x congresso nazionale di chimica dell`ambiente e dei beni culturali
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x congresso nazionale di chimica dell`ambiente e dei beni culturali
Società Chimica Italiana Divisione di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali Seminario Scientifico–Tecnico Dipartimento Scienza dei Materiali Università del Salento col patrocinio di: X XC ON NG GR RE ESSSSO ON CO AZ ZIIO ON NA AL LE E NA D EL LL DE L’’A AM MB BIIE EN NT TE EE EII B EN NII C DII C ED DE UL HIIM LT TU MIIC UR BE RA CA AL AD LII CU CH ““ CCO ON NO OSSCCEEN NZZAA EE CCRREEAATTIIVVIITTAA’’ ”” Acaya Golf Hotel Acaya, Vernole (Lecce), 11 - 15 Giugno 2007 ATTI DEL CONGRESSO SCOPO DEL CONGRESSO La Chimica è una tra le più importanti discipline scientifiche in grado di fornire elementi conoscitivi per lo sviluppo di azioni atte a salvaguardare l’uomo, la qualità della vita e l’habitat naturale. La Chimica, inoltre, è in grado di supportare politiche di sviluppo sostenibile e affrontare emergenze planetarie, spesso legate a un irrazionale uso delle risorse. La Chimica, come scienza al servizio dell’umanità, dimostra dunque la sua forza creativa nell’innovazione tecnologica, nei nuovi materiali e nei processi industriali puliti e, allo stesso tempo, nel settore dei Beni Culturali, offre strumenti metodologici per la salvaguardia e valorizzazione. In questo senso, la Chimica si propone come “Scienza di Vita” a difesa degli equilibri naturali e per la tutela delle opere frutto dell’ingegno umano. Il X Congresso Nazionale della Divisione di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali vuole, dunque, mettere in risalto questi aspetti, confrontando le più avanzate esperienze scientifiche in campo nazionale. La scelta di Acaya, esempio di cittadella medioevale fortificata, vuole esaltare il connubio tra “Ambiente e Beni Culturali” in un’area, il Salento, dove la conservazione del patrimonio naturalistico e storico-culturale diventano strumenti di un armonico sviluppo del territorio. I temi del Congresso riguardano aree come “ metodi innovativi di conoscenza e indagine, prevenzione, protezione e qualità”. All’interno di queste trovano spazio importanti problematiche come “la bonifica dei siti contaminati e la valutazione del rischio ambientale, gli inquinanti prioritari e le nuove direttive per le sostanze chimiche, l’ inquinamento di aree urbane e la salute umana, la depurazione delle acque e gestione dei rifiuti, la conservazione e valorizzazione dei beni culturali. Nicola Cardellicchio Presidente della Divisione di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali 2 COMITATO SCIENTIFICO Angelo Albini, Università di Pavia Ezio Bolzacchini, Università Bicocca, Milano Luigi Campanella, Università La Sapienza, Roma Nicola Cardellicchio, CNR-IAMC, Taranto Antonella Casoli, Università di Parma Alfredo Castellano, Università del Salento Maria Perla Colombini, Università di Pisa Massimo Del Bubba, Università di Firenze Gianluigi De Gennaro, Università di Bari Angelo Dell’Atti, Università del Salento Franco Dell’Erba, CRC - Taranto Paola Gramatica, Università dell’Insubria, Varese Nadia Marchettini, Università di Siena Gioacchino Micocci, Università del Salento Luciano Morselli, Università di Bologna, Rimini Fabrizio Passarini, Università di Bologna Roberto Ramadori, CNR-IRSA, Roma Corrado Sarzanini, Università di Torino Antonio Tepore, Università del Salento Pietro Tundo, Università di Venezia COMITATO ORGANIZZATORE Cristina Annicchiarico, CNR-IAMC, Taranto Alessandro Buccolieri, Università del Salento Giovanni Buccolieri, Università del Salento Micaela Buonocore, Università di Bari Antonella Di Leo, CNR-IAMC, Taranto Vittorio Esposito, Consorzio INCA, Lecce Santina Giandomenico, CNR-IAMC, Taranto Floriana Pizzulli, Università di Bari Stefania Santoro, CNR-IAMC, Taranto Mariella Siciliano, Università del Salento Lucia Spada, Università di Bari SEGRETERIA SCIENTIFICA E ORGANIZZATIVA Nicola Cardellicchio CNR - Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, via Roma 3, 74100 Taranto Tel. 099 4542208/206/207, Fax 099 4542215, e-mail: [email protected] CON IL PATROCINIO DI: Regione Puglia, Provincia di Lecce, Comune di Vernole, ARPA Puglia, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Consorzio Interuniversitario INCA, Ordine Interprovinciale dei Chimici di Lecce e Brindisi, Ordine dei Chimici di Taranto, S.C.I. – Gruppi Interdivisionali Green Chemistry e Scienza e Tecnologia degli Aerosol, WWF. ARTICOLAZIONE DEL CONGRESSO Il Congresso è articolato in conferenze plenarie, comunicazioni orali e poster. Le comunicazioni orali hanno la durata di 20 minuti, compresa la discussione. Il formato dei poster non deve superare la dimensione di 80 x 100 cm. I poster saranno affissi il primo giorno e per tutta la durata del Congresso. 3 Si ringraziano gli sponsor: Analitica S.a.s., CEM, Chebios, Consorzio Interuniversitario INCA, Ecomondo, FKV, Italgest, Labozeta, LabService, Lenviros S.r.l., Levanchimica, Monticava, Osservatorio di Campi Salentina, Perkin Elmer, Sea Marconi Technologies S.a.s., Seminario Scientifico Tecnico - Università del Salento, Shimadzu, Solvay Chimica Italia S.p.a., STD Italia S.r.l., Systea, Varian, Zanichelli. CHEBIOSSud s.s.r.l. Ch emistr y and Bi och emi str y Sol uti on s 4 PROGRAMMA LUNEDÌ, 11 giugno 2007 Arrivo dei Congressisti all’Acaya Golf Hotel 17.00-20.00 20.00 Registrazione dei partecipanti Cocktail di benvenuto - Acaya Golf Hotel MARTEDÌ, 12 GIUGNO 2007 8.00-9.00 Registrazione dei partecipanti 9.00-10.00 Cerimonia inaugurale: saluto delle Autorità, apertura del Congresso Consegna delle Medaglie a Personalità scientifiche della Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali Consegna delle Medaglie della Divisione a: LUCIANO MORSELLI, Università di Bologna, Sede di Rimini MARIA TERESA VASCONCELOS, Università di Porto Consegna della”Medaglia Liberti”a: LUIGI CAMPANELLA,Università “La Sapienza”, Roma CONFERENZE AD INVITO Presiedono: M. Del Bubba, C. Sarzanini 10.00-10.40 L. Morselli La Chimica dei Beni Culturali: il degrado dovuto all’azione degli inquinanti 10.40-11.20 M.T. Vasconcelos Influence of salt marsh plants on levels and speciation of trace metals in sediments and water column in case of sediment re-suspension 11.20-11.40 Coffee break SESSIONE: ANALISI DI RISCHIO E BIOINDICATORI 11.40-12.00 A. Marcomini, A. Critto, C. Micheletti, E. Semenzin L’analisi di rischio ecologico nella gestione dei siti contaminati 12.00-12.20 D. Brigolin, F. Rampazzo, D. Berto, S. Covelli, S. Predonzani, M. Giani, R. Pastres Un modello matematico per lo studio degli impatti delle attività di mitilicoltura sulla chimica dei sedimenti superficiali 12.20-12.40 S. Girotti, L. Bolelli, E. Ferri, E. Maiolini, M. G. Fumo, N. Barile, P. Fonti I bioindicatori nel monitoraggio ambientale: batteri bioluminescenti, mitili, squali ed api 12.40-13.00 M. Bernardello, E. Centanni, S. Noventa, D. Berto, M. Formalewicz, M. Giani, B. Pavoni Metodiche per la determinazione di composti organostannici: applicazione al mollusco bioindicatore Nassarius nitidus nella laguna di Venezia 5 13.00-14.30 Intervallo pranzo SESSIONE: SITI CONTAMINATI, DEPURAZIONE, RIFIUTI Presiedono: G. Petruzzelli, R. Ramadori 14.30-14.50 L. Campanella, R. Antiochia, F. Borzetti, P. Ghezzi, E. Martini, M. Tomassetti Il Vetiver una nuova opportunità per la fitodepurazione da metalli pesanti: prestazioni e comportamento 14.50-15.10 S. Doumett, A. Cincinelli, D. Fibbi, L. Lepri, S. Mancuso, M. Del Bubba Applicazione di tecniche di fitoestrazione per la bonifica di suoli contaminati da metalli pesanti 15.10-15.30 C. Alisi, R. Musella, F. Tasso, C. Ubaldi, S. Manzo, A. R. Sprocati Biorisanamento di suolo contaminato da diesel mediante bioaugmentation con un consorzio microbico autoctono, isolato dal sito di Bagnoli-Coroglio 15.30-15.50 C. Di Iaconi, G. Del Moro, R. Ramadori, A. Lopez Applicazione su scala dimostrativa della tecnologia a biomasse granulari per il trattamento dei reflui municipali 15.50-16.10 C. Bonserio, A. M. Losacco, M. Muolo, F. Tedeschi Laser induced breakdown spectroscopy (LIBS) monitoring emission produced by a plasma torch for the treatment of wastes 16.10-16.30 M. L. Feo, M. Sprovieri Metodi di decontaminazione da idrocarburi policiclici aromatici in sedimenti marini: soil washing e reagente di Fenton 16.30-16.50 Coffee break Presiedono: N. Marchettini, P. Bruno 16.50-17.10 G. Pojana, E. Corrocher, A. Fantinati, D. Vallotto, A. Marcomini Sostanze farmaceutiche in ambienti costieri: comportamento negli impianti di trattamento sversanti in laguna di Venezia 17.10-17.30 F. Italiano, A. Agostiano, F. Milano, L. R. Ceci, F. DeLeo, R. Gallerani, L. Giotta, A. Dell’Atti, A. Buccolieri, G. Buccolieri, M. Trotta Interazione fra metalli pesanti e batteri fotosintetici rossi anossigeni 17.30-17.50 R. Terzano, M. Spagnuolo, B. Vekemans, K. Janssens, P. Ruggiero Alcune applicazioni di tecniche microanalitiche che impiegano raggi X di sincrotrone per lo studio di metalli nel suolo e nella pianta 17.50-18.10 B. De Tommaso, G. Mascolo, C. Malitesta, G. Bagnuolo, V. F. Uricchio, G. Brunetti Applicazione della tecnica TD/GC/MS per la determinazione diretta di PCB in campioni di suolo contaminati 18.30-19.30 RIUNIONE DOCENTI GRUPPO CHIM12 20.30 VISITA AL CASTELLO DI ACAYA 6 MERCOLEDÌ, 13 giugno 2007 CONFERENZA AD INVITO Presiedono: L. Morselli, F. Passarini 9.00-9.40 L. Campanella Ambiente e Beni Culturali: un ponte per la Chimica fra passato,presente e futuro SESSIONE : TECNICHE DI INDAGINE PER I BENI CULTURALI 9.40-10.00 P. Baraldi, F. Paccagnella, P. Zannini Development of complementary microscopic techniques in the analysis of cultural heritage materials 10.00-10.20 L. Campanella, F. Borzetti, R. Dragone, P. Galli La datazione di manufatti cementizi: un problema ancora aperto 10.20.10.40 F. Adduci, A. Buccolieri, G. Buccolieri, A. Castellano, R. Cesareo, L. S. Leo, F. Vona La fluorescenza a raggi X in dispersione di energia (EDXRF) per lo studio della tela “San Felice in Trono” di Lorenzo Lotto 10.40-11.00 L. Campanella, C. Costanza, A. D’Aguanno Applicazioni di un fotosensore di persistenza ambientale a carte antiche 11.00-11.20 Coffee break SESSIONE: QUALITÀ DELL’ARIA E PARTICOLATO ATMOSFERICO Presiedono: E. Bolzacchini, G. De Gennaro 11.20-11.40 M. Amodio, P. Bruno, M. Caselli, P. R. Dambruoso, B. E. Daresta, G. de Gennaro, P. Ielpo, V. Paolillo, C. M. Placentino, M. Tutino Monitoraggio e composizione chimica del PM2.5 e PM10 in Puglia 11.40-12.00 P. Bonanni, A. Giovagnoli, C. Cacace, R. Gaddi Impatto dell’inquinamento atmosferico sul patrimonio storico-artistico italiano: definizione del rischio ambientale-aria nell’area del comune di Roma 12.00-12.20 A. Bergamo, A. Buccolieri, G. Buccolieri, I. Carofalo, A. Dell’Atti, M. R. Perrone Caratterizzazione chimica di particolato atmosferico frazionato 12.20-12.40 P. Fermo, A. Piazzalunga, R. Vecchi, G. Valli, M. A. De Gregorio Levoglucosan, a tracer for wood combustion in Milan particulate matter 12.40-13.00 L. Pasti, F. Dondi Frazionamento in campo termico-flusso di particelle submicroniche 13.00-14.30 Intervallo pranzo SESSIONE: BENI CULTURALI Presiedono: L. Campanella, F. Dell’Erba 14.30-14.50 A. Proto, M. Alfano, M. Passamano, A. Farina, C. Scarabino, D. Alfano, O. Motta Archeologia, ambiente e salute 7 14.50-15.10 E. Campani, A. Casoli, K. Trentelman Studio di leganti organici in provini simulanti la pittura murale 15.10-15.30 A. Maccotta, P. Fantazzini, M. Gombia, M. Brai, M. Marrale Indagini NMR su legni moderni e antichi 16.00 VISITA OASI NATURALISTICA WWF DELLE CESINE 20.00 Cena libera in Hotel 21.15 VISITA GUIDATA ALLA CITTÀ DI LECCE ALLA SCOPERTA DEL BAROCCO GIOVEDÌ, 14 giugno 2007 CONFERENZA AD INVITO Presiedono: A. Casoli, L. Rampazzi 9.00-9.40 P. Cremonesi Il contributo della Chimica alla conservazione e al restauro delle opere policrome SESSIONE: QUALITÀ DELL’ARIA E PARTICOLATO ATMOSFERICO Presiedono: M. Caselli, A. Piazzalunga 9.40-10.00 P. Barbieri, L. Di Monte, S. Cozzutto, C. Vezzil, F. Lo Coco, P. Sist, B. Scaggiante, A. Bandiera, R. Urbani Studies on stack emissions: defining policyclic aromatic hydrocarbons profiles for source apportionement and protocols for toxicity testing 10.00-10.20 M. Amodio, P. Bruno, M. Caselli, G. de Gennaro, M. R. Saracino, M. Tutino Monitoraggio indoor di composti organici volatili e caratterizzazione delle principali sorgenti emissive 10.20-10.40 E. Filippo, D. Manno, A. Serra, T. Siciliano, M. Tepore, P. Ielpo, M. Caselli Caratterizzazione morfologica e composizionale del particolato aerodisperso di origine urbana e industriale in due città del sud Italia 10.40-11.00 L. Ferrero, S. Petraccone, M. G. Perrone, G. Sangiorgi, B. Ferrini, Z. Lazzati, C. Lo Porto, E. Bolzacchini, A. Riccio, E. Previtali, M. Clemenza Altezza dello strato di rimescolamento e variazioni nella distribuzione dimensionale del particolato atmosferico lungo profili verticali nell’area urbana milanese 11.00-11.20 Coffee break SESSIONE: BENI CULTURALI Presiedono: O. Chiantore, M. P. Colombini 11.20-11.40 R. Ploeger, D. Scalarone, O. Chiantore Caratterizzazione di colori alchidici per artisti 11.40-12.00 A. Diamanti, F. Valentini, G. Palleschi, E. Tamburri, M. L. Terranova, S. Bellezza, P. Albertano Studio analitico dei processi di deterioramento di alcuni materiali lapidei e strategia enzimatica di recupero 8 12.00-12.20 A. Andreotti, I. Bonaduce, U. Bartolucci, A. Ceccarini, M. P. Colombini, A. Favara Un progetto per la salvaguardia degli affreschi del camposanto monumentale di Pisa 12.20-12.40 S. Iacopini, E. Joseph, R. Mazzeo, D. Prandstraller, S. Prati Indagini analitiche su manufatti in argento dal sito archeologico di Classe (Ravenna) 12.40-13.00 F. Adduci, G. Buccolieri, A. Buccolieri, A. Castellano, L. S. Leo, C. Ragusa, F. Vona Studio delle cause di degrado della basilica di Santa Croce a Lecce: la risalita capillare dei sali solubili 13.00-14.30 Intervallo pranzo 14.30-15.30 SESSIONE POSTER 15.30-16.00 RIASSUNTO DEI POSTER Presiedono: A. Casoli, L. Morselli SESSIONE: BENI CULTURALI Presiedono: A. Castellano, A. Taticchi 16.00-16.20 A. R. Sprocati, C. Alisi, F. Tasso, N. Barbabietola, E. Vedovato Isolamento di ceppi batterici calcinogenici dalla tomba etrusca della Mercareccia (Tarquinia) ed ipotesi di una loro applicazione nel biorestauro 16.20-16.40 L. Rampazzi, B. Rizzo, C. Colombo, C. Conti, M. Realini, U. Bartolucci, M. P. Colombini Le decorazioni in stucco della chiesa di S. Lorenzo (Laino, Como): studio della tecnica artistica 16.40-17.00 S. Lorusso, A. Natali, C. Matteucci Diagnosi e digitalizzazione del Codice Dantesco Phillips 9589 17.00-17.20 F. Adduci, A. Buccolieri, G. Buccolieri, A. Castellano, M. Di Giulio, V. Nassisi, L. Sandra Leo Laser cleaning per la rimozione selettiva dei prodotti di corrosione su manufatti bronzei di interesse storico-artistico 17.20-17.40 A. Genga, M. Siciliano, T. Siciliano, A. Tepore, A. Traini, A. Mangone, C. Laganara Coloranti e opacizzanti in frammenti vitrei di età medioevale: caratterizzazione chimico-fisica 17.40-18.00 R. Giorgi, D. Chelazzi, E. Carretti, P. Baglioni Sistemi “soft-matter” per la pulitura di superfici pittoriche 18.00-20.00 ASSEMBLEA DELLA DIVISIONE 21.00 CENA SOCIALE 9 VENERDÌ, 15 GIUGNO 2007 CONFERENZA AD INVITO Presiedono: G.Crippa, P. Gramatica 9.00-9.40 M. Sabetta Il regolamento Reach: prospettive, problematiche, strategie. Le imprese italiane utilizzatrici di sostanze chimiche di fronte alla nuova politica comunitaria SESSIONE: REGOLAMENTO REACH, INQUINANTI EMERGENTI, PRINCIPIO DI SOSTITUZIONE 9.40-10.00 E. Papa, P. Gramatica Approcci QSAR per l’identificazione di composti chimici persistenti, bioaccumulabili e tossici (PBTs), come supporto predittivo per il REACH e la Chimica Sostenibile 10.00-10.20 V. Esposito, A. Maffei, L. De Vitis Inquinanti organici emergenti in ecosistemi sensibili. Il caso dei ritardanti di fiamma 10.20-10.40 V. Librando, A. Alparone Relazione attività–struttura di nitro-derivati di idrocarburi policiclici aromatici 10.40-11.00 L. Canesia, C. Ciacci, L. C. Lorusso, M. Betti, G. Gallo, G. Poiana, A. Marcomini Emerging contaminants in the aquatic environment: effects on a sentinel organism, the mussel Mytilus 11.00-11.20 Coffee break Presiedono: A. Marcomini, F. Mangani 11.20-11.40 S. Brivio, M. Riccio Il Processo NEUTREC®: una tecnologia di riferimento nella depurazione dei fumi e nella valorizzazione dei prodotti residui 11.40-12.00 L. Balest, G. Mascolo, C. Di Iaconi, A. Lopez Rimozione di sregolatori endocrini (EDC) mediante trattamenti biologici innovativi 12.00-12.20 L. Lopez, N. Cardellicchio Inquinanti prioritari in bacini marino costieri: analisi ed ipotesi di recupero ambientale 12.20-12.40 S. Ciavatta, T. Lovato, C. Micheletti, R. Pastres Analisi di sensitività e di incertezza di un modello di bioaccumulo di POP applicato alla laguna di Venezia 12.40-13.00 M. DellaGreca, M. R. Iesce, S. Montanaro, L. Previtera, M. Rubino, F. Temussi Fotodegradazione di farmaci in condizioni ambientali 13.00 CONCLUSIONI E CHIUSURA DEL CONGRESSO 10 SESSIONE POSTER SESSIONE: BENI CULTURALI (BC) BC01 M. Berzioli, E. Campani, A. Casoli, P. Cremonesi Enzimi lipolitici nel restauro: studio applicativo per la rimozione di sostanze filmogene naturali BC02 E. Campani, A. Casoli, P. Cremonesi, I. Saccani, E. Signorini Studio preliminare per l’utilizzo di gel rigidi di agar e agarosio nel restauro delle opere policrome BC03 E. Campani, A. Casoli Uno studio per la conoscenza dei leganti pittorici del dipinto “Sacra Conversazione” di Palma il Vecchio BC04 P. Croveri, O. Chiantore La diagnostica chimica per il monitoraggio dello stato di conservazione del patrimonio monumentale BC05 A. Maccotta, M. Marrale, M. Brai, P. Fantazzini Indagini EPR su legni moderni e antichi BC06 F. Pinzari, M. Montanari Diagnostica di alterazioni chimiche e biologiche su carte antiche per mezzo di un SEMVP con rivelatore BSD e sonda EDS BC07 F. Pinzari, M. Montanari, I. Renda, F. Lonero, C. Fanelli, L. Fachechi, D. Bellusci, S. Greco Potenzialità di applicazione di un naso elettronico all’individuazione precoce del biodeterioramento nei materiali cartacei BC08 C. Riedo, D. Scalarone, O. Chiantore Riconoscimento di gomme vegetali di interesse nei beni culturali mediante pirolisi accoppiata con idrolisi e metilazione termicamente assistita BC09 A. Taticchi, A. Marrocchi, M.L. Santarelli, V. Librando, M.C. Ginnasi, L. Minuti Sviluppo di una metodologia innovativa per la conservazione di beni culturali BC10 A. Taticchi, A. Marrocchi, M.L. Santarelli, M.C. Ginnasi, L. Minuti Inibitori di cristallizzazione salina e beni culturali. Il caso studio del mosaico di Orfeo e le Fiere (Perugia) BC11 A. Diamanti, F. Valentini, G. Palleschi, E. Tamburri, M.L. Terranova, S. Bellezza, P. Albertano Diagnosi analitica del biodeterioramento su materiali lapidei: strategie di recupero via lipasi e Gox. BC12 A. Diamanti, F. Valentini, G. Palleschi, E. Tamburri, M.L. Terranova, S. Bellezza, P. Albertano Strategie analitiche di rimozione delle patine superficiali su supporti lapidei, a base di enzimi lipasi ed amilasi 11 BC13 C. Boschetti, A. Corradi, E. Kamseu, C. Leonelli Il “Sealing-Wax Red Glass” nel mosaico romano: studio archeometrico e riproduzione sperimentale BC14 S. Lorusso, C. Matteucci, A. Natali, S. Tumidei Analisi storico-stilistica e diagnostica del dipinto a olio su metallo “Cristo Crocifisso con due angeli dolenti” BC15 M.P. Colombini, I. Degano, G. Cambini, D. Digilio Caratterizzazione dei materiali impiegati in una seta dipinta tramite tecniche cromatografiche BC16 M.P. Colombini, I. Degano, J.J. Łucejko, G. Bacci Coloranti organici negli arazzi: un approccio multi-analitico BC17 L. Rampazzi, C. Corti, B. Giussani, M. Guzzo, M. Marelli, B. Rizzo Classificazione di malte storiche: il caso studio del Castrum Altomedioevale di Laino (Como) BC18 A. Mangone; L.C. Giannossa, R Laviano, L. Sabbatini, A. Traini Tecnologia di produzione della ceramica in epoca romana BC19 A. Augenti, C. Fiori, A. Genga, M. Siciliano, S. Tontini, M. Vandini Indagini archeometriche sul vetro tardoantico e medievale da Classe (Ravenna) BC20 R. Mazzeo, S. Prati, E. Joseph, E. Kendix Mapping ATR-FTIR nella caratterizzazione e localizzazione stratigrafica di materiali artistici ed archeologici BC21 L. Famà, A. Serra, D. Manno, A. Siciliano, R. Vitale, G. Sarcinelli Analytical method for the characterization of coins with high percentage of Ag BC22 M. Magrini, E. Ramous, I. Calliari Metallurgical and technological study of bronze objects of ancient venetic people BC23 L. Campanella, C. Costanza, M. Tomassetti Confronto di dati termoanalitici, biosensoristici e di persistenza ambientale per carta invecchiata artificialmente e per campioni di legno di noce invecchiati naturalmente BC24 L. Campanella, C. Costanza, A. D’Aguanno Confronto tra metodi per la determinazione dell’andamento del pH nel tempo di carte invecchiate naturalmente, scritte e non. BC25 L. Campanella, P. Ciancio Rossetto, T. Gatta, R. Grossi, M. Tomassetti Caratterizzazione di malte e stucchi del teatro di Marcello e del portico di Ottavia in Roma BC26 L. Campanella, C. Costanza, A. D’Aguanno, R. Grossi, M. Missori Fotosensore per la misura della protezione di carta di vario tipo anche invecchiata artificialmente BC27 A. Smeriglio, G. Nava, C.O. Rossi, S.A. Ruffolo, G.A. Ranieri Indagini diagnostiche sui dipinti “Preghiera di Tobia e Sara” e “L'Arcangelo Raffaele si rivela a Tobi e a suo figlioTabia” 12 BC28 A. Beneduci, M.C. Gallucci, S. Gigliotti Studio storico-artistico e diagnostico-materico su un affresco del XV sec. rinvenuto nella Cappela dei Nobili del Duomo di Cosenza BC29 M.P. Casaletto, F. Caruso, F.M. Mingoia, M.L. Testa, G. M. Ingo, T. de Caro, C. Ricucci Il progetto Atena: sistemi diagnostici e progettazione molecolare a tutela dei beni culturali BC30 M.L. Amadori, F. Mangani, M., F. Palla, M. Sebastianelli Il restauro della Chiesa delle Anime Sante di Bagheria (Pa) SESSIONE: QUALITÀ DELL’ARIA E PARTICOLATO ATMOSFERICO (QP) QP01 D. Baldacci, V. Benedetti, S. Parmeggiani, M. Stracquadanio, L. Tositti, S. Zappoli Analisi della componente carboniosa nel PM10 e nel PM2.5 nell’area urbana di Bologna QP02 D. Baldacci, A. Musetti, S. Parmeggiani, M. Stracquadanio, L. Tositti, S. Zappoli Determinazione degli idrocarburi policiclici aromatici nell’area urbana di Bologna: conferme e anomalie QP03 A. Benedetti, E. Errani, B. Fabbri, I. Gualandi, V. Poluzzi, I. Ricciarelli, M. Stracquadanio, S. Zappoli Ciclo giorno – notte di composti carbonilici nell’area urbana di Bologna QP04 A. Cecinato, C. Balducci, G. Nervegna, M. Possanzini, G. Tagliacozzo Cocaina in aria ambiente, effetto inatteso dell’abuso di droghe QP05 D. Cesari, D. Contini, A. Donateo, S. Francioso, F. Belosi Caratterizzazione del contenuto di metalli pesanti nel particolato atmosferico a Lecce QP06 E. Bernardi, C. Chiavari, C. Martini, D. Prandstraller, L. Morselli Simulazione di run-off su materiali esposti all’aperto QP07 M. Possanzini, C. Balducci, G. Nervegna, A. Cecinato, G. Tagliacozzo Carbonili volatili nell’aria di Roma: confronto tra ambienti interni ed esterni QP08 M. Caselli, G. de Gennaro, P. Ielpo, L. Trizio Sviluppo di una rete neurale di tipo “feed forward back propagation” per la previsione di PM10: confronto con un modello di regressione multivariata QP09 M.V. Russo, G. Cinelli, I. Notardonato, P. Avino Valutazione dell’adsorbente XAD-2 per il campionamento e l’arricchimento d’inquinanti organici persistenti (POPs) in atmosfera QP10 A. Buccolieri, G. Buccolieri, N. Cardellicchio, A. Dell’Atti Variazioni temporali dal 2002 al 2005 di metalli pesanti nel PM10 prelevato nel Salento QP11 L. de Gennaro, P. Bruno, M. Caselli, G. de Gennaro, E. Andriani, M. Brattoli, M.A. De Leonibus, A.E. Parenza L’inventario delle emissioni in atmosfera per la Regione Puglia: le emissioni da riscaldamento residenziale e terziario 13 QP12 G. Cecchetti, M. Iacobucci, M.E. Conti Controllo dell’esposizione alla formaldeide in relazione alla nuova classificazione IARC QP13 V. Librando, G. Tringali, G. Perrini, Z. Minniti, S. D’Amico Caratterizzazione della componente organica del particolato atmosferico di aree ad elevato interesse storico e culturale QP14 V. Librando, G. Tringali, G. Perrini, Z. Minniti, S. D’Amico, M.C. Facchini, L. Emblico Caratterizzazione del particolato atmosferico segregato dimensionalmente nella città di Catania QP15 V. Librando, G. Perrini, S. D’Amico, Z. Minniti, E. Foresti, I.G. Lesci, S. Petraroia, N. Roveri Caratterizzazione della componente inorganica ed organica del particolato atmosferico frazionato nella citta’ di Catania QP16 C. Lo Porto, M.G. Perrone, G. Sangiorgi, L. Ferrero, S. Petraccone, Z. Lazzati, E. Bolzacchini Campionamento e composizione chimica del particolato atmosferico (PM10, PM2.5 e PM1) per l’area urbana milanese e per il sito remoto alpino di Alpe S. Colombano (M. 2260, SO) QP17 S. Petraccone, M. Cameletti, A. Fassò, L. Ferrero, M.G. Perrone, C. Lo Porto, G. Sangiorgi, Z. Lazzati, E. Bolzacchini Mappatura dei dati storici di PM10 e ozono in Lombardia QP18 G. Sangiorgi, L. Ferrero, M.G. Perrone, B. Ferrini, Z. Lazzati, C. Lo Porto, S. Petraccone, A. Balzarini, E. Bolzacchini, B. Larsen, M. Duane Profili verticali di composti organici volatili nell’atmosfera urbana di Milano QP19 D. Cesari, D. Contini, A. De Marco, A. Genga, M. Siciliano, T. Siciliano Caratterizzazione chimico-fisica di particolato atmosferico in un sito di fondo urbano QP20 G. de Gennaro, P. Bruno, M. Caselli, M. Brattoli, L. de Gennaro, M.A. De Leonibus, A.E. Parenza Valutazione dell’inquinamento olfattivo mediante olfattometria dinamica: indagine preliminare QP21 E. Bolzacchini, L. Ferrero, B. Ferrini, Z. Lazzati, M. Orlandi, C. Lo Porto, G. Perrone, G. Sangiorgi, S. Petraccone, L. Zoia. Metodologie di caratterizzazione di residui polimerici nel particolato atmosferico QP22 I. Lancellotti, M. La Robina, L. Barbieri, A. Corradi, C. Leonelli Rapid microwave heating of fly ash and borosilicate glass mixtures QP23 B. Ferrini, L. Ferrero, M.G. Perrone, G. Sangiorgi, Z. Lazzati, C. Lo Porto, S. Petraccone, E. Bolzacchini, A. Riccio Importanza dello strato di rimescolamento nella relazione tra i valori di AOD ricavati da immagini satellitari e la concentrazione degli aerosol al suolo per la città di Milano QP24 L. Barbieri, A. Corradi, I. Lancellotti, L. Morselli, F. Passarini, I. Vassura, A. Zardin Polveri da inceneritore: caratterizzazione e vetrificazione 14 QP25 L. Morselli, I. Vassura, F. Passarini, S. Ferrari Caratterizzazione chimica delle deposizioni atmosferiche nei pressi di un inceneritore QP26 P. Ubbrìaco, A. Traini, D. Manigrassi, D. Calabrese Caratterizzazione delle ceneri volanti da CDR e delle miscele stabilizzate con legante a base laterizio/calce QP27 W. Di Nicolantonio, A. Cacciari, E. Bolzacchini, L. Ferrero, B. Ferrini, M. Volta, E. Pisoni Utilizzo delle proprietà ottiche dell’aerosol derivate dal sensore MODIS per la stima delle concentrazioni di PM 2.5 a livello del suolo nel nord Italia QP28 M. Giannoni, D. Vannucchi, T. Martellini, M. Del Bubba, A. Cincinelli, F. Lucarelli, S. Nava, M. Chiari, S. Becagli, R. Udisti, F. Rugi, L. Lepri La caratterizzazione chimica del PM10 in Toscana (progetto PATOS): 2. la componente carboniosa QP29 F. Lo Coco, G. Vinci, P. Barbieri, G. Stani, D. Restuccia, G. Gasparini Hydrocarbons and inert gases determination of gases by-products of reforming processes by high speed gas analyser QP30 M. Buonocore, N. Cardellicchio, L. Lopez, L. Spada Biomonitoraggio degli elementi in traccia nelle deposizioni atmosferiche mediante l’utilizzo del muschio Pleurochaete squarrosa QP31 S. Becagli, C. Bommarito, E. Castellano, O. Cerri, M. Chiari, F. Lucarelli, F. Marino, S. Nava, A. di Sarra, D.M. Sferlazzo, M. Severi, F. Rugi, R. Traversi, R. Udisti Caratterizzazione chimica dell'aerosol nel Mar Mediterraneo. Un caso di studio: Isola di Lampedusa QP32 R. Udisti, S. Becagli, E. Castellano, O. Cerri, A. Cincinelli, M. Chiari, M. Giannoni, L. Lepri, F. Lucarelli, T. Martellini, S. Nava, M. Severi, F. Rugi, R. Traversi Caratterizzazione chimica del PM10 in Toscana (progetto PATOS): 1. la componente inorganica QP33 L. Campanella, D. Lelo Monitoraggio dell’aria (indoor e outdoor) nella città di Tirana QP34 M.A. Benincasa, F. Borzetti, N. Caretto, R. Grossi, L. Campanella Biosensore amperometrico per la determinazione della tossicità integrale di particolato atmosferico QP35 V. Librando, G. Perrini, S. D’Amico, Z. Minniti, G. Tringali Analisi HPLC-FD di composti mutageni nel particolato frazionato della città di Catania QP36 M. Caselli, B. E. Daresta, G. de Gennaro, P. Ielpo, C. M. Placentino, A. Febo, A. Forgione, A. C. R. Imperatore, F. De Tomasi, M.R. Perrone, S. Di Sabatino Sistema integrato per il monitoraggio del particolato atmosferico (SIMPA) QP37 M. Amodio, P. Bruno, M. Caselli, P.R. Dambruoso, G. de Gennaro, P. Ielpo, L. Trizio, A. Riccio, B. Bove, A.M. Crisci, G. Di Nuzzo, C. Mancusi, L. Mangiamele, G. Motta Andamenti del PM10 nelle regioni di Puglia e Basilicata 15 QP38 L. Tositti, D. Baldacci, S. Parmeggiani, S. Zappoli, M. Stracquadanio, D. Ceccato Speciazione inorganica di particolato atmosferico PM10 e PM2.5 nella citta’ di Bologna durante il progetto SITECOS SESSIONE: INQUINANTI PRIORITARI (IP) IP01 E. Papa, H. Liu, P. Gramatica Screening, basato su modelli QSAR di composti chimici ad attività estrogenica IP02 P. Gramatica , P. Pilutti, E. Papa Previsione della mutagenicita’ e genotossicita’ di composti aromatici policiclici mediante modelli QSAR IP03 A. Giordana, A. Maranzana, G. Ghigo, M. Causà, G. Tonachini Theoretical study on PAH and soot structure and oxidation IP04 C. Frazzoli, R. Dragone, A. Mantovani, C. Massimi, L. Campanella Implicazioni tossicologiche di nuovi contaminanti ambientali: il caso di Pd, Pt e Rh SESSIONE: TECNOLOGIE DI TRATTAMENTO, BONIFICHE, RIFIUTI (TR) TR01 G. Mele, L. Jun, L. Palmisano, R. Słota, G. Vasapollo Photocatalytic degradation of organic pollutants in water: toward the design of a new generation of hybrid TiO2 based catalysts working under visible ligth TR02 L. Campanella, R. Vitaliano, N. Bruzzese, N. Caretto, F. Borzetti Riutilizzo di acque reflue a seguito di trattamenti fotocatalitici con biossido di titanio per uno sviluppo sostenibile TR03 F. Pedron, G. Petruzzelli La qualità del suolo nella bonifica dei siti contaminati: un aspetto trascurato TR04 C. Della Torre, G. Pignolo, R. Urbani, P. Sist, A. Bandiera, A. Falace, M. Sesso, P. Plossi, P. Barbieri Brownfields beside recreational areas: some conceptual models and challenges for sensible remediation technologies TR05 M. Girardini, L. Franz, L. Paradisi, A. Ceron, F. Loro, L. Bergamin, F. Germani, D. Formigoni, B. Pavoni Produzione di ammendante compostato verde: valutazione del processo e del prodotto TR06 L. Morselli, L. Piccari, F. Passarini, I. Vassura Analisi di rischio associata alle emissioni di una discarica di rifiuti non pericolosi TR07 L. Zanin, L. Franz, L. Paradisi, M. Girardini, B. Pavoni Studio sulla definizione di biodegradabilità dei rifiuti di origine urbana e confronto sperimentale tra le principali metodologie di determinazione analitica TR08 M. Muolo, M. Giannini, F. Tedeschi, C. Pappalettere ARC non-transferred plasma torch for waste treatment 16 TR09 M. Girardini, L. Franz, L. Paradisi, A. Ceron, F. Loro, L. Bergamin, F. Germani, B. Pavoni Aspetti metodologici dell’analisi del “dissolved organic carbon” nel compost: effetto del rapporto di eluizione e della granulometria del materiale TR10 L. Morselli, V. Baravelli, D. Fabbri, A. Paludi, F. Passarini, I. Vassura Caratterizzazione chimico-fisica del car fluff ai fini della valorizzazione TR11 A. Maccotta, P. Fantazzini, G. Alonzo, M. Gombia Indagine su fibre di carbonio e interazione con l’acqua mediante rilassometria NMR TR12 E. Argese, S. Bedini, P. Figliola, U. Gamper, G. Rampazzo, C. Rigo, M. Simion, L. Zamengo Caratterizzazione delle componenti biotiche e abiotiche di un sito contaminato da ceneri di rifiuti solidi urbani TR13 N. Cardellicchio, B.M. Petronio, M. Pietrantonio, M. Pietroletti, R. Caracciolo, L. Grifa Bonifica di sedimenti inquinati da metalli pesanti. Prove preliminari TR14 M. Nicolì, E. Epifani, G. Ingrosso, L. De Vitis, A. Maffei, V. Esposito Efficacia di Phragmites australis nella fitorimediazione di terreni contaminati da idrocarburi policiclici aromatici (IPA): il caso di Cerano (Br) SESSIONE: METODI INNOVATIVI DI INDAGINE (MI) MI01 L. Campanella, D. Lelo, E. Martini, M. Tomassetti Analisi di fitotossici con un biosensore ad inibizione enzimatica e studio di possibili interferenti, quando si operi in soluzione acquosa o in solvente organico MI02 L. Campanella, N. Bruzzese, M. Aiossa, M. Papacchini, P. Di Gennaro, G. Bestetti Sviluppo di biosensori per il monitoraggio della contaminazione ambientale da idrocarburi mediante batteri ricombinanti MI03 L. Lopez, C. Zambonin, F. Latanza Determinazione di metilxantine mediante cromatografia liquida (LC). MI04 G. Anzilotta, T. Trabace, A. Palma Analisi di screening dei VOC nelle matrici solide e applicazione al controllo dei fanghi di depurazione MI05 P. Iannece, D. Acanfora, O. Motta, A. Proto Determination of trace level perchlorate in drinking water MI06 S. Ciavatta, C. Badetti, G. Ferrari, R. Pastres Stima dei tassi di produzione e respirazione in laguna di Venezia attraverso l’analisi di dati in continuo di qualità’ dell’acqua MI07 M.C. Bruzzoniti, R.M. De Carlo, M. Fungi, C. Sarzanini Determinazione di metalli alcalini, alcalino-terrosi e di ammonio mediante cromatografia ionica in acque destinate a consumo umano 17 MI08 M.C. Bruzzoniti, R.M. De Carlo, S. Fiorilli, E. Garrone, B. Onida, A. Prelle, C. Sarzanini, F. Testa Separazione di ioni metallici in scambio cationico mediante substrati silicei mesoporosi funzionalizzati MI09 M.C. Bruzzoniti, R.M. De Carlo, C. Sarzanini Separazione e arricchimento di tensioattivi anionici in matrici acquose mediante cromatografia ionica MI10 A. Calisi, M.G. Lionetto, M.E. Giordano, T. Schettino Biomarkers nel lombrico Lumbricus terrestris MI11 A. Di Leo, E. Prato, F. Biandolino, G. Calzaretti, E. Casalino, N. Cardellicchio Attività enzimatiche e induzione di metallotioneine nel Mytilus galloprovincialis esposto al cadmio MI12 E. Erroi, M.G. Lionetto, M.E. Giordano, T. Schettino Studio di un nuovo bioassay in vitro basato sulla misura di inibizione dell’attività enzimatica di anidrasi carbonica MI13 A. Genga, M. Lazzoi, A. Miceli, C. Negro, M. Siciliano, L. Tommasi Fitomonitoraggio: utilizzo della vegetazione esistente per la determinazione della qualità ambientale MI14 G. Blo, C. Contado, C. Costa, F. Dondi, A. Pagnoni, A. Ceccarini, R. Fuoco Applicazione della tecnica combinata SDFFF-CID-ETAAS per la caratterizzazione di materiale particolato colloidale di interesse ambientale MI15 G. Mangani, A. Tiberi Preparazione del campione ed analisi GC-MS di stirene ed altri VOC nelle resine poliestere insature. MI16 L. Giotta, F. Italiano, F. Milano, A. Agostiano, M. Trotta Immobilizzazione di inquinanti su cellule batteriche: identificazione di siti di binding mediante spettroscopia ATR-FTIR differenziale MI17 F. Pisani, L.R. Ceci, R. Gallerani, F. Italiano, M. Trotta, L. Zolla, S. Rinalducci, F. De Leo Analisi proteomica dell’efffetto del cobalto sull’apparato fotosintetico di Rhodobacter sphaeroides R26.1. MI18 N.B. Barile, E. Nerone, G. Mascilongo, L. Bolelli, S. Girotti Risultati preliminari sull’utilizzo di sensori analitici biologici nel monitoraggio delle acque marine costiere MI19 R. Matarrese, V. De Pasquale, S. Rochira, P. Cosma, M. Trotta, M.T. Chiaradia, G. Pasquariello Calibrazione di un profilatore per misure fluorimetriche in situ per lo sviluppo di modelli bioottici satellitari MI20 F. LoCoco, D. Restuccia, G. Vinci , G. Adami Simple and rapid determination of polycyclic aromatic hydrocarbons in different wastewaters, sewage sludges and stream waters samples by liquid chromatography with fluorimetric and UV detection 18 MI21 T.R.I. Cataldi, G. Bianco, G. Pace, S. Abate Identificazione di molecole segnale mediante cromatografia liquida e spettrometria di massa in trasformata di Fourier (LC-ESI-FTMS) ed implicazioni del quorum sensing in batteri gram-negativi coinvolti nei processi di biorisanamento ambientale MI22 S. Cavalli, S. Ghirlanda, R. Al-Horr, C. Saini, R. Slingsby, C. Pohl Sviluppo di una nuova colonna per la misura di acidi aloacetici nell’acqua potabile con IC/MS e IC/MS/MS MI23 S. Cavalli, S. Ghirlanda, S. Henderson, E. Francis, R. Carlson, B. Murphy, B. Dorich, B. Richter Determinazione di contaminanti ionici in matrici diverse usando la tecnica di estrazione accelerata con solvente (ASE®) MI24 M. Riess, S. Ghirlanda, S. Cavalli, J. Richardson, M. Wolf Determinazione HPLC di ritardanti di fiamma polibromurati (PBFR). Ottimizzazione e miglioramento dei test ROHS. Paragone dei metodi HPLC/UV, HPLC/MS e GC/MS SESSIONE: SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE E MONITORAGGIO (SM) SM01 R. Ridolfi, R.M. Pulselli, A.C. I. Pizzigallo, S. Bastianoni Integrating environmental aspects in traditional economic evaluation: the case Province of Pescara of the SM02 N. Marchettini, F.M. Pulselli, E. Tiezzi Thermodynamics and anthropic systems: a physical view of globalization SM03 L. Guzzi, G. Tartari Il data-base limno per la valutazione previsionale della sensibilita’ al mercurio degli ecosistemi lacustri italiani SM04 G. Mele, M. Fiorentino, E. Margapoti, M. Palazzo, M. Serafino, L. Vasanelli, G. Vasapollo Environmental sustainability of agro-industrial processes toward the extraction of fine chemicals: utility of a web Geographic Information System SM05 A. Buccolieri, G. Buccolieri, A. Castellano, A. Dell’Atti, L.S. Leo, L. Rizzo Misure di radon nella falda del Salento SM06 E. Filippo, D. Manno, A.R. De Bartolomeo, M. Di Giulio, A. Serra A biosensor based on silver nanoparticles embedded in starch for determination of hydrogen peroxide SM07 G. Adami, E. Reisenhofer, S. Cozzi, C. Cantoni, L. Celic , P. Barbieri. F. Lo Coco Parametri chimici in prossimità della “sediment-water interface” di un’area del golfo di Trieste esposta agli scarichi dell’impianto di depurazione cittadino SM08 N. Calace, B.M. Petronio, M. Pietrantonio, M. Pietroletti Analisi del materiale particolato in acque naturali SM09 C. Annicchiarico, N. Cardellicchio, A. Di Leo, S. Giandomenico, L. Guzzi, W. Martinotti, S. Santoro, L. Spada La biomagnificazione del mercurio nel Mar Piccolo di Taranto 19 SM10 L. Trianni, S. Giandomenico, A. Giangrande, N. Cardellicchio Valutazione dell’accumulo di policlorobifenili (PCB) nel polichete Sabella spallanzanii SM11 N. Cardellicchio, A. Di Leo, C. Annicchiarico, L. Lopez, L. Spada Contaminazione da elementi in traccia in sedimenti ed organismi del Mar Piccolo di Taranto: bioaccumulo e considerazioni ecotossiclogiche SM12 N. Cardellicchio, S.Giandomenico, L.Lopez, F. Pizzulli, L. Spada Studio della distribuzione dei livelli di concentrazione di IPA in 5 carote di sedimento prelevate nel Golfo di Taranto SM13 L. Canesi, C. Ciacci, M. Betti, R. Fabbri, G. Poiana, A. Marcomini Effects of commercial and purified nanosized carbon black (NCB) on molluscan immunocytes SM14 A. Farina, C. Cavaliere, O. Motta, M. Capunzo, F. De Caro, A. Proto Migrazione globale in simulanti alimentari di manufatti polimerici monouso SM15 A. Buccolieri, G. Buccolieri, N. Cardellicchio, D. Corlianò Caratterizzazione chimico-fisica delle acque di falda nel Salento SM16 S. Noventa, E. Centanni, E. Pistolato, F. Garaventa, M. Faimali, B. Pavoni Contaminazione da composti organostannici e inquinanti organici persistenti (PCB, IPA, pesticidi clorurati) in molluschi gasteropodi affetti da imposex prelevati lungo la costa slovena SM17 B. Giussani, D. Monticelli, E. Ciceri, A. Credaro, L. Rampazzi, A Pozzi, S. Recchia, C. Dossi Lago di Como: studio della distribuzione e della speciazione di metalli in traccia nel bacino lacustre mediante analisi multivariata SM18 F. Zanon, N. Rado, E. Centanni, N. Zharova, B. Pavoni Contaminazione da composti organostannici in molluschi bivalvi della laguna di Venezia SM19 D. Karamanis, G. Mele, P. Assimakopoulos, K. Ioannides, A. Katsikis, I. Leonardos, C. Papadopoulou, K. Stalikas, K. Stamoulis, C. Malitesta, R.A. Picca, L. Vasanelli, G. Vasapollo, E. Margapoti, N. Kotsios, A. Korou, K. Grinias, E. Mellos, A. Ciccolella The ECODONET project: Development of a model Web based virtual observatory of Acherontas, Kalamas and Torre Guaceto ecosystems and its application as a mobile exhibit and permanent environmental kiosk towards public awareness and sustainable development of coastal ecosystems SM20 L. Guzzi, W. Martinotti Influenza delle caratteristiche sito-specifiche sulla metilazione del mercurio in ecosistemi acquatici fluviali 20 PREMI TESI DI LAUREA Allo scopo di divulgare la cultura della Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali, nell’ambito del Congresso sono assegnati 5 premi da 500 € ciascuno per tesi di laurea in Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali a laureati dell’anno accademico 2005-2006. I premi sono stati offerti da: Ecomondo, Osservatorio di Campi Salentina, Sea Marconi Technologies S.a.s., STD Italia S.r.l., Zanichelli. I premi saranno consegnati nel corso della cena sociale. Sono risultati vincitori: Berzioli Michela Università di Parma Laurea Specialistica in Scienze per i Beni Culturali Titolo della tesi: Enzimi lipolitici nel restauro: studio applicativo per la rimozione di sostanze filmogene naturali. Boneschi Silvia Università di Bologna Laurea in Tecnologie Chimiche per l’Ambiente e la Gestione dei Rifiuti Titolo della tesi: Monitoraggio del fall-out atmosferico in prossimità di un termovalorizzatore per CDR. Lauri Vittorio Università di Torino Laurea Specialistica in Analisi e Gestione dell’Ambiente Titolo della tesi: Valutazione della stabilità/instabilità fotochimica della materia organica disciolta nelle acque naturali. Leo Laura Sandra Università del Salento Laurea in Fisica Titolo della tesi: UV laser cleaning e analisi EDXRF su manufatti in rame e su leghe Mancusi Carlotta Università di Roma Laurea in Chimica Titolo della tesi: Caratterizzazione di malte di interesse archeologico. Il caso studio del Rione Terra di Pozzuoli 21 22 MEDAGLIE dELLA DIVISIONE 23 24 Medaglia della Divisione per il 2007 al Prof. Luciano Morselli Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali Università di Bologna - Polo di Rimini Luciano Morselli è nato a Revere (Mantova) il 5 Agosto 1943. Laureato all'Università di Bologna in Chimica Industriale; dal 2001 è Professore Ordinario di Chimica dell'Ambiente e dei Beni Culturali nella Facoltà di Chimica Industriale - Polo di Rimini. Dal 1989 al 1992 è stato comandato quale esperto al Ministero dell'Ambiente a Roma (settore: gestione dei rifiuti). È stato ed è membro di Commissioni europee e nazionali su diverse tematiche ambientali inerenti rifiuti, Deposizioni Acide e Carichi Critici, Microinquinanti nei vari Comparti Ambientali. È stato membro della Commissione E.U. al D.G. XI (Priority waste streams) a Bruxelles e Berlino come esperto del Governo Italiano. Responsabile del Gruppo di Lavoro Atmosfera nel Programma di Monitoraggio Ambientale della Tenuta Presidenziale di Castelporziano presso il Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica (1992 - 2000). Dal 1998 al 2000 è stato Presidente della Divisione di Chimica dell'Ambiente della Società Chimica Italiana. È membro del Comitato scientifico EuCheMS-DCE e chairmen del sub-committee “Cultural Heritage Chemistry” (CHSC). Chairman e membro di Comitati Scientifici di diversi Congressi nazionali ed internazionali, tra i quali l’organizzazione della 10th EuCheMS-DCE International Conference on Chemistry and the Environment – Rimini Settembre 2005. Dal 1997 è Coordinatore del Comitato Scientifico ed Editore degli Atti di Ricicla/Ecomondo, la più importante Fiera annuale Italiana e seconda in Europa dedicata a Tecnologie e Sostenibilità ambientali. Dal 2001 è Presidente del Corso di Laurea triennale in Tecnologie Chimiche per l'Ambiente e per la Gestione dei Rifiuti - TECHIAR (Facoltà di Chimica Industriale, Università di Bologna – Polo di Rimini). Dal 2005 è il coordinatore del Progetto di Laboratorio a Rete LITCAR (“Laboratorio Integrato di Tecnologie e Controllo Ambientale nel Ciclo di Vita dei Rifiuti”), della Rete Alta Tecnologia, finanziato dalla Regione Emilia- Romagna. Ha pubblicato circa 100 articoli originali in riviste scientifiche internazionali e nazionali, e più di 150 lavori in Atti di Congressi nazionali ed internazionali, Curatore di più di 10 volumi ed altrettanti atti di Congressi nei settori di ricerca relativi alla Chimica dell'Ambiente e dei Beni Culturali. I principali temi di ricerca attivati sono: Tecnologie e Controllo Ambientale nel Ciclo di Vita dei Rifiuti; Gli strumenti per il controllo e la certificazione Ambientale; LCA- Valutazione del Ciclo di Vita; AR- Analisi di rischio; Sistema Integrato di monitoraggio Ambientale; Chimica dei Beni Culturali: interazione di inquinanti con materiali costituenti i Beni Culturali. 