) 9, non c’è dubbio che essi consentono una sintesi del già conosciuto e guidano verso nuove intuizioni teologiche, purché essi siano usati in senso analogico e nella consapevolezza del lo- Cf. S. MAZZOLINI, “Natura e missione della chiesa nell’enciclica Ut unum sint”, in Asprenas 53 (2006), 110s. 8 P. HÜNNERMANN, ““Una cum”. Funzioni del ministero petrino dal punto di vista cattolico”, in ID., Papato ed ecumenismo. Il ministero petrino al servizio dell’unità, EDB, Bologna 1999, 103. Per il teologo tedesco nell’invito sono già indicate “le prospettive di fondo della visione che l’attuale vescovo di Roma ha di se stesso e del suo ministero in relazione a queste problematiche e che cerca di realizzare” (ivi, 107). Circa il motivo e l’oggetto di tale invito, cf ivi, 104s. 9 Cf. A. DULLES, Modelli di Chiesa, 226-228. 7 9 dossier gioni ecclesiali differenti da quella che, unica, ci è data di vivere4. L’approccio ecumenico al tema non è di poca rilevanza; il post-Concilio è segnato da un vasto dibattito a livello infracattolico ed ecumenico su diversi aspetti della ministerialità; la discussione finora condotta tra membri di diverse tradizioni cristiane testimonia un progressivo rasserenamento del clima del dibattito, l’individuazione di elementi di convergenza, cui si coniuga la consapevolezza delle diversità che permangono5, difficoltà di non poco conto se si pensa che i vari modelli di ministero dipendono dalla concezione stessa di Chiesa6. Pur riconoscendo che la diversificata comprensione del ministero può aiutare a comprendere meglio una realtà che un solo modello non è in grado di esprimere, occorre al tempo stesso evitare semplicistiche posizioni irenicamente sincretistiche. La metodologia dossier ro essere inadeguati, se presi singolarmente, a tematizzare compiutamente il soggetto in esame. Il mistero della Chiesa non si attua infatti in un solo modello ecclesiologico; perciò ogni assolutizzazione è un modo improprio di adoperare i modelli ecclesiologici o ministeriali, così come lo è una loro assunzione acritica, dal momento che i modelli possono veicolare anche aspetti inaccettabili o quantomeno discutibili. Va rispettata infine la stretta correlazione tra la scelta del modello ecclesiologico e lo sviluppo di specifici argomenti teologici ed ecclesiologici10. 3. Storicità delle forme della vita ecclesiale e dei ministeri La riflessione sulla storicità delle forme della vita ecclesiale e dei ministeri si muove nell’orizzonte del come e del perché della presenza della comunità ecclesiale nella storia degli uomini e delle donne, ovvero dell’articolata missione della Chiesa. L’assunzione della categoria della storicità da parte del pensiero ecclesiologico richiede una certa precauzione, perché occorre distinguere tra il senso di tali forme, che rimanda immediatamente al progetto salvifico universale di Dio11 e la Sull’uso dei modelli ecclesiologici, cf. ivi, 19-40. 11 Il Cattaneo ricorda a tale proposito che la sola risposta storica alla questione delle differenti concezioni di ministero a un certo punto non è più sufficiente, perché tale diversità dipende dal modello ecclesiologico soggiacente (cf. E. CATTANEO [ed.], I ministeri nella Chiesa antica, 31). 10 10 loro concretizzazione, intesa nel doppio aspetto della forma e dell’esercizio, sui quali incidono anche elementi propri di contesti sia socio-culturali sia ecclesiali specifici12. Come ricorda Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est (Dce), “l’attività della Chiesa è espressione di un amore che cerca il bene integrale dell’uomo; cerca la sua evangelizzazione mediante la Parola e i Sacramenti, impresa tante volte eroica nelle sue realizzazioni storiche; e cerca la sua promozione nei vari ambiti della vita e dell’attività umana” (Dce 19). Le forme della vita ecclesiale e dei ministeri sono dunque epifanici, o in senso lato ‘sacramentali’, perché la loro ragion d’essere risiede appunto nel rendere manifesto, in modo umano, il mistero comunionale del Dio Unitrino che, automanifestandosi all’uomo da Lui creato, lo chiama alla vita di comunione con Sé. L’inciso “in modo umano” allude non soltanto alle modalità di tale manifestazione, ma anche al fatto che tale visibilizzazione avviene nella paradossalità della debolezza del segno e delle forme umane, incommensurabilmente più piccoli della grandezza divina. Da tale sproporzione tra l’incommensurabilità di Dio e del suo amore salvifico e la piccolezza del segno umano che lo manifesta consegue il riconoscimento del peccato e del limite creaturale che disegna- 12 Cf. S. RECCHI, “Chiese d’Africa e strutture ecclesiali adattate”, in Concilium 4 (2006), 100-113. no le forme della vita ecclesiale e dei ministeri13. Da tale doppio limite oggettivo, e perciò insuperabile nella storia, discende che nessuna forma della vita ecclesiale e di ministero può essere segno e strumento assolutamente adeguato della salvezza. Esso perciò, da un lato, richiede conversione (cf LG 8) e, dall’altro, implica sviluppo e pluralità, che valorizzano, tra l’altro, anche la realtà locale e particolare della Chiesa; la corretta accezione di sviluppo e pluralità non prescinde ovviamente dalla continuità e dall’unità. L’odierna valorizzazione della Chiesa locale e/o particolare, con riferimento allo sviluppo e alla pluralità delle forme ministeriali, comporta una rigorosa ed effettiva presa in considerazione del progetto ecclesiologico ed ecclesiale delle small christian communities, variamente denominato e articolato nelle diverse aree continentali14. Si tratta 13 La qualificazione della Chiesa come “sacramento” permette di fondare in senso propriamente ecclesiologico tali asserzioni e offre effettive possibilità di ulteriori considerazioni (cf. A. DULLES, “The sacramental ecclesiology of Lumen gentium”, in Gregorianum 86 [2005], 550-562; S. MAZZOLINI, “La Chiesa sacramento del regno”, ivi, 629-643) 14 Per una visione d’insieme, sia pure generica e disomogenea, cf. J.G. HEALEY – J.H. HINTON (eds.), Small Christian Communities Today. Capturing the New Moment, Orbis Books, Maryknoll (NY) 2005. Con riferimento all’Africa e all’Asia, 4.1. Ermeneutica della Tradizione: l’uso delle fonti; l’istituzione del ministero diaconale come momento esemplificativo; la puntualizzazione del linguaggio e delle forme ministeriali L’ermeneutica della Tradizione implica una prima considerazione sui criteri di valutazione dei documenti storici della tradizione ecclesiale, da cui ne consegue un loro uso fondativo e non giustificativo. Nel primo caso, le fonti sarebbero impiegate a sostegno di una visione predeterminata, delineata cioè a prescindere da esse e dalla loro specificità. Nel secondo, invece, il punto di partenza è dato dalle fonti cf. M. MALU NYIMI, “Le comunità ecclesiali di base nella teologia africana. Fraternità evangeliche e iniziative socio-politiche”, in Concilium 4 (2006), 39-53; J. TAN, “La Chiesa e il Regno. Un nuovo modo di essere Chiesa in Asia”, in M. AMALADOSS – R. GIBELLINI (edd.), Teologia in Asia, Queriniana, Brescia 2006, 320-342. 11 dossier 4. Ministeri tra Tradizione e segni dei tempi: una fedeltà creativa di un progetto già in atto in diverse parti del mondo, che richiede però, a nostro modo di vedere, un supplemento di riflessione, che concerne, tra l’altro, anche il tema della ministerialità della Chiesa, nella doppia prospettiva della novità e continuità e della pluralità e unità. Detto in altri termini, si tratta di una riflessione sul processo di istituzionalizzazione della Chiesa, nella cui comprensione concorrono sia una corretta ermeneutica della Tradizione sia il discernimento dei segni dei tempi. dossier stesse, indagate con metodi appropriati e valorizzate nella loro peculiarità. Una lettura fondativa non disconosce la frammentarietà del quadro d’insieme: è soltanto con una certa approssimazione, che va puntualmente dichiarata, che ci è dato oggi l’accesso al pensiero ecclesiologico e alla prassi ecclesiale della comunità cristiana delle origini, la quale, sotto il profilo culturale e istituzionale, dista da noi anni luce. Tale frammentarietà, che presenta a volte anche il tratto dell’ambiguità e del non detto, non impedisce però di individuare elementi fondamentali e dinamiche di fondo, la cui recezione è necessaria, per consentire un ampliamento della riflessione, tenendo conto dello sviluppo del pensiero ecclesiologico e magisteriale e delle istanze che la società pone oggi alla Chiesa15. Un uso corretto delle fonti della Tradizione consente una congrua lettura del processo di istituzionalizzazione, che ha configurato il cammino della Chiesa nella storia degli uomini e delle donne sin dalle sue origini e il cui senso può essere compreso, riflettendo su quanto Benedetto XVI scrive a proposito del diaconato nella Dce. In apertura della seconda In conformità con il Vaticano II, W. Kasper individua tre prospettive ermeneutiche delle testimonianze della tradizione, che vanno comprese in analogia ai segni dei tempi, alla totalità della fede della Chiesa intera (rilevante è il criterio della hierarchia veritatum), in analogia al fine escatologico. Sulla tradizione come principio di conoscenza teologica, cf. W. KASPER, Teologia e Chiesa, Queriniana, Brescia 1972, 74-103. 15 12 parte dell’enciclica, Benedetto XVI tratta della carità della Chiesa come manifestazione dell’amore trinitario (cf Dce 19), per sviluppare poi il tema della carità come compito ecclesiale (cf Dce 20-25), ripercorrendo momenti significativi della vita della comunità neotestamentaria e dell’epoca patristica. Rilevante è l’attenzione posta sulla “scelta di sette uomini che fu l’inizio dell’ufficio diaconale (cfr. At 6,5-6)” (Dce 21), perchè “all’interno della comunità dei credenti non deve esservi una forma di povertà tale che a qualcuno siano negati i beni necessari per una vita dignitosa” (Dce 20). Attraverso questo iniziale processo di istituzionalizzazione, significato dalla scelta dei sette diaconi, “la “diaconia” – il servizio dell’amore del prossimo esercitato comunitariamente in modo ordinato – era ormai instaurata nella struttura fondamentale della Chiesa stessa” (Dce 21). Nell’impostazione dell’enciclica, dunque, come la carità attiene all’essenza della Chiesa, così il compito della carità afferisce alla sua struttura fondamentale; le due prospettive, data la natura teandrica della comunità ecclesiale (cf LG 8), sono complementari. La consapevolezza di tale essenzialità percorre quasi in crescendo le diverse fasi della storia cristiana. Scrive il Papa che con “il passare degli anni e con il progressivo diffondersi della Chiesa, l’esercizio della carità si confermò come uno dei suoi ambiti essenziali, insieme con l’amministrazione dei Sacramenti e l’annuncio della Parola: praticare l’amore verso le vedove e gli le elementi di continuità si intrecciano con quelli di discontinuità, in un orizzonte ecclesiologico che è quello della Chiesa comunione di Chiese sorelle16. 4.2. Ministerialità della Chiesa fra Tradizione e discernimento dei segni dei tempi. Un’esemplificazione: Evangelii Nuntiandi 73 Una lettura diacronica dello sviluppo della ministerialità della Chiesa attesta la progressiva concentrazione sul ministero ordinato, che procede in parallelo a una speculare e diversificata assunzione di quei modelli ecclesiologici meramente piramidali e clericali, che hanno così configurato, complici dinamiche culturali e storiche coeve, la presenza della Chiesa cattolica nel mondo17. Recependo la tradizione del NT e dei Padri, il Concilio Vaticano II ha consegnato alla Chiesa un modello ecclesiologico più articolato, che richiede di ripensare seriamente le figure ministeriali; tale operazione va intesa nel senso sia di ripensamento delle forme dei ministeri già esistenti, sia di riconoscimento di nuove figure ministeriali18. Cf. E. CATTANEO (ed.), I ministeri nella Chiesa antica, 50-199. 17 Cf. G. FROSINI, “Ministeri”, 984-990. 18 Il complesso modello ecclesiologico profilato dal Concilio implica una più ampia riflessione sui ministeri che, proprio a partire da esso, non si possono più concentrare soltanto sul ministero conferito dal sacramento dell’ordine (cf. ivi, 990-995). 16 13 dossier orfani, verso i carcerati, i malati e i bisognosi di ogni genere appartiene alla sua essenza tanto quanto il servizio dei Sacramenti e l’annuncio del Vangelo” (Dce 22). A riprova di ciò, egli menziona le primitive strutture giuridiche relative al servizio ecclesiale della carità (cf Dce 23). Non c’è dubbio che tale accresciuta consapevolezza, che si concretizza nell’istituzione di strutture che rendono praticabile in modo continuativo l’esercizio della carità, pur nel cambiamento dei contesti e delle situazioni, richiama la coscienza che la Chiesa ha di esistere “nel mondo [come] testimone dell’amore del Padre, che vuole fare dell’umanità, nel suo Figlio, un’unica famiglia” (Dce 19); si disegnano di conseguenza forme di carità ecclesiale, dalle quali emerge con chiarezza che tutta “l’attività della Chiesa è espressione di un amore che cerca il bene integrale dell’uomo” (ivi). La tradizione neotestamentaria e quella dei Padri attesta indicazioni analoghe per quanto riguarda i ministeri ecclesiali; se il NT non mostra una speciale preoccupazione di fissare una terminologia tecnica per quanto concerne l’organizzazione della comunità e usa nomi generici per indicare chi sovrintende, già a partire dal periodo immediatamente successivo si registra una fissazione graduale del linguaggio ministeriale, per esprimere una realtà strutturale che già va costituendosi; alla puntualizzazione linguistica, si accompagna una progressiva configurazione dei ministeri della comunità cristiana dei primi secoli, nella qua- dossier Tale ripensamento può avvalersi di almeno due indicazioni di per sé significative: poiché i differenti ministeri dipendono sostanzialmente dal modello di Chiesa, ne consegue che la loro tipologia non può essere ridotta a un mero elenco a numero chiuso; le forme degli stessi ministeri ritenuti essenziali sono state modificate in senso funzionale alle diverse modalità di presenza ecclesiale in un dato contesto. Il problema ecclesiologico ed ecclesiale relativo ai ministeri non si risolve certamente clonando anacronisticamente il modello della Chiesa antica e sdoganandolo nelle diverse aree continentali, ma recependo in forma attiva e creativa istanze fondamentali della Chiesa antica che hanno generato o favorito sviluppi, verificati e verificabili, in senso dottrinale, istituzionale, pastorale e organizzativo. Si tratta di istanze che rimandano sia alla Rivelazione, sia alla storia umana. Il riferimento alla Rivelazione è elemento di sviluppo nella misura in cui la sua interpretazione implica la consapevolezza che il messaggio della Rivelazione continua a svelarsi più completamente in misura che la storia della Chiesa progredisce verso il suo termine19. Il rimando al dinamismo della storia umana suppone per contro una capacità di lettura dei ‘segni dei tempi’; la Chiesa che viene da Dio e a Lui tende vive 19 Cf., ad esempio, CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Mysterium Ecclesiae (24 giugno 1973), 5. 14 nel tempo intermedio nella storia dei popoli, nelle diverse culture della terra. Questa storicità della Chiesa è un dato essenziale, per una non debole analogia con il mistero del Verbo Incarnato (cf. LG 8); pellegrina in attesa del compimento escatologico, la comunità ecclesiale non è estranea a tutto ciò che è proprio del qui e ora nel quale essa è profondamente radicata. EN 73 può essere letto nella prospettiva dello sviluppo e della pluralità dei ministeri, poiché esso recepisce in modo essenziale le precedenti indicazioni. Questo numero rimanda innanzitutto all’insieme dell’esortazione apostolica di Paolo VI, che delinea la centralità di Gesù Cristo e l’assoluta necessità dell’annuncio esplicito del suo mistero; tale cornice fortemente cristologica puntualizza inoltre, in senso funzionale, il carattere evangelizzatore dei diversi soggetti ecclesiali. Esso è riferibile poi sia alle precedenti decisioni di Paolo VI a proposito dei ministeri sia alla celebrazione del Sinodo dei Vescovi del 1974, dedicato all’evangelizzazione, la cui prospettiva, in termini generali, è quella di un effettivo sviluppo e pluralità dei ministeri, sicché la ministerialità della Chiesa è tematizzata non soltanto con riferimento al ministero conferito dall’ordine sacro. Ripercorrendo la documentazione disponibile, si può osservare che gli interventi dei Padri sinodali in materia sono volti a dare impulso, orientare, normare una realtà che, di fatto, è già in atto. Nonostante alcune voci discordanti, che possiamo approssimativamente connotare anche ze del vissuto ecclesiale; la necessità della preparazione, in particolare di coloro che sono impegnati nel ministero della Parola. A chiusura di questo articolo, ci si potrebbe chiedere come e se tali indicazioni siano state recepite. La domanda è certamente complessa – basterebbe in tal senso confrontare questo testo con il Codice di Diritto Canonico e soprattutto con l’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Christifideles laici –; ci limitiamo perciò a una battuta per la verità piuttosto generica. Una lettura dell’insieme della documentazione prodotta circa la ministerialità della Chiesa ci sembra lasciare ancora aperti diversi ambiti di ricerca20; anche uno sguardo d’insieme gettato sul vissuto ecclesiale contemporaneo suggerisce che questo tema non è ancora chiuso. Le linee portanti di ulteriori studi ci sembra dovrebbero chiarire in modo non equivoco sia i termini, sia i contenuti, sia gli ambiti, sia le modalità di attuazione della specifica ministerialità dei diversi soggetti ecclesiali. Sandra Mazzolini Facoltà di Missiologia 20 Tale apertura non concerne l’accesso delle donne al sacerdozio ordinato, sul cui divieto esistono autorevoli e definitivi pronunciamenti magisteriali. Riconoscendo completamente l’autorevolezza di tale pronunciamento definitivo, al tempo stesso riteniamo però ancora aperta la riflessione sugli spazi possibili per uno specifico ed effettivo riconoscimento della soggettualità ecclesiale delle donne (cf S. MAZZOLINI, “Modello ecclesiologico e ministero. Elementi per una ricerca del riconoscimento della presenza delle donne nella vita e nella missione ecclesiali”, in Annali di studi religiosi 7 [2006], 281-303). 15 dossier con una certa nota di preoccupazione, i Padri sinodali sembrano orientati verso una promozione dei ministeri, che già costituiscono una realtà presente nella vita ecclesiale di alcune Chiese particolari. In apertura, EN 73 sottolinea l’importanza della presenza attiva dei laici nelle realtà temporali, ricordando immediatamente dopo che non “bisogna tuttavia trascurare o dimenticare l’altra dimensione: i laici possono anche sentirsi chiamati a collaborare con i loro Pastori nel sevizio della comunità ecclesiale, per la crescita e la vitalità della medesima, secondo ministeri diversissimi, secondo la grazia e i carismi che il Signore vorrà loro dispensare”. Ricordando l’opera di molti Pastori, religiosi e laici in ordine alla ricerca di modi sempre più adatti in ordine all’annuncio del Vangelo, Paolo VI incoraggia l’apertura, teorica e pratica, in atto e ricorda che la Chiesa, accanto ai ministeri ordinati, “riconosce il ruolo di ministeri non ordinati ma adatti ad assicurare speciali servizi alla Chiesa”. Tocca poi argomenti utili per una corretta comprensione del tema: il riferimento alla Chiesa delle origini e alle “necessità presenti dell’umanità e della Chiesa” come “linee maestre che permetteranno di ricercare con saggezza e di valorizzare i ministeri, di cui la Chiesa ha bisogno e che molti suoi membri saranno lieti di abbracciare per la maggior vitalità della comunità ecclesiale”; l’unità come criterio sul quale valutare il loro valore pastorale; l’elenco di alcuni ministeri nuovi, ma molto legati a esperien- Ministeri “missionari”. Per una orientazione teologica dossier di Gianni Colzani Il tema dei “ministeri” ha subito un notevole ampliamento di significati: designa infatti, tanto le persone dei pastori ed i coniugi, alla cui base sta un sacramento, quanto i catechisti ed i lettori, che svolgono invece un semplice servizio ecclesiale. È normale interrogarsi sul senso di questo ampliamento: si tratta di una semplice modificazione di linguaggio che lascia inalterata la realtà o siamo invece di fronte ad un reale e grande principio di cambiamento ecclesiale? Per poter capire cosa significa questo ampliamento, bisogna rifarsi al concilio Vaticano II che ne è l’origine. Per quanto non faccia dei ministeri un tema privilegiato, il concilio delinea quella concezione ecclesiologica di fondo che li sostiene. Parlando della radice battesimale del popolo di Dio, il concilio illustra il comune servizio sacerdotale di tutti i discepoli di Cristo (Lumen Gentium 10-11), insiste sul volto profetico e carismatico di questo popolo (Lumen Gentium 12) e mostra come lo Spirito “dispensa tra i fedeli grazie speciali con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi vari incarichi e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della chiesa” (ivi). Ne viene un profondo ripensamento di tutto l’organismo ecclesiale: più che una semplice ridistribu16 zione di compiti, abbiamo qui un ripensamento della chiesa nel suo essere e nella sua vita perché tutta quanta esprima il servizio misericordioso di Cristo all’umanità. Solo una comunità corresponsabile dei suoi impegni e della sua stessa vita è in grado di sostenere un simile rinnovamento. Voluta dal Vaticano II, questa trasformazione obbliga le comunità a prendere coscienza di un precedente sviluppo distorto; prenderne coscienza è il primo passo per un sincero cambiamento. 1. Il peso negativo di una storia Fondata da Gesù Cristo, la Chiesa vive la sua obbedienza a Cristo Signore in una storia segnata dalla fede e dalla carità dei suoi membri ma non immune nemmeno dalle loro paure e dai loro sbagli. Per quanto il senso ultimo del cammino della Chiesa rimandi in ultima analisi a Cristo Signore ed al suo Spirito, le sue scelte storiche e la testimonianza evangelica dei suoi membri hanno un rilievo non piccolo; il volto storico di una Chiesa è fatto dai doni del suo Signore ma anche dal coraggio o dalle paure dei suoi membri. In questo cammino storico trovano spazio anche i ministeri; non solo non sono fissati una volta per tutte ma, come richiama At 6,1-6 a propoRM XXII (2006) 2, pp. 16-19 sto, sono stabiliti nei termini giuridici propri dei diritti/doveri di ognuna delle due forme di vita. L’idea di una chiesa animata dallo Spirito e vivificata dai suoi carismi si è persa; solo da poco l’affermazione della corresponsabilità di tutti i battezzati hanno trovato rinnovata attenzione. Non si tratta di clericalizzare i laici ma di pensarli nella concreta situazione delle loro chiese per cominciare a precisare, in quel contesto, il modo più adatto per vivere il servizio che ogni discepolo deve alla proclamazione del vangelo ed alla comunità. 2. Per una concezione personale e missionaria del ministero Al di là dei rapporti tra clero e laicato, l’aspetto più ostico che il ministero presenta è il suo carattere impersonale; in ultima analisi, il carattere impersonale del ministero è frutto del suo aspetto collegiale: solo entrando nel “collegio” apostolico i singoli diventano apostoli. Per questa via, diventare apostolo è essere reso capace di quei compiti a cui abilita l’appartenenza a quel collegio apostolico a cui succede il collegio episcopale; per questa via, il ministero rischia di strutturarsi attorno a prestazioni anonime, attorno a diritti e doveri che, come in tutte le dinamiche istituzionali, tendono ad irrigidirsi in forme non sempre rispettose della dignità di tutti. Sostenere, apologeticamente, che questi uffici sono stati voluti da Cristo e sono animati dal suo Spirito non equivale a dire che la loro di17 dossier sito del diaconato, dipendono sia dal discernimento del volere di Cristo sia dal modo di affrontare i problemi che, volta per volta, la storia propone. Una seria analisi di questo cammino non può cominciare che da una autocritica; solo una seria consapevolezza di questo cammino permette di evitare di ricadere nei medesimi errori. Il primo limite è una riduzione di tipo sacramentale-liturgico che restringe i ministeri entro la sola sfera cultuale, senza interesse per la missione della chiesa. Da una parte il gesto di preghiera e di imposizione delle mani da parte di una comunità orante, che una volta abilitava ai diversi servizi ecclesiali, diventa esclusivo della ordinazione sacerdotale; dall’altra la teologia insisterà sulla centralità della celebrazione liturgica e raccoglierà il ministero ordinato attorno al potere sacerdotale della consacrazione del pane e del vino e del perdono dei peccati. Il risultato di questa storia porterà a ritenere che i ministeri, sottratti ormai al laico, spettano solo al chierico ordinato. Il secondo limite riconduce i ministeri entro la sfera autoritativa e gerarchica della chiesa. Invece di aprirsi a tutta la vita e la missione della chiesa, i ministeri sono qui limitati agli aspetti strutturali e gerarchici della istituzione ecclesiale. Si fa così strada una netta separazione ed una più sottile contrapposizione tra clero e laicato. I rapporti tra presbiteri e christifideles sono colti in ciò che i due stati hanno di diverso più che in ciò che hanno in comune e, per que- dossier mensione umana non possa degradarsi. Per questo mi sembra utile accogliere il suggerimento di Balthasar che, andando alla loro comune origine, propone di avvicinare ministero e sequela. Per la sua stessa struttura, la sequela ha una connotazione personale: è la risposta di chi è chiamato ed è l’espressione di uno sforzo di riorientamento spirituale della propria vita su Dio. In Mc 10,21 la sequela non sviluppa un programma, non offre un ideale né una legge a cui agganciare la propria vita ma presenta Gesù in modo assoluto. “Vieni e seguimi” è il farsi presente della sovranità di Dio, è una sorta di “requisizione” di chi è chiamato da parte di chi chiama. Seguire Gesù è adeguarsi spiritualmente alla sapienza del suo vangelo. Proprio perché la sequela ha questa assolutezza di riferimento a Cristo senza che questo comporti una serie di cose da fare, la sequela resta come l’orizzonte in cui il ministero prende forma; la chiamata a svolgere un ufficio concretizza la sequela, le dà forma. Ora, poiché la sequela presenta l’autorità dell’amore universale di Dio sulla nostra vita, solo l’amore universale della Pasqua dà concretamente forma ai ministeri che, in questo modo, nascono dalla missione e sono per la sua continuazione come centro della propria vita. Come il suo Signore, anche il cristiano non può che essere amore-perl’umanità, uomo-per-gli-altri, offerta di una esistenza redenta e redimente. Non solo ministero e sequela non sono divise ma sono necessariamente 18 unite; al di là di ogni diversità tra vita laicale e figura sacerdotale, la centralità della sequela fa sì che sia Cristo, comunque, che educa i suoi discepoli e li introduce a quella vita nella Chiesa e con la Chiesa che prosegue l’opera del Signore. Bene intesa, questa funzione ministeriale non è riducibile a quei ruoli che anche una società funzionale conosce; in particolare non è accettabile quella opposizione tra persona e ruolo che, in una vita centrata su se stessi, considera come esteriore ogni come compito per gli altri. Al contrario, la ministerialità di tutta la chiesa mostra come ogni cristiano sia in una situazione missionaria di fronte a questa società e come questa sua radice debba esprimersi in un personale servizio alla proclamazione del vangelo di Gesù e alla testimonianza della sua carità. 3. Le forme di una ministerialità evangelizzatrice Le forme proprie della ministerialità sono diverse e molteplici; l’attuale insistenza sulla necessità di una nuova evangelizzazione e sulla ripresa di un impegno missionario chiede con forza che tutti – ciascuno secondo la propria misura – cooperino a questo impegno. Va detto che, rispetto alla chiese più antiche, le giovani chiese mostrano più libertà e più intraprendenza nel riconoscer e nel promuovere i volti nuovi di questa ministerialità; a volte la ricchezza della tradizione può trasformarsi quasi in un peso che non permette una grande libertà di cammino. impegnano a sorreggere le famiglie con una molteplicità di servizi. La società civile rappresenta il terzo ambito di un orizzonte che, insieme ad una uguaglianza di diritti da garantire per tutti, esige del pari una viva partecipazione al cammino comune. L’attuale globalizzazione, con le sue sfide, non fa che rinforzare il bisogno di rivedere la tradizione civile e religiosa dei diversi popoli per attrezzarla alle sfide di questo tempo. La sensibilità politica con tutti i suoi complessi temi, la centralità della persona vista come risorsa della vita economica e non come suo limite, l’importanza della cultura con la sua attenzione per la città, l’ambiente ed i “media” sono i punti centrali di questo cammino. Su questo nuovo sfondo prende vita una rinnovata comprensione della educazione cristiana e della vocazione stessa; per una rinnovata azione pastorale sono necessarie una migliore valorizzazione dei giovani e delle donne, degli anziani e dei malati, così come occorre una ricomprensione della vita consacrata. Del pari andranno valorizzate le molteplici forme di vita laicale; come ha insegnato il concilio nel capitolo quinti della costituzione Lumen Gentium sulla universale vocazione alla santità, dovunque ci si trovi è possibile aspirare alla vita perfetta. L’insieme di queste osservazioni è un invito a guardare con fiducia il cammino odierno della Chiesa; è l’inizio di una nuova importante stagione ecclesiale. Gianni Colzani Facoltà di Missiologia 19 dossier Più che un elenco di queste forme ministeriali nuove, vorrei cominciare con il richiamare i diversi ambiti in cui il credente può vivere il suo impegno per la persona, la società e la Chiesa. L’attenzione alla persona umana comporta un riconoscimento ed una promozione dei diritti inviolabili della persona; tra questi vale la pena di richiamare sia il diritto alla vita sia quello della libertà religiosa. Adoperarsi perché questi primi, elementari diritti si diffondano e siano rispettati non appartiene solo ad un generale dovere evangelico ma alla capacità del cristiano di affrontare alcune delle fondamentali sfide della nostra storia odierna. Promuovere e sostenere questo impegno riconoscendovi un vero e proprio cammino ministeriale a cui i credenti sono chiamati fa parte del modo con cui le comunità formano ed educano le coscienze attraverso l’indicazione di concrete priorità. La coppia e la famiglia sono un secondo ambito in cui la chiesa riconosce come un naturale spazio per il suo mistero di comunione e di carità. Cellula della società, la famiglia è protagonista di una pratica di attenzione ai bisogni dell’essere umano e di una educazione ad una cultura della solidarietà attenta a tutti, ma soprattutto ai più bisognosi e ai più deboli. Questo compito è sempre più importante; più le istituzioni diventano complesse per organizzazione e gestione, più diventa facile la deriva di una burocrazia impersonale; per questo la chiesa può e deve riconoscere il ministero della copia e le molte forme di volontariato che si Presbitero e missione di Fernando Domingues, mccj dossier Introduzione Intendiamo proporre questa riflessione pastorale sul presbitero e la missione in due momenti specifici. In un primo momento ci chiediamo in che modo l’identità e la missione del presbitero si colleghino alla missione di evangelizzare i non credenti e i membri delle altre tradizioni religiose del mondo. Ci aiuterà in questo un breve sguardo ad alcuni elementi del Magistero ufficiale della chiesa negli ultimi decenni. Il secondo momento lo dedichiamo a riflettere sul ruolo specifico del presbitero in quei contesti umani e geografici dove si sta annunziando il vangelo ‘per la prima volta’, i contesti ad gentes. Ci aiuteranno qui gli anni di servizio missionario in Kenya, dal 1992. Nella riflessione conclusiva ci chiediamo se si possa parlare di una chiara dimensione missionaria nell’identità e ministero di ogni presbitero nella chiesa. 1. Missione: vocazione di tutti, o di alcuni? Il Concilio Vaticano II presenta il ministero e l’identità dei presbiteri in un contesto ad ampio respiro. Il presbitero è un intimo collaboratore del ministero apostolico dei ve20 scovi (cfr. PO 2), al servizio di tutta la chiesa, la quale ha la sua origine nell’eterno disegno di salvezza universale che nasce dal cuore del Padre e si attua nella storia per Cristo, nella forza del suo Spirito (LG 2). Con il suo ministero specifico, il presbitero partecipa, a modo suo, alla missione di tutta la chiesa, che è di essere sacramento, cioè segno e agente, di quella forza divina che sta trasformando l’umanità e l’universo intero verso quella pienezza di vita che chiamiamo il Regno di Dio. Nel suo servizio alla comunità cristiana, il presbitero ha quindi bisogno di una attenzione permanente al mondo che è chiamato a servire e deve cercare nella cultura e nella tradizione religiosa della gente che serve quei semina verbi che lo Spirito del Signore ha sparso dappertutto, e che noi vediamo germogliare in maniera misteriosa e spesso sorprendente nell’esercizio concreto del nostro ministero. 1.1. Missione, carisma particolare di alcuni. Nel Decreto Ad Gentes, sull’attività missionaria della chiesa, il Concilio fa una chiara distinzione tra attività missionaria – verso i non evangelizzati, attività ecumenica – verso i cristiani di altre chiese e comunità ecclesiali, e attività pastorale RM XXII (2006) 2, pp. 20-29 1.2. Presbiteri ‘esclusivamente missionari’. La riflessione stimolata dal Vaticano II in questo tema che ci riguarda continuò con intensità, e produce nuovi frutti già con l’enciclica Evangelii Nuntiandi, che Paolo VI pubblica in seguito al Sinodo del 1974, sull’attività missionaria della Chiesa.3 “Tutta la Chiesa è missionaria, e l’opera evangelizzatrice è un dovere fondamentale del popolo di Dio” (AG 35). 2 Si lega tutto il nº6 del Decreto Ad Gentes. 3 Il testo integrale si trova nella raccolta Enchiridion della Chiesa Missionaria, a cura delle Pontificie Opere Missionarie, Direzione Nazionale Italiana, EDB Bologna 1997, nº 921-1090. 1 Mentre nei documenti del Vaticano II si tendeva a sottolineare il carattere missionario di tutta la chiesa, in questa enciclica si da più rilievo al fatto che nella Chiesa ci sono delle vocazioni ‘esclusivamente missionarie’ ad gentes. Mentre ogni cristiano è in qualche modo missionario in quanto partecipa alla vita e alla missione della chiesa nel mondo, Dio chiama alcuni cristiani, tra i quali tanti presbiteri e religiosi/e, a dedicare il loro ministero apostolico esclusivamente all’evangelizzazione dei non cristiani (cfr. Ev.Nunt 73). Volendo enfatizzare il fatto che nella chiesa tutti sono missionari ma che alcuni lo sono in maniera esclusiva, questo bellissimo documento del magistero missionario ci lancia qualche sfida per quanto riguarda il presbitero: Essendo un servizio di presidenza, il ministero presbiterale si capisce soltanto nel suo rapporto organico con la comunità cristiana, in maniera particolare nella celebrazione dei sacramenti. Che senso ha questo ministero dove la comunità cristiana ancora non esiste? Ci sono state situazioni missionarie dove il prete che presiedeva all’eucaristia era l’unico battezzato presente! Forse proprio questa perplessità ci ha aiutato a riscoprire la prima caratteristica, il primo compito del sacerdote in quanto collaboratore del ministero apostolico: predicare la Parola che, con la forza dello Spirito, converte i cuori e invita i nuovi credenti a formare comunità. È da questo primo servizio di predicazione che sorgono gli altri due: quello 21 dossier – in seno alle comunità cattoliche (cfr. AG 6). Di conseguenza, non era difficile distinguere tra i sacerdoti che lavoravano nella pastorale, e quelli che lavoravano ad extra, in zone territoriali e umane ancora fuori della chiesa, i missionari; anche se i Padri conciliari non si stancavano mai di sottolineare il carattere, la natura missionaria di tutta la chiesa.1 Lo stesso Decreto parla di questi chiamati all’evangelizzazione ad extra, come di persone che hanno ricevuto una vocazione speciale, un ‘carisma particolare’ che li abilita a questo modo peculiare di esercitare il presbiterato. Il fine proprio del ministero di questi missionari è quello di impiantare la chiesa dove questa ancora non esiste o là dove essa è insufficientemente stabilita.2 di governare (animare) la comunità, e quindi anche quello di presiedere alla celebrazione dei sacramenti. Sottolineando il fatto che ci siano dei cristiani (tra i quali spiccano i presbiteri e i religiosi) che si dedicano specificamente ed esclusivamente all’evangelizzazione ad gentes, l’Evangelii Nuntiandi ci ha aiutato a valutare il ministero della Parola, cioè la predicazione del Vangelo come elemento essenziale e primo nell’identità e missione del sacerdote. dossier 1.3. Dialogo, il cammino della missione. Senza voler percorrere tutto il cammino di approfondimento della riflessione missionaria della chiesa negli ultimi decenni, ci è di aiuto qui considerare un altro elemento alquanto nuovo nel Magistero, che ci è presentato dall’Enciclica Redemptoris Missio (1990) di Giovanni Paolo II. 4 Mentre conferma quanto detto in documenti precedenti, il Papa fa un passo ulteriore e presenta il dialogo come il cammino della missione per gli anni venturi (cfr. Red Miss, n.55). E chi non ricorda con piacere l’insistenza di Benedetto XVI su questo stesso tema del dialogo già nei suoi primi discorsi come Papa? Giovanni Paolo II insiste sul fatto che il dialogo con i credenti di 4 Vedi il testo in AAS 83 (1991), pp. 249340; anche in Enchiridion della Chiesa Missionaria, nnº 1671-1939. 