La carta della cooperativa
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La carta della cooperativa
SCENARI INNOVAZIONE/5. Workers buyout, un’alternativa interessante per aziende di piccole dimensioni La carta della cooperativa Dalla Berti di Venezia alla Sportarredo di Gruaro, due casi di workers buyout di successo, che molto hanno da insegnare in quanto ad assunzione di responsabilità e cambiamento di approccio al lavoro di Giovanna Guercilena Mauro Lusetti, presidente nazionale Legacoop E finalmente, dopo un anno a secco, pochi giorni fa la prima busta paga arriva e ha il sapore di una conquista. Niente di che, stipendi al minimo tabellare, ma almeno il posto di lavoro è salvo e ventidue persone hanno scongiurato la prospettiva della disoccupazione. Quella della Berti, azienda di Venezia specializzata in vetri di pregio per serramenti e coperture, è la storia di gente che, di fronte all’impresa che andava al macero pur avendo circa due milioni di commesse già perfezionate, ha deciso di rimboccarsi le maniche e provarci con un Workers buyout, quell’operazione, cioè, con cui i dipendenti di un’azienda generalmente in crisi si organizzano in cooperativa, la rilevano e la rilanciano. «La Berti ha circa cinquant’anni di storia – racconta Attilio Pasqualetto, presidente della cooperativa che ha rilevato l’attività, vincendo la gara di fallimento indetta dal Tribunale di Venezia – ed è ben inserita nel territorio, le viene riconosciuta un’alta professionalità, difatti non appena abbiamo riaperto, due mesi fa, i lavori hanno cominciato ad arrivare. Fra poco saremo ben capitalizzati, l’obiettivo è portare il fatturato a 3,4 milioni di euro per l’anno prossimo e di lì lavorare per ritornare ai livelli di prima del fallimento, cioè dieci milioni di euro». Dal fallimento al Workers buyout Andiamo con ordine. Dopo dodici anni dalla morte del titolare, la Berti, 46 dipendenti, fallisce, ma non per problemi di prodotto o di mercato. «Otto titolari, otto dirigenti, ecco la chiave del fallimento» dice Pasqualetto. Un gruppo di dipendenti non ci sta a lasciar sfumare tutto e parte così il 54 L’IMPRESA N°6/2016 piano di Wbo. «Stiamo lavorando giorno e notte, ognuno fa la propria parte – continua Pasqualetto –, ci sono un cda, un presidente eletto e un’assemblea. Abbiamo investito la nostra indennità di disoccupazione, che peraltro non ci è ancora stata erogata, in più abbiamo trovato l’appoggio di Banca Etica e di Banca Intesa che, pur scottata con la vecchia proprietà, ci ha dato fiducia, e anche di Assicurazioni Unipol. La nostra vita è cambiata, io ho 58 anni e mi è tornata la voglia di lavorare». I dipendenti Berti hanno usato lo strumento della cooperativa, ottenendo il supporto di Legacoop, che dall’inizio della crisi a oggi ha già sviluppato una cinquantina di progetti simili. «Lo facciamo – spiega Mauro Lusetti, presidente nazionale Legacoop – perché fare nuova cooperazione rientra nei nostri compiti istituzionali. Da questo punto di vista il Wbo e le start-up sono due facce della stessa medaglia, lavoro recuperato e lavoro inventato, ma siamo particolarmente legati al primo perché vi si sviluppano energie tali da rappresentare una piccola rivincita sull’impresa privata convenzionale. Le persone si sentono padrone di sé e semplicemente danno il massimo». Tre fonti di finanziamento Come è facile da intuire, l’interesse verso questa forma di imprenditorialità si è accresciuto negli ultimi tempi, un po’ perché la coda lunga della crisi continua a fare vittime e anche perché, nel frattempo, lo strumento si è affinato. Il che non significa che tutte le richieste vengano ritenute praticabili. «Su dieci progetti – quantifica Lusetti – solo due vengono approvati, perché la selezione è severa e premia solo quelli che hanno tutte le carte in regole per potercela fare, SCENARI che sono cioè sostenibili nel tempo. Infatti, il tasso di mortalità è veramente basso, tendente allo zero. Nessuno ha interesse a dar vita a cooperative industriali che poi non reggono alla prova dei fatti, sarebbe andare contro gli interessi degli stessi lavoratori». Perché – e qui sta un punto importante della tecnicalità alla base del Wbo e anche il motivo per cui la dimensione ideale non è mai la