25 Medaglia della Divisione per il 2007 alla Prof.ssa Maria Teresa Sá Dias Vasconcelos Dipartimento di Chimica, Facoltà di Scienze, Università di Porto (Portogallo) 26 Medaglia “Liberti” per il 2007 al Prof. Luigi Campanella Dipartimento di Chimica,Università “La Sapienza” Roma Laurea in Chimica e abilitazione alla professione di Chimico nel 1961. Libera docenza in Elettrochimica nel 1967. Professore Incaricato Stabilizzato, prima di "Esercitazioni di Chimica Industriale II", poi di "Esercitazioni di Analisi Chimica Applicata, presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" dal 1967 al 1980. Professore Ordinario di "Chimica Analitica" dall'a.a. 1980/81 all’a.a. 2002-2003 e di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali successivamente a tale data. Titolare di Chimica Agraria e poi di "Chimica del Suolo" dall'A.A. 1994/95 ad oggi, di "Chimica del Restauro" dall'A.A. 1998/99 ad oggi di Chimica degli Alimenti (Facoltà di Farmacia)dall’a.a.2003-2004, presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza". Presidente del Consiglio di Corso di Laurea in Chimica Industriale dal 1981 al 1983. Direttore del Dipartimento di Chimica dal 1983 al 1986. Dal 1988 al 1992. Coordinatore del Dottorato di Ricerca in Scienze Chimiche. Dal 1988 al 1994 Preside della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell'Università "La Sapienza" di Roma. È autore di oltre 500 lavori nei settori della Chimica Analitica, dell'Elettrochimica, della Chimica Ambientale, delle Biotecnologie Analitiche,della Chimica dei Beni Culturali. In particolare ha preparato, caratterizzato ed applicato numerosi biosensori, basati su enzimi immobilizzati o su tessuti vegetali, per la determinazione di sostanze di interesse clinico, farmaceutico ed ambientale e per la datazione di reperti archeologici cellulosici. Con queste ricerche è entrato a far parte del Gruppo di Ricerca CEE su "Biosensori". Ha anche studiato l'applicazione di metodi chimici e biologici alla degradazione ed alla rimozione di inquinanti (tensioattivi, idrocarburi, pesticidi, metalli pesanti) in scarichi civili ed industriali. Ha partecipato ad oltre 500 Congressi Nazionali ed Internazionali. Presidente della Divisione di Chimica Analitica della Società Chimica Italiana negli anni 1989-1990 e di quella di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali nel triennio 2004-2006. Vice presidente della Società Chimica Italiana dal 1990 al 1992. Presidente del MUSIS (Museo Multipolare della Scienza e dell'Informazione Scientifica) dal 1991 ad oggi, Consigliere Scientifico del Sindaco di Roma dal 1993 al 1997. È membro di numerose Commissioni di Studio del CNR, del Ministero della Ricerca Scientifica e Tecnologica, dell'Università e dell'ENEA, fra le quali il Comitato per le Infrastrutture, per i Materiali Innovativi e per la Chimica del Ministero della Ricerca ed il Gruppo Metalli dell'Istituto Ricerca sulle Acque del CNR. Dal dicembre 2005 Presidente dell’Ordine dei Chimici Interregionale Lazio – Umbria – Abruzzo. Vincitore dell' "International Capire Prize for a creative future" 1994. Vincitore del premio Internazionale "Scuola Strumento di Pace" nel 1996. Vincitore della Medaglia 2003 della Divisione di Chimica Ambientale della Società Chimica Italiana. Vincitore del Premio SCIENCE FOR PEACE 2005 (USA Convention). E’ stato eletto Presidente della Società Chimica Italiana per il triennio 2008-2010. 27 28 CONFERENZE AD INVITO 29 30 LA CHIMICA DEI BENI CULTURALI. IL DEGRADO DOVUTO ALL’AZIONE DEGLI INQUINANTI Luciano Morselli Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali, Università di Bologna - Polo di Rimini Viale Risorgimento 4, 40136 Bologna e-mail: [email protected] La chimica, nel campo dei beni culturali, riveste senza dubbio un ruolo di primaria importanza, essendo coinvolta in tutte le fasi del Ciclo di vita di un bene. In questo contesto, un contributo fondamentale è richiesto alla chimica che si occupa dell’ambiente nel quale il bene è collocato. Diversi sono, infatti, i fattori che minacciano l’integrità del patrimonio culturale, uno di questi è di certo l’inquinamento atmosferico. Gli inquinanti che interagiscono con i beni culturali sono numerosi e ciascuno mostra differenti specificità, sia per quanto riguarda le sorgenti di provenienza che la reattività di ogni specie, in relazione alle sue caratteristiche chimico-fisiche, alla concentrazione rilevata, alle condizioni ambientali ed alle altre specie presenti mostrando effetti sinergici e agire prevalentemente su alcune tipologie di materiale. La Normativa ha prodotto un atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei, indicando valori limite raccomandati per gli inquinanti aerodispersi, ma ancora nulla in relazione ai limiti per i beni outdoor, anche se la UE, nella direttiva 96/62/EC, ha sottolineato la necessità di tutelare dall’inquinamento anche il patrimonio culturale esposto all’aperto. Per giungere a limiti in questo senso la strada è certamente difficile e deve passare attraverso la definizione di Carichi/Livelli Accettabili per ogni tipologia di Bene Culturale. Ciò richiede un percorso che va da una conoscenza di base relativa alla classificazione merceologica dei materiali costituenti ed alla loro durevolezza, alla funzione delle diverse condizioni ambientali meteoclimatiche alle quali sono soggetti (Indoor, Outdoor), ad una puntuale caratterizzazione delle singole specie inquinanti interagenti, alla conoscenza dei loro prevalenti percorsi di rimozione, allo studio delle varie azioni ed agli effetti che si possono manifestare. Questo percorso porta a definire i meccanismi di interazione che intervengono e a “pesare” ogni singolo fattore di degrado, per poter scegliere gli strumenti tecnico-scientifici più idonei per una corretta diagnostica e conservazione. Le recenti esperienze di ricerca prodotte presso il nostro Dipartimento studiano gli effetti degli attuali livelli di inquinanti, sia in atmosfera che nelle deposizioni, sui materiali costituenti i beni culturali, monitorando gli inquinanti, il degrado dei materiali ed investigando i meccanismi di azione, anche attraverso lo sviluppo di adeguate strumentazioni per l’invecchiamento accelerato. Un aspetto, per certi aspetti inedito, riguarda la valutazione degli effetti degli ossidi di azoto su materiale lapideo tal quale e trattato con prodotti protettivi e di investigare i processi di degrado di bronzi esposti alle deposizioni secche ed umide. Un progetto è in corso anche per valutare l’impatto di inquinanti e microclima sul patrimonio culturale moderno e contemporaneo. 31 INFLUENCE OF SALT MARSH PLANTS ON LEVELS AND SPECIATION OF TRACE METALS IN SEDIMENTS AND WATER COLUMN IN CASE OF SEDIMENT RE-SUSPENSION M. Teresa S. D. Vasconcelos1,2, C. Marisa R. Almeida2, Ana P. Mucha2 1 Departamento de Química, Faculdade de Ciências, Universidade do Porto, Porto, Portugal e-mail: [email protected] 2 CIMAR / CIIMAR – Centro Interdisciplinar de Investigação Marinha e Ambiental, Universidade do Porto, Porto, Portugal In the last years increasing importance has been given to rhizoremediation of persistent toxic substances (PTS), which utilize the synergy between plants and micro-organisms of the rhizosphere (environment among roots). However, the efficiency of rhizoremediation will depend on several factors, namely as follows: (i) soil (or sediment) composition; (ii) contamination composition; (iii) environmental conditions (temperature, humidity, redox potential, pH, …); (iv) plant species; and (v) nature and abundance of micro-organisms. Therefore, monitoring and understanding rhizoremediation is difficult, requiring further investigation. Studies of rhizoremediation in estuarine environments are still very scarce, biogeochemistry at the rhizosphere of salt marsh plants and implications on speciation of trace elements and consequent availability to organisms which feed in pore water/water column being not well known yet. A project on these topics, involving different salt marsh plants (Halimiones portulacoides, Juncus maritimus and Scirpus maritimus), which have colonised estuarine sediments at Cavado, Douro and Sado rivers, from Portugal, is in progress. The project aims include the evaluation of concentration, uptake, availability/degradation of some PTS (metals, organic POPs - and butiltin compounds) in the selected estuarine environments, and their influence on the biological response of plants, which includes release and uptake of organic ligands by plants. Significant differences between sediments and rhizosediments have been found [1-4], rhizosediments presenting higher metal (and pesticide) contents, and metals more weakly bound to the sediment and more available. In addition, plants were able of accumulating metals from the medium and releasing root exudates, such as low molecular weight organic acid capable of complexing metals [5]. Very recent results (un-published yet) indicated that potential solubility of metals present in the rhizosediments was markedly higher than that of metals in the surrounding anaerobic sediments. The presence of sulphide in sediments and its absence in rhizosediments (as plants could oxidize their rhizosphere) played a decisive role in the observed behaviour. Therefore, the presence of vascular plants may cause a marked increase in metals concentrations in the dissolved phase (pore water/water column) in case of rhizosediment resuspension, which can result of both natural occurrences, like floods, and human interventions, such as plant removal or dredging affecting colonized areas. As salt marsh plants are abundant in many coastal areas, this phenomenon should not be disregard in future studies which are intended for supporting policy development for such coastal areas. Acknowledgements - This work was partially funded by Fundação para a Ciência e Tecnologia, Portugal, through fellowships awarded to A. P. Mucha (SFRH/BPD 7141/2001) and C. M. Almeida (SFRH/BPD 9430/2002) and the project POCTI/CTA/48386/2002 32 References 1- C.M.R. Almeida, A.P. Mucha, M.T.S.D. Vasconcelos, Environ. Sci. Technol., 38, 3112, 2004 2- C.M.R. Almeida, A.P. Mucha, M.T.S.D. Vasconcelos, Mar Environ Res, 61, 424, 2006 3- C.M.R. Almeida, A.P. Mucha, M.T.S.D. Vasconcelos, Environ Pollut., 142, 151, 2006 4- C.M.R. Almeida, A.P. Mucha, M.T.S.D. Vasconcelos, Environ Sci Pollut Res, 12, 271, 2005 5- A.P. Mucha, C.M.R. Almeida, A. Bordalo, M.T.S.D. Vasconcelos, Estuarine Coastal Shelf Science, 65, 191, 2005 33 AMBIENTE E BENI CULTURALI: UN PONTE PER LA CHIMICA FRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO Luigi Campanella Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma e-mail: [email protected] Il ruolo della chimica nello sviluppo della società moderna è stato dapprima sostanzialmente euristico, caratterizzato cioè dalla acquisizione di risorse, di capacità produttive e di benefits. Successivamente il ruolo è cambiato: l'avanzamento nel livello di qualità della vita ha indotto la ricerca di garanzie da un lato per conservarlo ( e se è il caso per accrescerlo) e dall'altro per proteggere i cittadini e gli utenti dalle ricadute negative che l'elevato tasso di consumismo poteva produrre,in termini di ridotta sostenibilità. La prospettiva per il futuro è quella per una chimica che concili le sue due vocazioni riscoprendo il volto euristico, ma finalizzato al monitoraggio delle condizioni di garanzia. La salute,l'ambiente,gli alimenti,i beni culturali sono tutti settori della vita della ns società nei quali questa semplificazione storica essenzialmente vera- trova maggiori sedi di conferma. In particolare la Chimica dell'Ambiente e dei Beni Culturali ha vissuto questo processo con grande attinenza alla realtà sociale. I beni preziosi- particolarmente nel nostro Paese - di Ambiente e Beni Culturali sono stati dapprima scoperti nelle loro realtà complesse e poi protetti. In prospettiva, le future innovazioni dovranno tenere conto della rivoluzione correlata alle nuove strategie ed ai nuovi metodi per diffondere e quindi rendere accessibili e popolari quanto più possibile cultura e programmi di intervento. 34 IL CONTRIBUTO DELLA CHIMICA ALLA CONSERVAZIONE E AL RESTAURO DELLE OPERE POLICROME Paolo Cremonesi Coordinatore scientifico Cesmar7 Centro per lo Studio dei Materiali per il Restauro, Via Mentana 5, 37128 Verona e-mail: [email protected] Generalmente, la persona che osserva il dipinto - anche perché costretta ad una visione esclusivamente frontale - lo percepisce come mera “immagine pittorica”, ignorandone così la natura composita: una successione di strati (lo strato protettivo, gli strati pittorici, lo strato preparatorio, il supporto), che, anche se non visibili, sono funzionali all’immagine pittorica e alla sua permanenza. L’immagine è fatta di materia: anche questa banale affermazione, in realtà, è tutt’altro che scontata: spesso viene percepita come se fosse solo colore, quasi addirittura una proprietà immateriale. Di conseguenza, è piuttosto difficile che, osservando un dipinto, la persona pensi a quanta chimica è presente nella creazione e nella permanenza di quel dipinto! Quasi istintivamente, infatti, tendiamo a porre le “belli arti” in un’altra dimensione, sicuramente più vicina all’estetica, o alle discipline umanistiche, piuttosto che alle Scienze. Invece, tanta chimica è coinvolta nelle varie fasi dell’opera d’arte, dal momento della sua creazione al momento in cui arriva davanti agli occhi dello spettatore, o nelle nostre mani per il trattamento conservativo. Fin dai tempi più remoti, per dare espressione alla propria ispirazione, l’artista ha dovuto fare della chimica: per molti secoli inconsapevole, certo; ma comunque chimica. Pensiamo all’artista dei secoli trascorsi: come purificare i minerali per ottenere i pigmenti - le polveri colorate adatte a dipingere - o addirittura riuscire ad “estrarre” e fissare permanentemente su una matrice inerte il colore di certi organismi viventi, animali e vegetali, o addirittura come arrivare a sintetizzare materie coloranti partendo da sostanze diverse; e come riuscire a “legare” stabilmente queste polveri colorate, ricorrendo ad adesivi di origine naturale, in modo da formare una pittura. Come arrivare ad estrarre, manipolare, modificare queste materie prime, in modo da poterle utilizzare: tutto questo richiede operazioni chimiche. Il fatto sorprendente che queste opere siano arrivate a noi attraverso i secoli, indica che questa chimica, anche se inconsapevole, di fatto funzionava. Altra chimica poi è coinvolta nella permanenza dell’opera, nel suo passaggio nei secoli, nelle sue interazioni con un ambiente che in particolare negli ultimi cento-centocinquant’anni sembra essere diventato assolutamente ostile alla fragile consistenza della materia artistica! Ossigeno, luce, temperatura, umidità, inquinanti atmosferici, con le loro sollecitazioni chimico-fisiche sui materiali e gli strati, condizionano pesantemente il mantenimento dell’integrità strutturale e formale. Fino a quando riusciremo a tramandare questa creazione ai posteri? Qui si innesta la terza fase, il terzo ambito di coinvolgimento della chimica. Il nostro intervento finalizzato alla comprensione analitica dei materiali, sia quelli costitutivi che quelli che sono stati aggiunti nel corso dei secoli; alla diagnosi delle condizioni strutturali; alla definizione delle condizioni ottimali per la conservazione dell’opera; alla manutenzione della sua integrità e, nella maggior parte dei casi, al ripristino della stessa. Siamo ad un momento critico. Siamo ad un punto in cui assistiamo ad una grande confluenza di conoscenze e metodi scientifici intorno all’opera d’arte, intorno al restauro che nella tradizione italiana è invece ancora fresco di un’impostazione artigianale, di manualità e di saperi appresi e tramandati in bottega. Queste due realtà devono riuscire ad integrarsi con pari dignità, finalizzate a garantire la tutela di queste fragili creazioni della mente umana. Nella presentazione si percorreranno queste “tappe” del coinvolgimento della chimica nell’opera d’arte, con particolare riferimento alle opere policrome mobili, illustrandole con esempi. 35 IL REGOLAMENTO REACH: PROSPETTIVE, PROBLEMATICHE, STRATEGIE. LE IMPRESE ITALIANE UTILIZZATRICI DI SOSTANZE CHIMICHE DI FRONTE ALLA NUOVA POLITICA COMUNITARIA. Mauro Sabetta Unione Industriale Torino Via Fanti, 17 10128 Torino, Italia e-mail: [email protected] Prima del regolamento 1907/2006 (Reach) l’impalcatura normativa comunitaria che disciplinava il mondo delle sostanze e dei preparati pericolosi era basata su alcuni pilastri, rappresentati dalla direttiva 67/548/CEE (la cosiddetta direttiva madre, adeguata 29 volte al progresso tecnico), concernente le sostanze pericolose, dalla Direttiva 1999/45/CE, concernente i preparati pericolosi, dal Regolamento 850/2004, concernente i POPs , e dalla direttiva 76/769/CEE, riguardante le restrizioni all’immissione in commercio. Nonostante tutto, numerosi problemi si sono manifestati nel corso degli anni: si va dal numero limitato delle sostanze ufficialmente censite, alla eccessiva macchinosità delle procedure, ma principalmente si è posto l’accento sulla carenza di informazioni disponibili, soprattutto in merito alle sostanze esistenti da tempo sul mercato europeo. I lavori, che possono datarsi a partire dal giugno 1999, si sono conclusi con l’approvazione del regolamento 1907/2006, in vigore dal 1° giugno 2007. Per quanto riguarda il sistema industriale, uno dei timori che il mondo industriale ha sempre evidenziato è rappresentato dal concreto rischio che Reach si manifesti verso le imprese con la veste di un aumentato carico di oneri burocratici cui adempiere, che si tradurranno in un aggravio di costi senza un effettivo beneficio per la salute umana e l’ambiente. In sintesi, il sistema Reach risulta articolato nelle fasi di : Registration (Registrazione) : si tratta del primo stadio del sistema, dove le informazioni sulla produzione, l’impiego e la sicurezza delle sostanze, nel momento in cui loro quantitativi siano esse prodotte, importate od impiegate siano superiori ad una tonnellata per anno. Non si potrà fabbricare, importare o utilizzare un chemical se esso non sarà registrato (secondo il principio"no data, no market"). Evaluation (Valutazione): stadio seguente alla registrazione è la valutazione dei dati ricevuti e registrati: essa sarà condotta in stretta sinergia tra le autorità nazionali e autorità comunitarie. Authorisation (Autorizzazione): una autorizzazione sarà prevista per sostanze particolarmente pericolose per l'ambiente e la salute umana, ovvero le (sostanze C/M/R di cat. 1 e 2, i PBT, i vPvB ) (19), ed i distruttori endocrini. Tali sostanze dovranno essere appositamente indicate in appositi elenchi. Restrictions (Restrizioni): tale strumento agirà prescindendo dai livelli quantitativi e più radicalmente (vietandone l’impiego) di come agirà una autorizzazione. Si tratterà di attivare un dispositivo che raccolga l’eredità della direttiva 76/769/CEE, ma che sia più tempestivo ed efficace. Un software per gli Utilizzatori: una proposta concrete dal mondo dell’industria italiana Per far fronte ai numerosi obblighi che impatteranno a breve sulle imprese italiane, uno degli strumenti messi a punto è il software STAR (Software Tecnico Adempimenti REACH), realizzato dalla collaborazione posta in essere tra tre associazioni del sistema confindustriale: l’Unione Industriale Torino, l’ UNIC e Federlegno –Arredo, a disposizione delle imprese associate alle tre organizzazioni ed a tutte le altre imprese ed Enti che lo vorranno acquisire. Tale strumento, che sarà costantemente implementato, ha l’ obiettivo di essere di ausilio alle imprese che siano principalmente utilizzatrici di prodotti chimici. 36 COMUNICAZIONI ORALI 37 38 L’ANALISI DI RISCHIO ECOLOGICO NELLA GESTIONE DEI SITI CONTAMINATI Antonio Marcomini*, Andrea Critto*, Christian Micheletti*, Elena Semenzin§ * Dipartimento di Scienze Ambientali, Università Ca’ Foscari di Venezia, Calle Larga S. Marta 2137, 30123, Venezia e-mail: [email protected] § CVR – Consorzio Venezia Ricerche c/o VEGApark, Via della Libertà 5-12, 30175 Marghera, Venezia L’analisi di rischio ambientale rappresenta un supporto decisionale insostituibile per la formulazione di politiche sostenibili. In particolare, per la valutazione ed il risanamento di ecosistemi contaminati da sostanze chimiche, l’Analisi di Rischio Ecologico (ERA) è lo strumento utilizzato per identificare gli obiettivi di qualità e gli aspetti ecologici rilevanti da tutelare. Nel contesto normativo europeo, infatti, essa è stata posta alla base della Direttiva Quadro sulle Acque ed affiancherà l’analisi di rischio per la salute umana nella Direttiva Quadro sui Suoli di prossima emanazione. Attualmente l’analisi di rischio è già parte della legislazione nazionale della maggior parte degli Stati Membri. In Italia, essa è stata in parte recepita nel Testo Unico Ambientale di recente emanazione (D.lgs. 152/2006) come Analisi di Rischio per la Salute Umana nella definizione degli obbiettivi di qualità per la bonifica dei siti contaminati e come Analisi di Rischio Ecologico per la valutazione dello stato di qualità delle acque superficiali (recepimento della Direttiva 2000/60/EC). Si può prevedere quindi che in un prossimo futuro giocherà un ruolo ancora più rilevante nella valutazione e gestione dei siti contaminati nella loro complessità (suolo, acque e sedimenti), richiedendo un ulteriore sforzo a livello nazionale ed internazionale nello sviluppo, applicazione e validazione di metodologie e di strumenti applicativi. Verranno presentati i risultati di alcuni progetti nazionali ed internazionali volti allo sviluppo di specifiche procedure di Analisi di Rischio Ecologico per diversi siti contaminati (suoli, acque costiere e lagunari, bacini fluviali) variamente inquinati da sostanze chimiche. Tali metodologie sono state validate, o sono in corso di validazione, mediante applicazione a specifici casi di studio e sono state implementate, o sono in corso di implementazione, in Sistemi di Supporto alle Decisioni (DSS). Questi ultimi sono strumenti che rivestono un ruolo cruciale nel supportare l’analisi e la gestione dei siti contaminati da parte dei diversi attori coinvolti nel processo decisionale. 39 UN MODELLO MATEMATICO PER LO STUDIO DEGLI IMPATTI DELLE ATTIVITA’ DI MITILICOLTURA SULLA CHIMICA DEI SEDIMENTI SUPERFICIALI Daniele Brigolina, Federico Rampazzob, Daniela Bertob, Stefano Covellic, Sergio Predonzanid, Michele Gianib, Roberto Pastresa a Dip. Chimica Fisica, Università di Venezia, Dorsoduro 2137, 30123, Venezia e-mail: [email protected] b ICRAM - Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare, Chioggia; c Dipartimento di Scienze Geologiche, Ambientali e Marine, Università di Trieste; d ARPA – Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente, Friuli Venezia Giulia. Durante lo scorso decennio la produzione di mitili in Italia ha subito un notevole aumento, raggiungendo le 105 tonnellate annue nel 2003. Questa tendenza è dovuta principalmente all’aumento del prodotto da maricoltura, che nel 2002 ha rappresentato circa il 70% della produzione totale di mitili. L’accumulo di bio-depositi organici, feci e pseudo-feci, prodotti dalle mitilicolture in sospensione è considerato come un potenziale impatto negativo di questa attività sull’ambiente bentonico. Infatti, l’arricchimento organico aumenta la domanda di ossigeno e può portare a condizioni di anossia nei sedimenti superficiali. Questo lavoro, sviluppato nel contesto del progetto europeo ECASA (http://www.ecasa.org.uk), ha come obbiettivo lo studio dell’impatto dei biodepositi organici rilasciati dalle mitilicolture in sospensione sui sedimenti sottostanti attraverso un approccio di tipo integrato. Questo approccio è basato sulla corroborazione di un modello matematico mediante l’utilizzo di un insieme di dati sito-specifici appositamente raccolti. La massa di bio-depositi organici che raggiunge i sedimenti, nell’area occupata dall’impianto di mitili, è stata calcolata utilizzando il modello di deposizione DEPOMOD (Cromey et al., 2002). I flussi di biodepositi rappresentano l’input per un modello del tipo trasporto-reazione che rappresenta i processi di prima diagenesi. Questo è stato implementato utilizzando l’ambiente di simulazione BRNS (Biogeochemical Reaction Network Simulator), sviluppato dal Dipartimento di Geochimica dell’Università di Utrecht. Il modello è stato progettato per simulare: • • le principali reazioni di degradazione della materia organica; la dinamica delle principali specie chimiche coinvolte nei processi di prima diagenesi all’interno dei sedimenti superficiali e all’interfaccia tra acqua e sedimento. I risultati ottenuti dall’applicazione del modello matematico sono stati testati utilizzando un set di parametri chimici del sedimento e delle acque interstiziali, raccolto in una mitilicoltura attiva a largo di Chioggia (Venezia) ed in una vicina stazione di controllo. Il confronto con i dati sperimentali fornisce alcune indicazioni circa la capacità del modello di predire la distribuzione spaziale dei bio-depositi organici che raggiungono i sedimenti. I profili predetti ed osservati indicano come la presenza dell’impianto di mitilicoltura porti ad un aumento delle concentrazioni di nutrienti nelle acque interstiziali, causando tuttavia impatti 40 notevolmente inferiori rispetto a quelli registrati in corrispondenza delle gabbie utilizzate per le attività di piscicoltura (Black et al., 2001). Sulla base dei risultati ottenuti, si ritiene che il modello matematico sviluppato possa costituire uno strumento utile allo studio degli impatti della mitilicoltura sulla biogeochimica dei sedimenti. Bibliografia Cromey, C.J., Nickell, T.D. & Black, K.D. Aquaculture 2002, 214, 211-239. Black, K.D. Envionmental impacts of aquaculture Sheffield academic press. 2001, 214 pp 41 I BIOINDICATORI NEL MONITORAGGIO AMBIENTALE: BATTERI BIOLUMINESCENTI, MITILI, SQUALI ED API. Stefano Girottia, Luca Bolellia, Elida Ferria, Elisabetta Maiolinia, Maria Grazia Fumoa,c, Nadia Barileb, Paolo Fontic. a Dipartimento di Scienza dei Metalli, Elettrochimica e Tecniche Chimiche- Università di Bologna, Via San Donato, 15, 40127 Bologna, [email protected]. b Centro di Biologia Marina, Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e Molise “G.Caporale”, Viale Marinai d’Italia, 20, 86039 Termoli, [email protected] c Gruppo CSA SpA, Istituto di Ricerca, Via al Torrente, 22, 47900 Rimini, [email protected]. La presenza di sostanze che possono agire come inquinanti tossici è ormai estesa ad ogni settore dell'ambiente; la loro individuazione e quantificazione tempestiva è di primaria importanza al fine di limitare i danni conseguenti alla salute umana e/o alle altre componenti biotiche dell’ambiente stesso. Molti organismi possono essere impiegati come bioindicatori, cioè come utili strumenti che indicano, attraverso la semplice osservazione del loro comportamento o l’analisi chimica dei composti estranei trattenuti nei loro tessuti, lo stato di degradazione di un ecosistema. Questo articolo presenta alcune recenti ricerche sull’utilizzo, sotto diversi aspetti, di organismi bioindicatori per lo svolgimento di attività di monitoraggio di inquinanti diversi. Gli organismi finora impiegati sono stati: batteri bioluminescenti (BBL), mitili, squali ed api. L’osservazione dell’andamento della emissione luminosa dei batteri ha permesso di determinare la tossicità di metalli pesanti, idrocarburi in fanghi e morchie, queste ultime anche sottoposte a trattamenti di biorisanamento, per cui in questo caso i BLB erano impiegati come metodo di valutazione della procedura di risanamento. La tossicità dei metalli pesanti nell’acqua di mare è stata valutata osservando il comportamento dei mitili, mentre la loro presenza o distribuzione può essere determinata tramite analisi chimica dei tessuti di piccoli squali prelevati da specifiche aree. Inquinanti organici come i pesticidi sono stati rivelati con metodi immunochimici impiegando le api come organismi che effettuano ampi ed accurati campionamenti ambientali, ideali quindi come bioindicatori della contaminazione di acqua, aria, vegetali, suolo. Questa loro peculiare caratteristica è stata sfruttata anche nel rilevamento di organismi fitopatogeni. Bibliografia Girotti S., Bolelli L., Fini F., Ghini S., Porrini C., Sabatini A.G., Musiani M., Gentilomi G., Andreani G., Carpené E., Isani G. Luminescence. 2002, 17, 273-274. Coletti G., Gubiani F., Piccolo M., Luque de Castro M.D., Japón Luján R., Ferri E., Garcia Morante B., Bolelli L., Girotti S.. Luminescence. 2006, 21, 324-325. Girotti S., Bolelli L., Fini F., Monari M., Andreani G., Isani G., Carpené E. Chemosphere. 2006, 65 (4), 627-633. 42 METODICHE PER LA DETERMINAZIONE DI COMPOSTI ORGANOSTANNICI: APPLICAZIONE AL MOLLUSCO BIOINDICATORE Nassarius nitidus NELLA LAGUNA DI VENEZIA Marco Bernardello a, Elena Centanni b, Seta Noventa b, Daniela Berto a, Małgorzata Formalewicz a, Michele Giani a, Bruno Pavoni b a ICRAM, Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare, Loc. Brondolo, 30015 Chioggia (VE). b Dipartimento di Scienze Ambientali, Università di Venezia, Calle larga Santa Marta 2137, 30123 Venezia. e-mail: [email protected] Le metodiche di analisi di composti organostannici in matrici ambientali mediante tecniche GC/MS consentono di determinare selettivamente le diverse classi di composti, tra cui tri-, die monobutilstagno (TBT, DBT e MBT), e richiedono lunghe procedure di preparazione del campione attraverso numerose fasi (estrazioni, derivatizzazione e purificazione). In questo lavoro si presenta il confronto di due metodiche analitiche, basate su due reattivi derivatizzanti (metilmagnesio bromuro1 e n-pentilmagnesio bromuro2) e su tecniche di separazione gascromatografica accoppiate a due diversi rivelatori MS: quadrupolo lineare (in SIM) e trappola ionica quadrupolare (in MS2). Per i derivati metilati, più volatili, può aumentare il rischio di perdite degli analiti nella preparazione dei campioni, ma i reattivi per la pentilazione disponibili in commercio contengono spesso quantità degli analiti non trascurabili per l’analisi di campioni a basse concentrazioni. In entrambe le metodiche la sensibilità e la selettività nei confronti dei composti butilici dello stagno sono risultate adeguate all’analisi di matrici complesse. L’applicazione delle due metodiche a campioni di molluschi gasteropodi (Nassarius nitidus) provenienti dalla Laguna di Venezia (Nord Adriatico) ha mostrato un buon accordo nei risultati analitici. L’organismo utilizzato in questo lavoro è stato selezionato poiché, in presenza di composti organostannici, sviluppa un effetto noto come Imposex, risultando, pertanto, un buon bioindicatore di contaminazione da tali composti nell’ambiente. L’Imposex consiste nello sviluppo di caratteri sessuali maschili nelle femmine, che rischiano, di conseguenza, di diventare sterili. Tutte le femmine analizzate presentavano caratteri maschili e gli indici di popolazione misurati (Vas Deferens Sequence Index, VDSI, media degli stadi di imposex in una popolazione; Relative Penis Length Index, RPLI, rapporto percentuale tra la lunghezza del pene delle femmine e di quello dei maschi) unitamente ai dati di bioaccumulo hanno indicato la persistenza di livelli di contaminazione significativi nelle aree studiate. 1 Binato, G.; Biancotto; G., Piro, R.; Angeletti, R. Fresenius J. Anal. Chem. 1998, 361, 333337. 2 Morabito, R. Microchem. J. 1995, 51, 198-206. 43 IL VETIVER UNA NUOVA OPPORTUNITÀ PER LA FITODEPURAZIONE DA METALLI PESANTI: PRESTAZIONI E COMPORTAMENTO Luigi Campanella, Riccarda Antiochia, Fabio Borzetti, Paola Ghezzi, Elisabetta Martini, Mauro Tomassetti Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma e-mail:[email protected] Molti processi industriali contribuiscono all'accumulo nell'ambiente dei metalli pesanti in concentrazioni che possono risultare dannose per la salute dell'uomo e per l'ecosistema. La ricerca negli ultimi anni cerca di sviluppare tecniche di risanamento di siti inquinati da metalli che siano a basso costo, esteticamente compatibili e che determinino la riduzione degli eventuali rifiuti da smaltire. La fitodepurazione, è una tecnica che ben soddisfa i requisiti prima citati, prevede l'utilizzo di specie vegetali, capaci dì accumulare i metalli pesanti, ed è articolata in: fitoestrazione, rizofiltrazione e fitostabilizzazione. La fitoestrazione comprendente il bioassorbimento (processo di rimozione o dissoluzione degli inquinanti dovuto alle attività cellulari) di piante (sia selvatiche che coltivate), capaci di sottrarre dal terreno una quantità elevata di metalli pesanti accumulandoli nelle foglie. Tali piante vengono definite iperaccumulatrici. La rizofìltrazione utilizza piante acquatiche che hanno la capacità di assorbire contaminanti dalle acque inquinate con questo processo si possono bonificare acque lacustri inquinate sfruttando la capacità di assorbimento di ioni da parte delle radici. La fitostabilizzazione utilizza le piante per assorbire contaminanti, in modo da ridurre la loro biodisponibilità nel suolo, è impiegata per evitare erosione e percolamento degli inquinanti ed utilizza, in ambienti altamente inquinati e perciò privi di vegetazione, piante che presentano una elevata tolleranza nei confronti dei metalli pesanti e sono perciò in grado di sopravvivere in condizioni nelle quali altre piante morirebbero. Il nostro studio prevede l’uso, come pianta fitodepuratrice, del Vetiver (nome botanico: Vetiveria zizanioides), nota per la sua capacità di accumulare i metalli pesanti al fine di valutarne la possibile applicazione in processi di detossificazione ambientale con prove di fitoestrazione e di bioassorbimento nei confronti dei metalli pesanti (in particolare Cromo, Rame, Piombo e Zinco). Le prove di fitoestrazione e di bioassorbimento, a medio e a lungo termine della durata, rispettivamente, di otto e trenta giorni, sono state eseguite rispettivamente innaffiando la pianta con una soluzione contenente una concentrazione nota dei metalli da analizzare o direttamente immergendo in tale soluzione le foglie e le radici preventivamente essiccate. Le concentrazioni dei diversi metalli, in tali campioni, sono determinate tramite spettroscopia di emissione al plasma, dopo mineralizzazione con microonde. Sono state anche eseguite prove di reversibilità del processo di bioassorbimento, assorbimenti avvenuti trattando il materiale assorbente con acqua.. I risultati del processo mostrano un aumento costante dei valori di concentrazione dei diversi metalli nelle piante del Vetiver nelle prove a medio termine (durante i primi otto giorni). Nelle prove a lungo termine, invece, il valore della concentrazione dei metalli tende a stabilizzarsi, generalmente, verso il ventesimo giorno. Il nostro studio ci ha permesso di verificare che, rispetto a precedenti esperienze descritte in letteratura ed eseguite su piante diverse, il Vetiver possiede capacità superiori nella fitoestrazione del Piombo e dello Zinco. Il Vetiver non risulta invece adatto per prove di bioassorbimento, infatti, i valori osservati sono risultati di molto inferiori a quelli ottenuti in precedenza con altri substrati biologici. 44 APPLICAZIONE DI TECNICHE DI FITOESTRAZIONE PER LA BONIFICA DI SUOLI CONTAMINATI DA METALLI PESANTI a Saer Doumett, aAlessandra Cincinelli, aDonatella Fibbi, aLuciano Lepri, b Stefano Mancuso e aMassimo Del Bubba a Università degli Studi di Firenze – Dipartimento di Chimica, Via della Lastruccia, 3 50019 Sesto Fiorentino (FI) b Università degli Studi di Firenze – Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Viale delle Idee 30 – 50019 Sesto Fiorentino e-mail: [email protected] Questo studio ha interessato un terreno reale inquinato da Cd, Cu, Pb e Zn posto sul territorio della provincia di Pisa. Su tale suolo, ulteriormente addizionato dei metalli suddetti in modo da superare anche i limiti che la normativa 152/2006 prevede per i siti ad uso commerciale e industriale, sono state effettuate prove di crescita dell’essenza vegetale di tipo arboreo Paulownia Tomentosa, una specie mai investigata finora per questo tipo di studi, ponendo a confronto la tecnica di fitoestrazione non assistita con quella che prevede l’aggiunta di ammendanti in grado di mobilizzare i metalli rendendoli maggiormente biodisponibili ai fini della loro traslocazione dal suolo ai differenti organi della pianta. A tale scopo sono stati testati come ammendanti, l’acido tartarico e l’acido glutammico, ambedue caratterizzati da bassa fitotossicità e da costi contenuti, rispetto all’EDTA, diffusamente utilizzato e riportato in letteratura per questa funzione. È stato realizzato un impianto di monitoraggio della crescita costituito da 90 vasi piantumati con germogli di Paulownia e, dopo 30 giorni, 81 dei 90 vasi sono stati aspersi con gli ammendanti EDTA, acido tartarico ed acido glutammico alle concentrazioni di 1, 5 e 10 mmoli/kg s.s., normalmente utilizzate negli studi riportati in letteratura (Luo et al., 2005; Kos et al., 2003) e compatibili con una loro applicazione in scala reale. In tal modo sono state investigate la crescita della pianta e la sua capacità di rimuovere il metallo dal suolo, in relazione alle seguenti tesi: tipo di ammendante; concentrazione di ciascun ammendante; tempo di contatto con il suolo contaminato. La determinazione dei metalli è stata effettuata tramite mineralizzazione dei vari organi della pianta con un sistema a microonde e successiva analisi in ICP-OES. I risultati hanno evidenziato un elevato accumulo dei metalli nell’apparato radicale ed una loro bassa traslocazione nella parte aerea, soprattutto per quanto riguarda il Pb ed il Cd che non rappresentano metalli essenziali nel metabolismo della pianta. L’uso degli ammendanti, ed in particolare dell’EDTA, non sembra determinare differenze di traslocazione particolarmente rilevanti; a tale proposito è opportuno sottolineare che la presenza di metalli costituenti la matrice suolo e complessabili dall’EDTA (quali ad esempio il Ca ed il Mg) possono giocare un ruolo decisivo nella competizione con i metalli oggetto di bonifica. Bibliografia (Luo, C.; Shen, Z.; Li, X. Chemosphere 2005, 59, 1-11). (Kos, B.; Grcman, H.; Lestan, D. Plant Soil Environ. 2003, 49(12), 548-553). 45 BIORISANAMENTO DI SUOLO CONTAMINATO DA DIESEL MEDIANTE BIOAUGMENTATION CON UN CONSORZIO MICROBICO AUTOCTONO, ISOLATO DAL SITO DI BAGNOLI-COROGLIO Chiara Alisi a, Rosario Musella b, Flavia Tasso a, Carla Ubaldi a, Sonia Manzo b e Anna Rosa Sprocati a Enea, Dipartimento Ambiente, Clima e Sviluppo Sostenibile, a CR-Portici. bCR-Casaccia e-mail: [email protected] Il lavoro presentato si inquadra in un progetto più ampio che prevede lo sviluppo di tecnologie integrate di bonifica (progetto TIDe, finanziamento MUR, legge 297). In una prima fase progettuale è stato individuato come luogo di indagine il sito siderurgico dismesso di Napoli Bagnoli-Coroglio, inserito tra gli interventi prioritari nel censimento dei siti di interesse nazionale (Art. 114, cc. 24 e 25 – L. n° 388/20009). In particolare sono state individuate alcune aree di indagine sulle quali è stata eseguita una caratterizzazione chimica, ecotossicologica e microbiologica del suolo. Nel presente lavoro viene presentato uno studio preliminare sulla fattibilità del biorisanamento del suolo applicando la tecnologia della bioaugmentation. Lo studio è stato condotto in fase slurry 20% (w/v) mediante biometri da 250 mL, con cattura di CO2, posti in agitazione a 28°C, in triplicato, mettendo a confronto due diverse condizioni: il suolo tal quale, come controllo, e il suolo addizionato con diesel 1% (w/v). Il campione negativo era rappresentato da suolo avvelenato con Metilmercurio. Come inoculo microbico (5*107 UFC/mg) è stato utilizzato il consorzio ENEA-LAM, isolato in precedenza dalla stessa area (laminatoio). Il consorzio è costituito da 10 differenti ceppi appartenenti a 6 diversi generi (Pseudomonas, Arthrobacter, Rhodococcus, Exiguobacterium, Delftia, Bacillus). La sperimentazione è stata seguita per 42 giorni, monitorando la biodegradazione degli idrocarburi in relazione a vari parametri: respirazione, profilo metabolico e profilo molecolare della comunità microbica, ecotossicità della matrice, composizione dello spettro degli idrocarburi. Mentre nei biometri di controllo l’attività respiratoria si è sempre mantenuta estremamente bassa, nel suolo contaminato con diesel si è registrata una vivace attività respiratoria, in progressivo calo a partire dal 30° giorno. A 15 giorni dall’inizio dell’esperimento gli idrocarburi lineari erano tutti degradati di un 70-80%, gli isoprenoidi di un 50-60%, l’area totale degli idrocarburi era scesa al 46%. Dopo 42 giorni di incubazione gli idrocarburi lineari erano completamente degradati, mentre gli isoprenoidi permanevano nelle stesse quantità; anche il fenantrene, usato come standard interno, risultava completamente degradato dopo 42 giorni. La carica microbica, dopo una flessione iniziale, si è mantenuta intorno al valore iniziale, mentre nel controllo è scesa stabilmente a 102 UFC/mg. La diversità di specie, stimata attraverso analisi t-RFLP risultava incrementata nel tempo nel trattato e ridotta nel controllo. La batteria di test ecotossicologici eseguiti (Vibrio fischeri, Pseudokirchneriella subcapitata, Heterocypris incongruens), al fine di ottenere informazioni sull’evoluzione della tossicità durante la trasformazione degli idrocarburi negli intermedi metabolici, ha evidenziato, dopo un leggero incremento iniziale, una riduzione della tossicità nel tempo, principalmente nella fase biodisponibile (acquosa). I risultati mostrano l’efficacia del consorzio microbico ENEA-LAM impiegato nella bioaugmentation per la biodegradazione del gasolio. Le prossime tappe riguarderanno la degradazione della frazione degli isoprenoidi e lo scale-up del processo con l’utilizzo di lisimetri in campo. 