22 altre tradizioni religiose non indebolisce in nessun modo l’integralità, la chiarezza e la forza dell’annunzio missionario del Vangelo. Infatti, l’annuncio è efficace soltanto se fatto in atteggiamento di sincero ascolto e dialogo con le persone, i loro valori culturali e soprattutto la loro esperienza religiosa. L’ascolto del Vangelo che può portare la persona o i gruppi umani ad un cammino di conversione ed eventualmente al battesimo, deve necessariamente aver luogo nell’ambito dell’esperienza religiosa di chi ascolta. Similmente, il dialogo è autentico, veritiero e onesto soltanto se ciascuno degli interlocutori presenta, quale offerta del bene più prezioso che possiede, la propria fede nella sua completezza. Rimane quindi chiaro che il dialogo interreligioso non solo non sostituisce nè diminuisce l’annuncio esplicito del Vangelo, ma lo esige nella sua integralità. Ai presbiteri missionari non è più possibile separare l’evangelizzazione in quanto annuncio esplicito del Vangelo di Cristo da un genuino dialogo interreligioso. L’offerta del Vangelo nella dinamica del dialogo esige, come passo previo, l’ascolto e la conoscenza approfondita della tradizione e dell’esperienza religiosa concreta degli interlocutori. Un sacerdote missionario che predicasse la Parola senza conoscere con un minimo di profondità l’universo religioso nel quale gli ascoltatori vivono la propria esistenza, corre il serio rischio di entrare in un ‘dialogo tra sordi’ dove tutti parlano ma nessuno ascolta. Se qualche frutto apostolico si trova comunque in situazioni simili, è certamente dovuto alla meravigliosa capacità dello Spirito di far crescere erba verde anche dalla sterilità dei nostri deserti umani. La Redemptoris Missio (nº33) identifica, nella globalità della missione universale della chiesa, tre sue articolazioni specifiche: Il fatto che Giovanni Paolo II presenti questi grandi indirizzi come articolazioni costitutive della stessa missione della chiesa che va portata avanti sul cammino del dialogo, presenta delle nuove sfide a tutti i presbiteri ivi impegnati. Prima di tutto, anche la ‘cura pastorale’ in ambienti cristiani va vista come missione evangelizzatrice. Una pastorale di ‘manutenzione’ che si limitasse soltanto alle richieste di servizio religioso che arrivano dai fedeli si rivela qui manifestamente insufficiente. Di conseguenza, bisognerebbe pensare che anche i presbiteri nella ‘missione pastorale’ e nella ‘nuova evangelizzazione’, come quelli che operano sulle frontiere della missione ad gentes, sono, tutti quanti, chiamati ad evangelizzare percorrendo i cammini del dialogo; non basta lamentarsi dicendo che l’uomo di oggi si è chiuso ai valori religiosi e si è allontanato dal Vangelo e dalla vita ecclesiale, bisognerà che noi presbiteri ci domandiamo onestamente se il nostro ministero viaggia sui binari del dialogo (reale capacità di ascolto, uso di un linguaggio che l’ascoltatore capisce, conoscenza dell’esperienza religiosa ed esistenziale degli interlocutori, …) o se ci viaggiamo sui binari di un reale monologo, presumendo comodamente che se la gente non ci capisce tocca a loro cambiare, mentre noi possiamo tranquillamente 23 dossier • La missione ad gentes: verso le persone e contesti umani dove Cristo non è ancora conosciuto come unico Salvatore o dove le comunità cristiane stentano ancora a fare i primi passi; • L’azione o cura pastorale: negli ambienti dove la chiesa è solidamente stabilita e ha bisogno di trovare le strategie e le modalità concrete più adatte per continuare a dare una testimonianza credibile della propria fede nei vari ambiti della propria società, come la famiglia, l’università, i malati, le carceri, la scuola, i giovani, gli operai, gli immigranti,… • La nuova evangelizzazione: che indica tutto un lavoro di autentica evangelizzazione e di riedificazione della chiesa nei contesti umani e geografici di antica tradizione cristiana dove, però, vasti gruppi umani, seppur battezzati, riducono la loro pratica cristiana ai momenti celebrativi con forte capacità di aggregazione sociale (battesimo, matrimonio, funerali) senza che l’esperienza e la celebrazione della fede incidano significativamente in queste celebrazioni, per non parlare della sua quasi totale assenza dalla loro vita quotidiana. dossier continuare a usare il linguaggio e i gesti che a noi sono chiari. A volte, guardando le strategie concrete che usiamo nel nostro ministero si percepisce una forte assenza di spirito missionario. Sembrerebbe quasi che abbiamo invertito la logica del Buon Pastore: istallati nell’ovile insieme alla pecora nº 100, aspettiamo che le 99 smarrite decidano di tornare. Da questo breve sguardo ad alcuni elementi del magistero recente per approfondire il rapporto tra presbitero e missione, si può dire che il Vaticano II ha messo i presbiteri e i vescovi, a capo di tutte le comunità cristiane, sulla strada della missione: è di tutta la chiesa la responsabilità ed il privilegio di annunziare il Vangelo all’umanità intera. Siamo arrivati con la Redemptoris Missio di Giovanni Paolo II all’invito pressante a collocare la missione – lo spirito e le dinamiche tipiche dell’evangelizzazione – nel cuore della vita e del ministero di ogni presbitero, sia egli impegnato ad gentes, nella nuova evangelizzazione o nella cura pastorale. 2. Il presbitero, nel contesto missionario ad gentes. Nel secondo passo di questo contributo, intendo riflettere su alcuni tratti del mio servizio come presbitero missionario in Kenya, con tutti i suoi limiti (non più di 10 anni, tra il 1992 e il 2005). In questo modo penso di rilevare alcuni elementi caratteristici del ministero del presbitero che serve nel contesto dell’evangelizzazione ad gentes. 24 2.1 La Parola al centro. Il decreto conciliare sulla nostra vita e ministero come presbiteri (Presbyterorum Ordinis) presenta, al numero 4, la predicazione della Parola come il ‘primo dovere’ dei presbiteri in quanto collaboratori dei vescovi nell’adempimento del mandato di “annunciare a tutti il Vangelo di Dio” (cfr. 2Cor 11,7). Personalmente, questo compito io l’ho spesso e, credo, progressivamente vissuto come un vero privilegio: disporre di strumenti teorici per approfondire il Vangelo come Parola scritta che porta all’incontro vitale con Colui che è la Parola Incarnata, e poi avere la possibilità di trasmettere questa Parola a tanti altri. Questo cammino di approfondimento e di incontro lo si sperimentava non solo nei momenti di studio e di meditazione, ma soprattutto nei momenti di predicazione, poiché anche questa può diventare una vera esperienza di ciò che ordinariamente si chiama “vivere in Cristo” (cfr. Gal 2,20). Ascoltare la Parola insieme agli altri missionari e missionarie è stato spesso uno sforzo arricchente. La mattinata settimanale di riflessione condivisa sulle letture della Domenica successiva ci faceva scoprire dimensioni nuove nella Parola e nel nostro ministero. Questa complementarietà ministeriale nell’ascolto non era sempre facile, ma spesso ci portava a scoprire nella Parola una freschezza che la meditazione fatta dal punto di vista del ‘predicatore di professione’ rischia di non cogliere. luce che permette loro di capire il Vangelo di Cristo e di vedere come viverlo nella loro realtà concreta. Questo è ancora più vero quando l’ascolto è fatto in un contesto comunitario di riflessione e studio oranti in vista di una sequela più autentica. La Parola ascoltata diventa poi Parola predicata, sia nel contesto liturgico dell’omelia, sia nelle varie attività di catechesi, nella visita alle famiglie, nell’incontro con i malati e quelli che li assistono, ma anche quando si ‘predica senza parole’, cioè nell’esercizio concreto delle varie attività di carità e di solidarietà, come nei vari progetti di promozione umana. In ogni caso, la Parola ascoltata nel contesto concreto della gente e insieme a loro, facilmente diventa dialogo con la loro vita nella quale il Signore risorto risponde nel presente al loro bisogno concreto di salvezza. 2.2 Animatore di ministeri Strettamente collegato al ministero della Parola di cui sopra, è il servizio presbiterale di coordinamento e animazione dei ministeri nella comunità cristiana. La comunità nata dall’ascolto della Parola sente dall’inizio l’imperativo di viverla in tutte le dimensioni dell’esistenza dandone una testimonianza credibile agli altri (cfr. AG 6). Da questa realtà sorge una pluralità di ministeri che lo Spirito suscita . Alcuni di questi sono già stabiliti dalla tradizione plurisecola25 dossier Ancora un altro momento significativo di ascolto comunitario era la partecipazione, in un ruolo che non era di presidenza, agli incontri settimanali della piccole comunità cristiane dove si meditava insieme e si pregava la lettura del Vangelo della domenica successiva. Questo si mostrava spesso di una ricchezza sorprendente, poiché essendo fatto in lingua locale africana, dava alla nostra gente una possibilità reale di portare il Vangelo a ‘contatto diretto’ con la loro vita quotidiana nella baraccopoli dove abitavamo. Non di rado mi trovavo davanti interpretazioni veramente nuove per me, per il semplice fatto che non si trattava qui di meditare il vangelo per insegnare ai poveri, ma si trattava dei poveri che riflettevano sul vangelo dal loro punto di vista, dalle sfide concrete che dovevano affrontare. Inoltre, si meditava e si riesprimeva il Vangelo dal di dentro della loro esperienza religiosa, sempre profondamente segnata dalle credenze tipiche della religione tradizionale africana. L’ascolto comunitario della Parola fatto dai missionari, sia tra di noi, sia con la gente locale, mi sembrava necessario per evitare di cadere in “interpretazioni private” (cfr. 2 Pt 1,20), spesso parziali, in risposta a situazioni, culture e tradizioni religiose, che una persona da sola, per di più uno straniero, non riesce mai a conoscere con sufficiente profondità. L’esperienza confermava ciò che crediamo per fede, cioè che tutti i battezzati ricevono dallo Spirito la dossier re della Chiesa (Catechisti, assistenza ai poveri, ai malati, ministeri collegati alla celebrazione dell’Eucaristia, etc.), altri sorgono come risposta a necessità locali come il ministero della riconciliazione in zone di conflitto latente o attivo, servizi specifici in zone colpite dalla pandemia dell’AIDS (servizi di prevenzione, assistenza fisica e spirituale ai malati, alle loro famiglie, cura degli orfani, etc.). Si noti, almeno di passaggio, che i vari ministeri ecclesiali che servono i malati gravi, sono inseparabili dalla loro assistenza spirituale in un contesto dove la malattia è sempre vissuta come espressione e conseguenza di un male morale e spirituale, proprio o altrui. Al presbitero tocca metter in moto e coordinare, nella comunità locale, il processo di discernimento dei ministeri necessari alla vita e al servizio della comunità. Alcuni di questi ministeri servono al ‘funzionamento della comunità, mentre altri esprimono il servizio e la testimonianza della comunità ad extra. Naturalmente poi, ci vuole spesso una buona dose di immaginazione per creare percorsi di formazione iniziale e di formazione permanente per i nuovi ministri, in particolare quando si tratta di creare espressioni ministeriali nuove; alcune aree che ci hanno richiesto uno sforzo particolare di discernimento e formazione di nuovi ministri: le madri non sposate, le bande giovanili, gli orfani, i raccoglitori di rifiuti, etc. Buona parte del tempo e delle energie del presbitero si spendono nel lavoro di animazione e coordi26 namento di questi ministeri, affinché tutti i membri servano in armonia e nella complementarietà che serve alla crescita dell’unico corpo ecclesiale (1Cor 12, 12 ss). Una Chiesa che nasce e cresce nell’ascolto comunitario della Parola, facilmente sviluppa dinamiche ministeriali ad ogni livello della sua vita cosicché ogni membro diventa un ministro. Ricordo che, in una festa di Pentecoste, durante la celebrazione del sacramento della Cresima, invitavo, secondo la consuetudine locale, ogni cresimando a dichiarare davanti alla comunità il servizio concreto che assumeva tra le molte possibilità che già esistevano; anche una giovane malata grave avanzò a stento appoggiata a due stampelle rozze per dire il suo ministero: “soffrirò per tutti voi e specialmente per i nostri sacerdoti”. Aveva capito il senso di una Chiesa tutta quanta ministeriale. Trovavo particolarmente gratificante vedere persone i cui talenti nascosti venivano scoperti e si sviluppavano precisamente nel contesto di questi ministeri, spesso portando la persona a trovare un nuovo senso della sua dignità umana e cristiana. 2.3 Presiedere l’Eucaristia. È nella celebrazione eucaristica domenicale che la comunità, presieduta dal presbitero, celebra la sua vita come corpo del Signore Risorto e quindi segno e strumento della azione concreta del Suo Spirito nel contesto concreto in cui vive. non in una questione di devozione, si radica il pensiero che nella celebrazione dell’eucaristia, il sacerdote in qualche modo offre anche se stesso come sacrificio al Padre e poi vive questa offerta di sé nelle varie attività quotidiane del suo ministero.5 Il presbitero presidente non può concludere l’eucaristia senza solennemente inviare questo ‘corpo di Cristo qui ed ora’ nel mondo a fare il Suo lavoro. Pronunciare quell’Ite! finale è parte integrante del servizio di chi presiede, nell’eucaristia: è Cristo che invia la sua comunità a portare al mondo l’annuncio del Vangelo e a trasformare quello stesso mondo nella direzione del Suo Regno. Il nostro ‘andate’ pronunciato formalmente al termine della celebrazione viene poi attuato in tutte le iniziative che promuovono l’impegno apostolico di tutti i membri e gruppi della comunità, ciascuno nel suo contesto e secondo i carismi specifici che lo Spirito gli concede. Già il Decreto Ad Gentes (nº 21) riconosceva che soltanto attraverso la parola e l’azione dei laici il Vangelo può veramente penetrare in tutte le sfere della vita concreta della gente. L’efficacia evangelizzatrice delle piccole comunità cristiane e la loro 5 “La carità pastorale non solo scaturisce dall’eucaristia, ma trova nella celebrazione di questa la sua più alta realizzazione, così come dall’eucaristia riceve la grazia e la responsabilità di connotare in senso “sacrificale” la sua intera esistenza.” (Giovanni Paolo II, Pastores Dabo Vobis, 23). Cfr. Presbyterorum Ordinis, 14. 27 dossier Di nuovo, tocca al presbitero assicurarsi che nella celebrazione dell’eucaristia, la vita concreta del Corpo di Cristo così come egli vive ‘qui e ora’, sia celebrata e resa visibile in tutta la sua ricchezza. Siccome bisognava gestire il tempo in modo tale che la celebrazione non durasse oltre l’ora e mezza assegnata, si cercava di distribuire la manifestazione degli aspetti più importanti della vita ecclesiale localmente vissuta, nell’arco delle celebrazioni dell’anno liturgico. La celebrazione del Corpo di Cristo sacramentale nei segni del pane e del vino è inseparabile dalla vita concreta della comunità locale, corpo di Cristo nella storia. Donde il bisogno costante di attivare e coordinare il processo necessario e inevitabile dell’inculturazione nella liturgia. Le due coordinate da tenere sempre presenti erano la reale comunione di fede e di rituale con il ‘corpo universale’ di Cristo e, allo stesso tempo, la fedeltà alla vita concreta di questo stesso ‘corpo’ nella sua espressione locale. Ma il servizio presbiterale di presidenza non si può ridurre alle strategie organizzative della celebrazione; al cuore di tale servizio sta il fatto che il presbitero preside in persona Christi; nella sua persona concreta, consacrata dal sacramento dell’Ordine, è Cristo che si manifesta e agisce come capo che offre la sua vita sulla croce per la vita di tutto il suo corpo ecclesiale (cfr. Col 1,18 ss; Ef 5,23 ss). Si può dire che proprio in questa realtà, e dossier forza missionaria di convocazione confermano pienamente questa intuizione del Vaticano II. Infatti sono ancora oggi le stesse piccole comunità cristiane, circa cento nella nostra parrocchia, che invitano o semplicemente attirano i circa 200 adulti e giovani che ogni anno chiedono di essere ammessi al catecumenato. Il servizio presbiterale di presiedere all’eucaristia si trova, quindi, al termine del cammino che la comunità locale inizia e continua nell’ascolto della Parola, ma è, allo stesso tempo il punto di partenza e la base dell’impegno missionario della stessa comunità locale. Bisogna infine menzionare che l’immagine del prete missionario che parte per un paese lontano dove non ci sono cristiani e dove lui, da solo, incomincia ad annunciare il Vangelo, non corrisponde oggi alla realtà del servizio missionario. Ai nostri giorni, ci sono dappertutto delle comunità cristiane, anche se in tante zone del mondo ancora piccolissime. E anche quando si inizia in una nuova zona, il presbitero parte sempre accompagnato. Non solo per convenienza di organizzazione pratica, ma proprio perché abbiamo riscoperto l’importanza dell’essere inviati ‘due a due’ (Mc 6,7) per garantire un minimo di autenticità all’apostolato missionario. Se negli anni subito dopo il Concilio, l’impegno per lo sviluppo nei paesi che si chiamavano ‘terzo mondo’ era una caratteristica centrale del servizio missionario di 28 tutti6 e quindi anche di quello del presbitero, oggi è il dialogo la grande sfida da affrontare nello sforzo di offrire il vangelo ai non credenti e ai credenti di altre tradizioni religiose: non solo perché altre religioni hanno riscoperto il loro dirittodovere missionario, ma perché anche noi cristiani stiamo, seppur lentamente, scoprendo il valore teologico e le immense ricchezze spirituali che lo Spirito di Dio ha seminato nelle altre religioni. L’Evangelizzazione diventa sempre più un dialogo con articolazioni multiformi tra il vangelo di Cristo come lo vive la comunità dei missionari e quei valori culturali e religiosi che lo Spirito dello stesso Cristo ha già offerto agli ascoltatori nelle loro recenti o antiche tradizioni.7 Qui il servizio presbiterale di predicazione della Parola assume delle connotazioni nuove e apre nuove possibilità di arricchimento anche alla tradizione cristiana (cfr. AG 22; Red Miss 52). 6 Si veda un’autorevole espressione di questa enfasi nei discorsi di Paolo VI ai vescovi del SECAM e alle autorità civili a Kampala, il 31 luglio 1969, durante il suo viaggio apostolico in Uganda (AAS 61 (1969) pp. 572 ss). 7 Si veda a questo riguardo quanto dice un interessante documento pubblicato immediatamente dopo la Redemptoris Missio: Pontificio Consiglio per il dialogo Interreligioso e Congregazione per L’Evangelizzazione dei Popoli, Istruzione Dialogo e annuncio: Riflessioni e orientamenti sull’annuncio del Vangelo e il dialogo interreligioso, 19 maggio 1991 (Il testo integrale si trova nell’AAS 84(1992), 414-446; ibid. 1263, e anche nella raccolta Enchiridion della Chiesa Missionaria, nº1940-2039. Riflessione conclusiva Fernando Domingues, mccj Rettore Pontificio Collegio Urbano dossier Già la Redemptoris Missio (nº 34) indicava la difficoltà di stabilire dei confini nettamente definibili tra le zone geografiche e umane di Cura Pastorale, quelle di Nuova Evangelizzazione, e quelle della Missione ad Gentes. Questi confini sembrano ancora più difficili da vedere oggi per quanto riguarda la vita e ministero dei presbiteri che operano in questi tre ambiti, poiché le dinamiche tipiche del ministero presbiterale nella missione ad Gentes si manifestano sempre più necessarie anche negli altri due ambiti. I movimenti migratori oramai presenti in tutto il mondo ci fanno trovare nei paesi tradizionalmente conosciuti come cristiani vaste popolazioni mai evangelizzate. Allo stesso tempo, in questi stessi paesi, forse non è esagerato dire che la stragrande maggioranza della popolazione autoctone ha abbandonato la vita ecclesiale e in buona parte anche la fede cristiana. Un presbitero che volesse oggi limitare il suo ministero strettamente alla cura pastorale dei cattolici che regolarmente trova in Chiesa nelle celebrazioni domenicali mi sembra, a dir poco, che vive in una situazione di grave anacronismo, e questo si applica a qualsiasi paese del mondo d’oggi. Se ogni presbitero, in forza della sua stessa identità e del ministero che gli è stato affidato come ‘collaboratore del ministero apostolico’, è un proclamatore della Parola del Vangelo e uno che edifica la Chiesa nel mondo verso l’Eucaristia e dal- l’Eucaristia, allora è molto difficile immaginare una situazione nella quale un presbitero non abbia bisogno di mettere in moto le dinamiche di evangelizzazione tipiche della missione ad gentes. Coltivare lo spirito missionario nella vita e nel servizio di tutti i presbiteri non solo ci sembra necessario oggi in ogni parte del mondo, ma ci aiuterà anche a ritrovare la gioia della nostra identità che è essenzialmente apostolica. 29 Ministeri laici: una prospettiva missionaria dossier di Vito del Prete In questo tempo di trasformazione epocale si avvertono maggiormente la necessità e l’urgenza di dell’evangelizzazione, perché crediamo che la energia della Parola di Dio, Cristo, sia la sola capace di offrire la salvezza integrale all’umanità e di operare la comunione di tutti i popoli. La Chiesa perciò si è riscoperta ministra e serva del mondo, spostando l’attenzione da se stessa, per rivolgerla verso l’umanità, destinataria della salvezza”. Ed è il mondo nel suo insieme che Dio vuole salvare. In questo mondo in cui Dio agisce, la Chiesa deve servire questa Sua presenza e azione attraverso tutti i suoi membri, ed essere il segno e lo strumento privilegiato di cui Egli si serve per portare l’uomo a scoprire il suo vero essere e a riconoscere il suo vero destino. A questa missione è chiamato tutto il Popolo di Dio nella sua interezza: vescovi, cui è stato consegnato direttamente il mandato di evangelizzazione alle genti, i preti e i religiosi, la cui vocazione ha una dimensione e connotazione missionaria e il laici/e, che con il battesimo sono resi un popolo santo, consacrato alla missione. “Essi vengono consacrati a formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, e far conoscere i prodigi di Colui che dalle 30 tenebre li chiamò all’ammirabile luce” (LG. N.10). Non vi possono essere alibi per questa comune vocazione missionaria. “vige infatti fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il Corpo di Cristo.” (LG. 32). Ogni fedele laico dunque è insieme testimone e vivo strumento della stessa missione della Chiesa “secondo la misura con cui Cristo gli ha dato il suo dono” (Ef. 4,7) (LG. n. 33). È una chiamata diretta di Cristo alla corresponsabilità della missione, nella molteplicità dei doni dello Spirito e dei bisogni dell’umanità. Tutti i membri della Chiesa devono operare ma in sinergia, ognuno conservando e autenticando la propria vocazione, non in contrapposizione, ma in comunione e corresponsabilità della missione. “Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte” (1Cor. 12, 27). È quindi la comunità cristiana il luogo dove lo Spirito continua a manifestarsi (1 Cor. 14) con una ricchezza di carismi. È lo Spirito che dà la responsabilità autorevole alla missione. È lo Spirito che rende efficaci i ministeri necessari alla missione, li unisce, li ordina, e li preserva. RM XXII (2006) 2, pp. 30-39 1. Ministeri per la missione evangelizzatrice 1.1. Essa normalmente è una minoranza sparuta in mezzo a milioni di persone di altre fedi. Per questo è chiamata continuamente ad autenticare la propria fede, di cui deve dare ragione a coloro che non credono in Cristo. Deve cioè testimoniare la specificità del messaggio cristiano, per mostrarne la differenza dalle altre fedi religiose e ideologie, quasi a realizzare una comunità alternativa, che si fonda sui vincoli di comunione, giustizia, solidarietà, amore. 1.2. Essa, lì dove si trova in paesi poveri, parte dagli ultimi, emarginati, poveri e oppressi, dovunque essi si trovano, vicini e lontani. Si mette da parte dei perdenti di questo mondo, per dare loro dignità e speranza. Questa scelta, che è condivisione, non ha significato di strategia apostolica, ma è espressione necessaria del Vangelo, che comanda di 31 dossier Essi sono segni concreti ed efficaci della carità di Cristo e attraverso cui l’unico Spirito dona ad ogni fedele la chiamata e la responsabilità della missione, nel processo della nuova creazione, cui tende tutta l’attività della Chiesa. Possiamo dire che la missione evangelizzatrice è la fonte creatrice e innovatrice di ministeri. ed è sulla missione che la ministerialità dei laici sta o cade. Lì dove la Chiesa è realmente al servizio del Regno, dove si trova realmente nello stato di missione, là lo Spirito di Dio suscita i ministeri necessari. Essi perciò sono molteplici come ricca e molteplice sarà la nuova creazione. Non possono essere limitati e fissati una volta per sempre. Le Chiese sperimentano che senza la effettiva opera di evangelizzazione ogni acquisizione teorica sulla natura e corresponsabilità del laicato si rivela in partenza vana e sterile, restando allo stato di soli principi. Certo vi abbondano ministeri intraecclesiali, in relazione ai bisogni veri o presunti, finalizzati al mantenimento e benessere della comunità cristiana. Questo capita specialmente nelle Chiese antiche, dove pure vi è una coscienza ministeriale, ma che trova sbocco prevalentemente nei ministeri liturgici e catechetici. È nelle chiese “missionarie”, di quelle, che in un certo qual senso si trovano nella condizione delle prime comunità cristiane, minoranze sparse nell’Impero Romano, che si aprono nuovi orizzonti ministeriali, con il riconoscimento di compiti di responsabilità a tutte le forme di vita cristiana, per calare l’annuncio di Gesù Cristo nella loro società, e metterla in contatto dinamico e salvifico con le realtà umane e cosmiche. È lì che si manifesta più chiaramente l’indole secolare della Chiesa, chiamata a condividere il cammino storico e il destino della società, ad essere sacramento e mezzo di comunione tra Dio e l’umanità. Difatti la Chiesa “in missione” presenta caratteristiche tali da esigere il sorgere e l’impiego di svariati ministeri. dossier partire dagli ultimi. La comunità cristiana, povera essa stessa, si rivolge ai poveri di tutte le specie, caricandosi dei loro problemi, e lavorando perché le loro sofferenze e privazioni siano alleviate. È chiamata a fare molte volte opere di supplenza, per la carenza o il malfunzionamento delle strutture statali o sociali, ma con un cuore che batte come il cuore del Padre. 1.3. La comunità cristiana è spinta dalle situazioni ad esercitare fortemente il suo ruolo profetico. È come una sentinella, che è sensibile a tutto quanto offende la dignità degli uomini. Indifesa essa stessa, in quanto non oggetto di garanzie o privilegi dalle strutture statali o civili, è soggetta a persecuzioni e restrizioni, ma non rinuncia alla sua fedeltà a Dio e all’uomo. La icona adottata dalle chiese asiatiche è quella della chiesa serva sofferente ad imitazione del servo sofferente di Iawhè. 1.4. La comunità cristiana si deve mettere in dialogo con tutta la realtà esistente, le culture e le religioni. Lavora per creare ponti di comunione con tutti, innestando valori religiosi e sociali in vista di una fraternità e solidarietà universali. 1.5. La comunità cristiana deve incarnarsi nella realtà in cui è presente, perché il messaggio che testimonia e annuncia sia percettibile, comprensibile, significativo ed efficace. L’inculturazione, o la re-inculturazione diventa una necessità per l’evangelizzazione. 32 1.6. La comunità cristiana sente la necessità di presentare un’immagine completa di Chiesa, che comprenda la totalità del Popolo di Dio, e non solo vescovi, clero e religiosi. In questo senso Le è più facile svestirsi di clericalismo, e riconoscere nei fatti la dimensione vocazionale missionaria e ministeriale del popolo di Dio. E non solo ministeri a servizio della comunità cristiana, in relazione ai sacramenti o catechesi, ma ministeri veramente laicali, in linea con la missione messianica di Cristo. L’area o le aree del ministero laicale possono essere sintetizzate dalle tre parole che erano scritte su un grande poster pendente dalla facciata del Centro Diocesano Pastorale di Loikaw (Birmania): Worshipping, witnessing evangelizing community: comunità che adora, che testimonia e che evangelizza. Sulla scia di queste tre note cercherò di presentare i ministeri laicali di cui sono dotate le giovani chiese di missione. 2. Una Comunità che adora e celebra 2.1. Significato della liturgia Sparse tra le Genti, le chiese di missione si sentono chiamate a rendere lode a Dio in Cristo Gesù a nome della società nella quale sono presenti. Nel culto esse proclamano il Vangelo, rispondono alla liberazione sperimentata, battezzano per un nuovo inizio della creazione, e anticipano il Regno di Dio con la celebrazione del memoriale della 2.2. Ministeri liturgici e catechetici Ma, proprio in quanto disperse su vasti territori, queste comunità non hanno la possibilità e la gioia di celebrare con la grande comunità il mistero di salvezza di Dio in Cristo. Se è vero che la liturgia e la fonte e il culmine della vita cristiana, bisogna non solo trovare i modi per venire incontro a questa esigenza fondamentale della comunità, ma anche ripensare il modello e immagine di Chiesa. Questo ha messo in moto una riflessione teologica e una prassi pastorale, che si sono concretizzate poi nella costituzione di comunità ecclesiali di base (variamente denominate dalle chiese dei vari continenti) e il sorgere e l’attivazione di ministeri laicali, di cui sentiamo parlare con entusiasmo le giovani chiese. I ministeri liturgici non sorgono per abbellire, affastellando di ministranti, la coreografia dell’altare, quasi fosse una sacra rappresentazione, come spesso ci capita di vedere nelle nostre chiese. Né si tratta di ministri straordinari dell’Eucaristia, che si presentano all’altare per riempire la loro teca di ostie da portare ogni primo venerdì agli ammalati. Essi nascono dalla necessità di rendere possibile la celebrazione della Parola e la partecipazione ai sacramenti delle comunità cristiane, che altrimenti ne resterebbero prive. Sorgono così i Prayer Leaders. Essi fungono di fatto come capi delle comunità cristiane, di cui non rare volte sono stati i primi evangelizzatori, per tutto ciò che è compete loro come ministri laici. Sono incaricati del culto, della vita di preghiera, della catechesi, della preparazione ai sacramenti, e della convocazione e celebrazione della litur33 dossier morte e risurrezione di Cristo. Ma le loro celebrazioni sono intrise e pervase dalla presenza e dal ricordo della sofferenza, povertà, e persecuzione, dai drammi della loro società. La gioia delle loro celebrazioni è accompagnata dai sospiri della creazione che geme nelle doglie del parto. Si sentono come degli esuli in terra straniera e come il salmista, si chiedono “Come possiamo cantare i canti del Signore in terra straniera?”. Le celebrazioni liturgiche delle comunità africane, e di quelle asiatiche, con i loro ritmi e canti, inneggianti alla vita nuova di tutti gli esseri e del mondo intero in Cristo, hanno sempre questa nostalgia, questo rimpianto di una vera redenzione, che deve ancora avvenire. Ecco perché esse in Asia si identificano con il Servo Sofferente e in Africa con il Cireneo, costretto a mettersi sulle spalle la croce di Cristo. Il Regno di giustizia, di amore e di pace è già venuto in Cristo, ma deve essere realizzato per tutta l’umanità, ma nel segno e sotto la croce di Cristo, per continuare la sua missione messianica. Per questo la celebrazione del mistero cristiano li spinge immediatamente sulle vie della missione. La liturgia li forma e li mette immediatamente sulle strade della missione. dossier gia domenicale e festiva. Sono inoltre il punto di riferimento autorevole per i problemi quotidiani della comunità. Essi assumono varie denominazioni, dipendenti dal cammino e dalle particolarità delle Chiese locali: nelle Chiese dell’America Latina svolgono le funzioni di quasi parroci; in Asia di Prayer Leaders, in Africa di capi di comunità. Però vi sono delle note comuni a tutti: essi agiscono in comunione con la Chiesa, in un contesto di pastorale di insieme, sono scelti e designati dalla comunità, con nomina da parte del vescovo, cui tocca far il discernimento degli i carismi e dare il mandato di esercitarli. Ma tutto questo resterebbe una mera possibilità se non si provvedesse alla loro formazione umana, spirituale e teologica, di quella teologia che è penetrazione e assimilazione della Parola di Dio. Quasi ogni diocesi si è dotata di un centro catechetico in cui risiedono questi ministri, che, con le loro famiglie vanno attraverso un vero itinerario formativo che dura mesi, qualche volta un anno, fatto di vita comunitaria, di preghiera, di studio della Parola di Dio, e di acquisizione di tutte quelle conoscenze necessarie al loro impegno pastorale. Ad esso ritornano per degli stages periodici, e per pianificare con i responsabili diocesani la pastorale d’insieme. 3. Comunità che testimonia Alla chiesa, da Cristo agli apostoli fino ad oggi, è stata data la 34 missione di testimoniare. Per questo missione acquista l’esatta valenza di testimonianza. Il Cristianesimo è storia, che si concretizza in persone, gesti ed eventi e il suo contenuto salvifico è fatto presente attraverso la vita personale e comunitaria dei credenti, che sono il motivo di credibilità, e l’unica maniera in cui i non cristiani e i non credenti possano incontrare oggi il Cristo. Questo non è un aspetto marginale, scontato, e moralistico della vocazione e missione laicale. Costituisce piuttosto il punto nevralgico della missione della Chiesa, oggi. Toglie il cristianesimo dalla sfera puramente cultuale, e ne fa emergere la forza del messaggio capace di innestarsi e trasformare la società nella sua visione e stili di vita, nei punti di interesse, nel lavoro, tempo libero, tecnologia, educazione, famiglia. È qui che esso assume come modalità della missione le categorie usate nel Vangelo: lievito, sale, luce, che fa fermentare, dà sapore e preserva, illumina di una nuova realtà la cultura e le culture della società, in una parola la loro vita con le loro istituzioni. Spetta specialmente ai laici la missione di immettere la cultura di Dio alle radici di tutte e ogni realtà umana. in un momento in cui le ideologie si sono rivelate caduche, e i messaggi e le parole hanno perso il loro valore semantico. Prima di “fare” la missione, i laici si devono mettere sulle orme di Cristo, vivendo gli imperativi del Regno. Solo attraverso la testimonianza dei laici, figure non le della società, di modo che non sia o appaia come un corpo estraneo. Se manca questa dimensione, il cristianesimo, e la religione in genere, sono confinati nell’area sacra, cultuale. 