grande impresa – Legacoop può sostenere finanziariamente i progetti sino al limite massimo del raddoppio dei soldi che i lavoratori investono in prima persona. Le fonti di finanziamento per un Wbo sono tre: in primis i lavoratori, che perlopiù ci mettono i propri assegni Naspi, poi il fondo mutualistico Coopfond che si alimenta con il 3% degli utili che tutte le cooperative aderenti versano annualmente e infine Cfi, Cooperazione Finanza e Impresa, il consorzio pubblico finanziato dallo Stato. «Abbiamo chiesto al Governo – aggiunge Lusetti – che la legge Marcora, che è quella che alimenta il Cfi, venga rifinanziata per consentire allo strumento del Wbo di ampliare la propria operatività, superando così una certa criticità che oggi c’è nella strumentazione finanziaria». Le modalità d’intervento di Coopfond Dal canto suo, dal 2008 a oggi Coopfond ha già investito qualcosa come 13 milioni, adottando perlopiù la formula della partecipazione in qualità di soci, con interventi rotativi. «Il nostro – spiega Aldo Soldi, direttore generale – è un intervento di capitale paziente, per niente opportunistico, investiamo e rimaniamo per sette anni. Alla scadenza a volte rientriamo, altre volte prolunghiamo, quando la cooperativa necessita di tempi più lunghi per risparmiare le somme necessarie. Una cosa è certa, lo strumento del Wbo va diffondendosi e andrebbe ancor meglio valorizzato nella sua capacità di salvare pezzi dell’industria italiana, soprattutto nel manifatturiero. Non sempre quando un’azienda entra in crisi bisogna darla per persa e il Wbo può aiutare nicchie di produzione in difficoltà a trovare nuova forza anche grazie alla rete delle imprese cooperative, che aiuta a ottimizzare gli sforzi anche in termini di conquista di nuovi mercati». «E poi – aggiunge – è vero che, visti i tempi che corrono, il Wbo di un’azienda in crisi si configura come lo scenario più frequente, ma non è il solo». Difatti, c’è anche la storia dell’emiliana Arbizzi, azienda del settore imballaggi industriali, una impresa sana ma alle prese con il problema del ricambio generazionale, che il fondatore ha ritenuto di risolvere proprio cedendo l’impresa ai propri dipendenti costituitisi in cooperativa, scommettendo sul loro know how. Aldo Soldi, direttore generale Coopfond Dallo studio di fattibilità alla prova del nove Tuttavia, imprenditori non ci si improvvisa e anche quando fra i dipendenti la competenza tecnica sul prodotto è elevata, è facile che manchino invece quella finanziaria o di gestione dei processi, soprattutto perché quasi sempre si parla di Pmi con una ventina di dipendenti o poco più e fatturati di due-tre-quattro milioni di euro, dunque aziende in cui l’organigramma non è mai stato molto articolato, nemmeno quando le cose procedevano bene. «È per questa ragione – interviene Adriano Rizzi, presidente di Legacoop Veneto, che negli ultimi I soci della cooperativa Berti di Venezia L’IMPRESA N°6/2016 55 SCENARI Adriano Rizzi, presidente di Legacoop Veneto cinque anni ha curato cinque diversi Wbo scelti fra un’ottantina di casi papabili – che seguire un’operazione di Wbo non è mai una cosa veloce, fra lo studio di fattibilità prima e la fase di start-up dopo noi interveniamo sempre con nostri temporary manager, figure d’appoggio con elevate competenze amministrative e finanziarie, perché non basta prendere una commessa da due milioni, bisogna anche sapere di ciclo finanziario, capire di gestione del personale in chiave cooperativa, non sbagliare di una virgola rispetto al controllo di gestione. Il tutto mentre, attivando la leva della formazione, si lavora per creare un management interno». Prima di arrivare all’inaugurazione vera e propria, la fase preparatoria passa anche per la prova del nove, cioè per il confronto con i finanziatori, le banche e le assicurazioni. «Perché – continua Rizzi – noi possiamo anche aver fatto la selezione più rigida ed esserci convinti che l’operazione avrà successo, ma se i finanziatori non ci credono, loro hanno ragione. Il mercato ha sempre ragione». Come funziona il meccanismo della Wbo Funziona così: i lavoratori capiscono che se vogliono salvare il proprio lavoro devono esporsi in prima persona e, sulla base di quanto contemplato dalla legge 