46 APPLICAZIONE SU SCALA DIMOSTRATIVA DELLA TECNOLOGIA A BIOMASSE GRANULARI PER IL TRATTAMENTO DEI REFLUI MUNICIPALI Claudio Di Iaconi, Guido Del Moro, Roberto Ramadori, Antonio Lopez CNR, Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA), via F. De Blasio 5, 70123 Bari. e-mail: [email protected] Le tecnologie basate sull’impiego dei sistemi a fanghi attivi sono ancora quelle più diffuse per il trattamento sia delle acque urbane che industriali malgrado siano caratterizzate da limitate capacità depurative, grandi volumi di reazione, basse velocità di sedimentazione dei fanghi con conseguente aumento della superficie dei sedimentatori, elevate produzioni di fango da smaltire. Le caratteristiche sopra riportate renderanno inevitabile la progressiva sostituzione dei sistemi a fanghi attivi con processi innovativi che risultino più vantaggiosi in termini di compattezza di impianto, flessibilità operativa, produzione di fango e costi operativi. In questo contesto, l’Istituto di Ricerca sulle Acque del CNR ha sviluppato una nuova tecnologia (SBBGR- Sequencing Batch Biofilter Granular Reactor) in grado di depurare le acque di scarico con elevata efficacia, minima produzione di fango e costi ridotti. Il sistema SBBGR si basa su un particolare biofiltro a funzionamento discontinuo nel quale le varie fasi del trattamento biologico (rimozione del carbonio, rimozione dell’azoto, sedimentazione) si susseguono nella stessa unità con sequenza temporale anziché avvenire contemporaneamente in unità diverse come negli impianti tradizionali a fanghi attivi. La potenzialità del sistema è attribuibile alle particolari caratteristiche della biomassa che nelle condizioni operative messe a punto (periodicità di funzionamento e fluidodinamica) cresce sotto forma di granuli ad elevata densità, anche 4 o 5 volte maggiore di quella dei tradizionali fanghi attivi. L’elevata densità consente di avere una maggiore concentrazione di biomassa (fino a 40 kg/m3) e quindi maggiori cinetiche di depurazione con conseguente riduzione del volume di reazione. Gli interessanti risultati ottenuti applicando la tecnologia su scala laboratorio e pilota per il trattamento dei reflui municipali e industriali hanno convinto la Commissione Europea che ha cofinanziato, nell’ambito del Programma LIFE-Ambiente 2005, il trasferimento tecnologico su scala dimostrativa della tecnologia SBBGR. La presente relazione riporta i risultati dell’applicazione della tecnologia SBBGR su scala dimostrativa per il trattamento dei reflui urbani. I risultati ottenuti dopo quasi un anno di sperimentazione hanno evidenziato efficienze di rimozione del COD e solidi sospesi intorno al 90% (con concentrazioni nell’effluente inferiori rispettivamente a 60 e 30 mg/L) anche in condizioni di massimo carico organico applicato (ossia, circa 6 kg COD/m3.g). La rimozione dell’azoto ammoniacale è stata pressoché completa (almeno fino ad un valore di carico organico di 2,5 kg COD/m3·g) evidenziando inoltre fenomeni di denitrificazione aerobica molto spinti (la concentrazione dell’azoto ossidato è stata sempre molto bassa). Altra nota estremamente positiva è stata la bassissima produzione di fango (quasi un ordine di grandezza inferiore a quella dei sistemi a fanghi attivi) riscontrata durante l’intero periodo di sperimentazione. 47 LASER INDUCED BREAKDOWN SPECTROSCOPY (LIBS) MONITORING EMISSION PRODUCED BY A PLASMA TORCH PLANT FOR THE TREATMENT OF WASTES Cesare Bonserio, Aurora Maria Losacco, Mariagrazia Muolo, Francesco Tedeschi Centro Laser s.c.a r.l., Str.Prov. Per Casamassima km3 70010 Valenzano (Bari) Italy e-mail: [email protected] Laser induced breakdown spectroscopy (LIBS) has been used to monitor the process of wastes destruction in a plasma torch plant. Toxic emissions from exhaust gases produced by waste processing may represent a significant health hazard. In order to test the quality of the process chemical-physical characteristics of vitrificated residue are evaluated and the presence of heavy metals flow in the exhaust gas is checked. This paper describes the potentiality of LIBS technique to online and real-time monitoring effluents generated from waste treatment to ensure compliance with safety and environmental protection. The capability of LIBS applied to monitor plasma torch processes has been successfully demonstrated by the use of many different waste kind. LIBS provide optimization and control of wastes treatment facilities. Scheme of LIBS experimental setup Keywords: LIBS; Plasma torch; Waste; Vitrificated residue; Exhaust gas. 48 METODI DI DECONTAMINAZIONE DA IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI IN SEDIMENTI MARINI: SOIL WASHING E REAGENTE DI FENTON Maria Luisa Feo, Mario Sprovieri CNR - Istituto Ambiente Marino Costiero, Napoli e-mail: [email protected] Le tecniche di bonifica di sedimenti marini contaminati da Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) sono molteplici e la scelta della migliore strategia di “remediation” dipende sostanzialmente dal tipo ed estensione della contaminazione, dalla destinazione d’uso del sito nonché da considerazioni tecnico-economiche. In questo lavoro di ricerca sono prese in esame tecniche di bonifica ex-situ come il soil washing ed il reagente di Fenton definendo limiti e potenzialità di ciascuna tecnica per i diversi sedimenti contaminati, in relazione alla loro distribuzione granulometrica, contenuto di materia organica totale, mineralogia e composizione chimica. Sono stati sottoposti ai trattamenti di decontaminazione sopra citati cinque sedimenti prelevati all’interno del Porto di Napoli e sugli arenili di Bagnoli e caratterizzati da proprietà chimico-fisiche e granulometriche diverse. La percentuale di decontaminazione per i diversi sedimenti analizzati diminuisce all’aumentare del contenuto delle frazione granulometrica più fine (φ<63) mentre risulta indipendente dal contenuto di materia organica totale. In particolare, il soil washing è stato effettuato utilizzando surfatanti naturali quali acidi umici e sintetici; da un confronto tra le due tipologie di “lavaggio” è stato possibile osservare una migliore decontaminazione (~10% in più) da parte dei surfatanti naturali. La stessa differenza in percentuale di decontaminazione è stata osservata confrontando il trattamento con gli acidi umici e quello con il reagente di Fenton. Per quest’ultimo la percentuale di decontaminazione resta costante pur variando la concentrazione di acqua ossigenata e i suoi tempi di aggiunta alla miscela. Per i cinque sedimenti investigati è stata condotta un’analisi del contenuto di IPA nelle frazioni granulometeriche: 1000<φ<500 ; 500<φ<250; 250<φ<125; 125<φ<90; 90<φ<63; φ<63. Ciascuna frazione è stata quindi sottoposta a soil washing seguendo le procedure sopra discusse. E’ stata osservata una più alta percentuale di decontaminazione per la frazione 125<φ<90; seguono le frazioni più grossolane mentre una bassa decontaminazione si ha per le frazioni fini. L’analisi del contenuto di IPA nel ‘black carbon’ e nelle diverse frazioni granulometriche ha permesso infine di valutare quali siano i vantaggi e gli svantaggi connessi alla decontaminazione di una sola frazione di sedimento rispetto al totale. 49 SOSTANZE FARMACEUTICHE IN AMBIENTI COSTIERI: COMPORTAMENTO NEGLI IMPIANTI DI TRATTAMENTO SVERSANTI IN LAGUNA DI VENEZIA Giulio Pojana, Elisa Corrocher, Andrea Fantinati, Davide Vallotto, Antonio Marcomini* Dipartimento di Scienze Ambientali, Università Ca’ Foscari di Venezia, Calle Larga S. Marta 2137, 30123, Venezia. e-mail: [email protected] Le sostanze farmaceutiche costituiscono una classe molto eterogenea di inquinanti emergenti, biologicamente attivi, di interesse per i loro potenziali effetti sugli ecosistemi acquatici. Sono a tutt’oggi limitate le informazioni sulla loro presenza e distribuzione nelle acque superficiali e di transizione, nonché sulle possibili sorgenti di immissione. Si riportano qui i risultati di una indagine in campo relativa ai due principali impianti di trattamento delle acque reflue civili dell’entroterra veneziano. I due impianti esaminati trattano reflui civili corrispondenti a circa 500.000 abitanti equivalenti (inclusi 4 ospedali dell’area), i cui effluenti finali vengono scaricati direttamente nella laguna di Venezia. L’attenzione si è focalizzata sull’identificazione e quantificazione di 14 composti farmaceutici selezionati sulla base dei dati relativi alle vendite in Italia ed alla loro presenza in acque superficiali riportata dalla letteratura [1, 2]. I composti ricercati, appartenenti a varie classi terapeutiche (antibatterici, anti-infiammatori non steroidei, anti-epilettici, regolatori lipidici, farmaci per la cura dell’impotenza, diuretici, β-bloccanti, antibatterici), sono stati ricercati nei reflui in ingresso e in uscita ai due impianti durante due sessioni di campionamento (estiva, invernale), per valutare le efficienze di abbattimento e la loro stagionalità. I composti prescelti sono stati estratti dai campioni acquosi mediante estrazione in fase solida (SPE), separati mediante cromatografia liquida ad elevate prestazioni e quantificati attraverso uno Spettrometro di Massa a trappola ionica accoppiato per mezzo di un’interfaccia elettrospray (HPLC-ESIMS/MS). In entrambi gli effluenti finali dei due impianti sono state rilevati 10 dei 14 composti ricercati, a livelli di concentrazione compresi tra i 33 ng/L e i 9600 ng/L. Sono stati inoltre stimati, per ciascun composto farmaceutico, i carichi giornalieri immessi in laguna. Il carico giornaliero complessivo di composti farmaceutici immessi nella laguna di Venezia da parte dei due impianti è risultato essere compreso tra i 250 e i 1000 grammi. [1] [2] Castiglioni, S.; Bagnati, R.; Fanelli, R.; Pomati, F.; Calamari, D.; Zuccato, E. Environ. Sci. Technol. 2006, 40, 357-363. Ternes, T.A.; Joss, A.; Siegrist, H. Environ. Sci. Technol. 2004, 393A-399A. 50 INTERAZIONE FRA METALLI PESANTI E BATTERI FOTOSINTETICI ROSSI ANOSSIGENICI Francesca Italianoa, Angela Agostianoa,b, Francesco Milanoa, Luigi R. Cecic, Francesca DeLeoc, Raffaele Galleranic,d, Livia Giottae, Angelo Dell’Attie, Alessandro Buccolierie, Giovanni Buccolierie e Massimo Trottaa a CNR - Istituto per i Processi Chimico-Fisici Sezione di Bari, bDipartimento di Chimica cCNR - Istituto di Biomembrane e Bioenergetica, dDipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare – Università degli studi di Bari, eDipartimento di Scienza dei Materiali Università di Lecce e-mail: [email protected] La bioremediation si sta affermando quale efficace tecnologia complementare - ed in taluni casi alternativa - ai metodi chimici tradizionali per la rimozione di metalli pesanti da siti contaminati. Il microrganismo Rhodobacter sphaeroides, un batterio rosso non sulfureo fotosintetico facoltativo, ha mostrato una significativa tolleranza e/o resistenza a concentrazioni relativamente elevate di ioni di metalli pesanti, quali ferro, mercurio, rame, nichel e cobalto, molibdeno (MoO42-), cromo (Cr3+e CrO42-), arsenico (AsO2- e HAsO42-). La risposta di R. sphaeroides all’esposizione ai metalli pesanti risulta dipendente dalla natura dello ione, dalla sua concentrazione e dalla sua speciazione, indicando che differenti meccanismi di tolleranza e/o resistenza possono essere coinvolti nell’adattamento del batterio. Il bioaccumulo di metalli pesanti è stato investigato mediante ICP-AES evidenziando la capacità del microrganismo selezionato di bioaccumulare significative quantità dei metalli testati attraverso meccanismi combinati di uptake attivo e passivo (biosorption) e l’esistenza di fenomeni competitivi responsabili dell’uptake preferenziale di determinati ioni tossici e non tossici. Il trattamento della biomassa cellulare con EDTA ha consentito di discriminare la frazione di metallo intracellulare e bioadsorbita a livello della superficie esterna delle cellule. Inoltre, attraverso titolazioni acido-base della biomassa batterica, è stato determinato il numero e il pKa dei gruppi protonabili presenti sulla superficie esterna delle cellule, potenziali siti di binding per ioni metallici, mentre i gruppi funzionali coinvolti nel bioadsorbimento sono stati identificati attraverso analisi FTIR. Alcuni ioni, fra cui nichel, cobalto e cromo(III), inducono una considerevole diminuzione del contenuto di complessi fotosintetici pigmentoproteina Light Harvesting Complexes. Grazie ad un approccio multidisciplinare di tipo biomolecolare, proteomico, chimico-fisico ed analitico, numerose informazioni sono state acquisite relativamente ai meccanismi molecolari coinvolti nel bioaccumulo di metalli pesanti da parte di Rhodobacter sphaeroides ed all’effetto di nichel, cobalto e cromo sugli enzimi coinvolti nel pathway biosintetico della batterioclorofilla. Ulteriori indagini per il potenziale impiego di tale microrganismo fotosintetico nell’ambito della bioremediation sono attualmente in corso. Buccolieri, A., Italiano, F., Dell'Atti, A., Buccolieri, G., Giotta, L., Agostiano, A., Milano, F., and Trotta, M.. Annali di Chimica 2006, 96, 195-204. Giotta, L., Agostiano, A., Italiano, F., Milano, F., and Trotta, M. Chemosphere 2006, 62, 1490-1499. 51 ALCUNE APPLICAZIONI DI TECNICHE MICROANALITICHE CHE IMPIEGANO RAGGI X DI SINCROTRONE PER LO STUDIO DI METALLI NEL SUOLO E NELLA PIANTA Roberto Terzanoa, Matteo Spagnuoloa, Bart Vekemansb, Koen Janssensb, Pacifico Ruggieroa a Dipartimento di Biologia e Chimica Agro-forestale ed Ambientale, Università degli Studi di Bari b Department of Chemistry, University of Antwerp, Belgium e-mail: [email protected] Negli ultimi anni, l’impiego della luce di sincrotrone come strumento di indagine in campo ambientale ha permesso di fare enormi passi avanti nella comprensione di numerosi processi e fenomeni altrimenti non osservabili mediante tecniche analitiche convenzionali. In particolare, i raggi X di sincrotrone si sono rivelati uno strumento estremamente potente ed efficace per lo studio diretto di numerosi elementi, specialmente metalli, all’interno delle più svariate matrici ambientali. Vengono qui presentate tre applicazioni di tecniche microanalitiche che impiegano raggi X di sincrotrone per lo studio di problematiche ambientali relative alla determinazione della distribuzione e della speciazione di metalli nel suolo e nella pianta. La prima riguarda l’impiego combinato di micro fluorescenza (μ-XRF), micro diffrazione (μXRD) e micro assorbimento (μ-XAS) di raggi X per determinare la distribuzione a livello microscopico nonché la speciazione di Cr, Ni, Cu, Zn, Pb, Hg e V in campioni di suolo contaminato provenienti dall’Area Industriale della “Val Basento” (Basilicata). Le informazioni ottenute a livello microscopico, insieme ai dati ricavati per mezzo di più tradizionali procedure di estrazione in fase liquida (estrazioni sequenziali, TCLP test, EDTA), hanno permesso di fare previsioni sulla mobilità dei contaminanti nonché di ipotizzarne l’origine. Una seconda applicazione riguarda lo studio del processo chimico-fisico di stabilizzazione del rame in un suolo contaminato per mezzo della sintesi in situ di zeoliti. La sintesi di questi minerali può essere promossa per mezzo dell’aggiunta al suolo di coal fly ash (sottoprodotti della combustione del carbone) opportunamente pre-trattati. Per mezzo della microtomografia di fluorescenza di raggi X, in combinazione con la μ-XRD, è stato possibile verificare l’effettivo “intrappolamento” di precipitati di rame all’interno delle zeoliti di neo-sintesi. Per poter “guardare” all’interno di questi cristalli microscopici (10-20 μm), è stato necessario focalizzare i raggi X a dimensioni submicroscopiche. Inoltre, l’esatta speciazione del rame all’interno di queste strutture è stata determinata mediante μ-XAS. L’ultimo esempio si riferisce all’impiego della microtomografia di fluorescenza di raggi X per determinare la distribuzione dello zinco all’interno di diversi organi (radice, picciolo, foglie) di piante di rucola (Eruca vesicaria Cavalieri) allevate su di un suolo contaminato da Zn, ammendato e non con compost. In aggiunta a queste determinazioni, la speciazione dello Zn all’interno dei vari organi è stata determinata mediante μ-XAS. Le piante cresciute in presenza di compost hanno mostrato non solo una differente distribuzione spaziale dello Zn, soprattutto nella radice e nelle foglie, ma anche forme diverse di complessazione di questo metallo all’interno della pianta. I dati raccolti in questo studio hanno permesso di ottenere nuove informazioni sul ruolo del compost nell’influenzare l’assorbimento dello zinco nel sistema suolo-pianta. 52 In generale, come dimostrato da queste applicazioni, le diverse tecniche microanalitiche illustrate possono essere impiegate, singolarmente o in combinazione fra di loro, per studiare approfonditamente le più disparate problematiche di inquinamento ambientale da parte di metalli nonché per poter sviluppare tecnologie di bonifica efficaci ed appropriate. 53 APPLICAZIONE DELLA TECNICA TD/GC/MS PER LA DETERMINAZIONE DIRETTA DI PCB IN CAMPIONI DI SUOLO CONTAMINATI Barbara De Tommasoa, Giuseppe Mascoloa, Cosimino Malitestab, Giuseppe Bagnuoloa, Vito Felice Uricchioa, Gennaro Brunettic a CNR, Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA), via F. De Blasio 5, Bari. Università del Salento, Dipartimento di Scienza dei Materiali,Via Monteroni, Lecce. c Università degli Studi di Bari, Dipartimento di Biologia e Chimica Agroforestale ed Ambientale, via Amendola, Bari. e-mail: [email protected], [email protected] b Le tradizionali metodologie di analisi dei PCB in campioni ambientali solidi (per es. suoli) prevedono, prima della determinazione analitica, l’utilizzo di procedure di pretrattamento del campione particolarmente laboriose. Nel presente lavoro vengono riportati i risultati ottenuti riguardo lo sviluppo ed l’ottimizzazione di una nuova procedura analitica per la diretta e rapida determinazione dei PCB in campioni di suolo di un sito contaminato attraverso il loro desorbimento termico e successiva analisi GC/MS. Una preliminare ottimizzazione dei vari parametri analitici chiave (temperature di desorbimento e di ri-focalizzazione, tempo di desorbimento) utilizzando un campione di suolo certificato contaminato da una quantità totale nota di Aroclor 1254 e, per confronto, degli standard di PCB direttamente introdotti nel tubo del thermal desorber (TD) ha permesso di evidenziare che tale procedura analitica consente di desorbire termicamente oltre il 99% dei vari congeneri presenti nel campione. Inoltre, ulteriori prove sperimentali hanno consentito di stabilire che le condizioni operative ottimizzate (temperatura di desorbimento: 350°C, temperatura di ri-focalizzazione: 20°C, tempo di desorbimento primario: 25 min) rappresentano il miglior compromesso tra il minor effetto di carryover e la più alta velocità per il trasferimento degli analiti nella colonna gas-cromatografica insieme alla più elevata sensibilità ottenibile. Nelle condizioni ottimizzate, per ogni congenere appartenente alle diverse classi isomeriche di PCB, è stato verificato l’intervallo di linearità della risposta del sistema TD/GC/MS che è risultato essere compreso nell’intervallo da 0.5 a 100 ng (R2 maggiore di 0.997). L’efficienza del desorbimento con la procedura TD/GC/MS, nelle condizioni ottimizzate, è stata anche confrontata con quelle ottenute con le più comuni tecniche di pre-trattamento per la determinazione dei PCB nei suoli (soxhlet, PFE, ultrasuoni) evidenziando che la procedura analitica messa a punto fornisce prestazioni comparabili, e in alcuni casi migliori, rispetto a quelle ottenibili con le tecniche estrattive tradizionali. La procedura analitica messa a punto è stata infine applicata per la caratterizzazione del contenuto di PCB nel suolo (a due profondità) di un sito industriale contaminato della Puglia sulla base dei limiti fissati dal D.M. 471/99 e dal D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152. I risultati, correlati con alcuni parametri chimici del suolo (contenuto in carbonio organico e azoto totale), hanno evidenziato che la più alta concentrazione dei PCB negli strati superficiali è consistente con la maggior presenza di sostanza organica in questi strati. Infine, i risultati delle determinazioni TD/GC/MS sono risultati ben correlati con i valori di composti organici alogenati totali estraibili (EOX) ottenuti con una separata procedura analitica. 54 DEVELOPMENT OF COMPLEMENTARY MICROSCOPIC TECHNIQUES IN THE ANALYSIS OF CULTURAL HERITAGE MATERIALS Pietro Baraldi, Francesca Paccagnella, Paolo Zannini Chemistry Department, University of Modena and Reggio Emilia Via Campi 183, 41100 Modena (Italy).Tel. 059 2055035 – Fax 059 373543 e-mail:[email protected]; [email protected]; [email protected] Aim of this work is to maximize the response of the IR techniques on very thin sections of Cultural Heritage samples by collecting transmission spectra. Samples of known content were analyzed and, in order to compare results of IR spectra to the ones of different techniques, samples were also tested by scanning electron microscope (SEM) with energy dispersive X-rays analysis (EDX) and by Micro-Raman spectroscopy. Cultural Heritage samples were embedded in an AgCl matrix by using the same methodology of the KBr pellet; they were then cut at the wished thickness by using a cryo-microtome. KBr was not used because of its hygroscopicity and fragility during the slicing, the chosen salt just having problems concerning its photo sensibility that causes a darkening of the pellets and make the vision of the inner particles very difficult. Many troubles have to be solved: the slicing process, leading to breaking of the samples during cutting or during the pressing, the making of the pellet itself and the thinning to the ultra thin section. Finally, good spectra and also good spectra mapping of the samples were obtained. 55 LA DATAZIONE DI MANUFATTI CEMENTIZI: UN PROBLEMA ANCORA APERTO L. Campanellaa, F. Borzettia,b, R. Dragonec, P. Gallia a Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma b Italcementi S.p.A. – Bergamo - Italia c Istituto dei Sistemi Complessi (ISC) –CNR e-mail: luigi.campanella@uniroma1 L’interesse nella valutazione dell’epoca di un manufatto cementizio è soprattutto legato ad una migliore collocazione temporale ai fini di eventuali interventi di restauro conservativo nel campo dei beni culturali e/o nel campo dell’edilizia civile. La datazione di costruzioni cementizie, inoltre, può contribuire a dirimere dispute legali riguardanti la loro vetustà. Le difficoltà derivanti dalla complessità della “matrice cementizia” e delle interazioni di questa con un ambiente in continuo mutamento, hanno reso difficile l’individuazione di un metodo analitico strumentale di datazione utilizzabile dalla comunità scientifica. Un’ulteriore complicazione è dovuta ai cambiamenti chimico-fisici “interni” alla matrice causati da reazioni cineticamente lente, nonostante la composizione chimica e le caratteristiche meccaniche di un materiale cementizio si considerino definite dopo circa 1 mese dall’impasto del cemento con l’acqua. Tali modifiche, che si evidenziano con l’invecchiamento del materiale, sono di difficile previsione anche perché influenzate da diversi fattori ambientali a loro volta variabili nel tempo. Allo scopo di individuare dei possibili indicatori analiticodiagnostici abbiamo esaminato alcuni campioni di manufatti cementizi a diverso tempo di invecchiamento naturale (circa 1 mese, 10 e 30 anni) e dopo invecchiamento artificiale ottenuto mediante esposizione combinata a luce e calore. La diagnostica è stata eseguita con tecniche che non richiedono pretrattamenti del campione, quali l’analisi termica simultanea (analisi termogravimetria (TGA) e differenziale (DTA)) e la diffrattometria a raggi X (XRD). I risultati ottenuti hanno mostrato delle significative differenze tra i campioni di cemento invecchiati naturalmente (circa 10 e 30 anni) o artificialmente e quelli preparati di recente (circa 1 mese) a dimostrazione che l’assunzione che dopo circa un mese dall’impasto il sistema diviene stabile di certo non può essere assunta in termini rigorosi. 56 LA FLUORESCENZA A RAGGI X IN DISPERSIONE DI ENERGIA (EDXRF) PER LO STUDIO DELLA TELA “SAN FELICE IN TRONO” DI LORENZO LOTTO a b b Francesco Adduci , Alessandro Buccolieri , Giovanni Buccolieri , b c b d Alfredo Castellano , Roberto Cesareo , Laura Sandra Leo , Fabrizio Vona a Università di Bari, Dipartimento di Fisica, via Orabona 4, 70125, Bari Università del Salento, Dipartimento di Scienza dei Materiali, via Monteroni, 73100, Lecce c Università di Sassari, Dipartimento di Matematica e Fisica, via Vienna 2, 7100, Sassari d Soprintendenza P.S.A.E. per le Province di Bari e Foggia, via Pier l’Eremita 25-B, 70122, Bari. e-mail: [email protected] b Il dipinto “San Felice in trono” (tela 139x57 cm) fu trovato nell’Aprile del 1897 da Bernard Berenson che l’attribuì a Lorenzo Lotto [1]. L’attività del Lotto è documentata nel “Libro dei Conti” nel quale l’artista riportava scrupolosamente debiti e crediti [2]: nel Giugno del 1542 sono riportate indicazioni per la realizzazione di un trittico commissionato per la chiesa di San Domenico a Giovinazzo, in provincia di Bari, per il costo totale di trenta ducati. La tela “San Felice in trono” rappresenta l’unica parte del trittico scampata a un incendio sviluppatosi nell’interno della cattedrale di Giovinazzo nel XVI secolo. La tela è stata restaurata, per la prima volta, in data antecedente al 1919 dal Venturini-Papari [3], ma non sono noti i trattamenti eseguiti e una seconda volta nel 1951 da parte dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma [4]. Durante i lavori di restauro del 2006, eseguiti presso la Soprintendenza di Bari, la tela è stata analizzata mediante fluorescenza a raggi X in dispersione di energia (EDXRF) [5]. In questo lavoro sono riportati i risultati sperimentali relativi allo studio dei pigmenti pittorici utilizzati dall’artista e in successivi restauri. Sono stati identificati gli elementi che caratterizzano i principali pigmenti (rosso, verde, blu, bianco e giallo). Importanti considerazioni sono state effettuate relativamente alla sovrapposizione dei diversi strati pittorici. Bibliografia 1. Berenson, B. Lorenzo Lotto, II ed., Londra, 1905. 2. Lotto, L. Libro dei Conti, Ministero della Pubblica Istruzione, Gallerie Nazionali Italiane, 1896, I. 3. Ministero della Pubblica Istruzione, Bollettino d’Arte, 1919, XIII. 4. Ministero della Pubblica Istruzione, Bolettino dell’Istituto Centrale del Restauro, Istituto Poligrafico dello Stato, 1951, 5-6. 5. Cesareo, R.; Castellano, A.; Buccolieri, G.; Quarta, S.; Marabelli, M. X-Ray Spectrometry 2004, 33, 289-293. 57 APPLICAZIONI DI UN FOTOSENSORE DI PERSISTENZA AMBIENTALE A CARTE ANTICHE Luigi Campanella, Cecilia Costanza, Alessandra D’Aguanno Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma e-mail: [email protected] L’interesse rivolto allo studio del degrado di carte antiche è dovuto all’importanza storica che esse hanno in un presente in cui si tende a conservare l’informazione su supporti elettronici. Il degrado della carta costituisce il problema principale per quanto riguarda la protezione e la conservazione del bene memoria storica (libri antichi, documenti, etc.) dall'aggressione di agenti di varia natura (ambientale, biologica, chimico - fisica etc.) sia esterni che interni al materiale stesso. Le indagini per la valutazione dello stato di conservazione devono essere rivolte allo studio delle cause e dei meccanismi di alterazione con metodi in grado di esprimere il livello di degrado attraverso uno o più indici quantitativi e devono sfociare nella progettazione e sperimentazione di protocolli procedurali opportuni. In questo lavoro viene applicato un test chimico [1-3] per la valutazione della stabilità delle carte antiche, basato sull'impiego di un fotosensore innovativo a base di biossido di titanio, fotocatalizzatore della degradazione della carta attraverso la misura del tempo di induzione della reazione e, passato tale tempo, della velocità di produzione di CO2. Come espressione del processo ossidativo si ricava un indice di persistenza ambientale o ecopersistenza. I risultati ottenuti indicano una più alta persistenza ambientale delle carte antiche rispetto alle moderne. Bibliografia [1] Campanella, L.; Battilotti M.; Costanza, C. Ann. Chim. 2005, 95, 727-739. [2] Campanella, L.; Costanza, C.; Tomassetti, M. Ann. Chim. 2006, 96, 575-585. [3] Campanella, L.; Costanza, C.; Tomassetti, M. La Chimica e l’Industria, 2005, 87, 84 – 89. 58 MONITORAGGIO E COMPOSIZIONE CHIMICA DEL PM2.5 e PM10 IN PUGLIA M. Amodio, P. Bruno, M. Caselli, P. R. Dambruoso, B. E. Daresta, G. de Gennaro, P. Ielpo, V. Paolillo, C. M. Placentino, M. Tutino Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona, 4 70126 Bari e-mail: [email protected] Lo studio del particolato atmosferico riveste un ruolo di centrale importanza in campo ambientale, infatti la completa caratterizzazione chimico-fisica e la comprensione dei principali processi di trasporto e trasformazione, rappresentano una sfida per la comunità scientifica. In quest’ambito sono state svolte campagne stagionali di campionamento in siti di diversa tipologia nelle città di Bari, Taranto e Lecce, al fine di distinguere tra le peculiarità locali di siti costieri, urbani, industriali, e il fondo regionale. Durante tali campagne sono stati eseguiti campionamenti simultanei di PM2.5 e PM10, con rilevazione delle condizioni meteoclimatiche. Le singole frazioni di particolato sono state sottoposte ad analisi gravimetrica e caratterizzate chimicamente (carbonio organico ed elementare, ioni inorganici, elementi ed idrocarburi policiclici aromatici). Tali attività si collocano nell’ambito dei progetti PRIN SITECOS (Studio Integrato sul TErritorio nazionale per la caratterizzazione ed il Controllo di inquinanti atmOSferici) e PCOST (caratterizzazione del Particolato COSTiero). I risultati evidenziano l’assenza di un significativo trend stagionale del PM10. Inoltre, si osserva che le correlazioni tra PM10 nei diversi siti indagati sono maggiori se confrontate sia con quelle dei PM2.5 negli stessi siti sia con quelle tra PM2.5 e PM10 nello stesso sito; ciò è da attribuire all’influenza di contributi locali nella frazione più fine del particolato. Nelle diverse campagne di monitoraggio sono stati ottenuti rapporti percentuali PM2.5/PM10 compresi fra 52% e 70%; valori particolarmente bassi si riscontrano in corrispondenza di basse concentrazioni di PM2.5, di trasporto di masse d’aria da zone industriali, di eventi di Saharan Dust o, più in generale, di elevati contributi terrigeni nel PM10. Le analisi condotte hanno mostrato che la componente carboniosa costituisce la principale frazione del PM2.5 e del PM10 e che essa è caratterizzata da rapporti diagnostici OC/EC maggiori di 2.5 [1] in tutti i siti, ad indicare la probabile formazione di aerosol organico secondario. Inoltre, la componente ionica rappresenta una consistente porzione del particolato; essa è costituita da solfato, ammonio e potassio, che si trovano nella frazione fine, da cloruro, calcio, sodio e magnesio, prevalenti nella frazione coarse, e da nitrato ripartito fra le due frazioni. Solfato, nitrato e ammonio, componenti predominanti nella frazione ionica, sono distribuiti uniformemente su un’ampia area regionale, a conferma della presenza di un particolato di fondo nel Bacino del Mediterraneo. Particolare attenzione sarà rivolta ai componenti di origine naturale (crostale, spray marino, biogenico) e alla misura in cui essi contribuiscono alla massa del particolato. Per quanto riguarda gli IPA, nella città di Taranto è stata evidenziata una relazione diretta tra direzione del vento dalla zona industriale (nord) e massimi di concentrazione. Lo studio dei rapporti tra le concentrazioni dei diversi IPA ed in particolare di benzo(b+j)fluorantene/ benzo(g,h,i)perilene ha permesso di discriminare tra la sorgente traffico veicolare e le altre possibili. Dai dati relativi alla città di Bari si evince una corrispondenza inversa tra velocità del vento e concentrazione degli IPA: situazioni di intensa ventosità favoriscono la dispersione di questi microinquinanti. Al contrario nella città di Bari l’analisi dei rapporti diagnostici ha evidenziato come sorgente predominante di IPA il traffico autoveicolare. 59 L’analisi statistica effettuata sui dati raccolti mediante un modello a recettore (APCS, Absolute Principal Component Scores) [2] ha supportato le considerazioni menzionate. [1] Turpin, B.J.; Huntzicker, J.J. Atm. Environ. 1995, 29 (23), 3527-3544 [2] Thurston G.D.; Spengler J.D. Atm. Environ. 1985, 19 (1), 9-25 60 IMPATTO DELL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO SUL PATRIMONIO STORICO-ARTISTICO ITALIANO: DEFINIZIONE DEL RISCHIO AMBIENTALEARIA NELL’AREA DEL COMUNE DI ROMA Patrizia Bonanni a, Annamaria Giovagnoli b,Carlo Cacace b, Raffaela Gaddi a a APAT (Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici) b ICR (Istituto Centrale per il Restauro) [email protected] La nuova collaborazione tra APAT e ICR ha come obiettivo lo studio dell’andamento dello stato di conservazione dei beni culturali sottoposti al degrado ambientale; il primo caso di studio riguarda i beni presenti all’interno del territorio del comune di Roma. L’obiettivo del progetto è l’aggiornamento degli indicatori di vulnerabilità e di pericolosità ambientale-aria individuati dalla Carta del Rischio del Patrimonio Culturale redatta dall’ICR [1], per la definizione di un nuovo indicatore di Rischio Territoriale su scala locale. Tale indicatore permetterà di valutare i livelli di rischio che le diverse aree di Roma presentano attualmente, in funzione dei fenomeni di degrado riscontrati e della tipologia del bene considerato[2]. In particolare la vulnerabilità dei beni verrà definita aggiornando le schede di vulnerabilità degli edifici, già redatte nell’ambito della prima compilazione della Carta del Rischio, al fine di individuare il livello di esposizione di un dato bene all'aggressione dei fattori territoriali ambientali. La pericolosità ambientale-aria (la componente del rischio che descrive il processo fisico di deterioramento dei beni determinato dalla potenziale aggressione esercitata dal territorio sulla superficie del manufatto) verrà invece individuata mediante il calcolo aggiornato degli indici di erosione e di annerimento [3]. Tali indici si otterranno utilizzando algoritmi matematici che permettono di correlare il danno subito dai materiali di interesse storico -artistico alle concentrazioni dei principali inquinanti aerodispersi e ai dati meteo-climatici registrati dalle centraline di monitoraggio presenti nel comune di Roma. L’aggiornamento delle schede di vulnerabilità del bene e degli indici di pericolosità territoriale permetterà di costruire nuove mappe cartografiche di rischio ambientalearia, utili per visualizzare le informazioni sullo stato di conservazione del patrimonio culturale e sull’insieme dei fattori ambientali che ne determinano i processi di degrado. Bibliografia [1] Risk map: a project to aid decision-making in the protection, preservation and conservation of Italian cultural heritage. G. Accardo, A. Altieri, C. Cacace, E. Giani, A. Giovagnoli, Conservation Science, pp 44-49 (2002). [2] Il Sistema Informativo della Carta del Rischio- A.T.I. Maris, Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali – Ufficio Centrale per i Beni Archeologici, architettonici, Storici ed Artistici – Istituto Centrale per il Restauro, Carta del Rischio del Patrimonio Culturale (1996). [3] “L’impatto dell’inquinamento atmosferico sui beni di interesse storico – artistico esposti all’aperto”, Rapporto APAT (2006). 61 CARATTERIZZAZIONE CHIMICA DI PARTICOLATO ATMOSFERICO FRAZIONATO Antonella Bergamoa, Alessandro Buccolierib, Giovanni Buccolierib, Ilaria Carofaloa, Angelo Dell’Attib, Maria Rita Perronea a Università del Salento, Dipartimento di Fisica, via per Arnesano, 73100 - Lecce E-mail: [email protected] b Università del Salento, Dipartimento di Scienza dei Materiali, via per Monteroni, 73100 - Lecce Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato l’esistenza di una stretta correlazione tra la composizione chimica delle particelle aerodisperse e i loro effetti sulla salute dell’uomo e sull’ambiente. Nel presente lavoro si riportano alcuni risultati relativi alla caratterizzazione chimica di particolato atmosferico aerodisperso e dimensionalmente frazionato, allo scopo di enucleare il contributo sul particolato raccolto al suolo, delle principali sorgenti naturali e antropiche, sia locali che transfrontaliere. I campioni di particolato analizzati sono stati raccolti presso il Dipartimento di Fisica dell’Università del Salento (40° 20’ N, 18° 06’ E), mediante un impattore inerziale a cascata a sette stadi (OH-610-C, Kàlmàn System). Operando a una portata di aspirazione di 1.5 m3·h-1, l’impattore permette di separare il particolato atmosferico campionato in sette differenti frazioni granulometriche caratterizzate dai seguenti valori del diametro di taglio d pari a 5.7 μm, 2.7 μm, 1.4 μm, 0.65 μm, 0.35 μm, 0.14 μm e 0.08 μm. Le superfici di deposito del particolato, poste in ogni stadio dell’impattore, sono filtri in fibra di quarzo, le cui misure gravimetriche permettono di determinare la frazione della massa totale raccolta in ciascuno dei sette intervalli dimensionali. Si presentano i risultati relativi a due campionamenti di 24 ore effettuati in periodi differenti e durante due diversi processi di avvezione: il primo e’stato effettuato il 10/05/2005 durante un processo di avvezione dal Mediterraneo centro-occidentale, mentre il secondo e’ stato effettuato il 27/09/2005 durante un processo di trasporto di masse d’aria provenienti da vaste aree industriali del Nord-Est d’Europa. Per meglio caratterizzare i processi di avvezione relativi a ciascun periodo di campionamento, vengono presentati gli andamenti temporali dei principali parametri meteorologi, alcune immagini satellitari (MODIS - Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer) e le traiettorie analitiche all’indietro. Si e’ utilizzato un cromatografo ionico DIONEX modello DX500 per determinare, sui differenti filtri dell’impattore, la concentrazione dei principali ioni: ammonio, calcio, magnesio, potassio, sodio, bromuro, cloruro, fluoruro, nitrato, fosfato e solfato. Pertanto, saranno riportati i risultati relativi alla dipendenza della concentrazione ionica dalla frazione granulometrica e dai parametri meteorologici. Le analisi di cromatografia ionica hanno mostrato che, per entrambi i campionamenti, i solfati rappresentano i componenti maggioritari del particolato fine (d < 0.65 μm). La frazione grossolana (d > 0.65 μm) del particolato raccolto invece e’ risultata essere fortemente dipendente dai processi di avvezione. 62 LEVOGLUCOSAN, A TRACER FOR WOOD COMBUSTION IN MILAN PARTICULATE MATTER P. Fermoa, A. Piazzalungaa, R. Vecchib, G. Vallib, M. A. De Gregorioc a Dep. Inorganic, Metallorganic and Analitical Chem., University of Milan, Via Venezian 21, 20133, Milan, Italy b Institute of General Applied Physics, University of Milan ,Via Celoria 16 20133, Milan, Italy c ARPA Lombardia-U.O.lab., Via Juvara 22, 20122, Milan, Italy Very scarce data on the contribution of particles emitted by residential wood combustion are available in Northern Italy. To achieve more information on this source of particulate matter, a study was carried out on wood smoke contribution by means of the chemical characterization of aerosol samples. In this study levoglucosan, organic carbon (OC) and elemental carbon (EC) have been determined on PM10 samples. Levoglucosan is taken as wood smoke marker as it arises from the pyrolysis of cellulose, is emitted in large amounts and is sufficiently stable. PM10 aerosol samples were collected in Milan in the frame of the ParFiL project (Particolato Fine in Lombardia). Samples were collected during winter 2005, summer 2005 and winter 2006. In particular, for both 2005 and 2006 we investigated the period between Christmas and the New Year’s Day, when an increase in the use of wood for domestic firing during holidays is very likely. Levoglucosan was quantified by two different techniques: Gas Chromatography coupled with Mass Spectroscopy (GC/MS) and High Performance Anion Exchange Chromatography (HPAEC) coupled with Pulsed Amperometric Detection (PAD). OC and EC were measured by Thermal Optical Transmission method (TOT). In the investigated periods, levoglucosan concentrations were 10.0% higher in winter than in summer 9.0% Levoglucosan/PM 8.0% (levoglucosan/PM=0.57%±0.14% Levoglucosan/OC 7.0% in February and 0.08%±0.05% in 6.0% 5.0% June). Furthermore, levoglucosan 4.0% levels during Christmas’s periods 3.0% 2.0% approximately doubled in 1.0% comparison with the wintertime 0.0% February '05 (n=7) Christmas's period '05 November '06 (n=3) Christmas's period '06 averages, confirming the higher (n=10) (n=7) wood consumption during the Figure 1: levoglucosan/OC ratio for winter and for holidays (figure 1). Christmas period The evaluation of levoglucosan emission factor for different kinds of wood has been also carried out in order to estimate the percentage of PM that can be attributed to residential wood combustion. Acknowledgements The authors are grateful to ParFiL Project for their financial support, to all the people from ARPA-Lombardia who collaborated to samples collection and to the personnel from Stazione Sperimentale dei Combustibili for the preparation of samples devoted to emission factor estimates. 