Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
1976, Gran Premio di Germania: l’auto di Niki Lauda brucia e il pilota rischia la vita. Hunt vince il campionato, ma
Lauda si riprende e non si dà per vinto. Non è solo un biopic né soltanto un film sullo sport. Già noto al mondo
nelle vesti di Richie Cunningham, dopo la sfida con la propria mente messa in scena in A Beautiful Mind, la sfida
con il ring e la Grande depressione in Cinderella Man, quella tra giornalista e politico in Frost/Nixon, Ron Howard
ci consegna un duello estremo tra due personalità molto diverse ma unite nella sfida, per un film che è stato
definito ‘multistrato’, capace cioè di essere allo stesso tempo drammatico, epico, adrenalinico e intimista.
scheda tecnica
durata:
nazionalità:
anno:
regia:
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
scenografia:
effetti speciali:
costumi:
musica:
distribuzione:
123 MINUTI
USA, GRAN BRETAGNA, GERMANIA
2013
RON HOWARD
PETER MORGAN
ANTHONY DOD MANTLE
MIKE HILL, DANIEL P. HANLEY
MARK DIGBY
WOLFGANG HIGLER
JULIAN DAY
HANS ZIMMER
01 DISTRIBUTION
interpreti:
CHRIS HEMSWORTH (James Hunt), DANIEL BRÜHL (Niki Lauda), OLIVIA WILDE
(Suzy Miller), ALEXANDRA MARIA LARA (Marlene Lauda), PIERFRANCESCO FAVINO (Clay Regazzoni), NATALIE
DORMER (Gemma).
Ron Howard
Nato a Duncan, 1º marzo 1954 Howard è anzitutto un attore, come la madre, il fratello minore e la figlia Bryce. E
come tale si è fatto conoscere al pubblico televisivo di tutto il mondo, grazie alla sua interpretazione del celebre
personaggio Richie Cunningham nella serie Happy Days (1974-1980). Inizia a recitare a soli 5 anni, in un episodio
della famosa serie Ai confini della realtà. È poi il bambino balbuziente della versione cinematografica di
Capobanda (1962), con Robert Preston e Shirley Jones. Nel 1963 compare in Una fidanzata per papà (The
Courtship of Eddie's Father) di Vincente Minnelli, dando prova di grande sensibilità e abiolità recitativa.
Negli anni successivi appare nella serie televisiva di grande successo The Andy Griffith Show (1960-1968), nella
quale interpreta il ruolo di Opie Taylor, il figlio dello sceriffo locale della città immaginaria di Mayberry (North
Carolina). Nel frattempo frequenta la USC School of Cinema-Television della University of Southern California, ma
non si diploma.
Nel 1973 ottiene la parte di Steve Bolander nel film di George Lucas American Graffiti, che omaggia la gioventù
dei ragazzi degli anni '50-'60. Il film lo rende un volto molto conosciuto sul grande schermo e si rivela un buon
successo sia di pubblico che di critica.
L'anno successivo comincia il suo sodalizio televisivo con Fonzie, ossia l’attore Henry Winkler. Quando Howard
decise di abbandonare la serie per seguire la carriera di regista, l'uscita di scena di Richie viene giustificata con
l'adesione alla carriera militare.
Nel 1976 prende parte al film Il pistolero (The Shootist) di Don Siegel, classico western crepuscolare, in cui John
Wayne interpreta l'ultimo ruolo della sua carriera di attore. Per questo film riceve una nomination al Golden
Globe come miglior attore non protagonista. Nel 1977, dirige il suo primo film (dopo 3 cortometraggi), una
commedia d'azione a basso costo intitolata Attenti a quella pazza Rolls Royce. Dopo aver lasciato il set di Happy
Days nel 1980 dirige diversi film per la televisione.
Il suo primo grande successo sul grande schermo arriva nel 1982 quando dirige la pellicola Night Shift - Turno di
notte, con un buon budget, con due attori all'epoca ancora sconosciuti come Michael Keaton e Shelley Long; la
pellicola è prodotta da Henry Winkler, che appare nel film in un ruolo comprimario. Nel film compare anche
Kevin Costner. Da allora dirige numerosi film di successo, tra i quali Splash, una sirena a Manhattan (1984),
Cocoon, l'energia dell'universo (1985), Apollo 13 (1995), nominato a diversi premi Oscar, e A Beautiful Mind
(2001), per il quale riceve l'Oscar al miglior regista; la pellicola, dedicata alla vita del matematico John Nash,
interpretato da Russell Crowe, si aggiudica complessivamente 4 statuette.