223/91 sul lavoro, accedono agli interventi straordinari di integrazione salariale, in pratica si fanno anticipare la mobilità e utilizzano le somme per finanziare la nuova attività. Questa è la teoria, la pratica è leggermente diversa, perché sono banche e assicurazioni ad anticipare i soldi che poi, tempo qualche mese, l’Inps riconoscerà effettivamente ai lavoratori. E sul punto si apre un pro- Chi innova nelle relazioni industriali D gior ragione nella reopo un anno di altà cooperativa, dove sper imentaziole relazioni di fiducia ne, entra nel vie la collaborazione sovo il “Laboratorio di no fattori costitutivi». Relazioni industriali” Di cambiamenti Coop avviato in Coop LomLombardia ne ha fatbardia verso il volgere ti diversi negli ultimi del 2014. Un progetto anni, dalla definiziodi lungo respiro che sta Danilo Villa, dg Coop ne di nuove modalità assumendo una fisiono- Lombardia di vendita, per far fronte alla mia sempre più definita, animato concorrenza del canale fisico e da un obiettivo molto chiaro: di Internet, su alcune tipologie mettere a punto un nuovo momerceologiche, come gli elettrodello di relazioni tra tutti gli domestici, alla scelta di produrre stakeholder, che favorisca il buall’interno il nostro pane oltre siness e la qualità delle relazioni ad altri prodotti da forno, per sindacali all’interno della cooperispondere a una clientela semrativa. La scossa, come sempre pre più sensibile alla qualità di accade, l’ha data il mercato. L’inciò che consuma. Tutte innovatero settore della Gdo è entrato zioni di processo e di prodotto in una nuova fase: è terminata che comportano una rivoluziol’era della crescita senza fine, ne dell’organizzazione del lavopartita con gli ipermercati sino ad ro, dalle scelte degli spazi, agli arrivare ai grandi centri commerorari del lavoro, ai percorsi di ciali. Il brusco rallentamento dei formazione. «Di fatto, ci siamo consumi degli ultimi anni, uniresi conto che per riuscire a comto a nuove modalità di acquisto piere una tale trasformazione, e diverse abitudini di consumo, era necessario un investimento hanno imposto un ripensamento formativo molto forte. Insieme di tutto il business. «Non è solo alla formazione abbiamo lavorato l’effetto della crisi economica, anche sul fronte della comunicama di un cambiamento generale zione. Da una parte c’era anche di cui oggi si fatica a trovare le da colmare un gap di dialogo con chiavi interpretative, che ha un i lavoratori, dall’altra era necessaimpatto profondo sulle organizrio trovare un’alternativa efficace zazioni» commenta Danilo Villa, ai vecchi tavoli di contrattaziouna lunga carriera nella gestione ne sindacale» spiega il direttore delle risorse umane dal Gruppo generale. È così che nasce dalla Fiat a Esselunga, passando per volontà congiunta di Coop LomDigital, Dhl e Pirelli Penumatici, bardia e dei sindacati regionali sino ad assumere nel 2013 il ruodi riferimento – Filcams, Uiltucs lo di direttore generale di Coop e Fisascat – un laboratorio, ovLombardia (4.500 persone imvero un luogo di sperimentaziopiegate, 53 negozi sparsi su tutto ne dove accorciare le distanze e il territorio regionale, 1 miliardo costruire assieme un linguaggio di fatturato). «L’unico terreno su comune. L’idea è quella di creare cui farsi strada per trovare nuove un percorso strutturato di insoluzioni – prosegue Villa – sono contri per dibattere su tematiche le persone e questo vale a magL’IMPRESA N°6/2016 57 SCENARI calde, dalla rappresentanza dei corpi intermedi al conflitto generazionale, sino ai nuovi trend della Gdo, grazie all’intervento di alcuni speaker autorevoli. Sono stati sei gli incontri che durante il 2015 hanno coinvolto circa 80 persone fra responsabili di negozi, capi del personale, rappresentanti sindacali alla presenza di Nadio Delai, Pierluigi Celli, Albino Russo, Daniele Fornari, Leonardo Cilia e Tiziano Treu. «Oggi possiamo dire che l’esperimento ha funzionato, perchè ha creato davvero uno spazio “terzo” dove si è sviluppato un dialogo costruttivo ed efficace. – racconta Villa –. Ora si tratta di consolidarlo e di tradurlo in una nuova, efficace, modalità di negoziazione, dove la progettualità predomini rispetto agli schemi del passato». Il programma del laboratorio 