63 FRAZIONAMENTO IN CAMPO TERMICO-FLUSSO DI PARTICELLE SUBMICRONICHE Luisa Pasti, Francesco Dondi L.A.R.A., Dipartimento di Chimica, Università di Ferrara, Via L. Borsari, 46, 44100 Ferrara, Italy e-mail: [email protected] Il presente studio ha lo scopo di esplorare l’impiego delle tecniche di frazionamento in campo-flusso (FFF, Field Flow Fractionation) nella caratterizzazione delle proprietà di materiale colloidale, tali proprietà hanno rilevanza nello studio degli equilibri presenti nei corpi idrici, essendo noto il ruolo significativo dei colloidi come ossidi di Al, Fe, Si e di argille nel regolare la composizione delle acque naturali1. In particolare e’ stata studiata la separazione di particelle di silice mediante frazionamento in campo termico flusso (Thermal Field Flow Fractionation: ThFFF), operante in mezzo acquoso di diversa forza ionica, in assenza ed in presenza di tensioattivo. Tali separazioni sono state condotte per esaminare l’ applicabilità della teoria di termodiffusione di particelle cariche, recentemente proposta da Parola1 per l’interpretazione dei frattogrammi sperimentali e di conseguenza per l’ottenimento della calibrazione di tecniche ThFFF2, 3. Vengono presentati i risultati e le relative relazioni modellistiche esistenti in ThFFF, tra ritenzione di colloidi carichi superficialmente, dimensioni e potenziale superficiale delle particelle ed inoltre lo studio della separazione in ThFFF di particelle di silice in presenza di assorbimento superficiale specifico di cationi di metalli pesanti ed in condizioni controllate di forza ionica del mezzo. Bibliografia 1) Parola, A.; Piazza, R.; Eur. Phys. J. E.; 2004, 15; 255-263. 2) Nguyen, M.; Beckett, R.; Anal. Chem.; 2004, 76(8); 2382-2386. 3) Schimpf, M. In Field-Flow Fractionation Handbook; Schimpf, M.; Caldwell, K. and Giddings, J.C., Eds.; Wiley-Interscience: New York, 2000; pp 239-256. 4) Stumm, W.; Morgan, J. J.; in “Aquatic Chemistry An Introduction Emphasizing Chemical Equilibria in Natural Waters”; John Wiley & Sons; 1981; Chapter 10 64 ARCHEOLOGIA, AMBIENTE E SALUTE Antonio Proto a, Marianna Alfano a, Maria Passamanoa, Anna Farina a, Carla Scarabinoa, Davide Alfanoa, Oriana Motta b a b Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Salerno Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università degli Studi di Salerno, via P.Don Melillo 84084 Fisciano (SA) e-mail: [email protected] Questo lavoro sintetizza un percorso di ricerca quinquennale iniziato con lo studio delle paleodiete mediante l’analisi dei metalli e dei rapporti degli isotopi stabili del carbonio e dell’azoto sui resti osteologici rinvenuti nei siti archeologici campani di Paestum e Pontecagnano. Tale lavoro ha permesso di individuare una nuova tecnica analitica basata sulla analisi infrarossa in trasformata di Fourier degli isotopomeri stabili della anidride carbonica. La determinazione quantitativa del rapporto 13C/12C è in relazione con la fonte di anidride carbonica prodotta nei processi di combustione e potrebbe essere un nuovo indicatore di inquinamento ambientale. A tal proposito la tecnica è stata utilizzata per effettuare campionamenti ambientali in differenti zone della provincia di Salerno ed i risultati evidenziano quanto il rapporto degli isotopi del carbonio sia differente in aree urbane a grande traffico rispetto a quelle prevalentemente agricole e di quanto esso sia influenzato dai fenomeni atmosferici. Questa nuova tecnica analitica è stata anche utilizzata per la diagnosi non invasiva della infezione da Helicobacter Pylori. Incoraggianti risultati sono stati ottenuti confrontando le determinazioni effettuate su una cinquantina di pazienti che hanno effettuato, nella stessa seduta ospedaliera, un duplice test respirometrico. Nessuna differenza sul risultato diagnostico è stata riscontrata tra la tecnica optogalvanica in uso presso l’ospedale di Nocera Inferiore e quella sviluppata presso il nostro gruppo di ricerca. Bibliografia C. Scarabino, C. Lubritto, A. Proto et al. “Paleodiet characterisation of an Etrurian population of Pontecagnano (Italy) by Isotope Ratio Mass Spectrometry (IRMS) and Atomic Absorption Spectrometry (AAS)”. Isotopes In Environmental and Health Studies. 2006, 42, 151-158 Antonio Proto, Davide Alfano, Carla Scarabino. Brevetto Italiano di Invenzione Industriale (SA2005A/000006) dal titolo: “Nuovi dispositivi per la determinazione del rapporto di concentrazione degli isotopi stabili del carbonio mediante analisi spettroscopica infrarosso.” R. Zanasi, D. Alfano, C. Scarabino, O. Motta, R. G. Viglione, A. Proto. Determination of 13 12 C/ C Carbon Isotope Ratio, Anal. Chem. 2006, 79, 3080-3083 65 STUDIO DI LEGANTI ORGANICI IN PROVINI SIMULANTI LA PITTURA MURALE Elisa Campani1, Antonella Casoli1, Karen Trentelman2 1 Dipartimento di Chimica Generale e Inorganica, Chimica Analitica, Chimica Fisica, Università degli Studi di Parma, V.le G.P. Usberti 17/A, 43100 - Parma e-mail: [email protected] 2 Museum Research Laboratory, Getty Conservation Institute, 1200 Getty Center Drive, Suite 700, Los Angeles, CA 90049-1684, USA La conoscenza dei differenti tipi di materiali organici utilizzati nei dipinti murali e il loro comportamento è fondamentale per sviluppare un’appropriata procedura di conservazione dell’opera. Questo studio si inserisce nel progetto internazionale Organic Materials in Wall Paintings (OMWP), coordinato dal Getty Conservation Institute di Los Angeles, che mira alla messa a punto di un protocollo per l’identificazione dei materiali organici nei dipinti murali, utilizzando tecniche di indagine non distruttive, non invasive e distruttive. Sono stati studiati provini di composizione nota, provenienti dal Laboratorio per l’Affresco di Vainella (Centro Tintori - Prato), al fine di valutare potenzialità e limiti delle tecniche impiegate nell’identificazione dei materiali organici. I provini considerati sono costituiti da un supporto di terracotta sul quale sono stesi lo strato di intonaco e lo strato pittorico. Le tavolette da noi esaminate, per un totale di quarantatre campioni, prevedono diverse combinazioni di pigmenti (minerali, naturali e sintetici), leganti (uovo, colla animale, caseina e gomma arabica) e fasi di applicazione (a fresco, a secco e su intonaco stanco). La nostra parte del progetto ha previsto l’utilizzo della microspettroscopia Raman, impiegando sia uno strumento portatile sia un micro-spettrofotometro FT-Raman di laboratorio e della gascromatografia/spettrometria di massa mediante l’utilizzo di metodiche messe a punto per l’identificazione di materiali proteici, lipidici e polisaccaridici. Atti del Simposio Organic Materials in Wall Paintings: Assessment of Methods of Investigation, 12 Maggio 2006, Venaria, Torino. 66 INDAGINI NMR SU LEGNI MODERNI E ANTICHI Antonella Maccottaa, Paola Fantazzinib, Mirko Gombiab, Maria Braic, Maurizio Marralec a Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi, Università di Siena, Via A. Moro 2, 53100 Siena, Italy, e-mail: [email protected] b Dipartimento di Fisica, Università di Bologna, Viale Berti Pichat 6/2, 40127 Bologna, Italy c Dipartimento di Fisica e Tecnologie Relative, Università di Palermo, Viale delle Scienze, Edificio 18, 90128 Palermo, Italy La caratterizzazione di manufatti lignei di interesse storico-artistico-archeologico è molto importante sia per una maggiore conoscenza dell’opera stessa sia per una corretta progettazione dell’intervento di restauro [1]. A questo scopo riveste una notevole importanza lo sviluppo di metodologie non distruttive che siano in grado di fornire informazioni sullo stato di degrado del legno costituente il manufatto (porosità, distribuzione delle dimensioni dei pori, assorbimento e diffusione dell’acqua) e sugli effetti di trattamenti con prodotti consolidanti. Le caratteristiche del legno dipendono dal taxon ligneo, dal contenuto di acqua, dalla direzione delle fibre oltre che naturalmente dal degrado delle macromolecole costituenti. Studi di Risonanza Magnetica Nucleare (NMR) stanno attualmente mostrando che tale tecnica è tra le più interessanti per ottenere informazioni di questo tipo. E’ stato già mostrato infatti come le curve di distribuzione dei tempi di rilassamento della componente longitudinale della magnetizzazione nucleare dei nuclei 1H, in campioni di legno stagionato, permettono di classificare i campioni in funzione del taxon ligneo e suggeriscono fenomeni di accoppiamento e/o di scambio tra i nuclei di idrogeno dell’acqua e quelli macromolecolari [2]. Inoltre si osserva nei campioni degradati un aumento dei tempi di rilassamento che potrebbe essere indicativo dello stato di degrado della matrice lignea. Bibliografia 1. 2. V. Bucur, Nondestructive Characterization and Imaging of Wood, Springer Series in Wood Science (Springer, New York, 2003) P. Fantazzini, A. Maccotta, M. Gombia, C. Garavaglia, R.J.S. Brown, M. Brai, SolidLiquid NMR relaxation and signal amplitude relationships with ranking of seasoned softwoods and hardwoods, J Appl Phys 100: 0749071-7 (2006). 67 STUDIES ON STACK EMISSIONS: DEFINING POLICYCLIC AROMATIC HYDROCARBONS PROFILES FOR SOURCE APPORTIONEMENT AND PROTOCOLS FOR TOXICITY TESTING Pierluigi Barbieria, Luca Di Montea, Sergio Cozzuttoa, Claudio Vezzila, Filippo Lo Cocob, Paola Sistc, Bruna Scaggiantec, Antonella Bandierac, Ranieri Urbanic a Università degli Studi di Trieste, Dipartimento di Scienze Chimiche, Via L. Giorgieri 1, 34127 Trieste (Italy); [email protected] b Università degli Studi di Udine, Dipartimento di Scienze Economiche, Area Ambientale, Via Tomadini 30/A, 33100 Udine (Italy) c Università degli Studi di Trieste, Dipartimento di Biochimica, Biofisica e Chimica delle Macromolecole, Via L. Giorgieri 1, 34127 Trieste (Italy) Receptor modeling for particle source apportionment requires characterization of emission sources: in this study we report some of our experimental planning and results aimed characterizing adimensional profiles with specific attention on PAHs for an industrial source and for domestic burning systems. In the different cases the methods applying ground-based high volume (filters + PUF) sampling and diluted exhaust isokinetic sampling will be discussed. Gas chromatographic – mass spectrometric analyses are applied. Such a research is aimed to provide new data for evaluation of contribution of different emitting sources to measured PM, beside strategies that uses mainly out-of-date emission factors. A synoptical study reports about tests that are used for assessing toxicity on particulate matter samples, focusing on both oxidative stress and mutagenicity. Bibliography Watson, J. G.; Zhu, T.; Chow, J.C.; Engelbrecht, J.; Fujita, E.M.; Wilson, W.E.; “Receptor modeling application framework for particle source apportionment”, Chemosphere 2002, 49, 1093-1136 68 MONITORAGGIO INDOOR DI COMPOSTI ORGANICI VOLATILI E CARATTERIZZAZIONE DELLE PRINCIPALI SORGENTI EMISSIVE Martino Amodio, Paolo Bruno, Maurizio Caselli, Gianluigi de Gennaro, Maria Rosaria Saracino, Maria Tutino Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona, 4 70126 Bari e-mail: [email protected] La qualità dell’aria indoor (Indoor Air Quality) è diventata oggetto di studio da parte della comunità scientifica internazionale soltanto negli ultimi anni. Questo crescente interesse è legato ai sempre più lunghi periodi di tempo trascorsi dalla popolazione all'interno di edifici pubblici e privati. Inoltre è stato osservato che diversi materiali impiegati in edilizia e nell’arredo possono costituire una fonte rilevante di inquinamento in quanto contengono composti considerati nocivi per l’uomo. Pertanto, nell'ottica di un’effettiva tutela della qualità della vita e della salute umana, risulta di primaria importanza lo studio del fenomeno dell'inquinamento indoor. In generale, la qualità dell’aria indoor è condizionata sia dalla qualità dell’aria esterna sia, soprattutto, da sorgenti inquinanti presenti solo all’interno. In particolare l’impiego di materiali sintetici sia nell’edilizia che nella produzione di mobili, l’adozione di nuovi stili di vita, il largo consumo di prodotti per l’ambiente e per l’igiene personale hanno introdotto nuove fonti di rischio. In alcuni casi, infatti, gli ambienti all'interno degli edifici possono essere responsabili dell'esposizione ad inquinanti a livello superiore a quello imputabile all'ambiente esterno. Tra i composti dannosi per la salute a cui si è quotidianamente esposti, particolare attenzione meritano i composti organici volatili (VOC), una miscela di composti organici aventi punto di ebollizione iniziale pari o inferiore a 250°C. Essi sono considerati una componente importante nell’eziologia della cosiddetta sindrome dell’edificio malato, (SBS) descritta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Al fine di ridurre tali rischi, occorre conoscere le principali fonti di inquinamento e i livelli di concentrazione degli inquinanti attraverso il loro monitoraggio. In risposta a tali esigenza sono state effettuate campagne di monitoraggio in ambienti domestici e siti pubblici largamente frequentati dalla popolazione. In concomitanza la ricerca si propone di determinare gli impatti emissivi di alcune classi di materiali e prodotti diffusamente presenti negli ambienti monitorati. Il confronto dei profili di emissione dei diversi materiali presenti in commercio permetterà di chiarire se i materiali definiti bioecologici dalle aziende produttrici emettono composti chimici classificati come pericolosi. Le informazioni ottenute saranno di particolare importanza non solo per il cittadino che, da solo, già potrà decidere di apportare mitigazioni alle situazioni esistenti in casa sua o scegliere più oculatamente i suoi insediamenti futuri, ma soprattutto per le diverse aziende produttrici, alle quali sarà fornito un ulteriore servizio ad elevato valore aggiunto. Bibliografia Baglioni, A. Aria ambiente e salute. 1999, 5, 8-10. Guo, H. F.; Murray, S. C. Building and Environment. 2003, 38, 1413-1422. Wargocki, P.; Sdell, J.; Bischof, W.;. Brundrett, G; Fanger, P.O.; Gyntelberg, F.;. Hanss, S.O. Indoor Air. 2002, 12, 113-128. Brinke, J.T.; Selvin, S.;. Hodgson. A.T. Indoor air. 1998, 3, 140-152 Maji, C.S.; Ashok, N. J. of Hazardous Materials. 2003, 105, 103-119. Nazaroff William W.; Weschler, W.; Charles, J. Atmospheric Environment. 2004, 38, 28412865. Wille, M.S.R.; Lambert W. E.E. Forensic Science International. 2004,142,135-156. 69 CARATTERIZZAZIONE MORFOLOGICA E COMPOSIZIONALE DEL PARTICOLATO AERODISPERSO DI ORIGINE URBANA E INDUSTRIALE IN DUE CITTA’ DEL SUD ITALIA. Emanuela Filippoa, Daniela Mannoa, Antonio Serraa, Tiziana Sicilianoa, Marco Teporea, Pierina Ielpob, Maurizio Casellib a Dipartimento di Scienza dei Materiali Università del Salento Via Monteroni 73100 Lecce (Italia) b Dipartimento di Chimica, Università di Bari Via Orabona 4 70126 Bari (Italia) e-mail:[email protected] In questa indagine è stata utilizzata la microscopia elettronica a scansione correlata ad un sistema di microanalisi a raggi X (SEM/EDAX) al fine di condurre una caratterizzazione chimico-fisica del particolato aerodisperso con diametro aerodinamico inferiore a 10 μm (PM10) in due città del Sud Italia (Bari e Taranto) con condizioni climatiche simili ma densità abitative e attività produttive molto diverse. Lo scopo del presente lavoro è quello di stabilire il legame che esiste tra le caratteristiche morfometriche e composizionali delle particelle di aerosol e di mostrare possibili relazioni con le sorgenti di tali particelle, differenziando inoltre il contributo di ciascuna sorgente (industria, traffico, aerosol marino, suolo..) sull’inquinamento ambientale urbano. È possibile con queste informazioni determinare l’impatto che le diverse sorgenti possono avere sul particolato in sospensione nelle città. Nei campioni analizzati la quasi totalità del particolato è costituita da particelle sferiche o ellittiche aventi diametro medio inferiore a 2.5 μm. I dati ricavati dagli spettri a raggi X puntuali acquisiti su ogni singola particella sono stati caratterizzati statisticamente e hanno dimostrato che elementi come bario, zinco, ferro, rame, manganese e zolfo, prodotti da processi industriali e di combustione, sono presenti essenzialmente nelle particelle submicrometriche. Inoltre mediante la hierarchical cluster analysis (HCA) del particolato aerodisperso sono state individuate le componenti principali (cluster) presenti nei diversi siti con la relativa percentuale. 70 ALTEZZA DELLO STRATO DI RIMESCOLAMENTO E VARIAZIONI NELLA DISTRIBUZIONE DIMENSIONALE DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO LUNGO PROFILI VERTICALI NELL’AREA URBANA MILANESE L. Ferreroa, S. Petracconea, M.G. Perronea, G. Sangiorgia, B. Ferrinia, Z. Lazzatia, C. Lo Portoa, E. Bolzacchinia, A. Ricciob, E. Previtalic, M. Clemenzac. a Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università di Milano - Bicocca, piazza della Scienza 1 – 20126 Milano, Italia; b Dipartimento di Scienze Applicate, Università Uniparthenope, Via De Gaperi 5, 80133 Napoli; c Dipartimento di Fisica, Università di Milano - Bicocca, INFN, piazza della Scienza 3 – 20126 Milano, Italia e-mail: [email protected] Quota (m AGL) Le attività urbane influenzano direttamente la qualità dell’aria; i valori più alti di PM10 e PM2.5 sono raggiunti in aree urbane (Van Dingenen, 2004). Il bacino padano e in particolar modo la città di Milano sono un buon esempio di questo scenario dove in aggiunta la meteorologia gioca un ruolo fondamentale nel determinare i livelli di inquinamento. Durante il 2006, nella città di Milano, la concentrazione media di PM2.5 ha raggiunto un valore di 43 μg/m3, con i valori massimi concentrati nel periodo invernale caratterizzati dalla maggior stabilità atmosferica; in particolare nel periodo dicembre 2005 – febbraio 2006 è stato raggiunto un valore medio di PM2.5 di 83 μg/m3 (range: 17–250 μg/m3). Poiché la modellizzazione e l’amministrazione del problema richiedono una conoscenza tridimensionale dello stesso è stato avviato a Milano, presso il sito di Torre Sarca (45°31’19”N, 9°12’46”E), uno studio degli effetti delle condizioni di stabilità atmosferica sulla dispersione del particolato atmosferico in termini di concentrazione numerica e distribuzione dimensionale. I profili verticali sono stati misurati mediante l’utilizzo di un pallone frenato dotato di un OPC GRIMM 1.108 “Dustcheck” (15 classi dimensionali) e di una stazione meteorologica portatile permettendo una stima diretta della altezza dello strato di rimescolamento (Seibert, 2000) affiancata da misure di 222Rn e previsioni modellistiche (MM5). In figura è mostrato l’andamento Profili verticali della concentrazione numerica di particelle (0.3 1.6) mm per due lanci rispettivamente del 31 Gennaio e del 1 di due profili per due giorni tipici in cui Febbraio 2006 400 una altezza dello strato di h 7:40 - 8:00 (31/01/06) 350 h 14:20-14:44 (01/02/07) rimescolamento inferiore ai 300 m AGL 300 durante tutto l’arco della giornata ha 250 condotto rispettivamente a concentrazioni 200 di 100 e 133 μg/m3 di PM2.5; 117 e 166 150 μg/m3 di PM10. Scarsa dispersione e 100 processi di accumulo giorno dopo giorno ne sono la causa maggiore (Ferrero, 50 l 2007). 0 0.0E+00 1.0E+05 2.0E+05 3.0E+05 4.0E+05 5.0E+05 6.0E+05 7.0E+05 8.0E+05 Al fine di studiare le variazioni della distribuzione dimensionale del particolato con la quota, è stata effettuata una cluster analysis delle originali classi dimensionali dello strumento suddividendo i dati campionati, nel periodo invernale 2005/2006, in funzione della posizione relativa alla altezza dello strato di rimescolamento. Risulta la formazione di un primo cluster al suolo tra 0.3-0.5 μm e di un cluster più ampio in quota comprendente particelle tra 0.3-1.6 μm. Calcolando per ogni profilo il diametro medio delle particelle per quest’ultimo cluster è stata osservato un buon -1 71 grado di correlazione tra l’altezza dello strato di rimescolamento e un rapido aumento del diametro medio delle particelle facenti parte della moda di accumulazione (R2 di 0.883) suggerendo che in condizioni stabili come quelle invernali l’altezza dello strato di rimescolamento separi il particolato atmosferico invecchiato da quello di fresca emissione al suolo. Bibliografia Ferrero L. & al. (2007), FEB, Vol. 16 N° 6 (in press). Van Dingenen R. & al. (2004), Atm. Env., 38, 2561-2577. Seibert P. & al. (2000), Atm. Env., 34, 1001-1027. 72 CARATTERIZZAZIONE DI COLORI ALCHIDICI PER ARTISTI Rebecca Ploeger, Dominique Scalarone, Oscar Chiantore Dipartimento di Chimica IFM e Centro NIS, Superfici e Interfasi Nanostrutturate Università degli Studi di Torino [email protected] I polimeri alchidici hanno avuto una certa diffusione come leganti pittorici e colori alchidici per artisti vengono attualmente usati con buoni riscontri per la loro efficacia. Risulta importante disporre di validi metodi di caratterizzaione delle pitture alchidiche, tenuto conto che i dati riportati nella letteratura tecnica e scientifica sono scarsi. Inoltre artisti e restauratori sono interessati a conoscere a fondo le qualità di questi materiali in termini di interazione con altre sostanze e di n durabilità. In questo lavoro vengono presentati i risultati relativi alla caratterizzazione di 3 differenti colori alchidici per artisti: Fig 1: Struttura ideale di resina alchidica formata da anidride Winsor & Newton Griffin Alkyd Colours, England, Ferraro ftalica, glcerolo e acido linoleico Colore Alchidico, Italia, and Da Vinco Co., Oil with Alkyd, USA, insieme a quelli della resina pura impiegata nella linea Griffin di Winsor & Newton. Per la caratterizzazione della resina e degli additivi sono state impiegate la spettroscopia FTIR, anche in modalità riflettanza con fibre ottiche (FORS), e la pirolisi-GCMS con idrolisi e metilazione termicamente assistita. Le resine alchidiche sono poliesteri modificati con oli, e il nome “alchidico” deriva dai monomeri, alcol e acido, usati per preparare il poliestere. Nella polimerizzazione per condensazione sono impiegati polioli (almeno trifunzionali), acidi polibasici, e acidi grassi. La resina finale è costituita da una catena di poliestere termoplastico con gruppi pendenti di acidi grassi, come schematizzato in Figura 1. La porzione di olio nelle alchidiche per artisti può arrivare al 70% su peso di resina. E stata studiata una stessa serie di colori per i diversi produttori: le resine e le cariche sono risultate essere uguali in ciascuna linea di prodotto, mentre differiscono tra le marche. Winsor & Newton produce una resina costituita da anidride ftalica e pentaeritrite (un poliolo tetrafunzionale), mentre Ferrario e Da Vinci impiegano acido isoftalico e pentaritrite. Nei colori Da Vinci la quantità di legante è bassa, e pertanto questi prodotti sono da considerare colori ad olio a cui è stata aggiunta una minore quantità di resina alchidica. In tutti i campioni è stata rivelata la presenza di acido azelaico, indicando che il processo di invecchiamento avviene con meccanismo di auto-ossidazione simila a quello degli oli siccativi. Una pittura alchidica secca può essere facilmente riconosciuta, rispetto ad una pittura ad olio, mediante FTIR-ATR e FTIR-FORS in quanto se non ci sono sovvrapposizioni dovute a pigmenti, additivi o altri riempitivi, essa presenta due deboli ma ben separati picchi at 1600 e a 1580 cm-1, dovuti alla porzione aromatica del poliestere. Nello spettro IR sono poi presenti i segnali dei CH2 a 2925 e 2850 cm-1, il largo assorbimento degli OH a 3440 cm-1, il picco del carbonile estereo a 1726 cm-1 e del legame C-O a 1120 e 1258 cm-1 insieme agli assorbimenti dovuti ai riempitivi (carbonato di calcio, solfato di bario e caolino) e ai pigmenti. La tecnica FTIR –FORS è di recente applicazione nel settore della conservazione e il suo interesse principale risiede nell’essere una tecnica non invasiva. Tuttavia gli spettri che si ottengono risentono della scarsa energia dei segnali e presentano generalmente forte rumore di fondo. Spettri di riferimento di buona qualità, confrontabili con quelli che si ottengono con O O O * O * O 73 O FTIR-ATR, sono stati raccolti da film pittorici stesi su alluminio. I picchi caratteristici dei campioni subiscono variazioni sia di intensità che di frequenze di assorbimento. Film pittorici sono stati stesi su altri substrati per verificare la possibiltà di ottenere spettri IR-FORS da substrati di reale interesse per le applicazioni a manufatti artistici. 74 STUDIO ANALITICO DEI PROCESSI DI DETERIORAMENTO DI ALCUNI MATERIALI LAPIDEI E STRATEGIA ENZIMATICA DI RECUPERO Alessia Diamantia, Federica Valentinib, Giuseppe Palleschib, Emanuela Tamburrib, Maria Letizia Terranovab, Simona Bellezzac, Patrizia Albertanoc. a. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Facoltà di Lettere e Filosofia, via Columbia, 1- 00133 Roma b. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, via della Ricerca Scientifica, 00133 Roma c. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Dipartimento di Biologia, via della Ricerca Scientifica, 00133 Roma e-mail: [email protected] L’attenzione di questo lavoro è rivolta alla diagnosi del degrado ambientale e al conseguente recupero di alcuni supporti lapidei naturali, provenienti da siti di campionamento reali a Roma (in ambiente esterno). Tale attività è stata svolta con le seguenti metodologie analitiche: microscopia ottica, microscopia interferenziale differenziale (DIC), spettrofotometria infrarossa in trasformata di Fourier (FT-IR) e fluorescenza X (XRF). Il presente lavoro è stato finalizzato alla sperimentazione ed ottimizzazione di una nuova strategia di biopulitura enzimatica, catalizzata dall’enzima Glucosio-ossidasi (GOx), testata sulle superfici dei campioni lapidei affetti da degrado chimico-biologico[1]. Le procedure ottimizzate a seguito di numerose prove di pulitura a diretto contatto con i supporti, hanno consentito di ottenere soddisfacenti prestazioni analitiche, in termini di efficienza di rimozione della patina superficiale e di non invasività del substrato. Tali risultati possono essere interpretati sulla base di una possibile correlazione tra la microstruttura dei campioni porosi ed il meccanismo d’azione enzimatico catalizzato dalla GOx, capace di produrre, in situ, acqua ossigenata e di modularne la ripartizione tra la superficie del materiale lapideo e la sua microstruttura (porosità interna). La macromolecola enzimatica GOx trattiene in superficie l’H2O2 da essa prodotta, favorendo maggiori tempi di contatto con la patina superficiale (e quindi la massima efficienza di rimozione) evitando che l’H2O2 si degradi. Il perossido di idrogeno essendo una molecola di piccolo taglio, è in grado di percolare nei pori del materiale in funzione della porosità specifica di questo. Per quanto detto, la massima efficienza di rimozione della patina è stata riscontrata per marmo, peperino e travertino, rispettivamente. Come in ogni studio analitico sistematico di base, la nuova tecnica di biopulitura è stata comparata con alcuni metodi standard di recupero delle superfici lapidee degradate (come l’attacco diretto con sola H2O2, il trattamento con (NH4)CO3 in soluzione satura e l’attacco con EDTA+NaHCO3, in ambiente tamponato)[2]. Dalle operazioni di confronto, il nuovo trattamento enzimatico è risultato in ogni caso vantaggioso, rispetto ai metodi convenzionali scelti, in termini di minima invasività verso il substrato nel rispetto di uno dei principi cardini del restauro basato sul “minimo intervento”. Bibliografia 1. Albertano, P.; Bellezza, S.; Cytochemistry of cyanobacterial expolymers in biofilm from Roman hypogea. Nova Hedwigia. 2001, 123, 501-518. 2. Mora, P. e L.; Philippot, P., La conservazione delle pitture murali. Editrice Compositori, 2001. 75 UN PROGETTO PER LA SALVAGUARDIA DEGLI AFFRESCHI DEL CAMPOSANTO MONUMENTALE DI PISA Alessia Andreotti, Ilaria Bonaduce, Ugo Bartolucci, Alessio Ceccarini, Maria Perla Colombini, Adriana Favara Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, via Risorgimento 35, 56126 Pisa [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected] Il Camposanto Monumentale, iniziato nel 1277 da Giovanni di Simone, come ultimo degli edifici monumentali presenti in Piazza dei Miracoli, raccoglie importanti pitture murali, tra cui quelle realizzate da Benozzo Gozzoli, Taddeo Gaddi, Spinello Aretino e Buonamico Buffalmacco. L'edificio ha subito nel corso dei secoli molti restauri. In epoca romantica le condizioni di conservazione destavano già numerose preoccupazioni, per via di alcuni vistosi segni di decadimento e il rovinare a terra di alcune intere parti di scene. Fin da allora iniziò l’opera di restauro, per tentare di arginare la perdita del colore e i distacchi dell'intonaco. Nel 1944, durante la Seconda Guerra Mondiale, le bombe degli alleati incendiarono il tetto in legno e piombo del Camposanto e danneggiarono gli affreschi in modo gravissimo. I dipinti furono staccati e riapplicati su di un supporto mobile in eternit con una colla a base di caseina. Questo restauro, sebbene abbia salvato i dipinti da una perdita completa, si è dimostrato nel tempo non congruo tanto che alla fine degli anni ottanta si è reso necessario un nuovo intervento: infatti, l’eternit e le condizioni microclimatiche stavano causando un rapido degrado di ciò che era stato salvato. Allo stato attuale la maggior parte dei dipinti sono stati puliti e trasferiti su un supporto inerte di vetroresina e al momento sono in fase di ricollocazione nel Camposanto Monumentale. A questo proposito va sottolineato che i dipinti verranno a trovarsi nella loro collocazione originale, ossia lungo le pareti interne del camposanto, protetti dall’azione diretta degli agenti atmosferici, perché riparati, ma comunque in un ambiente aperto, poiché il monumento ha la struttura di una chiesa a tre navate, di cui la centrale è in realtà a cielo aperto. Al momento solo quattro scene molto importanti, il Trionfo della Morte, il Giudizio Universale , l’Inferno e le storie degli Anacoreti probabilmente tutte opere di Buonamico Buffalmacco, attendono di essere restaurate. Queste opere sono conservate in un ambiente semi-aperto ed il loro stato di conservazione non appare ottimale. Questo lavoro presenta alcuni aspetti relativi al progetto di Conservazione sviluppato in collaborazione con l’Opera della Primaziale Pisana e la Soprintendenza di Pisa; in particolare verranno discussi i seguenti aspetti: • La caratterizzazione chimica delle colle usate per l’applicazione dei dipinti sul supporto in eternit tramite GC-MS e Py-GC-MS al fine di evidenziare i materiali usati e di caratterizzare il loro stato di degrado; • l’identificazione e la quantificazione dei composti organici volatili (VOCs) nell’aria del Camposanto Monumentale tramite SPME-GC-MS e GC-FID per valutare la qualità dell’aria e l’impatto che i composti organici identificati possono avere sulla stabilità dei dipinti. È infatti noto che il degrado naturale a cui sono soggetti i beni artistici è fortemente accelerato e reso più intenso dall’inquinamento ambientale: risulta quindi fondamentale valutare la qualità dell’atmosfera di esposizione al fine di individuare le migliori pratiche che possono essere adottate per una corretta salvaguardia dei dipinti ricollocati. 76 INDAGINI ANALITICHE SU MANUFATTI IN ARGENTO DAL SITO ARCHEOLOGICO DI CLASSE (RAVENNA) Sara Iacopini, Edith Joseph, Rocco Mazzeo, Daria Prandstraller, Silvia Prati Microchemistry and Microscopy Art Diagnostic Laboratory (M2ADL) Università di Bologna, Polo di Ravenna, Via Tombesi dall' Ova 55, 48100 RAVENNA (I) Nel settembre 2005 nello scavo del “podere Chiavichetta” di Classe (RA) è stato rinvenuto un tesoretto di oggetti in argento, di piena epoca bizantina (V-VII sec. d. C.), formato da alcuni cucchiai e una coppa1 (fig. 1). Già dalle prime osservazioni archeologiche, è risultata chiara l’importanza e la preziosità degli oggetti, finemente decorati e scarsamente ergonomici, forse destinati ad un uso battesimale. Fig. 1: Il tesoretto Bizantino al momento del ritrovamento nel sito archeologico“podere Chiavichetta”, Classe (Ravenna). In collaborazione con la Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna, è stata impostata una serie di indagini volte a raccogliere informazioni sia sulla natura dei materiali (composizione della lega e microstruttura2) sia sullo stato di conservazione dei reperti. I microcampioni prelevati in corrispondenza di zone già danneggiate dalla permanenza nel sottosuolo, sono stati analizzati mediante XRF, microscopia stereoscopica, ottica ed elettronica a scansione a pressione variabile (VP-SEM), con sonda EDS. Alcuni prodotti di corrosione sono stati inoltre sottoposti ad analisi mediate spettroscopia FTIR (microATR e trasmissione in pasticca di KBr) e XRD. I risultati ottenuti hanno permesso di individuare sia le sequenze tecnologiche di produzione (la coppa è stata ottenuta per lavorazione termomeccanica, decorata a cesello-sbalzo ed incisione ed infine dorata, mentre i cucchiai sono stati ottenuti per fusione) che le modalità di degrado: sui reperti sono stati individuati due distinti strati di corrosione, uno più interno formato da cloruri di argento e uno più esterno formato da solfuri di argento3. Le informazioni ottenute dalla sequenza analitica sono state utilizzate nella definizione dell’intervento di restauro4. Bibliografia 1.http://www.archeobo.arti.beniculturali.it/classe/classe_scavi/tesoretto_restaurato.htm 2.D.A. Scott, Metallography and Microstructure of Ancient and Historic metals. Los Angeles, Getty Museum, 1991 3.M.B. Mc Neil, B. J. Little, JAIC, 1992, 31, 3, 355-366. 4.V.Costa, Rev. in Cons. 2001, 2, 18-34. 77 STUDIO DELLE CAUSE DI DEGRADO DELLA BASILICA DI SANTA CROCE A LECCE: LA RISALITA CAPILLARE DEI SALI SOLUBILI Francesco Adducia, Giovanni Buccolierib, Alessandro Buccolierib, Alfredo Castellanob, Laura Sandra Leob, Caterina Ragusac, Fabrizio Vonad a b Università di Bari, Dipartimento di Fisica, Bari Università del Salento, Dipartimento di Scienza dei Materiali, Lecce. c Soprintendenza BAP/PSAE, Lecce d Soprintendenza P.S.A.E. di Bari e Foggia, Bari E-mail: [email protected] La Puglia ha sempre occupato un posto di rilievo nel campo della produzione e dell’impiego di materiale lapideo poiché ricca di pietre calcaree dalle buone caratteristiche chimico-fisichemeccaniche e dalle gradevoli tonalità cromatiche: ciò giustifica il largo uso che di queste si è fatto nelle costruzioni sia recenti che passate. Le rocce calcaree impiegate in Puglia per la realizzazione di opere monumentali sono notoriamente costituite dai calcari mesozoici (pietra di Trani e Apricena), dalle calcareniti mioceniche del Salento (pietra leccese), nonché dalle calcareniti quaternarie della Puglia centro-meridionale La pietra leccese, nelle sue varietà coltivate, è costituita da una biocalcarenite formata da grani bioclastici (sedimenti formati da detriti di esseri viventi) e glauconite (silicati di alluminio, ferro, sodio, potassio e calcio) immersi in una fine matrice micritica (grani di carbonati finissimi) e cementati da calcite. Sovente il cemento calcitico è reso opaco dalla diffusa dispersione di filamenti argillosi. In generale le varietà coltivate sono sostanzialmente omogenee dal punto di vista mineralogico e differiscono tra loro per tonalità di colore e composizione granulometrica. Il fattore principale che provoca alterazione nel calcare è il passaggio di acqua: l’acqua si distribuisce nel calcare, viene assorbita e migra in esso per gravità e per capillarità. L’acqua capillare viene trattenuta negli spazi porosi dalle forze di attrazione capillare. L’idratazione, la cristallizzazione e il congelamento, in generale, si accompagnano a una notevole pressione all’interno dei pori con conseguente frattura della struttura. Quando nella pietra sono presenti sali solubili, la loro solubilizzazione e successiva cristallizzazione può provocare considerevoli danni evidenziati da progressivi sfaldamenti superficiali fino alla completa dissoluzione del manufatto. Le precedenti considerazioni indicano la necessità di impedire la penetrazione di acque salmastre dai terreni circostanti e, ove i sali solubili siano già presenti nella struttura, l’opportunità di intraprendere misure al fine di desalinizzare la pietra stessa. Per la determinazione dei sali solubili presenti su differenti altari della Basilica di Santa Croce a Lecce sono stati eseguiti dei micro campionamenti e successive analisi cromatografiche e diffrattometriche, nonché valutazioni dei cloruri presenti in superficie mediante la tecnica della fluorescenza a raggi X in dispersione di energia la quale ha permesso di eseguire determinazioni quantitative in situ. I risultati ottenuti hanno evidenziato una continua risalita di sali solubili solo su alcuni altari: ciò è probabilmente da attribuire alle differenti condizioni microclimatiche all’interno della Basilica. 78 ISOLAMENTO DI CEPPI BATTERICI CALCINOGENICI DALLA TOMBA ETRUSCA DELLA MERCARECCIA (TARQUINIA) ED IPOTESI DI UNA LORO APPLICAZIONE NEL BIORESTAURO Anna Rosa Sprocati, Chiara Alisi, Flavia Tasso, Nicoletta Barbabietola, Elisabetta Vedovato Dipartimento Ambiente, Clima e Sviluppo Sostenibile, Sezione Sviluppo di metodi innovativi per l’analisi ambientale ENEA-Casaccia, Via Anguillarese 301 00123 Roma e-mail: [email protected] Sebbene i microorganismi siano comunemente associati agli effetti di deterioramento dei beni culturali, si sta sviluppando un crescente interesse verso lo sfruttamento delle loro capacità metaboliche come possibile soluzione per il restauro e la conservazione. In particolare, la deposizione di cristalli di carbonato di calcio da parte dei batteri offre un nuovo strumento per il consolidamento delle opere d’arte lapidee. I vantaggi più evidenti sono legati all’uso di un metodo più ecologico rispetto ai metodi chimici tradizionali e di un prodotto minerale con una composizione molto simile a quella della pietra monumentale calcarea. La ricerca si inquadra in un progetto più ampio di caratterizzazione della flora microbica eterotrofa presente all’interno della tomba etrusca della Mercareccia (Tarquinia) della necropoli di Monterozzi. Scopo del lavoro qui presentato è la selezione di batteri con attività calcinogenica e la loro applicazione in un esperimento di bioconsolidamento in scala laboratorio. Per discriminare i ceppi in grado di precipitare il carbonato di calcio, è stato eseguito uno screening su 109 ceppi batterici isolati dalla tomba, coltivandoli su terreno arricchito con acetato di calcio e valutando allo stereomicroscopio l’eventuale formazione di cristalli sulle colonie. Ben 71 ceppi hanno mostrato capacità di deposizione dei cristalli, confermando che la biomineralizzazione è un fenomeno molto diffuso tra i procarioti. Sulla base della quantità di cristalli e della velocità di deposizione, sono stati selezionati i 5 ceppi con maggiore efficienza di precipitazione: TSNRS13, TPBS4, TSC8, TSG16 e TPBF2. Sulla base dell’analisi della sequenza del gene r-DNA 16S i ceppi sono stati rispettivamente identificati come: Rhodococcus erytropolis (100%), Rhodococcus sp (99%), Microbacterium sp. (99%), Bacillus simplex (99%) e Bacillus simplex (100%). L’analisi di diffrattometria a raggi X ha rivelato che i cristalli sono costituiti da sola calcite e, per Rhodococcus sp., da calcite mista a vaterite. L’attività di calcinogenesi è stata quindi testata in vivomediante applicazione di una sospensione batterica in terreno B4 sulla superficie di blocchetti di Pietra di Lecce, protratta per 15 giorni consecutivi. L’efficacia del trattamento, condotto in triplicato, è stata valutata misurando l’assorbimento d’acqua per capillarità, il colore e l’osservazione al SEM. Il test di assorbimento capillare ha dimostrato un’efficacia solamente per i trattamenti condotti con i ceppi TSNRS13 e TPBF2, che hanno ridotto di circa il 20% l’assorbimento di acqua. L’osservazione al SEM ha dimostrato per tutti i ceppi che sulla superficie della pietra si deposita uno strato compatto costituito da un biofilm batterico calcificato, misto a cristalli di carbonato. Tali patine batteriche alterano, tuttavia, le caratteristiche originarie della pietra, come dimostrano le analisi colorimetriche. Per ovviare a questo problema e per evitare tutti gli altri inconvenienti legati all’applicazione diretta dei batteri sulle pietre monumentali (colonizzazione secondaria da parte di funghi e microrganismi eterotrofi e sviluppo di prodotti metabolici dannosi), la ricerca è stata indirizzata verso lo sviluppo di un processo di biomineralizzazione in assenza di cellule vive. In letteratura è stata già individuata una 79 frazione cellulare in grado di indurre la formazione di calcite in vitro, la frazione BCF (Bacterial Cellular Fraction), contenente le pareti cellulari e le membrane. Il lavoro è, quindi, proceduto testando la capacità di indurre biomineralizzazione da parte della frazione BCF dei ceppi impiegati nel precedente esperimento, utilizzando il test di precipitazione descritto da Addadi e Weiner (1985). Risultati preliminari mostrano che la BCF di tutti i 5 ceppi è in grado di indurre una significativa precipitazione di cristalli; inoltre, testando diluizioni seriali delle BCF, si osserva una progressiva riduzione del precipitato che dimostra la dipendenza del processo dalla concentrazione della frazione attiva. I risultati ottenuti depongono a favore della prosecuzione del lavoro, saggiando su pietra l’efficacia del trattamento. Bibliografia Addadi L.; Weiner S. Proc. Natl. Acad. Sci. 1985, 82, 4110-4114. Barabesi C.; Mastromei G.; Perito B. in Biologia e archeobiologia nei beni culturali, conoscenze, problematiche e casi di studio 2006, AIAR e Musei Civici Como editore, 236247. Tiano P.; Biagiotti L.; Mastromei G. Journal of Microbiological Methods 1999, 36, 139-145. Webster A.; May E. TRENDS in Biotechnology 2006, 24, 255-260. Elisabetta Vedovato.” Esplorazione microbiologica di un ipogeo etrusco per un’analisi descrittiva dei microorganismi colonizzatori” tesi di laurea Università di Roma “la Sapienza” AA.2005-2006 80 LE DECORAZIONI IN STUCCO DELLA CHIESA DI S. LORENZO (LAINO, COMO): STUDIO DELLA TECNICA ARTISTICA Laura Rampazzi,a Biagio Rizzob, Chiara Colomboc, Claudia Contic, Marco Realinic, Ugo Bartoluccid, Maria Perla Colombinid a Dipartimento di Scienze Chimiche e Ambientali, Università dell’Insubria, via Valleggio 11, 22100 Como b Dipartimento di Chimica Inorganica, Metallorganica ed Analitica, Università degli Studi di Milano, via Venezian 21, 20133 Milano c CNR ICVBC, p.zza Leonardo da Vinci 32, 2013, Milano d Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, Università di Pisa, via Risorgimento 35, 56126 Pisa e-mail: [email protected] Il progetto Interreg IIIA ‘L’arte dello stucco nel Parco dei Magistri Comacini (Intelvesi, Campionesi e Ticinesi) delle Valli e dei Laghi: valorizzazione, conservazione e promozione’, è stato finalizzato allo studio e alla valorizzazione dei numerosi e pregevoli manufatti in stucco di epoca barocca presenti tra i laghi di Como e Lugano. Tra i monumenti indagati, la chiesa di S. Lorenzo di Laino (CO) si distingue per la ricchezza di decorazioni di pregevole fattura, eseguite a più riprese da diverse maestranze artistiche. Il piano progettuale prevedeva approfondite indagini analitiche su tali cicli, con la finalità di verificare ipotesi cronologiche ed attribuzioni formulate in base a valutazioni unicamente stilistiche e documentarie. Le analisi sono state quindi progettate in collaborazione con gli storici dell’arte, partner del progetto, che hanno evidenziato, sulla base delle conoscenze storiche, i manufatti più rappresentativi ed interessanti da indagare. Le diverse metodologie analitiche utilizzate (Microscopia Ottica ed Elettronica con Microsonda in dispersione di energia, Spettroscopia Infrarossa, Diffrazione di Raggi X, Spettrometria di Massa con sorgente al Plasma accoppiato induttivamente e sistema di Ablazione Laser, Gas Cromatografia interfacciata con Spettrometria di Massa) hanno consentito di caratterizzare le componenti mineralogico-petrografiche e i composti maggioritari, minoritari ed in traccia presenti nei campioni in stucco, ossia nella malta di corpo e nelle finiture, spesso costituite da stratigrafie complesse e comprendenti resti di dorature. L’utilizzo di tecniche complementari e sensibili ha permesso di discriminare le tecniche utilizzate dai diversi artisti e, in alcuni casi, di apprezzarne le raffinate scelte in fase di esecuzione delle decorazioni. 