4. Comunità che evangelizza Le comunità cristiane danno forma al Vangelo nel cuore dell’esistenza umana. Non sono autoreferenziali né si riducono esclusivamente a Centri di servizi, come certa letteratura missionaria ama presentare. Lo stato di missione e la necessità dell’evangelizzazione impediscono a quelle comunità di ripiegarsi su se stesse. L’evangelizzazione fa alzare loro lo sguardo verso il largo, sul mare vasto del mondo, gettare le reti affinché ogni uomo incontri la persona di Gesù, che tutti rinnova. La missione lancia i laici nel cuore dell’esistenza umana per svolgere quell’umile servizio necessario all’umanità, con il portare la salvezza di Cristo per una sua liberazione integrale. I laici diventano corresponsabili della missione, impegnati nell’areopago complesso e multiforme da evangelizzare, che è il mondo. Le giovani chiese hanno sviluppato una fantasia ministeriale, per rispondere ai bisogni della società. 4.1. Ministri dell’annuncio Uno ministero di cui poco si parla e che andrebbe incrementato è quello dell’evangelizzazione, presente specialmente nel Sud Est 35 dossier istituzionali, il cristianesimo acquista valenza di religione omnicomprensiva della vita. Questo è urgente nel momento presente, in cui il cristianesimo, per dirla in termini pugilistici, è ridotto all’angolo del ring dalle strutture e potenze di questo mondo, come dice S. Paolo. Aspetto fondamentale che non va ignorato, perché esso rende vive le chiese di missione, e ne costituisce la molla propulsiva per il fiorire di ministeri, che senza questa testimonianza fino allo spargimento di sangue, si ridurrebbero a mere funzioni. Sappiamo bene quanto sia diffusa questa ministerialità. L’America Latina non si deve conoscere solo per la teologia o teologie della liberazione, ma per tutti quegli innumerevoli uomini e donne che per Cristo e per la dignità dell’uomo hanno versato e continuano a versare il sangue. Nell’Asia, le comunità, benché irrilevanti come numero e influenza sociale, sono note veramente come il lievito e sale della terra: sono conosciute come quelle che devono praticare la giustizia, l’amore, il perdono. In tempi di rivoluzioni violente e di conflitti, i credenti di altre religiosi sanno che presso di loro possono trovare rifugio e protezione. Sono affidabili. Sono per la cultura della vita contro le forze della morte. Sono come l’anima del mondo. Realizza quel processo di inculturazione così necessario oggi. Soggetto dell’inculturazione è la comunità cristiana, che, seminata dal Vangelo, ne vive e matura i valori secondo l’ambiente sociale, cultura- dossier Asiatico (Bangladesh, India, Myanmar). Laici di ogni età ed estrazione sociale ricevono il mandato specifico di portare il primo annuncio. In Myanmar (ex-Birmania) questo ministero è esploso a livello di Chiesa Nazionale. Ogni diocesi chiede ai fedeli, specialmente ai giovani, di dedicare almeno da 3-6 anni della loro vita all’annuncio del Vangelo, a disposizione del rispettivo vescovo, con la disponibilità di andare dovunque Egli comanda. Sono centinaia e centinaia di giovani che si presentano e vengono scelti. Sono inviati nelle zone più remote e difficili della diocesi, in ambienti totalmente non cristiani, dove vivono con la gente, in atteggiamento di umile servizio. Non pochi tra loro hanno perso la giovane vita in quei luoghi, come è il caso di due ragazze che preferirono privarsi della loro dose di chinino, per darlo ad altri malati affetti da malaria. Perché possano rendere ragione della loro fede a chi lo chiede, vi sono centri di formazione, sia diocesani sia nazionali, quali quello di Bangalore, Dehli, Dacca, Rangoon, Manila,ecc. Uno di essi, che ha riaperto i battenti dopo qualche anno di chiusura forzata per minacce ricevute da fondamentalisti islamici, è L’Euntes Asian Center, a Zamboanga, in Mindanao (Filippine), dove vengono inviati dalle diocesi asiatiche laici per formarsi a svolgere il ministero di evangelizzazione. Ministri dell’annuncio sono i catechisti, termine che tradisce la vera realtà del loro impegno, che è rivolto prevalentemente ai non cristiani. 36 Essi infatti non sono impegnati nella catechesi, bensì nel prendere contatto, dialogare e illuminare i non cristiani sulla realtà del cristianesimo. Senza di loro, la proclamazione del Vangelo sarebbe enormemente ridotta. Essi in realtà sono i veri annunciatori. 4.2. Ministri del regno Questa è l’area in cui più numerosi sono fioriti i multiformi ministeri laicali, perché le chiese missionarie, testimoniando il Vangelo del Regno, rendono nuova l’intera società. Lo sviluppo e la promozione umana costituiscono, specialmente nei paesi emergenti, un immenso areopago dell’evangelizzazione che apre infinite forme ministeriali per i laici. Alcune sono di supplenza là dove le strutture dello stato e della società sono assenti o corrotte; altre di costruzione alternativa ai modelli economici e culturali imperanti; altre di pura e mera condivisione di vita con le fasce più emarginate e disprezzate; altre ancora nel segno della coscientizzazione e della gestione della cosa pubblica, la politica. Il ministero della salute è divenuto uno dei più necessari, in certe situazioni tragiche. Prendi alcune diocesi del Malawi, dove la gente affetta dal virus dell’AIDS raggiunge anche il 50% della popolazione. Qui è sorto il ministero istituito della sanità, che ha come sua missione specifica non solo di interessarsi perché gli ammalati vengano curati, ma anche di creare una mentalità giusta riguardo alla stessa ma- Non mi riferisco con questo alla rete delle scuole cattoliche, di ogni ordine e grado, esistenti nei paesi del Terzo Mondo, che suppliscono alle gravi carenze dello Stato, ma all’azione educatrice ed evangelizzante di fasce di popolazioni. È il caso della condizione della donna, i cui diritti fondamentali sono ignorati e conculcati in gran parte del mondo. Nelle chiese africane è presente il ministero dell’educazione femminile, affidato prevalentemente alle donne. Esso mira a trasformarne il modello culturale discriminatorio e punitivo presente in molte società. Suo compito è rendere coscienti le donne della loro dignità e della posizione che spetta loro nella società, e creare allo stesso tempo le condizioni socio-economiche perché questo principio teorico divenga effettivo. Anche se non si può parlare sempre di ministeri istituiti, possiamo in ogni caso affermare che la Chiesa alle frontiere dell’umanità coinvolge il laicato nella corresponsabilità della missione. Certamente le condizioni socio-economiche hanno la loro parte in questo processo. Contemporaneamente i presbiteri vanno prendendo sempre più coscienza che devono ritrovare e autenticare la identità del loro ministero ordinato, e che non è possibile assommare in se stessi tutti i ministeri della comunità. Essi si vanno riscoprendo sempre di più come formatori e coordinatori dei servizi ministeriali della comunità. Solo così la chiesa può divenire la serva umile dell’umanità, e, come sentinella vigile, esercita la sua mis37 dossier lattia, che non è una maledizione di Dio, nè costituisce il segno automatico di una condotta immorale, che come marchio si stampa sulla fronte degli infetti. Attraverso una sistematica efficace azione pastorale questi ministri laici stanno rinnovando la comunità cristiana e la stessa mentalità della gente. La comunità cristiana è stata resa cosciente che quegli ammalati sono persone non condannate da Dio e che hanno bisogno non di essere discriminate e isolate, ma dell’affetto e dell’aiuto di tutta la comunità, per venire incontro ai gravi problemi che genera quest’epidemia, quali la riduzione delle famiglie a povertà totale, l’abbandono dei bambini orfani che non possono essere presi in cura, secondo la cultura africana, dalle altre famiglie, perché anch’esse nella stessa condizione e non ultimo il peggioramento della condizione della donna, che oltre a subire violenza, è ritenuta la colpevole di tutto. La comunità cristiana riscopre di essere famiglia, legata da vincoli di comunione e di solidarietà, approfondisce e assimila il messaggio cristiano, che parla principalmente dell’Amore di Dio, che si è manifestato nella croce di Cristo, lavora perché vengano superati i pregiudizi ed i tabù, e acquista poco alla volta la libertà dei Figli amati da Dio. Quest’azione pastorale sta rinnovando la fede e la carità delle comunità cristiane, coinvolge le altre dimensioni pastorali delle diocesi e trasforma la società. L’educazione è l’altra area in cui sono impegnati fortemente i laici. dossier sione profetica, e orienta la storia verso il cammino della realizzazione del Regno di Dio. La chiesa non è chiamata a giudicare, ma ad amare l’umanità. L’essere ministri di Cristo è una vocazione di amore a Dio per il servizio dei fratelli e sorelle, che sono suoi figli. Solo chi ama, assume il ministero dell’evangelizzazione, specialmente agli ultimi della terra, che Dio non ha mai abbandonato, ma li ha illuminati attraverso i loro cammini storici con la luce del Verbo. La Chiesa deve sviluppare la capacità di vedere quanto lo Spirito ha già operato ed opera nell’umanità. Si richiede perciò l’attività e la spiritualità del dialogo, di cui deve essere intrisa la personalità cristiana dei fedeli di Cristo, chiamati ad essere segno e strumento di comunione tra gli uomini, a scoprire o a far emergere le forze vitali, trainanti della piena realizzazione umana secondo il piano amorevole di Dio. Il ministero del dialogo interreligioso e interculturale non è precluso ai laici. Quelli che tra di loro hanno ricevuto questo dono dallo Spirito devono impegnarsi, specialmente in questo tempo di contrapposizioni e di conflitti culturali e religiosi, a far emergere il vero volto di Dio, che in Cristo si è rivelato un nome di pace, di giustizia e di misericordia. Benché la spiritualità del dialogo e il dialogo di vita appartengano a tutti i fedeli di Cristo, pure alcuni tra la comunità cristiana sono incaricati in maniera tutta particolare. In Asia vi sono centri, che preparano i laici per questo ministero, quali 38 il Silsillah, che ha sede in Zamboanga, nelle Filippine, che ha come sua finalità il dialogo islamico-cristiano. È un organismo di cui fanno parte cattolici e mussulmani, che nella riflessione, nella preghiera e nello studio dei rispettivi Libri Sacri si confrontano e si incontrano sui valori autenticamente religiosi, e insieme organizzano stage di dialogo per i fedeli delle due religioni. Inoltre sono ancora essi che si mettono insieme per progetti di sviluppo e della promozione della dignità della persona umana in quel luogo delle Filippine, piagato dalla violenza politica e religiosa. Un altro centro simile è in India, a New Dehli per il dialogo Indù-cristiano, un altro a Tokio per il dialogo buddista-cristiano. 5. Pastorale d’insieme Riconoscimento e responsabilità ministeriale non significano autonomia e indipendenza. I laici fanno parte del Corpo che è la Chiesa, e devono interagire con tutte le forze ecclesiali in una progettualità pastorale missionaria comune, secondo i doni specifici che lo Spirito conferisce loro. Secondo la Redemptoris Missio, infatti, cura pastorale, missio ad Gentes e nuova evangelizzazione hanno stretti legami di interdipendenza, essendo intimamente connesse. Essi sorgono, attingono forze e vigore dalla comunità cristiana, che ne determina gli ambiti, le priorità, e la progettualità del loro impegno. Essi fioriscono di più dove è in vigore un modello di dossier Chiesa –comunione, che si esprime e si concretizza nelle comunità ecclesiali di base, qualunque denominazioni esse assumano, nelle chiese dell’ America Latina, dell’Asia o dell’Africa. Spesso ministeri laicali e ministeri ordinati insieme formano veri team pastorali, che vivono anche in comunità, ognuno però operando secondo la specificità del suo carisma ministeriale. Essi attingono forze e vigore dalla comunità cristiana, ma anche gli ambiti, le priorità, i progetti del loro impegno. Sono un continuo stimolo alla comunità parrocchiale, perché non perda di vista la missione, allo stesso tempo orientano e vivificano in senso missionario tutte le altre attività ecclesiali, liturgia, catechesi. E si avvera il caso che la missione è generatrice di comunione. Vito Del Prete Facoltà di Missiologia 39 Il contributo dei movimenti ecclesiali alla missione nel XX secolo di Fidel González Fernández mccj dossier 1. Il fenomeno dei movimenti ecclesiali nel ventesimo secolo Il periodo della vita della Chiesa che si apre dopo la prima guerra mondiale registra la nascita di numerosi movimenti di rinnovamento cristiano e una pluralità di forme di vita consacrata e di presenza cristiana nel mondo, un mondo oramai sempre più pagano. Volendo studiare tale periodo storico e i fenomeni ad esso connessi, potrebbe essere utile una sua suddivisione, basata su criteri di storia canonica: questa suddivisione distinguerebbe una prima parte, che va dalla codificazione del 1917 al 1948, da una seconda che va dal 1948 al 1983. Tale criterio si collega, in qualche modo, anche ad eventi che caratterizzano più da vicino la storia civile: secondo questa prospettiva, andrebbero distinte una prima fase, compresa fra le due guerre, e una seconda fase, che si avvia con la seconda guerra mondiale e che, nelle sue diverse realtà e problematiche, arriva fino a noi. Quest’epoca si presenta estremamente complessa sia dal punto di vista della storia civile che di quella ecclesiale. Nella storia canonica si assiste alla nascita dei cosiddetti “istituti secolari” e di altre realtà ecclesiali, che si fanno strada faticosamente nell’assetto giuridico della Chiesa. È questa l’epoca in cui muo40 vono i primi passi gli attuali “movimenti ecclesiali” nel senso dato oggi a questo termine. Per capire il fenomeno, bisognerebbe studiare la situazione del nostro mondo: “la fine dell’epoca moderna, di cui parlava Romano Guardini nel 1925, e la nascita della cosiddetta “postmodernità”1. Non è nostro compito esaminare realtà, fisionomia e teologia dei movimenti ecclesiali. Vogliamo ricordare semplicemente quanto il fondatore di Comunione e Liberazione ha scritto in proposito, accennando ai fattori determinanti e costitutivi di un movimento ecclesiale: “Il primo fattore costitutivo di un movimento è l’imbattersi della persona in una diversità umana, in una realtà umana diversa. Il movimento è il dilatarsi di un avvenimento, dell’avvenimento di Cristo. Ma come si dilata tale avvenimento? qual è cioè il fenomeno iniziale, originale, per cui della gente rimane colpita e attratta e si coagula? È una catechesi...? No, ogni catechesi viene dopo, strumento di sviluppo di qualcosa che viene prima. La modalità con cui il movimento – l’avvenimento cristiano – diventa presente – l’imbattersi in una 1 Cfr. F. GONZALEZ FERNANDEZ, Annunciare Cristo all’Europa. Europa tra dimenticanza e memoria, ISTRA, Milano 1991, 11-66. RM XXII (2006) 2, pp. 40-54 diversità umana, in una realtà umana diversa, che ci colpisce e ci attrae perché – sotterraneamente, confusamente, oppure chiaramente – corrisponde a un’attesa costitutiva del nostro essere, alle esigenze originali del cuore umano”2. L. GIUSSANI, È se opera, in “30 Giorni”, 2 febbraio 1994, 43-44. 2 3 L. MOREIRA NEVES, “I movimenti nella Chiesa oggi, in ‘I movimenti nella Chiesa negli anni’80”, Jaca Book, Milano 1982, 166. 4 E. SASTRE SANTOS, La vita religiosa nella vita della Chiesa e della Società, Ancora, Milano 1997, 893-993. 41 dossier Il fenomeno della fioritura di movimenti nella Chiesa è quindi una realtà che accompagna la comunità ecclesiale fin dal suo nascere. Pur in contesti ecclesiali profondamente diversi, il fenomeno di cui abbiamo parlato impone la sua presenza. Si può discutere anche sulla terminologia da adottare per descrivere il fenomeno: esso infatti non si manifesta sempre nello stesso modo, ma varia a seconda delle epoche. Da un punto di vista canonico, ad esempio, prende forme e strutture assai diverse. Ma esso certamente investe di volta in volta tutto il popolo di Dio con la massima tempestività. Quindi, pur nella sua apparente disomogeneità e discontinuità, ha qualcosa di comune lungo tutte le epoche. Attorno a figure cristiane fortemente segnate da carismi specifici, spesso non membri della gerarchia ecclesiastica ma sempre in comunione con essa, numerosi Christifideles si trovano “congregati intorno ad un ideale evangelico, a beneficio, non solo della propria vita cristiana, ma dell’intera comunità ecclesiale. Molti periodi della storia della Chiesa hanno visto nascere tali mo- vimenti”3. Ogni epoca della storia della Chiesa conosce veri movimenti ecclesiali, che si manifestano come risposta tempestiva ai bisogni dei tempi e che fioriscono in svariate forme. Spesso danno anche origine a ordini religiosi, ad aggregazioni o a fraternità e compagnie di preti e laici e di donne consacrate o meno nella verginità. Bisogna notare che le forme di queste realtà comunionali non sono sempre identiche e, proprio per questo, hanno spesso difficoltà a trovare una collocazione specifica nel diritto canonico del tempo. Ciò nonostante, tutti questi movimenti si rivelano estremamente incisivi nella vita e nell’attività della Chiesa. Lo storico del diritto della vita religiosa E. Sastre descrive in una delle sue opere le origini e le diverse modalità di nascita degli Istituti di perfezione all’interno della Chiesa;4 ciò che maggiormente colpisce è la pluralità di forme di vita consacrata nate negli ultimi due secoli, in un periodo storico di progressivo neopaganesimo. Uno studio più approfondito porta a scoprire le radici di queste fondazioni in movimenti ecclesiali più ampi. Nonostante la fatica a trovare un adeguato riconoscimento giuridico, tali movimenti sono storicamente gli strumenti attraverso i quali la Provvidenza attua dossier nella vita della Chiesa, e quindi nella vita del mondo, il proprio impegno a rendere presente con più evidenza l’Avvenimento di Cristo. Nella panoramica che abbiamo voluto fare, non abbiamo approfondito l’analisi storica del periodo attuale, periodo che va dalla Prima guerra mondiale fino ai nostri giorni. Esso presenta delle caratteristiche molto specifiche, ed – proprio al suo interno che sorgono gli attuali movimenti ecclesiali. In due Colloqui internazionali tenutisi a Roma dal 23 al 27 settembre 1981 e dal 28 febbraio al 4 marzo 1987, si è studiata la tematica storica, teologica e giuridica dei movimenti nella Chiesa ai nostri giorni. Rimandiamo a questi studi, all’interno dei quali viene offerta anche una panoramica di alcuni di questi movimenti ecclesiali più noti5. In una delle relazioni del Primo Colloquio sopra citato, Moreira Neves, parlando dei movimenti nella Chiesa, sottolinea “le notevoli differenze che esistono tra quelli sorti alla fine del secolo scorso, quelli dei primi quattro decenni di questo secolo, quelli del dopoguerra fino al Concilio e, finalmente, quelli che fioriscono nel dopo Concilio sotto la spinta delle grandi linee ecclesiologiche e spirituali del 5 Cfr. I movimenti nella Chiesa negli anni ‘80, a cura di Massimo Carnisasca e Maurizio Vitali, Jaca Book, Milano 1982; I movimenti nella Chiesa. Atti del II Colloquio internazionale su “Vocazione e missione dei laici nella Chiesa oggi- Rocca di Papa, 28febbraio-4 marzo 1987, Nuovo Mondo ed., Milano 1987. 42 Concilio stesso”6. L’autore segnala alcune caratteristiche peculiari dei movimenti contemporanei: • la loro internazionalità o cattolicità geografica e ambientale; • la svariata conformazione e il diverso stile che rivestono le differenti aggregazioni: i “gruppi con una certa spontaneità e libertà nella loro formazione e sviluppo, nell’adesione e permanenza dei membri, nel ritmo e contenuto delle riunioni, negli obiettivi concreti ed immediati, nella disciplina; le associazioni...molto più strutturate…; i movimenti… non mancano di strutture istituzionali, ma più importante e definitorio è per questi il fatto di costituirsi attorno ad una ideaforza che continuamente impelle all’azione. Questa idea-forza è la mistica che abita tutti i membri e li congrega attorno a una figura carismatica che per primo la ha incarnata e continuamente la ripropone… Ciò che definirebbe un movimento sarebbe appunto il fatto di essere qualcosa non di statico, rigido, ma qualcosa che cammina...”7. Una terza caratteristica è data dalla natura degli obiettivi che i movimenti si propongono, e che corrisponderebbe al n. 19 del Decreto del Vaticano II Apostolicam Actuositatem, ossia: • “il fine apostolico generale della Chiesa”: tali movimenti sono attenti alle esigenze concrete dell’ambiente in cui si inseriscono e in esso annunciano il Mistero di Dio, di Cristo salvatore e quindi del senso cristiano, della vita. La loro catechesi vuole approfondire e consolidare la fede c stimolare ogni cristiano alla santità. 6 L. M OREIRA N EVES , I movimenti nella Chiesa negli anni ‘80, 166. 7 L. MOREIRA NEVES, ibidem, 167. Il cardinale brasiliano Lucas Moreira Neves descriveva allora le caratteristiche dei movimenti alla luce 8 L. MOREIRA NEVES, ibidem, 168. di questa ecclesiologia e ne tira le conseguenze: se la Chiesa è sacramento della comunione tra gli uomini e dell’umanità con Dio, i movimenti devono essere segni di tale comunione e strumenti della stessa in mezzo al mondo. Un’altra esigenza della comunione ecclesiale è quella del rapporto tra laici e pastori nella Chiesa, per cui i movimenti sono chiamati a superare il clericalismo come l’anticlericalisrno, ovvero la laicizzazione di chierici e la clericalizzazione dei laici. Un’altra esigenza fondamentale è quella di mantenere un legame profondo con il Mistero della Chiesa attraverso cui tutto ciò che concerne la vita di ogni giorno (apostolato, santificazione, carità, lavoro) viene illuminato da questa coscienza di appartenenza. L’autore sottolinea poi altre conseguenze o esigenze di questa ontologia ecclesiologica, che toccano l’ambito della persona e della compagnia ecclesiale concreta alla quale appartiene, e conclude con le seguenti parole che facciamo anche nostre: “se i movimenti, che vediamo fiorire nella Chiesa... rispondono ai bisogni del mondo e della Chiesa di questo tempo c sono abbastanza ricchi per adempiere alle esigenze che ho voluto elencare, non bisogna né temerli né incensarli; sarà superfluo voler tutelarli come inutile e ridicolo ostacolarli poiché saranno certamente ciò che Paolo chiamava con magnifica espressione nella Prima Lettera ai Corinzi (2, 6) “epifania dello Spirito e della potenza di Dio”9. 9 L. MOREIRA NEVES, ibidem, 174. 43 dossier • Evangelizzazione e santificazione sono parte integrante di questi movimenti e vanno intese secondo il punto precedente. • Essi diventano una presenza cristiana nelle realtà e nelle circostanze concrete della vita: pertanto questi movimenti sono profondamente laicali. In questo senso vengono ricordati alcuni principi della Lumen gentium (n. 31), della Apostolicam actuositatem (n. 7), e della Evangelii nuntiandi (n. 70), che definiscono il laico “cristiano nel mondo”. AI cristiano spetta il compito di “trasformare con la forza del vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità” (EN, 70). • Dall’ontologia stessa dell’essere cristiano si sprigionano un modello di vita e uno stile di presenza. La carità del cristiano diventa sempre opera. I movimenti aiutano la Chiesa a compiere la sua missione essenziale di testimonianza continua dell’Avvenimento di Cristo. Infine “i movimenti contemporanei, se sono veramente ecclesiali, non possono non iscriversi nell’ecclesiologia del Vaticano II...”8. Questa ecclesiologia parla della Chiesa come di un segno o sacramento di salvezza, ossia dell’irruzione di Dio nell’esistenza e nella storia dell’uomo, di Gesù Cristo insomma… Nella Chiesa segno-sacramento, nella quale tutto diventa segno, anche i movimenti devono essere segni veri di quelle stesse realtà di cui la Chiesa è segno, e cioè della presenza amorosa di Dio fra gli uomini, dell’azione di Cristo nel mondo, della salvezza che in Gesù e per Gesù Dio offre all’uomo. dossier 2. “Laico, vale a dire cristiano” Questo è il titolo di un libro di don Luigi Giussani, fondatore del movimento ecclesiale “Comunione e Liberazione”, e proprio questo è stato il contenuto del suo intervento al Sinodo ordinario dei Vescovi celebrato a Roma dall’1 al 30 ottobre 1987, avente per tema “La vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, 20 anni dopo il Vaticano II”. Nella sua relazione finale, il Sinodo affermava: “Lo spirito di disponibilità con cui molti laici si sono messi al servizio della Chiesa è da annoverare tra i migliori frutti del Concilio. In questo si ha l’esperienza del fatto che noi tutti siamo Chiesa”10. Lo stesso Giovanni Paolo II lo ricordava nella sua esortazione apostolica Christifideles laici pubblicata dopo quel Sinodo11. La coscienza del significato della missione cristiana tra i laici e della sua dimensione missionaria – stato sempre presente nella storia della Chiesa fin dagli inizi. Questa coscienza si è espressa sotto forme differenti nel corso dei secoli, ed è andata gradualmente maturando in seguito al crollo della società dell’Ancien Régime ad opera della Rivoluzione francese. Questa coscienza si sviluppò soprattutto a partire dal pontificato di Leone XIII, relegando la Chiesa ai margini della vita sociale e spingendola a rendersi conto dell’inutilità delle sue riven- 10 SINODO DEI VESCOVI (1987), Relatio finalis II. C 6. 11 Christifideles laici, n. 2. 44 dicazioni di protagonismo politico e sociale di un tempo. Leone XIII invita continuamente i fedeli laici a giocarsi nella vita sociale e nella vita ecclesiale in maniera organizzata. Encicliche papali come la Rerum novarum di Leone XIII e, quarant’anni dopo, la Quadragesimo anno di Pio XI insistono su questa dimensione. I Papi del secolo XX incoraggiano 1’iniziativa di molti cattolici che si riuniscono in congressi nazionali e internazionali, appoggiano e formano movimenti di vita cristiana, di apostolato e di rinnovamento catechetico e liturgico. Nel corso del XX secolo nascono, a volte timidamente, numerosi movimenti ecclesiali aventi matrici diverse. Il fenomeno cresce dopo la Seconda Guerra Mondiale e sensibilizza i Padri Conciliari del Vaticano II allo studio della “teologia del laicato” durante lo stesso Concilio, il più innovativo nella storia degli ultimi Concili. Il Vaticano II assume questa tematica come uno degli argomenti fondamentali a partire dalla Costituzione dogmatica Lumen gentium, grazie alla quale i fedeli cristiani – i laici – trovano un adeguato inquadramento teologico. Ad essa viene conferito il dovuto spazio tanto in questa Costituzione quanto nella Costituzione pastorale Gaudium et spes e negli ultimi documenti. Ma il Concilio pubblica, per la prima volta nella storia della Chiesa, un decreto totalmente dedicato ai laici: Apostolicam actuositatem, documento che lo stesso Papa Paolo VI affida in maniera solenne a tre uditori e a tre uditrici, tutti lai- terno della famiglia e dell’ambiente di vita quotidiano. Questa esperienza aveva aperto la strada alla nascita, all’interno della vita della Chiesa, dei movimenti ecclesiali, nonché alla volontà di puntare su di essi. Su questa stessa linea, il Papa Wojtyla convocò nell’ottobre del 1987 l’Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi, al quale parteciparono attivamente anche 60 laici rappresentanti di diverse realtà ecclesiali di vari paesi. Molti di essi provenivano già da nuovi movimenti o realtà ecclesiali: parteciparono ai gruppi di studio, poterono intervenire nelle sessioni al pari di tutti i Padri e incontrare personalmente il Papa per esporre il proprio punto di vista. Quella esperienza mostrava finalmente una nuova tappa della riconosciuta responsabilità dei laici nella vita ecclesiale e, indirettamente, era la prova del fatto che i nuovi movimenti ecclesiali e le nuove comunità si stavano arrischiando ad entrare nella vita della Chiesa. L’esortazione apostolica Christifideles laici, sottoscritta il giorno della festa della Santa Famiglia il 30 dicembre del 1988, confermava quel cammino come una sorta di “vademecum” della Chiesa in rapporto alla vocazione missionaria dei laici, nonché un riconoscimento pubblico della Suprema Autorità ecclesiale dei movimenti ecclesiali in quanto doni di grazia fatti dallo Spirito alla Chiesa. A partire dal Vaticano II prendeva così ad affermarsi con forza l’esperienza della professata dignità e responsabilità del cristiano in virtù 45 dossier ci, presenti al Concilio. Sono questi i segni di una nuova realtà nella vita della Chiesa. Altra novità significativa nella stessa prospettiva è la creazione del Pontificio Consiglio per i Laici ad opera di Paolo VI il 6 gennaio del 1967. Uno dei suoi Consultori fu per dieci anni proprio il cardinale Karol Wojtyla. Il futuro Papa già allora insisteva sul fatto che, nell’ambito di tale Consiglio, dovevano trovare un proprio spazio tutti i fedeli cristiani con tutte le forme di apostolato organizzate e con quelle ancora prive di una precisa organizzazione. Questa posizione di Karol Wojtyla era una conseguenza del suo totale abbraccio della dottrina conciliare, alla cui elaborazione egli stesso aveva notevolmente contribuito. Laico significherebbe quindi cristiano, e pertanto il cristiano sarebbe chiamato nella sua interezza a vivere in maniera missionaria il proprio battesimo. Sulla posizione di Karol Wojtyla relativa alla responsabilità di ogni cristiano e sul protagonismo nella vita ecclesiale e sociale di ogni giorno esercitò senza dubbio una qualche influenza la Chiesa dell’Est, e specialmente quella della Polonia, una nazione che era passata attraverso continue esperienze di dominazione totalitaria: dal nazismo al comunismo, la vita della Chiesa era stata sempre posta nel dubbio e privata della possibilità di costituire organizzazioni di qualunque genere. In tale situazione non poteva passare sotto silenzio il problema della vocazione missionaria del cristiano laico all’in- del proprio battesimo, caratteristiche, tanto per teologia quanto per esperienza, della Chiesa dei primi secoli, sintetizzate in quella sentenza di San Leone Magno, il quale scriveva: dossier “Riconosci, cristiano, la tua dignità e, posto che sei stato reso partecipe della naturalità divina, non pensare di ritornare, con un comportamento indegno, alle antiche viltà. Pensa di quale capo e di quale corpo sei membra... Grazie al sacramento del battesimo ti sei convertito in tempio dello Spirito Santo”12. L’elemento che ha contraddistinto tutti i movimenti ecclesiali e le nuove comunità nel corso della storia della Chiesa è stato sempre il suo aspetto ecclesiale, che si potrebbe riassumere con le parole di S. Agostino: “Amate questa Chiesa, permanete in questa Chiesa, siate questa Chiesa”13. La stessa laicità, che in linea generale caratterizza tutti i movimenti, esprime con forza il carattere essenziale del battesimo, che rende il cristiano efficace nella sua vocazione inalienabile di testimone di Cristo nel mondo 14 in quanto tutta la Chiesa è, per natura, missionaria in tutti i suoi membri15. Questa ecclesialità missionaria, in quanto caratteristica principale dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, si esprime in una passio- 12 LEO MAGNUS, Sermo de Nativitate Domini 1-3: PL 54, 190-193, (nostra traduzione). 13 AUGUSTINUS, Sermo 138, 10 ( nostra traduzione). 14 Christifideles laici, n. 15 15 Cfr. VATICANO II, Ad gentes, n. 35. 46 ne totale alla gloria di Cristo e, quindi, alla missione concepita come comunicazione di un’esperienza nella realtà e nelle circostanze, nelle quali la vita pone ciascuna persona, come già nel II secolo ricordava la Lettera a Diogneto. 3. Radici dell’impegno dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità per la nuova evangelizzazione Nella sua conferenza tenuta il 27 maggio 1998 al Congresso Internazionale dei Movimenti ecclesiali e Nuove comunità, l’allora Cardinale Ratzinger esordiva ricordando il pessimismo predominante in alcune persone dopo i primi anni di euforia successivi al Vaticano II. Alcuni, come Karl Rahner, ricordava il cardinale, parlavano allora di “inverno” nella Chiesa. Sembrava quasi che, dopo la grande fioritura del Concilio, fosse caduta una gelata al posto della primavera, stanchezza al posto di un nuovo dinamismo. Sembrava che il mondo non avesse più bisogno di Dio e che volesse quindi trovare in un altro luogo l’energia per rinnovare la storia e creare un mondo migliore. “Dove si trovava Dio”, si chiedeva Ratzinger, “E la Chiesa, dopo tante discussioni, sforzi, e speranze nella ricerca di nuove strutture, non si riscopriva forse stanca, esausta, e grigia?”. Era palese l’attualità dell’espressione di Rahner, il cui senso tutto il mondo ecclesiale stava sperimentando. Si verificò allora l’intervento inaspettato da parte dello Spirito Santo. Nessuno l’aveva progettato o Citiamo liberamente il pensiero dell’allora cardinale J. Ratzinger; cfr. le sue parole in Tracce. Litterae Communionis XXV - n. 1 6, giugno (1998), 29-32. significativi dell’esistenza, quali sono i momenti del nascere, del soffrire e del morire”. Inoltre esistono regioni e paesi, nei quali o si conservano tuttora molto vive tradizioni di pietà e di religiosità popolare cristiana; ma questo patrimonio morale e spirituale rischia oggi di essere disperso sotto l’impatto di molteplici processi, tra i quali emergono la secolarizzazione e la diffusione delle sette”17. Di fronte a questo panorama sempre più drammatico si avverte chiaramente il bisogno di una nuova evangelizzazione, nella quale le vecchie realtà e organizzazioni religiose della Chiesa si scoprono sempre più spesso superate e prive di dinamismi per l’evangelizzazione. Non è la prima volta che questo accade nella storia della Chiesa, come abbiamo già segnalato; lo Spirito incoraggia sempre la nascita di nuove realtà per rendere efficace la presenza di Cristo nella storia secondo forme in cui tutti la possano incontrare. In questa prospettiva si pongono i movimenti ecclesiali e le nuove comunità di oggi, molte delle quali risultano già prima del Concilio Vaticano II. Il Concilio riconosceva nella Chiesa un segno e uno strumento efficace dell’amore di Dio verso il mondo e verso l’uomo. Il Concilio sottolineava anche che la Chiesa, in quanto popolo di Dio, doveva cogliere i doni dello Spirito c i doni della salvezza c, allo stesso tempo, proclamarli e comunicarli 16 17 Christifideles laici, 34. 47 dossier immaginato in quel modo. Molti cristiani, mossi da quello Spirito, senza sotterfugi e senza clausole o condizioni, prendevano totalmente sul serio il proprio battesimo e si lasciavano guidare da quello Spirito come un dono immenso che li faceva vivere, iniziando immediatamente a comunicarlo ognuno nell’ambiente in cui viveva. La loro obbedienza e la loro passione ecclesiale non traevano origine dagli schemi teorici della Chiesa o dei progetti pastorali o sociali, che molti propugnavano, astrattamente; li infastidiva persino la stessa esistenza di quei movimenti. Per questo, o li ignoravano o li combattevano. Ma lo Spirito Santo, che “è abituato” a questa modalità d’azione, prosegui inesorabilmente la sua opera facendo crollare molti progetti e conferendo una vitalità travolgente a quelle nuove realtà ecclesiali”16. La Chiesa fa il suo ingresso nel Terzo Millennio con la coscienza chiara della sua missione evangelizzatrice, rivolta tanto alle popolazioni del Vecchio Continente, quanto alle complesse realtà presenti negli altri continenti, oppresse da carichi di miserie, di dolore e di conflitti sociali. La fede cristiana nei Paesi di vecchia cristianità, “se pure sopravvive in alcune sue manifestazioni tradizionali e ritualistiche, tende ad essere sradicata dai momenti più dossier agli uomini di ogni tempo. Per questo motivo tutta la Chiesa, in tutte le sue componenti, era al contempo missionaria e responsabile della missione. Questa professione rischiava tuttavia di rimanere ad un livello teorico o di buoni propositi. Ma, anche in questo frangente, non si fa attendere l’intervento dello Spirito Santo, che dà vita al grande mosaico dei movimenti e delle nuove comunità ecclesiali. I cristiani che partecipano alla vita ecclesiale attraverso questi movimenti sono coscienti del fatto che il loro battesimo li mette in grado di fare missione: una missione che non passa attraverso deleghe, ma che scaturisce dalla stessa natura ontologica del loro battesimo. Tale vocazione cristiana si realizza e si concretizza in due dimensioni separabili: la costruzione della comunità ecclesiale e la disponibilità a vivere la presenza di Cristo e del suo Avvenimento presente nella realtà quotidiana della vita. Questa posizione aiuta, in tal modo, a superare una tentazione continuamente insinuatesi nella storia della Chiesa, tanto più oggi: quella della clericalizzazione della Chiesa ad opera dei chierici, o quella dell’autoclericalizzazione dei laici ad opera loro o di alcuni chierici. La missione dei laici all’interno della comunità ecclesiale è determinata anche dalla realtà concreta e dalle circostanze nelle quali ognuno si trova a vivere. La vita ecclesiale non è frutto di un organigramma ecclesiastico o clericale: essa è la manifestazione di un Mistero di comunione sacramentale, il cui centro 48 è sempre Cristo. Questa vita si esprime in ogni circostanza e attività quotidiana, nel “vasto e complesso mondo della politica, della realtà sociale, dell’economia, nel mondo e della cultura, delle scienze, delle arti, della vita internazionale, dei mezzi di comunicazione sociale…”18. La presenza dei cristiani nella vita di ogni giorno non consiste in un semplice contributo tecnico alla diffusione di valori etici o di una ordinaria convivenza sociale, o nel proporre una piattaforma “di strenua tolleranza”, aperta a tutte le possibilità purché non disturbi nessuno. La vocazione di ogni battezzato è quella di essere segno del Dio vivente, presente in Cristo, nell’ingranaggio concreto della vita, senza censurare nessun problema né alcuna possibilità. Cosi il battezzato diventa testimone di Cristo, aperto a tutte le possibilità della vita e della realtà: questo è il vero ecumenismo. È questo il senso del lavoro per la gloria umana di Cristo. La vita del cristiano costruisce cosi, nel frazionamento della vita quotidiana, degli spazi e dei tempi, il senso della storia e dell’esperienza umana, con un’apertura totale del cuore alla realtà e alla coscienza del proprio peccato. “In questo senso Cristo, luce e forza per ogni suo seguace, è riflesso adeguato di quella parola in cui il Mistero appare nel suo rapporto ul- 18 PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, n. 70; cfr. la stessa insistenza in GIOVANNI PAOLO II, Cristifideles laici, n. 42. timo con la creatura, come misericordia: Dives in misericordia. Il mistero della misericordia sfonda ogni immagine umana di tranquillità o di disperazione; anche il sentimento di perdono è dentro questo mistero di Cristo [...]