Nel 2005 Howard dirige il film Cinderella Man - Una ragione per lottare, nel quale torna a lavorare con Russell
Crowe. Tra il 2006 e il 2009 dirige Il codice da Vinci e Angeli e demoni, dagli omonimi romanzi di Dan Brown, con
Tom Hanks protagonista. Entrambi i capitoli si rivelano un enorme successo di pubblico.
Nel 2008 adatta per il grande schermo il dramma teatrale di Frost/Nixon - Il duello. Nixon viene interpretato da
Frank Langella mentre Frost è interpretato da Michael Sheen.ì
Nel 2011 dirige Il dilemma (The Dilemma), che però si rivela un flop al botteghino.
Il suo ultimo film è Rush, scritto da Peter Morgan, nel quale si racconta la rivalità tra i piloti di formula 1 Niki
Lauda e James Hunt interpretati rispettivamente da Daniel Brühl e Chris Hemsworth uscito in Italia il 19
settembre 2013
Attraverso la sua società Imagine Television, Howard continua ad avere una forte presenza anche in televisione,
non solo come produttore, ma anche come ideatore e narratore.
Per le elezioni presidenziali statunitensi del 2008 si schiera, girando un cortometraggio dal titolo "Ron Howard’s
Call to Action", a favore del candidato democratico Barack Obama. Nel corto torna ad impersonare Richie
Cunningham, recitando accanto ad Henry Winkler, che a sua volta ritorna ad essere il Fonzie di Happy Days
La parola ai protagonisti
Intervista a Ron Howard
Mr Howard, come l’è venuto in mente un film sulla F1?
Ero a colazione con Peter Morgan (lo sceneggiatore, fra gli altri, di The Queen, ndr). Eravamo a Los Angeles e
stavamo terminando Frost-Nixon. Gli domandai che fai? Toh, leggi, mi disse. Rimasi affascinato. Mi ritrovai
coinvolto in una storia europea così diversa da quelle che il pubblico s’attende da me. Io e Peter avevamo
lavorato insieme all'adattamento cinematografico di Frost/Nixon-Il duello e siamo diventati amici. Quando ha
scoperto questa storia ne siamo rimasti entrambi colpiti, quindi si è deciso insieme di realizzarla e abbiamo
cominciato a lavorare alla sceneggiatura, andando a studiare e ad effettuare ricerche, facendo anche le prove con
il cast.
Che cosa l’ha intrigata?
I due uomini. Niki Lauda e James Hunt. Due persone così diverse ma accomunate dalla folle corsa per
raggiungere il livello più alto possibile. Due uomini in lotta con se stessi per rispondere alla domanda che lega
tutto il film: quanto sei disposto a rischiare per raggiungere il tuo obiettivo? Mi piacciono moltissimo i personaggi
che vengono messi alla prova in situazioni estreme, insolite e sorprendenti. Per questo, per i miei film, ho scelto
personaggi come il matematico, l'astronauta o il pilota di Formula 1. Nonostante l'essere borderline di queste
persone, il pubblico trova in loro qualcosa che è simile alla loro vita.
Però ha visto com’è ridotta oggi la F1? I piloti sono robottini controllati dai team, sono impiegati del rischio.
All’epoca, era il ’76, erano cavalieri del rischio.
Erano gli anni di passaggio tra la fine dei ’60 e l’inizio dei ’70. C’era una incredibile voglia di competizione e di
esprimersi senza rendere conto a nessuno. Si avvertiva nello sport, nel lavoro, nel cinema. Erano gli anni in cui
Happy Days era lo show numero uno e ricordo il cambiamento in atto a Holly (Hollywood, ndr). Nessun
produttore si sarebbe permesso di dire a Jack Nicholson come comportarsi. Non avrebbe osato. Nello spettacolo
come nello sport si era diffusa una mentalità rock and roll, un fortissimo desiderio di competere. Dopo cambiò
tutto. S’intensificò il business e gli attori come gli sportivi divennero più controllati. Degli amministratori delegati
di se stessi.