81 DIAGNOSI E DIGITALIZZAZIONE DEL CODICE DANTESCO PHILLIPS 9589 Salvatore Lorusso, Andrea Natali, Chiara Matteucci Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali Alma Mater Studiorum Università di Bologna, via degli Ariani, 1 Ravenna [email protected] Il presente lavoro riguarda lo studio del Codice dantesco miniato su pergamena conservato presso la Biblioteca del Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali di Ravenna. Tale codice è noto alla comunità scientifica internazionale con la sigla di Phillipps 9589 e deve la sua notorietà al fatto non solo di essere l’unico palinsesto dantesco, ma anche di conservare, nella scriptio superior, uno tra i testimoni più antichi di quel ramo della tradizione manoscritta della Commedia di Dante chiamata “tradizione α”, la cosiddetta “antica vulgata”. La ricerca, svolta in più fasi, si è proposta di approfondire gli aspetti tecnico-diagnostici, in particolare le finalità generali sono state: - valutazione dello stato di conservazione; - caratterizzazione dei materiali; - miglioramento della leggibilità del testo dantesco e lettura del palinsesto; - valutazione dell’ambiente di conservazione; - digitalizzazione del codice per una fruizione intranet ed internet. A tal riguardo ci si è avvalsi dell’impiego delle seguenti tecniche diagnostiche non-distruttive anche a scopo documentario: fotografia digitale; videomicroscopio ad analisi di immagine; colorimetria spettrofotometrica; fluorescenza a raggi X (XRF); sistema multispettrale per l’acquisizione di immagini (MuSIS Multispectral Imaging System). 82 LASER CLEANING PER LA RIMOZIONE SELETTIVA DEI PRODOTTI DI CORROSIONE SU MANUFATTI BRONZEI DI INTERESSE STORICO-ARTISTICO b b Francesco Adducia, Alessandro Buccolieri , Giovanni Buccolieri , b b c b Alfredo Castellano , Massimo Di Giulio , Vincenzo Nassisi , Laura Sandra Leo a b Università di Bari, Dipartimento di Fisica, Bari Università del Salento, Dipartimento di Scienza dei Materiali, Lecce. E-mail: [email protected] c Università del Salento, Dipartimento di Fisica, Lecce I manufatti in rame e sue leghe sono soggetti a numerosi e complessi processi di corrosione che determinano la formazione della patina, ovvero di uno strato d’alterazione che si sviluppa sulla superficie del metallo e, in alcuni casi, ne provoca il progressivo degrado nel tempo [1, 2]. La patina è dunque il risultato dell’interazione chimico-fisica del metallo con l’ambiente che lo circonda. Pertanto le caratteristiche chimico-fisiche, la stratigrafia e le proprietà di strato protettivo (patina nobile) o, al contrario, di strato dannoso (patina vile), sia per la salvaguardia del manufatto che per il suo impatto estetico, sono inevitabilmente influenzate da una vasta gamma di fattori, quali le condizioni ambientali a cui il manufatto è esposto, la composizione e struttura metallica dello stesso, ecc.. In tale contesto, la conoscenza profonda sia del materiale che costituisce il manufatto che dei processi di degrado cui esso è soggetto, costituiscono un primo ed essenziale requisito per il corretto restauro dei bronzi antichi, anche in considerazione del fatto che qualsiasi trattamento di restauro dovrebbe essere in grado di rimuovere la patina vile senza intaccare né il bulk metallico né la patina nobile eventualmente presente. A tal riguardo, la tecnica di laser cleaning si prospetta come un trattamento di pulitura estremamente innovativo sia perché si configura come una tecnica di non contatto, sia perché permette una pulitura estremamente graduale e di conseguenza controllabile. Nel presente lavoro è stata valutata l’efficacia e la selettività della tecnica di laser cleaning come metodo di pulitura di antichi manufatti in rame e in bronzo, differenti per composizione (sia del bulk che della patina) e provenienza (sia campioni interrati che esposti all’aperto), utilizzando un laser a eccimeri KrF (248 nm). Al fine di monitorare gli effetti dell’interazione laser-materia ed evitare possibili danni al substrato e all’eventuale patina nobile presente, le operazioni di laser cleaning sono state affiancate da analisi non distruttive quali la tecnica di fluorescenza a raggi X in dispersione di energia (EDXRF) e la tecnica di diffrattometria a raggi X (XRD). In particolare, le analisi EDXRF quantitative hanno permesso di stabilire la selettività e il grado di accuratezza della pulitura laser raggiunte per ciascuna tipologia di campione investigato. Bibliografia 1. Scott, D.A. Copper and Bronze in Art, Getty Publications, Los Angeles, California, 2002. 2. Pedeferri, P. Corrosione e protezione dei materiali metallici, Città Studi Edizioni, Torino, 2003. 83 COLORANTI E OPACIZZANTI IN FRAMMENTI VITREI DI ETA’ MEDIEVALE: CARATTERIZZAZIONE CHIMICO-FISICA Alessandra Gengaa, Maria Sicilianoa, Tiziana Sicilianoa, Antonio Teporea, Angela Trainib, Annarosa Mangoneb, Caterina Laganarac a Dipartimento di Scienza dei Materiali – Università degli Studi di Lecce via per Arnesano, 73100 Lecce b Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari c Dipartimento di Beni Culturali –Università di Bari, p.zza Umberto I, 70100 Bari e-mail: [email protected] L’analisi chimica dei reperti vetri di interesse archeologico fornisce utili informazioni sui cambiamenti e sulle innovazioni tecnologiche riguardanti i processi di produzione. Ciò permette di caratterizzare differenti gruppi di oggetti vitrei, identificare i materiali usati per la loro fabbricazione e, non in ultimo, la possibilità di manipolare il colore e l’opacità con o senza l’intenzionale introduzione di agenti coloranti. Tale evidenza, infatti, è rivelabile indagando la presenza e il relativo contenuto degli elementi cromofori, i quali in base alle condizioni ossidanti o riducenti dell’atmosfera della fornace conferiscono agli oggetti le tonalità di colore desiderate. Il presente lavoro illustra i risultati relativi all’analisi composizionale di frammenti vitrei, datati XIII-XIV sec. e provenienti dal parco archeologico di Siponto (Foggia-Italia), per l’individuazione e determinazione degli elementi minoritari e in tracce. L’obiettivo è stato quello di indagare il contenuto degli agenti coloranti presenti nei reperti e le tecniche di lavorazione impiegate per conferire ad essi colore, trasparenza o opacità. I frammenti, che in un precedente lavoro si sono rivelati essere tutti silico-sodico-calcici [1], sono caratterizzati dalla presenza di quantità relativamente alte di metalli coloranti. In particolare i campioni blu mostrano alte concentrazioni di CoO e ZnO, Sb2O5, As2O3, PbO e NiO ed un’alta correlazione fra i contenuti di CoO e PbO e ZnO, Sb2O5, As2O3, e NiO. Ciò lascia supporre che per la loro colorazione sia stato utilizzato come pigmento un minerale contenente cobalto e che in tale minerale il Co sia associato a Pb, Zn, Sb, As e Ni. I frammenti rossi trasparenti sono caratterizzati da un’alta concentrazione di MnO e relativamente alta di BaO, Cr2O3, V2O5 e SrO. L’alta concentrazione di manganese e la sua associazione con Cr, V, Ba e Sr portano ad ipotizzare l’impiego di un minerale contenente manganese con presenza in traccia dei suddetti elementi. I frammenti rossi opachi mostrano una più alta eterogeneità composizionale. Essi sono caratterizzati da una più alta concentrazione di CuO, Fe2O3, SnO2 e di P2O5, i quali risultano associati a Na2O, MgO, K2O e CaO (derivanti plausibilmente dall’uso di ceneri). Tali evidenze suggeriscono l’ipotesi che per ottenere tale colorazione e opacità siano stati aggiunti alla miscela ossidi di rame, di ferro, di stagno. Bibliografia 1. Genga A., Manno D., Siciliano M., Buccolieri A., Traini A., Mangone A., Laganara C., proceedings ART05, 2005, 182. 84 SISTEMI “SOFT-MATTER” PER LA PULITURA DI SUPERFICI PITTORICHE Rodorico Giorgi, David Chelazzi, Emiliano Carretti, Piero Baglioni CSGI (Consorzio per lo sviluppo dei Sistemi a Grande Interfase – Dipartimento di Chimica – Università degli Studi di Firenze, Via della Lastruccia 3-50019 Sesto Fiorentino (Firenze) [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected] Il restauro e la conservazione delle superfici pittoriche richiede molto spesso la rimozione selettiva di materiali sintetici utilizzati nel corso di precedenti restauri. Tale operazione è molto delicata e spesso dannosa per la pittura stessa, in quanto la solubilizzazione dei polimeri è complicata e richiede trattamenti chimici e meccanici energici. E’ noto che polimeri come il paraloid B72 incorrono in processi chimici di degradazione che ne compromettono la funzionalità e favoriscono l’insorgere di gravi manifestazioni di degrado sulle pitture. La degradazione di simili molecole produce materiali con proprietà chimicofisiche molto diverse da quelle originarie, al punto da rendere molto bassa la possibilità della loro rimozione usando i solventi puri impiegati per l’applicazione. L’impiego di sistemi dispersi, quali soluzioni micellari, emulsioni e microemulsioni favorisce la solubilizzazione delle fasi oleose tenacemente legate alla pittura, grazie all’enorme superficie di scambio di simili sistemi nano-compartimentalizzati. Inoltre possono essere caricati su gelificanti ad ottenere idrogel con grande capacità detergente per la rimozione di sostanze poco polari o apolari. Questo contributo mostra alcuni risultati ottenuti impiegando alcune classi di tensioattivi nonionici e ionici per la preparazione di microemulsioni olio in acqua adatte per trattamenti di pulitura di superfici murali. In particolare sono stati studiati tensioattivi a base di polialchilglicosidi (non-ionici) ad ottenere microemulsioni con fase olio sotto l’1% in xilene per la rimozione di paraloid B72 degradato. Altre formulazioni a base di tensioattivi ionici sono state utilizzate valutando la possibilità di usare soluzioni acquose di carbonato di ammonio, quale fase disperdente della microemulsione, per intervenire su superfici lapidee e murali contaminate da residui organici e croste nere. Gli impacchi di carbonato di ammonio sono in grado di disgregare le patine ed agevolare la rimozione dei composti organici sintetici da parte della fase olio dispersa. Il presente lavoro riporta i risultati principali degli interventi eseguiti su alcune pitture murali in Siena, trattate con paraloid B72, e su pitture alluvionate in Firenze. I processi di rimozione si sono rivelati completi e del tutto soddisfacenti. Numerosi tets sono stati, infine, eseguiti allo scopo di ottenere gel capaci di caricare tali microemulsioni. In particolare sono state studiate le potenzialità applicative di alcuni gelificanti a base di acrilammide legati a nanoparticelle magnetiche recentemente sintetizzate nei laboratori del CSGI. La possibilità di ottenere gel chimici responsivi a stimoli fisici quali un campo magnetico può consentire la perfetta rimozione di ogni residuo di gel dalla superficie trattata. 85 APPROCCI QSAR PER L’ IDENTIFICAZIONE DI COMPOSTI CHIMICI PERSISTENTI, BIOACCUMULABILI E TOSSICI (PBTs), COME SUPPORTO PREDITTIVO PER IL REACH E LA CHIMICA SOSTENIBILE Ester Papa e Paola Gramatica Unità di Ricerca QSAR in Chimica Ambientale ed Ecotossicologia, Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, Università dell’Insubria, via Dunant 3, Varese. e-mail: [email protected] I composti chimici, che sono contemporaneamente persistenti, bioaccumulabili e tossici (i PBT) sono al centro dell’attenzione sia della Green Chemistry (tra i cui principi fondamentali è inclusa la progettazione di composti meno persistenti e meno tossici) sia della nuova normativa europea REACH (che richiede per i PBT la più severa fase dell’autorizzazione e la verifica di possibili alternative più “sicure”). La preoccupante realtà di una limitata disponibilità di dati sperimentali relativi alle caratteristiche in esame e la conseguente generale mancanza di conoscenze per la maggior parte dei composti esistenti nell’ambiente e sul mercato impone la scelta di approcci integrati che permettano di sfruttare al massimo le scarse conoscenze attualmente esistenti. In questo ambito si colloca la modellistica predittiva a base strutturale QSAR (Quantitative Structure Activity Relationships), che, partendo dai pochi dati noti permette l’ottenimento di dati predetti anche per nuove molecole, addirittura prima della loro sintesi e consente quindi la stesura di liste di priorità. I modelli QSAR, purchè validati secondo i criteri OECD, sono stati anche inclusi nell’ambito del REACH, in quanto permetteranno di ridurre gli elevati costi attesi, come pure la sperimentazione animale. Nella comunicazione viene presentato un approccio multivariato a base strutturale (che combina metodi chemiometrici e modellistica QSAR) per l’individuazione di composti PBT già esistenti, come pure per la progettazione di composti alternativi più sicuri. Il modello di regressione lineare sviluppato, basato su semplici descrittori molecolari, ha prestazioni confrontabili con il PBT-Profiler dell’US-EPA, ma è molto più semplice ed è stato validato su diversi gruppi di composti già inseriti come PBT in liste EU e USA. Bibliografia Gramatica, P.; Papa,E. Environ. Sci. Technol., 2007, DOI: 10.1021/es061773b. Papa, E.; Dearden, J.; Gramatica, P. Chemosphere, 2007, 67, 351-358. E.Papa, E; Villa, F.; Gramatica, P. J. Chem. Inf. Model 2005, 45,1256-1266. 86 INQUINANTI ORGANICI EMERGENTI IN ECOSISTEMI SENSIBILI. IL CASO DEI RITARDANTI DI FIAMMA Vittorio Esposito, Annamaria Maffei, e Luisella De Vitis Consorzio I.N.C.A., Laboratorio Microinquinanti Organici di Lecce. c/o Università del Salento, Dipartimento di Ingegneria dell'Innovazione, Complesso Ecotekne – edificio 'La Stecca', 73100 Lecce, Italia. I ritardanti di fiamma sono una classe di additivi usati in moltissimi materiali allo scopo di prevenire il propagarsi di incendi in tutta una serie di beni di consumo che includono tessuti, mobili, ed elettrodomestici. Alla pari di altri inquinanti organici persistenti (POPs), questi composti possono venire rilasciati nell'ambiente e bioaccumularsi attraverso la catena alimentare a causa della loro bassa biodegradabilità ed elevata affinità per i tessuti grassi. La causa della crescente preoccupazione verso questi inquinanti è dovuta alla mole di evidenze scientifiche sui potenziali effetti diossina-simili sulla salute umana, come ad esempio carcinogenicità, interferenze con il sistema endocrino, e neurotossicità. I polibromo difenileteri (PBDEs) sono un sottogruppo dei ritardanti di fiamma bromurati (BFR). Esistono tre tipi ti PBDE che sono comunemente chiamati Penta, Octa, e Deca BDE secondo il numero di atomi di bromo presenti nella molecola. L'Unione Europea ha condotto una valutazione del rischio associato all'uso e alla diffusione di queste sostanze nell'ambiente. Sulla base dei risultati ottenuti, l'uso di Penta e Octa BDE è stato vietato dal 2004 1 . L'uso del Deca BDE è stato regolamentato e sottoposto a restrizioni dalla Direttiva RoHS. Molti laboratori hanno iniziato a proporre ed effettuare l'analisi di PBDE in matrici ambientali e molti e diversi protocolli sono stati sviluppati per quantificare le concentrazioni dei singoli congeneri al livello di ultratraccia. La maggior parte di questi metodi sono basati su procedure già esistenti per composti simili come le diossine e i PCB e questo ha facilitato il rapido sviluppo della capacità ad analizzare i PBDE in varie matrici. Tuttavia, quando queste classi di inquinanti sono contemporaneamente presenti negli estratti questo approccio ha la conseguenza di essere esposto ad interferenze e può portare ad interpretazioni erronee dei risultati. Saranno presentati risultati di una ottimizzazione della procedura per minimizzare questi effetti 2 . Nell'ambito della sua attività di analisi di microinquinanti organici, il Laboratorio INCA di Lecce conduce studi sulla presenza di PBDEs in campioni sottoposti alla concomitante analisi di diossine e PCB. Di questa attività saranno illustrati i risultati preliminari. 1 DIRECTIVE 2003/11/EC OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL 2 Esposito, Aries, Anderson, Fisher, unpublished results. 87 RELAZIONE ATTIVITÀ–STRUTTURA DI NITRO-DERIVATI DI IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI Vito Librando, Andrea Alparone Centro Universitario di Ricerca per l’Analisi, il Monitoraggio e le Metodologie di Minimizzazione del Rischio Ambientale e Dipartimento di Scienze Chimiche, Università di Catania Viale A. Doria 6, 95125 – Catania, Italia email: [email protected], [email protected] I nitro-derivati degli idrocarburi policiclici aromatici (N-IPA) costituiscono una classe di inquinanti di notevole interesse ambientale. Si formano prevalentemente nei processi di combustione e da reazioni in atmosfera tra IPA ed ossidi di azoto, contribuendo al particolato atmosferico.1 Molti N-IPA e loro metaboliti sono caratterizzati da elevata attività biologica, mostrando alti livelli di tossicità su cellule e mutagenicità e carcinogenicità su batteri e mammiferi.2,3 É stato dimostrato che le caratteristiche strutturali ed elettroniche dei N-IPA influenzano significativamente la loro attività biochimica. In particolare l’orientazione del piano del nitro gruppo rispetto al piano degli anelli aromatici è stato spesso correlato all’attività biologica. In genere molecole con il nitro gruppo orientato perpendicolarmente o quasi al sistema aromatico presentano più bassi valori di attività mutagenica e/o tumorale di omologhe planari o quasi planari.4 I principali percorsi di attivazione metabolica che portano alla formazione di addotti con il DNA e all’induzione di mutazioni prevedono l’interazione intermolecolare tra il sito attivo dell’enzima e il substrato e successivamente reazioni di ossidazione del sistema aromatico, di nitroriduzione o loro combinazioni.1-3 É pertanto molto importante determinare quelle proprietà chimico-fisiche come la struttura, il momento dipolare, la polarizzabilità elettronica, il potenziale di ionizzazione, l’affinità elettronica, in grado di controllare le varie fasi di attivazione metabolica del DNA. A tale scopo risulta essere molto vantaggioso l’impiego di metodi computazionali, in grado di fornire accurate previsioni delle suddette proprietà in tempi relativamente brevi e a bassi costi. Verrano illustrati e discussi recenti risultati su proprietà elettroniche e strutturali di isomeri di importanti N-IPA quali, nitronaftaleni, nitroantraceni, nitrofenantreni e nitrobenzo[a]pireni ottenute mediante metodi di calcolo quantomeccanico di tipo semiempirico (PM6), ab initio (HF, MP2) e di teoria della densità funzionale (B3LYP), con lo scopo di fornire correlazioni con l’attività mutagenica. 1 Tokiwa, H.; Ohnishi, Y. Crit. Rev. Toxicol., 1986, 17, 23-60. Fu, P. P., Drug. Metab. Rev., 1990 , 22, 209-268. 3 Howard, P. C.; Hecht, S. S.; Beland, F. A. (Eds.), In Nitroarenes: The Occurrence, Metabolism and Biological Impact, Vol. 40, Plenum Press, NY, 1990. 4 Li, Y. S.; Fu. P. P.; Church, J. S. J. Mol. Struct., 2000, 550-551, 217-223 e riferimenti all’interno. 2 88 EMERGING CONTAMINANTS IN THE AQUATIC ENVIRONMENT: EFFECTS ON A SENTINEL ORGANISM, THE MUSSEL MYTILUS Laura Canesia*, Caterina Ciaccib, Lucia Cecilia Lorussob, Michele Bettib, Gabriella Galloa, Giulio Poianac, Antonio Marcominic. a Dipartimento di Biologia, Università di Genova; bIstituto di Scienze Fisiologiche, Università “Carlo Bo” di Urbino; cUniversità Ca’ Foscari di Venezia. Advanced environmental analysis is revealing the widespread occurrence of different classes of emerging environmental contaminants (including endocrine disrupting chemicals-EDC, pharmaceuticals and personal care products-PPCPs, nanoparticles, etc.) in aquatic ecosystems. Increasing environmental exposure to these ‘new’ contaminants raised concern on their possible mechanisms of toxicity and consequent health hazard not only in humans, but also in aquatic organisms. Data are here summarised on the in vitro and in vivo effects of different emerging contaminants in a model aquatic invertebrate, the blue mussel Mytilus, that is widely utilised as a sentinel organism in biomonitoring programs. In vitro studies in mussel blood cells demonstrated that individual EDCs and PPCPs interfere with the signalling pathways involved in mediating cellular responses to environmental and hormonal signals, thus affecting the immune function. These effects were confirmed in vivo, in mussels exposed to different compounds, both individually and in mixtures; moreover, in mussel hepatopancreas, significant changes in the activity of metabolic enzymes, gene expression and biomarkers of stress were observed. The results indicate that these emerging contaminants can affect basic aspects of mussel physiology at environmental exposure levels. Finally, the potential for ecological toxicity associated with nanomaterials was considered. Because of the fast development of nanotechnology productions, nanoscale products and by products are expected to enter the aquatic environment. Data are reported here on the effects and modes of action of nanosized carbon black (CB) particles on mussel immune response and inflammation. 1. Oberdörster G.; Oberdörster E.; Oberdörster J. Nanotoxicology: an emerging discipline evolving from studies of ultrafine particles. Environ. Health Perspect., 2005, 113, 823839. 2. Fent, K.; Weston, A.A.; Caminada, D.; 2006. Ecotoxicology of human pharmaceuticals. Aquat. Toxicol. 2006, 76, 122-159. 89 IL PROCESSO NEUTREC®: UNA TECNOLOGIA DI RIFERIMENTO NELLA DEPURAZIONE DEI FUMI E NELLA VALORIZZAZIONE DEI PRODOTTI RESIDUI Stefano Brivio, Marco Riccio Solvay Chimica Italia SpA, Via Turati 12, 20121 Milano [email protected]; [email protected] La depurazione dei fumi, applicata sia all’attività industriale sia alla termovalorizzazione dei rifiuti, costituisce essa stessa un processo industriale, i cui residui devono essere trattati in un quadro di tutela dell’ambiente e delle sue risorse non rinnovabili. E’ in questo contesto che s’inserisce il Processo NEUTREC®, messo a punto e brevettato da SOLVAY, in quanto consente da una parte una depurazione efficace dei fumi e dall’altra il recupero della quasi totalità dei prodotti di risulta, determinando così una drastica riduzione della quantità di rifiuti destinati alla discarica. Il Processo NEUTREC® permette di realizzare l’abbattimento delle componenti acide presenti nei fumi, utilizzando il bicarbonato di sodio, opportunamente macinato fino a raggiungere la granulometria ottimale per la resa del processo. Quest’ultimo si articola in due fasi: ¾ La depurazione dei fumi propriamente detta; ¾ Il trattamento e la valorizzazione dei prodotti derivanti dalla depurazione. Il prodotto viene iniettato a secco nei fumi, a valle dell’ultima sezione di recupero energetico e prima dello stadio di depolverazione finale, rendendo possibile il pieno rispetto dei limiti previsti dalla legislazione in materia di emissioni in atmosfera. L’estrema reattività del bicarbonato di sodio è legata alla sua elevatissima superficie specifica, dovuta alla natura del processo di attivazione del reagente ed alla macinazione alla quale il prodotto è sottoposto. Il bicarbonato di sodio può essere combinato con carbone attivo, agendo così oltre che sulle componenti acide, anche sui metalli pesanti, sulle diossine e sui furani. I benefici della tecnologia NEUTREC® si riassumono quindi nell’assenza di emissioni di sostanze inquinanti, nel limitato consumo di reagente, nella quantità minima di residui ultimi, nella semplicità e flessibilità impiantistica e gestionale, nella completa adattabilità all’evoluzione delle normative. Il reagente basico utilizzato è un prodotto neutro, non corrosivo, non irritante e atossico e quindi agevolmente maneggiabile, oltre che utilizzabile in un ampio spettro di condizioni operative e di applicazioni che vanno dalla termovalorizzazione dei rifiuti urbani, industriali e sanitari, a settori industriali diversi quali la fusione secondaria dei metalli, la produzione del vetro, l’industria della ceramica e dei laterizi, i cementifici. Inoltre il processo NEUTREC® di depurazione fumi presenta l’ulteriore vantaggio di aver luogo interamente a secco e di non produrre, quindi, alcun refluo liquido. Infine, nel caso di ulteriori restrizioni normative, non sono necessarie modifiche impiantistiche della linea di trattamento fumi, ma semplicemente l’aumento del quantitativo di bicarbonato utilizzato. Con l’approvazione del Decreto Legislativo 22/97 (Decreto Ronchi) si è manifestata la volontà legislativa di attuare un cambiamento di rotta, prevedendo la riduzione alla fonte della quantità di rifiuti, il riutilizzo dei prodotti finiti, il riciclo delle materie ed il recupero di energia dai rifiuti stessi. 90 In quest’ambito, SOLVAY ha messo a punto una tecnologia dedicata che consente di recuperare e valorizzare i Prodotti Sodici Residui (P.S.R.), derivanti dalla depurazione dei fumi acidi con bicarbonato di sodio, sottoforma di una salamoia satura di sali sodici costituente una materia prima utilizzabile in cicli industriali. Tale recupero viene realizzato su scala industriale in un impianto dedicato, sito a Rosignano (LI) e gestito dalla società SOLVAL (filiale al 100% SOLVAY). Tale impianto dedicato, autorizzato al trattamento di circa 13.000 tonnellate di Prodotti Sodici Residui (P.S.R.), è strutturato su tre sezioni (dissoluzione, filtrazione e rettifica finale), che permettono l’ottenimento di una salamoia depurata satura di sali di sodio. Oggi il processo NEUTREC® viene utilizzato in oltre sessanta impianti in Italia, e in un centinaio circa di installazioni europee. Questa specifica applicazione industriale del bicarbonato di sodio permette una gestione responsabile delle risorse naturali non rinnovabili e, pertanto, il processo si presenta come una soluzione “pulita” al problema dello smaltimento dei rifiuti. 91 RIMOZIONE DI SREGOLATORI ENDOCRINI (EDC) MEDIANTE TRATTAMENTI BIOLOGICI INNOVATIVI Lydia Balest, Giuseppe Mascolo, Claudio Di Iaconi, Antonio Lopez CNR, Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA), via F. De Blasio 5, 70123 Bari. e-mail: [email protected], [email protected] I composti organici noti come sregolatori endocrini (Endocrine Disrupter Compounds, EDC) preoccupano la comunità scientifica internazionale per gli effetti che possono indurre sia sulla salute umana che sull’ambiente. Si ritiene, infatti, che molti composti organici appartenenti a differenti classi (alchilfenoli, policlorobifenili, pesticidi, fitoestrogeni, estrogeni sintetici) possano influenzare il sistema ormonale degli animali. In particolare, è noto che gli estrogeni possono causare effetti avversi sulla salute di un organismo, oppure della sua progenie, anche quando sono presenti a concentrazioni molto basse (ng/L), mentre altri EDC manifestano la loro attività a concentrazioni più alte (μg/L). Gli EDC, sia di origine estrogenica che di altra natura (per esempio gli alchilfenoli), sono presenti anche in acque reflue municipali dalle quali, durante lo stadio di ossidazione biologica con i tradizionali fanghi attivi, vengono rimossi con rese molto basse raggiungendo così i corpi idrici recettori dove possono causare i citati effetti negativi. Attualmente, nel settore della depurazione biologica di reflui civili e/o industriali, grande interesse è rivolto allo sviluppo di trattamenti innovativi che risultino più efficienti di quelli a fanghi attivi, in termini di rimozione del COD, e contemporaneamente producano minor quantità di fango biologico da smaltire nell’ambiente. In questo ambito, presso IRSA-CNR è stata sviluppata una nuova tecnologia che utilizza biomassa granulare (Sequential Batch Biofilter Granular Reactor: SBBGR) e che si caratterizza per mantenere un’elevata concentrazione di biomassa nel reattore (fino a 40 g biomassa/L) ed una produzione di fango molto bassa. Nel presente lavoro vengono riportati i risultati di un’indagine mirata a verificare l’efficacia di questa tecnologia SBBGR per la rimozione di alcuni EDC presenti nei liquami urbani di un impianto di depurazione municipale. Lo studio è stato focalizzato sulla rimozione dell’estrone (E1), del 17β-estradiolo (E2), del 4-t-octilfenolo (4tOP) e del bisofenolo A (BPA) che sono stati gli EDC identificati nel refluo preso in considerazione. L’obiettivo dello studio è stato quello di verificare l’efficienza della tecnologia SBBGR per la rimozione dei vari EDC e di confrontare le efficienze di rimozione con quelle ottenute nell’impianto municipale che opera con il processo convenzionale a fanghi attivi. Dei campioni compositi, rappresentativi di 24 ore di funzionamento, sono stati prelevati per diversi mesi all’ingresso e all’uscita dell’impianto municipale oltre che all’uscita dell’impianto SBBGR che trattava lo stesso refluo. I risultati hanno mostrato che con l’impianto SBBGR si ottengono rimozioni maggiori che con quello municipale. Infatti, con l’SBBGR la rimozioni medie sono state: per il BPA 91,8% rispetto al 71,3 %, per l’E1 62,2% rispetto a 56,4%, per l’E2 68,0% rispetto a 36,3% e per il 4tOP 77,9 rispetto al 64,6%. Questi risultati sono consistenti con l’elevata età del fango dell’impianto SBBGR (circa 180 giorni). 92 INQUINANTI PRIORITARI IN BACINI MARINO COSTIERI: ANALISI ED IPOTESI DI RECUPERO AMBIENTALE Luigi Lopez a, Nicola Cardellicchio b a Dipartimento di Chimica Università di Bari, via Orabona 4, 70124 Bari b Istituto CNR “IAMC” via Roma 3,I-74100 , Taranto e-mail: [email protected] Il degrado ambientale, in particolare dei bacini marino costieri di Taranto, è una diretta conseguenza dell’incremento demografico con le sue mutate esigenze socio-economiche, dell’industrializzazione e del crescente sfruttamento delle coste. Tutto questo ha determinato l’immissione nei corpi idrici recettori di un enorme quantità di inquinanti organici (POPs, PPCPs, PPPs) con effetti sulle risorse economiche e sullo stato di salute degli organismi animali e vegetali e sull’uomo, anello terminale della catena trofica. Trascurando il notevole apporto di inquinanti provenienti dal fall-out di polveri sottili, il nostro interesse si è concentrato sull’apporto di inquinanti derivanti dallo sversamento di acque reflue nei bacini in oggetto e del loro conseguente accumulo nei sedimenti e/o nella colonna d’acqua soprastante.1-3 Ipotesi di recupero ambientale, alternative al processo di dragaggio dei sedimenti, verranno discusse. Bibliografia 1. Cardellicchio, N.; Buccolieri,A.; Giandomenico, S.; Lopez, L.; Pizzulli, F.; Spada, L. Marine Pollution 2007 in press 2. Cardellicchio, N.; Buccolieri,A.; Giandomenico, S.; Lopez, L.; Pizzulli, F.; Lerario, V. Annali di Chimica 2006, (96), 51-64. 3. Cardellicchio, N.; Giandomenico, S.; Lopez, L.; Lerario, V. Annali di Chimica 2003, (93), 397-406. 93 ANALISI DI SENSITIVITA’ E DI INCERTEZZA DI UN MODELLO DI BIOACCUMULO DI POP APPLICATO ALLA LAGUNA DI VENEZIA Stefano Ciavattaa, Tomas Lovatob, Christian Michelettia, Roberto Pastresc a Consorzio Venezia Ricerche, Via della Libertà, 12 - 30175 Venezia e-mail: [email protected] b Dipartimento di Scienze Ambientali, Università di Venezia, Dorsoduro 2137, 30123 Venezia; c Dipartimento di Chimica Fisica, Università di Venezia, Dorsoduro 2137, 30123 Venezia; L’analisi quantitativa del bioaccumulo di sostanze potenzialmente tossiche lungo la rete trofica negli ecosistemi acquatici naturali riveste una rilevante importanza nell’ambito dell’ecotossicologia ambientale e dell’analisi di rischio, anche in relazione alla recente normativa europea in tema di tutela delle acque (2000/60/CE, Water Framework Directive), che prevede di valutare lo stato di qualità dei corpi idrici considerando lo stato di salute degli organismi che li popolano. Il bioaccumulo di una sostanza inquinante può essere valutato in base a misure sperimentali utilizzando quali parametri di riferimento i fattori di bioconcentrazione (BCF) e di bioaccumulo (BAF). Tuttavia, i dati empirici risultano spesso incompleti, soprattutto per quanto riguarda la concentrazione dei contaminanti nei comparti biotici. In queste circostanze, come dimostrano ormai numerose pubblicazioni (van der Oost et al., 2003; Arnot e Gobas, 2004) l’utilizzo di modelli numerici è una valida alternativa per la stima dei BCF e BAF. Sebbene tali modelli siano ormai ampiamente utilizzati, in letteratura non sono finora stati presentati studi che mirino, da un lato, a quantificare l’incertezza delle riposte del modello dovuta all’incertezza dei numerosi dati di ingresso, attraverso l’Uncertainty Analysis (UA) e, dall’altro, ad ordinare le cause di incertezza in base alla loro importanza, attraverso la Sensitivity Analysis (SA). Tale analisi di incertezza/sensitivita’ risulta di particolare importanza soprattutto se si intende utilizzare il modello a fini gestionali. In questo lavoro, sono presentati i risultati preliminari dell’analisi di incertezza e dell’analisi di sensitività (UA/SA) globali e di un modello di bioaccumulo (Arnot e Gobas, 2004) recentemente applicato alla valutazione delle concentrazioni di PCBs e PCDD/Fs in alcuni organismi acquatici che popolano la Laguna di Venezia (Lovato et al, 2005). I fattori di incertezza presi in esame sono relativi i) ai dati ambientali di input, quali temperatura dell’acqua, la concentrazione dell’ossigeno disciolto e dei solidi sospesi ecc.; ii) parametri chimico-fisici del modello, quale la costante di ripartizione ottanolo/acqua e iii) parametri biologici quali i tassi di accrescimento e di detossificazione degli organismi. Utilizzando metodologie di UA/SA globali, è stata valutata quantitativamente l’incertezza dell’output in relazione all’incertezza associata ai diversi parametri e ai dati di ingresso del modello. In particolare, i risultati evidenziano che i valori utilizzati per le costanti di ripartizione e la formulazione adottata per la rappresentazione dell’interazione tra bioaccumulo e la forzante climatica, ovvero la temperatura, risultano i fattori più rilevanti nel determinare la distribuzione degli inquinanti lungo la rete trofica presa in esame. Bibliografia Arnot, J.A.; Gobas, F.A.P.C. Environ. Toxicol. Chem. 2004, 23, 2343-2355. Lovato, T.; Micheletti, C.; Pastres, R.; Marcomini, A. Scientific Research and safeguarding of Venice, Research Programme 2004-2007, Ed. Campostrini P., 2005, Volume IV. Oost R van der; Beyer, J.; Vermeulen, NPE. Environ. Toxicol. Pharmacol. 2003, 13, 57–149. 94 FOTODEGRADAZIONE DI FARMACI IN CONDIZIONI AMBIENTALI Marina DellaGreca, Maria Rosaria Iesce, Sara Montanaro, Lucio Previtera, Maria Rubino, Fabio Temussi Dipartimento di Chimica Organica e Biochimica, Università di Napoli Federico II, Complesso Universitario Monte S. Angelo, Via Cintia 4, I-80126 Napoli, Italy e-mail: [email protected] Il problema dell’inquinamento legato all’immissione di vari xenobiotici nei sistemi acquatici ha comportato l’introduzione di numerose normative che stabiliscono le informazioni minime per l’ammissibilità di tali sostanze. Tali normative, che riguardano prodotti fitosanitari principalmente, prevedono una valutazione del loro potenziale impatto ambientale con riferimento non solo al composto parentale ma anche ai metaboliti. Poco è stato finora fatto per i farmaci che solo di recente sono entrati a far parte della categoria di inquinanti ambientali (1). Numerose sono le fonti di immissione nell’ambiente: dallo smaltimento di scorie industriali alla introduzione nei corpi idrici dovuta agli effluenti degli impianti di depurazione civile non sempre efficaci per la rimozione di tali inquinanti. Il grave limite per un’indagine che riguarda i farmaci e i loro metaboliti è legato non solo alla necessità di tecniche analitiche sensibili ma anche alla mancanza di dati riguardanti il destino e il comportamento ambientale di tali sostanze. In questo ambito si inquadra il nostro studio che riguarda la degradazione in condizioni ambientali di farmaci ritrovati nei sistemi acquatici, con particolare riferimento alla fotolisi e all’idrolisi (2). In tale comunicazione si riportano i più recenti risultati relativi alla fotodegradazione in acqua di alcuni farmaci di natura eterociclica. Nell’indagine particolare attenzione è stata data all’isolamento e alla caratterizzazione dei prodotti di degradazione al fine di poterli utilizzare in saggi di tossicità e/o a scopi analitici. Bibliografia 1. Kummerer K., in: K. Kummerer (Eds.), Pharmaceuticals in the Environment, SpringerVerlag, Heidelberg, 2004, pp. 3-11. 2. DellaGreca M., Iesce M.R., Isidori M., Nardelli A., Previtera L., Rubino M.; Chemosphere 2007, 67, 1933-1939 95 96 SESSIONE POSTER BC: BENI CULTURALI 97 98 BC01 ENZIMI LIPOLITICI NEL RESTAURO: STUDIO APPLICATIVO PER LA RIMOZIONE DI SOSTANZE FILMOGENE NATURALI Michela Berziolia, Elisa Campania, Antonella Casolia, Paolo Cremonesib a Dipartimento di Chimica Generale e Inorganica, Chimica Analitica, Chimica Fisica Università degli Studi di Parma, V.le G.P. Usberti 17/A, 43100 – Parma b Cesmar7, via Lombardia 41/43, Savonara (PD) e-mail: [email protected] Nelle applicazioni al restauro di opere policrome, l’uso degli enzimi può risolvere situazioni conservative molto complesse, ma fino ad ora non è stato sostenuto da studi sistematici e con un adeguato approfondimento analitico. In particolare, tra i vari tipi di enzimi idrolitici, quelli lipolitici, sono i meno studiati; al punto che vi sono risultati molto discordanti sulla loro attività. In questo lavoro sono stati condotti studi finalizzati alla comprensione dell’azione degli enzimi lipolitici su materiali naturali (oli siccativi, cera) che il restauratore si trova spesso a dovere rimuovere in operazioni di pulitura o finalizzate al consolidamento. La maggior parte delle informazioni oggi disponibili sull’attività enzimatica riguarda l’ambito della biologia e delle biotecnologie; pertanto, la loro validità su substrati strutturalmente e matericamente così differenti come i manufatti artistici deve essere sistematicamente verificata. Lavorando prima su stesure appositamente preparate in laboratorio poi anche su manufatti reali, sono state effettuate numerose esperienze, allo scopo di individuare le migliori condizioni di impiego degli enzimi, valutare la loro attività e la possibilità di completa rimozione dell’enzima stesso dall’opera d’arte una volta che ha esplicato l’azione richiesta. Per la ricerca sono state impiegate tecniche spettrofotometriche e gascromatografiche. Dai risultati ottenuti, si è confermato che l’uso degli enzimi si configura come un’alternativa più selettiva e meno tossica rispetto ai tradizionali metodi di intervento sui manufatti artistici, basati sull’uso di solventi ed alcali. Bibliografia 1)Bellucci R.; Cremonesi P.; Kermes arte e tecnica del restauro, Nardini, Firenze, 1994, 21, 45-64. 2)Cremonesi P., L’Uso degli Enzimi nella Pulitura di Opere Policrome, Seconda Edizione, I Talenti – Metodologie, tecniche e formazione nel mondo del restauro, 4, Il Prato, Padova 2002. 99 BC02 STUDIO PRELIMINARE PER L’UTILIZZO DI GEL RIGIDI DI AGAR E AGAROSIO NEL RESTAURO DELLE OPERE POLICROME Elisa Campania, Antonella Casolia, Paolo Cremonesib, Ilaria Saccania, Erminio Signorinib a Dipartimento di Chimica Generale e Inorganica, Chimica Analitica, Chimica Fisica Università degli Studi di Parma, viale G.P. Usberti 17/a, Parma b Cesmar7, via Lombardia 41/43, Savonara (PD) e-mail: [email protected] L’acqua è la sostanza necessaria, talora addirittura insostituibile, a compiere numerose operazioni nel restauro di svariati manufatti artistici: da operazioni di pulitura dell’immagine pittorica, dove in anni recenti i metodi acquosi sono andati ad affiancare i solventi organici più consolidati nella tradizione, ad operazioni di carattere più strutturale (umidificazione, consolidamento, foderatura…). Quando sia necessario controllare le proprietà superficiali dell’acqua, si fa comunemente ricorso alle sostanze gelificanti (come i tradizionali Eteri di Cellulosa o il più recente Acido Poliacrilico) per aumentarne la viscosità ed avere così un apporto più controllabile, più lento, meno invasivo. Tra gli addensanti sono da annoverarsi anche materiali di uso più recente come l’Agar e l’Agarosio, complessi polisaccaridi derivanti dalle alghe dell’ordine delle Gracilariales e Gelidiales, in grado di formare gel ad altissima viscosità e perciò definiti “rigidi”; proprio questa caratteristica li rende adatti per l’apporto controllato d’acqua su opere sensibili a tale contatto, dato che il rilascio avviene in maniera estremamente graduale. Lo studio effettuato ha avuto come principale intento quello di verificare la sicurezza applicativa dei gel di Agarosio e Agar su manufatti policromi come i dipinti su tela; questi due materiali sono stati oggetto di confronto, dato l’Agar, per il suo minor costo, è più adatto ad essere utilizzato nel campo del restauro. A tale scopo, è stato sviluppato un protocollo per la preparazione dei gel; l’applicazione su supporti porosi (preventivamente lavati per eliminare sostanze che potessero inficiare le analisi successive) ha messo in luce che in entrambi i casi il rilascio d’acqua è uniforme e pertanto controllabile. Successivamente sono stati indagati gli eventuali residui organici passati nel supporto tramite FT-IR e GC-MS: le analisi hanno messo in evidenza che in particolare l’Agar non lascia permeare materiale polisaccaridico all’interno del supporto. L’ultima fase ha visto l’applicazione del gel di Agar su dipinti reali: il materiale ha permesso la rimozione di veline da un’opera, che si era dimostrata particolarmente sensibile all’acqua; oltre a ciò, si è dimostrato efficace per rigonfiare patinature di materiali idrofili apposte sul fronte del dipinto, nonché per la rimozione di residui di colla pasta o altri materiali dal retro della tela (mostrando tra l’altro un’azione più prudente rispetto agli altri addensanti). E. Campani, A. Casoli, P. Cremonesi, I. Saccani, E. Signorini, L’Uso di Agarosio e Agar per la Preparazione di “Gel Rigidi”- Use of Agarose and Agar for Preparing “Rigid Gels”, QUADERNO N.4 /CESMAR 7, Ed. IL PRATO, Padova 2007. 