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n° 346 - luglio 2010
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
La calligrafia islamica,
potenza e bellezza della scrittura
Espressione di fede che la rende degna di trasmettere la rivelazione
sacra e mezzo che, seducendo occhi, mente e anima, avvicina al divino
Il processo storico di
una forma artistica rappresentativa e in conformità con l’Islam inizia nella seconda metà
del VII secolo, subito
dopo la conquista islamica, durante la dinastia degli Omayyadi,
nel momento in cui viene
abbandonata la vita nomade. In breve tempo
i primi musulmani riescono a produrre un’originale fusione delle tradizioni culturali e delle
tecniche praticate dalle
diverse civiltà assoggettate all’Islam, conferendogli quella fisionomia unitaria che si è
mantenuta nei secoli.
Anche per la scrittura
il percorso è analogo,
l’abbandono del nomadismo, le conversioni
di massa alla religione
musulmana e la necessità di consegnare il Corano per iscritto e non
solo per via orale, portò
al perfezionamento di
una prima grafia propriamente araba. La religione dà indicazioni
importanti, dal momento
che “Dio è bello e ama
la bellezza”, ogni cosa
deve essere fatta al meglio e anche il lavoro
viene vissuto come una
forma di adorazione,
quindi la ricerca della
perfezione formale corrisponde per l’artista
musulmano a un vero
obbligo religioso. Per
questo motivo, la scrittura ha trovato particolare sviluppo nella
corrente mistica islamica del Sufismo, dove
la tecnica si completa
con l’apprendimento
di una disciplina interiore e dove l’opera calligrafica è guidata dall’ispirazione divina.
L’obiettivo religioso aggiunge quel particolare
impegno a rendere la
scrittura anche bella,
affinché sia degna di trasmettere la rivelazione
sacra e diventi anche il
mezzo che, seducendo
occhi, mente e anima,
avvicina il lettore al
mondo divino. Questo
fa sì che la calligrafia
divenga l’arte islamica
per eccellenza, una delle
due “arti coraniche” insieme alla recitazione
del Libro Sacro.
Non è corretto affermare
che le arti della calligrafia e della stilizzazione si sono sviluppate
per ottemperare al divieto dell’espressione
figurativa, anzi al contrario si sono sviluppate con questa. Infatti
la proibizione della rappresentazione figurativa e umana non è applicata alle immagini
che hanno un mero scopo
decorativo, si applica
solo all’immagine della
divinità che sì è rigorosamente irrappresentabile. Non esiste al-
Calligrafia di Mishkìn-Qalam, calligrafo persiano del XIX secolo
cuna regola specificamente scritta nel Corano, ma questa proviene dai detti del Profeta, quelli riguardanti
la punizione riservata
agli artisti nel giorno
del giudizio; da questi
infatti è nata l’interpretazione che vuole
impedire il rischio di
sostituirsi al Creatore
imitando le forme naturali, che è stata poi
associata alla totale irrappresentabilità delle
immagini figurative.
Dietro a questi detti
c’è l’intenzione di impedire l’idolatria con
un conseguente divieto
che prende in considerazione le raffigurazioni
realizzate per fini di adorazione e nei luoghi di
preghiera.
In conseguenza di questo rifiuto gli artisti mu-
Corano dell'XI secolo, in calligrafia kufica
Iscrizioni sul Kutb Minar a Delhi
pag. 2
sulmani hanno sviluppato un personale lessico espressivo in grado
di rispondere perfettamente alle necessità spirituali e contemporaneamente anche a quelle
di carattere estetico. L’artista islamico non rappresenta le brutture della
vita, l’arte essendo
un’espressione religiosa
evita gli orrori e cerca
invece di suggerire la
bellezza del creato. In
ogni sua forma la rappresentazione figurativa ha percorso la via
della stilizzazione, attraverso la quale si soddisfa la creatività senza
venir meno al proprio
credo, liberandosi dai
limiti della raffigurazione naturalistica.