. Il mistero come misericordia resta l’ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia. Per cui l’esistenza si esprime, come ultimo ideale, nella “mendicanza”. II vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo, c il cuore dell’uomo mendicante di Cristo”19. 4. “La bellezza di essere cristiani e la gioia di comunicarlo” Il Pontificio Consiglio dei Laici ha pubblicato un “Repertorio” dei nuovi movimenti e comunità ecclesiali. Il volume, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, presenta l’identità, la storia, la diffusione e altri dati di 122 “Associazioni Internazionali di Fedeli”. La preparazione di questo “Repertorio” iniziò nel 2000, dopo che Giovanni Paolo Ii presentò i movimenti come “uno dei frutti più significativi della primavera della Chiesa a partire dal Vaticano II”. Lo stesso Pontefice vedeva i queste realtà un “motivo di L. GIUSSANI, Testimonianza durante l’incontro con il Papa in Piazza S. Pietro, 30 maggio 1998, in Tracce. Litterae Communionis, X-XV 6 (1998), 20. 19 4.1. Il Mistero della Pentecoste accompagna dal primo giorno la vita della Chiesa Papa Ratzinger si chiedeva allora: “Chi o che cosa è lo Spirito Santo? Come possiamo riconoscerlo? In che modo noi andiamo a Lui ed Egli viene a noi? Che cosa opera?” Papa Ratzinger snodava la tematica della sua omelia precisamente a partire da questa domanda. “Una prima risposta ce la dà il grande inno pentecostale della Chiesa, col quale abbiamo iniziato i Vespri: “Veni, Creator Spiritus… – Vieni, Spirito Creatore…”. L’inno accenna qui ai primi versetti della Bibbia che esprimono con il ricorso ad immagini la creazione dell’universo. Là si dice innanzitutto che sopra il caos, sulle acque dell’abisso, aleggiava lo Spirito di Dio. Il mondo in cui viviamo è 49 dossier Queste le radici del dinamismo e della capacità missionaria dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità cristiane attuali. speranza per la Chiesa e per gli uomini del nostro tempo”, “un’opera dello Spirito che costituisce la Chiesa in un flusso di vita nuova, che scorre dentro la storia degli uomini”. In un mondo sempre più secolarizzato, dove la fede è sempre più messa alla prova e frequentemente è anche soffocata e spenta, i movimenti e le nuove comunità, essendo portatrici di una novità non aspettata e che irrompe, sono la risposta, suscitata dallo Spirito Santo, a questa drammatica sfida. Questa è stata la motivazione per cui Papa Benedetto XVI convocò il secondo grande incontro dei Movimenti per la vigilia della Pentecoste del 2006 (3 giugno) a San Pietro in Vaticano. dossier opera dello Spirito Creatore. La Pentecoste non è solo l’origine della Chiesa e perciò, in modo speciale, la sua festa; la Pentecoste è anche una festa della creazione. Il mondo non esiste da sé; proviene dallo Spirito creativo di Dio, dalla Parola creativa di Dio. E per questo rispecchia anche la sapienza di Dio. Essa, nella sua ampiezza e nella logica onnicomprensiva delle sue leggi lascia intravedere qualcosa dello Spirito Creatore di Dio. Essa ci chiama al timore riverenziale. Proprio chi, come cristiano, crede nello Spirito Creatore, prende coscienza del fatto che non possiamo usare ed abusare del mondo e della materia come di semplice materiale del nostro fare e volere; che dobbiamo considerare la creazione come un dono affidatoci non per la distruzione, ma perché diventi il giardino di Dio e così un giardino dell’uomo. Di fronte alle molteplici forme di abuso della terra che oggi vediamo, udiamo quasi il gemito della creazione di cui parla san Paolo (Rm 8, 22); cominciamo a comprendere le parole dell’Apostolo, che cioè la creazione attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio, per essere resa libera e raggiungere il suo splendore. Cari amici, noi vogliamo essere tali figli di Dio che la creazione attende, e possiamo esserlo, perché nel battesimo il Signore ci ha resi tali. Sì, la creazione e la storia – esse ci attendono, aspettano uomini e donne che realmente siano figli di Dio e si comportino di conseguenza. Se guardiamo la storia, vediamo come intorno ai monasteri la creazione ha potuto prosperare, co50 me con il ridestarsi dello Spirito di Dio nei cuori degli uomini è tornato il fulgore dello Spirito Creatore anche sulla terra – uno splendore che dalla barbarie dell’umana smania di potere era stato oscurato e a volte addirittura quasi spento. E di nuovo, […] avviene dovunque lo Spirito di Dio arriva nelle anime, questo Spirito che il nostro inno qualifica come luce, amore e vigore. Abbiamo così trovato una prima risposta alla domanda che cosa sia lo Spirito Santo, che cosa operi e come possiamo riconoscerlo. Egli ci viene incontro attraverso la creazione e la sua bellezza. Tuttavia, la creazione buona di Dio, nel corso della storia degli uomini, è stata ricoperta con uno strato massiccio di sporcizia che rende, se non impossibile, comunque difficile riconoscere in essa il riflesso del Creatore – anche se di fronte a un tramonto al mare, durante un’escursione in montagna o davanti ad un fiore sbocciato si risveglia in noi sempre di nuovo, quasi spontaneamente, la consapevolezza dell’esistenza del Creatore”. 4.2. Lo Spirito Santo attua nella storia Come entra lo Spirito Santo nella storia?,si domanda il Papa. “In Gesù Cristo Dio stesso si è fatto uomo e ci ha concesso, per così dire, di gettare uno sguardo nell’intimità di Dio stesso. E lì vediamo una cosa del tutto inaspettata: in Dio esiste un Io e un Tu. Il Dio misterioso non è un’infinita solitudine, Egli è un evento di amore. Se dallo sguardo sulla crea- con Gesù stesso e con il Padre – con il Dio Uno e Trino”. 4.3. I movimenti ecclesiali scuole di libertà E applicando quanto detto ai Movimenti ecclesiali, il Papa ricordava: “È questa la libertà vera, alla quale lo Spirito Santo vuole condurci. I Movimenti ecclesiali vogliono e devono essere scuole di libertà, di questa libertà vera. Lì vogliamo imparare questa vera libertà, non quella da schiavi che mira a tagliare per se stessa una fetta della torta di tutti, anche se poi questa manca all’altro. Noi desideriamo la libertà vera e grande, quella degli eredi, la libertà dei figli di Dio. In questo mondo, così pieno di libertà fittizie che distruggono l’ambiente e l’uomo, vogliamo, con la forza dello Spirito Santo, imparare insieme la libertà vera; costruire scuole di libertà; dimostrare agli altri con la vita che siamo liberi e quanto è bello essere veramente liberi nella vera libertà dei figli di Dio”. 4.4. I movimenti ecclesiali esperienze di unità e comunione Il Santo Padre metteva così in relazione Spirito Santo, vita,libertà e unità. “Sono tre doni, questi, – disse -, inseparabili tra di loro. E riferendosi all’unità proseguiva: “A Nicodemo che, nella sua ricerca della verità, viene di notte con le sue domande da Gesù, Egli dice: “Lo Spirito soffia dove vuole” (Gv 3, 8). Ma la volontà dello Spirito 51 dossier zione pensiamo di poter intravedere lo Spirito Creatore, Dio stesso, quasi come matematica creativa, come potere che plasma le leggi del mondo e il loro ordine e poi, però, anche come bellezza – adesso veniamo a sapere: lo Spirito Creatore ha un cuore. Egli è Amore. Esiste il Figlio che parla col Padre. Ed ambedue sono una cosa sola nello Spirito che è, per così dire, l’atmosfera del donare e dell’amare che fa di loro un unico Dio. Questa unità di amore, che è Dio, è un’unità molto più sublime di quanto potrebbe essere l’unità di un’ultima particella indivisibile. Proprio il Dio trino è il solo unico Dio”. È attraverso Gesù che l’uomo può penetrare nel Mistero di Dio. “Giovanni, nel suo Vangelo, lo ha espresso così: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1, 18). Ma Gesù non ci ha soltanto lasciato guardare nell’intimità di Dio; con Lui Dio è anche come uscito dalla sua intimità e ci è venuto incontro. Questo avviene innanzitutto nella sua vita, passione, morte e risurrezione; nella sua parola. Ma Gesù non si accontenta di venirci incontro. Egli vuole di più. Vuole unificazione. È questo il significato delle immagini del banchetto e delle nozze. Noi non dobbiamo soltanto sapere qualcosa di Lui, ma mediante Lui stesso dobbiamo essere attratti in Dio. Per questo Egli deve morire e risuscitare. Perché ora non si trova più in un determinato luogo, ma ormai il suo Spirito, lo Spirito Santo, emana da Lui ed entra nei nostri cuori congiungendoci così dossier non è arbitrio. È la volontà della verità e del bene. Perciò non soffia da qualunque parte, girando una volta di qua e una volta di là; il suo soffio non ci disperde ma ci raduna, perché la verità unisce e l’amore unisce. Lo Spirito Santo è lo Spirito di Gesù Cristo, lo Spirito che unisce il Padre col Figlio nell’Amore che nell’unico Dio dona ed accoglie. Egli ci unisce talmente che san Paolo poteva dire una volta: “Voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 28). Lo Spirito Santo, col suo soffio, ci spinge verso Cristo. Lo Spirito Santo opera corporalmente; non opera soltanto soggettivamente, “spiritualmente”. Ai discepoli che lo ritenevano solo uno “spirito”, il Cristo risorto disse: “Sono proprio io! Toccatemi e guardate; un semplice spirito – un fantasma – non ha carne e ossa come vedete che io ho” (cfr Lc 24, 39). Questo vale per il Cristo risorto in ogni epoca della storia. Il Cristo risorto non è un fantasma, non è semplicemente uno spirito, un pensiero, un’idea soltanto. Egli è rimasto l’Incarnato – è risorto Colui che ha assunto la nostra carne – e continua sempre ad edificare il suo Corpo, fa di noi il suo Corpo. Lo Spirito soffia dove vuole, e la sua volontà è l’unità fatta corpo, l’unità che incontra il mondo e lo trasforma”. 4.5. La molteplicità dei carismi al servizio della Chiesa e del Mondo Papa Benedetto nella sua omelia passava a parlare sulla molteplicità dei carismi nella vita della Chiesa, 52 ma al servizio dell’unità della stessa e come sua espressione. “Nella Lettera agli Efesini san Paolo ci dice che questo Corpo di Cristo, che è la Chiesa, ha delle giunture (cfr 4,16), e le nomina anche: sono apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri (cfr 4, 12). Lo Spirito nei suoi doni è multiforme – lo vediamo qui. Se guardiamo la storia, se guardiamo questa assemblea qui in Piazza san Pietro – allora ci accorgiamo come Egli susciti sempre nuovi doni; vediamo quanto diversi siano gli organi che Egli crea, e come, sempre di nuovo, Egli operi corporalmente. Ma in Lui molteplicità e unità vanno insieme. Egli soffia dove vuole. Lo fa in modo inaspettato, in luoghi inaspettati e in forme prima non immaginate. E con quale multiformità e corporeità lo fa! Ed è anche proprio qui che la multiformità e l’unità sono inseparabili tra di loro. Egli vuole la vostra multiformità, e vi vuole per l’unico corpo, nell’unione con gli ordini durevoli – le giunture – della Chiesa, con i successori degli apostoli e con il successore di san Pietro. Non ci toglie la fatica di imparare il modo di rapportarci vicendevolmente; ma ci dimostra anche che Egli opera in vista dell’unico corpo e nell’unità dell’unico corpo. È proprio solo così che l’unità ottiene la sua forza e la sua bellezza. Prendete parte all’edificazione dell’unico corpo! I pastori staranno attenti a non spegnere lo Spirito (cfr 1 Ts 5, 19) e voi non cesserete di portare i vostri doni alla comunità intera. Ancora una volta: lo Spirito Santo soffia dove vuole. Ma la sua volontà è l’unità. Egli ci conduce verso Cristo; nel suo Corpo. “Dal Cristo – ci dice san Paolo – tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità“ (Ef 4, 16)”. 4.6. Il senso dei carismi è la Missione 53 dossier La conseguenza ultima e il senso dei carismi è per la diffusione della salvezza dell’uomo, per la costruzione della Chiesa e quindi al servizio del piano missionario di Dio sull’intera umanità. Così concludeva la sua omelia Papa Benedetto XVI: “Lo Spirito Santo vuole l’unità, vuole la totalità. Perciò la sua presenza si dimostra finalmente anche nello slancio missionario. Chi ha incontrato qualcosa di vero, di bello e di buono nella propria vita – l’unico vero tesoro, la perla preziosa! -, corre a condividerlo ovunque, in famiglia e nel lavoro, in tutti gli ambiti della propria esistenza. Lo fa senza alcun timore, perché sa di aver ricevuto l’adozione a figlio; senza nessuna presunzione, perché tutto è dono; senza scoraggiamento, perché lo Spirito di Dio precede la sua azione nel “cuore” degli uomini e come seme nelle più diverse culture e religioni. Lo fa senza confini, perché è portatore di una buona notizia che è per tutti gli uomini, per tutti i popoli. Cari amici, vi chiedo di essere, ancora di più, molto di più, collaboratori nel ministero apostolico universale del Papa, aprendo le porte a Cristo. Questo è il miglior servizio della Chiesa agli uomini e in modo tutto particolare ai poveri, affinché la vita della persona, un ordine più giusto nella società e la convivenza pacifica tra le nazioni trovino in Cristo la “pietra angolare” su cui costruire l’autentica civiltà, la civiltà dell’amore. Lo Spirito Santo dà ai credenti una visione superiore del mondo, della vita, della storia e li fa custodi della speranza che non delude. Durante l’incontro con il Papa Benedetto XVI in Piazza San Pietro alcuni esponenti o responsabili di Movimenti e nuove comunità cristiane avevano dato alcune testimonianze significative sulla loro esperienza di vita cristiane e le esigenze da essa nate. Fra di essi parlarono Salvatore Martínez, coordinatore del Rinnovamento nello Spirito Santo in Italia, Maria Lugia Corona, cofondatrice della Comunità Missionaria di Villaregia, un matrimonio del “Regnum Christi, Chirara Lubich dei Focolari, Andrea Rriccardi della comunità di Sant’Egidio, Don Julián Carrón di Comunione e Liberazione, Kiko Arguello del Cammino Necatecumenale, Luis Fernando Figari del Movimento di Vita Cristiana, Patti Gallagher Mansfiel del Rinnovamento Carismatico Cattolico. Sono stati interventi che hanno sottolineato aspetti molto variegati dei loro rispettivi carismi e attività ecclesiali dentro della grande comunione e unità ec- dossier clesiale della quale tutti vivono e per la quale lavorano. In realtà i Movimenti ecclesiali e le nuove comunità sono doni di grazia dello Spirito alla Chiesa e attraverso la Chiesa al mondo per aiutare l’umanità a ritrovare la sua strada. Sono realtà tempestive nel momento attuale della Chiesa, “come fuoco ardente e vento impetuoso per la vita cristiana e per la missione di tutta la Chiesa”, concludeva il Papa. Segni della presenza attiva dello Spirito Santo in maniera multiforme. Ma questo chiede anche una responsabilità ed una apertura missionaria effettiva a tutti coloro ai quali il Signore ha elargito tali doni nella vita della Chiesa. Tale è l’appello lanciato anche dal Papa durante quell’incontro memorabile del 3 e 4 settembre a Roma. Si può dire che sia stato una specie di rilancio e di continuazione di quanto era successo già con Giovanni Paolo II nel 1998, confermato ancora con nuovo vigore. Fidel González Fernández Facoltà di Teologia 54 Speciale Sette e nuovi fenomeni religiosi. Tra speranze e nuove utopie L a nascita e lo sviluppo di Sette e dei Nuovi Fenomeni Religiosi pone non pochi problemi alla comunità ecclesiale. Mentre per alcuni è in questa direzione che si pone il futuro del cristianesimo, per altri si sottolinea il pericolo che esso venga snaturato dei suoi elementi principali. T roppo spesso gli operatori pastorali reagiscono in modo protezionista e rivendicando quasi il diritto ad un monopolio nella presentazione del cristianesimo. Una lettura più attenta pone l’interrogativo sulle caratteristiche di questa esperienza religiosa, le motivazioni che si porta dentro, le cause intraecclesiali che possono averla favorita e le sfide a cui la pastorale è chiamata. speciale A vvertiamo la difficoltà a definire adeguatamente il fenomeno a cui facciamo riferimento sia per la grande differenza che esiste nei diversi continenti, sia per la diversità di spessore delle esperienze medesime. Se il termine setta indica una matrice religiosa condivisa ma da cui si viene separati, il termine movimento o fenomeno religioso indica una novità non necessariamente legata ad una tradizione religiosa precedente. Inoltre si dovrebbe poter delimitare se ci riferiamo all’ambito cristiano o religioso in generale. Ma a volte questa distinzione non è vissuta in modo così chiaro e definito. Al tempo stesso siamo convinti che alcuni elementi siano comuni a tut- ti. Tra questi individuiamo sia l’analisi di alcune caratteristiche sociologiche, sia delle motivazioni che portano le persone ad aderire a tali nuovi fenomeni religiosi; sia – inoltre – in alcuni atteggiamenti degli operatori pastorali. Crediamo sia utile, quindi, fare della complessità una risorsa per la ricerca stessa lasciando al futuro un approfondimento più puntuale. P er tutto questo abbiano preferito mantenere una certa ambiguità con lo scopo principale di studiare il fenomeno in quanto tale: le motivazioni, le configurazioni essenziali, gli atteggiamenti pastorali necessari. Per cui si potrebbe dire che: – ci riferiamo in modo particolare ma non solo alla area di matrice culturale cristiana – ci riferiamo al vasto fenomeno che non è riconosciuto o non si vuole identificare con la chiesa cattolica o le chiese cristiane ma che interagiscono con esse. 56 Sette e nuovi fenomeni religiosi. Cosa caratterizza sociologicamente una setta o movimento religioso di Luca Pandolfi 1. Verso una definizione per approssimazione: un questionario ricognitivo 1 La trovate all’interno dell’articolo con i numeri delle risposte pervenute. RM XXII (2006) 2, pp. 57-64 57 speciale Le sette religiose costituiscono da sempre un campo d’indagine delicato della sociologia della religione. La disciplina è abituata a confrontarsi con le forme, le appartenenze e le dinamiche organizzative delle grandi religioni istituzionali. Sette e movimenti si pongono come fenomeno alternativo. Vengono a porre in questione i grandi sistemi religiosi istituzionali: agiscono, dall’interno e dall’esterno, per proporre alternative, modificare e alterare le forme, sostituire le appartenenze e le dinamiche organizzative. Nella loro molteplicità, complessità e frammentarietà sfuggono a definizioni facili e semplificanti. La giornata di studi dell’ISCSM e della facoltà di Missiologia ha voluto offrire pertanto una riflessione circa la misura di questa complessità oltre i facili percorsi dello stereotipo e della contrapposizione. Il primo passo è stato somministrare un’intervista semistrutturata agli studenti1 dell’Istituto e della Facoltà. Scopo dell’intervista era soprattutto attivare la riflessione, porre delle domande che avrebbero trovato risposta nello svolgersi della mattinata di studio. In termini sociologici, l’intervista, o meglio il questionario diffuso, ha il valore di un pre-test, una ricognizione circa la comprensione, le conoscenze e gli atteggiamenti generali in ordine agli items e agli indicatori principali del nostro approfondimento sociologico. Potrebbe essere opportuno, a partire dai risultati, elaborare un questionario più mirato, capace di dedicare maggiore attenzione ad alcune tematiche urgenti del dialogo interreligioso. Ciò che è venuto fuori è comunque interessante. Ha risposto poco più del 50% degli studenti ai quali era giunto il questionario e troviamo rappresentati i numeri e le proporzioni geografiche ed ecclesiali presenti nell’Università Urbaniana. Emerge che quasi tutti hanno avuto un contatto Questionario di preparazione Date 200 schede arrivate 102 1.1. A quale area geografico-culturale appartieni? A) America del Nord (escluso Messico) 0 B) Centro America (+ Messico) 10 C) Caribe 2 D) America del Sud 15 E) Europa Occidentale 7 F) Est Europa 7 G) Nord Africa 0 H) Africa Centrale e Meridionale 24 I) Medio Oriente 0 L) India 9 M) Sud Est Asiatico 26 N) Cina 1 O) Giappone 0 P) Oceania e Australia 0 – nuovo – Q) Caucaso 1 1.2. Nella chiesa sei… a) Laico/a 10 b) Seminarista o sacerdote diocesano 23 c) Religioso/a 69 1.3. Conosci la vita e l’esperienza delle sette religiose? speciale a) Per niente 8 b) Poco 65 c) Abbastanza 29 d) Molto 0 1.4. Nel luogo dove sei nato/a e cresciuto/a sono presenti fenomeni di piccole sette o movimenti religiosi non riconosciuti oltre alle grandi religioni tradizionali? (non si prendono in considerazione i movimenti cattolici) a) No 21 b) Sì, ma poche realtà 62 c) Sì, molte realtà 19 1.5. Puoi indicare alcuni nomi 1) Chiese pentecostali, Chiesa di Cristo, Assemblea di Dio, ecc. 2) Testimoni di Gehova 3) Mormoni e sette protestanti 4) Culti locali 5) New Age e gruppi di teo-filosofie orientali 6) Sette sataniche (soprattutto in Europa) 7) Massoni e Rosacroce, spiritisti. Se hai risposto positivamente alle domande 1.3., 1.4. e 1.5. 1.6. Quale è l’origine e la radice culturale e/o religiosa delle sette e dei fenomeni religiosi che conosci? a) Cristiana (cattolica) 29 b) Cristiana (protestante) 58 c) Religioni tradizionali 10 d) Fusione di esperienze cristiane e culti locali 12 e) altro (specificare) 13 Poche risposte…: Islam Wahabbita – Scientology e nuovi culti – Sette sataniche con esperienze di sette e movimenti religiosi extra cattolici ma che la conoscenza è per lo più iniziale e superficiale. Molte di queste esperienze hanno radice cristiana, altre si rifanno ad altre grandi religioni (Induismo, Islam, ecc.) o a culti locali. Le ragioni per cui nascono e si formano (o sono nate e si sono formate) queste esperienze, e il ruolo della chiesa cattolica nel confronto con esse è stato approfondito meglio nel dibattito avvenuto durante la giornata di studio. 58 2.1. Esiste una differenza tra setta e movimento religioso? No 1 Non lo so 25 Sì 76 2.2. Secondo te, per quale ragione si formano queste nuove sette e perché le persone vi aderiscono? Puoi indicare massimo due opzioni a) Per l’assenza o la lontananza delle grandi religioni (cattolica, islam, ecc.) dalla vita quotidiana della gente 43 b) Per il desiderio di vivere la piccola comunità 21 c) Per poter vivere maggiormente la propria spiritualità 22 d) Per il sostegno economico e sociale che promettono 69 e) altro (specificare) 25 Poca formazione religiosa – mancanza di una pastorale adeguata e di testimonianza ragioni psicologiche personali – ricerca di emozioni o identità speciale 2.3. Il compito della chiesa cattolica e dei missionari deve essere… Puoi indicare massimo due opzioni a) Combattere apertamente queste esperienze evidenziando i loro aspetti negativi e invitando la gente a starne lontani o, qualora ne facessero parte, a uscirne. 12 b) Dialogare con tutte queste esperienze in modo critico. 52 c) Lavorare insieme con tutte per la costruzione di un mondo più giusto e solidale. 56 d) Lavorare e dialogare solo con quelle di origine cristiana. 3 e) Recepire alcuni aspetti dell’esperienza delle sette e dei nuovi movimenti religiosi e introdurli nella pratica organizzativa, pastorale e liturgica della chiesa cattolica. 27 Quali? Indicane almeno uno : molti non rispondono o indicano semplicemente una maggiore coerenza e testimonianza Altri invece dicono: a) scegliere un metodo pastorale più centrato sulla persona, i suoi bisogni e la dimensione emotiva e affettiva - recuperare un’identità forte – avere il gusto di lavorare insieme in modo libero per un mondo migliore. 2. Esiste una differenza tra setta e movimento religioso? In ordine al nostro approccio sociologico, una domanda del questionario è stata importante e ci è servita per iniziare la nostra riflessione: sette e movimenti sono la stessa cosa? Gli studenti dell’ISCSM e di Missiologia alla domanda della scheda 2.1. per lo più dicono di sì. Spesso tuttavia confondono movimento religioso per “movimento presente nella chiesa cattolica” (che avevamo escluso. Cfr. punto 1.4. della scheda). Per molti comunque la setta è qualcosa di chiuso, piccolo, mentre il movimento è qualcosa di più aperto, dinamico. Uno studente o una studentessa africana co59 glie una verità quando dice “ogni setta è un movimento, ma non tutti i movimenti sono delle sette…”. Procedendo proprio dal significato letterale ed etimologico vediamo che: speciale SETTA ➝ MOVIMENTO ➝ separazione processo dinamico, in cambiamento o per il cambiamento, l’alternativa. In qualche modo quindi è vero: ogni setta identifica un movimento, di separazione, distacco, distinzione. Quindi, allo stesso tempo, indica un legame: se ci si è separati (si è partiti) da qualcosa (una religione, un sistema di pensiero), questa origine fa parte della storia della setta, del suo “DNA”. Un movimento invece indica un processo in quanto tale, una modalità innovativa, alternativa, che può avvenire dentro le chiese e le religioni, portare fuori dalle stesse o nascere indipendentemente dalle religioni, casomai prendendo elementi qua e là. In ogni caso entrambi si relazionano con le grandi religioni per la loro storia o anche solo per gli orizzonti simbolici che utilizzano. 3. Setta e religione: una questione di numeri, di storie, di approcci Definire quindi “sociologicamente” una setta e/o un movimento significa leggere la struttura e l’organizzazione di questa dinamiche di separazione e di alternativa e leggere le relazioni che generano. Diversi approcci possono fornire informazioni interessanti e complementari. Secondo un approccio sociologico quantitativo possiamo vedere come una setta e un movimento siano di solito di piccole dimensioni, Quando si ingrandiscono e si diffonde il rapporto e l’appartenenza istituzionale, tendono a chiamarsi “chiese” e ad avere una maggiore coscienza di essere “realtà religiosa” tra le altre piuttosto che contro o a partire da le altre. Forse alcune grandi religioni sono nate come sette (o erano considerate tali). Alcune sette invece, sono nate di piccole dimensioni, sono rimaste tali o si sono estinte. Procedendo secondo un approccio sociologico qualitativo possiamo aggiungere che una setta o un movimento, quando sono di piccole dimensione, e proprio per questo, privilegiano generalmente il rapporto personale. La questione cambia quando le dimensione aumentano: l’appartenenza si gioca allora anche oltre il piccolo gruppo di riferimento. Vediamo inoltre che una setta o un movimento hanno un mondo di significati, simboli e riti piuttosto semplice e facilmente comunicabile, Questo, in genere, li rende meno capaci di adattarsi e meno disponibili a cambiamenti o localizzazioni, cosa che avviene, in genere, per le grandi religioni e per quei movimenti con una portata più universalistica. 60 4. Le buone, “vecchie” categorie di Glock, più una Avendo chiarito che una definizione sociologica di setta o, con le dovute distinzioni, di movimento religioso non può essere presentata senza aver indicato una pluralità di approcci e di connessioni, cerchiamo ora di rendere ragione di questa complessità ma anche di provare a dispiegarla. Il sociologo Enzo Pace ci ricorda che “nelle scienze sociali vale una massima di senso comune: prima di filosofare sui massimi sistemi, proviamo a osservare come le persone concretamente agiscono, anche se dobbiamo essere consapevoli che, mentre osserviamo abbiamo in testa un modello di reli- Cfr. AIME O. – OPERTI M., Religione e religioni, p. 299 ss. Il paragrafo su “Il cristianesimo nell’epoca del pluralismo e del postmoderno”. 2 61 speciale L’approccio storico sociale ci permette di rintracciare l’origine, le dinamiche e le conseguenze sociali dei processi di aggregazione e separazione. Una setta, per definizione, e un movimento, per necessità antropologicoculturali, nascono da esperienze precedenti dalle quali prendono esplicitamente o implicitamente le distanze. La setta con una frattura, il movimento anche senza fratture, separazioni. Nella forma identitaria della sette, essersi separata è fondamentale. Meno nel movimento. Nella definizione di un’esperienza religiosa l’assunzione della categoria di complessità è necessaria: complessità storica e complessità antropologica. Un approccio critico culturale ci può aiutare nella ricerca dei significati e delle conseguenze culturali nei processi di aggregazione e separazione. In tal senso notiamo quanto sia importante richiamare il problema del rapporto tra religioni universali ed esperienze di alternativa, originalità, sincretismo e fuga. Sappiamo di essere al confine tra gli studi sociologici, quelli antropologici e quelli più squisitamente fenomenologici: tuttavia l’interdisciplinarità, in certi casi, diviene necessità metodologica ed epistemologica. Molte volte inoltre ci troviamo di fronte a movimenti religiosi sincretici, frutto di numerose contaminazioni, che non sentono la necessità di separarsi ma credono di poter vivere tranquillamente accanto, parallelamente o anche dentro le religioni tradizionali (Il Candoblé cattolico del Brasile, il Marabuttismo nell’Islam, ecc.). Altre maturano la necessità di separarsi e costituire un nuovo cammino. Ricordiamo però che molti movimenti religiosi contemporanei2 nascono e vivono all’interno di movimenti culturali più ampi e complessi, già globalizzati, iper-comunicati e iper-comunicativi (ipertesti mediatici e visuali), soggetti di contaminazioni e rielaborazioni inedite che liberano una creatività che si percepisce emancipata e reazione ai percorsi di massificazione omologante. Ma qui il discorso si allarga e si sbilancia chiaramente nel campo dell’antropologia culturale. speciale gione o di sacro…”3 In tal senso ci vengono in aiuto quelle che abbiamo chiamato “le buone, vecchie categorie di C. Glock”: pratica, appartenenza, esperienza, credenza, conoscenza4 alle quali aggiungiamo una sesta, organizzazione. Chiaramente tali categorie, parziali nella descrizione della complessa esperienza religiosa, ci servono per una prima approssimazione schematica e raccolgono contenuti e informazioni presenti in numerose ricerche sul campo5. 1. Appartenenza Indica la dimensione di legame sociale che si esprime e si sperimenta all’interno di un’esperienza religiosa. Nella setta (S) e nel movimento (M) è molto legata al “fondatore” ma anche ad una relazione ravvicinata e forte tra i membri. Difficile trovare un aderente “non praticante”. Adesione più affettiva e meno sociologica. 2. Pratica Esprime la religiosità nei riti e nei simboli, vale a dire nelle modalità sociali di celebrare la propria esperienza e appartenenza religiosa. Nelle SS e nei MM è caratterizzata da semplicità e immediatezza. 3. Esperienza Indica la dimensione personale e coinvolgente dell’esperienza religiosa, esperienza di sacro sperimentata nella vita e nel mondo. Nelle SS e nei MM è forte (coinvolgente) e caratterizzata (specifica, riconoscibile, tipicizzata da gesti, atteggiamenti, espressioni). 4. Credenza Indica l’orizzonte meta-razionale (non irrazionale) verso il quale si orientano le varie esperienze religiose. I contenuti circa l’Oltre (e l’Altro) che non possiamo conoscere mai fino in fondo, (l’oltre della trascendenza). Una S o un M non hanno credenze tipologicamente indicabili. 5. Conoscenza Ogni religione esprime un’idea di Dio, del mondo e della vita. La religione è qualcosa vissuta qui, anche se orientato all’oltre. Questo vuol dire che ogni religione possiede una serie di conoscenze, che costituiscono (dovrebbero costituire) il bagaglio conoscitivo/sapienziale di tutti i credenti. Nelle SS e nei MM la dimensione conoscitiva è caratterizzata da semplicità e immediatezza. A volte tuttavia può essere comunicata solo all’interno di un percorso iniziatici non disponibile all’esterno, non comunicato, segreto. 6. Organizzazione Ogni religione o esperienza religiosa nella sua dimensione pubblica e sociale esprime un’organizzazione e si costruisce in una struttura di relazioni, di ruoli e di rapporti. Si dà regole e decide chi e come provvede alle regole. Organizza la gestione del pote- AQUAVIVA S. – PACE E., Sociologia delle religioni, p. 73. GLOCK C. Y., Dall’esperienza all’attitudine religiosa, Edizioni Paoline, Roma 1966. 5 Cfr. Bibliografia. 3 4 62 re e le modalità dell’affidamento del potere decisionale. Sette e movimenti sono estremamente vari nell’organizzazione (che, se di piccola entità, è ovviamente semplice). Troviamo organizzazioni carismatiche e partecipative, fortemente gerarchizzate e pluricefale, semplici e complesse. Alla fine di questo excursus ne sappiamo qualcosa di più o meglio ci orientiamo. Percepiamo tuttavia che mancano altri indicatori importanti. Ad esempio il rapporto tra l’esperienza religiosa delle sette e dei movimenti religiosi e la realtà sociale nella quale sono inserite, Uno studio più approfondito andrebbe fatto anche sulla disponibilità e l’uso dei beni economici presente nel fenomeno religioso che stiamo approfondendo. Per ora ci basti l’avere delineato il quadro di riferimento con maggiore approssimazione. 5. Conclusione: rimangono alcuni problemi aperti. 