Quali difficoltà ha incontrato nel raccontare la F1?
Volevo che il mio Rush fosse il più immediato e onesto possibile. Però se non si vuole perdere il ritmo del
racconto e dei dettagli, si devono fare delle concessioni alla fantasia. L’ho capito anni fa, guardando un paio di
buoni film sul cinema a Holly. Raccontavano storie vere e c’erano scene con gli attori in ritardo e truccatori
isterici… e ho pensato: “Ma questo in realtà non succede. Se fosse così non funzionerebbe. Come minimo l’attore
si metterebbe a piangere o tirerebbe un pugno a qualcuno…” Allora ho capito che queste concessioni aiutano a
condensare e far decollare la storia.
Quindi delle scene sono state rese più forti?
Alcune. Certe interviste di Niki e James, il tutto per drammatizzare la loro rivalità.
E le riprese delle auto in corsa?
Molte monoposto sono state ricostruite fedelmente. In altri casi abbiamo usato quelle dei collezionisti. Le hanno
pure guidate. Non mi sarei aspettato, alla fine, di avere così tante riprese di gara ricreate da noi e difficili da
distinguere da quelle originali.
Rischi corsi?
Solo un paio di volte qualche pilota si è fatto prendere la mano finendo in testacoda. Ma dopo aver terminato le
riprese della gara del Fuji sotto la pioggia (momento clou della rivalità fra Lauda e Hunt) ho tirato un sospiro di
sollievo. Siamo stati bravi… con tutte quelle auto che si sfioravano.
Che rapporto ha con il tema della morte, visto che aleggia un po' in tutti i suoi film, anche se preso in maniera
positiva e non negativa?
Io credo che il nostro modo di rapportarci alla morte sia uno degli aspetti che maggiormente ci definiscono come
esseri umani. Poi, ognuno di noi si relaziona alla morte in modo diverso, proprio come Lauda e Hunt, e ciò, per
me è sempre interessante esplorare questa caratteristica. In questo caso, entrambi i personaggi hanno un punto
di vista molto particolare, che tiene in conto il rischio di poter morire.
Come l’è sembrata la F1?
Mi ha ricordato la Nasa quando ci ho lavorato per Apollo 13. Tecnologia e innovazione mischiate a dramma e
competizione.
Hunt è morto nel ’93, ma Lauda è vivissimo. Puntiglioso com’è avrà controllato tutto…
Non avrebbe potuto. Peter Morgan ha una regola: non vuole interferenze dei soggetti, altrimenti molla. Gli fa una
sola promessa: magari ci sarà qualcosa che vi farà arrabbiare. E comunque Lauda era d’accordo. Anzi, sul set non
ha avuto la pazienza di trascorrere un giorno completo. Però era sempre disponibile. Ricordo che Daniel Bruhl,
che lo interpreta, lo chiamava spesso al telefono prima del ciak… “Mettevi i guanti prima del casco o viceversa?”,
domande così….
Come avete scelto gli attori?
Peter conosceva Lauda e mi ha suggerito Daniel perché è molto vario nell’interpretazione. Quanto a Chris
Hemsworth mi sono fidato di Kenneth Branagh. Perfetto: ha lo charme, la sensualità e l’appeal da surfista di Hunt
Ma ne film c’è anche Clay Regazzoni, per cui…
Per cui Pierfrancesco Favino. Ho lavorato con lui in Angeli e demoni. Quello di Clay non era un ruolo primario,
gliel’ho chiesto come un favore. Ha dato molto al personaggio, è così preciso. E mi affascina come sa passare dai
toni ironici a quelli drammatici. Un grande. Sono stato fortunato ad averlo con me».
Rush il 20 settembre, funzionerà?
È la scommessa. Infatti è una produzione indipendente. Abbiamo raccolto fondi, c’è dietro gente che ci ha
creduto innamorata dell’idea. In Europa funzionerà. Quanto agli Usa, la Universal lo distribuirà però non l’ha
prodotto… Ma Holly è molto curiosa di scoprire se un film sulla F1 conquisterà l’America.