L’insieme degli stili calligrafici si può genericamente dividere in due
gruppi: le scritture dai
caratteri solenni, spigolosi, allungati e lineari, riservate alla trascrizione dei testi sacri
o di grande valore e
quelle corsive dai caratteri più arrotondati,
maggiormente utilizzate per scopi di uso corrente; la genericità di
questa suddivisione risiede nel fatto che si possono verificare coesistenze dei due sistemi
con infinite varianti e
questo perché non ci sono
mai state regole particolari per la struttura
compositiva.
Lo stile calligrafico di
lingua araba più antico
(IX secolo) e il primo a
raggiungere una certa
diffusione è il cufico, dal
nome della città irachena
di Kufa dov’è avvenuta
questa prima sistemazione, che si distingue
per la forma geometrica,
spigolosa e con parti
spesse e compatte dei
grafemi. Per le sue caratteristiche geometriche e minimali il cufico
si dimostra il più adatto
per scrivere sulla pietra le iscrizioni delle
moschee o sul metallo
delle monete e per almeno tre secoli è stata
anche la scrittura maggiormente usata per la
diffusione del Corano.
Si possono distinguere
due varianti prevalenti:
uno è il cufico quadrato,
costituito da linee e angoli generalmente verticali e orizzontali, l’altro è il cufico fiorito che
presenta lettere con un
finale molto curato risultando particolarmente
adatto per i decori arabescati. La scrittura corsiva naskh, con i tratti
più sottili e arrotondati
era la grafia inizialmente
usata per la corrispondenza ordinaria, poi,
dopo la sostituzione della
pergamena con la carta
e una rivisitazione di
abbellimento, diventò
abbastanza elegante da
essere usata anche per
la scrittura del Corano.
Formata da tratti orizzontali e verticali ben
proporzionati, con curve
piene e profonde e parole generalmente ben
spaziate, costituisce quasi
tutto quello che oggi è
scritto in arabo perché
più facile da leggere. Il
thulth è invece quella
scrittura statica e monumentale che, dal XIII,
secolo ha sostituito il
cufico nella funzione ornamentale, diventando
la più importante tra
le scritture ornamentali: nelle copie del Corano è generalmente usata
negli inizi dei capitoli.
Il significato di thulth,
“un terzo”, sta alla base
Corano in calligrafia naskh
del principio formante
questo tipo di scrittura,
infatti le lettere che non
hanno uno sviluppo verticale sono alte un terzo
di queste. Nel XV secolo circa, nasce la scrittura diwani, una corsiva molto decorativa,
caratterizzata dalla complessità delle linee all’interno delle lettere,
dalla serrata composizione e dalle inconsuete
legature, l’elaborazione
del jeli diwani si caratterizza per l’abbondanza
di ornamenti e per
l’aspetto complessivo
di una massa compatta
per formare rettangoli
o altre forme geometriche. Uno sviluppo
particolare l’hanno avuto
le scritture nel Maghreb
occidentale, il cufico qui
diventa più rotondo, il
cosiddetto maghribi, con
curve perfette e molto
pronunciate, una scrittura corsiva molto più
delicata delle altre per
la finezza delle linee,
Composizione Diwani a forma di imbarcazione
Calligramma a forma di uccello (basmala)
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l’eleganza delle curve
aperte e le accentuate
fioriture sotto le linee.
Per concludere questa
breve panoramica si può
citare la scrittura comunemente usata, la
riq’a semplice da tracciare che deriva dalla
naskh ed è quella generalmente insegnata nelle
scuole.
Un’evoluzione particolare della calligrafia
è costituita dai calligrammi che riconferiscono un aspetto naturalistico all’astrazione
calligrafica. Combinando
e intrecciando le parole
scritte gli artisti realizzavano forme antropomorfe (un viso, o un
uomo in preghiera), zoomorfe (leone, uccelli e
comunque creature simboliche) oppure di oggetti come una spada o
una moschea. Anche oggi
esistono maestri di scrittura e di calligrammi e
un esempio attuale e conosciuto è il logo del
canale televisivo Al Jazeera.
Anche la Basmala, la
formula (“nel nome di
Dio Misericordioso, Misericorde”) con cui iniziano quasi tutte le Sure
coraniche e ogni azione
del buon musulmano,
è una formula grandemente utilizzata nelle
composizioni calligrafiche di ispirazione floreale e zoomorfa.