100 BC03 UNO STUDIO PER LA CONOSCENZA DEI LEGANTI PITTORICI DEL DIPINTO “SACRA CONVERSAZIONE” DI PALMA IL VECCHIO Elisa Campani, Antonella Casoli Dipartimento di Chimica Generale e Inorganica, Chimica Analitica, Chimica Fisica Università degli Studi di Parma, V.le G.P. Usberti 17/A, 43100 – Parma e-mail: [email protected] Recentemente è stata stipulata una convenzione nell’ambito del programma di rafforzamento istituzionale e assistenza tecnica del governo italiano ai Musei di Belgrado, coordinato dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma. Si è svolto un corso di aggiornamento professionale per i restauratori dei Musei Pubblici della Repubblica della Serbia, che si è concretizzato in un cantiere di restauro sull’opera di Jacopo Palma il Vecchio (Serina 1480 – Venezia 1528) denominata Sacra Conversazione, conservata presso il Palazzo Reale di Belgrado. Lo studio, rivolto all’identificazione dei materiali organici, è stato compiuto al fine di completare, con un ulteriore tassello, il quadro di conoscenze finalizzato alla comprensione della tecnica pittorica del dipinto. A questo scopo è stato necessario disporre di frammenti di materiale di dimensione submillimetrica. Si è scelto di studiare, per ogni punto di campionamento, un micro-frammento composto dallo strato pittorico e uno sottostante di strato preparatorio. Per la ricerca sono state impiegate la micro-spettrofotometria infrarossa a Trasformata di Fourier e la gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa. Lo studio ha evidenziato che tutti i campioni di strato pittorico mostrano la presenza di olio di noce. Si può ipotizzare con una certa ragionevolezza che la possibilità di utilizzare un olio siccativo con una minore tendenza all’ingiallimento rispetto all’olio di lino, rappresentava per Palma una maggiore garanzia di salvaguardia di quella armonia cromatica che egli creava nei suoi dipinti, fatta di colori chiari e brillanti, quasi sempre puri. Per ciò che riguarda il legante della preparazione, si possono fare alcune considerazioni alla luce dei risultati delle indagini effettuate sul dipinto di Belgrado, in cui, insieme alla colla, è stato trovato latte. Dal punto di vista tecnico, non è semplice comprendere la funzione del latte nella preparazione del dipinto poiché, per formulare ipotesi accettabili, bisognerebbe essere certi della modalità con la quale è stato inserito fra i materiali costitutivi. Ci si chiede innanzitutto se il latte sia stato mischiato all’impasto del gesso e colla o piuttosto steso sulla superficie ultimata, per farlo penetrare nella preparazione già asciutta; più probabile sembrerebbe la seconda soluzione perché in questo caso, il latte sarebbe funzionale al fissaggio e consolidamento di una preparazione forse troppo fragile. AA. VV. Sacra Conversazione di Palma dipinto su tavola di Belgrado, Artemide, 2007, Roma. 101 il Vecchio. Restauro del BC04 LA DIAGNOSTICA CHIMICA PER IL MONITORAGGIO DELLO STATO DI CONSERVAZIONE DEL PATRIMONIO MONUMENTALE Paola Croveri, Oscar Chiantore Dipartimento di Chimica I.F.M. e Centro NIS, Superfici e Interfasi Nanostrutturate, Università degli Studi di Torino, Via P. Giuria 7, 10125 Torino. E-mail: [email protected], [email protected] Il patrimonio monumentale delle città storiche italiane è sempre più insidiato da molteplici concause, quasi sempre di origine antropica, che concorrono ad aggravarne lo stato di conservazione ed accelerarne il degrado. Mutamenti climatici e notevoli alterazioni nella composizione dell’atmosfera nelle aree urbane stanno trasformando le fenomenologie di degrado dei materiali esposti e le loro cinetiche. Inquinanti gassosi e in forma condensata, aerosol e micropolveri, attivano nuovi processi chimico-fisici all’interfaccia monumentoambiente sia essa costituita dai materiali originali costituenti l’opera che da materiali di restauro applicati con funzione di barriera protettiva nei confronti degli agenti di degrado esterni. Interventi di restauro, dispendiosi ed invasivi per l’opera, si rendono necessari ad intervalli sempre più ravvicinati per arginare i danni estetici e materiali prodotti dall’inquinamento dell’aria delle nostre città. La conoscenza approfondita delle condizioni ambientali di contorno, lo studio dei meccanismi e delle cinetiche delle reazioni di degrado indotte dagli agenti inquinanti, l’analisi dell’efficacia nel tempo dei materiali impiegati per la conservazione delle superfici risultano essere punti cardine per poter pianificare delle politiche di salvaguardia del patrimonio fondate sul concetto di monitoraggio programmato che rende possibile predisporre attività di manutenzione ordinaria dei manufatti, adeguate sia da un punto di vista conservativo che economico. Il Dipartimento di Chimica I.F.M dell’Università degli Studi di Torino, nell’ambito di un progetto svolto in collaborazione con il Settore Edifici Storici della Città di Torino e finalizzato a sviluppare una appropriata metodologia per il controllo dello stato di conservazione dei monumenti presenti nell’area cittadina, ha affrontato diversi casi studio che hanno permesso di approfondire, con l’ausilio di molteplici tecniche di diagnostica chimica, le problematiche relative alle cause e agli effetti del degrado dei manufatti esposti. L’inquinamento dell’aria, quale causa ambientale primaria di degrado urbano, è stato esaminato nello specifico studiando il particolato atmosferico e i componenti gassosi aerodispersi. La componente organica adsorbita nelle polveri incoerenti depositate sulle superfici e nelle croste nere è stata estratta ed analizzata mediante pirolisi gas-massa (Py-GCMS). E’ stata inoltre studiata l’influenza di alcuni composti organici riscontrati come inquinanti (pirene e fluorantene, IPA) sull’invecchiamento di protettivi polimerici acrilici (Paraloid B72, Paraloid B44, Incralac). L’esposizione ad inquinanti gassosi di monumenti localizzati in zone significative della città è stata valutata con una campagna di rilevazione (NOx, SO2, O3, gas acidi) mediante campionatori passivi. La presenza di Sali solubili quali fattori di degrado in matrici lapidee è stata indagata mediante spettroscopia infrarossa (FT-IR) e diffrazione di raggi X (XRD) mentre lo studio della componente solubile delle patine di corrosione del bronzo è stato effettuato mediante cromatografia ionica (IC). Gli effetti del deterioramento delle superfici lapidee e metalliche esposte sono stati indagati attraverso una accurata caratterizzazione dei prodotti di degrado: depositi, croste nere, patine 102 di alterazione e di corrosione. Studiati dal punto di vista colorimetrico mediante spettrofotometro di riflettanza e morfologicamente mediante videomicroscopia in-situ, i prodotti di neoformazione e le patine di corrosione sono state caratterizzati chimicamente con l’ausilio della spettroscopia infrarossa (FT-IR), della diffrazione di raggi X (XRD) e della spettroscopia elettronica con microsonda EDX (SEM-EDX). Lo studio diagnostico dei materiali lapidei, delle leghe bronzee e dei loro fenomeni di alterazione e corrosione fornisce un approfondimento conoscitivo dei fenomeni di degrado presenti in area torinese consentendo altresì l’impostazione di una corretta metodologia per le operazioni di pulitura, consolidamento e protezione da impiegare nei restauri conservativi dei monumenti esaminati. 103 BC05 INDAGINI EPR SU LEGNI MODERNI E ANTICHI Antonella Maccottaa, Maurizio Marraleb, Maria Braib, Paola Fantazzinic a Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi, Università di Siena, Via A. Moro 2, 53100 Siena, Italy, e-mail: [email protected] b Dipartimento di Fisica e Tecnologie Relative, Università di Palermo, Viale delle Scienze, Edificio 18, 90128 Palermo, Italy c Dipartimento di Fisica, Università di Bologna, Viale Berti Pichat 6/2, 40127 Bologna, Italy Il degrado del legno costituente manufatti di interesse storico-artistico-archeologico comporta la formazione di vari radicali a partire dalle macromolecole che costituiscono la matrice lignea (cellulosa, lignina, emicellulosa) [1]. Tra le metodologie non distruttive in grado di fornire informazioni su questi radicali liberi può risultare di grande interesse la Risonanza Paramagnetica Elettronica (EPR). Di recente è stato intrapreso uno studio EPR su varie essenze lignee sia stagionate che degradate per investigare la presenza di radicali liberi nel legno non irradiato [2]. I primi risultati mostrano che la tipologia e il numero relativo di specie paramagnetiche dipende dal taxon ligneo e che il legno degradato presenta un segnale EPR molto più intenso rispetto allo stesso legno non degradato, indicando così che il numero di radicali può essere una misura del degrado del legno. L’aumento del numero di radicali può inoltre spiegare l’aumento dei tempi di rilassamento protonico NMR osservato nei campioni degradati [3]. Bibliografia 3. R. A. Wach, H. Mitomo, F. Yoshii, ESR investigation on gamma-irradiated methylcellulose and hydroxyethylcellulose in dry state and in aqueous solution, Journal of Radioanalytical and Nuclear Chemistry, Vol. 261, No. 1 (2004) 113-118 4. M. Brai, A. Maccotta, M. Marrale, Indagini EPR su campioni lignei, I Workshop – Tecniche di analisi non distruttive di materiali lapidei naturali e artificiali nei Beni Culturali, Palermo, 22 febbraio 2007. 5. P. Fantazzini, A. Maccotta, M. Brai, Rilassometria NMR in legni moderni e in legni trattati e non trattati provenienti da una statua lignea del XVI secolo, I Workshop – Tecniche di analisi non distruttive di materiali lapidei naturali e artificiali nei Beni Culturali, Palermo, 22 febbraio 2007. 104 BC06 DIAGNOSTICA DI ALTERAZIONI CHIMICHE E BIOLOGICHE SU CARTE ANTICHE PER MEZZO DI UN SEM-VP CON RIVELATORE BSD E SONDA EDS Flavia Pinzari, Mariasanta Montanari Istituto Centrale per la Patologia del Libro – Laboratorio di Biologia. Via Milano, 76. 00184 Roma. e-mail: [email protected] Lo studio delle carte e dei supporti cartacei per mezzo della microscopia elettronica è indirizzato da un lato alla ricostruzione della storia dei materiali e degli oggetti (archeologia del libro) attraverso la ricerca di indizi merceologici, e dall’altro allo studio di modificazioni strutturali nella trama delle fibre di cellulosa, o di situazioni di deterioramento chimico e/o biologico capaci di spiegare fenomeni degradativi altrimenti non riconducibili a cause univoche. In tutti questi casi il microscopio elettronico a scansione (SEM) porta un contributo decisivo e permette spesso di integrare le informazioni quantitative ottenute con metodi chimici e fisici, con aspetti qualitativi di rilievo. Attualmente esistono strumenti che operano con una nuova tecnologia dove la camera in cui viene posto il campione è in basso vuoto (10750 Pascal) ed i campioni possono essere osservati senza essere prima fissati e metallizzati. In pressione variabile (VP) il SEM ha una risoluzione inferiore che in alto vuoto (circa 4.5 nm) ma permette ugualmente di ottenere utili informazioni. Inoltre i rivelatori che acquisiscono le immagini possono essere di diverso tipo e rilevare differenti risposte del campione all’eccitazione elettronica del fascio. Oltre infatti ai rivelatori di elettroni secondari (SE) esistono rivelatori per elettroni “retrodiffusi” (BSD, backscattered electron detector) che ricostruiscono un’immagine del campione basata sul numero atomico degli elementi chimici in esso presenti. Ciò rappresenta un avanzamento notevole per l’osservazione della superficie della carta in quanto l’immagine ottenibile rende conto sia della topografia delle fibre utilizzate per la manifattura che del materiale di carica che, in quanto minerale, viene visualizzato con un contrasto che ne premette uno studio dettagliato. A tale metodo di analisi microscopica è inoltre possibile unire la microanalisi (EDS, Energy Dispersive X.Ray Spectrometry) che permette di conoscere la composizione chimica elementare di quanto visualizzato con il SEM. Nel presente lavoro campioni di carta di pochi millimetri di diametro, ricavati da volumi di pregio affetti da alterazioni di varia origine ed estensione sono stati osservati, analizzati e descritti per mezzo di un SEM-VP EVO 50 XVP, Carl-Zeiss Electron Microscopy Group e di una sonda elettronica per microanalisi (EDS) Inca 250 (Oxford). La caratterizzazione tramite microanalisi di singoli cristalli e di impurezze presenti nelle scansioni ha rappresentato uno strumento di indagine molto potente. E’, infatti, stato possibile isolare dalle immagini ottenute con il SEM, grazie al software Inca, strutture definite ed aree puntiformi in modo da limitare la scansione EDS ai soli elementi di interesse al fine di individuare e analizzare gli elementi chimici che possono aver determinato i fenomeni degradativi osservati nei materiali. Nello studio di carte di provenienza e manifattura ignota è inoltre stato possibile, con la microanalisi e l’osservazione al SEM, individuare la provenienza vegetale delle fibre costitutive, capire quale tipo di carica contenessero, quanto questa fosse rifinita, e l’eventuale presenza di impurezze e tracce di elementi capaci di indirizzare la diagnosi sui materiali effettivamente utilizzati e sul tipo di processo seguito nella fabbricazione. 105 BC07 POTENZIALITÀ DI APPLICAZIONE DI UN NASO ELETTRONICO ALL’INDIVIDUAZIONE PRECOCE DEL BIODETERIORAMENTO NEI MATERIALI CARTACEI Flavia Pinzaria, Mariasanta Montanaria, Irene Rendaa, Francesco Loneroa, Corrado Fanellib, Luca Fachechic, Domenica Belluscic, Simona Grecoc a Istituto centrale per la patologia del libro, Via Milano 76, 00184 (Roma), e-mail: [email protected] b Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’ (Roma), e-mail: [email protected] c Technobiochip Scarl, Pozzuoli (NA), Sito Web: www.technobiochip.com Il naso elettronico può essere definito come uno strumento che comprende una serie di sensori chimici con una parziale specificità e un appropriato modello di riconoscimento, in grado di identificare odori semplici e complessi. Gli elementi fondamentali del naso elettronico sono i sensori chimici, che possono essere definiti come trasduttori miniaturizzati che rispondono in maniera selettiva e reversibile alla presenza di sostanze chimiche generando segnali elettrici in funzione della loro concentrazione. Per arrivare alla formulazione di sensori e di metodi di elaborazione dei segnali idonei a supportare le variabili specifiche delle biblioteche, dei magazzini, degli archivi, delle vetrine espositive, è indispensabile approfondire lo studio delle molecole volatili emesse dagli organismi nocivi che si vogliono monitorare e dai materiali di cui sono costituiti i beni da tutelare. In questo studio sono state studiate le risposte di due serie di otto sensori ciascuna alla sollecitazione con miscele odorose prodotte da funghi biodeteriogeni in condizioni differenti di crescita e di misura. Lo scopo principale del lavoro è consistito nella valutazione delle risposte dei singoli sensori ai composti volatili prodotti dai funghi, al fine di individuare le combinazioni di sensori più idonee a costituire uno strumento per l’individuazione precoce delle infezioni fungine in ambienti conservativi confinati. La sperimentazione ha riguardato, in particolare, il confronto qualitativo e quantitativo delle emissioni odorose dei funghi inoculati su differenti substrati cellulosici sia in coltura pura che in colture miste. L’acquisizione dei pattern odorosi è stata effettuata per mezzo di un prototipo di naso elettronico dotato di sensori con caratteristiche chimiche fra loro differenti; particolare attenzione è stata posta nell’evidenziare la risposta dei sensori stessi alle differenti condizioni fisiologiche cui sono stati appositamente sottoposti i funghi durante la sperimentazione. Lo studio della variabilità naturale del processo di produzione di sostanze organiche volatili da parte dei funghi rappresenta, infatti, un passaggio sostanziale del processo di valutazione della possibilità di utilizzare le sostanze volatili prodotte dai funghi quali marcatori della loro attività e quindi della presenza, in ambienti confinati, di materiale cellulosico soggetto al biodeterioramento. Lo studio è stato realizzato nell’ambito di una collaborazione fra l’Istituto Centrale per la Patologia del Libro e la Technobiochip Scarl. di Pozzuoli, impresa che ha realizzato il prototipo di naso elettronico che è stato utilizzato per le analisi. Le ricerche presentate rappresentano parte dello svolgimento di due tesi sperimentali del Corso di laurea in Scienze Applicate ai Beni Culturali de La Sapienza di Roma. 106 BC08 RICONOSCIMENTO DI GOMME VEGETALI DI INTERESSE NEI BENI CULTURALI MEDIANTE PIROLISI ACCOPPIATA CON IDROLISI E METILAZIONE TERMICAMENTE ASSISTITA Chiara Riedo, Dominique Scalarone, Oscar Chiantore Dipartimento di Chimica IFM e Centro NIS, Superfici e Interfasi Nanostrutturate dell’Università degli Studi di Torino [email protected] Le gomme di origine vegetale sono presenti come materiali costitutivi nei beni culturali sotto forma di leganti per colori all’acqua, o come adesivi e collanti per substrati cellulosici. Gli studi sulla caratterizzazione dettagliata di questi composti sono pochi, e fanno riferimento a metodi che richiedono lunghi trattamenti preliminari e quantità non compatibili con le applicazioni ai beni culturali. E’ quindi di particolare interesse poter disporre di un metodo di identificazione sufficientemente rapido e che utilizzi micro-campionamenti per il riconoscimento e la identificazione delle gomme vegetali nelle opere storico-artistiche. In questo lavoro vengono presentati i risultati ottenuti con un metodo di idrolisi e metilazione termicamente assistita utilizzando il reattivo TMAH e la pirolisi on-line. I campioni da analizzare, prima di essere introdotti nel pirolizzatore, vengono mescolati con il TMAH in soluzione acquosa. I prodotti di decomposizione passano direttamente nella colonna di un gascromatografo dove vengono separati e analizzati per mezzo di un rivelatore MS. Per l’analisi completa sono sufficienti quantità di campione inferiori al milligramo. Sono stati caratterizzati i prodotti di pirolisi derivanti da campioni standard di gomma arabica (2 gomme di diversa provenienza), gomma adragante, e gomma di ciliegio. I principali prodotti di pirolisi sono acidi aldonici metilati e parzialmente metilati, ciascuno caratteristico di determinati zuccheri epimeri. Gli acidi aldonici si formano per idrolisi alcalina degli zuccheri liberi e delle estremità riducenti dei polisaccaridi, mentre la metilazione avviene al momento della pirolisi. I meccanismi attraverso cui si formano gli acidi aldonici comportano che zuccheri epimeri in C-2 diano origine agli stessi prodotti, rendendoli di fatto indistinguibili. La presenza degli acidi aldonici caratteristici delle diverse gomme vegetali permette la classificazione adragante di queste ultime, che viene effettuata in base al contenuto relativo dei monosaccaridi ramnoso, fucoso e galattoso rispetto alla coppia arabinoso e xiloso (che producono lo stesso acido aldonico). Nel grafico tridimensionale della Figura si può apprezzare la riproducibilità delle prove ripetute su uno stesso campione e la possibilità di differenziare ciliegio le diverse gomme esaminate. E’ in fase di completamento l’assegnazione degli arabica spettri di massa di altri prodotti di fram-mentazione, arabica soluzione polvere in particolare degli acidi aldonici non completamente metilati eventualmente presenti. 107 BC09 SVILUPPO DI UNA METODOLOGIA INNOVATIVA PER LA CONSERVAZIONE DI BENI CULTURALI Aldo Taticchia, Assunta Marrocchia, Maria Laura Santarellib, Vito Librandoc, Maria Cristina Ginnasia, Lucio Minutia a Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Perugia, Via Elce di Sotto 8, 06123, Perugina: e-mail: [email protected] b Centro di Ricerca in Scienza e Tecnica per la Conservazione del Patrimonio StoricoArchitettonico, Università di Roma La Sapienza, Via Eudossiana 18, 00184 Roma c Dipartimento di Scienze Chimiche, Università degli Studi di Catania, V.le A. Doria 6, 95125 Catania Il danneggiamento dei materiali lapidei dovuto alla cristallizzazione di Sali rappresenta un problema rilevante per la conservazione di monumenti e siti archeologici. L’acqua presente nella porosità di questi materiali contiene sempre quantità più o meno rilevanti di Sali che diffondono in ampie zone delle murature e si depositano sia per evaporazione dell’acqua che per una variazione di temperatura e di concentrazione. Quando i cristalli di sale si formano sulla superficie esterna dei materiali porosi (efflorescenza) i danni sono limitati e spesso soltanto estetici. Se i Sali cristallizzano all’interno della porosità dei materiali (subefflorescenza), la variazione di volume associata con il processo di cristallizzazione è sufficiente a distruggere la struttura interna dei materiali stessi, causando polverizzazione e distacco di croste superficiali. La cristallizzazione, infatti, genera sollecitazioni la cui entità è generalmente superiore alla resistenza a rottura dei materiali lapidei comunemente utilizzati. Sono stati sviluppati vari metodi fisici per il controllo della cristallizzazione salina. Recentemente, comunque, l’attenzione è stata rivolta1 allo sviluppo di metodologie per il controllo della cristallizzazione mediante l’utilizzo di inibitori, molecole, cioè, in grado di agire sia sulla cinetica di formazione dei cristalli del sale che sulla forma del cristallo stesso, limitandone la crescita e la dannosità. Da alcuni anni nel nostro laboratorio2 è in corso un ampio studio che si propone l’obiettivo di acquisire conoscenze nel campo delle proprietà di inibizione di cristallizzazione salina di composti organici opportunamente funzionalizzati, sia commerciali che di sintesi. In questa comunicazione verranno riportati i risultati preliminari ottenuti nella inibizione della cristallizzazione di NaCl ed Na2SO4 nella pietra di Noto e nella pietra di Palazzolo. Si tratta di pietre calcaree ampiamente utilizzate nella Sicilia SudOrientale, sia in elementi costruttivi (muri, volte, archi ecc.) che in elementi decorativi (fregi, capitelli ecc.), che subiscono facilmente degrado dovuto a tale fenomeno. Bibliografia 1. (a) Rodriguez-Navarro, C.; Linares-Fernandez, L.; Doehne, E.; Sebastian, E. Journal of Crystal Growth 2002, 243, 503-516. (b) Rodriguez-Navarro, C.; Doehne, E.; Sebastian, E. Langmuir 2000, 16, 947-954 2. Inter alia: (a) Marrocchi, A.; Taticchi, A.; Santarelli, M.L.; Minuti, L.; Broggi, A. Science and Technology for Cultural Heritage, 2006, N.1/2, 101-107 (b) Marrocchi, A.; Taticchi, A.; Santarelli, M.L.; Minuti, L.; Broggi, A.; Garibaldi, V. Science and Technology for Cultural Heritage, 2006, N.1/2, 109-114 (c) Marrocchi, A.; Taticchi, A.; Santarelli, M.L.; Broggi, A., Minuti, L.; Librando, V. Science and Technology for Cultural Heritage, 2006, N.1/2, 115-123 108 BC10 INIBITORI DI CRISTALLIZZAZIONE SALINA E BENI CULTURALI. IL CASO STUDIO DEL MOSAICO DI ORFEO E LE FIERE (PERUGIA) Aldo Taticchia, Assunta Marrocchia, Maria Laura Santarellib, Maria Cristina Ginnasia, Lucio Minutia a Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Perugia, Via Elce di Sotto 8, 06123, Perugia e-mail: [email protected] b Centro di Ricerca in Scienza e Tecnica per la Conservazione del Patrimonio StoricoArchitettonico, Università di Roma La Sapienza, Via Eudossiana 18, 00184 Roma Il mosaico Romano di Orfeo e le Fiere si trova nell’atrio di ingresso del Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi di Perugia. Ha dimensioni 8,10x14,10 m e si trova sotto il livello stradale. Il mosaico è uno dei più importanti monumenti Romani a Perugia ed è databile attorno alla prima metà del II sec. d.C. Probabilmente decorava parte di un complesso termale della città Romana. Il mosaico è situato in un’area soggetta ad una forte risalita capillare di umidità, cosicché, nonostante un recente intervento conservativo, l’area continua a mostrare visibili danni dovuti a processi di cristallizzazione salina. In questa comunicazione verranno riportati i risultati preliminari relativi ad una sperimentazione in in corso rivolta alla conservazione del mosaico, che utilizza una metodologia innovativa da tempo in studio nel nostro laboratorio1 e che consiste nel controllo della cristallizzazione salina mediante inibitori organici, molecole, cioè, in grado di agire sia sulla velocità di formazione dei cristalli del sale, sia sulla forma del cristallo stesso, limitandone la crescita e la pericolosità. Bibliografia (a) Marrocchi, A; Taticchi, A.; Santarelli M.L.; Broggi,A.; Minuti, L. 10th EuCheMs-DCE International Conference on Chemistry and the Environment, Rimini, 2005 (b) Marrocchi, A.; Santarelli, M.L.; Taticchi, A.; Broggi, A.; Minuti, L. in: Proc. Workshop Argamassas de reboco para paredes antigas sujeitas à acção de sais solúveis (Lisbon, LNEC, 2005). National Laboratory for Civil Engineering (LNEC), Lisbon, 2006 © Marrocchi, A.; Taticchi, A.; Santarelli, M.L.; Minuti, L.; Broggi, A.; Garibaldi, V. Science and Technology for Cultural Heritage, 2006, N.1/2, 109-114 109 BC11 DIAGNOSI ANALITICA DEL BIODETERIORAMENTO SU MATERIALI LAPIDEI: STRATEGIE DI RECUPERO VIA LIPASI E Gox. Alessia Diamantia, Federica Valentinib, Giuseppe Palleschib, Emanuela Tamburrib MariaLetizia Terranovab, Simona Bellezzac, Patrizia Albertanoc. a. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Facoltà di Lettere e Filosofia, via Columbia, 1- 00133 Roma b. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, via della Ricerca Scientifica,1- 00133 Roma c. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Dipartimento di Biologia, via della Ricerca Scientifica, 1- 00133 Roma Indirizzo e-mail: [email protected] Il presente lavoro è stato condotto su campioni lapidei, di marmo bianco, provenienti dai fregi decorativi della Basilica di Nettuno, annessa al Pantheon (ambiente esterno) di Roma. Tali supporti, affetti da concrezioni nere e grigie di diverso spessore, sono stati sottoposti ad una serie di indagini analitiche di carattere morfologico e strutturale, al fine di individuare le cause di degrado e valutarne gli effetti prodotti sulle superfici stesse. Da una prima caratterizzazione morfologica, con microscopio ottico e microscopio a contrasto differenziale interferenziale (DIC), è stato possibile rilevare la presenza di ossalati di calcio, prodotti da microrganismi fungini[1], e di metalli pesanti (tra cui probabilmente il Cobalto) trasportati sottoforma di specie adsorbite sulla superficie del materiale particolato sospeso, o di goccioline di vapore acqueo. La successiva caratterizzazione strutturale condotta mediante spettrofotometria IR in trasformata di Fourier (FT-IR), ha messo in luce la presenza di composti dello zolfo (come i gruppi solfonati, derivati dalle reazioni di smog fotochimico) associati alla compresenza, nelle patine nere, di solfo-batteri che traggono nutrimento da tali composti. Sia la componente biologica che quella prettamente chimica (ossia i gas inquinanti) vedono nel particolato atmosferico (soprattutto nella frazione PM2.5) un predominante veicolo di trasporto e deposito sulle superfici di interesse storico-artistico. L’ulteriore presenza di gruppi funzionali quali i carbonilici, le aldeidi e le ammine alifatiche (frazione CO: Carbonio Organico) rappresenta una valida conferma dell’avvenuto fenomeno di biodeterioramento delle superfici in esame. Successivamente a questa fase preliminare di diagnosi del degrado superficiale, sono state sperimentate due nuove strategie di recupero delle superfici in esame, quali: il trattamento di biopulitura catalizzato dall’enzima Gox, del tutto innovativo nel campo dei Beni Culturali[2], e quello tramite enzima Lipasi[3], per la prima volta adottato qui, su supporti lapidei. Tali procedure hanno mostrato un’efficienza massima di rimozione nel caso delle patine grigie di 1mm di spessore, e significativi esiti di rimozione anche nei confronti delle concrezioni nere di più consistente spessore (3mm). Bibliografia 1. Albertano, P.; Urzì, C.; Structural interactions among epilithic cyanobacteria and heterotrophic microorganisms in Roman hypogea. Microbial Ecology, 1999, 38, 244-252,. 2. Campanella, L.; et al.; Chimica per l’arte. Zanichelli Editore, 2007. 3. Cremonesi, P.; L’uso degli enzimi nella pulitura di opere policrome. Il Prato editore, 2002. 110 BC12 STRATEGIE ANALITICHE DI RIMOZIONE DELLE PATINE SUPERFICIALI SU SUPPORTI LAPIDEI, A BASE DI ENZIMI LIPASI ED AMILASI. Alessia Diamantia, Federica Valentinib, Giuseppe Palleschib, Emanuela Tamburrib, Maria Letizia Terranovab, Simona Bellezzac, Patrizia Albertanoc a. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Facoltà di Lettere e Filosofia, via Columbia, 1- 00133 Roma b. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, via della Ricerca Scientifica,1- 00133 Roma c. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Dipartimento di Biologia, via della Ricerca Scientifica, 1- 00133 Roma Indirizzo e-mail: [email protected] Per la prima volta, in questo lavoro, sono stati utilizzati enzimi Lipasi ed Amilasi in ambiente alcalino[1], noti in letteratura per la loro applicazione nel campo dei Beni Culturali, di cui non si ha testimonianza nei trattamenti di biopulitura, specifici, per materiali lapidei. I protocolli scelti per questo tipo di biopulitura sono stati eseguiti su campioni lapidei di diversa natura, provenienza e stato di conservazione, sottoposti dapprima ad indagini analitiche mediante microscopia interferenziale differenziale (DIC), spettrofotometria infrarossa in trasformata di Fourier (FT-IR) e fluorescenza X (XRF) per la diagnostica circa le tipologie di degrado. Dagli esiti di pulitura con l’enzima Lipasi, è stato possibile osservare una efficienza massima di rimozione nei confronti della patina biologica superficiale, su travertino e peperino, ed una significativa rimozione della concrezione nera su marmo. Alla luce di ciò, è facile intuire l’efficienza del meccanismo enzimatico svolto dalla Lipasi, sulla base della composizione chimica della patina superficiale che investe il supporto in esame, probabilmente costituita della frazione organica (CO- Carbonio Organico) di natura lipidica, trasportata prevalentemente dalla frazione fine (PM2.5) del particolato atmosferico [2]. Diversamente, per il trattamento di biopulitura a base di enzima Amilasi, è stata riscontrata una scarsa efficienza di rimozione su ogni tipologia di supporto considerata, attribuibile probabilmente alla scarsa affinità tra l’enzima ed i substrati di contatto, di composizione chimica evidentemente non polisaccaridica. Sulla base dei risultati ottenuti in questo studio, è lecito affermare che entrambe i trattamenti potrebbero essere impiegati in sinergia con innovativi processi di biopulitura (come il processo ossidativo via enzima Gox, con produzione in situ di H2O2) al fine di ottimizzare al massimo il protocollo di pulitura, là dove le patine inquinanti risultino estremamente variegate a livello intrinseco[3] (come le concrezioni nere di spessore consistente e composizione mista tra la componente chimica e biologica). Bibliografia 1. Cremonesi, P; L’uso degli enzimi nella pulitura di opere policrome. Il Prato editore, 2002. 2. Baird, C.; Cann, M.; Chimica ambientale. Zanichelli Editore, 2006. 3. Lorusso, S.; Marabelli, M.; Viviano, G.; La contaminazione ambientale ed il degrado dei materiali di interesse storico-artistico. Bulzoni Editore. 111 BC13 IL “SEALING-WAX RED GLASS” NEL MOSAICO ROMANO: STUDIO ARCHEOMETRICO E RIPRODUZIONE SPERIMENTALE Cristina Boschettia, Anna Corradia, Elie Kamseua, Cristina Leonellia a Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e dell’Ambiente, Università di Modena e Reggio Emilia, via Vignolese 905, 41100 Modena [email protected], [email protected], [email protected], [email protected] Nei mosaici romani di area italica datati tra la fine del II secolo a.C. e gli anni 70 d.C è impiegato un particolare tipo di vetro di colore rosso opaco 3 e dalla struttura omogenea, noto in letteratura come “sealing-wax red glass” 4 . Questo vetro, prodotto a partire dalla fine del II millennio a.C. in Egitto e in area Mesopotamica 5 è fortemente piombico ed è colorato e opacizzato grazie alla presenza di cristalli rossi di cuprite. Il vetro impiegato per realizzare le tessere vitree è stato sottoposto a caratterizzazione archeometrica (microscopia ottica portatile e fissa, SEM-EDS, XRD, ICP-AES) 6 e si è poi proceduto alla riproduzione sperimentale del materiale, sia in fornace elettrica che in una fornace a legna appositamente progettata e costruita. La miscela da vetrificare è stata messa a punto impiegando materie prime analoghe a quelle impiegate in epoca romana. Come frazione vetrificante è stato impiegato quarzo (SiO2) polverizzato, mentre come fondenti sono stati impiegati trona [Na3(CO3)(HCO3)-2H2O], feldspato di sodio (NaAlSi3O8) e carbonato di calcio (CaCO3) e, in aggiunta, piombo. La formazione di cristalli di cuprite durante la fusione è stata indagata attraverso l’impiego di diversi quantitativi di rame. Sono stati sperimentati l’impiego di piombo e rame in diversi stati di ossidazione (PbO, Pb2O3 e Cu2O, Cu) e, parallelamente, diverse condizioni di atmosfera e temperatura della fornace. È stato possibile notare che lo sviluppo di un’atmosfera riducente ottenuta introducendo nei crogioli carbone di legna favorisce la riproduzione di vetri rossi per ossidalo di rame molto simili a quelli di epoca romana. A loro volta sono stati caratterizzati i vetri ottenuti sperimentalmente per evidenziarne la microstruttura e la composizione chimica. 3 4 5 6 Boschetti C., Corradi A., Fabbri B., Leonelli, C., Macchiarola M., Ruffini A., Santoro S., Speranza M., Veronesi P., Impiego di vasellame vitreo nel mosaico dei ninfei pompeiani. Aspetti archeologici e archeometrici, Coll. Int. Mos., 11, c.s. Freestone I. C., Composition and microstructure of early opaque red glass, The British Museum Occasional Paper 1992, 56, 173-191. Bimson M., Opaque red glass: a review of previous studies, The British Museum Occasional Paper 1992, 56, 165-171. Boschetti C., Corradi A., Leonelli C., Veronesi P., Fabbri B., Macchiarola M., Ruffini A., Speranza M., Veronesi P., Caratterizzazione archeometrica sui mosaici del ninfeo della domus del Centenario, in a cura di Santoro S., Indagini diagnostiche, geofisiche e analisi archeometriche su muri, malte, pigmenti, colori, mosaici, c. s. 112 BC14 ANALISI STORICO-STILISTICA E DIAGNOSTICA DEL DIPINTO A OLIO SU METALLO “CRISTO CROCIFISSO CON DUE ANGELI DOLENTI” Salvatore Lorusso a,Chiara Matteucci a, Andrea Natali a, Stefano Tumidei b a Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali - Alma Mater Studiorum Università di Bologna, via degli Ariani, 1 Ravenna [email protected] b Diipartimento delle Arti Visive – Alma Mater Studiorum Università di Bologna, p.ta Moranti, 2 Bologna Il dipinto ad olio su metallo (40x30 cm), acquistato sul mercato francese dell’antiquariato, raffigura una iconografia molto diffusa derivata da un disegno di Michelangelo: “Cristo Crocifisso con due angeli dolenti” La particolarità del supporto di natura metallica e la buona fattura del manufatto hanno incentivato gli Autori della presente Nota ad effettuare, insieme con l’analisi storico-stilistica e relativa alla tecnica esecutiva, anche la caratterizzazione dei componenti materici e la valutazione del suo stato di conservazione mediante tecniche diagnostiche. Partendo dall'iconografia, quindi, si è tentato di ricostruire la genesi del modello, invero ben noto, attraverso un inquadramento storico-artistico. Ricerche bibliografiche hanno consentito l’individuazione di alcune raffigurazioni analoghe, più o meno note, che non esauriscono certamente la spiegazione della fortuna del modello. Anche del supporto metallico si sono ricercate pertinenze che permettessero di spiegarne la diffusione e l'utilizzo. Sono state condotte indagini diagnostiche mediante: • Fotografia VIS analogica e digitale a luce diffusa e radente • Riflettografia VIS, IR, UV • Spettrografia di fluorescenza a raggi X • Videomicroscopia ad analisi d’immagine Si è constato uno stato di conservazione sostanzialmente discreto: le crettature e le abrasioni, rivelate e documentate con l’ausilio della microscopia, sono dovute in massima parte ad un essiccamento troppo rapido del legante. Risultano anche evidenti modesti restauri eseguite esclusivamente con colori da ritocco. I dati raccolti con la riflettografia in IR hanno evidenziato una stesura pittorica condotta con particolare perizia per la realizzazione dell’immagine del Cristo in contrasto con la “vaporosità” sfocata degli angeli dolenti. I risultati relativi alla composizione dei pigmenti ottenuti in spettroscopia di fluorescenza a raggi X, supportati dalla anamnesi storico-artistica, confermano tuttavia che si è in presenza di un esemplare antico, databile entro i primi decenni del seicento. 113 BC15 CARATTERIZZAZIONE DEI MATERIALI IMPIEGATI IN UNA SETA DIPINTA TRAMITE TECNICHE CROMATOGRAFICHE Maria Perla Colombinia, Ilaria Deganoa, Giovanni Cambinib, Domenica Digiliob a Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, Università di Pisa, Via Risorgimento, 35, 56126 Pisa, Italia [email protected], [email protected] b Restauro e studio tessili di Lucca (c/o Museo Nazionale di Palazzo Mansi) [email protected] Lo studio dei materiali impiegati nella produzione di un manufatto può essere d’aiuto nel ricostruirne l’aspetto originario, nonché nello stabilire la sua provenienza e il periodo in cui è stato realizzato. Inoltre può fornire delle linee guida importanti durante la progettazione della procedura di conservazione. La composizione di campioni prelevati da oggetti d’arte è estremamente complessa a causa della presenza simultanea di materiali di natura organica e inorganica, sia originari che provenienti da restauri successivi e dall’ambiente di conservazione; inoltre vi possono essere prodotti legati all’invecchiamento dei materiali suddetti. In questa sede sarà trattata l’identificazione tramite tecniche cromatografiche dei materiali impiegati nella realizzazione di una seta dipinta dell’inizio del XVII sec., incollata su tavola durante un restauro precedente al fine di garantirne l’integrità. In particolare, sono stati caratterizzati il legante utilizzato per fissare la seta al supporto e i coloranti organici impiegati per tingere la seta che costituisce il fondo della pittura. L’analisi dei campioni prelevati per la determinazione del legante è stata effettuata mediante una procedura GC-MS combinata, in grado di permettere il riconoscimento di lipidi, cere, proteine e materiale resinoso a partire da un solo micro-campione, anche grazie a metodi chemiometrici di trattamento dei dati. L’analisi dei coloranti organici impiegati nella tintura dei filati è stata condotta tramite HPLCUV-Vis. In particolare, l’estrazione del colorante dalla seta è stata effettuata tramite una procedura ottimizzata, che permette il recupero di cromofori di natura flavonoica e antrachinonica, nonché degli indigoidi e dei tannini. Il presente lavoro riporta i risultati più significativi e le implicazioni rilevanti nel restauro di questo prezioso oggetto. 