2016, attualmente in fase progettazione per il secondo semestre, è destinato proprio a questo. La programmazione di una serie di incontri frontali con esperti che possano aiutare a decodificare i cambiamenti in atto, abbinati ad alcuni workshop misti con rappresentanti sindacali e del management dei negozi, che aiutino a stimolare il confronto su tre temi centrali: salario, orario di lavoro e flessibilità, prendendo in esame esperienze di negoziazione realizzate a livello nazionale, che abbiano rappresentato dei passaggi importanti nel percorso delle relazioni sindacali del paese. «L’obiettivo è individuare un modus operandi nostro, che possa rispondere alle nuove esigenze del mercato e alla velocità del business, ma che sia coerente con la nostra storia e i nostri valori e ci consenta di centrare con efficacia i temi di reciproco interesse che saranno oggetto di confronto nel rinnovo del nostro Contratto Integrativo Aziendale, in fase di prossimo avvio». M.C.O. 58 L’IMPRESA N°6/2016 blema: l’indennità di mobilità erogata in via anticipata dall’Inps non è imponibile ai fini Irpef per tutta la parte che viene reinvestita nella costituzione di società cooperative, ciò nondimeno l’Inps liquida solo il netto, operando di fatto da sostituto d’imposta e trattenendo le somme che non dovrebbe trattenere e che, difatti, dopo un paio d’anni è costretta a restituire ai lavoratori. Non si tratta di una piccola cosa, in quanto è evidente che nella fase di costituzione di una società avere o non avere quelle somme, il 23% del totale, può fare la differenza. «È una problematica tutta italiana – inquadra Rizzi – e dipende esclusivamente dalla procedura adottata dall’Inps, praticamente un problema di software, che ci auspichiamo venga corretto al più presto». Una buona capitalizzazione Comunque, torniamo al processo di costituzione della nuova società. Una volta che i lavoratori hanno ottenuto l’anticipo della mobilità, quello funge da moltiplicatore e da una base di partenza di poniamo 200mila euro, si riesce ad arrivare a una capitalizzazione di 700-800mila euro, attivando i vari strumenti finanziari di sostegno, perlopiù soci finanziatori che entrano nella cooperativa con capitale a scadenza. «Di solito – precisa Rizzi – ne risultano imprese ben capitalizzate, con un rapporto 1 a 3, dove cioè su un fatturato di 3 il capitale è 1, valori al di sopra della media». Oltre ai canali di finanziamento che abbiamo già detto, cioè il fondo mutualistico Coopfond e il Cfi, ci possono essere degli strumenti regionali. In Veneto, ad esempio, lavora Veneto Sviluppo Spa, una finanziaria che può intervenire come socio finanziatore in virtù di una legge regionale del 2005 atta proprio a valorizzare l’impresa cooperativa come soggetto economico. Tutto questo sforzo anche normativo a sostegno dell’autoimprenditorialità su base cooperativa rientra a pieno titolo nelle politiche attive per il lavoro, una competenza ormai regionale, un capitolo che il Jobs Act si proponeva di arricchire di nuovi mezzi che, a dire il vero, non si sono ancora visti. Qui, però, si tratta di strumenti antecedenti alla riforma del lavoro, presi da varie fonti sviluppatesi negli anni e comunque a partire, per quanto riguarda il livello nazionale, dalla legge Marcora del 1985 sulle cooperative, più recentemente rinnovata con la cosiddetta Nuova Marcora del 2014. Da progetti medio-piccoli a progetti più ambiziosi «Le aziende arrivano da noi rotolando, dopo che i loro fatturati si sono già più che dimezzati», racconta Camillo De Berardinis, vice presidente e amministratore delegato di Cfi, l’istituto partecipato e finanziato dal Ministero che opera, però, con una gestione privata e che rappresenta la prima realtà in Italia specializzatasi nell’intervento in capitale di rischio di cooperative. «Gestiamo un centinaio di milioni l’anno – continua – e sino a oggi siamo stati su progetti medio-piccoli, fino a una trentina di soci, mentre adesso ci stiamo spostando anche verso progetti più ambiziosi, ad esempio la Cartiera Pirinoli di Cuneo, 70 soci in partenza e l’obiettivo di arrivare a cento. Ma per lavorare su dimensioni oltre i cento soci, bisogna essere consapevoli che servono 30 milioni di fatturato e 10 milioni di risorse, obiettivi