63 speciale Rimangono aperti alcuni problemi nella definizione di una setta o di un movimento religioso. Problemi fondamentali di approccio e di metodo: A) Da quale analisi partiamo? Diamo una definizione a partire dall’identificazione di strutture organizzative e rituali (più sociologica)? Oppure diamo una definizione a partire dalla lettura, dall’esegesi e dall’interpretazione dei simboli, delle narrazioni, delle autocomprensioni e della fenomenologia in genere dell’esperienza religiosa (tipica nell’indagine dell’antropologo e dello storico delle religioni)? Forse possiamo unire i due approcci ma occorre essere consapevoli quando usiamo metodologie e strumenti di una disciplina o dell’altra. B) Occorre prendere consapevolezza della questione circa la posizione di esterno o interno all’esperienza religiosa che vogliamo descrivere. L’atteggiamento di rispetto e di correttezza/consapevolezza del posizionamento dello studioso è più congeniale di fronte alle grandi religioni storiche e alle religioni tradizionali dei territori già, e non più, colonie europee. L’incontro con le sette e con i movimenti rende più facile il giudizio approssimativo e il riduzionismo funzionalista. Porto alcuni esempi: a volte è facile pensare che se una missione cattolica costruisce una scuola o un ospedale stia contribuendo allo sviluppo sociale e culturale di un paese, se lo faccia una setta stia comprando la fede dei suoi proseliti e cercando di minare la cultura tradizionale. Oppure valutare l’esperienza estatica di una antica tradizione islamica come ricca di significati e di dimensioni simboliche, allo stesso tempo svilire nell’emotività sincretica o nella ricerca di una socializzazione facile l’esperienza di un nuovo movimento. Nella definizione sociologica di una setta ci troviamo di fronte anche a problemi contingenti: speciale A) sicuramente forte è la frammentazione, la molteplicità delle forme, le radici varie e complesse di ogni esperienza, i volti diversi che assume nella differenza geografica e storica del fenomeno e nelle varie forme di sincretismo e contaminazione. Una setta pentecostale cristiana ha le stesse dinamiche e dimensioni in America Latina o in Africa? A volte sì ma in parte è diversa grazie ai diversi tessuti sociali e culturali. Anche i contesti storici e sociali possono generare più che forme diverse, percorsi diversi, evoluzioni, mutamenti di tipo diverso. B) Altro problema contingente è la novità e la provvisorietà delle esperienze in atto. La dimensione del mutamento e la pluriformità delle aggregazioni rende lo studio delle sette e dei nuovi movimenti estremamente instabile. New Age e sette “filo-orientali” sembravano invadere fino a pochi anni fa’ l’Europa cristiana, oggi hanno numeri estremamente esigui. Allo stesso tempo i contenuti veicolati da queste esperienze, insoliti e esotici ieri, oggi attraversano culture e religioni tradizionali. La fine del sacro si scontra con la ripresa di forme diverse di religiosità. Una diffusa domanda di esperienze religiose crolla di fronte alla richiesta di un maggior impegno e continuità, per un progetto di vita credente oltre il consumo dei grandi eventi, giornate e pellegrinaggi. Ma questo ha sempre fatto parte dell’esperienza religiosa? Anche la frammentazione in sette e percorsi alternativi non ha attraversato la storia di ogni religione e di ogni rito? Il problema rimane aperto ed anche la ricerca. 6. Bibliografia AA.VV., Il rito tra natura e cultura, Derive e Approdi, Roma 2006 AIME O. – OPERTI M., Religione e religioni, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999 AQUAVIVA S. – PACE E., Sociologia delle religioni, NIS, Roma 1996 BECKFORD J.A., Religione e società industriale avanzata, Borla, Roma 1991 CIPRIANI R., Manuale di sociologia della religione, Borla, Roma 1997 GLOCK C. Y., Dall’esperienza all’attitudine religiosa, Edizioni Paoline, Roma 1966 MASSENZIO M., Sacro e identità etnica, Franco Angeli, Milano Luca Pandolfi Direttore Centro di Comunicazioni Sociali 64 Nuovi Movimenti Religiosi Presentazione fenomenologica del Pentecostalismo e della Nuova Era di Jesus Angel Barreda 1. Tentativo di classificazione Anche la gamma di classificazioni dei NMR è vastissima; ognuno adotta un proprio criterio discriminante. In questo lavoro adottiamo una classificazione pragmatica e non esaustiva, individuando gruppi: 1. di matrice cristiana: evangelici indipendenti, pentecostali trinitari e unitari, e neopentecostali: Assemblee di Dio, Chiesa Quadrangolare, Chiese di Dio, Chiesa di Cristo, Preghiera Forte allo Spirito Santo e una quantità di gruppi indipendenti che hanno propri nomi e che sono legati, soprattutto, a qualche forma “fondamentalista” d’interpretare la Scrittura. 2. para-cristiani che si fondano sulla Bibbia, ma che possiedono anche qualche libro o qualche fonte di nuove rivelazioni: Mormoni, Avventisti, Testimoni di Geova, Chiesa dell’Unificazione, I Bambini di Dio, Scienza Cristiana. Inoltre i Culti indigeni in diversi paesi, dal Messico alla Bolivia, e Culti Negri in tutto il Brasile. Mennoniti, Amish, ecc. 3. d’origine orientale: Hare Krishna, Fede Baha’i, Seiko No’he, Missione della Luce Divina, Ananda Marga, Brahma Kumaris e Meditazione Trascendentale, fra i quali si può collocare la Chiesa dell’Unificazione del Rev. Moon d’origine coreana. RM XXII (2006) 2, pp. 65-87 65 speciale Il campo fenomenologico dei Nuovi Movimenti Religiosi (=NMR) è difficilmente delimitabile: cronologicamente, comprende manifestazioni che vanno dalla più remota storia ai nostri giorni; geograficamente, non risparmia nessun area abitata da comunità umana. Con i NMR ci troviamo davanti ad un mercato di dimensioni mondiali e ci inoltriamo in un mondo pieno di ambiguità, di contraddizioni, di verità e di menzogne, un mondo di sfruttamento della credulità ma, a volte, di offerta di sollievo fisico e spirituale. Si può parlare ad libitum dei contesti nei quali ogni movimento mette le sue radici, dei soggetti protagonisti e dell’impatto sull’insieme delle chiese e, in particolare modo, sulla Chiesa cattolica. Per questo motivo è difficile delimitare lo scenario nel quale i NMR hanno assunto il ruolo di protagonisti. “Fine del mondo, apocalittismo, salvezza, ricchezza, successo, prosperità, felicità, benessere, pace, divinizzazione, sesso…”, sono soltanto alcune delle proposte di questo mercato sacro-religioso-spirituale o, semplicemente, diverso; proposte e offerte che invitano a classificarlo in gruppi per tentare di averne una comprensione più pratica che reale. speciale 4. di origine esoterica che possono avere una origine, sia orientale, sia occidentale: Gnosticismo, Dianetica, Scientologia, Teosofia, Rosacroci, Massoni, Fraternità Bianca Universale, Nuova Acropoli di origine argentina, Missione Rama di origine peruviana e Nuova Era, che ha il maggiore proselitismo1. Classificazioni come questa, o molto simili, sono oggi comunemente accettate, almeno per inquadrare il problema; senza mai dimenticare, anche se qui non ne facciamo riferimento2, l’esistenza di gruppi che con la religione non hanno niente a che fare, in quanto i loro obiettivi sono di altro tipo, ma che, per la loro lontananza dalla dimensione religiosa, rappresentano motivo di maggiore preoccupazione per i pastori della Chiesa Cattolica. La classificazione adottata, non carente di oggettività, è limitata, perché le suddivisioni possono moltiplicarsi secondo l’interesse della ricerca. Per noi cristiani -contestualizzati in anticipo, e non può essere diversamente,- è possibile orientare la finalità delle nostre ricerche: pastorali, missionarie, apologetiche, ecc.. In America Latina, per esempio, si parla dei non cattolici come di “evangelici”, definizione che noi consideriamo imprecisa. Nella pratica si riscontra un certo timore ad utilizzare termini, quali evangelicali e pentecostali per Movimenti Religiosi eterodossi e questo sia nell’ambito del protestantesimo che del cattolicesimo3. I gruppi sopra elencati sono diffusi in tutto il mondo, riscontrandosi in tutti i continenti con la stesse caratteristiche e modalità; ciò vuol dire che, per esempio, i Testimoni di Geova partecipano ad una struttura di governo, di vita e di metodi comuni in qualsiasi angolo della terra. Alcuni gruppi, più affezionati al loro posto d’origine, vivono in quello la propria esperienza, come accade in molte cosiddette “chiese indipendenti africane” anche se alcune sviluppano anche un progetto missionario ad gentes; altri gruppi hanno trovato il posto giusto per lo sviluppo, senza grandi pretese universalistiche; altri ancora hanno adottato un sistema molto preciso di dinamismo missionario; altri, infine, si orientano meno a regioni geografiche concrete, preferendo strati sociali determinati quali: il mondo della ricchezza o della povertà; dei giovani o dei matrimoni. Non esiste un areopago socio-culturale, oltre che geografico, immune dalla loro presenza. Risulta, dunque, difficile classificare i NMR in base ad un criterio geografico universale. È evidente, però, che alcuni continenti presentano peculiarità 1 Cf. AMPARO BELTRÁN, En América Latina, ¿por qué ganan terreno las sectas?, «Pastoral Ecuménica» 19, 2003, n. 59: www.centroecuménico.org. 2 Altre classificazioni girano attorno a formule quali: “Cristo sì, Chiesa no”; Dio sì, Cristo no”; “Religione sì, Dio no”; Sacro sì, Religione no”. 3 Cf. Per esempio, F. SAMPEDRO NIETO, I nuovi movimenti religiosi, i gruppi indigeni e afro-americani in America Latina, Corsi di formazione missionaria per corrispondenza 1999, Lezione Terza, Pontificia Unione Missionaria, Roma 1999, 4-5. 66 più spiccate per sviluppare gruppi più idonei al loro habitat. L’Europa non mostra una predilezione speciale per qualche gruppo, ma accoglie tutto ciò che è proposto sotto forma di novità esotica, quale, per esempio, la Nuova Era. Obbligato, perciò, a fare una scelta, ho optato per analizzare due fenomeni di grandi dimensioni che si confrontano in modo diverso, sia con la Chiesa Cattolica e, ovviamente con la nostra missione, sia con le Chiese cristiane in genere. Questi sono: il Pentecostalismo, di origine e di contenuti in parte cristiani, e la Nuova Era (New Age); quest’ultima per vari versi lontanissima dagli orizzonti dottrinali cristiani. Altri Nuovi Movimenti molto conosciuti quali, Testimoni di Geova, Chiesa dell’Unificazione, Scientologia, Mormoni, Avventisti, ecc. oggi appaiono in regressione perché, con il succedersi delle generazioni, stanno perdendo forza nel loro dinamismo proselitistico. 2. Le fondamenta del movimento pentecostale La glossolalia si suole intendere non come una lingua veritiera, ma piuttosto come un’esperienza religiosa verbalizzata. Il parlare in lingue crea una specie di “santuario acustico” che esprime la presenza dello Spirito Santo in suoni umani. Si tratta dell’esperienza religiosa nata nel battesimo dello Spirito Santo, quella che si converte in uno “stile di vita”5 (Cf. JEAN-PAUL WILLAIME, Le pentecôtisme: contours et paradoxes d’un protestantisme émotionnel, «Archives de Sciences Sociales des Religions» 105, 1999, 10; WALTER J. HOLLENWEGER, Dalla «Azusa Street» al «fenomeno Toronto». Radici storiche del movimento pentecostale, «Concilium» 32, 1996, 441-442). 5 Cf. CHRISTIAN LALIVE D’EPINAY, Haven of the masses. A study of the Pentecostal Movement in Chile, Lutterworth Press, Londra 1969, 15. 6 Cf. JUAN VELARDE, Las sectas en Costa Rica. Pentecostalismo y conflicto social, Ed. Dei, San José 1990, 75. 4 67 speciale Il pentecostalismo affonda le sue radici nell’insieme di denominazioni protestanti del secolo XIX in America del Nord; un protestantesimo che diventa missionario verso l’America Latina, dando origine all’evangelicalismo di tipo indipendente, specialmente fondamentalista, nel quale si innesta il pentecostalismo. Con il termine “pentecostale” ci collochiamo, non in opposizione al Protestantesimo “storico”, ma nell’orbita delle nuove esperienze religiose, nelle quali la santità e il dono delle lingue (glossolalia) acquistano un ruolo determinante4. Secondo Christian Lalive D’Epinay5, il Pentecostalismo rappresenterebbe “la religione dei poveri”; una risposta all’alienazione sociale. C’è coincidenza tra la nascita del pentecostalismo e la crisi economica del sistema capitalista a livello mondiale; il deterioramento delle condizioni di vita della popolazione e l’effervescenza della lotta di classe6 sembrano essere il suo fattore di crescita predominante. Se questo è il contesto sociale, non molto diverso è quello religioso. Così che, per Massimo Introvigne, il pentecosta- speciale lismo nasce come protesta verso le denominazioni e le strutture religiose alle quali pensa di sostituire un network di piccole comunità, più o meno indipendenti, che non impedirebbero allo Spirito di soffiare dovunque vuole7. Il Pentecostalismo si presenta come un movimento religioso che crede “che l’esperienza del Battesimo nello Spirito e la pratica dei doni ricevuti il giorno di Pentecoste sono normativi nella vita della Chiesa e di ogni credente”8. Si tratta di un “movimento di risveglio” che ha la finalità di “restaurare il ministero dello Spirito Santo”9 nella vita personale e nella missione della Chiesa. Non esiste, né chiarezza, né accordo, sulle origini del movimento. Alcuni studiosi trovano le radici nel Puritanesimo e negli insegnamenti sullo Spirito 10 . Altri, le trovano nel Pietismo, con la sua dottrina della guarigione11. Osserviamo che, dal punto di vista religioso, il pentecostalismo nasce nel movimento di santificazione del protestantesimo di America del Nord12. Ci troviamo nella tradizione metodista, nel periodo di John Wesley (1703-1791), quando si insiste sulla conversione e sulla santificazione che richiedono al cristiano di vivere con coerenza la vita cristiana. Alcuni studiosi collocano l’origine del pentecostalismo in tempi più vicini ai nostri giorni e, precisamente, nel movimento americano di santità, identificando nel razzista americano Charles Fox Parham (1873-1929)13 l’anello di congiunzione. Parham aveva esposto ai suoi allievi della Bethel Bible School di Topeka, Kansas, alcune questioni sul capitolo 2, 4 degli Atti in relazione al battesimo dello Spirito Santo. Alla vigilia del nuovo anno (1901), durante la veglia di preghiera, una certa signorina Agnes Ozman chiedeva l’imposizione delle mani per poter ricevere lo Spirito Santo. Dopo ripetute insistenze, Parham acconsentiva: le imponeva le mani sul capo e pregava. Dopo di ciò, 7 Cf. MASSIMO INTROVIGNE, “Fuego del Cielo”. Harvey G. Cox, el pentecostalismo y el “final” de la secularización, in «ARBIL» n. 72, 11/08/2003; www.arbil.org. 8 ROBERT MAPES ANDERSON, Pentecostal and Chsrismatic Christianity, in M. ELIADE (ed.), The Encyclopedia of Religion, vol. 11, Macmillan Publishing Company, New York 1987, 231. 9 A. A. POMERVILLE, The Third Force in Missions: a Pentecostal Contribution to Contemporary Mission Theology, Hendrickson Publishers, Peabody 1985, 80. 10 Cf. D. G. DUNN, Spirit-Baptism and Pentecostalism, «Scottish Journal of Theology» 23, 1970, 397-407; GARTH WILSON, The Puritan Doctrine of the Holy Spirit: A Critical Chapter in the History of Doctrine, Toronto School of Theology, Toronto 1978. 11 Cf. EDITH WALDVOGEL, The “Overcoming Life”: a Study in the Reformed Evangelical Origins of Pentecostalism, Harvard Divinity School, Harvard 1977; J ÜRGEN M OLTMANN , Hope and Planning, Harper and Row, New York 1968. 12 Il “Movimento di santità” rappresentava una reazione contro il liberalismo ed il formalismo delle chiese Protestanti e contro lo studio del liberalismo biblico; cercava un’esperienza personale e individuale di conversione e una perfezione morale (santità) del cristiano. 13 Cf. KLAUDE KENDRICK, The Promise Fulfilled: a History of the Modern Pentecostal Movement, Gospel Publishing House, Springfields 1961, 37; A. ANDERSON, An Introduction, 33-34. 68 14 Cf. GIUSEPPE PICCOLO, Accade 100 anni fa: Il risveglio di Azusa Street, “ICN-News 16/04/06; www.icn-news.com; A. ANDERSON, An Introduction, 34; V. SYNAN, The Century of the Holy Spirit: 100 years of Pentecostal and Charismatic Renewal, Thomas Nelson Publishers, Nashville, TN 2001, 44. 15 Cf. A. ANDERSON, An Introduction, 39-45. 16 Cf. J. R. GOFF, Fields White unto Harvest: Charles F. Parham and the Missionary Origins of Pentecostalism, University of Arkansas Press, Arkansas 1988, 164. 17 WALTER J. HOLLENWEGER, Dalla “Azusa Street” al “fenomeno Toronto”. Radici storiche del movimento pentecostale, “Concilium” 32, 1996, 442. 18 Cf. JOHN FLETCHER, Portrait of St. Paul, in The Works of the Reverend John Fletcher, Schmuls Publishers, Salem, Ohio 1974. 69 speciale “la gloria cadde su di lei, in un alone che sembrava circondasse la sua testa e la sua faccia e cominciò a parlare in lingua cinese e non fu in grado di parlare in inglese per tre giorni”. Dopo questa esperienza, le lezioni furono sospese e durante il mese di gennaio 1901 tutti gli studenti si impegnarono in preghiera e la maggioranza di loro, compreso il pastore, furono battezzati nello Spirito Santo14. Questo potrebbe essere il momento di inizio del movimento. Nel 1905 Parham si trasferisce a Houston nel Texas e fonda una Scuola sullo stile di quella di Topeka. Unico libro di testo: la Bibbia. Tra gli studenti si trovava un predicatore battista di colore, William J. Seymour15. Seymour fu invitato a Los Angeles da un sorella che aveva ricevuto lo Spirito Santo a Houston. Le riunioni furono tenute a casa sua al numero 214 di Bonnie Brae Street. Fu qui che il 9 aprile 1906 sette persone ricevettero il battesimo nello Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue e per tre giorni e per tre notti continuarono a pregare e a lodare Dio. Circa una settimana dopo, le riunioni furono trasferite al numero 312 di Azusa Street, un vecchio edificio preso in affitto. Le riunioni si tenevano a partire dalle 10 del mattino e, spesso, duravano fino alle 3 del mattino successivo. Questo risveglio religioso è considerato da quasi tutti come l’origine del pentecostalismo. Se il movimento pentecostale è caratterizzato, innanzitutto, dall’esperienza del battesimo dello Spirito (con discorsi in lingue), allora il suo fondatore è Charles Fox Parham16. Ma se l’agire dello Spirito Santo è inteso non solo nell’ambito di una esperienza religiosa di crisi, ma anche nella forza dello Spirito Santo che opera riconciliazione e si pone criticamente di fronte allo spirito del tempo, allora il suo fondatore è William J. Seymour”17. Assieme a queste interpretazioni sull’origine del Pentecostalismo, troviamo la dottrina del dispensazionalismo, legata alle tre persone della Trinità e caratterizzata da ogni dispensazione come una grande promessa di Dio: la “dispensazione del Padre” che fa riferimento alla “manifestazione esterna del Figlio”; la “dispensazione del Figlio”, inaugurata col battesimo di Giovanni che guarda alla “promessa del Padre” o effusione dello Spirito nella Pentecoste; la terza dispensazione, o dello Spirito, che si contempla o si relaziona al ritorno del Cristo18. speciale Per la sua complessità, Il Pentecostalismo è stato descritto come “un movimento”, “un’esplosione”, “un’invasione”, “una terza forza”, ecc. Si tratta di descrizioni parziali che corrispondono a gruppi e contesti diversi non ben definiti19. Le espressioni del Pentecostalismo sono così variegate che è preferibile parlare di “Pentecostalismi”, essendo plurale la loro dinamica interna di crescita e di sviluppo. I Pentecostali non accettano i termini classici quali confessione, denominazione o chiesa; preferiscono usare il termine “fraternità” per designare i loro aggruppamenti. Il pentecostalismo appare come una nebulosa complessa perché non fa riferimento ad un sistema dottrinale comune, ma ad una molteplicità d’esperienze vissute in gruppi ed in luoghi diversi. L’assenza di un magistero centrale non facilita la sua comprensione, mentre già nelle sue origini si presenta come un “fenomeno policentrico e plurale” con differenti fonti d’origine e di diffusione20. Dal punto di vista fenomenologico, il pentecostalismo è caratterizzato da una parte da: “forte ‘emozionalità’ dei culti, attenzione personalizzata ai fedeli, calorosa attenzione e solidarietà regnante nelle congregazioni, glossolalia (“«dono delle lingue» che permette la comunicazione diretta con Dio”), “caduta” nelle braccia dello Spirito Santo («il Signore mi butta per terra». «Egli mi butta e cado»); dall’altra da: semplicità dottrinale ed inamovibile riferimento biblico che contiene tutte le risposte, al quale tutti possono accedere e che tutti possono interpretare sotto l’ispirazione e la guida dello Spirito Santo. Il pentecostalismo, sotto il profilo operativo, offre risposte semplici e concrete alle condizioni dell’esistenza presenti nelle ideologie di salvezza, mettendo a disposizione la funzionalità del «pietismo», ovvero, la certezza di essere salvati per la propria fede in Gesù, Signore e Salvatore. Questo ultimo è un concetto fomentato soprattutto dalle «chiese libere», le più numerose in America Latina per la maggior parte provenienti dagli Stati Uniti. L’assenza di una autorità indiscutibile che metta in questione o impedisca per legge la scissione e la sottodivisione fra le chiese (tra i protestanti il liderato è aperto a chiunque abbia il carisma sufficiente per esercitarlo), la strategia del «gruppo familiare» come formula effettiva per una crescita veloce delle chiese e per la consumazione del «risveglio», sono altre caratteristiche che permettono di inquadrare la crescita del pentacostalismo nel loro instancabile proselitismo, che non risparmia sforzi, e nell’indiscutibile successo del millenarismo pentecostale”21. Cf. DANIEL CHIQUETE, Latin American Pentecostalism and Western Postmodernism, “International Review of Mission”, 92, 2003, 30. 20 JEAN-PAUL WILLAIME, Le Pentecôtisme: contours et paradoxes d’un protestantismo émotionnel, “Archives de Sciences Sociales des Religions” 105, 1999, 9. 21 MANUELA CANTÓN DELGADO, Lo sagrado y lo político entre los pentecostales guatemaltecos. Vi19 70 “I pentecostali confessano Gesù Cristo come salvatore, santificatore e guaritore, come colui che battezza nello Spirito e come il re che deve venire. […] Per principio, e conforme alla sua espressione maggioritaria, il pentecostalismo afferma le dottrine cardine del cattolicesimo: la Trinità, l’incarnazione ed espiazione di Gesù Cristo, la necessità della fede in Gesù Cristo per salvarsi, la presenza e il potere dello Spirito Santo divino in ogni vero credente e la beata speranza che Cristo ritornerà per consumare il regno di Dio”22. vencia y significación (Ver Internet). Cantón si riferisce al Guatemala, ma la descrizione proposta serve per la manifestazione del pentecostalismo in generale. 22 STEVEN J. LAND, Orar en el Espíritu: La perspectiva pentecostal, “Concilium” n. 265, 1996, 530. I contenuti teologici dell’esperienza pentecostale: 1. L’incontro con Cristo risorto come esperienza fondante (la conversione). 2. Lo Spirito Santo: il potere del Cristo risorto nelle vita del credente. 3. Il cambio di vita come esperienza di guarigione. 4. Una Chiesa viva: la comunità di coloro che sono stati trasformati da Cristo. 5. Il culto e la preghiera, centro del pentecostalismo: - La parte più importante del culto è la preghiera; - Battesimo nello Spirito; - La Santa Cena; - Il sentimentalismo; - Il tempio. 6. Ricerca di altro linguaggio teologico (cf. JUAN SEPÚLVEDA, Una aproximación a la experiencia pentecostal latinoamericana, www.geocities.com). 23 Cf. BERNARDO CAMPOS, Hacia una teología de la Pentecostalidad de la Iglesia, Conferencia pronunciada en la Fraternidad Teológica Latinoamericana, Buenos Aires 1988. 71 speciale Il popolo santo considera l’esperienza Pentecostale (la ricezione del battesimo dello Spirito Santo e il parlare in lingue), come la terza esperienza, che segue la giustificazione e la santificazione. Le tre esperienze includono: – la giustificazione («nuova nascita», che riconosce Gesù come unico salvatore personale); – la santificazione («seconda benedizione», dopo la quale uno è permanentemente santo, centro del movimento di santità); – il battesimo nello Spirito Santo (manifestato nel parlare in lingue). Ci sono movimenti che praticano due esperienze: sono coloro che, né cercano, né predicano, la «seconda benedizione», ma soltanto la giustificazione e il battesimo nello Spirito; costoro discendono dalla tradizione Battista. Il movimento di guarigione si trova alla base di tutte le derivazioni del pentecotalismo; molte chiese e associazioni procedono da questo movimento. Teologicamente, si tratta di una esperienza religiosa del divino, prolungamento della prima Pentecoste23. Ciò che costituisce la vita o l’essere cristiano, dal punto di vista pentecostale, è una esperienza che si fonda nell’incontro personale con Gesù Cristo, descritta, sia come conversione, sia come nuova nascita (Gv 3), nuovo inizio, cambiamento di vita, ecc. Non è sufficiente nascere biologicamente in una famiglia cristiana e nel seno della Chiesa. Nemmeno basta un assenso formale o intellettuale alla dottrina predicata dalla Chiesa. Si tratta di «vivere» la fede, di avere un’esperienza di Dio. Usando un’immagine biblica, si può dire che per i pentecostali, ogni cristiano deve vivere la propria esperienza del cammino di Damasco. Non fu l’ascolto della parola a convertire Paolo; ciò che cambiò la rotta della sua vita e lo convertì in membro della comunità che prima persegui- tava, fu il suo incontro personale con Cristo risorto in quel cammino di Damasco (At 9,1-16; 26,12). 3. Principali correnti speciale Dal punto di vista puramente storico, ai nostri giorni si distinguono tre correnti, ancora vive, legate ai tipi di esperienza concreta: 3.1. Pentecostalismo classico o denominazioni pentecostali, cioè, chiese nate come rinnovamento del Metodismo alla fine del secolo XIX negli USA con alcuni ingredienti cattolici: le Assemblee di Dio, la Chiesa di Dio di Cleveland, la Chiesa Quadrangolare del Vangelo Completo, la Chiesa Pentecostale Unita Internazionale, la Igreja Pentecostal Brasileira, la Church of God, Pentecostal Holiness Church, la Full Gospel Fellowship ecc. Alcune di queste denominazioni mantengono un dialogo con la Santa Sede e hanno attitudine ecumenica, altre hanno un’attitudine settaria e sotto la stessa denominazione si trovano pastori ecumenici e pastori settari. Tra i personaggi: David du Plessis, David Wilkerson, ecc”24. Samuel Escobar dice che esiste una frattura tra il Protestantesimo storico e questi gruppi settari25 che si caratterizza nel dare meno importanza alla carità che alla presenza ed all’azione dello Spirito Santo, alle esperienze religiose sentite, emotive, con la caduta in trance, guarigione di infermi, visioni di colonne di fuoco, ecc.. In principio si distinguevano, perché insegnavano che il dono delle lingue era il segno iniziale di avere ricevuto il «Battesimo nello Spirito». 3.2. Il neo-pentecostalismo, apparso negli Stati Uniti negli anni ’60, con due rami che non considerano la glossolalia come criterio di discernimento della presenza dello Spirito Santo. Troviamo qui: a) il movimento neo-pentecostale, organizzato in chiese indipendenti libere, che lasciano in disparte l’annuncio dell’imminenza della fine del mondo e della seconda venuta del Signore, dottrina chiave nel pentecostalismo classico; b) il movimento carismatico o i carismatici, nato nel seno del protestantesimo tradizionale storico ed anche nella chiesa cattolica, che ha attinto a dottrine pentecostali, ma con adepti che si sono tenuti fedeli alle loro rispettive chiese (cattolica, luterana, anglicana, ecc.). Non ci sono, pertanto, novità dottrinali rispetto alle chiese originarie. Il Movimento “sorge alla fine degli anni cinquanta. Cf. CARLOS ALBERTO JARDÓN - DANIEL GAGNON, Los Pentecostales, www.redimir.org. Mission in Latin America: an Evangelical Perspectiva, “Missiology” 20, 1992, 241-253; cf. RENÉ PADILLA, Towars the globalization and integrity of Mission, in Mission in the Nineteen 90’s, G. H. Anderson/J. B. Phillips/R. T. Coote, edd. Eerdmans, Grand Rapids 1991, 30-32; SAMUEL ESCOBAR, Los Evangélicos, ¿nueva leyenda negra en América Latina?, Casa Unida de Publicaciones, México 1991. 24 25 72 Si tratta degli evangelici storici (battisti, metodisti, anglicani, presbiteriani, ecc.), che incominciano ad accettare l’esperienza pentecostale all’interno delle proprie tradizioni. Rifiutano il dono delle lingue come unico segno iniziale del Battesimo nello Spirito Santo. Formano gruppi di preghiera dentro le loro chiese. Alcuni personaggi di spicco sono: Don Basham, Dennis e Rita Bennett, Kathyrin Kuhlman, ecc”26. 4. Sviluppo del pentecostalismo in America Latina29 Secondo David B. Barrett30, i pentecostali contavano 10.000 unità nel 1900, mentre nel 2000 arrivavano a 141.432,880 unità. Degli 48.132.000 Ib. Cf. M. GUERRA, Diccionario enciclopédico, 682-683. 28 Ib. 29 Cf. FLORENCIO GALINDO, El protestantismo fundamentalista. Una experiencia ambigüa para América Latina, Ed. Verbo Divino, Estella 1992, 314-315. 30 Cf. DAVID B. BARRETT, TODD M. JOHNSON, PETER F. CROSSING, World Christian Encyclopedia. A comparative study of Churches and Religions in the Modern World, Oxford University Press, Nairobi/Oxford/New York 2001, 12. Gli evangelici nel mondo erano 72 milioni nel 1900 e 210,5 milioni nel 2000; mentre i pentecostali erano 981.400 nel 1900 e 524 milioni nel 2000, stimando che arrivino nel 2050 a 1.067 milioni, secondo la stessa fonte. 26 27 73 speciale 3.3. Chiese indigene non bianche, chiese indipendenti, movimenti para-ecclesiastici, para-chiese o ministeri. Il loro sviluppo incomincia negli anni ’80. Si tratta di gruppi indipendenti dalle denominazioni evangeliche classiche e dai pentecostali classici che si presentano indipendenti tra di loro che hanno attinto ad elementi pentecostali, di gruppi non riconosciuti dalle due correnti precedenti che, però, riconoscono come eterodosse alcune delle loro dottrine e alcune delle loro prassi. Queste chiese danno il primato allo spontaneo, all’orale, alle relazioni personali, alle terapie di gruppo, al contatto fisico, alla preghiera, alle visioni, ecc. e lasciano in secondo piano, l’intellettuale, i concetti astratti, l’anonimato burocratico, ecc.27. Non attribuiscono grande importanza al dono delle lingue, e parlano di più del «potere dello Spirito», di «unione», di «sanità», di «prodigi e di miracoli», di «evangelismo di potere», ecc. Alcuni gruppi danno molta importanza agli esorcismi e si auto denominano soltanto cristiani. Affermano di non appartenere a nessuna denominazione o gruppo religioso in particolare (affermazione dubbia, poiché il loro corpo dottrinale è pentecostale ed evangelico). Esempi: Evangelismo a Fondo, Cristo per le Nazioni, Promise Keepers, Amicizia Cristiana, Vino Nuovo, Le Chiese della Vigna, Visione del Futuro, Chiesa Re dei Re in Argentina, ecc. Personaggi: Oral Roberts, Jim Baker, Pat Robertson, Benny Hinn, Luis Palau, Victor e Chris Richards, Carlos Annacondia, Omar Cabrera, ecc”28. speciale protestanti che si calcolano essere in America Latina, si stima che un 7580% siano già pentecostali. In alcune località del Cile superano il 50% della popolazione totale ed in Bolivia 25%. Aymara appartiene a comunità pentecostali. Le Assemblee di Dio, il ramo pentecostale più diffuso nel continente, registrava nel 1986 in Brasile, secondo le loro fonti, 13 milioni di addetti, assistiti da 10.500 pastori in 52.000 case di preghiera. La loro grande casa editrice a Rio di Janeiro dà lavoro a 300 persone e distribuisce mensilmente circa 350mila esemplari di diverse pubblicazioni. Sebbene le cifre sul numero degli addetti possano essere esagerate, una dimensione di 12-14 milioni di pentecostali nel 1987 e di 40 milioni nel 2000 in tutto il Brasile è realistica. A San Paolo esiste il tempio pentecostale più grande del mondo, con capacità per 25-30 mila fedeli. Questi dati evidenziano la dilatazione del fenomeno pentecostalismo. All’interno del Pentecostalismo si osserva, però, una tendenza alla frammentazione delle istituzioni. Le stesse lotte tra leaders procurano rotture originando nuove chiese. Si tratta di chiese indipendenti che, di solito, non danno l’affiliazione a nessuna denominazione o gruppo congregazionale. Sono chiese “usa e getta”. Molte hanno una vita breve; mancano di stabilità e di sicurezza. I membri, appena trovato un lavoro stabile, a volte lontano dal luogo dove si trova la chiesa, non frequentano più il culto. In ogni caso, una cosa sembra certa: la strenua opposizione del pentecostalismo alle chiese ufficiali, principalmente alla Chiesa Cattolica di Roma, ma anche alle strutture sociali. Oggi, più che il pentecostalismo ecumenico, si osserva quello individualistico, eterodosso a livello dottrinale. Molti rami pentecostalistici sono sfociati in “sette”, a guida personalistica, messianica e autoritaria. Il pullulare di questi gruppi è favorito dalla capacità di auto-pastori a (autopastoreo) senza controllo. Sono gruppi autonomi e auto-cefali; succede che un membro del gruppo, dispiaciuto con i suoi pastori o convinto di avere ricevuto una chiamata divina, si auto-proclama pastore e dà inizio a un nuovo gruppo. Non possiamo, però, vedere il pentecostalismo come semplice fenomeno socio-religioso od nuovo prodotto dell’espansionismo politicoreligioso-finanziario nordamericano. Per i pentecostali, il Pentecostalismo è la conseguenza religiosa e di fede dell’azione di Dio attraverso il Suo Spirito Santo, come accadde nel giorno di Pentecoste (At 2,4; Lc 24,49). 5. Il pentecostalismo, “un protestantesimo emozionale” Il pentecostalismo aggiorna la vena protestatoria del protestantesimo e fa ritornare la Bibbia al popolo, attraverso un’appropriazione emozionale che elimina le mediazioni dottrinali dell’apparato ecclesiastico. Alla base si trova il movimento di appropriazione della Bibbia, non attraverso l’intelletto, ma attraverso l’esperienza del potere divino e dell’emozione della comunità credente. L’esperienza emozionale non impedisce l’avvicinamento 74 31 Cf. J.-P. VILLAIME, Le Pentecôtisme, 13-14. 75 speciale alla Scrittura. In questo modo il pentecostalismo si iscrive dentro la logica protestante della “sola Scrittura”. Tuttavia, la priorità concessa all’esperienza emozionale e all’efficacia divina hic et nunc, l’insistenza sull’oralità ed immediatezza, possono condurre a una svalutazione del testo biblico: ad un uso puramente materiale della Bibbia come di un libro che non si legge o ad una nuova manipolazione clericale della Scrittura che poggia su una specie di divisione del lavoro religioso: l’effervescenza emozionale per le folle, la scienza della Scrittura per i pastori31. Il pentecostalismo rappresenta un tipo di protestantesimo speciale; cioè, un protestantesimo emozionale che privilegia l’esperienza religiosa immediata, invece degli enunciati dottrinali e liturgici della tradizione; un protestantesimo che privilegia l’egemonia pastorale fondata, non su un diploma in teologia o sul riconoscimento da parte di un’istituzione, ma sul carisma della persona, sulla sua capacità di comunicare con la divinità e di manifestare il potere divino in modo efficace (guarigioni). È evidente che tra le perplessità suscitate dal Pentecostalismo, una delle più rilevanti riguarda la relazione tra emozioni e sistema dottrinale. Si può consolidare una condotta fondata sull’emotività? Come controllare, nel senso di dirigere, le esperienze emozionali? Poiché le emozioni dipendono da molti fattori, soggettivi ed oggettivi, come giudicare l’instabilità emozionale? Dove collocare la fonte e la radice della norma e dell’universale? E di più, perchè lo stesso pentecostalismo non esiste al singolare, ma si sviluppa in una pluralità di esperienze e dottrine vissute in una pluralità ancora più grande di contesti, culture e popoli. Nella pratica, lo sviluppo delle emozioni si intreccia (ha molto a che fare) con la cultura degli individui; la relazione stessa fra l’istituzione e l’esperienza emozionale è molto diversa e può condizionare in un modo o in un altro la vita religiosa. Il culto, poi, è il luogo privilegiato di ogni effervescenza emozionale pentecostale ed è dove maggiormente si osserva il contrasto tra i riti pieni di parole, canti, grida, pianti, guarigioni, ecc, ed il culto organizzato presente nelle chiese protestanti storiche. In ambienti dove, per secoli, è stato presente questo tipo di culto, è normale che si veda come trasgressione il culto delle assemblee pentecostali. Sempre esiste una lotta all’interno delle tradizioni religiose tra l’emozione e la ragione, che si esaspera nell’ambito pentecostale. L’istituzione tenta sempre di “addomesticare” le esperienze che si scontrano con la ritualità strutturale vigente; tende ad istituzionalizzare l’emozione. Si pretende che le emozioni siano concepite come irrazionali, carenti di giudizio e di conoscenza, come provenienti dalla parte animale del nostro essere. Ma oggi, questa posizione assoluta non è più sostenibile; ci sono emozioni che giocano un ruolo più sostenibile; ci sono emozioni che giocano un ruolo determinante nella vita delle persone (il dolore, l’amore, la pietà, la paura). Si può dire che tutti i giudizi che provengono dalle emozioni sono falsi? Facili per essere manipolati? speciale 6. I motivi del successo delle Assemblee di Dio e del pentecostalismo in genere in America Latina Le Assemblee di Dio sono considerate «il gigante» delle denominazioni pentecostali latinoamericane. La loro nascita si colloca nel 1914, in Hot Springs (Arkansas), quando si uniscono al «movimento di Santità» e agli evangelici dell’ala Wesley. Verso il 1927 subiscono all’interno una frattura scismatica con il gruppo di evangelici del «Nome di Gesù» o «Unicitari» o Assemblee pentecostali del Mondo che negano la Trinità, sono interrazziali e si definiscono «Apostolici». A loro volta, le Assemblee di Dio accettano la dottrina evangelica della Trinità, con alcuni elementi Pentecostali, come la santificazione personale, il battesimo nello Spirito Santo, con accanto il dono delle lingue come «evidenza iniziale fisica» di averlo ricevuto32. Le Assemblee, come gran parte delle chiese evangeliche, sono congregazioniste, la chiesa locale è sovrana; non c’è autorità sopra di lei. Esistono Unioni di Chiese e di Federazioni che esigono una fede comune e organizzano le Assemblee, congressi e convivenze, ma il potere decisionale appartiene ad ogni congregazione. Sono fatte a misura umana; i loro membri si conoscono, si sostengono a vicenda, sono assidui nel culto. Vedono le Chiesa cattoliche e luterano-riformate come gerarchiche; l’autorità dei vescovi e dei sinodi che comporta un potere di decisione; non si conoscono e non praticano33. Nel 1984, i 9,9 milioni dei loro 12,9 milioni di «membri aderenti» fuori dagli Stati Uniti, si trovavano in America Latina. Contavano 67.375 ministeri che servivano 81.836 chiese e 27.715 studenti, che si formavano in 145 scuole bibliche. Nel Brasile dicevano di avere più della metà dei protestanti del paese. La loro espansione, all’interno del revival pentecostale nel s. XX, è considerata una realtà senza precedenti nella storia della cristianità. Si ha l’impressione che in esse tutto è nuovo, specialmente per la forza e l’intensità della novità con cui convivono: nuove adesioni, nuove chiese, nuovi territori, nuovi predicatori, nuovi miracoli, insomma, vita nuova. Motivi della crescita: – Si indirizzarono agli ambienti della emigrazione rurale-urbana, seguendo il corso dei fiumi, dall’interno verso la costa. 