Recensioni
Valerio Caprara. Il Mattino
Ammirazione pura, innanzitutto, per l’abilità narrativa che travalica i limiti di un soggetto potenzialmente
riservato a una frazione di pubblico. Se il mondo della Formula Uno e in particolare le vicissitudini della stagione
di corse 1976 costituiscono, infatti, un richiamo irresistibile per fan ed esperti, “Rush” che gli ha dedicato Howard
è così trascinante dal punto di vista emotivo e così perfezionato dal punto di vista tecnico da diventare
universale. Non si può neppure dire che si tratti del solito blockbuster impiantato nel sistema hollywoodiano,
perché l’ex ragazzotto di “Happy Days” ha messo insieme una produzione costosa sì, ma autogestita con ampie
iniezioni di capitale europeo e soprattutto corroborata dalla sceneggiatura del raffinato scrittore londinese Peter
Morgan (“The Queen”, “Frost/Nixon”, “Hereafter”). Di “americano”, se così si può dire sbrigativamente, resta
l’epico leitmotiv della competizione tra colleghi-rivali irriducibili, ma senza accodarsi alla routine degli scontri
Coppi vs. Bartali, Pelè vs. Maradona o Gates vs. Jobs, il film riesce più volte a sovvertire l’umore e il giudizio di chi
guarda nei confronti di ciascuno dei duellanti.
Titolari, in effetti, di personalità complesse e tormentate che comunicano il massimo di compiutezza e glamour
grazie a una coppia d’attori in grado di schivare la trappola del peraltro eccezionale mimetismo: Niki Lauda
(Bruhl) e James Hunt (Hemsworth), i piloti che nella storia e nella fiction cercano di superarsi a folli velocità e
overdose adrenaliniche nei circuiti internazionali, trasferiscono, insomma, le proprie clamorose divergenze
umane, psicologiche e sportive in un thrilling lineare, ma non banale e soprattutto blindato sul piano
drammaturgico. (…) Tenendo conto che all’epoca la frequenza degli incidenti in pista gravi e mortali era molto più
alta rispetto a oggi, è chiaro che Howard e Morgan giocano forte sull’idea e la pratica del rischio, che da
“immotivato” e inaccettabile nell’ottica del tranquillo e rispettoso spettatore/cittadino tende mano a mano a
trasformarsi in metafora esistenziale collettiva. Quest’effetto, anch’esso speciale perché credibile, è ottenuto con
le armi dei migliori prestigiatori attuali dello schermo, per l’occasione incaricati di rendere pressoché
indistinguibili le immagini vintage da quelle girate ex novo e quelle ricostruite in digitale.
Antonello Catacchio. Il Manifesto
(…) Il racconto di una delle più celebri rivalità sportive della storia, quella tra i piloti di Formula 1 James Hunt e
Niki Lauda. Nato da un ambiente privilegiato, carismatico e affascinante, Hunt non poteva essere più diverso dal
metodico e riservato Lauda: la loro rivalità nacque fin dai tempi della Formual 3 e continuò per anni, fermata
nemmeno dal terribile incidente che vide protagonista Lauda nel 1976 al Nürburgring. Molto di più di un film
sulla formula 1, Rush di Ron Howard è un film su due duellanti di rango, due personalità speculari, uno freddo e
razionale; l'altro estroso e seduttivo, la loro rivalità li trasforma in due icone dello sport e diventa leggenda. C'è
tutto questo nell'emozionante film di Ron Howard, con un pò di nostalgia di un agonismo di altri tempi, senza
sponsor e con molti meno mezzi di oggi. Le corse automobilistiche e in particolare la Formula 1 hanno spesso
incuriosito il cinema. Anche perché sono racchiuse tematiche intense; la sfida, la rivalità, il rischio, la velocità, il
successo. Per questo, e per l'ambientazione anni '70, Ron Howard ha diretto Rush (in sala domani), su una
sceneggiatura di Peter Morgan che aveva già lavorato con lui per Frost/Nixon. Londinese, autore di The Queen, e
dello sportivo Il maledetto United, Morgan ha confezionato una storia appassionante su due figure quasi
opposte, che si sono ritrovate fianco a fianco nel voler primeggiare nella più prestigiosa arena automobilistica
mondiale.