114 BC16 COLORANTI ORGANICI NEGLI ARAZZI: UN APPROCCIO MULTI ANALITICO Maria Perla Colombini a, Ilaria Degano a, Jeannette Jacqueline Łucejko a, Gianna Bacci b a Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, Università di Pisa, via Risorgimento35, 56126 Pisa, Italia [email protected], [email protected], [email protected] b Laboratorio di restauro degli arazzi, Opificio delle Pietre Dure, Palazzo Vecchio, Firenze, Italia Fin dai tempi antichi, l’uomo ha impiegato miscele complesse di composti organici naturali per la colorazione dei tessuti; solo recentemente sono stati introdotti coloranti sintetici. Il numero di specie botaniche utilizzate è impressionante: basti pensare che nella sola Europa sin dall’antichità si utilizzavano, per ottenere tonalità gialle, l’erba gualda, lo scotano, la ginestra, la serratola e le bacche di alcune specie di Rhamnus. Di pari passo con l’instaurarsi di nuove rotte commerciali furono introdotte nuove materie prime, quali il legno giallo, importato dalle Indie Orientali, e il quercitrono proveniente dal Nord America. I coloranti rossi e blu più importanti e usati erano la radice di robbia, la cocciniglia, il kermes, l’indaco e il guado. Dall’estremo oriente e dalle Americhe erano importati inoltre coloranti rossi e blu detti “dyewood”, estratti da cortecce di alberi del genere Caesalpinia. Da un punto di vista chimico i coloranti di origine naturale contengono cromofori appartenenti alle classi dei flavonoidi, antrachinoni e indigoidi, nonché carotenoidi, benzochinoni, antocianine e gallotannini. Lo studio dei materiali impiegati nella tintura dei tessuti e dei filati può essere determinante per la datazione di un oggetto, per comprendere come esso appariva in origine e in molti casi per stabilire le strategie di conservazione. L’identificazione dei coloranti in tessuti antichi tramite metodologie analitiche risulta però particolarmente ardua a causa della loro foto-sensibilità e della complessità dei loro processi di degradazione, non ancora completamente delucidati. In questa sede sarà presentata l’applicazione delle tecniche micro-distruttive HPLC-UV/Vis, GC-MS e DE-MS allo stesso campione: i campioni sono stati prelevati da un arazzo del 16° secolo caratterizzato da una vasta gamma di colori (gialli, neri e alcuni rossi)che rivelano un significativo scolorimento. La procedura è stata validata tramite la caratterizzazione di campioni di riferimento di lana e seta, sottoposti anche a invecchiamento accelerato; sono stati identificati marker molecolari caratteristici delle diverse specie coloranti. Saranno quindi discussi i risultati più significativi riguardanti l’identificazione e i processi di degrado dell’arazzo “Giuseppe fugge dalla moglie di Putifarre”, attualmente in fase di restauro presso l’Opificio delle Pietre Dure. 115 BC17 CLASSIFICAZIONE DI MALTE STORICHE: IL CASO STUDIO DEL CASTRUM ALTOMEDIOEVALE DI LAINO (COMO) Laura Rampazzia, Cristina Cortia, Barbara Giussania, Matteo Guzzoa, Marcello Marellia, Biagio Rizzob a Dipartimento di Scienze Chimiche e Ambientali, Università degli Studi dell’Insubria, Via Valleggio 11, 22100 Como b Dipartimento di Chimica inorganica, Metallorganica ed Analitica, Università degli Studi di Milano, via Venezian 21, 20133 Milano e-mail: [email protected] La caratterizzazione analitica di malte storiche può essere di supporto alle indagini che solitamente vengono condotte in occasione della scoperta di un sito archeologico e dei successivi scavi. La presenza di ambienti spesso caratterizzati da numerose e complesse unità stratigrafiche complica la formulazione di ipotesi sulla coevità delle diverse fasi costruttive. Questioni quali la tecnologia adottata per la preparazione delle malte, la natura e la provenienza delle materie prime sono quindi di fondamentale importanza per supportare gli archeologi nel difficile compito di scrivere la storia del sito e per suggerire eventuali strategie conservative. Il presente lavoro prende in considerazione il caso studio del sito archeologico di Laino (Como). Si tratta di un castrum altomedievale (VI secolo), recentemente portato alla luce ad opera del Museo Archeologico P. Giovio di Como. Sono presenti diverse strutture murarie in pietre legate con malta, alcune delle quali sembrano, in base ad un esame visivo, diverse per manifattura e probabilmente per epoca. La determinazione dei componenti maggioritari e minoritari delle malte permette di classificare i campioni, ma ancora di più l’analisi dei componenti in traccia risulta determinante e in alcuni casi risolutiva. Oltre quindi alle classiche tecniche di caratterizzazione chimico-mineralogica, quali la Spettroscopia Infrarossa e la Diffrazione di Raggi X, è stata utilizzata, previo attacco acido dei campioni, la Spettrometria di Massa con Sorgente al Plasma accoppiato induttivamente per l’analisi degli elementi in traccia e per determinare i rapporti degli isotopi del piombo. L’elaborazione dei risultati, effettuata tramite analisi multivariata, insieme alle discussioni con gli archeologi responsabili dello scavo, hanno permesso di formulare ipotesi sulle fasi costruttive del sito. 116 BC18 TECNOLOGIA DI PRODUZIONE DELLA CERAMICA IN EPOCA ROMANA Annarosa Mangonea; Lorena Carla Giannossaa, Rocco Lavianob, Luigia Sabbatinia, Angela Trainia a b Dipartimento di Chimica, Università di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari, Italia Dipartimento Geomineralogico, Università di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari, Italia e-mail: [email protected] La ceramica a pareti sottili rappresenta una diffusa classe nell’area Romana Mediterranea tra il secondo secolo AD ed il terzo AD. Tradizionalmente, i centri di produzione vengono ipotizzati sulla base della quantità ed omogeneità del materiale rinvenuto nei diversi siti archeologici o sul confronto con altri oggetti di provenienza certa. Gli indicatori di produzione sono pochi e, fino ad ora, questa classe di ceramica fine da mensa è stata solo occasionalmente indagata mediante studi archeometrici. Nell’area Vesuviana un centro di produzione di questo tipo di ceramica è stato supposto sulla base di osservazioni macroscopiche e peculiarità morfologiche degli impasti. Nell’ambito di un progetto di studio rivolto a materiali diversi - vitrei, ceramici, pittorici parietali provenienti dai siti archeologici di Ercolano e Pompei, reperti di ceramica a pareti sottili sono stati analizzati mediante Microscopia Ottica (MO) e Microscopia Elettronica a scansione con Spettrometria in Dispersione di Energia (EDS). L’ indagine archeometrica è stata effettuata sui campioni, classificati dagli archeologi come produzione campana, con lo scopo, su basi di elementi univoci, di confermare o escludere le ipotesi di produzione Vesuviana. Le analisi morfo-mineralogiche mostrano che tutti i frammenti sono caratterizzati da un impasto di granulometria fine con un alto grado di sinterizzazione e dalla presenza di pirosseni, feldspati, rocce vulcaniche e minerali opachi- composti principalmente da Mg, Si e Fe- come materiali sgrassanti. Sulla maggior parte dei reperti è presente un ingobbio applicato sui vasi dopo essiccazione ed ottenuto purificando la stessa argilla del corpo ceramico. Per quanto riguarda le zone superficiali, in alcuni campioni è stata trovata un’evidente continuità morfologica e composizionale tra le superfici colorate in rosso, in nero e il corpo ceramico, che ha permesso di escludere un’aggiunta intenzionale di pigmenti. In altri campioni, invece, uno strato distinto è stato osservato sul corpo ceramico di spessore medio 20 μm. Questo strato presenta una struttura estremamente compatta, assenza di vacuoli e alto grado di sinterizzazione, quantità rilevanti di Al, Fe, K e basse di Ca rispetto al corpo ceramico, con differenti rapporti Al/Si e Al/Fe per le colorazioni in rosse e le nere rispettivamente. 117 BC19 INDAGINI ARCHEOMETRICHE SUL VETRO TARDOANTICO E MEDIEVALE DA CLASSE (RAVENNA) Andrea Augentia, Cesare Fiorib, Alessandra Gengac, Maria Sicilianoc, Susanna Tontinia, Mariangela Vandinib a Dipartimento di Archeologia - Alma Mater Studiorum Università di Bologna (sede di Ravenna) via S.Vitale 28, 48100 Ravenna b Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali - Alma Mater Studiorum Università di Bologna (sede di Ravenna), via degli Arinai, 1, 48100 Ravenna c Dipartimento di Scienza dei Materiali – Università del Salento, via per Arnesano, 73100 Lecce e-mail: [email protected] L’indagine sulla produzione e la lavorazione del vetro a Ravenna e nel territorio circostante si inserisce in un più ampio progetto di studio archeometrico del vetro antico, per la riuscita del quale risulta fondamentale la collaborazione tra tecnici specialisti ed archeologi. In questo contesto rivestono massima importanza gli scavi condotti presso il sito archeologico di Classe da una équipe dell’Università di Bologna (Dipartimento di Archeologia – Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali), a partire dal 2001. Oggetto di studio è l’area portuale dell’antico centro urbano, che costituiva il porto di Ravenna e uno dei più importanti scali commerciali della tarda antichità. La sequenza stratigrafica rilevata a Classe si estende dal V secolo fino all’VIII. Nell’ambito di un edificio del porto sono stati trovati numerosi scarti di lavorazione del vetro, una fornace utilizzata per la produzione di oggetti in vetro o di vetrina usata per rivestire una particolare tipologia di contenitori in ceramica, qui attestata fin dal VI secolo. L'analisi archeometrica ed archeologica dei campioni, attualmente in corso, e l’elaborazione dei dati ottenuti hanno come obiettivo la classificazione tipologica e la collocazione cronologica dei reperti. Il fine ultimo dell’intero progetto di studio è quello di confrontare i risultati relativi a: - reperti provenienti da un unico sito e con una precisa cronologia per evidenziarne similarità o differenze, isolando ove possibile oggetti di produzione locale da quelli di importazione; - reperti rinvenuti in diversi siti dell'area ravennate e/o aventi diversa cronologia per individuare eventuali innovazioni tecnologiche; - frammenti di oggetti finiti e scarti di lavorazione per osservare eventuali analogie produttive e indagare la possibilità di riuso; - produzione ravennate e produzioni dell'area Mediterranea. Nel presente lavoro vengono illustrati i risultati preliminari della ricerca relativi ad un primo gruppo di circa 50 campioni vitrei, comprendenti frammenti di oggetti e scarti di lavorazione, provenienti dagli scavi archeologici di Classe databili in un periodo che va dalla fine del VI al IX secolo. 118 BC20 MAPPING ATR-FTIR NELLA CARATTERIZZAZIONE E LOCALIZZAZIONE STRATIGRAFICA DI MATERIALI ARTISTICI ED ARCHEOLOGICI Rocco Mazzeo, Silvia Prati, Edith Joseph, Elsebeth Kendix Microchemistry and Microscopy Art Diagnostic Laboratory (M2ADL) Università di Bologna, Polo di Ravenna, Via Tombesi dall’ Ova 55, 48100 RAVENNA Il lavoro illustra le potenzialità offerte dalle varie tecniche di analisi utilizzabili in microscopia FTIR per la caratterizzazione chimica della composizione, stato di conservazione e fenomenologie di degrado a carico di materiali artistici ed archeologici. Vantaggi e limiti delle diverse tecniche di campionamento sono illustrati con l’applicazione a studi di caso riferiti a superfici policrome e bronzi archeologici. Particolare attenzione viene posta all’utilizzo della spettroscopia micro ATR – FTIR (Attenuated Total Reflection – Fourier Transform Infrared spectroscopy) e ATR mapping. Quest’ultima, se applicata su sezioni stratigrafiche di campioni, consente la contemporanea caratterizzazione chimica e localizzazione stratigrafica dei materiali costituenti o di degrado (prodotti di corrosione1, pigmenti, leganti organici, ecc) attraverso la selezione di bande caratteristiche di specifici gruppi funzionali presi come marker. Il lavoro illustra, inoltre, le possibilità offerte dall’ATR mapping nel monitoraggio non-distruttivo dell’evoluzione di processi di corrosione in atto su barre bronzee standard esposte ad invecchiamento naturale in ambiente sia marino che urbano. Fig.1: rappresentazione schematica dei risultati ottenibili con l’uso combinato di microscopia ottica e microATR mapping su sezione stratigrafica di dipinto Vengono discussi i limiti della tecnica ATR, quali la risoluzione spaziale (in genere non superiore a 20 µm) nonché gli effetti negativi sull’interpretazione degli spettri causati dalla resina di inglobamento nel caso di analisi di sezioni stratigrafiche. A tale proposito vengono presentati i primi risultati ottenuti con un nuovo sistema di preparazione del campione che utilizza KBr come materiale di inglobamento. Il microATR rappresenta un’utile tecnica nondistruttiva nei confronti del campione analizzato che può essere ulteriormente investigato con altre tecniche microscopiche sia molecolari (Raman) che elementari (SEM-EDX). 1. R. Mazzeo and E. Joseph,: ATR microspectroscopy mapping for characterization of bronze corrosion products. European Journal of Mineralogy (accettato per la pubblicazione), 2007 119 BC21 ANALYTICAL METHOD FOR THE CHARACTERIZATION OF COINS WITH HIGH PERCENTAGE OF AG Lia Famàa, Antonio Serraa, Daniela Mannoa, Aldo Sicilianob, Rosa Vitaleb, Giuseppe Sarcinellib a Dipartimento di Scienza dei Materiali Università del Salento, via Monteroni 73100 Lecce (Italia) b Dipartimento dei Beni Culturali, Università del Salento, via D.Birago 6, 73100 Lecce (Itali) e-mail: [email protected] In this work, an analytical method for the characterization of stateres with high percentage of Ag is presented. Ancient silver coins minted in/by Greek Colony of Taras, between the beginning of the V century B.C. and the first (1st) of the III century B.C, and 2 incuse coins minted in the last quarter of V century B.C in Metaponto e Caulonia are characterized by scanning electron microscopy (SEM) equipped with energy dispersive x-ray microanalysis (EDX) and by x-ray diffraction. The x-ray microanalysis data obtained from the examined coins were checked by the use of homogeneous Ag-Cu alloys standards. The measures were carried out at different voltage of incident electron beam in order to obtain information about relative Ag/Cu concentration values at different depth. Moreover, it is possible to obtain information about Ag/Cu relative concentration calculating the ratios of intensity of Ag-Kα/Cu-Kα signals and Ag-Lα/Cu-Kα for the samples. In order to know the exact depth a test piece made of a different number of silver sheets on a smooth copper layer has been constructed. The Cu signal is visible also in the zone where the thickness is 20μm. Moreover a structural characterization of the samples was performed by XRD diffractometer. The reliability of our results has been checked analyzing with both the surface and section of some fragments of coins coming from Metaponto and Caulonia. The study of lapped part of the section by means microanalysis X has shown that the copper distribution is uniform both in surface and in cross-section of examined coins. This result confirms the reliability of the described protocol of surveying in the analysis of the surface of coins characterized by an high Ag content. 120 BC22 METALLURGICAL AND TECHNOLOGICAL STUDY OF BRONZE OBJECTS OF ANCIENT VENETIC PEOPLE Maurizio Magrini, Emilio Ramous, Irene Calliari DIMEG, University of Padua, Italy The ancient venetic people were a pre-roman people living in the north –east Italian regions. The paleovenetian civilization had its main development from the VIII century BC. During that age, the most important urban settlements were Este, Padova, Treviso, Verona and Vicenza, near by a lot of necropolis and worship places have been brought to light. The rich metalwork from these towns includes bronze artefacts (jewellery, drinking vessels, ceremonial objects like situlae, votive plates and small bronzes) as well as objects involved in the metallurgical manufacturing processes. In the present paper the archaeometric characterization of several fragments of laminae, belts and fibulae is presented. All the samples are dated to IV-VIII B.C. The laminae and belts have been produced by cold working and annealing. The fibulae have been produced with the lost-wax techniques and modelled with hammering and annealing. In this study special attention has been paid to the characterization of the joining area between the bow, pin and spring as it is very important to understand the connection technique used. All the examined fragments are alfa bronze, with 7-14% of Sn, but with different content of Pb. 121 BC23 CONFRONTO DI DATI TERMOANALITICI, BIOSENSORISTICI E DI PERSISTENZA AMBIENTALE PER CARTA INVECCHIATA ARTIFICIALMENTE E PER CAMPIONI DI LEGNO DI NOCE INVECCHIATI NATURALMENTE Luigi Campanella, Cecilia Costanza, Mauro Tomassetti Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma email: [email protected] In precedenti lavori abbiamo descritto ed applicato un biosensore archeometrico per la determinazione dell’età di campioni cellulosici (carta, legno, tessuto) [1, 2]. Lo stesso biosensore è stato anche applicato allo studio dei processi di invecchiamento artificiale della carta extra-strong. In questo lavoro lo stesso processo viene studiato con: - metodi termogravimetrici, che vengono anche impiegati per datare campioni lignei basandosi sulle temperature di inizio dello step termogravimetrico [3] di degradazione termica della cellulosa, sui relativi valori dell’energia di attivazione, o sul rapporto fra la perdita ponderale dovuta alla cellulosa e quella dovuta alla lignina. - metodo fotosensoristico con l’applicazione di un test chimico di persistenza ambientale realizzato con un innovativo fotosensore [4-6] a TiO2. Sono stati ottenuti in ognuno dei casi dei trend monotoni discendenti, che potrebbero essere utilizzati a fini archeometrici. Interessante è risultato anche il confronto con i trend ottenuti con il metodo enzimatico (enzima immobilizzato nella matrice testata vs tempo di invecchiamento che produce un arricchimento in gruppi COOH responsabili dell’immobilizzazione enzimatica). Bibliografia [1] Campanella L.; Antonelli A.; Favero G.; Tomassetti M.; L’Actualité Chimique 2001, Octobre 14 – 20. [2] Campanella L.; Chicco F.; Favero G.; Gatta T.; Tomassetti M.; Ann. Chim. 2005, 95, 133141. [3] Campanella L.; Favero G.; Rodante F.; Tomassetti M.; Vecchio S.; Ann. Chim., 2003, 93, 897 – 907. [4] Campanella, L.; Battilotti M.; Costanza, C. Ann. Chim. 2005, 95, 727-739. [5] Campanella, L.; Costanza, C.; Tomassetti, M. Ann. Chim. 2006, 96, 575-585. [6] Campanella, L.; Costanza, C.; Tomassetti, M. La Chimica e l’industria, 2005, 87, 84 – 89. 122 BC24 CONFRONTO TRA METODI PER LA DETERMINAZIONE DELL’ANDAMENTO DEL Ph NEL TEMPO DI CARTE INVECCHIATE NATURALMENTE, SCRITTE E NON. Luigi Campanella, Cecilia Costanza, Alessandra D’Aguanno Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma email: [email protected] La determinazione del Ph di carte antiche è utile per capirne lo stato di conservazione e il deterioramento; infatti alcune delle cause del degrado della cellulosa sono: l’idrolisi catalizzata da acidi e basi e l’ossidazione [1-4]. Lo scopo di questo lavoro è l’applicazione dell’elettrodo di vetro per la determinazione del Ph di carte invecchiate naturalmente, scritte e non, con tre diversi metodi: 1) un metodo proposto dagli autori, confrontato con due dei metodi riportati in letteratura: 2) metodo superficiale [5]; 3) metodo di estrazione [5]; Le differenze tra i metodi sono la quantità di carta utilizzata, le operazioni preliminari (preparazione del campione, estrazione, etc.), la durata. Il metodo proposto dagli autori risulta essere il più rapido, il più riproducibile ed il meno distruttivo tra i tre. Bibliografia [1] Desai,R. L.; Shields J. A. Die Makromolekulare Chemie 1969, 122, 134 – 144 [2] Whitmore, P; Bogaard, J.; Restaurator, 1994, 15, 26 – 45 [3] Reháková,M.; Vizárová,K.; Jančiová, D.; Valovičová, M.; Varga Š. Durability of paper and Writing, 2004, 68 – 69. [4] Turanova, M.; Havlinova,B.; Ceppan, M. Durability of paper and Writing, 2004, 70 – 71. [5] Strlič, M.;Kolar, J.;Kočar, D.;Drnovšek, T.;Šelih, V. S.; Susič,R.; Pihlar, B. e-PS, 2004, 1, 35 – 47. 123 BC25 CARATTERIZZAZIONE DI MALTE E STUCCHI DEL TEATRO DI MARCELLO E DEL PORTICO DI OTTAVIA IN ROMA Luigi Campanellaa, Paola Ciancio Rossettob, Tania Gattaa, Rossella Grossia, Mauro Tomassettia a Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma b Sovraintendenza Beni Culturali del Comune di Roma e-mail: [email protected]; [email protected] A seguito di restauri e consolidamenti effettuati negli ultimi anni nel Teatro di Marcello in Roma su stucchi bianchi che decorano l’ambiente centrale della sottocavea, si sono resi disponibili piccoli campioni dello stucco più liscio e più esterno e frammenti di malta appartenenti allo strato immediatamente sottostante lo stucco. Poiché l’operazione di consolidamento ha interessato anche resti murali del Portico dedicato ad Ottavia, subentrato in età augustea al portico di Metello, sfruttando le stesse fondazioni di quest’ultimo, si è avuta anche la disponibilità di campioni di malta interstiziale, rispettivamente dei laterizi e del reticolato parietale, ed inoltre di un campione di stucco parietale anche di questa antica struttura. Modeste quantità di questi reperti (circa da 10 a 50 mg) sono stati sottoposti a diversi esami chimici strumentali, ai fini di una loro caratterizzazione e differenziazione dal punto di vista della composizione: analisi termogravimetrica (TG e DTG), analisi ICP delle soluzioni ottenute dopo dissoluzione in forno a microonde (Inductively Coupled Plasma Emission) ed analisi diffrattometrica a raggi X (metodo delle polveri). I risultati ottenuti hanno mostrato che, sia le malte che gli stucchi, risultano costituiti essenzialmente di carbonati di calcio e di magnesio (legante), derivante naturalmente dalla carbonatazione della malta originaria, e da “inerte”, con buona probabilità pozzolanico, essendo costituito essenzialmente da quarzo, pirossene, diopside, analcime. In genere sono state riscontrate quantità non molto significative di gesso. Ciò che distingue nettamente i campioni di stucco dai campioni di malte, è essenzialmente la percentuale nettamente superiore di legante, nei primi e di inerte nei secondi. Anche la percentuale di acqua contenuta nelle malte è circa doppia, rispetto a quella presente negli stucchi. Inoltre mediante diffrattometria a raggi X tracce molto modeste di ossalato di calcio sono state ritrovate negli stucchi, ma non nelle malte esaminate. 124 BC26 FOTOSENSORE PER LA MISURA DELLA PROTEZIONE DI CARTA DI VARIO TIPO ANCHE INVECCHIATA ARTIFICIALMENTE Luigi Campanella, Cecilia Costanza, Alessandra D’Aguanno, Rossella Grossi, Mauro Missori Dipartimento di Chimica – Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Piazzale Aldo Moro 5 - 00185 Roma - Italia e-mail: [email protected] L’invecchiamento del materiale cartaceo è dovuto a variazioni della struttura della cellulosa; come conseguenza la carta può diventare tanto fragile da rompersi. È importante perciò poter intervenire preliminarmente con trattamenti sulla carta mediante azioni protettive. In questo lavoro è stato valutato l’effetto del trattamento superficiale di leganti (a base di proteina vegetale o a base di poliuretano) e di una dispersione acquosa di un copolimero (di n-butilacrilato, acrilonitrile e stirene) con una soluzione polimerica, a fini protettivi di carte, fornite dal Gruppo Cordenons Spa, di diverso tipo: • trattate con effetto metallico della serie “Startdream”; • trattate con effetto matt della serie “Plike”; • naturali permanenti per acquarello della serie “Canaletto”; • naturali permanenti per documenti della serie “Carta per Registro TipoB”; non ed invecchiate artificialmente in veterometro. Sono stati applicati due metodi: 1) metodo biosensoristico, basato su un biosensore enzimatico a glucosio ossidasi. Viene valutato l’aumento del grado di carbossilazione della carta con l’invecchiamento artificiale [1, 2]; 2) metodo fotosensoristico, basato su un fotosensore a biossido di titanio (forma anatasio). La capacità della carta di mantenere le proprie caratteristiche senza un deterioramento significativo per lunghi periodi di tempo viene valutata attraverso un indice di “persistenza ambientale” [3-5] Entrambi i metodi hanno evidenziato l’efficacia del trattamento protettivo della carta adottato da Cordenons che si ringrazia per la fornitura dei campioni. Bibliografia [1]Campanella, L.; Favero, G.; Tomassetti, M. Sensor & Actuators B 1997, 559 – 565. [2] Campanella, L.; Antonelli, A.; Favero, G.; M. L’Actualité Chimique 2001, 14, 20. [3] Campanella, L.; Costanza, C.; Tomassetti, M. La Chimica e l’industria, 2005, 87, 84 – 89. [4] Campanella, L.; Battilotti M.; Costanza, C. Ann. Chim. 2005, 95, 727-739. [5] Campanella, L.; Costanza, C.; Tomassetti, M. Ann. Chim. 2006, 96, 575-585. 125 BC27 INDAGINI DIAGNOSTICHE SUI DIPINTI “PREGHIERA DI TOBIA E SARA” E “L'ARCANGELO RAFFAELE SI RIVELA A TOBI E A SUO FIGLIO TABIA”. Andrea Smeriglio1, Gianluca Nava2, Cesare Oliviero Rossi1, Silvestro Antonio Ruffolo3, Giuseppe Antonio Ranieri1 1 Dipartimento di Chimica, Università della Calabria, Via P. Bucci, Cubo 14D, 87036 Arcavacata di Rende (CS). 2 Laboratorio SEZIONE SOTTILE RESTAURI Snc via Beato Marino 14, 87040 – Zumpano (CS). 3. Dipartimento Scienze della Terra, Via P. Bucci, Cubo 14B, 87036 Arcavacata di Rende (CS). Il presente lavoro riguarda le fasi diagnostiche di due opere policrome olio su tela datate al XVIII secolo: “Preghiera di Tobia e Sara” e “L'Arcangelo Raffaele si rivela a Tobi e a suo figlio Tobia”. Le opere, che raffigurano alcune scene delle vita di Tobia, sono collocate all’interno della cappella del SS Sacramento sita presso il Duomo di Cosenza. Le indagini sono state effettuate sia attraverso metodologie non invasive, come la riflettoscopia IR, sia attraverso metodiche invasive campionando microframmenti delle due tele al fine di caratterizzare la sequenza stratigrafica con il metodo delle Cross Section. Inoltre ciascuno strato è stato oggetto di analisi al fine di caratterizzare i materiali utilizzati, per tale scopo sono state effettuate analisi morfologiche ed elementari al microscopio SEM e analisi su frammenti e Cross Section mediante spettroscopia FT-IR e Micro FT-IR per caratterizzare i materiali organici. Le informazioni ottenute hanno fornito indicazioni sulla tecnica di esecuzione dell’autore e sulle procedure più idonee nelle fasi di restauro. 126 BC28 STUDIO STORICO-ARTISTICO E DIAGNOSTICO-MATERICO SU UN AFFRESCO DEL XV SEC. RINVENUTO NELLA CAPPELA DEI NOBILI DEL DUOMO DI COSENZA Amerigo Beneducia, Maria Caterina Galluccia, Sara Gigliottia,b a Dipartimento di Chimica Università della Calabria Via Pietro Bucci Cubo 17/D 87036 Arcavacata di Rende (CS) b Specializzanda nel corso di laurea in Diagnostica, Conservazione e Restauro per i Beni Culturali del Dipartimento di Scienze della Terra Università della Calabria e-mail: [email protected] Nel 1973 è stato scoperto un interessante affresco nella Cappella dei Nobili, la più antica cappella del Duomo di Cosenza (XIII sec. a.c). L’affresco è collocato sul muro originario della cappella, oggi nascosto dalla attuale parete abbellita da dipinti su tavola del Bellizzi e da stucchi del XIX sec.[1]. In seguito ai danni subiti dalla Cappella, a causa di un incendio avvenuto al suo interno nel 1973, il dipinto centrale del Bellizzi “La Madonna della Misericordia”, venne rimosso creando una ampia apertura attraverso cui è oggi possibile ammirare in parte l’affresco. Esso, di autore ignoto, raffigura Cristo in croce sul Monte Calvario, con San Giovanni e la Madonna ai suoi piedi. La ricostruzione delle varie fasi storiche della Cappella e l’analisi stilistico-iconografica da noi effettuate sull’affresco ci hanno fatto avanzare l’ipotesi che esso risalga al XV sec. e che sia di stile “bizantineggiante”. Le analisi chimiche e chimico-fisiche effettuate sull’affresco sono state principalmente rivolte al riconoscimento dei pigmenti, dei materiali costituenti lo strato di intonaco e degli inquinanti presenti sullo strato pittorico. Tali riconoscimenti sono stati effettuati su microcampioni prelevati dall’Opera (campionamento semiconservativo) tramite microanalisi chimica al microscopio ottico (spot-test) e indagini morfologiche ed elementali attraverso microscopia elettronica a scansione (SEM) e spettrofotometria a fluorescenza di raggi X in dispersione di energia (EDS). Tabella 1: composizione chimica dei pigmenti. Pigmento Rosso scuro Rosso Rosa Bianco Giallo Nero Nome Pigmento Formula Chimica Ocra rossa Fe2O3 Ocra rossa + carbonato di calcio Fe2O3, CaCO3 Ocra rossa + carbonato di calcio Fe2O3, CaCO3 Bianco di calce CaCO3 Ocra gialla Fe2O3 * H2O Nero fumo C amorfo Fig. 1: Microfotografia al SEM di un campione di affresco prelevato dalla croce che mostra la presenza delle particelle sferiche inquinanti costituite da carbonio elementare. 127 L’intonaco è risultato essere costituito essenzialmente da carbonato e solfato di calcio. Nella Tabella 1 sono riassunti i risultati più importanti ottenuti dall’analisi qualitativa. Nella Fig. 1 è inoltre riportata una microfotografia al SEM che rileva la presenza di particelle carboniose di forma sferoidale sulla superficie di tutti i campioni analizzati, probabilmente dovute ad inquinamento da combustione [2]. Bibliografia [1] [2] C. Minicucci, Cosenza Sacra, Cosenza, Chiappetta 1933, 47. S. Lorusso, La diagnosi per il controllo del sistema manufatto-ambiente, Pitagora editrice, Bologna 2002, 260-265. 128 BC29 IL PROGETTO ATENA: SISTEMI DIAGNOSTICI E PROGETTAZIONE MOLECOLARE A TUTELA DEI BENI CULTURALI Maria Pia Casalettoa, Francesco Carusoa, Francesco Michele Mingoiaa, Maria Luisa Testaa, Gabriel Maria Ingob, Tilde de Carob, Cristina Riccuccib Istituto per lo Studio dei Materiali Nanostrutturati, Consiglio Nazionale delle Ricerche: a Via Ugo La Malfa 153, 90146 Palermo b Via Salaria km. 29,300 - CP 10, 00016 Monterotondo Stazione, Roma e-mail: [email protected] Un valido esempio del contributo che la chimica può offrire nell’ambito della conservazione e valorizzazione dei Beni culturali è rappresentato dal progetto ATENA 7 , basato sull’applicazione di tecniche innovative di indagine chimico-fisica e sullo sviluppo e sperimentazione di nuovi materiali e metodi per la conservazione di antichi manufatti ceramici e in lega di rame. Diversi manufatti rinvenuti in scavi archeologici dell’Italia insulare e centrale (Sicilia, Sardegna e Lazio) sono stati campionati in funzione dello stato di conservazione per lo studio dei meccanismi di degrado. La caratterizzazione chimico-fisica è stata condotta mediante le seguenti tecniche di superficie e di bulk: diffrazione di raggi X (XRD), spettroscopia fotoelettronica a raggi X (XPS), microscopia a scansione elettronica con microsonda (SEM-EDS), microscopia ottica (OM), analisi termica differenziale (DTA), termogravimetria (TGA) e spettroscopia elettrochimica di impedenza (EIS). Lo studio delle patine e dei prodotti di corrosione sui manufatti di lega a base rame ha rivelato che la forma più pericolosa di degrado è costituita dal “tumore del bronzo” 1,2. Lo studio di tale meccanismo di degrado consente di progettare una strategia reversibile ed ecocompatibile per il restauro conservativo di manufatti metallici da scavo archeologico. L’approccio innovativo del progetto risiede nella progettazione molecolare di nuovi inibitori della corrosione di leghe a base rame e nella definizione di un protocollo applicativo per il loro impiego nella conservazione di manufatti archeologici. I composti di sintesi vengono testati su campioni “cavia” prodotti a partire da leghe di sintesi, con caratteristiche chimiche e metallurgiche analoghe a quelle antiche, sottoposte ad un nuovo metodo di corrosione accelerata 3. Per quanto riguarda i manufatti ceramici, l’indagine diagnostica condotta sia sulla vetrina che sul corpo ceramico dei campioni ha permesso di identificare i composti costituenti i depositi superficiali. La rimozione delle incrostazioni viene effettuata per via chimica mediante una semplice e sicura procedura che prevede l’applicazione di resine a scambio ionico in condizioni di umidità assoluta e temperatura controllata. L’efficacia di tale trattamento è confermata dalle analisi microchimiche e microstrutturali dei campioni . Bibliografia [1] MacLeod, I.D. ICCM Bulletin, VII, ICCM Inc., Canberra, 1981, 16-26. [2] Scott, D.A. J. Am. Inst. Conserv. 1990, 29, 193-206 [3] Casaletto, M.P.; de Caro, T; Ingo, G.M.; Riccucci, C. Appl. Phys. A – Mater. 2006, 83, 617-622. 7 Parzialmente finanziato dal MIUR (D. D. n. 1105/2002). 129 BC30 IL RESTAURO DELLA CHIESA DELLE ANIME SANTE DI BAGHERIA (PA) M.L. Amadori°, F. Mangani°, M.F. Palla*, M. Sebastianelli** °Facoltà di Scienze e Tecnologie, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” *Laboratorio di Biologia Molecolare, Dipartimento Scienze Botaniche, Università di Palermo **Crimisos Società Cooperativa/Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” [email protected] La chiesa del Santissimo Crocifisso di Bagheria (Palermo) fu eretta nel 1710 e intitolata alle Anime Sante del Purgatorio. Nel 1718 vi fu annessa una cripta con funzione cimiteriale e nel 1720 fu consacrata ed affidata alla congregazione omonima di Bagheria, da cui dipesero da quel momento il mantenimento del culto e le modifiche della chiesa stessa. Originariamente lunga m 10,32 e larga m 5,62, la chiesa, che riportò danni a seguito del terremoto del 1726, fu “restaurata” nel 1734 e ampliata a partire dall’ottobre del 1779, e fu riconsacrata; ma a causa dell’incremento demografico dell’eponimo quartiere bagherese, si rese necessario un nuovo ampliamento, realizzato negli anni 1865-1870, che le conferì le attuali dimensioni. L’asse longitudinale che attraversa la chiesa è decorato da stucchi che costituiscono il rivestimento architettonico e decorativo della volta della navata e dell’abside centrale, in un ricco susseguirsi di elementi vegetali, scene bibliche e cherubini che terminano al livello del cornicione che sovrasta le colonne portanti che delimitano le tre navate. Entro tali spazi sono stati realizzati affreschi da Onofrio Tomaselli, da F. Fazzone e pitture murali geometriche a carattere decorativo. La condizione di luogo privilegiato di visita e devozione ha comportato per la chiesa un accentuato degrado di natura antropica; provocando nelle parti alte alterazioni cromatiche per il deposito di nero fumo sprigionato dal largo utilizzo di ceri devozionali, usure nelle parti basse per il calpestio ed abrasioni da contatto. Il ricco apparato decorativo presentava alterazioni dal punto di vista strutturale, oltre che chimico-fisiche. Erano presenti, ad un’osservazione ravvicinata, fratture e fessure superficiali e profonde che con il tempo sono andate accentuandosi, provocando distacchi sia delle porzioni più aggettanti sia, in alcuni casi, di interi elementi decorativi vegetali realizzati direttamente sull’intonaco umido, quindi privi di elementi fissi di ancoraggio. Molte delle superfici pittoriche erano interessate da depositi di efflorescenze saline e da fenomeni di polverizzazione superficiale probabilmente causate dall’abbondante percolazione di acqua meteorica dal tetto. L’analisi dei dati storici, affiancata all’osservazione diretta delle superfici affrescate e stuccate, ha fornito un quadro conoscitivo utile all’interpretazione complessiva delle condizioni conservative ed alla pianificazione di una campagna di indagini scientifiche volte allo conoscenza dello stato di conservazione e della tecnica esecutiva in uso in un periodo che si può considerare di passaggio tra il XIX e il XX secolo. Sono state quindi effettuate analisi in diffrattometria di raggi X (XRD) su polveri, per individuare la composizione mineralogica principale; analisi in cromatografia ionica (CI) per conoscere il contenuto dei sali solubili dei prodotti di degrado; misure di conduttività per valutare i sali solubili totali; osservazioni al microscopio ottico su sezioni stratigrafiche e su sezioni sottili trasversali per identificare composizione di stucchi e intonaci; osservazioni al microscopio elettronico a scansione (SEM) per individuare i microrganismi; analisi molecolare mediante tecnica PCR (Polymerase Chain Reaction) per identificare le specie batteriche. 130 I risultati analitici hanno permesso di individuare i fenomeni di degrado in atto e adottare adeguate metodologie di intervento. Sono emersi inoltre dati utili alla conoscenza delle differenti tipologie di stucchi riconducibili a tecniche esecutive diverse legate alle varie fasi di costruzione ed ampliamento della chiesa. I dipinti murali sono stati eseguiti sia a calce su intonaco asciutto, sia ad affresco, sia a secco con l’impiego di legante organico. I pigmenti utilizzati sono quelli che normalmente si riscontrano in questo periodo nella pittura murale, a base di nero di carbone, ocra rossa e gialla, oltremare artificiale e terre verdi. 131 132 SESSIONE POSTER QP: QUALITÀ DELL’ARIA E PARTICOLATO ATMOSFERICO 133 134 QP01 ANALISI DELLA COMPONENTE CARBONIOSA NEL PM10 E NEL PM2.5 NELL’AREA URBANA DI BOLOGNA Daniela Baldaccib, Valentina Benedettia, Silvia Parmeggianib, Milena Stracquadanioa, Laura Tosittib, Sergio Zappolia a) Dipartimento di Chimica Fisica e Inorganica, Facoltà di Chimica Industriale, Università di Bologna,viale Risorgimento 4, 40136 Bologna b )Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Università di Bologna, via Selmi 2, 40128, Bologna La componente carboniosa può essere considerata uno dei maggiori costituenti del particolato atmosferico fine (PM2.5) in area urbana (ten Brink et al., 2004) con contributi del 20-40% della massa totale del particolato (Rogge et al., 1993). La componente carboniosa è costituita da due frazioni principali: la frazione di carbonio organico (OC), una complessa miscela di migliaia di composti organici di origine primaria o secondaria, e la frazione di carbonio elementare (EC), di origine primaria, a struttura chimica esagonale simile a quella della grafite, emessa prevalentemente durante i processi di combustione. Una frazione trascurabile della componente carboniosa ed in particolar modo nei diametri più fini è rappresentata invece dai carbonati (CC). Le frazioni di EC e OC sono generalmente definite in modo operativo dai protocolli di misura. Fino ad oggi non è stato identificato un metodo standard, ma esistono diverse metodiche analitiche per la determinazione del carbonio totale (TC) e la sua speciazione in elementare e organico nel particolato. Le diverse metodiche sfruttano le differenti proprietà ottiche, termiche o chimiche del carbonio particolato. Nel presente lavoro, è stato determinato il TC nei filtri di particolato PM2.5 e PM10 raccolti nell’autunno 2006 in un sito nel centro storico di Bologna in una zona non direttamente soggetta a traffico veicolare. L’analisi è stata effettuata su una porzione di filtro di 28.26 mm2 attraverso la completa ossidazione per mezzo di una combustione flash a 900°C e successiva analisi gascromatografica con detector a conducibilità termica utilizzando un analizzatore elementare CHN Flash Eager 1000-ThermoQuest. Dai dati ottenuti è risultato che il carbonio rappresenta in media circa il 20% della massa del particolato per il PM10 e circa un 30 % sul PM2.5. Dall’analisi dei dati è risultato inoltre che, in media, circa 80% del TC risulta associato alla frazione di particolato con diametro aerodinamico inferiore a 2.5 μm. Dal confronto con i dati ottenuti su campioni di filtri di PM2.5 raccolti a luglio del 2006 risulta che la percentuale in massa di carbonio in questa stagione (in media il 20% sul totale) è più bassa di quella registrata in autunno. Bibliografia ten Brink, H.; Maenhaut, W.; Hitzenberger, R.; Gnauk, T.; Splinder, G.; Even, A.; Chi, X.; Bauer, H.; Puxbaum, H.; Putaud, J.P.; Tursic, J.; Berner, A. T. Atm. Environ. 2004, 38, 65076519 Rogge, W.F.; Mazurek, M.A.; Hildemann, L.M.; Cass, G.R.;Simoneit, B.R.T. Atm. Environ 1993, 27A, 1309-1330 135 QP02 DETERMINAZIONE DEGLI IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI NELL’AREA URBANA DI BOLOGNA: CONFERME E ANOMALIE Daniela Baldaccib, Andrea Musettib, Silvia Parmeggianib, Milena Stracquadanioa, Laura Tosittib, Sergio Zappolia a)Dipartimento di Chimica Fisica e Inorganica, Università di Bologna, viale Risorgimento 4, 40136 Bologna e-mail: [email protected] b)Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Università di Bologna, via Selmi 2, 40128, Bologna Nell’ambito del progetto SITECOS (Studio Integrato sul TErritorio nazionale per la caratterizzazione ed il COntrollo di inquinanti atmoSferici) sono stati analizzati gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) associati al PM2.5 raccolto nella città di Bologna. Gli IPA sono composti organici semivolatili che si trovano in atmosfera sia in fase gas che associati al particolato atmosferico. In questo studio sono stati determinati gli IPA a medio - alto peso molecolare, preferenzialmente associati al particolato atmosferico, ed in particolare Benzo(a)Antracene (BAA), Crisene (CHR), Benzo(b)Fluorantene (BBF), Benzo(k)Fluorantene (BKF), Benzo(a)Pirene (BAP), Dibenzo(ah)Antracene (DBA), Benzo(ghi)Perilene (BGP). La procedura analitica utilizzata prevedeva l’estrazione in Soxhlet con acetone (3/4 cicli/h per 8 ore) di ¼ di filtro in fibra di quarzo (47 mm), la purificazione dell’estratto su silice e l’analisi in HPLC con detector a fluorescenza. Da luglio 2005 a luglio 2006 sono state effettuate quattro campagne di raccolta del particolato atmosferico, suddivise in campagna estiva 2005, campagna autunnale 2005, campagna invernale 2006, campagna estiva 2006. È stato quindi possibile identificare un andamento stagionale nei livelli di concentrazione degli IPA, confermando quanto già precedentemente riscontrato nel sito in esame (Stracquadanio et al. 2007) e riportato in bibliografia per altri siti urbani. Si rilevano, infatti, le minori concentrazioni, anche prossime al limite di rilevabilità, nel periodo estivo, probabilmente per effetto della maggiore altezza dello strato di rimescolamento e per una maggiore attività fotochimica di degradazione di questi composti. Le concentrazioni in aria aumentano a partire dal periodo autunnale, fino a registrare i più alti valori di concentrazione nel periodo invernale (anche di due ordini di grandezza superiori a quelli estivi). Ad esempio, la concentrazione media del BAP, IPA di riferimento della normativa italiana, calcolata sull’intero periodo che ha interessato il progetto SITECOS è di 0.43 ng.m-3, con un minimo nel periodo estivo di 0.020 ng.m-3 e un massimo di 0.72 ng.m-3 per il periodo invernale. È stata in genere riscontrata una buona correlazione fra concentrazione del PM2.5 in aria e le concentrazioni di IPA. Tale correlazione non è però rispettata in giornate caratterizzate da eventi meteorologici particolari. Tali anomalie mettono in luce l’influenza marcata di taluni parametri meteorologici sulla permanenza o dispersione degli IPA nei bassi strati della troposfera. Bibliografia Stracquadanio, M.; Apollo, G.; Trombini, C. WASP 2007, 179, 227-237. 136 QP03 CICLO GIORNO – NOTTE DI COMPOSTI CARBONILICI NELL’AREA URBANA DI BOLOGNA Annamaria Benedettib, Ermanno Erranib, Barbara Fabbria, Isacco Gualandia, Vanes Poluzzib, Isabella Ricciarellib, Milena Stracquadanioa, Sergio Zappolia a Dipartimento di Chimica Fisica e Inorganica,Università di Bologna,viale Risorgimento 4, 40136 Bologna b ARPA Sezione Provinciale di Bologna, via Trachini 17, 40138 Bologna e-mail: [email protected]. I composti carbonilici rivestono una grande importanza nella determinazione della qualità dell’aria in area urbana, sia per la valutazione del rischio per la salute umana, viste le proprietà tossiche e carcinogeniche di alcuni composti, sia per il loro importante ruolo nella chimica atmosferica e nella formazione dello smog fotochimico. I composti carbonilici, infatti, sono intermedi stabili delle reazioni fotochimiche di ossidazione di composti organici e partecipano alle reazioni di formazione di ozono, perossiacetilnitrato (PAN) e particolato di origine secondaria. I composti carbonilici possono essere di origine antropica o naturale, emessi direttamente in atmosfera o di origine secondaria (Hellen, 2004). Visto il ruolo decisivo di numerose aldeidi nei processi fotochimici, risulta importante studiare l’evoluzione di questi composti in funzione dell’insolazione e, quindi, di impostare campagne di misure che prevedano, almeno, la suddivisione giorno-notte. In questa direzione abbiamo iniziato uno studio in ambito urbano volto al campionamento di aria ad intervalli regolari per tutta la giornata. Per il campionamento e l’analisi è stata adottata la procedura standard operativa (SOP MLD 022-2001), che prevede il campionamento attivo su specifiche cartucce a ad un flusso di 1 Lmin-1 I primi risultati ottenuti evidenziano che la metodica analitica consente determinazioni affidabili delle aldeidi principali in tutti i campionamenti effettuati e indicano, inoltre, la possibilità di aumentare la risoluzione temporale del prelievo (fino a un’ora per le aldeidi più concentrate). Nella comunicazione verranno presentati i risultati preliminari delle campagna primaverile in corso di completamento. Dalle prime analisi effettuate si evidenzia, per tutte le aldeidi, un marcato ciclo giornaliero con massimi localizzati nelle ore centrali del giorno e valori minimi nelle ore notturne. I composti che presentano le maggiori sono risultati essere: acetone, formaldeide, acetaldeide, 2,5-dimetilbenzaldeide. Bibliografia Hellen, H., Hakola, H., Reissell, A., Ruuskanen, T. M. Atmos. Chem. Phys. Discuss., 2004, 4, 2991–3011. California Environmental Protection Agency, Northern laboratory Branch Monitoring and Laboratory Division “Standard Operating Procedure for the Determination of Carbonyl Compounds in Air”, 2001 (http://www.arb.ca.gov/aaqm/sop/sop_22.pdf) 137 QP04 COCAINA IN ARIA AMBIENTE, EFFETTO INATTESO DELL’ABUSO DI DROGHE Angelo Cecinato, Catia Balducci, Graziano Nervegna, Massimiliano Possanzini, Giorgio Tagliacozzo Istituto Inquinamento Atmosferico CNR, Via Salaria km 29,3 – CP 10, 00016 Monterotondo Stazione RM e-mail: [email protected] Lo studio della composizione della frazione organica delle polveri sospese ha inaspettatamente rivelato la presenza di tracce di cocaina in aria, talvolta accompagnata da altre droghe (es. cannabinolo). In seguito alla messa a punto di una procedura analitica dedicata, sono state osservate concentrazioni di droga in aria dell’ordine decine di picogrammi per metro cubo a Roma, in siti e periodi dell’anno diversi. Misure estese ad altre regioni (la provincia di Taranto in Italia; l’area metropolitana di Algeri in un Paese in via di sviluppo) sembrano indicare che la diffusione del consumo di droghe (relazionata alle quantità sequestrate dalle Forze di Polizia e ai numeri di ricoveri per cure disintossicanti) renda ragione dei differenti livelli di concentrazione registrati nelle tre aree, sia in termini assoluti, sia in relazione ad altri inquinanti quali il benzo(a)pirene. Infatti, confrontando i dati raccolti per Roma e Taranto, si osserva che il contenuto di benzo(a)pirene in aria è simile nelle due città (frazioni di ng m-3), mentre la cocaina è assai più presente nella capitale (≈ 30 pg m-3 contro ≈ 5 pg m-3 a Taranto). Questi dati sono coerenti con i corrispondenti dati clinico-epidemiologici. Inoltre, nell’aria di Algeri la cocaina risulta del tutto assente, quantunque in generale i livelli d’inquinamento atmosferico siano superiori a quelli delle due città italiane. Al contrario, la cocaina risulta presente e quantificabile anche in aree suburbane romane, quali Malagrotta e Montelibretti. Significative differenze si osservano all’interno delle due aree italiane investigate. A Romacittà le concentrazioni più alte sono state registrate nel quartiere universitario e in un parco verde, le più basse in zone residenziali e a livello stradale. Nelle due zone suburbane (Malagrotta, sede di piccole e medie industrie, di un inceneritore e di una discarica; Montelibretti, area rurale attraversata da una strada e un’autostrada e sperimentante uno sviluppo residenziale diffuso) i livelli di concentrazione di cocaina appaiono simili a quelli più bassi registrati a Roma città. A Taranto, due zone abitate nel centro città e nel suburbio sembrano parimenti affette da cocaina, mentre in un sito rurale essa risulta assente. Bibliografia Cecinato, A.; Balducci, C., Journal of Separation Science 2007 (in press). 