Elegantissimo virtuosismo calligrafico è la
tughra, cioè la firma o
il sigillo dei sultani ottomani apposta nei documenti imperiali. Dalle
semplici forme della
prima tughra, quella di
Orhan I, si arrivò a forme
ben più complesse e raffinate come quella della
famosa tughra del sultano Solimano il Magnifico.
La calligrafia araba, persiana e turco-ottomana
si collega strettamente
all’arabesco, l’arte geometrica islamica, e le
decorazioni murali sono
analoghe a quelle sulle
pagine dei libri. L’arabesco si può definire
come quello stile ornamentale costituito da
elementi calligrafici e/o
motivi geometrici e il
suo nome deriva dal fatto
che da sempre è utilizzato per la decorazione
delle pareti interne ed
esterne delle moschee.
Costituisce il repertorio dell’arte islamica
ed è composto da forme
geometriche o fitoformi
elaborate in modo tale
da trasmettere la gradevole sensazione di serenità e bellezza. A chiarire questo concetto d’arte
aiuta la definizione data
da un maestro sani (artista-artigiano) della
città di Fez, il quale sostiene che le forme naturali si trovano ovunque e basta copiare per
riprodurle, mentre tutta
un’altra cosa è stilizzare delle forme, organizzarle l’una accanto a
l’altra per ottenerne un
armonico intreccio e con
questo rivestire un’intera parete. Si parte da
un modulo di base, una
foglia o un fiore, cui si
toglie la forma naturale al fine di rimuovere ogni sensazione di
debolezza e caducità
emancipandolo a forma
che trasmetta sensazioni
di vita e immortalità.
Elementi della cultura
araba in Italia ed Europa sono frequenti a
causa delle molteplici
occasioni di incontro e
di scambio. L’architettura, la letteratura, l’arte
in generale offre tante
occasioni per pensare
al mondo arabo. L’Italia, in diretto rapporto
col Medio Oriente, non
importava solo merci,
ma anche idee, storie,
pensieri, leggende che
incontrando le nostre
tradizioni hanno prodotto anche delle geniali e, a volte, curiose
contaminazioni. Insieme
alle altre espressioni culturali, anche la calligrafia si è introdotta e
mescolata alla nostra
arte anche nei luoghi
meno attesi. Nella Chiesa
di San Nicolò a Lecce,
sono presenti scritte in
lingua araba con lettere
cufiche. Nell’aureola
della Madonna del Trittico di San Giovenale
del 1422, Masaccio inserisce una parte della
shahada, cioè la professione della fede islamica:
“Non vi è altro dio al
di fuori di Dio e Maometto è il suo profeta”,
la frase è scritta alla rovescia, non si sa se Masaccio conoscesse l’arabo
Tughra di Solimano il Magnifico
Logo dell’emittente
di lingua araba Al Jazeera
Masaccio: Trittico di San Giovenale (part)
Pieve di S. Pietro, Cascia di Reggello
pag. 4
e se l’intervento sia stato
intenzionale o assolutamente casuale e funzionale solo a dare un
tocco d’esotismo alla
composizione. Qualcosa di analogo è presente, nella Madonna
dell’Umiltà di Gentile
da Fabriano all’incirca
dello stesso periodo: sul
orlo del panno dov’è disteso Gesù compaiono
dei caratteri cufici che
sono stati ipotizzati come
una parte della stessa
frase.
La storia araba ci ha lasciato i nomi di diversi
calligrafi, più difficilmente di pittori o architetti e questo dimostra il grande favore che
è da sempre riservato
alla calligrafia, privilegio estendibile al mondo
arabo in generale e non
solo in quello artistico.
È un’arte che continua
a essere praticata in tutti
i paesi di lingua araba,
tanto che ancor oggi dalle
copertine di libri e giornali ai cartelloni pub-
blicitari e tutta la decorazione in generale
perpetua l’importanza
che le è riservata.
francesca bardi
Un ambiente del Palazzo Topkapi a Istanbul