Federico Pontiggia. Il Fatto Quotidiano
Scaldate gli occhi, perché i motori sono già roventi. Montezemolo non lo dirà mai, al massimo per il dopo Massa
può spingersi fino a Schumacher, ma quanti ferraristi non plaudirebbero a un’accoppiata Fernando Alonso & Niki
Lauda per la prossima stagione? Ebbene, potrebbe succedere, ma solo se il pilota asturiano dovesse andare al
cinema (…). Di Formula 1 gli americani sono quasi digiuni, masticano anelli, rettilinei e poco più, ma di cinema se
ne intendono: “Non solo uno dei migliori racing movies di tutti i tempi, ma una virtuosa prova cinematografica in
sé, supportata da due delle performance più convincenti dell’anno” ha commentato Variety , mentre Hollywood
Reporter con il decano Todd Mc-Carthy si sdilinquisce per Chris Hemsworth nella tuta di James Hunt e, pur
vaticinando incassi distanti milioni di dollari da quelli di Fast & Furious negli States, intravede un roseo futuro al
box office internazionale. Complice lo sceneggiatore Peter Morgan (...), insolitamente il fuori circuito ha la stessa
cittadinanza poetica e il medesimo spazio drammaturgico delle corse, e le battute pigiano sull’acceleratore
esistenziale: “Più sei vicino alla morte più ti senti vivo”; “Non hai speranze, pensi solo alle feste, per questo piaci
a tutti” (Lauda a Hunt); “Metterà la vita in gioco quando servirà davvero?” (si parla di Niki); “Non metterti con
uomini che per trovare la normalità vogliono uccidersi” (in ballo c’è il playboy Hunt); (...) Capito di che parla
Rush? Del duello tra l’austriaco Niki Lauda e l’inglese James Hunt nel ’76, la stagione dell’incidente al pilota della
Ferrari 313 T2 e del successo finale di Hunt nel Gp del Giappone. Riprese al Nurburgring, Brands Hatch e altre
piste inglesi, otto macchine di F1 e 16 telecamere per la ricostruzione, più il materiale di repertorio su YouTube
per toccare con mano il back in the days, e rimettere l’occhio nella fatalità: il 1° agosto 1976, durante il Gran
Premio di Germania, la Ferrari di Lauda prese fuoco, il campione rimase intrappolato nella vettura in fiamme. Si
salvò (grazie a Merzario che si fermò e lo estrasse dalla carcassa in fiamme), rimase sfigurato, ma non mollò: 42
giorni dopo era di nuovo nell’abitacolo, e a Monza tagliava il traguardo in quarta posizione.
Nel frattempo, al volante della McLaren M23, Hunt aveva recuperato gran parte dello svantaggio : la lotta era
testa a testa, punto a punto, e si risolse solo in Giappone. Fu una vittoria bagnata, e arrise a Hunt: sotto una
pioggia dannata, Hunt ottenne il piazzamento utile, mentre Lauda si ritirava.
Niccolò Rangoni Machiavelli. Gli Spietati
Lo sceneggiatore Peter Morgan (…) ama lo scontro fra caratteri antitetici, la drammatizzazione di eventi storici, il
climax cronachistico raramente sorprendente, soprattutto nell’evoluzione del sottotesto. Frost/Nixon e Rush,
però, sono un discorso a parte: pilotati dal classicista fuoriclasse Ron Howard, si arricchiscono di sfumature
attraverso il linguaggio cinematografico (montaggio, dettagli, direzione degli interpreti, etica dello sguardo), con
un incalzante ritmo drammaturgico che infirma vuoti e convenzioni, secondo un’estetica personale portata da
Howard a maturità, all’incirca, in zona A Beautiful Mind. Se Hunt e Lauda sono le due facce dello stesso sport,
Howard non s’ingolfa nel gioco agonistico e, alla pista dei gran premi, preferisce il circuito della Vita: li restituisce
come figure archetipiche, interrogandosi sulla loro natura di vitali corteggiatori della Morte, di dissimulati
imprenditori della Velocità, di sacerdoti della Macchina, di ribelli con una Causa. Mentre si assicura il fascino di
caratteri anticonvenzionali ed eversivi (...), percorre due corsie, concede ad entrambi l’Io narrante, esaltanti
vittorie, ombre e luci e compone, con ogni probabilità, la miglior pellicola sul mondo delle auto da corsa, pur
dovendo gareggiare con titoli quali Grand Prix di John Frankenheimer, il sottovalutato Betsy di Daniel Petrie, I
Diavoli del Grand Prix di Roger Corman e Un Attimo, una Vita di Sydney Pollack. Perché entra nella mitologia
senza mitopoiesi, trasforma lo Sport in onnicomprensivo scenario esistenziale, dove le uniche coordinate sono
meccanica e follia, ovvero razionalità e istinto, trovando in Lauda e Hunt i campioni rappresentativi, spronati a
migliorarsi, fino all’eccesso, dalla competitività. Il commento sonoro con venature tetre è in contrasto con la
sicurezza di sé del calcolatore Lauda e la spavalderia del passionale Hunt: aspetta gli Icari al varco tracciato da
uno Sport (la Vita stessa) che esige dai coraggiosi/dissennati il rush finale, lo sforzo immane che dia Senso.