32 Cf. GARY B. MCGEE, “This Gospel shall be preached”. A History and Theology of Assemblies of God Foreign Missions Since 1959, vol. 2, Gospel Publishing House, Springfield, Missouri 1989. 33 Cf. PHILIPPE LARERE, O.P., L’Essor des Églises évangéliques, Centurion, Paris 1991. 76 7. La Nuova Era (New Age) 7.1. Presentazione del fenomeno La storia del mondo è legata e dipende dall’andamento degli astri. L’ingresso del sole nell’orbita dei segni zodiacali ogni 2160 anni determina un Cf. WILLIAM W. MENZIES, Anointed to Serve: The Store of the Assemblies of God, Gospel Publishing House, Springfield, Missouri 1971, 252-253; D. STOLL,136; cf. WILLIAM R. READ, New Patterns of Church Growth in Brazil, Eerdman’s, Grand Rapids, Michigan 1965,130-142. 35 PATRICK WILLIAMS, Le Miracle et la nécessité: a propos du développement du pentecôtisme chez les Tsiganes, “Archives de Sciences Sociales des Religions” n.73, 1991, 95; cf. J.-P. VILLAUME, 16. 36 FLORENCIO GALINDO, El protestantismo fundamentalista. Una experiencia ambigüa para América Latina, Ed. Verbo Divino, Estella 1992, 318. 37 Cf. DAN WOODING, I Saw El Salvador in Crisis, “Moody Monthly”, May 1982, 97-99. 38 F. GALINDO, Ib., 222. 34 77 speciale – Sperano che ogni membro diventi evangelizzatore, protagonista. Questa idea procede dalla relazione della teologia evangelica con la Bibbia; la visione che hanno della Bibbia contribuisce al dinamismo missionario che si trova, sia nelle Chiese, sia nei gruppi evangelici. – Trasferimento del comando ai latinoamericani34. Ma nelle Assemblee è l’organizzazione autoritaria che governa, non la democrazia. Studiosi del pentecostalismo considerano che il successo del movimento si fonda sulla democrazia dell’espressione e sulla leadership dei pastori. Di fatto, “la parola appartiene a tutti (tutti sono invitati a rendere testimonianza, anche a convertirsi in esegeti e maestri), tutti hanno acceso agli avvenimenti ed alle esperienze più profonde della vita religiosa: parlare in lingue, dono di guarigione”35. Se Dio attua all’istante, se salva e guarisce tutti, è comprensibile che il culto pentecostale rappresenti un culto-avvenimento, un culto-spettacolo dove sempre accade qualcosa e dove ognuno è autore e spettatore della fede. Senso missionario del culto. – Il pastore presidente di una “chiesa madre” è una figura imponente, perfino diventa oggetto di venerazione a motivo della sua autorità carismatica36. Fanno tutto per lui e nulla si fa senza il suo consenso37. La cultura religiosa e politica dei protestantesimi latinoamericani è autoritaria e verticale. Il pastore ha un ruolo di autentico protagonista. “Soltanto gli enunciati del pastore hanno un contenuto esplicativo. Mai nessuno interviene durante l’assemblea nel suo discorso, solo lui ha funzione esplicativa. La parola del pastore è, quindi, parola di potere, che esercita mediante il sapere”38. Il potere del pastore non si limita al culto. Egli è la vera guida della comunità. speciale cambiamento totale nella comprensione del cosmo, la creazione di un nuovo paradigma interpretativo della realtà globale. Siamo dunque passati dall’età del Toro (antiche religioni mediorientali) all’età dell’Ariete (il mondo giudaico, da Abramo in poi) e da questo all’età dei Pesci (cioè alla quasi finita era cristiana) che sarà fra poco sostituita dall’età dell’Acquario. Come accadrà questo passaggio nel tempo (spontaneamente o progressivamente?) è motivo di discussione. La credenza in questa successione di mutamenti proviene dalla teosofia, dall’antroposofia, dall’esoterismo, dal pensiero/spiritualità planetaria, da pratiche e tradizioni occultiste, ecc. L’importante è che questo cambiamento di paradigma porterà ad una trasformazione rivoluzionaria, totale non riconciliabile con il paradigma precedente. Il che vuol dire che ogni tentativo di riconciliazione fra due paradigmi non ha senso. La NE non è una setta o un movimento organizzato, facile da definirsi e da confrontarsi; in questo fenomeno si danno appuntamento correnti di pensiero, realtà sociologiche, politiche, problemi psicologici, attese religiose… È come se fosse una cultura “naturale” dove, in realtà, non si sa quale è il segmento principale che dà coesione a tutta la nebulosa. Non ha dottrine, né principi, né un libro; si tratta di un “ambiente, di uno stile di vita, di uno stato d’animo, di un fenomeno che ha dato origine a un sentimento comune secondo il quale qualcosa sta cambiando a livello globale nel mondo; lo chiamano “cambiamento di paradigma”. Cambiamento animato dal movimento del sole e dal suo periplo orbitale. Il sole sta entrando nel segno astrologico dell’Acquario che porterà una nuova interpretazione del mondo. Insomma, siamo davanti ad un mondo complesso. In esso si trova un autentico mercato della “felicità” più desiderata. 7.2. Dottrina In realtà la parola “dottrina” è lontana dalla prospettiva della NE. Nonostante voglia presentarsi in veste a-dogmatica, la NE è legata ad alcuni principi che compongono uno scheletro dottrinale molto preciso. Il “Dio” della Nuova Era La NA preferisce parlare del “divino”, invece che di “Dio”. Perché il dio della NE è un dio senza volto, diffuso, impersonale, indefinito. È una specie di forza, di energia, di presenza spirituale che penetra tutto. Il dio della NE non è “qualcuno”, non ha carattere personale e non potrà mai essere l’interlocutore dell’uomo. Dio è una dimensione segreta della realtà stessa. Dio è la luce che illumina tutto; un fuoco che brucia e purifica. È l’energia immanente nel cosmo e nell’essere umano. Tutte le cose sono dio (panteismo); il più profondo dell’essere umano è divino. Dio è la “memoria planetaria” di cui l’uomo è una cellula attiva e cosciente. L’essere uma78 no arriva alla fusione con dio attraverso vie gnostiche. Essendo divino, l’uomo non ha bisogno di uscire da se stesso per trovarsi con dio. Non vi è poi un dio creatore, redentore, liberatore, fuori dall’uomo. Trovandosi con se stesso, l’uomo trova dio. Allora non ha bisogno di inginocchiarsi davanti a dio, né di adorarlo. Dio è a disposizione dell’uomo39. “Il Dio vero è il Dio che nasce dall’esperienza e dall’intuizione”40. Nessuno può conoscere Dio se prima non conosce se stesso. L’esperienza è l’unica via pratica per “vedere” Dio e parlare di Lui in modo significativo. La Nuova Era si mette “contro la concezione teologica del Dio biblico, in quanto è un Dio di un popolo, un Dio particolare, rivelato agli ebrei, ai cristiani, troppo confinato nella storia e nel passato di un popolo. La vera rivelazione è di carattere esperienziale e perciò Dio non si è consegnato soltanto alla storia passata, ma si consegna alla storia presente, non si misura con un solo testo sacro, ma con tutti i testi sacri di tutte le religioni. Secondo la NE, Cristo non sarebbe una figura storica. È un’idea. Il Cristo-idea è uno spirito o anima che penetra tutto e che si è manifestata, ogni volta in modo diverso, in grandi personaggi come Budda, Zarathustra e altri. Una di queste manifestazioni (avatára, incarnazioni), è stata Gesù di Nazaret. Ecco la principale differenza fra la fede cristiana e la NE. La fede cristiana si può esprimere in un’unica frase: Dio è entrato nella storia umana nella persona di Gesù Cristo, suo proprio Figlio che è allo stesso tempo Dio e uomo. Gesù Cristo è un particolare essere umano storico, che nacque da Maria a Betlemme... Vi è qui certamente un punto di disaccordo insormontabile fra la fede cristiana e tutta la corrente NE. Eccolo: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14). Per tutto il corso della storia, da allora questa fu sempre una pietra d’inciampo per certi “spirituali”: che Dio operi in un uomo che fá dal fango con la sua saliva per porlo sugli occhi d’un cieco per guarirlo! Così Dio ci viene in aiuto in modo terreno e materiale. Tutte le forme di gnosi e tutti i movimenti spirituali ai margini del cristianesimo hanno sempre tentato di rendere Dio più credibile preservandolo dalla polvere della terra. Il corpo di Cristo non sarebbe che apparenza (docetismo), la sua sofferenza illusione ottica. Perché Dio non può soffrire. Oppure Cristo non sarebbe che un semplice essere umano e il chiamarlo Figlio di Dio sarebbe solo un modo di dire. In tal modo, la fede cristiana diventa accettabile, 39 40 Cf. F. MARTÍNEZ, La Nueva Era y la fe cristiana, S. Pablo, Caracas 1995, 103-106. A. N. TERRIN, New Age. La religiosità del postmoderno, EDB, Bologna 1992, 98. 79 speciale Gesù Cristo, figlio degli uomini, Figlio di Dio plausibile: la sua parte dogmatica è smussata. Ma così facendo non si tratta più di fede cristiana41. Se l’era dei Pesci, cioè l’Era cristiana è precedente, perché l’importanza di Cristo nell’Era del Acquario? Di che Cristo si tratta? Ha qualche cosa a che fare con Gesù di Nazaret? C’è qualche somiglianza con il Cristo della fede cristiana? Tre modi di vedere Cristo: speciale Cristo. Anzitutto, la NE parla volentieri di un principio interiore che chiama «il Cristo» e che si trova in ogni uomo. Ultimamente «il Cristo» coincide con la scintilla interiore divina che si tratta di riscoprire e di coltivare. Questa scintilla è della stessa natura divina e costituisce «il Cristo Cosmico, l’“Io sono” in ogni creatura». La scintilla cosmica che la Nuova Era chiama «il Cristo» e che anima ogni uomo, anima anche ogni parte dell’universo: non va così perduta la solidarietà ecologica con gli altri viventi e con la terra, e la teologia si fa «ecoteologia». Gesù Cristo. “Gesù Cristo non è soltanto uno fra i tanti uomini che hanno realizzato «il Cristo», ma lo ha realizzato in modo incomparabile ed eminente”42. Per spiegare questa relazione parlano della “leggenda di Gesù Cristo «grande iniziato», che percorre tutta la storia dell’esoterismo. Gesù, negli «anni perduti» fra l’infanzia e l’inizio della sua vita pubblica, di cui i Vangeli non parlano, si è formato, prima nella comunità degli esseni di Qumram, non lontana da Gerusalemme; poi in India, in Tibet, in Giappone e più tardi ha trasmesso i suoi insegnamenti segreti – che avrebbero, per esempio, incluso la reincarnazione – ad una cerchia di discepoli scelti, lontani dal cristianesimo pubblico che la Chiesa predicava a tutti e che, peraltro, a poco a poco avrebbe anche corrotto. Uno dei testi più influenti sulla Nuova Era è, da questo punto di vista, Lost Christianity, ‘Cristianità perduta’, di Jacob Needleman43. Cf. CARD. GODFRIED DANNEELS, Cristo o l’Acquario, in “Il Regno-doc.”, 13/1991, 423 [415-426]; Le Christ ou le Verseau, Lettre Pastorale de Noël, in “La Documentation Catholique” n. 2021, 3.2.1991, 121 ss. 42 M. INTROVIGNE, Storia del New Age (1962-1992), Cristianità, Piacenza 1994, 111. Cristo non è Messia, né Signore, né Salvatore, né Dio. Non esiste un Dio personale. È uno “straordinario uomo comune”; un “maestro spirituale”, un “guru”, un “grande iniziato”; cioè una persona che, attraverso un insieme di riti e di cerimonie fu introdotto alla conoscenza dei segreti più profondi e della parte occulta delle cose. Mediante questi riti di iniziazione ha ricevuto l’illuminazione propria degli iniziati. Essa è la fonte e l’origine della sapienza, dell’insegnamento, del messaggio di Gesù. Ed è anche la fonte dei suoi poteri occulti con i quali faceva i miracoli. 43 Cf. M. INTROVIGNE, Storia, 111-112; Jacob Needleman, Los Christianity. A Journey of Rediscovery to the Center of Christian Experience, Doubleday, Garden City, New York 1980; trad. it. L’anima smarrita. Un viaggio alla riscoperta del cuore dell’esperienza cristiana, CENS, Cernusco sul Naviglio, Milano 1988; RICHARD BERGERON, La Legende du Grand Initié. Jésus dans l’èsotérisme, Fides, Montréal 1991; J. V ERNETTE , Jésus dans la nuovelle religiosité. Ésotérismes, gnoses et sectes d’aujourd’hui, Desclée, Parigi 1987. 41 80 Come constata Introvigne, in tutti questi riferimenti un dato è comunque evidente: Gesù Cristo non è Dio, non è neppure «il Cristo», ma semplicemente «porta» o «dimostra» il Cristo in modo speciale. Rimane, comunque, un uomo, sia pure un uomo particolare ed un «grande iniziato». Questa riduzione del ruolo di Gesù Cristo presuppone che molto di quanto viene insegnato dai Vangeli non é accolto come semplicemente e letteralmente vero; trattasi, piuttosto di mitologie, allegorie e simboli. Il Cristo futuro, Maestro Universale che deve venire. Una parte importante della NE attende un “Maestro Mondiale” che darà l’impulso decisivo per la realizzazione dell’Età Nuova. Questa figura è insieme il Maitreya del buddhismo e la “seconda venuta del Cristo” del cristianesimo. Non si tratta, letteralmente, di Gesù di Nazareth, ma di un maestro della stessa statura di Gesù e di Buddha che tornerà per fare da levatrice al parto dell’era nuova44. Potete appartenere in tutta tranquillità a più religioni: non vi è in ciò nulla di discordante. La NE è accogliente per tutte le religioni: è una specie di super religione che si libra lontano al di sopra di ogni dogma, autorità, clero e libri sacri. Preferisce parlare di “spiritualità”. Il sentimento vince la ragione e la mistica vince la morale. La NE è un fatto d’esperienza. Essa rivela una logica del cuore, una morale della felicità facile. Niente è veramente giusto o sbagliato e si può rimediare ad ogni eventuale passo falso nel corso d’una nuova esistenza. O, piuttosto, è automaticamente rimediato nella prossima reincarnazione. Non si è fatto altro che ragionare per troppo tempo; è venuto il momento dei sentimenti, dell’amore e dell’azione: “Ama e fa quello che il cuore ti ispira”. Tutta l’intolleranza etica della religione cristiana ha avuto come risultato il peso e i tranelli d’un esasperato senso di colpa, con il suo sapore di avvilimento e di impotenza. L’epoca della legge deve perciò finire, la parola spetta all’amore e alla gioia. Comincia il regno della coscienza, il momento in cui tutte le nostre potenzialità si potranno esprimere. Noi possiamo tutto, grazie all’intensa collaborazione di tutte le coscienze: esse sono la leva che fa ribaltare il mondo. La NE si serve d’un vocabolario del tutto idoneo ad essa: armonia e pace (unità, amore, luce, pace, tranquillità), energia (onde, vibrazioni, irradiazioni), riconoscimento (realizzazione di sé, presa di coscienza, creatività, qui ed ora), sorpresa (rinascita, mutazione, salto, emergenza, apocalisse). Un vocabolario soft, soave, leggero, ma energico e pieno di 44 M. INTROVIGNE, Ib., 114. 81 speciale Sincretismo religioso speranza allo stesso tempo, molto adatto all’uomo d’oggi, afferma il Card. G. Danneels45. speciale Cosa è la verità? “L’atteggiamento della NE nei confronti della verità è il relativismo – «ognuno ha la sua propria verità» – ”46. Nel soggettivismo relativista, la domanda sulla verità ha poco senso. Perché la verità è un concetto assoluto, filosofico; la verità solo interessa quando si corrisponde alla mia propria verità, l’unica che mi interessa. Qui non esiste la verità assoluta. La verità filosofica o la verità identificata con la realtà, che confermerebbe il mondo oggettivo, non preoccupano l’uomo della NE; in fin di conti, il mondo è della mia stessa natura e non ho bisogno di oggettivarlo come una verità fuori da me47. Possiamo ammettere la verità esistenziale in quando si trova in riferimento alle mie possibilità di comprensione esperienziale, ai miei sentimenti e alle mie intenzioni. Soltanto in questa ottica la verità mi può interessare; altrimenti non esiste. La verità, oggetto dell’intelligenza, dà il passo alla verità accessibile ai sensi. Da qui il relativismo della verità, condizionata da tutti gli elementi particolari del soggetto48. “Che importa la verità teorica, se ci sono buoni risultati in pratica! Del resto, cos’è la verità? Si riconosce l’albero dai frutti; osservate i frutti: se sono buoni, anche l’albero lo è”. Niente di più falso. Da nessuna parte è scritto che una fede deviante non possa mai portare qualche buon frutto. Origene poteva essere un santo uomo, ma su certi punti della dottrina non fu ortodosso. Lo stravolgimento della verità è certamente la colpa più grave. Essa può essere all’origine di grandi aberrazioni morali (Rom 1, 25s). Un uomo libero Una delle tesi fondamentali della NE è che tutto è in tutto, che Dio coincide con l’uomo e che il mondo intero è divino, o che Dio si identifica con il cosmo. Si ritrova questo stesso principio, sotto l’una o l’altra forma, nella maggior parte delle religioni orientali. Esso è inconciliabile con la fede cristiana. Dio non coincide con il mondo: egli non è la sua anima immanente (panteismo). Il mondo non è nemmeno uscito da Dio per emanazione, senza libera volontà da parte sua; no, Dio ha creato il mondo e l’uomo Cf. CARD. GODFRIED DANNEELS, Cristo o l’Acquario, in “Il Regno-doc.”, 13/1991, 422. M. INTROVIGNE, Storia, 86. 47 “I valori si convertono, ogni volta di più, in sensazioni che proiettiamo sul mondo, mentre lo stesso concetto di realtà e di verità si è fatto fragile come un cristallo che si fa in mille pezzi” (A. N. TERRIN, New Age. La religiosità del postmoderno, EDB, Bologna 1992, 241). 48 Cf. J. RATZINGER, Relativismo problema della fede, in Il Regno/Documenti, 1997/1, 54. 45 46 82 liberamente, per amore. Perciò è del tutto sbagliato dire che Dio coincide con l’uomo. Certamente abita in lui, ma ciò non toglie che egli rimanga anche colui che sta di fronte all’uomo come suo Creatore, Signore e salvatore. Fra Dio e l’uomo, c’è un rapporto di alterità. Dio è altro; Dio sta di fronte all’uomo come un io e un tu, liberi, partners nell’amore, senza fusione né confusione. Del resto l’amore non produce mai fusione: dà unità proprio all’alterità. La preghiera La grazia gratuita e indispensabile Secondo la NE l’uomo è buono: egli è in se stesso portato verso il bene. A dire il vero, egli non è libero e non c’è da parlare propriamente di bene e di male. L’uomo basta a se stesso; è indipendente; non ha bisogno di rivelazione, né di redenzione, né di alcun aiuto esterno. Il cristianesimo parla altro linguaggio. Certo, l’uomo è fondamentalmente buono, ma corrotto. Da solo non è in grado di volere, né di fare il bene. Ha bisogno di redenzione. Senza la grazia non può nulla (Filp 2,13). L’uomo non è, né senza peccato, né incapace di peccare. È libero, ma non può nulla senza la grazia. Perciò esiste una morale e occorrono i comandamenti per illuminare l’uomo, affinché possa trovare la strada verso la vita. L’uomo non è al di sopra della legge. Per questo gli mancano la luce a la forza. Nessuna ricetta esoterica di salvezza, nessun flusso di concentrazione psichica, nessuno sforzo comunitario di milioni di coscienze può salvare l’uomo. La nostra 49 Cf. CARD. GODFRIED DANNEELS, Cristo o l’Acquario, “Il Regno-doc.”, 13/1991, 422-423. 83 speciale La preghiera non è affatto un coincidere con l’io più profondo. La preghiera presuppone dualità: è un collocarsi liberamente nell’alterità, in adorazione, azione di grazia, supplica, fede e obbedienza. La preghiera cristiana non è introspezione, ma è entrare umilmente nella volontà dell’altro (Lc 22, 42). Ecco perché un’espressione del tipo: ‘Dio è il mio io più profondo’, è del tutto imprecisa. Dio abita in me, è vero, ma rimane l’Altro: sono io ad essere abitato da Lui. La preghiera cristiana è sempre cristologica. “Essa sposa la struttura stessa della fede cristiana. La Scrittura ci mostra il cammino. La preghiera cristiana non è una parola, è, caso mai, una risposta: la parola di Dio precede, altrimenti non sapremmo neppure quello che si deve dire o domandare… La struttura della preghiera cristiana è anche trinitaria: rivolta al Padre, attraverso il Figlio, nello Spirito Santo. Infine essa è anche ecclesiale: noi preghiamo nella chiesa e con la chiesa sia che si tratti di liturgia ufficiale o di preghiera “nel segreto della nostra camera”49. unica via di salvezza è la nostra fede in Cristo che è venuto ed è entrato nella nostra storia “per noi (uomini) e per la nostra salvezza”. speciale Non c’è posto per la sofferenza e la morte Nella NE è ovvio che non c’è posto per la sofferenza: soffrire è assurdo e sterile. Dice il seguace della NE: “Di fronte alla sofferenza e alla morte mi aggrappo a una spiritualità del sensibile e della vita”. È ancora più inverosimile che Cristo abbia salvato il mondo proprio attraverso la sofferenza della croce. La redenzione viene da tecniche salvifiche di ampliamento della coscienza, di rinascita, di viaggi alle porte della morte, attraverso ogni genere di artifici che aiutino a rilassarsi o a rendere attivo o ad accrescere il proprio potenziale energetico. Certo, anche il cristiano lotta contro la sofferenza; ma quando c’è, non la sottace, o non la giudica insensata. La sofferenza sopportata nell’unione con la croce di Cristo è salvifica. La sofferenza e la croce sono scelti dalla sapienza di Dio come mezzi per rivelare agli uomini il suo amore (1Cor 2, 8s). Per il cristiano, la morte non è l’ingresso in una nuova reincarnazione, seguita da altre finché l’uomo arriva al beato nirvana. La morte è un avvenimento unico: il passaggio verso la vita definitiva. Essa viene preparata dalla vita terrena in cui ogni libero atto dell’uomo ha valore di eternità. 7.3. Valutazione del fenomeno Elementi positivi – Il ricupero della dimensione spirituale e mistica dell’uomo. Oggi siamo convinti che la religione non è più “l’oppio del popolo”; che il mondo disincantato, senza mistero, non interessa più l’uomo moderno. Bisogna ritornare allo spirito, ri-incantare il mondo, per non perdersi nell’aridità della ragione. Non si può garantire la felicità, lasciando in disparte la dimensione spirituale. – Vi è anche un ritorno all’esperienza, alla partecipazione, al protagonismo personale. Questo è stato dimenticato dalla religione istituzionale. Questa dovrebbe ricuperare la dinamica esperienziale dei primi secoli: l’incontro personale, la vita comunitaria. Abbiamo perso questa dinamica e così la legge trionfa sulla grazia e la massa schiaccia la persona. – La NE ci spinge ad un ricupero del positivo, che per noi è la grazia, che non deve essere molto diversa dalla vera felicità, parola questa poco abituale in un cristianesimo di Venerdì Santo. Abbiamo l’obbligo di essere felici; tutto coopera a nostro favore. È un valore il tentativo di riconciliare religione e felicità. Molti credenti pensano che fede cristiana e felicità siano incompatibili. La religione, nemica della felicità. L’ideale cristiano sarebbe la rinuncia, il dolore, la penitenza? La morale cristiana sarebbe con84 Perplessità più eclatanti: – Il relativismo, che si trova alla base di tutti i sincretismi irenici, è la morte di ogni religione; non a caso il NE non vuole parlare di religioni, ma di spiritualità. Giovanni Paolo II, che in diversi circostanze ha fatto riferimento alla NE, afferma in riferimento ai NMR: “essi tendono a relativizzare la dottrina religiosa a favore di una vaga visione del mondo espressa da un sistema di miti e di simboli esternato con un linguaggio religioso”52. – Il soggettivismo: una spiritualità nella quale solo esiste il soggetto, misura di tutte le cose, che non accetta la verità oggettiva, se non nella misura nella quale conviene al soggetto stesso. L’individualismo, nel quale la NE Cf. F. MARTÍNEZ, 90. Cf. F. MARTÍNEZ 45. 52 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ad alcuni Vescovi degli Stati Uniti in visita ad limina, “L’Osservatore Romano” 29.05.1993, 5. 50 51 85 speciale traria alla felicità? Può darsi che questi siano soltanto sentimenti, ma sono reali. Se la religione non da la felicità, non serve a niente. Una religione nemica della felicità, lo è anche dell’uomo. La NE promuove questa felicità e tenta di riconciliare religione e felicità. Ciò significa anche che la religione è un’esperienza integrale. Tocca tutte le aree dell’essere. Tutto è soggetto di esperienza religiosa e mistica. Questo è positivo ed è una sfida per il cristianesimo50. – Altro aspetto positivo viene dalla sensibilità ecologica. La mistica e la spiritualità devono anche comprendere il cosmo. La natura è più che il materiale, è il focolare dell’uomo. È un “vestigia Dei”; è sacra e possiede il suo incanto. La sensibilità ecologica della NE è una sfida per la spiritualità cristiana. Aprirsi agli orizzonti del cosmo significa dare valore al dialogo, alla condivisione, alla tolleranza di fronte a dogmatismi e imperialismi storici. L’apertura all’ecologia, la sensibilità verso il creato, teatro della vita dell’uomo, aiuta il cristianesimo a non chiudersi in una spiritualità che pensa solo alla salvezza individuale. La Chiesa deve rispettare e dialogare. Solo chi non ha fede ha paura. – La NE propone una spiritualità priva di dogmi, centrata sul mistico in funzione del divino e sull’intensificazione del sentimento. Non sarà questa una sfida salutare per la Chiesa? Questa ha posto la sua attenzione nella fedeltà a formule dogmatiche che si sono trasformate come mezzo di fede e di esperienza religiosa. Questo non è esatto. I dogmi non sono mezzi della fede, ma strumenti al servizio della fede. Quante volte la catechesi si è ridotta ad imparare a memoria formule dogmatiche senza tradurle in esperienza di fede!51. speciale chiude l’esperienza spirituale, non ha bisogno di Dio per intavolare un dialogo d’amore che possa fare uscire le persone dall’anonimato regnante nella società; al contrario, chiude l’uomo in un egoismo che non tiene conto degli altri. Sicuramente il pericolo più grande è il tipo di offerta spirituale che propone; una religione atea, senza trascendenza. A chi soddisfa dire che “tutto è Dio” o che “Io sono Dio”? Diversa è la religione del Dio personale, trascendente, vicino, creatore e Amore. E poi, promettere di cambiare tutto cambiando la coscienza, è promettere forse troppo. È una spiritualità senza impegno, e senza conversione, magica; infatti, basta fare bene i riti. Il pericolo della strumentalizzazione politica ed economica del fenomeno. Alcuni suoi difensori hanno abbandonato per questo motivo. C’è il pericolo di abbandonarsi ad una felicità facile, senza dolore e senza sofferenze, che fugge la realtà della storia. Che il commercio, poi, giri intorno alla vita spirituale non è una novità. Si vende la spiritualità come si vendono i dischi. Affermando di essere a-dogmatica, è intollerante con le religioni storiche; queste vengono strumentalizzate. È manifesto che la NE si presenta e si offre come dogma. Incompatibilità con la fede cristiana: – Per la fede cristiana, Dio è creatore e Amore; Dio non è il mondo; Dio non è l’uomo. Dio è un essere personale, non l’ Energia impersonale. – Non c’è la possibilità di relazionarsi con un dio così; allora non c’è peccato, soltanto malattie; con c’è bisogno di redenzione, solo di scoperta di sé. – Cristo è negato come Figlio di Dio; è un fatto storico manipolato, ridotto ad una scintilla divina energetica, senza volto, senza morte, senza risurrezione. Si deve cambiare nome, se vogliamo parlare di Lui; Cristo è altra cosa. Egli è il redentore; ma nel NE diventa il redento. – Aprioristicamente si nega il dolore e la sofferenza; ma questa negazione non cancella la realtà. – Dio è a portata di mano; è una bella magia voler utilizzare Dio per noi. – Ognuno è redentore di se stesso mediante lo sforzo personale. La redenzione non ha più il segno del sacrificio di Cristo – Re-incarnazione: se la redenzione fosse opera dell’uomo avrebbe una sua logica; ma è opera di Dio, definitiva e perfetta; Dio non ha bisogno di correzione di rotta nei suoi disegni. – Nella Chiesa tutto avviene attraverso le mediazioni; qui è tutto esperienza diretta. – Solo la via gnostica, del sapere, ci avvicina a Dio? E la via dell’Amore e dell’affetto? L’uomo che non si inginocchia davanti a Dio lo farà davanti a se stesso. 86 8. Conclusione “Un compito difficile: dobbiamo ri-annunciare il Vangelo a un mondo che non ne conosce più i fondamenti, l’abc della fede. La gente rifiuta il cristianesimo perché lo considera troppo esigente dal punto di vista della morale. E, intendiamoci, in un certo senso è vero, perché religioni come la New Age non ti chiedono nulla, mentre il Vangelo ti esorta a cambiare il cuore. Il cristianesimo è inquietudine, tormento, certo. Ma è anche vero che chi incontra Gesù Cristo capisce, sperimenta che la conversione del cuore che gli viene chiesta gli dà una grandissima gioia, soddisfa tutte le esigenze più profonde. Ecco, la Chiesa deve combattere quell’“alito cattivo” che dicevo non cercando di omogeneizzare il suo messaggio ai “prodotti da supermercato” tipo New Age, ma riproponendo lo “zoccolo duro”, l’essenza più profonda del cristianesimo. Tutto questo, però, va fatto cercando un linguaggio aggiornato, adeguato all’uomo di oggi”. Jesús-Angel Barreda op. Facoltà di Missiologia 53 Corriere della Sera, 29.10.1997, 31. 87 speciale Nel giudizio pastorale potremo vedere cosa c’insegna la NE. Susanna Tamaro, quando viene accusata di essere newager risponde: “Questa è una stupidaggine. Io credo che Dio si sia incarnato in Gesù, che sia morto e risorto; sono una cattolica praticante, non una seguace della Nuova Era. La quale, comunque, è una spia del bisogno di sacro che ha la gente, e dovrebbe, piuttosto, fare riflettere i preti: se tante persone finiscono in certe sette o in certi movimenti, forse è anche perché la Chiesa non sempre riesce a rispondere alla domanda di soprannaturale. A volte, mi pare, si insiste troppo sull’aspetto dell’etica, rischiando di far apparire il cristianesimo come una ‘gabbia’ di precetti, e non piuttosto quel messaggio di profonda liberazione che è. Solo chi vive la fede sperimenta quanta pace sgorga dal rispetto della legge di Dio. Ma prima, appunto, bisogna annunciare la fede, e poi la morale”53. A questa conclusione arriva anche Mons. Gianfranco Ravasi in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera (13.10.1997, 27): “L’uomo contemporaneo ha alle sue spalle decenni di materialismo che gli hanno rovinato il palato dello spirito, se mi si passa l’espressione. Oggi sente il bisogno dell’Altro, ma ha il palato deformato e continua a nutrirsi, appunto, di liofilizzati, di omogeneizzati”; questo spiega il successo del New Age. Comunque, continua, “io penso che i credenti siano ammirati nel constatare la forza dello Spirito, che ancora una volta suscita nuovi stimoli, nuove ‘chiamate’. E vediamo anche, con soddisfazione, che nei confronti della religione, e anche della Chiesa cattolica, ora c’è un rispetto, da parte dei non credenti, impensabile fino a qualche anno fa. Ma, d’altra parte, non possiamo non constatare che questa ondata, a volte, è un alito cattivo”. Quale è il compito della Chiesa? Quali atteggiamenti e comportamenti nella pastorale? di Paul Steffen speciale 1. Una visione panoramica Una lettura pastorale delle sette e dei vari movimenti, a livello di Chiesa universale può essere fatta solamente rimanendo su un piano molto generico. Ha quindi dei limiti ma resta valida se è informata dalla prassi delle chiese locali. Una lettura a livello continentale-regionale ci permette di evidenziare alcuni fattori comuni grazie ad una comune base culturale e ad una comunanza nella religiosità popolare o primaria. Emerge tuttavia un’impressione della realtà abbastanza generica, sia pure molto utile per comprendere elementi fondamentali della cultura e della religiosità vissuta in quella particolare regione. Nel nostro ministero pastorale dobbiamo essere coscienti e consapevoli della religiosità fondamentale o primaria. Questa, infatti, influisce molto sul modo di pensare, concepire, agire della gente della regione; sulle modalità del rispetto reciproco e sul come si ‘fa’ o ‘pratica’ il culto. Il processo d’accettazione del ‘messaggio’ dal fuori si sviluppa in base alle condizioni del ricevente, al suo modo di comprendere con un particolare significato il ‘messaggio’ che viene cosi recepito. La cultura del ricevente determina il processo ermeneutico ed il modo in cui il messaggio è integrato. Nella tradizione Europea questa saggezza è conservata nel detto “quid quid recipitur per modum recipentis recipitur”. L’antropologia culturale e la fenomenologia della religione unitamente alle mie esperienze interculturali nel Pacifico ed in Asia mi hanno insegnato a seguire questo cammino di comprensione. La lettura pastorale delle sette e dei nuovi movimenti deve essere fatta sulla base della cultura primaria o popolare di un popolo; senza escludere che tante culture di gruppi etnici condividano elementi fondamentali con quelle dei loro vicini. C’è sempre un legame fra culture vicine; una cultura arricchisce l’altra, grazie ad un costante scambio reciproco. Questo permette anche di raggruppare alcune culture di una regione, e di scoprirne le comunanze, senza negare le specificità che ogni cultura ha sviluppato ed apprezza con orgogliosità particolare. 1.1. Africa Così si può parlare della religiosità degli Africani senza negare che sia vissuta ed espressa in mille forme diverse, secondo tradizioni e costumi 88 RM XXII (2006) 2, pp. 88-99 – le AIC sono l’espressione di un movimento religioso. Compromettono un gran numero di comunità e sono la risposta africana al messaggio cristiano, una risposta che desidera adattare la vita della chiesa secondo forme africane e con guide africane. – le AIC sono chiese di casa… – le AIC sono severe in molte aree del comportamento etico… la loro fonte è la Bibbia, che interpretano letteralmente e che è la base della loro teologia… – le AIC si dedicano ai bisogni che sono il risultato della rapida urbanizzazione e industrializzazione in Africa. Si interessano della disoccupazione e della separazione delle famiglie, prendono a cuore questioni sociali e di liberazione politica… – … AIC hanno una forte espansione missionaria oltre i confini tribali e nazionali”3. Non sarà possibile che le AIC possano insegnare qualcosa alla Chiesa Cattolica e al suo ministero pastorale per il popolo di Dio in Africa? Cfr. AQUILAR M., Dios en Africa. Elementos para una antropologia de la religion, Editorial Verbo Divino, Estella 1997. 2 Cfr. BECKEN H.J., African Independent Churches, in K. Müller et alii (eds.), Dictionary of Mission, Orbis Books, New York 1997, pp. 6-9. 3 Idem, p. 7-8. 