per nulla facili da sostenere quando le banche, che sono rimaste scottate dalle aziende di origine, ti ignorano e i fornitori non si fidano e pretendono pagamenti cash. Va però riconosciuto a Banca Etica di essersi assunta il ruolo di nostro partner in tutti i progetti di Wbo, avendo voglia di prendersi questo pezzo di mercato molto in linea con la mission della banca stessa». Che lo strumento abbia una sua validità intrinseca a SCENARI I WBO veneti Cooperativa Anno Quanti erano i lavoratori dell’azienda fallita/in prodedura D&C (Padova) 2010 16 10 15 ZANARDI (Padova) 2013 105 20 KUNI (Rovigo) 2014 38 SPORTARREDO (Venezia) 2014 BERTI (Venezia) 2016 TOTALE Quanti hanno costituito la cooperativa Quanti sono gli occupati al momento attuale Quanti saranno gli occupati a regime Quanto hanno messo di mobilità (lorda)/ capitale sociale Intervento Cfi Intervento Coopfond Intervento Veneto Sviluppo Totale Iva finanziaria 15 € 167.371,17 € 151.000,00 250.000,00 0,00 568.371,17 32 45 € 531.753,44 € 250.000,00 250.000,00 200.000,00 1.231.753,44 9 15 17 € 28.935,75 € 150.000,00 100.000,00 150.000,00 428.935,75 41 7 9 10 € 160.800,00 € 60.000,00 90.000,00 0,00 310.800,00 47 22 13 22 € 338.000,00 € 250.000,00 220.000,00 in fase di istruttoria 808.000,00 109 € 1.226.860,36 € 910.000,00 € 350.000,00 € 3.347.860,36 247 68 84 € 861.000,00 Fonte: Legacoop Veneto valenza generale lo dimostra anche il dato per cui contribuire a evitare che si creino dei disoccupati innesca un meccanismo virtuoso di cui beneficiano i conti pubblici stessi. «Dopo un anno che la nuova impresa ha pagato tasse e contributi – riassume De Berardinis – lo Stato è già rientrato dei soldi con i quali ne ha sostenuto la nascita. Noi facciamo una media di 10 milioni di investimento all’anno e, nonostante la reddittività degli stessi sia di per sé contenuta, il ritorno per il nostro finanziatore, cioè lo Stato, c’è eccome». Anche per questo, per salvaguardare la bontà del modello, un errore da evitare è di confondere ciò che davvero ha il carattere di un Wbo da ciò che invece potrebbe nascondere un’operazione di spin off, quando cioè un’azienda prova a sbarazzarsi di un pezzo di business perché meno redditizio. «Stiamo molto attenti – rivendica De Berardinis – così come non ci prestiamo ad alcuna logica assistenzialistica e, su un altro fronte, non cediamo a nessuna pressione a carattere clientelare». Rischio che, trattandosi di un istituto emanazione del Ministero che opera con soldi pubblici, è in effetti sempre molto presente. Un altro caso di successo Abbiamo aperto parlando della Berti di Venezia che si è appena rimessa in moto, chiudiamo ora con un’altra esperienza veneta, quella di Sportarredo di Gruaro, settore dei solarium e delle apparecchiature per l’estetica, un Wbo partito nel 2015 e dunque già in grado di tirare le prime somme. «Bilancio totalmente positivo sotto tutti i punti di vista», assicura Claudio Pasquon, presidente della cooperativa costituitasi per iniziativa di sette ex dipendenti che hanno vinto la gara di liquidazione e si sono aggiudicati proprietà intellettuale, marchi, brevetti e attrezzature dopo che l’azienda era ormai ferma da un paio di anni. «Il primo anno – continua – abbiamo fatturato un milione e 100mila euro, superando del 30% l’obiettivo che ci eravamo prefissati, e per il 2016 contiamo su una ulteriore crescita del 10%. Grazie alla buona performance del 2015, siamo riusciti a patrimonializzare bene l’azienda. Sul fronte dei prodotti, stiamo puntando tutto sull’innovazione inserendo nuove referenze nel nostro portafoglio. Lavoriamo moltissimo con l’estero e, dunque, investiamo tanto nelle fiere, più come visitatori che come espositori. Il metodo è andare, avvicinare, parlare, concludere. La Colombia è il nuovo mercato su cui stiamo lavorando». E in questa vita dal ritmo veloce, non c’è né voglia né tempo per guardarsi indietro. «Io faccio questo lavoro da 29 anni – conclude Pasquon – e per quanto il passaggio da dipendente a imprenditore sia stato molto impegnativo, anche dal punto di vista psicologico, è una scelta che tutti noi rifaremmo mille volte. Da noi, nessuno più guarda l’orario di uscita». I soci della cooperativa Sportarredo di Gruaro L’IMPRESA N°6/2016 59