Marianna Cappi. Mymovies
L'austriaco Niki Lauda e l'inglese James Hunt s'incontrano per la prima volta sui circuiti di Formula 3. Uno è
metodico, razionale, non particolarmente simpatico; l'altro è un playboy, che si gode la vita e corre come se non
ci fosse un domani. La loro rivalità diverrà storica e segnerà una stagione incredibile della Formula 1, fatta di
drammi indelebili e miracolose riprese.
Come spesso accade con il miglior cinema classico americano, è il contributo delle parti a fare il tutto, ma è un
tutto che poi si presenta compatto e coerente, non più smontabile e perfettamente aerodinamico, per restare in
tema. La sceneggiatura di Peter Morgan è buona, ma non garantirebbe il risultato se non ci fossero le sfumature
portate dagli attori, i loro sguardi, le loro ombre: un capitale che in questo lavoro pesa moltissimo, responsabile
del mistero umano dietro i fatti storici e mediatici, che il copione da solo non arriva a disegnare, nemmeno
laddove si arrischia in territori arditi e scivolosi, come la chiosa esplicita o la conclusione letteraria. Scrittura e
interpretazione, a loro volta, non sarebbero sufficienti se non si combinassero con il lavoro ispirato di scenografi
e costumisti (...) con una regia in qualche modo "profana" come questa. L'estraneità di Ron Howard al mondo
della Formula 1, infatti, che fino ad ora non rientrava nei suoi interessi né nelle sue conoscenze, è probabilmente
il quid che suggella la combinazione ottimale delle parti nella confezione del tutto.
Evidentemente incapace di affezionarsi al dettaglio meccanico (...), Howard evita in un sol colpo ogni pit stop a
rischio di retorica, concentrandosi solo e soltanto sul vampirismo reciproco tra i "duellanti" in gara e realizzando
uno dei suoi film migliori, vivace, pulito, lanciato dritto alla meta.
Sexy e dannati come rockstars, novelli Icaro con una bara ambulante al posto delle ali -per assaporare l'ebbrezza
del volo (James "Thor" Hunt) o sfidare il demiurgo sul terreno stesso della creazione (Lauda si occupava
personalmente delle migliorìe alla vettura)-, Hunt e Lauda servono al regista come Caino e Abele, archetipi di una
doppiezza in cui i termini si definiscono solo reciprocamente, per contrasto, ma anche per narrare con i mezzi
dell'oggi la storia di un passato che non c'è più, dove l'individuo era ancora al centro della pista ed era il suo
carisma o il suo capriccio a decidere la gara, non lo sponsor né la dittatura della televisione.
Alessandra Levantesi Kezich. La Stampa
Così come la fantastica autobiografia di André Agassi, Open (Einaudi, 2011), è riuscita a conquistare il cuore di
lettori digiuni di tennis, nello stesso modo Rush di Ron Howard non mancherà di appassionare anche gli
spettatori che non hanno mai seguito una gara di Formula 1. Infatti - a dispetto di un lineare percorso narrativo
giocato sull’arco di un quinquennio circa (1970-1976) - Rush è un film multistrato: intimista nel mettere a
confronto le antitetiche personalità di due campioni rivali, l’uomo Ferrari Niki Lauda e il pilota McLaren James
Hunt; epico-drammatico nel ricostruire in giro per il mondo i vari scenari dei Grand-Prix, e soprattutto il
gravissimo incidente del NurburgRing che quasi costò la vita a Lauda.