1 89 speciale sacri di ogni popolo. Anche in Africa non si costruisce una religione separatamente dalla dimensione sociale, economica e politica; perciò la vita comunitaria vincola tutti questi aspetti in un’esperienza olistica e inseparabile. I riti d’iniziazione che tutte le società africane praticano ci rivelano questa unità organica. Sono riti di grande importanza per assicurare la pienezza della vita. Essi esprimono il fondamento religioso-spirituale, politico, sociale ed economico della società e nello stesso tempo danno da parte loro non solamente una legittimazione ma soprattutto un impulso creativo al mantenimento e alla crescita della società in tutti questi aspetti.1 Il fenomeno delle Chiese Africane Indipendenti o delle Chiese degli Iniziati, che sono la parte della cristianità che cresce più rapidamente in alcune parti dell’Africa, è molto indicativo delle difficoltà e delle ambiguità del processo di cristianizzazione fatto dal Cristianesimo Europeo fra i popoli Africani. Perciò le chiese fondate dai missionari Europei devono studiare il fenomeno delle AIC (Chiese Africane Indipendenti) perché indicano le difficoltà e i problemi che gli Africani hanno con il cristianesimo Non-Africano.2 Secondo Becken: 1.2. Asia speciale La religiosità dei popoli dell’Estremo Oriente e dell’Asia Orientale ha comunanze che influiscono sull’atteggiamento ed il comportamento di questi popoli verso la religione, i loro culti e le celebrazioni religiose. Un culto non esclude l’altro. La religiosità popolare degli indi, musulmani e cristiani d’India, permette spesso la partecipazione a celebrazioni religiose e culturali di altre religioni. Al culmine della festa principale di un santuario della Madonna o del Bambino Gesù partecipano non solamente cattolici ma anche in gran numero indi, musulmani e cristiani protestanti. Come si può spiegare questo fenomeno e quali responsabilità ha la comunità che offre accoglienza ai membri di altre religioni? Cosi tutte le religioni principali possono accompagnare un Giapponese nelle sue varie fasi della vita. La religiosità in Asia è inclusiva! Che cosa significa questo per la nostra attitudine e comportamento pastorale verso gli Asiatici?4. 1.3. America La cultura dei Nord Americani è fortemente influenzata dal messianismo dei Protestanti che fuggivano dall’Europa alla ricerca di Canaan. “Il fondamentalismo è uno sviluppo del ventesimo secolo dentro il Protestantismo evangelico Americano”5. Il biblicismo e l’individualismo sono le caratteristiche più notevoli del revivalism evangelico di questo fondamentalismo nordamericano.La cultura dominante non da’ tanto spazio alle altre correnti del cristianesimo, in particolare alla tradizione Cattolica ed Ortodossa, che si devono adattare e sottomettere a questa cultura dominante. La religiosità popolare in America Latina, invece, è nutrita dalla religiosità tradizionale dei popoli indigeni e dal cattolicesimo popolare di Spagna e Portogallo tipico del tardo medioevo e dell’inizio dell’epoca moderna: una società feudale che ha trovato la sua forma nel barocco iberico coloniale. Il concilio di Trento (1542-1563) rafforzava soprattutto l’aspetto sacramentale e giuridico nella misura che servivano la società coloniale. Il catechismo serviva come una formula da memorizzare che garantisce l’ortodossia dei fedeli. “Si possono ridurre tutti gli atti religiosi del cattolicesimo a 4 categorie: I sacramenti: si parla di “costellazione sacramentale”. Il contatto con la Sacra Scrittura: lettura, preghiera ispirata, applicazione pratica dei suoi in- Per l’approfondimento del nostro tema raccomando di leggere: John Locke, S.J. The Call to a Renewed Church in Asia and the Challenger of religious Fundamentalism, in FABC paper 92m, Hong Kong 2000. 5 HOPPE L., Fundamentalism, in K. Müller et alii (eds.), Dictionary of Mission, Orbis Books, New York 1997, p. 167. 4 90 segnamenti (“costellazione evangelica”). Gli atti di pietà: preghiera, culto verso i santi (“costellazione devozionale”). Le promesse: novena e altre devozioni per situazioni difficili (“costellazione protettiva”)”6. Perciò il lazzarista colombiano Florencio Galindo parla di una deficienza dell’essenziale nel cattolicesimo Latinoamericano. “Questo cattolicesimo ha caratteristiche distintive e ben definite: scarsità d’evangelizzazione ed eccesso nella costellazione protettiva”.7 Ci sono segni molto positivi del formarsi di una chiesa partecipativa in America Latina e in America del nord. La lettura della Bibbia è praticata non solo dai preti e non è più vista come un comportamento protestante. Il cattolico sta riconquistando il suo potere evangelizzatore. 1.4. L’Oceania GALINDO F., El ‘Fenomeno de las sectas’ fundmentalistas. La conquista evangelica de America Latina, Editorial Verbo Divino, Estella 1994. 7 Idem, p. 112. 8 Secondo M. Ernst le cause dello sviluppo e della crescita numerica delle “sette” nella regione del Pacifico sono molteplici e possono essere rintracciate nella generale espansione a carattere ideologico dei valori culturali provenienti dai paesi occidentali e industrializzati. Molto importante, in ogni caso, è il processo di permanente cambio sociale e i collegati sintomi di crisi che sono responsabili del forte movimento di individui – spesso giovani che si sposstano dalle proprie regioni rurali verso i centri Urbani – dentro uno o l’altro delle nuove comunità che promettono salvezza Cfr. Manfred Ernst, The Role of Social Change in the Rise and Development of New Religious Groups in the Pacific Islands, LIT Verlag, Hamburg 1996. 6 91 speciale L’Oceania, il continente delle Isole, ha sperimentato una rapida cristianizzazione a partire dal 1797 a Tahiti, Polinesia. In due generazioni si è completata questa prima evangelizzazione della Polinesia. Dal 1836 è poi continuata in Melanesia e Micronesia. I primi missionari arrivarono sulle coste di Nuova Guinea, l’isola più grande del continente, nel 1871, e sugli altopiani o highlands nel 1932. L’anno dell’indipendenza, 1975, ha quasi coinciso con il compimento della prima evangelizzazione in Papua Nuova Guinea ed in tutta l’Oceania. Secondo le statistiche ufficiali sull’affiliazione religiosa dello stato indipendente di Papua Nuova Guinea i Cristiani sono oggi (2000) il 96%. Tutta l’Oceania conta il 98% di Cristiani; ma le cosiddette “mainline” chiese dell’epoca della prima evangelizzazione dell’ottocento e del novecento hanno perso negli ultimi trenta anni sempre più membri ai nuovi gruppi religiosi a sfondo cristiano fondamentalista e contano oggi circa il 18% della popolazione delle isole Pacifiche.8 Ma non si devono tirare conclusioni errate. La religiosità primaria della cultura melanesiana o polinesiana continua a nutrire la vita dei Cristiani battezzati.9 Un missionario luterano che studiava sia i nuovi movimenti religiosi sia i tradizionali movimenti in Nuova Guinea10 si è convinto che “il messaggio cristiano è stato capito da chi lo accoglie come un possibile sostituto per i miti tradizionali, o come un’alternativa; si crede che hanno la stessa funzione, lo stesso potere e anche la stessa efficacia che avevano i miti primitivi”. Perciò speciale “La Chiesa non avrà realmente affrontato il problema della misconoscenza e della misinterpretazione del Vangelo, e come la Chiesa abbia fallito il segno nella sua predicazione, finché non intraprenda una seria valutazione teologica dei miti primitivi in Melanesia e scopra le domande fondamentali che i Melanesiani si chiedono attraverso questi miti”11. All’inizio rifiutavano la nuova religione, mentre nella seconda fase hanno cominciato ad aprirsi parzialmente ad essa, ma dal punto di vista della loro tipica comprensione della religiosità. Non comprendevano la religione come una cosa separata ma integrata nel tessuto della vita della comunità tribale. La dimensione religiosa faceva parte integrale della visione olistica. Essa era intrecciata inseparabilmente con la dimensione sociale, politica ed economica della vita della gente.12 Si può quindi capire la scelta fatta a favore della “religione” cristiana: una scelta di aggiunta del culto cristiano, molto potente, ma non contro i propri costumi e pratiche religiose. Le delusioni provocate dalla mancata realizzazione delle attese che erano state parte della scelta di essere battezzati, hanno portato ad una crisi fra i missionari ed i popoli indigeni. Emersero numerosi nuovi gruppi religiosi, che inizialmente trovarono poca comprensione da parte delle Chiese cristiane fondate da missionari stranieri. Diversi antropologi occidentali per primi studiarono il nuovo fenomeno, più tardi a loro si unirono i teologi. John Strelan fu il primo teologo che poté studiare a fondo i nuovi movimenti religiosi. Il titolo del suo libro già rive- 9 Cfr. JOHN G. STRELAN, New Challenges. Traditional and New religious Movements, in Wagner H. – H. Reiner (eds.), The Lutheran Church in Papua New Guinea. The First Hundred Years 18861986, Lutheran Publishing House, Adelaide revised 1987, 469-495. 10 Cfr. anche FLANNERY W. (ed.), Religious Movements in Melanesia Today (3), Melanesian Institute, Goroka 1984. 11 Strelan, New Challenges…. p. 488 – L’autore crede che “Il Vangelo non è mai predicato in un vuoto religioso o culturale. Coloro che ascoltano il vangelo hanno già una cultura e una religione propria; e quando ascoltano il vangelo, procedono ad interpretarlo alla luce delle loro credenze religiose e dei loro valori culturali, presupposizioni, e visione del mondo. Valutano il Vangelo in termini della sua utilità nel far fronte ai bisogni presenti e alle speranze e aspirazioni per il futuro – sia per questa vita e, magari, per la vita futura”. Ibid. p. 470. 12 Cfr. H. JANSSEN, Creative Deities and the Role of Religion in New Britain, in Janssen H. et alii, Carl Laufer Missionar und Ethnologe uaf Neu-Guinea, Herder, Freiburg 1975, pp. 19-39. 92 STRELAN J., Search for Salvation, Lutheran Publishing House, Adelaide 1977. Especially the research and publications of the Melanesian Institute in ‘Point Series’ and in the review ‘Catalyst’ express progress made in the field of developing an adequate understanding and praxis towards the New Religious movements in Melanesia. 15 CABRIDO J.A., Sketches for a Dialogue with the Pomio Kivung: A Cargo Cult in the Merai SubParish, in Catalyst 36 (2006) 2, 109-144. – Fr. Cabrido himself comes from the Philippines. 16 Ibid., p. 110. – “4. sentimento etnocentrico o nazionalista…; 5. tendenza verso sincretismo e/o revival del paganesimo; 6. la loro ricerca per una soluzione, spesso un rituale segreto, per mezzo del quale si aspettano cambiamenti in forma di accadimenti automatici. Componenti secondari delle caratteristiche includono: 7. il ruolo prominente di un leader carismatico; 8. l’attenzione a ripristinare il controllo economico e politico natio” etc., idem., p. 110. 17 Cfr. Theo Aerts, “The Birth of a religious Movement: A Comparison of Melanesian Cargo Cults and Early Christianity”, Verbum SVD 20 (1979) 4, 323-344. Ristampata recentemente nel Sedos Bulletin 38 (2006 ) No. 7/8, 239-241(Part II) e No. 9/10, 284-295. (Part I); vedi anche: Id., Traditional Religion in Melanesia, University of Papua New Guinea Press, Port Moresby 1998; id., Christianity in Melanesia, University of Papua New Guinea Press, Port Moresby 1998. 13 14 93 speciale la qual è la nozione chiave per capire l’attesa dei Melanesiani: “Ricerca per la salvezza”13. Un importante passo avanti era fatto che permetteva ai ministri della chiesa di sviluppare una nuova attitudine pastorale e, da allora, anche un dialogo con gli aderenti ai nuovi gruppi religiosi.14 Un articolo di ricerca di John Aranda Cabrino, pubblicato recentemente, descrive come egli abbia incontrato il “cargo movement” nella sua parrocchia in New Britain e come si sia sentito sfidato a capire il fenomeno di questo gruppo religioso Melanesiano tanto da convincersi a preparare delle schede per un dialogo con gli aderenti a questo movimento che sono nella sua parrocchia.15 Oggi i “Culti Cargo” condividono elementi essenziali: 1. Dipendenza da un mito che ha le sue radici nella tradizione storica che include il ritorno degli antenati 2. Credenza nel mito del “cargo”; 3. Credenza nella venuta di un redentore o messia, ecc.”16. Una dimensione fondamentale che si trova nella cultura/religiosità melanesiana, è il messianismo. L’esegeta Belga Theo Aerts MSC ha verificato il parallelismo fra il messianismo nel cristianesimo primitivo e il messianismo melanesiano.17 Questa conoscenza ci aiuta nella lettura del fenomeno dei nuovi movimenti religiosi nel mondo melanesiano, dove varie forme dell’avventismo e messianismo predicato da missionari delle chiese protestanti – spesso del ramo anti-ecumenico – trova facile accesso. Soddisfano, infatti, in buona parte le aspettative presenti nella cultura indigena. Il caso della Chiesa degli Avventisti del Settimo Giorno o Seventh Day Adventist, più conosciuto nel Pacifico sotto l’abbreviazione SDA, ci aiuta a capire lo sviluppo di un nuovo gruppo religioso a sfondo cristiano in una chiesa consolidata in Papua Nuova Guinea. I primi missionari arrivarono dall’ Australia già nel 1908 in British New Guinea e nel 1915 in British Sa- lomon Islands. Le loro rigide regole di comportamento, in particolare il loro atteggiamento anti-alcoolico, e il loro forte spirito e credenza avventistico non hanno fermato una grande onda di nuovi membri negli ultimi tre decenni, tanto da causare una tremenda crescita dal 4.6% della popolazione al 10% nell’ultimo censimento del 2000. Fino ad oggi le relazioni fra la Chiesa Cattolica e gli SDA sono molto rare. Nel 1995 ho avuto la possibilità di fare la conoscenza di un docente di storia della missione dell’ Università dei SDA per l’Oceania, che era vicina al nostro seminario Cattolico. Il nostro interesse comune nella storia delle missioni cristiane ci permise di aprire nuovi cammini di contatto e scambio. Il docente SDA veniva nel mio corso di Missiologia nell’Holy Spirit Seminary e io potevo presentare il sistema della missione Cattolica agli studenti della Pacific Adventist University con il risultato di diminuire le idee stereotipate sbagliate che si erano a lungo portate avanti. speciale 1.5. Europa L’Europa con le sue radici Ebraico-Cristiane, Ellenistiche e tribali – Germaniche, Celtiche e Slave – ha fatto un suo cammino particolare. Il cristianesimo è stato condizionato da queste radici. A sua volta, poi, la Chiesa Occidentale ha condizionato i popoli con la sua forma che ha trovato e sviluppato nella sua storia in Occidente. I due scismi – quello del 1054 e del 1520 – hanno dato vita a nuove forme di Cristianesimo, in particolare nell’Occidente, di tradizione della riforma. All’inizio, in contrapposizione alla tradizione Romano Cattolica, le guerre religiose crearono come conseguenza l’illuminismo e, infine, il laicismo, che, insieme, al secolarismo promuove la privatizzazione della religione nello stile di vita della gente. Fin dall’inizio il Protestantesimo promosse il soggettivismo religioso e la frammentazione del cristianesimo Occidentale, l’interpretazione individuale e soggettiva ha sostituito quella ecclesiale del magistero. Ma anche il Cattolicesimo promuove una spiritualità individualista sotto il tetto unificante della comunità ecclesiale vissuta soprattutto nella sua sacramentalità. Ci sono indicatori che gli Europei contemporanei secolarizzati sono sempre di meno introdotti nella religiosità tradizionale di sfondo cristiano e di tradizione ecclesiale. Nello stesso tempo ci sono indicazioni di un certo revival e ritorno della religione, ma spesso in forma della spread o patchwork religioso. Le sette di sfondo cristiano ovviamente non attirano un gran numero di persone. I nuovi movimenti di tipo esoterico del new age invece sono molto in voga. I Culti trovano i loro seguaci in certi ambienti al margine della società. I paesi d’Europa orientale erano poco preparati all’invasione che sperimentarono dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989. La chiesa di questi paesi non era abituata a fare una lettura pastorale del fenomeno delle sette o nuovi gruppi religiosi. 94 1.6. Conclusione Alcune sette d’origine cristiana corrispondono ad un’aspettativa attuale delle culture primarie e si trova anche nel cristianesimo primitivo. La Chiesa cattolica ed altre chiese devono essere più attente a questa dimensione antropologico-religiosa. La liturgia dell’Avvento per es. ci dà la possibilità di rispondere a questo bisogno umano. Non si devono lasciare queste dimensioni ed elementi alle sette. D’altra parte non c’è bisogno di imitare le sette nella loro unilateralità di insistere esclusivamente su questi elementi. È necessario avere un atteggiamento equilibrato e calmo. 2. Quali atteggiamenti e comportamenti? “Se la Chiesa vuole essere messianica dovrà fare come Gesù, completare il suo messianismo impegnandosi nella solidarietà con gli uomini e nella loro liberazione. Il principale compito messianico sarà di insegnare agli uomini a vivere la giustizia e perseguirla con coraggio”.20 La cura pastorale di parenti ed amici cattolici di una persona entrata a far parte di una setta richiede un atteggiamento e una consulenza sensibile per non rompere il rapporto e per lasciare le porte aperte. In alcuni casi i problemi della famiglia o una religiosità troppo rigida hanno causato la ‘conversione’. Tante famiglie che si sentono vittime delle sette aggressive, fondano gruppi o associazioni di auto-aiuto. La pastorale deve essere pronta ad assistere, quando è richiesta da questi genitori. I giovani sono il gruppo più vulnerabile e più colpito.21 L’assenza Segretariato per l’Unione dei Cristiani – Segretariato per in Non Cristiani – Segretariato per i Non Credenti – Pontificio Consiglio per la Cultura, Il Fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: Sfida pastorale (7.05.86), in: Enchiridion Vaticanum 10, EDB, Bologna 1989, 252-281, qui p. 253. 19 Cfr. BORSATO B., Le sfide alla pastorale d’oggi. Vivere la fede e la Chiesa in modo adulto, EDB, Bologna 1994. 20 Ibid., p. 156. 21 Questo fatto è anche menzionato nel documento dei dicasteri della curia romana vedi: Il Fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: Sfida pastorale (7.05.86), in: Enchiridion Vaticanum 10, EDB, Bologna 1989, p. 255. 18 95 speciale La pastorale deve saper rispondere ad ogni tipo di spirito settario, vale a dire ad “un atteggiamento intollerante unito ad un proselitismo aggressivo”18, all’interno e all’esterno della Chiesa. Lo spirito di comunione e di dialogo – due parole chiave del magistero del Concilio e dei Papi recenti – ci servono come pietra d’angolo nella costruzione di una comunità ecclesiale che traduca queste nozioni in prassi vissuta. B. Borsato sottolinea il bisogno di “vivere la fede e la Chiesa in modo adulto”.19 di una pastorale giovanile in tante parrocchie in Paesi secolarizzati crea situazioni difficili, perché mancano luoghi e spazi per i giovani nella chiesa. I giovani hanno bisogno di sperimentare la chiesa come comunità che offre prima di tutto la possibilità di fare un’esperienza religiosa autentica. C’è un altro gruppo nella nostra società che non ha nessuna lobby: i “«senza legami», disoccupati, inattivi nella vita parrocchiale o nel lavoro parrocchiale volontario, provenienti da un ambiente familiare instabile o appartenenti a minoranze etniche, dimoranti in luoghi piuttosto lontani dall’influsso della chiesa, ecc”.22 Solamente una comunità parrocchiale che vive la sua vocazione diaconale è capace di raggiungere queste persone. È necessaria una pastorale d’evangelizzazione vissuta secondo EN n. 4: speciale Questa fedeltà a un messaggio, del quale noi siamo i servitori, e alle persone a cui noi dobbiamo trasmetterlo intatto e vivo, è l’asse centrale dell’evangelizzazione.23 Il professore salesiano E. Alberich ha sviluppato uno schema molto chiaro e convincente che attualizza l’ecclesiologia di comunione del Vaticano II. Lui parla dei «segni» evangelizzatori che sono “ancorati alla natura sacramentale della Chiesa in quanto segno e strumento del Regno di Dio… L’ideale del Regno si fa presente nel mondo in quattro forme fondamentali di visibilità ecclesiale: – come Regno realizzato nell’amore e nel servizio fraterno (segno della diaconia); – come Regno vissuto nella fraternità e nella comunione (segno della koinonia) – come Regno proclamato nell’annuncio salvifico del Vangelo (segno della martyria); – come Regno celebrato nei riti festivi e liberanti delle celebrazioni cristiane (segno della liturgia)”.24 La forza di questo schema è che permette di scoprire le ricchezze e potenzialità di tutte le chiese a livello diocesano e parrocchiale. Nello stesso Il Fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: Sfida pastorale (7.05.86), in: Enchiridion Vaticanum 10, EDB, Bologna 1989, 255-256. 23 “This fidelity both to a message whose servants we are and to the people to whom we must transmit it living and intact is the central axis of evangelization”. – “Cette fidélité à un message dont nous sommes les serviteurs, et aux personnes à qui nous devons le transmettre intact et vivant, est l’axe central de l’évangélisation”. 24 E. ALBERICH, La Catechesi oggi, Elledici, Leumann (To) 2001, p. 44. L’edizione inglese è aggiornata e allargata: E. ALBERICH – J. VALABRAJ, Communicating a faith that transforms. A handbook of fundamental Catechetics, Kristu Jyoti Publications, Bangalore 2004; l’edizione francese include la aggiunta bibliografia inglese e francese e due nuovi capitoli di H. DERROITE sul catecumenato e il legame fra catechesi e famiglia; vedi E. ALBERICH avec la collaboration de H. DERROITTE et J. VALLABARAJ, Les Fondamentaux de la Catéchèse, Novalis – Lumen vitae, Montréal – Bruxelles, 2006. 22 96 – La mancanza di aver ricevuto una formazione adeguata – La mancanza di un approccio personale – La mancanza di espressioni e forme inculturate nella chiesa che rende difficile comprendere il suo messaggio. – La scarsità di preti e religiosi incaricati. – Il clerocentrismo ed ecclesio-centrismo delle attività ecclesiali con uno stile autoritario a scapito di una collaborazione di tutti i cristiani nella missione della chiesa. – La povera possibilità da parte dai laici di prendere corresponsabilità e leadership – Dove le parrocchie sono troppo vaste e impersonali per sperimentare comunità fraterne – La mancanza di Piccole Comunità Ecclesiali inserite nel quartiere dove si vive. Vi sono alcuni punti deboli nel ministero pastorale e nella vita delle comunità cristiane che possono essere sfruttati, ma questi devono essere prima di tutto uno stimolo per avanzare il rinnovamento della pastorale della chiesa come ho indicato sopra per esempio o in altri modi adeguati e rilevanti per la comunità dei fedeli. “La «sfida» delle sette o dei nuovi movimenti religiosi deve essere uno stimolo a rinnovarci in vista di una maggiore efficacia pastorale”.25 Ma Il Fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: Sfida pastorale (7.05.86), in: Enchiridion Vaticanum 10, EDB, Bologna 1989, p. 271. 25 97 speciale tempo indica un programma di formazione con lo scopo di sensibilizzare tutti i membri della comunità ecclesiale a vivere la loro vocazione battesimale e cresimale oppure sacerdotale e sperimentare di essere parte della chiesa nel servizio ecclesiale ad intra e ad extra della Chiesa. Tanti lasciano la chiesa per una mancanza di credibilità sperimentata nella propria chiesa locale. La pastorale deve lasciarsi interrogare e avere il coraggio di superare approcci inadeguati alla vita della chiesa. Al centro di questi problemi si trova la necessità di riformulare la propria identità, come Chiesa e come esperienza di fede, all’interno di una società in trasformazione. Le cause del successo delle sette tra i cattolici sono evidentemente molteplici e si possono individuare a vari livelli. Innanzi tutto vi sono i bisogni e le aspirazioni che un individuo ritiene di non poter soddisfare nella propria chiesa; poi, le tecniche di reclutamento e di formazione delle sette; e, infine, anche ragioni estranee all’appartenenza alla chiesa o ai nuovi gruppi: interessi economici, interessi o pressioni politiche, semplice curiosità, ecc. La pastorale deve essere consapevole di questa complessità e sapere che non sempre la chiesa ha causato il successo della setta. Fra le carenze più evidenti si trova spesso la mancanza di aver sperimentato una comunità ecclesiale. speciale quale approccio ci serve in ambienti più o meno religiosi oppure secolarizzati in società tradizionali o in una società globalizzata? Mi pare sia necessaria una pastorale che abbia la persona al centro del suo interesse. In altre parole una pastorale di relazione che sa accogliere la gente in ogni fase della vita. La meta principale deve essere chiaramente al centro dell’attività pastorale: condurre gli uomini e le donne d’oggi al mistero di Dio nella loro vita, una pastorale mistagogica.26 Come popolo di Dio in cammino la Chiesa deve essere, per tutti i suoi membri, un luogo di formazione nei valori evangelici e del regno di Dio. Solamente cosi può vivere e attuare la sua missione di essere “il segno e lo strumento della comunione con Dio e della comunione e della riconciliazione tra gli uomini… Essendo una comunione, la chiesa deve rendere tangibile la partecipazione e la corresponsabilità ad ogni livello”.27 Qui la pastorale della comunità parrocchiale ha tanto da imparare dalle chiese protestanti e dalle nuove comunità religiose a sfondo cristiano. Osservando la passività dei cristiani nelle parrocchie cattoliche e il coinvolgimento dei cristiani nelle parrocchie dei Metodisti. F. Lobinger, il direttore dell’Istituto pastorale della Conferenza Episcopale del Sudafrica, voleva cambiare questa situazione con una formazione dei laici e di tutta la comunità parrocchiale. Perciò Fritz Lobinger e Oswald Hirmer, due preti “Fidei Donum” svilupparono il metodo LUMKO28, che oggi è conosciuto in tutti continenti. In Asia è conosciuto sotto il nome AsIPA: Asian Integral Pastoral Approach (Approccio Pastorale Integrale Asiatico). Questo approccio integra nel senso che cerca di raggiungere un equilibrio fra lo “spirituale” e il “sociale”, fra l’individuo e la comunità, fra il governo gerarchico e la corresponsabilità dei laici; per questa ragione è integrale nel suo approccio e nel suo contenuto. Grazie a quest’approccio che favorisce neighborhood communities Il termine è usato e elaborato da K. RAHNER e P. ZULEHNER, vedi ZULEHNER P., Ci provieni con la grazia. A colloquio con Karl Rahner per una teologia della pastorale, Città Nuova, Roma 1987 (originale tedesco: ZULEHNER, “Denn du kommst unserem Tun mit deiner Gnade voraus”. Zur Theologie der Seelsorge heute. Paul Zulehner im Gespräch mit Karl Rahner, Patmos Verlag, Düsseldorf 1984, pp. 40-120. 27 422 Comprendere e assimilare il concilio, in Il Fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: Sfida pastorale (7.05.86), in: Enchiridion Vaticanum 10, EDB, Bologna 1989, p. 272. – Il documento fa qui un riassunto del Sinodo straordinario dei vescovi di 1985, p. 272. 28 Ambedue sono diventati vescovi nel Sudafrica. Vedi LOBINGER F., Towards Non-dominating Leadership. Aims and Methods of the Lumko Series, Lumko Institute, Delmenville, South Africa; PRIOR A. – F. LOBINGER, Developing Shared Ministry. Awareness programmes for Introducing Community Ministries,2nd revised edition, Lumko, Delmenville 1983; PRIOR A, Towards a Community Church. The Way Ahead for Today’s Parish, Second edition, Lumko Institute, Delmenville, South Africa 1997. 26 98 [comunità nel quartiere con i vicini] che condividono regolarmente la parola di Dio fra di loro è aumentata la capacità dei cattolici non solamente di conoscere di più la Sacra Scrittura, ma soprattutto di testimoniarla e viverla nel mondo di oggi. Solamente la parrocchie che si lasciano nuovamente evangelizzare sono capaci di evangelizzare la gente che incontrano. Questo sviluppo degli ultimi decenni – che si può testimoniare anche con tanti altri esempi – dimostra che la chiesa è in cammino per rispondere efficacemente sia nei suoi atteggiamenti sia nei comportamenti alle sfide delle nuove comunità religiose. Paul Steffen Facoltà di Missiologia speciale 99 Ecumenismo Percorso bibliografico di base p e rc o r s i b i b l i o g r a f i c i di Adele Scarnera Il decreto del Concilio Vaticano II Unitatis Redintegratio1 del 1964 che solennizza l’identità ecumenica del concilio stesso – anche se storicamente solo sette concili della storia della Chiesa (IV-VIII secolo) possono definirsi pienamente ecumenici2 – avvia l’era3 del dialogo per la ricomposizione dell’unità delle Chiese cristiane provenienti dagli scismi di storica memoria.4 1. I dialoghi bilaterali Nel 1960 venne istituito da papa Giovanni XXIII il Segretariato per l’Unità dei Cristiani, che nel 1967 emanò il primo Direttorio sull’Ecumenismo. Il Segretariato, mutato nel 1989 in Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani5, aggiornò nel 1993 il Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo.6 Enchiridion Vaticanum (EV) 1/494-572. Normalmente convocati dall’imperatore nel contesto romano-bizantino, i concili riunivano i vescovi dell’ecumene cristiana d’Oriente e d’Occidente (delle sedi di: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme) per definire le dottrine teologiche, i canoni, le discipline interne alle Chiese in conformità alla Scrittura e alla Tradizione apostolica. I primi quattro concili sono importanti per le definizione dei dogmi trinitario-cristologici: Nicea (325), Costantinopoli I (381), Efeso (431), Calcedonia (451). Gli altri tre concili ecumenici sono: Costantinopoli II (553), Costantinopoli III (681) e Nicea II (787). 3 Il can. 1325 del Codice del 1917 proibiva ai Cattolici di partecipare a dispute o incontri, specialmente pubblici, con i non-cattolici senza l’autorizzazione della Sede Apostolica o, in casi urgenti, dell’Ordinario del luogo. 4 Dal V secolo nascono le antiche chiese orientali, mentre nel 1054 lo scisma d’Oriente separerà la Chiesa cattolica romana dalle chiese greco-ortodosse. Al XVI secolo risale, invece, lo scisma d’Occidente. 5 L’attuale presidente è il cardinal Walter Kasper. Cf. Annuario Pontificio per l’anno 2006, Città del Vaticano 2006, 1241.1879. 6 È una revisione del precedente Direttorio del 1967 e puntualizza in cinque parti le condizioni pratiche per l’avvio del dialogo e del confronto ecumenico con le Chiese e Comunitá cristiane non-cattoliche: a) ricerca dell’unitá dei cristiani; b) organizzazione nella chiesa cattolica del servizio dell’unitá dei cristiani; c) formazione all’ecumenismo nella chiesa cattolica; d) comunione di vita e di attivitá spirituali tra i battezzati; e) collaborazione ecumenica, dialogo e testimonianza comune. 1 2 100 RM XXII (2006) 2, pp. 100-109 Paolo VI volle riallacciare un dialogo con il Patriarca Atenagora nel 1963, interrottosi nel 1584, quando Gregorio XIII scrisse a Geremia II riguardo alla festa di pasqua12 secondo il calendario gregoriano. Dopo l’incontro del 1964 a Gerusalemme tra Paolo VI e il Patriarca Ecumenico Atenagora I, con la prospettiva di riesaminare le divergenze dottrinali, liturgiche e disciplinari, l’anno seguente furono abrogate le scomuniche del 1054.13 Nel 1967 a Costantinopoli (Istanbul) si svolse il secondo incontro tra Atenagora I e Paolo VI per professare la comune fede del simbolo degli apostoli e successivamente nella basilica di s.Pietro – nel terzo incontro tra Paolo VI e Atenagora I – si definirono le due chiese EV 1/457-493. EV 12. 9 Anglicani, Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) che comprende 348 denominazioni, Discepoli di Cristo, Luterani, Riformati, Metodisti, Ortodossi Calcedonesi, Ortodossi Orientali (copti, siro-ortodossi, siro-malankaresi), Pentecostali, Battisti, Evangelicali. Dal 1998 è iniziato il dialogo con la Chiesa mennonita (discendente dagli Anabattisti del XVI s.). 10 Dialoghi internazionali 1931-1984, EO 1, Bologna 1986; Dialoghi locali 1965-1987, EO 2, Bologna 1988; Dialoghi Internazionali 1985-1994, EO 3, Bologna 1995; Dialoghi locali 1988-1994, EO 4, Bologna 1996; Dialoghi internazionali 1995-2005, EO 7, Bologna 2006. 11 La Chiesa viene sollecitata a dialogare col mondo in cui si trova a vivere. La chiesa si fa parola, messaggio, colloquio (ES 38). Il dialogo teologico esige: chiarezza (comprensione del linguaggio); mitezza (il dialogo assume autoritá per la veritá che espone, per la caritá che diffonde e per l’esempio che propone); fiducia (propone confidenza e amicizia nel bene); prudenza (considera le condizioni degli interlocutori). Nel dialogo si realizza l’unione della veritá e della caritá, dell’intelligenza e dell’amore (ES 47). Il terzo livello del dialogo é chiamato ecumenico coi fratelli separati (ES 61) – oggi fratelli non in piena comunione – per evidenziare ció che unisce rispetto a ció che divide. 12 Il dibattito sulla definizione della data della pasqua inizia nel II secolo e a tutt’oggi resta tale. 13 Con la formula: “...deplora e cancella dalla memoria e dal seno delle chiese le sentenze di scomunica [...] il cui ricordo è stato fino ai nostri giorni un ostacolo al riavvicinamento nella carità e le condanna all’oblio”. 7 8 101 p e rc o r s i b i b l i o g r a f i c i Un altro decreto conciliare, Orientalium Ecclesiarum7 si occupa delle Chiese Cattoliche di rito orientale, mentre la promulgazione del Codice del Diritto Canonico Orientale (CCEO) risale al 18/10/1990.8 La Chiesa Cattolica svolge dialoghi bilaterali9 sul piano internazionale e locale con Chiese e Comunità cristiane, i cui contenuti sono pubblicati nell’Enchiridion Œcumenicum.10 Il Pontificio Consiglio per la Promozione dei Cristiani pubblica trimestralmente in lingua francese e inglese tutto quanto riguarda il dialogo bilaterale tra la Chiesa Cattolica e le altre Chiese e Comunità Cristiane, attraverso il «Service d’information»/«Information Service». Il termine dialogo è molto ricorrente in quest’ambito disciplinare e la sua definizione gode di maggior splendore nella terza parte della prima enciclica di Paolo VI, Ecclesiam Suam del 1964.11 p e rc o r s i b i b l i o g r a f i c i “sorelle”.14 Nel 1975 – decimo anniversario dell’abolizione delle scomuniche – Paolo VI baciando il piede di Melitone di Calcedonia, rappresentante del Patriarca Ecumenico Dimitrios I, compì un gesto senza precedenti nella storia della chiesa. Seguì una stagione di visite nelle ricorrenze delle feste degli Apostoli Pietro e Paolo a Roma e Andrea per l’Oriente; la traslazione di reliquie e collaborazioni culturali e pastorali.15 Dal 1980 il dialogo della caritá tra la Chiesa Cattolica Romana e le Chiese Ortodosse Bizantine, divenne teologico con la costituzione della Commissione mista del Dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse per ristabilire la piena comunione tra le due tradizioni ecclesiali, distinguendo tra vere divergenze e legittime differenti espressioni di fede. I temi trattati dalla Commissione che, dopo un arresto nel 2000, ha ripreso il suo impegno quest’anno16, sono accuratamente disponibili nel testo di: D. SALACHAS, Il dialogo teologico ufficiale tra la chiesa cattolico-romana e la chiesa ortodossa: iter e documentazione, Bari 1994. Al pontificato di Giovanni Paolo II appartengono due Encicliche17 e una Lettera apostolica18 da cui si evince un’affinità storica, dottrinale, ecclesiologica e spirituale con la tradizione greco-ortodossa. 2. Il Movimento Ecumenico Per un’introduzione storica al Movimento ecumenico, segnaliamo: AA.VV., Storia del movimento ecumenico, vol.I: Dalla Riforma agli inizi dell’800; vol. II: Dagli inizi dell’800 alla Conferenza di Edimburgo; vol. III: Dalla Conferenza di Edimburgo (1910) all’assemblea di Amsterdam (1948); vol. IV: L’avanzata ecumenica (1948-1968), Bologna 1973-1982. Inoltre: R.FABBRI (a cura), Confessioni di fede delle Chiese cristiane, Bologna 1996. Si tratta della raccolta dei testi simbolici dal “credo degli apostoli” fino alla Riforma. In particolare: le Confessioni delle Chiese luterane e Riformate del XVI secolo, delle Chiese Valdese, Anglicana, Vecchiocattolica (XVII-XVIII s.) e delle Chiese Libere (XIX s.). L’Enchiridion Œcumenicum include altresì i testi delle Assemblee Ge- Cf. nota del 30.06.2000 sull’espressione “chiese sorelle” della Congregazione per la dottrina della fede ai Presidenti delle Conferenze Episcopali, EV 19/1025-1038. 15 Una storica visita di Giovanni Paolo II si svolse in Romania nel 1999. Cf. L.ACCATTOLI, L’immagine ecumenica, il consenso popolare, in “Regno-attualità” 10/1999, 292-293; GIOVANNI PAOLO II in Romania, Una fraternità che rinasce, in “Regno-documenti” 11/1999, 329-333. 16 La plenaria si è svolta dal 18 al 25 settembre 2006 a Belgrado (Serbia). Cf. D. Salachas, Autorità e conciliarità. Assemblea plenaria della Commissione mista Internazionale, in “Regno-attualità” 18/2006, 597-599. 17 Enc. Slavorum apostoli (1985), in: Enchiridion delle Encicliche (EE) 8/339-425; Enc. Ut unum sint (1995), EE 8/2151-2374. 18 Lett.apost. Orientale Lumen (1995), EV 14/2553-2632. 14 102 19 Vol. V: Assemblee Generali 1948-1998, Bologna 2001. Gli atti dell’ultima Assemblea Generale in: CEC – IX Assemblea generale. Porto Alegre (Brasile) 14-23.2.2006. Dio, nella tua grazia trasforma il mondo, in “Regno-documenti”, 9/2006, 302-336. 20 “Fede e Costituzione”, Conferenze Mondiali 1927-1993, EO 6, Bologna 2005. Ispirata alla teologia dialettica, “Faith and Order” si costituì a Losanna nel 1927 per lo studio comparato delle Confessioni cristiane. 