Si parte proprio da lì, in quel tempestoso primo agosto 1976 che rese ancora più insidioso un circuito già in fama
di essere «infernale» (177 curve). In attesa dell’inizio della gara, il film ripercorre in rapidi flash i primi passi nel
mondo delle corse del londinese Hunt, per cui i genitori sognavano la laurea in medicina; e di Lauda, nato a
Vienna in una ricca famiglia di imprenditori. Il primo audace, intemperante ed edonista, il secondo severo, freddo
e controllato, si ritrovano a misurarsi l’uno contro l’altro sui circuiti di Formula 1 dove James si fa notare per la
sua spericolata abilità, e Niki per una perizia di pilota congiunta a un incredibile senso strategico.
A un certo punto entrano in scena due presenze femminili, la modella Susy Miller (Olivia Wilde) che nel 1974
sposa Hunt e nel giro di 14 mesi lo lascia per Richard Burton, e la riservata Marlene (Alexandra Maria Lara)
tutt’ora signora Lauda. Ma a restare centrale nel film è il ritratto a specchio di due uomini che, nonostante rivalità
e differenze, si riconoscono nel comune fuoco che li consuma: forse più forte che la frenesia di vincere è l’azzardo
di giocare una scommessa con la morte. Il tutto emerge con finezza nell’impeccabile sceneggiatura di Peter
Morgan, ma la regia di Howard non è da meno. Senza neppure spendere troppi soldi, la rievocazione d’epoca è
vivida e le scene delle corse possiedono una suggestione pittorica che rende speciale la loro spettacolarità. (...)
Chris Hemsworth sorprende per la finezza di sfumature con cui impersona Hunt; Daniele Bruhl si mimetizza nel
corrosivo Lauda conferendogli un sottile, sotterraneo fascino.
Simona Santoni. Panorama
Emozionante, dall'inizio alla fine, per due ore di visione con l'acceleratore del coinvolgimento pigiato. (...) il
duello tra Niki Lauda e James Hunt sulle piste di Formula 1, iniziato ancor prima su quelle di Formula 3, ha già in
sé tutti gli elementi per essere una storia da film: passione, spettacolo, epicità. Soprattutto in quel 1976 stregato
che vide Lauda passare tra le fiamme dell'incidente al Nürburgring, il circuito che la leggenda della F1 Jackie
Stewart aveva soprannominato "L'inferno verde", e poi, dopo solo 42 giorni, di nuovo in pista, a Monza, per non
permettere a Hunt di strappargli il primato in classifica. Altri tempi, altri eroi.
Howard, strizzando l'occhio allo spettatore, congiunge con successo azione e melò, facendo di Rush un film che
ha il sapore del cinema di altri tempi. Ecco cinque motivi per vederlo.
1) Ricostruzione fedele
Già nella scelta del cast, nei costumi, nel trucco e nelle acconciature, è impressionante la somiglianza tra i
personaggi di allora e gli attori che restituiscono loro giovinezza oggi. Il tedesco Daniel Brühl (già visto in Bastardi
senza gloria), a cui sono stati applicati denti falsi prominenti, è un somigliantissimo Niki Lauda, riservato e
introverso, rigoroso nella messa a punto dell'auto, risoluto nel voler diventare il numero uno, inflessibile nel
tenere uno stile di vita sobrio. Chris Hemsworth, il Thor americano dei supereroi Marvel, è forse più aitante e
muscoloso del vero James Hunt, ma comunque credibile e affascinante, quanto basta guascone e scapestrato,
amante della bella vita e dei vizi, donnaiolo con le sue fragilità, con la tensione che lo divorava prima delle gare
tanto da indurlo al vomito. (...)
Howard e soci hanno cercato di essere quanto più fedeli ai dettagli della storia, nei limiti ovvi della
spettacolarizzazione e della sintesi richieste dal cinema. Prima di certi ciak Brühl ha addirittura chiamato Lauda
solo per chiedergli: "Infilavi i guanti prima del casco o viceversa?".
2) Le corse ricreate dal vivo
Le riprese si sono svolte nel Regno Unito, in Germania e Austria, ricreando tutto fedelmente dal vivo. Le scene
d'azione sono state girate sui circuiti britannici di Brands Hatch, Donnington, Cadwell Park e Snetterton e
sull'antico tracciato tedesco del Nürburgring, dove Lauda ha avuto il terribile incidente, il momento più toccante
per la troupe. Sono state effettuate anche riprese a Blackbush Airfield, un tempo luogo di gare di velocità a
tempo. Sono state utilizzate 24 vetture di F1 di allora (la maggior parte prestate da collezionisti), più varie
repliche e 16 telecamere. "Non ho mai usato così tante ottiche in tutta la mia vita" ha detto il direttore della
fotografia Anthony Dod Mantle. "Erano ovunque sul set: sulle macchine, sotto le macchine, sui tubi di
scappamento, sul tettuccio, sotto il tettuccio. Era folle, e io ho spinto la mia squadra oltre il limite".
Lo schianto di Lauda è stato filmato nella tragicamente famosa curva della Nordschleife. La sfida più complicata è
stata però girare l'ultimo Gran Premio del 1976 al Fuji, per la necessità di filmare le monoposto in velocità sotto
la pioggia battente. "In generale gli attori sono stati inquadrati in abitacolo solo nei box, mentre in pista
ovviamente guidavano gli stuntman", ha detto Howard sulle pagine di Lauda vs Hunt - La vera storia di un duello
leggendario, il libro con le firme della Gazzetta dello Sport.
3) Anni '70, quando la Formula 1 sembrava il Far West
La Formula 1 degli anni '70 ci ha consegnato scene ed episodi che non rivedremo più in pista. Si diceva allora che
il sesso era sicuro e le corse pericolose. "Metto in conto il 20% di possibilità di morire, di più non lo accetto", dice
il Lauda interpretato da Brühl.
Il rischio era alto, i piloti temerari, le auto sperimentazioni (mitica la Tyrrell a sei ruote). Le piste non avevano le
vie di fuga e il livello di sicurezza di oggi. Nell'incidente del Nürburgring Lauda fu soccorso ed estratto
dall'abitacolo dagli stessi piloti accorsi (Arturo Merzario su tutti). Quando tornò in pista, 42 giorni dopo aver
rischiato la morte, aveva le ferite ancora pulsanti e per togliersi il sottocasco dopo la gara dovette strapparlo con
decisione dal capo. Le atmosfere erano di un'epicità tragica da Far West. I piloti erano manager di se stessi,
stipulavano da soli i contratti con le varie scuderie, senza agenti e intermediari. Non è un caso che Lauda divenne
anche imprenditore avviando una compagnia aerea.
Il Gran Premio del Giappone, l'ultima gara del campionato del 1976, corsa sotto la pioggia, sembra il copione di
un film. Lauda si ritira al secondo giro, senza rimpianti, ritenendo troppo pericolose le condizioni della pista. Ad
Hunt basta arrivare terzo per vincere il mondiale. A quattro giri dalla fine è però costretto ai box e rientra in pista
quinto. Spingendo al massimo riesce ad effettuare due sorpassi e conquistare il suo primo e unico titolo
mondiale. Rush ci fa rivivere quei momenti come se fossimo là, a bordo pista.
4) Sceneggiatura da brividi e sorrisi
La sceneggiatura è opera del drammaturgo britannico Peter Morgan, già dietro ai film The Queen - La regina di
Stephen Frears, Frost/Nixon - Il duello dello stesso Howard, Hereafter di Clint Eastwood. Con abilità cesella
battute memorabili tra i duellanti Lauda e Hunt e anche scambi divertenti. "Ti trovo bene:", dice sorridente
l'Hunt di Rush a Lauda, "sei l'unico che ustionandosi il volto è migliorato".
Il 14 giugno 1993 Hunt chiese all'artista Helen Dyson di sposarlo, il giorno dopo morì d'infarto. Dalla scena finale
del film risuona ancora la frase di Lauda: "Non sono rimasto sorpreso. Solo rattristato. Rimane l'unica persona
che abbia mai invidiato".
5) Avvincente anche per chi non ama la F1
Ci sono film capaci di farti appassionare a sport o mestieri per cui non hai mai provato interesse. (...) Non è solo
per amanti della Formula 1, perché oltre alle corse racconta la storia di due uomini che tanto si sono cozzati e
altrettanto rispettati. Sfido chiunque a non avere la pelle d'oca durante la corsa del Nürburgring.