21 Citiamo solo alcuni articoli sull’A.: cf. K.H.NEUFELD, sj, Il contributo di Yves-Marie Congar al- 103 p e rc o r s i b i b l i o g r a f i c i nerali settennali del CEC19 e quelli delle Conferenze Mondiali di “Fede e Costituzione”20. Strumenti di consultazione sono il Dizionario del movimento ecumenico, Bologna 1994 e una presentazione sintetica delle chiese cristiane: AA.VV., Le chiese cristiane nel Duemila, Brescia 1998. Tra gli Autori che nella nostra epoca studiano sotto diverse angolature le questioni ecumeniche più importanti, ne segnaliamo alcuni, partendo dal testo di W.KASPER, Vie dell’Unità. Prospettive per l’ecumenismo, Brescia 2006. Dalle conferenze tenute dall’A., affiora innanzi tutto la metodologia del dialogo. Le questioni ecclesiologiche tra consensi e nuovi ambiti di studio riguardano: l’autorità della Chiesa, la ricezione del dogma, il ministero petrino, l’uniatismo, senza tralasciare quei tratti di involuzione e di crisi ecumenica. Il volume di P. NEUER, Teologia ecumenica. La ricerca dell’unità delle chiese cristiane, Brescia 2000, si occupa del processo di ricezione del complesso lavoro ecumenico in teologia, quindi è anche strumento di approccio alle questioni ecclesiali controverse: rapporto tra Scrittura, Tradizione e tradizioni; i sacramenti; il ministero; i matrimoni misti ecc. Alcuni articoli pubblicati in occasione del quarantennale del decreto UR sono: W.KASPER, Una nuova lettura dopo 40 anni, in «Regno-documenti», 1/2005, 6-10; H.LEGRAND, Où en est l’oecumenisme? Quarante ans après la promulgation d’Unitatis Redintegratio, in «Istina», 4/2005, 353384; AA.VV., Ecumenismo a quarant’anni dal Vaticano II, in «Archivio Teologico Torinese», 11/2005, n. 2. Altri articoli sono: J-M. R. TILLARD, Una chiesa di chiese, in «Regnodocumenti», 7/2005, 49-51; W. KASPER, Current Problems in Ecumenical Theology, in «ETJ» 7 (2003), 107-128; J. FAMEREE , Ecclésiologie catholique. Différences séparatrice et rapprochements avec les autres Eglises, in «Revue théologique de Louvain», 33/2002, 28-60; B. F. GIANNI, Monachesimo ed ecumenismo. Gli Atti del simposio internazionale (Abbazia di Monteoliveto Maggiore, 30 agosto-1 settembre 2000), in «Homo Vivens», nota al simposio edito da D.Giordano, Siena 2002, 401-414. Annoveriamo il teologo domenicano Y-M. Congar (1904-1995)21 come pioniere dell’ecumenismo e del dialogo tra le Chiese. 3. Le chiese greco-ortodosse calcedonesi p e rc o r s i b i b l i o g r a f i c i Abbiamo scelto i testi che, cronologicamente, ci sembrano più rappresentativi anche in relazione alle aree geografiche di provenienza degli Autori: – P. EVDOKIMOV, L’ortodossia, Bologna 1981. L’A. russo vissuto nella diaspora francese ha sintetizzato l’Ortodossia, arricchendo il pensiero patristico di due approfondimenti: quello del XIV secolo relativo alla dottrina delle energie divine e quello del XX secolo relativo alla lettura «pentecostale» della modernità e il senso di un’escatologia attiva. Dopo l’introduzione storica la prima parte presenta una cristologia dell’uomo, la sua «deificazione» in Cristo per mezzo dello Spirito Santo. Le tre parti successive si occupano della chiesa come mistero, fede e preghiera; l’ultima parte è dedicata al «passaggio» del mondo in Cristo. – J. ZIZIOULAS, L’etre ecclésiale, Genève 1981. La verità della Chiesa è la premessa dell’insegnamento cristiano. La Chiesa è un «modo di esistenza», un modo di essere e il suo mistero è strettamente legato all’essere dell’uomo e all’essere stesso di Dio, anzi essa è l’immagine del modo di esistere di Dio. – J. MEYENDORFF, La teologia bizantina. Sviluppi storici e temi dottrinali, Casale Monferrato 1984. È un testo fondamentale per l’approccio alla teologia della chiesa d’Oriente che si nutre delle fonti patristiche e di un vissuto pastorale aperto al dialogo ecumenico. – D. STANILOAË, Il genio dell’ortodossia, Milano 1986. È una sintesi di teologia dogmatica per scoprire il significato spirituale dell’insegnamento della chiesa. L’A. romeno, aperto al confronto con l’Occidente e con la modernità, cerca con rinnovato linguaggio, di raggiungere il cuore dell’uomo d’oggi. – V. LOSSKY, Teologia mistica della chiesa d’oriente. La visione di Dio, Bologna 1990. L’A. parte dalla «teologia negativa» per esporre il mistero trinitario da cui fa dipendere tutto l’insegnamento cristiano. Al centro della problematica Oriente-Occidente pone la questione del Filioque come pure il palamismo. Per completare il quadro dell’ortodossia, aggiungiamo: N. A. MATSOUKAS, Teologia dogmatica e simbolica ortodossa, vol. II: Esposizione della fede ortodossa in confronto alla cristianità occidentale, Roma 1996; e due ar- l’ecumenismo, in “La Civiltà Cattolica”, 2005 II, 126-138. Il problema dell’unità dei cristiani coinvolge la fede stessa nella sua identità e nella sua efficacia concreta nel corso dei secoli, al servizio dell’uomo e del mondo. Cf. K.KASPER, La théologie œcuménique d’Yves-Marie Congar et la situation actuelle de l’œcumenisme, in “Bullettin de Litterature Ecclesiastique”, CVI/1, 2005, 5-20. Cf. A.BIRMELÉ, Yves Congar en dialogue avec la Réforme, in: “Ibidem”, 65-88. Cf. H.DESTIVELLE, Le Père Congar et l’orthodoxie russe: un dialogue de vérité, in “Ibidem”, CVI/4, 2005, 377-400. 104 ticoli: K. WARE, La théologie orthodoxe au vingt-et-unième siècle, in «Irenikon», n. 2-3 (2004), 219-238; M.STAVROU, Linéaments d’une théologie orthodoxe de la conciliarité, in «Irenikon», 4/2003 (t.LXXVI), 470-505. 4. L’Ortodossia da altri punti di vista 5. Le Antiche Chiese Orientali Per conoscere le Antiche Chiese Orientali (non-calcedonesi),22 provenienti dallo scisma del V secolo è indispensabile partire da: SACRA CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI, Oriente cattolico. Cenni storici e statistiche, Città del Vaticano 1974. Una rassegna completa delle caratteristiche storico-liturgico-canoniche di ciascuna chiesa nel suo ambito territoriale. F. CARCIONE, Le chiese d’Oriente. Identità, patrimonio e quadro storico generale 1997, Cinisello Balsamo 1998; CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI, L’identità delle chiese orientali cattoliche. Atti dell’incontro di studio dei Vescovi e dei Superiori Maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche d’Europa (Nyìregyhàza-Ungheria: 30 giugno-6 luglio 1997), Città del 22 Chiesa Siro-Ortodossa (Giacobita); 2) Chiesa Ortodossa Armena; 3) Chiesa Assira (Nestoriana); 4) Chiesa Copta Egiziana; 5) Chiesa Ortodossa Etiopica. Queste chiese non aderirono alle decisioni conciliari di Efeso (431) e di Calcedonia (451). 105 p e rc o r s i b i b l i o g r a f i c i Y. SPITERIS, ha pubblicato diversi studi sulla tradizione ortodossa, tra cui un contributo alla conoscenza della teologia greca odierna, erede di Bisanzio, e aperta al dialogo ecumenico tra Oriente e Occidente: La teologia ortodossa neo-greca, Bologna 1992; Ecclesiologia ortodossa. Temi a confronto tra Oriente e Occidente, Bologna 2003. Un articolo dello stesso A., Attuali tendenze della teologia greca, in «OCP» 71 (2005), 299-314, spiega la teologia greca oscillante tra due correnti: una caratterizzata dall’integralismo nazionalistico, l’altra più aperta al dialogo con l’Occidente basata sull’ecclesiologia eucaristica e pneumatologica. Originale l’impostazione del testo di K.C. FELMY, La teologia ortodossa contemporanea. Una introduzione, Brescia 1990. È un’introduzione alla teologia ortodossa, tutt’altro che monolitica, in cui l’A. – docente all’Università di Erlangen-Norimberga – confronta le fonti antiche, scolastiche e moderne con il Cattolicesimo e il Protestantesimo. Parte dalla teologia apofatica per giungere al tema trinitario passando attraverso il binomio redenzione-divinizzazione, configurando l’ecclesiologia nel mistero sacramentale e verso la prospettiva escatologica. In ultimo segnaliamo: T.PAVLOU, Saggio di cristologia neo-ortodossa, Roma 1995; e R. MAROZZO DELLA ROCCA, Le chiese ortodosse, una storia contemporanea, Roma 1997. Vaticano 1999. Utile per brevità e completezza: R. ROBERSON, The Eastern Christian Churches. A brief survey, Roma, 1999. Nella scheda riassuntiva finale di ciascuna chiesa, l’A. riporta anche il Web Site. P. SINISCALCO, Le antiche chiese orientali. Storia e letteratura, Roma, 2005. p e rc o r s i b i b l i o g r a f i c i 6. Lo scisma d’Occidente Sulle Chiese e Comunità cristiane scaturite dallo scisma d’Occidente del XVI secolo (per brevità: tradizione protestante)23, è indispensabile partire dalla “dichiarazione congiunta” sulla dottrina della Giustificazione del 199824 con la Federazione mondiale luterana che segna una tappa fondamentale nel dialogo teologico con le chiese dell’Occidente cristiano. L’approccio storico e teologico a queste Chiese cristiane è molto articolato e pertanto consigliamo un percorso graduale: O. CHALINE, La Riforma cattolica nell’Europa centrale (XVI-XVIII secolo), Milano 2005; P. P. BAINI, La riforma protestante. Radicamento della Riforma e Riforma radicale in terra tedesca, (Terzo quaderno), in «Sette e Religioni», 4/2004. Una rassegna critica del protestantesimo in Europa è l’opera di G.BOF, Storia della teologia protestante. Da Lutero al secolo XIX, Brescia 1999. Il libro di A. E. MCGRATH, Il pensiero della Riforma. Lutero, Zwingli, Calvino, Bucero, Torino 1995, è un’introduzione ai fondamenti della Riforma europea corredata dalla spiegazione e contestualizzazione socio-politica delle espressioni teologiche più ricorrenti. B. GHERARDINI, Creatura Verbi. La chiesa nella teologia di Martin Lutero, Roma 1994; M. DE ROSA, Teologia protestante, Salerno 1990. Per l’approfondimento dei rapporti tra teologia e vita cristiana: J. MOLTMANN, La via di Gesù Cristo: cristologia in dimensioni messianiche, Brescia 1991; E. BEIN RICCO (a cura), Modernità politica e protestantesimo, Torino 1994; H. JAEGER, La mistica protestante e anglicana, in: AA.VV., La mistica e le mistiche. Il “nucleo” delle grandi religioni e discipline spirituali, Cinisello Balsamo 1996, 205-299. È doveroso anche aggiungere il teologo più rappresentativo della tradizione protestante: K. BARTH, Dogmatica ecclesiale, Bologna 1990. Per l’A. l’ecclesiologia deve essere cristologica, poiché l’unico criterio è la Parola di Dio rivelata nella Scrittura e predicata dalla chiesa. Per quanto concerne alcuni temi specifici, il BEM (Battesimo Eucaristia Ministero)25 è il documento26 di convergenza della Commissione “Fede e 23 Chiese Luterane (1517); Chiese Riformate (1536); Comunione Anglicana (1539); Chiesa Battista (1630); Chiese Congregazionaliste (1620-1646); Chiesa Metodista (1740) ecc. 24 EV 17/1051-1103. 25 EO I,3032-3181. 26 Frutto di una ricerca durata oltre 50 anni (dalla prima conferenza di Losanna del 1927, successivamente discusso e rettificato ad Accra nel 1974 e a Bangalore nel 1978 fino alla definitiva versione di Lima del 1982). 106 Costituzione”, sottoposto alla riflessione di tutte le chiese – compresa quella Cattolica – per circa un decennio per evidenziare convergenze e diversitá, sul piano teologico, pastorale, spirituale e la sua recezione nelle tradizioni ecclesiali.27 7. I temi più dibattuti: Primato, Filioque, Sacramenti – G. CERETI, Le chiese cristiane di fronte al papato: il ministero petrino del vescovo di Roma nei documenti del dialogo ecumenico, Bologna 2006. – A. GARUTI, Ecclesiologia eucaristica e primato del vescovo di Roma, in «Antonianum», LXXXI (2006), 63-81. – J. FAMEREE, Le ministère du pape selon l’Orthodoxie, in «Revue théologique de Louvain», 37/2006, 26-43. – H. ALFEYEN, La primauté et la conciliarité dans la tradition orthodoxe, in «Irénikon», 1-2/2005, 24-35. – G. MARCHESI, La dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e Bartolomeo I, in «La Civiltà Cattolica», 2004 III (q. 3702), 514-523. – S. XERES, Ecclesia semper reformanda. Un itinerario storico, in «Teologia», 2 (2004), 152-179. – J-L. LEUBA, Changer la papauté? Lecture par un théologien protestant, in «Nouvelle Revue Théologique», 125 (2003), 21-39. Le risposte delle Chiese sono raccolte in: M.THURIAN (edited), Churches respond to BEM. Official responses to the “Baptism, Eucharist and Ministry” text, voll. I-VI, WCC, Geneva 1986-1988. 28 ISTINA, Patriarcat d’Occidente et unité des Eglises, 3-8; CONSEIL PONTIFICAL POUR LA PROMOTION DE L’UNITÉ DES CHRÉTIENS, Communiqué corcernant la suppression du titre de “Patriarche d’Occident” dans l’Annuaire pontifical 2006, 9-10; PATRIARCAT OECUMENIQUE, Communiqué concernant la renonciation par le pape de Rome Benoit XVI au titre de “Patriarche d’Occident”, 11-13; H.ALFEYEV, Que signifie pour les orthodoxes l’abandon par le pape du titre de “patriarche d’Occident”?, 14-15; ID., Les Eglises oorthodoxes ne feront pas leur deuil du titre de patriarche d’Occident, 16-18. L’A. ritiene che la differenza tra le Chiese cattolica e ortodossa non è più geografica, ma piuttosto ecclesiologica. L’unità della Chiesa cattolica è garantita dal primato del vescovo di Roma. L’unità della chiesa ortodossa è garantita non da un capo terrestre, ma dall’unità della fede, del battesimo e dell’Eucaristia che trasformano i cristiani in un solo corpo e, pertanto l’unico capo è Cristo che non può avere vicario (ivi, 17); M.STAVROU, L’abandon par Rome du concept de “Patriarcat d’Occident” augure-t-il un meilleur exercice de la primauté universelle?, 19-23; M.DYMYD, Les enjeux de l’abandon du titre de “patriarche d’Occident”, 24-32. 27 107 p e rc o r s i b i b l i o g r a f i c i Un tema molto studiato è il primato del Vescovo di Roma, quindi la bibliografia è notevole. Partiamo da alcune considerazioni sulla recente soppressione del titolo di Patriarca d’Occidente dall’Annuario Pontificio 2006, alla vigilia della ripresa del dialogo cattolico-ortodosso in Serbia, pubblicate sul trimestrale «Istina», LI (2006), 3-32.28 La bibliografia che suggeriamo nell’intero paragrafo è a più voci. p e rc o r s i b i b l i o g r a f i c i – K. DUCHATELEZ, Pour une valorisation de l’économie ecclésiale au Grand Concile othodoxe, in «Nouvelle Revue Théologique», 124 (2002), 565-581. L’interesse teologico verso il Filioque29 si manifesta a fasi alterne. Due articoli: J.-Y. BRACHET ET E. DURAND, La réception de la Clarification de 1995 sur le Filioque, in «Irénikon», 1-2/2005, 47-109; e A. COZZI, Il “Filioque” alla luce del principio di reciprocità. L’esigenza di “riconcettualizzare” la dottrina trinitaria, in «Teologia», 1 (2004), 43-72. Per rendersi conto dello spessore storico e teologico della polemica tra Oriente e Occidente, è opportuno il testo di S. BULGAKOV, Il Paraclito, Bologna 1987.30 Sui sacramenti l’interesse di studio è costante, considerando anche i delicati risvolti pastorali. La bibliografia segue l’ordine cronologico: – H. KRECH, La confession dans la Réforme des rituels des églises et des communautés evangéliques-luthériennes, in «La Maison-Dieu», 245, 2006/1, 69-98. – C. VASIL’, La comunione eucaristica dei bambini nelle chiese orientali, in «La Civiltà Cattolica», 2003,IV, 444-456. – A. ELBERTI, La Confermazione nella tradizione della Chiesa latina, Cinisello Balsamo 2003.31 – AA. VV., Baptême unique, églises divisées, in «La Maison-Dieu» 235/2003.32 – A. MAFFEIS, Fides sacramenti. Battesimo e fede nella teologia di Martin Lutero, in: AA.VV., Iniziazione cristiana, (Quaderni Teologici del Seminario di Brescia, vol. 12), Brescia 2002, 61-113. – P. CASPANI, La confermazione nel BEM, in «La Scuola Cattolica», 118/ 1990, 131-152. La processione dello Spirito Santo dal Padre e “dal Figlio”, che apparve in Spagna in occasione del sinodo di Toledo del 589, nonostante il divieto conciliare, come argomento per combattere l’eresia ariana e per sottolineare maggiormente la consustanzialità del Padre e del Figlio. Carlo Magno promosse l’uso del Filioque per segnare la rottura con l’impero orientale, scomunicando i Greci con il sinodo dell’807. L’uso del Filioque si generalizzò con l’imperatore Enrico II. 30 In particolare il cap. II della Seconda parte: La processione dello Spirito Santo, 165-211; La polemica greco-latina. La teologia di Fozio, anti-latina e anti-filioquista, 213-304. 31 Il Capitolo XX: La confermazione nelle chiese riformate: dal XVI al XX secolo, 471-494. 32 Il numero è monografico. Tra gli articoli segnaliamo: L. SCHWEITZER, Baptême et Cène comme critères d’ecclésialité dans la tradition baptiste, 47-64. J. MARQUES ELEUTÉRIO, Baptême et église. Approches de l’Orient grec et de l’Occident latin, hier et aujourd’hui, 65-87. M. STAVROU, L’ecclésialité du baptême des autres chrétiens dans la conscience de l’église orthodoxe, 89-123. P. DE CLERCK, Vers une reconnaissance de l’ecclésialité du baptême, 137-153. 29 108 – A. CAPRIOLI, Ancora a propostito della confermazione nel BEM. Problemi e prospettive dal punto di vista cattolico, in «La Scuola Cattolica», 118/1990, 153-163. Al termine di questa selezionata – e non certo esaustiva – rassegna bibliografica sull’ecumenismo, ci troviamo di fronte a una disciplina che necessita di costante aggiornamento e di approfondimento ecclesiologico per mantenere vivo il dialogo e seguire anche attraverso diversi sentieri, l’unico Signore Gesù Cristo. 109 p e rc o r s i b i b l i o g r a f i c i Adele Scarnera ISCSM Redemptoris Missio Sussidi Missionari Sm/10 i i Sussid miss onari Dati statistici e sfide per la missione Presentiamo il capitolo finale del volume Dati invisibili e futuro della missione. Eredità sociale, religiosa, ecclesiale del XX secolo, di G. Cavallotto – già rettore dell’Università Urbaniana e ora vescovo di Cuneo-Fossano, edito presso la Urbaniana University Press, 2006, nella collana di Missiologia. La Chiesa, per la sua profonda natura missionaria, è chiamata a mettersi sulle vie dell’uomo, “a rendersi presente in modo pieno e attivo a tutti gli uomini e popoli... a inserirsi in tutti i raggruppamenti umani” per prolungare e sviluppare “nel corso della storia la missione di Cristo”1. Fedele a sé stessa la Chiesa, per continuare la missione di Cristo nella storia, deve conoscere e condividere difficoltà, interrogativi, aspirazioni e speranze degli uomini del nostro tempo. Le condizioni sociali ereditate dal passato, le scelte religiose e, in particolare, la configurazione delle comunità cattoliche, progressivamente sviluppatesi nel secolo XX, invitano la Chiesa ad interrogarsi sulla sua attività missionaria. Dal quadro statistico, delineato in precedenza, emergono luci e ombre e si possono raccogliere alcune sfide che aprono l’evangelizzazione a nuovi orizzonti. I dati interpellano tutte le confessioni cristiane. La nostra attenzione fa riferimento alla responsabilità e impegno missionario della Chiesa cattolica. 1. II grido degli oppressi I dati sono eloquenti. La maggioranza della popolazione mondiale vive nella povertà. Esiste, poi, il dramma della miseria, che significa fame, malattia e morte prematura. Essa colpisce un quinto degli abitanti della terra. La quasi totalità dei più poveri si trova nel Sud del mondo. l’elenco degli emarginati ed oppressi è più esteso: 50 mila condannati a morte ogni anno, 29 milioni di emigrati all’anno, 35 milioni di schiavi, 1 miliardo di disoccupati e altrettanti di analfabeti, 1 miliardo e mezzo di individui non possono accedere alle cure sanitarie, 4 miliardi di persone private di una piena libertà politica e civile e ad oltre 2 miliardi è negata, in parte o in tutto, la libertà religiosa. Si devono aggiungere le vittime di conflitti armati, della tortura, degli abusi sessuali, della prostituzione e delle altre forme di violenza. I soggetti più indifesi sono i minori: alta mortalità infantile in Africa e Asia, molti impossibilitati ad accedere all’i- CONCILIO VATICANO Il, Decreto sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes (7 dicembre 1965), 5 e 1011: EV 1. 1097 e 1110-1111. 1 110 RM XXII (2006) 2, pp. 110-116 2. l’apostasia silenziosa La non-credenza ha assunto espressioni diverse: agnosticismo religioso, ateismo, indifferenza religiosa. Il non credente, per differenti ragioni, prescinde da un rapporto con Dio, considerato una presenza irrilevante, se non un’ipotesi inutile o dannosa. Di fatto vive come se Dio non esistesse. II fenomeno della non-credenza ha conosciuto progressivamente, nel secolo XX, una rapida accelerazione: da poco più di 3 milioni nel 1900, si è passati ad oltre 900 milioni nel 2000. Ciò significa che a fine secolo 1 abitante della terra su 7 si considera non credente. La maggiore presenza di non religiosi e atei si trova in Asia e in Europa, anche se nell’ultimo decennio si registra una flessione. Il fenomeno ha conosciuto un significativo sviluppo anche in America del Nord, mentre ha proporzioni più contenute negli altri continenti. Molti dei non credenti provengono da un’esperienza religiosa e una parte dalla fede cristiana. L’ampiezza del fenomeno e la sua gravità chiamano in causa la responsabilità missionaria della Chiesa. Occorre conoscerne le cause sociali e culturali, approfondire le ragioni personali della scelta, interrogarsi sull’influenza del comportamento dei cristiani, prevedere incontri e proposte capaci di suscitare la domanda religiosa e aprire alla salvezza in Cristo. 3. I volti di Dio All’inizio del XX secolo gli aderenti alle religioni non cristiane costituivano il 65% della popolazione mondiale. A fine secolo si attestano al 51%, pari a poco più di 3 miliardi. Si può dire che nel 2000 una persona su due aderisce ad una propria religione, esclusa quella cristiana. Il quadro religioso è multiforme: oltre 9 mila religioni. Quelle numericamente più estese sono una decina: l’in- GIOVANNI PAOLO Il, Lett. enc. Redemptoris Missio (7 dicembre 1990), 60: AAS 83 (1991), 308-309. 2 111 Sm/10 Redemptoris Missio Sussidi Missionari struzione, numerosi orfani, crescenti vittime della fame e delle malattie, della pedofilia e delle violenze sessuali, dello sfruttamento nel lavoro. Soprattutto nei paesi in via di sviluppo la situazione è aggravata dell’insostenibile debito pubblico, dalle esorbitanti spese militari, dall’ingiusta distribuzione delle ricchezze, da una diffusa corruzione. L’affermazione di Giovanni Paolo II, “la Chiesa nel mondo vuole essere la Chiesa dei poveri”, impegna le comunità cristiane, in fedeltà allo spirito delle Beatitudini, “alla condivisione con i poveri e gli oppressi”2. La scelta preferenziale dei poveri, espressa dal Magistero locale e universale, conferma la necessità di una gara di solidarietà di tutti i discepoli del Signore verso i più emarginati, nello stesso tempo esige un fattivo impegno per la trasformazione della vita sociale, politica ed economica. In nome della dignità di ogni persona, della carità cristiana e della salvezza di tutto l’uomo l’evangelizzazione non può ignorare il grido degli oppressi e disinteressarsi della loro liberazione. Redemptoris Missio Sussidi Missionari Sm/10 sieme dei loro aderenti supera il 96% di tutti i credenti non cristiani. La più diffusa è l’Islam con un miliardo e 188 milioni di affiliati. Molti uomini del XX secolo, influenzati da correnti agnostiche e da ideologie anti-teistiche, attratti da una mentalità secolaristica e da un crescente materialismo, si sono progressivamente allontanati da Dio: in cento anni i non credenti sono passati dallo 0,2% al 15% della popolazione mondiale. Se da un lato “il dramma dell’umanesimo ateo”3 ha segnato una parte consistente della popolazione, dall’altro la credenza religiosa resta ancora, a fine secolo, la scelta maggioritaria. Le diverse religioni offrono una risposta alle domande più profonde dell’uomo ed esprimono la sua ricerca di Dio, anche se la conoscenza del suo Volto rimane imperfetta e velata. Le religioni non cristiane, ricorda Paolo VI, “sono l’espressione viva dell’anima di vasti gruppi umani... Esse portano in sé l’eco di millenni di ricerca di Dio... Sono cosparse di innumerevoli “germi del Vangelo” e possono costituire un’autentica preparazione evangelica”4. All’origine della ricerca religiosa si trova la volontà di Dio, che vuole rivelarsi a tutti i popoli, e l’azione del suo Spirito che opera nell’uomo. È in questo orizzonte che si colloca e si giustifica il dialogo interreligioso, considerato “parte integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa”5. Per i cristiani il dialogo con i credenti di altre religioni comporta rispetto della ricerca personale e dell’azione dello Spirito, si fa ascolto e accoglienza delle ricchezze dell’altro, diventa testimonianza e annuncio del volto di Dio e del su piano di salvezza pienamente rivelati in Cristo. 4. Le ombre sulla città L’esodo dalle zone rurali verso quelle urbane è stato ampio e progressivo. Nel secolo XX sempre più numerosi sono stati coloro che hanno scelto la città: nel 2000 la popolazione urbana delle due Americhe, dell’Europa e dell’Oceani supera il 70% degli abitanti dei propri continenti, mentre a livello mondiale la percentuale dei cristiani che vivono nelle città raggiunge il 62,7% di tutta la popolazione cristiana. Lo sradicamento dall’originale contesto sociale e religioso, l’esperienza di anonimato della vita urbana, la precarietà di lavoro, l’impatto con tradizioni e culture diverse hanno esercitato rilevanti influssi sulla popolazione che ha scelto la città, favorendo il sorgere di nuovi costumi e modelli di vita, sovente l’abbandono della fede. Di fatto, nonostante lo spostamento dei cristiani dalle zone rurali a quelle urbane, le città, soprattutto le grandi concentrazioni urbane, diventano sempre meno cristiane. Nei primi tempi della Chiesa l’azione missionaria privilegiò le città, poi la predicazione del Vangelo si diffuse nelle zone rurali. L’odierna situazione demografica e religiosa richiede un primario impegno di evangelizzazione della popolazione urbana. In particolare, H. DE LUBAC, Le drame de l’humanisme athée, Ed. Spes, Paris 1945. PAOLO VI, Esort. apost. Evangegelii Nuntiandi (8 dicembre 1975), 53: AAS 68 (1976), 41-42. 5 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Missio (7 dicembre 1990), 55: AAS 83 (1991), 302-304. 3 4 112 5. I confini della missione La Chiesa è chiamata ad annunciare il Vangelo a tutti gli uomini, a quelli che noi lo conoscono e a quanti, dopo una prima accoglienza, se ne sono allontanati. i fine secolo XX i non cristiani superano i 4 miliardi. La presenza maggiore si incontra in Asia con oltre 3 miliardi e 369 milioni. Segue l’Africa con 424 milioni di non cristiani. In 56 paesi, tutti asiatici e africani, la percentuale dei cristiani, appartenenti alle diverse confessioni, è inferiore al 15% della popolazione locale. Se si prendono in considerazione soltanto i cattolici, in 60 paesi, diversamente sparsi in tutto il mondo ad eccezione dell’Oceania, la loro percentuale è inferiore dei 3% e in altri 44 paesi, distribuiti nei vari continenti, i cattolici non superano il 15% della popolazione locale. I dati confermano la validità del criterio geografico della missione ad gentes rivolta a territori e paesi dove la Chiesa cattolica ha una presenza limitata. Tale missione interessa numerose e vaste zone dell’Asia e dell’Africa, ma anche territori presenti in tutti i continenti. Nello stesso tempo la scristianizzazione di molti paesi, confermata soprattutto dall’indifferenza religiosa, dall’abbandono della pratica religiosa e dalla progressiva diffusione della non credenza, ricordano che la missione non ha confini: essa abbraccia i sei continenti. Ogni Chiesa locale è chiamata a vivere la sua missionarietà che, secondo il contesto, sarà caratterizzata da priorità e strategie proprie. 6. La tunica lacerata A fine secolo XX i cristiani nel mondo raggiungono i 2 miliardi. Sono suddivisi in 30 confessioni, ripartiti ulteriormente in circa 40 mila denominazioni. Nella nostra analisi sono stati riuniti in 6 grandi raggruppamenti. Un fatto evidente resta l’estesa frammentazione del pianeta cristiano. Viene, così, lacerata l’unità invocata e voluta dal Signore, indebolita la credibilità del Vangelo, ostacolata l’efficacia dell’azione missionaria. È facile intuire l’incomprensione e lo sconcerto di chi osserva le comunità cristiane, come anche il disagio di molti cristiani: diatribe incomprensibili, scelte comportamentali non evangeliche, conflitti di potere, forme aggressive di proselitismo. Un’attenzione particolare merita la rapida crescita delle Chiese indipendenti, più diffuse in Asia, Africa e America del Nord, significativamente presenti negli altri continenti. Contavano 8 milioni di aderenti all’inizio del secolo, hanno raggiunto 385 milioni nel 2000. Differenziate e non omogenee nelle finalità, nei con- 6 Ivi, 37: AAS 83 (1991), 283-284. 113 Sm/10 Redemptoris Missio Sussidi Missionari le grandi città diventano “luoghi privilegi ti” della missione della Chiesa6. Il compito di evangelizzazione si presenta impegnativo e nuovo: suppone accoglienza e solidarietà, richiede contatti pei sonali e testimonianze credibili, rinnovate strategie pastorali e adeguate proposte di annuncio, coinvolgimento delle comunità cristiane e del laicato. Redemptoris Missio Sussidi Missionari Sm/10 tenuti religiosi e nella loro organizzazione interna, le Chiese indipendenti sono sorte per ragioni diverse: insofferenza o opposizione verso ogni forma di istituzione centralizzata, accampata esigenza di una migliore inculturazione del Vangelo e valorizzazione delle tradizioni locali, pretesa di una maggiore fedeltà evangelica interpretata secondo propri canoni, non di rado interessi privati e personali dei fondatori, talvolta ragioni politiche. Gli affiliati di queste Chiese più frequentemente provengono da altre confessioni cristiane, perché insoddisfatti della loro esperienza religiosa, o attratti da una proposta più carismatica ed emotiva, qualche volta allettati dalla speranza di una più concreta solidarietà materiale. II dialogo con queste Chiese indipendenti incontra particolari difficoltà, dovute a una loro chiusura difensiva, ad interpretazioni discutibili della tradizione cristiana, talvolta a forme di intolleranza o a un’opposizione aggressiva verso le altre comunità cristiane. Maggiori sono le difficoltà, più grande dovrebbe essere la ricerca di dialogo, esteso a tutti i cristiani. II modo di essere Chiesa, mistero di comunione, non può prescindere dal dialogo, in primo luogo con i fratelli della stessa fede. Per questo, sottolinea Giovanni Paolo li, “evangelizzazione e unità, evangelizzazione e ecumenismo sono indissolubilmente legati”7. Si tratta di una scelta impegnativa e urgente: le comunità cristiane e tutti i discepoli dei Signore sono chiamati a camminare insieme verso l’unità in Cristo nella preghiera, nella consultazione, nella collaborazione, nell’apprezzamento reciproco e nella riconciliazione. 7. La pecora smarrita Nel 1900 i cattolici costituivano il 16,5% della popolazione mondiale, hanno raggiunto il 18% nel 1970, per poi scendere al 17,5% nel 2000. La flessione degli ultimi decenni non è controbilanciata dalle nuove adesioni registrate nelle Chiese dell’Africa e dell’Asia. Dal 1990 al 2000 il maggiore abbandono annuale della fede cattolica si incontra nell’America del Nord (401.765), in America Latina (172.120) e in Europa (60.025). A seconda dei continenti l’abbandono della fede cattolica si è tradotto nell’adesione ad una Chiesa indipendente, alla Chiesa protestante, alla non credenza. Collegata a quest’ultima scelta è la crescita dei cristiani “disaffiliati”, che a fine secolo superano i 22 milioni. Si deve, poi, aggiungere sia il fenomeno della duplice affiliazione, diffusa in tutti i continenti sebbene più contenuta in Asia, sia il crescente abbandono della pratica religiosa, più esteso in America dei Nord e in Europa. Entrambi i fatti sottolineano un certo allontanamento dalla fede cattolica. La responsabilità materna e missionaria della Chiesa non può dimenticare quanti hanno abbandonato la fede o la pratica religiosa. Essi continuano ad essere suoi figli che con il battesimo ha generato a vita nuova. Con particolare premura materna la Chiesa è chiamata a prendersi cura di loro attraverso adeguate forme di accoglienza e una nuova evangelizzazione. GIOVANNI PAOLO Il, Discorso durante la celebrazione ecumenica della Parola nella cattedrale di Paterbon, 22 gennaio 1996, “Insegnamenti” 19 (1996), 1571. 7 114 8. In nome della solidarietà 9. Posti vacanti Negli ultimi decenni del secolo XX le vocazioni sacerdotali e religiose sono diminuite in modo significativo in America dei Nord e in Europa, in parte in Oceania, mentre sono cresciute in Africa, in Asia e, più limitatamente, in America Latina. Là dove si è verificato un incremento di conversioni alla fede cattolica sono cresciute anche le vocazioni. In generale, però, il tasso di crescita della popolazione cattolica è stato superiore a quello delle vocazioni. Se si opera un raffronto fra il 1970 e il 2000, si nota che in tutti i continenti il numero dei cattolici per sacerdote e per religiosi è cresciuto sensibilmente. È realistico ritenere che tale tendenza continuerà. La Chiesa avrà sempre più bisogno di nuovi e diversificati operatori. Una progressiva minor presenza di sacerdoti e di religiose in rapporto alla popolazione cattolica richiede una ridefinizione dei loro compiti nell’attività pastorale ed evangelizzatrice, nello stesso tempo appare sempre più impellente la necessità di un maggiore coinvolgimento del laicato cattolico attraverso la promozione di servizi e ministeri laicali: catechisti e primi annunciatori del Vangelo, animatori della liturgia e operatori missionari, educatori, guide spirituali e consulenti familiari, responsabili di piccole comunità cristiane e coordinatori dei servizi caritativi e altri operatori nelle comunità cristiane. La partecipazione dei laici alla vita e all’evangelizzazione della Chiesa, resa più urgente dalla diminuzione dei sacerdoti e delle persone di vita consacrata, è primariamente fondata sulla vocazione missionaria di ogni cristiano radicata sul battesimo e confermazione. 115 Sm/10 Redemptoris Missio Sussidi Missionari La missione della Chiesa si estende al mondo intero. Ogni comunità cristiana è chiamata a vivere la missionarietà nel proprio contesto e, nello stesso tempo, a prendere parte alla missione universale della Chiesa. Nel quadro mondiale dell’evangelizzazione due dati richiamano l’attenzione. Anzitutto l’esistenza di estese aree geografiche con una rilevante presenza di cattolici ma con una scarsità di personale e mezzi. Un dato rivelatore, a fine secolo, è il rapporto fra numero di fedeli e presenza del sacerdote: in America del Nord e in Europa si ha un sacerdote per circa 1.300 cattolici, che in Africa diventano oltre 4.400 e in America Latina superano i 7.350. La solidarietà missionaria richiede di ripensare alla distribuzione del clero, senza dimenticare un’adeguata condivisione di risorse e beni. Un secondo dato si riferisce ai paesi dove la percentuale dei cattolici è inferiore al 3%. Le nazioni sono 61, in molte delle quali è insignificante anche la presenza dei cristiani di altre confessioni. Sovente questi paesi, carenti di evangelizzatori e mezzi, sono più trascurati dalla solidarietà: missionari e aiuti materiali sono inviati di preferenza a paesi e a Chiese che, pur bisognose, dispongono già di una maggiore ricchezza dì personale. Tale scelta è dovuta a ragioni diverse: a ostacoli politici, a difficoltà linguistiche e logistiche, talvolta a una inadeguata conoscenza della precaria situazione ecclesiale-missionaria dei paesi limitatamente evangelizzati. Redemptoris Missio Sussidi Missionari Sm/10 10. Direzioni sud ed est In termini assoluti, durante il secolo XX, i cattolici sono cresciuti in tutti i continenti con una diversa distribuzione. Nel 1900 i cattolici europei costituivano il 68% di tutta la popolazione cattolica. Nel 2000 oltre il 66% della popolazione cattolica si trova nel Sud del mondo e in Asia. Questo spostamento del baricentro dei cattolici apre nuovi orizzonti e rinnovati compiti per la Chiesa e la missione. Sono chiamate in causa la riflessione teologica, l’organizzazione ecclesiale, la catechesi e la formazione cristiana, l’inculturazione del Vangelo, della fede e della vita liturgica. In fedeltà alla Sacra Scrittura e alla Tradizione ecclesiale occorre promuovere un Cristianesimo dal volto africano, asiatico, latinoamericano. Sono coinvolti pastori, teologi, missiologi, operatori della pastorale e gli stessi fedeli laici. In particolare, la crescita di sacerdoti, religiose e catechisti pone il problema di un’adeguata formazione. Di qui la necessità di sufficienti e qualificati maestri, rinnovati percorsi formativi, idonee strutture e adeguati mezzi. Questo impegnativo compito formativo è proprio delle Chiese locali che devono poter contare sulla solidarietà di altre Chiese. 116