138 QP05 CARATTERIZZAZIONE DEL CONTENUTO DI METALLI PESANTI NEL PARTICOLATO ATMOSFERICO A LECCE Daniela Cesari a, Daniele Contini a, Antonio Donateo a, Salvatore Francioso b, Franco Belosi c a Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, CNR, S.P. Lecce-Monteroni km 1.2, Lecce b Servizio Ambiente, Provincia di Lecce, Via Umberto I, Lecce c Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, CNR, Via P.Gobetti, 101, Bologna e-mail: [email protected] Si presenta una caratterizzazione del particolato atmosferico nel territorio della provincia di Lecce. I rilevamenti di PM10 e PM2.5 sono stati fatti con un Laboratorio Mobile utilizzando il metodo gravimetrico su filtri di fibra di quarzo o di esteri misti di cellulosa. I campionamenti sono stati fatti per l’arco di 24 ore alla portata di 2.3 m3/h in accordo alle indicazioni del D.M. 60/2002 utilizzando dei filtri bianchi sul campo per la correzione di errori sistematici e la valutazione dell’incertezza di misura. Maggiori dettagli possono trovarsi in Belosi et al (2006). I rilevamenti riguardano tre tipologie di sito di misura: urbano, sito di fondo urbano e sito di fondo urbano influenzato da un’area industriale. I risultati indicano una significativa variabilità delle concentrazioni medie nelle tre tipologie di sito e questo evidenzia la presenza di contributi locali al particolato atmosferico. Sono inoltre presenti contributi di trasporto a lungo raggio (fenomeni di Saharan Dust) che influenzano circa il 17% dei rilevamenti. Le intrusioni di polveri Africane aumentano in media del 19% le concentrazioni di PM10 e del 2.5% quelle di PM2.5 nei siti di fondo urbano mentre il loro effetto è minore nei siti urbani. Sono inoltre stati evidenziati casi di trasporto a medio raggio di inquinanti emessi dai grandi centri industriali della Puglia siti a Brindisi e Taranto. Il rapporto medio R=PM2.5/PM10 fra le concentrazioni giornaliere è R=0.71 (+/- 0.15), indicando la variabilità a livello di una deviazione standard. Tale rapporto è compatibile con altre misure riportate in letteratura dove si riportano valori medi di R compresi fra 0.63 e 0.75 (Marcazzan et al 2002, Marcazzan et al 2004). I metalli analizzati, mediante spettroscopia di assorbimento atomico (AAS) o spettroscopia ad emissione ottica al plasma accoppiata induttivamente (ICP-OES), sono i seguenti: Cadmio (Cd), Vanadio (V), Ferro (Fe), Rame (Cu), Nichel (Ni), Manganese (Mn), Zinco (Zn), Arsenico (As), Piombo (Pb) e Cromo (Cr). Questi metalli costituiscono in media fra lo 0.4% ed il 1.1% della massa del PM10 nei diversi siti di misura e fra lo 0.3% ed il 0.9% della massa del PM2.5. Le analisi chimiche condotte sui filtri hanno evidenziato le difficoltà di rilevare le concentrazioni di alcuni metalli (in particolare V, As, Ni, Cd e Cr sono talvolta al di sotto del limite di rilevabilità) con campionamenti a basso volume. Il calcolo del fattore di arricchimento crostale dei diversi metalli ha mostrato che Pb, Zn e Cd sono generalmente arricchiti e che il metallo è presente prevalentemente nella frazione fine (PM2.5). Il Mn è di origine crostale ed è distribuito sia sulla frazione fine che su quella grossolana. Il Cu risulta generalmente arricchito ma è presente in maniera significativa sia nella frazione fine sia in quella grossolana ed in alcuni siti è probabile un contributo sia crostale che antropico. Il Ni ed il Cr risultano arricchiti e correlati fra loro in vicinanza di una zona industriale con un inceneritore (che risulta una probabile origine di questi metalli) e sia le concentrazioni che la correlazione diminuisce allontanandosi dalla zona industriale. In molti siti di misura è stata osservata una correlazione fra Fe e Mn che ne evidenzia una probabile origine crostale comune. 139 Bibliografia Belosi F., Contini D., Donateo A., Prodi F. Il Nuovo Cimento C 2006, 29, 4, 473-486. Marcazzan , G.M.; Valli, G.; Vecchi, R. The Science of the Total Environm. 2002, 298, 6579. Marcazzan, G.M.; Ceriani, M.; .; Valli, G.; Vecchi, R. X-Ray Spectrom. 2004, 33, 267-272. 140 QP06 SIMULAZIONE DI RUN-OFF SU MATERIALI ESPOSTI ALL’APERTO Elena Bernardia, Cristina Chiavarib, Carla Martinib, Daria Prandstrallerb, Luciano Morsellia a b Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali Dipartimento di Scienze dei Metalli, Elettrochimica e Tecniche Chimiche Università di Bologna- Via Risorgimento 4, 40136 e-mail: [email protected] Il presente contributo s’inserisce all’interno di un progetto multidisciplinare teso a studiare l’evoluzione ed i meccanismi del degrado indotto dalle deposizioni atmosferiche sui materiali esposti all’aperto. Le prove d’invecchiamento accelerato condotte fino ad ora nell’ambito del progetto sono state effettuate mediante la tecnica delle immersioni alternate, che simula una condizione di stagnazione del materiale nei confronti delle deposizioni umide [1,2]. Al fine di simulare sia condizioni di run-off, che cicli di deposizione secca ed umida, è stata sviluppata un’opportuna apparecchiatura, denominata “dropping system”. Tale apparecchiatura permette di far cadere, goccia a goccia, una soluzione su di un provino del materiale scelto, consentendo di variare i seguenti parametri: flusso di gocciolamento, altezza di caduta delle gocce, inclinazione del provino. La soluzione lisciviante può essere raccolta in maniera frazionata per successive analisi ed il provino monitorato nel corso della prova. In questo lavoro sono riportate le prove di validazione del “dropping system” per l’invecchiamento dei metalli e del metodo di campionamento messo a punto per seguire agevolmente l’andamento della corrosione durante le prove. Per i test di validazione sono stati utilizzati provini di bronzo G85-5-5-5 e, come soluzione lisciviante, una pioggia sintetica con composizione tipica delle piogge più acide (pH<4.5) che cadono a Bologna nei mesi invernali. La pioggia sintetica gocciolata sui provini è stata campionata ogni ora ed i metalli (Cu, Sn, Pb, Zn) discioltisi in essa sono stati determinati mediante GF-AAS. Microsezioni di superficie corrosa sono state prelevate, secondo uno schema temporalmente e spazialmente predefinito, ed analizzate, parallelamente ai provini, tramite VP-SEM con microsonda EDS. I test effettuati sono risultati riproducibili ed i dati quantitativi, ottenuti dalle analisi sui provini e sulle soluzioni, sono risultati consistenti. I campioni prelevati, inoltre, risultano rappresentativi della corrosione del provino al momento del prelievo ed il campionamento non altera il proseguimento del test. Le prove condotte hanno dunque permesso di mettere a punto un sistema per riprodurre il “rain dropping” su materiali esposti all’aperto e, nel caso di superfici metalliche, un metodo per seguirne la corrosione nel tempo. Bibliografia [1] Morselli,L.; Bernardi,E.; Chiavari,C.; Brunoro, G. App. Phys. A-Mater 2004, 79, 363-367 [2] Morselli, L.; Bernardi, E.; Chiavari, C.; Martini, C.; Prandstraller, D. Atti del XXII Congresso Nazionale SCI 2006, p 56 141 QP07 CARBONILI VOLATILI NELL’ARIA DI ROMA: CONFRONTO TRA AMBIENTI INTERNI ED ESTERNI Massimiliano Possanzini, Catia Balducci, Graziano Nervegna, Angelo Cecinato, Giorgio Tagliacozzo Istituto Inquinamento Atmosferico CNR, Via Salaria km 29,3 – CP 10, 00016 Monterotondo Stazione RM e-mail: @iia.cnr.it I carbonili volatili (aldeidi e chetoni C1~C7) costituiscono probabilmente il più importante gruppo d’inquinanti organici atmosferici tossici. Infatti, non solo sono state riconosciute proprietà cancerogene e irritanti alla formaldeide, all’acetaldeide e all’acroleina, ma anche i carbonili sono stati identificati tra intermedi dei processi comunemente classificati come “smog fotochimico”. A differenza di altri inquinanti, i carbonili sono spesso più abbondanti in ambienti interni che all’esterno; conseguentemente, l’esposizione della popolazione alle aldeidi e chetoni sembra assai più rilevante di quanto usualmente sospettato. A dispetto di ciò, le misure di aldeidi e chetoni atmosferici sono molto meno numerose di quelle di altri inquinanti meno tossici (idrocarburi volatili, IPA, diossine), anche perché non esiste una normativa adeguata, né a livello nazionale né comunitario. Le misure ambientali vengono comunemente eseguite mediante il metodo della DNPH, che consiste nel campionamento su cartuccia impregnata, seguito dall’estrazione del derivati dei carbonili e analisi chimica per HPLC e rivelazione UV. Tuttavia, questa procedura consente solo la misura corretta dei congeneri C1~C3, mentre per i carbonili con 4 o più atomi di carbonio la presenza di numerosi isomeri e di specie insature, associata al limitato potere separativo delle colonne cromatografiche, ne impedisce l’identificazione certa. A questa limitazione si può solo parzialmente ovviare attraverso l’uso di un rivelatore a fotodiodi operante a più lunghezze d’onda (registrando uno spettro d’assorbimento luminoso), mentre per l’identificazione certa e la discriminazione di specie coeluite è necessario ricorrere alla spettrometria di massa. Uno studio preliminare dei carbonili volatili presenti in aria urbana (Roma) all’esterno e all’interno di un appartamento è stato condotto nell’autunno 2006. Allo scopo, i prelievi di aria erano eseguiti contemporaneamente per confrontare sia le distribuzioni percentuali delle varie specie, sia i livelli di concentrazione. I risultati indicano che le specie più abbondanti, sia indoor che outdoor, sono formaldeide, acetaldeide e acetone, le cui concentrazioni sono fino a cinque volte superiori all’interno rispetto all’esterno. L’uso della spettrometria di massa ha consentito di riconoscere e quantificare 29 carbonili, con concentrazioni comprese tra 0.1 e 50 µg m-3. 142 QP08 SVILUPPO DI UNA RETE NEURALE DI TIPO FEED FORWARD BACK PROPAGATION PER LA PREVISIONE DI PM10: CONFRONTO CON UN MODELLO DI REGRESSIONE MULTIVARIATA M. Caselli, G. de Gennaro, P. Ielpo, L. Trizio Dipartimento di Chimica, Università degli studi di Bari via E. Orabona 70126 Bari [email protected] L’aria che respiriamo può essere contaminata da sostanze inquinanti provenienti da industrie, veicoli, e molte altre fonti. questi inquinanti rappresentano un grosso problema per gli effetti dannosi che possono avere nei confronti della salute o dell’ambiente in cui viviamo.[1-6] uno degli inquinanti a maggiore impatto è rappresentato dal pm10, ovvero materiale particolato (pm) con un diametro aerodinamico medio inferiore a 10 micron. Può essere importante quindi costruire modelli matematici che permettano di compiere previsioni sulla concentrazione di inquinanti per informare la popolazione dell'inquinamento presente in zone specifiche oppure per prendere misure precauzionali immediate come, ad esempio, il blocco del traffico. L’obiettivo del presente lavoro è la realizzazione di un Sistema di Supporto alle Decisioni a reti neurali, che, correlando i dati di qualità dell'aria con le informazioni metereologiche, sia in grado di prevedere gli episodi critici di inquinamento atmosferico al fine di indirizzare l'Amministrazione sugli interventi più opportuni da intraprendere sul territorio urbano. Con le reti neurali si cerca di sviluppare modelli che abbiano le caratteristiche fondamentali e le capacità elaborative proprie del cervello umano. In tale lavoro saranno confrontati due differenti modelli, uno basato sulla regressione lineare ed uno a reti neurali di tipo back propagation feed-forward. [7-8] L'apprendimento della rete feed forward, ovvero il processo attraverso cui i parametri liberi vengono modificati in funzione dei continui stimoli ricevuti dall'ambiente nel quale il sistema si trova, è di tipo supervisionato, su un gruppo di coppie di esempi (patterns), ciascuna formata da un ingresso e dalla corrispondente uscita desiderata. Come input per la fase di addestramento si sono utilizzati i dati di PM10 della stazione di monitoraggio di San Nicola del giorno precedente alla previsione con un intervallo di 12 ore e i dati metereologici; come output un neurone che rappresenta il valore medio giornaliero di PM10. La rete è stata ottimizzata mediante un metodo Simplex[9] con i parametri quali la learning rate,l’incremento massimo dei pesi, il numero di epoche e il numero di neuroni, lasciando fisse le funzioni di learning (learnrp) e di training (traingdm) che fornivano un errore medio minore. La previsione è stata effettuata utilizzando i dati di previsione metereologici disponibili in rete (www.wunderground.it). Iterativamente è stata effettuata la previsione di PM10 a 2 e 3 giorni, utilizzando come dati di input la concentrazione di PM10 predetta precedentemente e le previsioni dei parametri metereologici a 2 e 3 giorni. Al fine di valutare le potenzialità delle reti neurali, è stato effettuato un confronto con un modello di regressione lineare multivariata per quanto riguarda la previsione a uno e a due giorni. Come dati di input al modello si è considerata la concentrazione di PM10 in funzione della velocità del vento, temperatura e pressione. I valori biorari di velocità del vento sono stati suddivisi in 5 ranges (0-4, 4-8, 8-12, 12-16, >16) e per ogni giorno è stato considerato il numero di volte in cui il valore di velocità cadeva in ogni range. 143 Sono state valutate le performance dei due modelli in termine di RRMSE. Bibliografia 1] Dockery, D. Pope III, C. Spengler, J. Ware , J. Fay, M. Ferris, M. Speizer F. , An association between air pollution and mortality in six U.S. cities., The New England Journal of Medicine 1993, 329, 1753-9. [2] J.F. Gamble, PM2.5 and Mortality in Long-term Prospective Cohort Studies: Cause-Effect or Statistical Associations? , Environ. Health Perspect., 1998, 106, 535. [3] G. Oberdorster, Pulmonary effects of inhaled ultrafine particles, Arch. Occup. Emviron. Health, 2001, 74, 1. [4] Dockery, D. Speizer, F. Stram, D. Ware, J. Spenmgler, J. Ferris B. , Effects of inhalable particles on respiratory health of children., Am. Rev. Respir. Dis. , 1989, 139, 587-594. [5] International Agency for Research on Cancer (IARC), Overall evaluation of carcinogenicity: an updating of IARC Monographs, Suppl. 7, IARC, Lyon, 1987. [6] James C Slaughtera, Eugene Kima, Lianne Shepparda, Association between particulate matter and emergency room visits, hospital admissions and mortality in Spokane, Washington, Journal of Exposure Analysis and Environmental Epidemiology, 2005, 15, 153– 159 [7] Hecht-Nielsen R., Theory of the backpropagation neural network, Proc. Of the Int. Joint Conf. On Neural Networks, 1989, 1, pp. 543-611, IEEE Press, New York [8] Hertz J., Krogh A., Palmer R.G., Introduction to the theory of neural computation, 1991, CA, Addison Wesley [9] Nelder J.A, Mead R., Simplex method for function minimization, Comput. J., 1965, 7, 308. 144 QP09 VALUTAZIONE DELL’ADSORBENTE XAD-2 PER IL CAMPIONAMENTO E L’ARRICCHIMENTO D’INQUINANTI ORGANICI PERSISTENTI (POPs) IN ATMOSFERA Mario V. Russoa, Giuseppe Cinellia, Ivan Notardonatoa e Pasquale Avinob a Facoltà di Agraria (DISTAAM), Università del Molise, via De Sanctis, Campobasso. E-mail: [email protected] b Laboratorio Inquinamento Chimico dell’Aria, DIPIA-ISPESL, via Urbana 167, Roma L’inquinamento atmosferico in questi anni ha assunto proporzioni significative ed ha creato un notevole allarme sociale: agli inquinanti naturali si sono aggiunti gli inquinanti antropici il cui accumulo viene accentuato dalle condizioni meteorologiche. Tra le diverse classi di sostanze organiche presenti in atmosfera alcune meritano particolare attenzione per essere persistenti, bioaccumulabili e tossiche: gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), il benzene, toluene e gli xileni (BTX), gli acidi organici, le aldeidi, i PCBs, i PCDDs, i PCDFs, le sostanze organiche volatili, i pesticidi clorurati e fosforati, ecc.. Da oltre 20 anni i polimeri porosi sono utilizzati in chimica analitica anche se solo da qualche anno vengono impiegati in modo più intenso e per diverse problematiche tanto da soppiantare quasi del tutto i carboni attivi ed altri materiali adsorbenti. Essi sono relativamente inerti, idrofobici e di norma hanno anche sviluppo superficiale molto elevata. Molti polimeri porosi trattengono poco i composti volatili, ma possono essere usati vantaggiosamente qualora si dovesse campionare un soluto presente nell’atmosfera con un alto contenuto di acqua o vapori. Gli adsorbenti più usati per il campionamento di sostanze organiche trovano spesso impiego nelle colonne di separazione gas-cromatografica o liquido-solido. Alcuni polimeri porosi utilizzati per questi scopi sono il Tenax, Porapak, Chromosorb, le resine PUF e XAD. In questo studio si riportano i risultati di una ricerca condotta su un adsorbente sintetico apolare, l’amberlite (XAD-2), impiegato per concentrare alcune classi d’inquinanti organici presenti in tracce nell’atmosfera. I risultati ottenuti permettono di affermare che la XAD-2 può essere impiegata convenientemente per campionare sostanze organiche presenti in tracce nell’atmosfera con notevoli vantaggi rispetto agli adsorbenti tradizionali come i carboni. Uno dei vantaggi cruciali è l’elevato volume campionato di aria con un elevato fattore di concentrazione e con una limitata perdita di analiti. Un altro vantaggio è la facilità e la velocità di riestrazione degli analiti con piccoli volumi di solvente (qualche mL) con recuperi percentuali compresi tra 77 e 109 e con una deviazione standard <10. Bibliografia Harper, M. Ann. Occup. Hyg. 1993, 37, 65-88. Peters, R.; Bakkeren, H. Analyst 1994, 119, 71-74. 145 QP10 VARIAZIONI TEMPORALI DAL 2002 AL 2005 DI METALLI PESANTI NEL PM10 PRELEVATO NEL SALENTO Alessandro Buccolieria, Giovanni Buccolieria, Nicola Cardellicchiob, Angelo Dell’Attic a Università del Salento, Dipartimento di Scienza dei Materiali, via per Monteroni, 73100 Lecce. E-mail: [email protected] b C.N.R.-I.A.M.C. - Sede di Taranto, via Roma n. 3, 74100 - Taranto c Osservatorio di Monitoraggio dell’Inquinamento dell’Atmosfera e dello Spazio Circumterrestre, via S. Giuseppe 30, 73012, Campi Salentina (LE) Lo sviluppo industriale ha sì prodotto beni e servizi volti a migliorare il tenore di vita dei cittadini, ma per numerosissimi anni ha ignorato i problemi legati all’impatto ambientale e alla salute dell’uomo, minando fortemente la qualità della vita che pure aveva cercato di favorire e promuovere. Negli ultimi decenni il problema dell’inquinamento atmosferico è diventato sempre più pressante anche in considerazione di una crescente presa di coscienza del rischio che tale fenomeno implica. Conseguentemente i decreti nazionali e comunitari sono stati continuamente aggiornati con provvedimenti via via più restrittivi al fine di migliorare la qualità dell’aria, anche con strategie di intervento quali rinnovo del parco veicolare con veicoli catalizzati, uso di combustibili a basso impatto ambientale, realizzazione e/o integrazione di efficienti sistemi di trasporto pubblico; occorrerebbero però cambiamenti culturali ben più ardui da realizzare. Per valutare la qualità dell’aria l’indice più studiato è senza dubbio il PM10. Oltre a valutare la sua concentrazione è fondamentale determinarne la composizione chimica e quantificare la concentrazione delle specie tossiche presenti allo scopo di individuare le sorgenti naturali e/o antropiche. In virtù delle suddette considerazioni, nel presente lavoro si riportano le variazioni temporali dal 2002 al 2005 della concentrazione del PM10 e di dieci microinquinanti metallici (cadmio, cromo, rame, ferro, manganese, nichel, piombo, titanio, vanadio e zinco) contenuti in esso. La concentrazione di PM10 è stata determinata mediante tecnica gravimetrica e la concentrazione dei microinquinanti metallici mediante spettroscopia di emissione atomica con plasma accoppiato induttivamente, previa solubilizzazione dei filtri mediante mineralizzazione acida in un sistema a microonde. Per ogni periodo di campionamento sono state registrate le condizioni meteorologiche e le immagini MODIS (Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer) al fine di evidenziare le possibili correlazioni fra la variazione della concentrazione del PM10 e/o dei metalli investigati con le condizioni meteorologiche e gli eventi di trasporto di sabbie sahariane, fenomeni frequenti nel Salento. I dati sperimentali sono stati elaborati mediante tecniche statistiche multivariate ed è stato calcolato il fattore di arricchimento per verificare l’esistenza di correlazioni fra i metalli, per determinare le probabili sorgenti di materiale particolato atmosferico e per discriminare i campioni in relazione alle diverse condizioni meteorologiche, al sito e al periodo di campionamento. 146 QP11 L’INVENTARIO DELLE EMISSIONI IN ATMOSFERA PER LA REGIONE PUGLIA: LE EMISSIONI DA RISCALDAMENTO RESIDENZIALE E TERZIARIO L. de Gennaroa, P. Brunob, M. Casellib, G. de Gennarob, E. Andrianib, M. Brattolia, M.A. De Leonibusb, A.E. Parenzab a Lenviros srl – spin off dell’Università degli Studi di Bari, via E. Orabona,4 70126 Bari Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via E. Orabona,4 70126 Bari e-mail: [email protected] b Un inventario delle emissioni in atmosfera è una serie organizzata di dati relativi alla quantità di inquinanti in atmosfera. L’inventario si differenzia dal semplice catasto derivante dalle dichiarazioni delle aziende ai sensi del DPR 203/88 (spesso incomplete o poco attendibili) in quanto non è solo una semplice raccolta e schedatura di dati ma è costituito da una serie organizzata di dati relativi alla quantità di inquinanti introdotti in atmosfera da sorgenti naturali e/o attività antropiche tale da permettere di conoscere con precisione l’impatto ambientale delle emissioni e le loro ripercussioni sulla qualità dell’aria. L’inventario, infatti, è in grado di: - fornire un supporto, insieme ai modelli di dispersione, per la valutazione e la gestione della qualità dell’aria ambiente affiancando le misure di qualità dell’aria effettuate dalle reti di monitoraggio; - permettere la stesura di mappe delle emissioni per la pianificazione territoriale, sia per quanto riguarda l’identificazione delle aree “a rischio”, sia per programmare la distribuzione di nuove sorgenti; - fornire i dati di input ai modelli matematici di dispersione per calcolare le concentrazioni al suolo di inquinanti in atmosfera; - rendere possibile l’elaborazione di scenari di intervento al fine di ridurre l’incidenza di uno o più inquinanti in un’area soggetta a studio; - realizzare una banca dati a cui attingere nel caso di obblighi di legge a cui assolvere: stesura Piani Urbani di Traffico, Valutazione dell’Impatto Ambientale, Piani di Risanamento, ecc.; - consentire la valutazione, attraverso il supporto di modelli matematici ad hoc, del rapporto costi/benefici sia delle politiche di controllo che di intervento. Al fine di redigere l’inventario per la Regione Puglia si sta seguendo la metodologia CORINAIR (COoRdination INformation AIR, è un progetto nato dalla Comunità Europea al fine di raccogliere ed organizzare informazioni sulle emissioni in atmosfera in base alla codifica SNAP che classifica tutte le attività antropiche e naturali che possono dare origini a emissioni in atmosfera ripartendole in undici macrosettori) secondo quanto dettato dalle linee guida APAT. La metodologia prevede due tipologie di approccio: il bottom up che consiste nell’analisi delle singole sorgenti con l’acquisizione di informazioni dettagliate ed il top down che prevede la ripartizione su scala locale delle emissioni note su vasta scala avvalendosi di variabili surrogato (proxy). Dal momento che entrambi gli approcci presentano degli svantaggi (molto dispendioso il bottom up e troppo approssimato il top down per il livello locale), per il lavoro in questione si sta utilizzando l’approccio misto. In particolare si è deciso di applicare l’approccio bottom up essenzialmente al comparto industriale. In questo contributo sono presentati i risultati preliminari dell’attività di stima, validazione, georeferenziazione e visualizzazione delle informazioni raccolte per il Macrosettore 2 147 (emissioni da riscaldamento residenziale e terziario) per il quale è stata sviluppata un’apposita metodologia di stima delle emissioni. Bibliografia Regione Lombardia - Direzione Generale Qualità dell'Ambiente - ARPA Lombardia, 2003, Database INEMAR (INventario EMissioni ARia) Regione Puglia, 2006, Piano Energetico Ambientale Regionale P.E.A.R. ISTAT 2001, 14° Censimento della popolazione e delle abitazioni ISTAT 2001, 8° Censimento dell’industria e dei servizi 148 QP12 CONTROLLO DELL’ESPOSIZIONE ALLA FORMALDEIDE IN RELAZIONE ALLA NUOVA CLASSIFICAZIONE IARC Cecchetti Gaetanoa, Marta Iacobuccia, Marcelo Enrique Contib a Centro per le Valutazioni Ambientali delle Attività Industriali - Facoltà di Scienze e Tecnologie - Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” - Campus Scientifico Sogesta – Località Crocicchia - 61029 Urbino (Pu) b Dipartimento di Controllo e Gestione delle Merci e del loro Impatto sull'Ambiente Università “La Sapienza”, Via del Castro Laurenziano, 9- 00161 Roma e-mail: [email protected] Le norme europee definiscono procedure riguardanti il controllo e l’uso di sostanze classificate come cancerogene per gli esseri umani. Tali procedure prevedono in prima istanza la sostituzione delle sostanze cancerogene; ove ciò non sia tecnicamente possibile, definiscono misure atte al contenimento e la controllo delle concentrazioni ambientali di tali sostanze. La formaldeide trova vari utilizzi: come disinfettante, come conservante e come additivo necessario per attivare i processi di polimerizzazione in alcuni importanti cicli industriali. Recentemente lo IARC (International Agency for Research on Cancer) ha rubricato la formaldeide tra le sostanze ad effetto cancerogeno su specifici organi. Tale classificazione ha determinato la necessità per molti settori industriali di rivederne i criteri d’uso. Lo scopo del presente lavoro è la ricerca delle migliori tecnologie e delle migliori prassi applicabili ai processi industriali per la riduzione della presenza di formaldeide aerodispersa nell’ambiente di lavoro. In particolare, è riportato il caso studio di una industria italiana per la produzione di velo filato, dove vengono utilizzate come materie prime urea-formaldeide e melamminaformaldeide. 149 QP13 CARATTERIZZAZIONE DELLA COMPONENTE ORGANICA DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO DI AREE AD ELEVATO INTERESSE STORICO E CULTURALE Vito Librando, Giuseppe Tringali, Giancarlo Perrini, Zelica Minniti, Silvio D’Amico Università di Catania, Dipartimento di Scienze Chimiche, Viale Doria, 6 – 95127 Catania: e-mail: [email protected] Il particolato atmosferico interagisce con le superfici lapidee dei beni culturali provocandone l’annerimento e creando un ambiente favorevole per successivi processi di degrado. A tal fine è stata eseguita una campagna di monitoraggio autunnale del particolato totale sospeso, TSP, nelle città di Augusta e Noto, di particolare interesse storico e culturale, caratterizzate da condizioni ambientali e topografiche molto differenti. I valori di TSC sono stati definiti per via gravimetrica, dopo raccolta del particolato su filtri di quarzo, quantificando per ogni singolo campione la frazione di carbonio totale, carbonio organico e carbonio elementare tramite analisi termo-ottica. La caratterizzazione della componente organica è stata eseguita utilizzando la tecnica HPLC-MS di dieci IPA ad elevato peso molecolare. 200 180 TC OC 160 EC 140 120 100 80 60 40 20 0 1A 2A 3A 4A 5A 1N 2N 3N 4N 5N Quantità in μg/cm2 di TC, OC e EC individuate sui campioni di particolato di Augusta e Noto. È stata riscontrata una composizione qualitativa e quantitativa diversa tra i campioni prelevati nelle due città, con una prevalenza degli IPA a più alto peso molecolare nel particolato raccolto presso Noto, sebbene la quantità misurata di TSP sia inferiore in relazione alla minore intensità del traffico veicolare. 150 QP14 CARATTERIZZAZIONE DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO SEGREGATO DIMENSIONALMENTE NELLA CITTA’ DI CATANIA Vito Librandoa , Giuseppe Tringalia, Giancarlo Perrinia, Zelica Minnitia, Silvio D’Amicoa, Maria Cristina Facchinib, Lorenza Emblicob (a) Università di Catania, Dipartimento di Scienze Chimiche, Viale Doria, 6 – 95127 Catania (b) ISAC-CNR. Via Gobetti 101 I-40129 Bologna. e-mail: [email protected] La caratterizzazione chimica dell’aerosol in funzione delle dimensioni è fondamentale nello studio dei processi chimico fisici del particolato atmosferico dal momento che le dimensioni delle particelle ne influenzano notevolmente la potenzialità e l’impatto sull’ambiente naturale. L'oggetto di questo articolo riguarda la caratterizzazione delle frazioni di particolato atmosferico segregate dimensionalmente, raccolte tramite impattore multistadio di Berner. È stata adottata una tecnica di campionamento a doppio substrato allumino-tedlar in modo da eseguire una completa analisi delle principali componenti organiche e inorganiche. Il confronto tra i dati analitici e la massa determinata per via gravimetrica indica che questo tipo di approccio, che prevede l’utilizzo di due supporti, ha portato a risultati molto positivi e promettenti che rappresentano un notevole passo avanti rispetto alle conoscenze ottenute fino ad ora sulla composizione chimica dell’aerosol atmosferico in funzione della sua distribuzione dimensionale. 3% 14% a 25% b 8% 5% nssSO4 nssSO4 WINCM WINCM WSOM NO3 1% WSOM 45% NO3 18% NH4 1% 30% nssCa nssCa 8% NH4 Sea salt Sea salt 0% Unacc Unacc 4% 4% 17% 17% Suddivisione nelle principali componenti per la frazione fine (a) e per la frazione grossolana (b) È stato tentato il bilancio di massa per le varie frazioni raccolte, raggiungendo risultati più precisi nel caso delle frazioni più fini. Il confronto tra i dati analitici e la massa determinata per via gravimetrica indica che questo tipo di approccio, che prevede l’utilizzo dei due supporti nell’impattore di Berner, ha portato a risultati molto positivi e promettenti che rappresentano un notevole passo avanti rispetto alle conoscenze ottenute fino ad ora sulla composizione chimica dell’aerosol atmosferico in funzione della sua distribuzione dimensionale. 151 QP15 CARATTERIZZAZIONE DELLA COMPONENTE INORGANICA ED ORGANICA DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO FRAZIONATO NELLA CITTA’ DI CATANIA V. Librandoa, G. Perrinia, S. D’Amicoa, Z. Minnitia, E. Forestib, I.G. Lescib, S. Petraroiab e N. Roverib a Dipartimento di Scienze Chimiche, Università di Catania , Viale Andrea Doria 6, 95125, Catania, Italia b Dipartimento di Chimica Giacomo Ciamician, via F. Selmi 2, 40126, Bologna, Italia e-mail: [email protected] Gli aerosol sono costituiti da un insieme di particelle solide o liquide in sospensione nell’atmosfera. Le prime costituiscono il particolato e mostrano un diametro variabile tra 0.1 e 30µm. Tra le varie sorgenti naturali (continentali, vulcaniche, di combustione, oceaniche, extraterrestri), quelle che arricchiscono maggiormente la componente inorganica del particolato, sono quelle continentali e vulcaniche. Infatti le sorgenti continentali originano gran parte della componente inorganica del particolato atmosferico (dust), per lo più caratterizzata da rocce metamorfiche, sedimentarie ed ignee. Il 51% del “dust” è costituita da feldspati, il 14% da silicati di Ca, Fe, Mg tra cui i pirosseni e gli anfiboli, il 11% da argille, l’8% da ossidi, solfati, carbonati e fosfati, il restante 16 % da altri tipi di silicati tra cui talco, mica e serpentini. Nelle località site in prossimità del mare non si può però trascurare la componente marina che arricchisce l’aerosol di tutti quei sali maggiormente presenti nell’acqua di mare. Il presente lavoro riguarda il particolato urbano aerodisperso proveniente dalla città di Catania ed è stato campionato con un impattore ad alto volume a sei stadi. È stato riscontrato che la componente inorganica del particolato atmosferico campionato presenta una composizione mineralogica varia, quasi sempre costante in tutti gli stadi nella tipologia delle fasi, ma non nella quantità. Dall’ analisi cromatografia dei sali solubili è stata ricavata la distribuzione, nelle diverse frazioni, degli anioni e dei cationi: la maggior parte di essi si concentra nei primi tre stadi cioè tra 10 µm e 1,5 µm. Le elevate quantità di nitrati e di solfati riscontrati con la cromatografia ionica, sono indice della formazione in atmosfera di acidi minerali di origine antropogenica caratteristici delle aree urbane fortemente inquinate. Al fine di fare un confronto tra la componente inorganica e la componente organica del particolato atmosferico, negli stessi campioni è stata anche determinata la distribuzione di 11 IPA, potenti agenti cancerogeni molto pericolosi per la salute umana. L’analisi è stata condotta estraendo la frazione organica da ciascun filtro con CH2Cl2 e analizzando quindi l’estratto mediante un HPLC-FD. Le maggiori quantità di IPA sono state trovate nelle frazioni più fini, comportamento comunemente riscontrato con questo tipo di inquinanti organici che tendono ad associarsi alle particelle più piccole (diametro aerodinamico inferiore a 1 m). Il nostro studio ha così evidenziato che le particelle con il maggior potenziale cancerogeno non sono tutte quelle che costituiscono il PM10 ma quelle ultrafini, cioè il PM1. Bibliografia 1)A. Cecinato et al.; Journal of Chromatography A, 1999, 846, 255-264 2)Y. Kawanaka et al.; Atmospheric Environment, 2004, 38, 2125-2132 3)N. Yassaa et al.; Atmospheric Environment, 2001, 35, 1843-1851 152 QP16 CAMPIONAMENTO E COMPOSIZIONE CHIMICA DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO (PM10, PM2.5 E PM1) PER L’AREA URBANA MILANESE E PER IL SITO REMOTO ALPINO DI ALPE S. COLOMBANO (M. 2260, SO). Claudia Lo Porto, M.G. Perrone, G. Sangiorgi, L. Ferrero, S. Petraccone, Z. Lazzati, E. Bolzacchini Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università Milano-Bicocca, Piazza della Scienza 1, 20126 Milano. [email protected] concentrazione [μg/m3] Dal 2005 presso il sito di background urbano di Torre Sarca (Milano) e presso il sito remoto alpino di Alpe S. Colombano (m.2260, Sondrio) è condotto un campionamento gravimetrico giornaliero di PM10, PM2.5 e PM1. I campioni raccolti sono in parte conservati in frigorifero (T=4°C) per la costruzione di una “banca campioni” disponibile per studi tossicologi e chimico-fisici del particolato che richiedono lunghe serie storiche di campioni; in parte sono già stati analizzati per una caratterizzazione chimica completa del particolato urbano e remoto: principalmente frazione ionica inorganica, EC/OC, IPA e composizione elementare. In particolare si evidenzia una concentrazione ed una composizione chimica del particolato diversa nelle diverse stagioni legata, nel sito urbano, sia alle sorgenti primarie sia ai processi di formazione secondaria. Presso il sito remoto alpino le differenze stagionali sono legate principalmente alle condizioni meteorologiche: durante i mesi invernali il sito alpino di alta quota si trova al di sopra del mixing layer e quindi isolato dalle masse d’aria di pianura. Durante il periodo primaverileestivo il sito risente del trasporto di masse d’aria inquinate e ciò comporta concentrazioni maggiori di particolato atmosferico ed una composizione chimica simile a quella delle aree urbane da cui hanno origine (fig.1). Cambia anche la “qualità tossicologica” del particolato, che durante i mesi invernali, presso il sito urbano milanese, risulta essere, ad esempio, arricchito in contenuto in Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), oltre 6 volte che in primavera-estate, mentre presso il sito alpino, durante i mesi estivi si continua a notare l’influenza delle aree urbane. 90 Luglio 2005 Settembre- Ottobre 2005 Febbraio 2006 Giugno-Luglio 2006 80 70 60 50 40 30 20 10 0 MILANO S. COLOMBANO Figura 1: andamento stagionale del PM2.5 presso il sito di background urbano di Milano e il sito remoto alpino di Alpe S. Colombano 153 QP17 MAPPATURA DEI DATI STORICI DI PM10 E OZONO IN LOMBARDIA S. Petraccone1, M. Cameletti2, A. Fassò2, L. Ferrero1, M.G. Perrone1, C. Lo Porto1, G. Sangiorgi1, Z. Lazzati1, E. Bolzacchini1 1-Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università Milano-Bicocca, Piazza della Scienza 1, 20126 Milano; 2 - Università di Bergamo - via Marconi 5, 24044 Dalmine (BG) Negli anni il monitoraggio degli inquinanti presenti in atmosfera (PM10, Ozono, Ossidi d’Azoto, Ossidi di Zolfo, Benzene, etc.) è cambiato nel tempo cercando di ricoprire l’intero territorio regionale con l’intento di zonizzare la Regione Lombardia. Il motivo è da attribuirsi a ricerche che hanno constatato la mancanza di conoscenza territoriale al di fuori delle zone densamente popolate (capoluoghi di provincia). Attualmente L’ARPA Lombardia disposizione di 148 centraline di monitoraggio sparse in tutta la Regione Lombardia. Nonostante ciò i tentativi di mappare la regione con una cartografia degli inquinanti risulta lacunosa in particolare. La raccolta dei dati storici permette di evidenziare, tramite la creazione di mappe di concentrazione, come la situazione degli inquinanti si sia evoluta dal 2000 al 2006 soprattutto per quanto riguarda il PM10 e l’ozono. La creazione delle mappe si basa un modello geostatistico gerarchico [1, 2] che considera congiuntamente a) le concentrazioni osservate dalla rete di monitoraggio, b) alcune significative variabili esogene definite su una griglia regolare, c) errori di misura riferiti all’incertezza delle misure ed errori di modello caratterizzati da una distribuzione di probabilità in grado di cogliere la struttura di correlazione spazio-temporale dei dati osservati. Estendendo la metodologia statistica è, inoltre, possibile costruire delle mappe di incertezza relative ai valori interpolati: questo approccio permette di considerare tutte le fonti di variabilità che caratterizzano il fenomeno dell’inquinamento atmosferico. [1] Fassò A., Cameletti M. (2007) A general spatio-temporal model for environmental data, WorkingPaper GRASPA n.27, www.graspa.org. [2] Fassò A., Cameletti M., Nicolis O. (2007) Air qualità monitorino using heterogeneous networks, Environmetrics, 18, 3. 154 QP18 PROFILI VERTICALI DI COMPOSTI ORGANICI VOLATILI NELL’ATMOSFERA URBANA DI MILANO G. Sangiorgia, L. Ferreroa, M.G. Perronea, B. Ferrinia, Z. Lazzatia, C. Lo Portoa, S. Petracconea, A. Balzarinia, E. Bolzacchinia, B. Larsenb, M. Duaneb a Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università di Milano - Bicocca, piazza della Scienza 1 – 20126 Milano, Italia; b Institute for Environment and Sustainability, EU Joint Research Centre Ispra, 21020 Ispra, Varese, Italia e-mail: [email protected] 155 1.8E+05 1.7E+05 1.6E+05 1.5E+05 1.4E+05 1.3E+05 1.2E+05 1.1E+05 1.0E+05 9.0E+04 8.0E+04 7.0E+04 6.0E+04 5.0E+04 4.0E+04 3.0E+04 2.0E+04 1.0E+04 0.0E+00 Quota (m) I composti organici volatili (Volatile Organic Compounds, VOC) hanno importanza nella chimica dell’atmosfera per i loro effetti su ambiente, ecosistemi e uomo. Il lavoro si è concentrato sullo studio dei VOC precursori dell’ozono troposferico indicati nella Direttiva 2002/3/CE. L’obiettivo è descrivere il profilo verticale della concentrazione di questi VOC in funzione delle condizioni di stabilità/instabilità atmosferica e della reattività chimica nell’aria urbana di Milano. I gas sono stati campionati utilizzando una pompa a membrana d’acciaio e sacchi in Tedlar® (Supelco) (durata campionamento: 5 min). Per raccogliere i campioni in quota si è montata la strumentazione su un pallone aerostatico frenato manovrato da verricello. Al campionamento dei VOC si è accoppiata in parallelo la misura del particolato atmosferico mediante contatore ottico di particelle (1.108 Dustcheck, GRIMM; una misura ogni 6 secondi). Ogni profilo verticale è stato composto da due campioni: uno preso al suolo e uno in quota (tra 50 e 300 m). Al fine di evitare la degradazione degli analiti, i campioni dei VOC sono stati conservati al buio e analizzati entro 24 ore. L’analisi è stata eseguita mediante GC-FID con doppia colonna (PLOT alumina column e WCOT) e doppio rivelatore FID (Latella e al., 2005). I risultati ottenuti (in Fig. 1 il profilo del 14/04/2006 all’alba) per il periodo marzo-giugno 2006 indicano una chiara Profilo vericale del numero di particelle (dae 0,3-0,8 µm) e della correlazione tra i profili verticali concentrazione dei VOC (14-apr-2006, alba) 300 dei VOC e del PM, entrambe PM (salita) PM (discesa) 17001 ppt influenzate dalle condizioni di 250 [VOC] stabilità/instabilità atmosferica. 200 Con atmosfera stabile si osserva un forte gradiente di 150 concentrazione dei VOC - 61% 100 (riduzione con la quota di circa 61%). Al contrario, in condizioni 50 di forte instabilità, che favorisce 61117 ppt 0 i moti convettivi e quindi il rimescolamento dell’aria nel mixing layer, si osserva una [VOC] (ppt) Particelle (N°/L) concentrazione costante dei VOC con la quota (riduzione della concentrazione tra suolo e quota di circa 2%) Inoltre, il gradiente verticale della concentrazione dei singoli VOC sembra legato anche alle differenti caratteristiche di reattività chimica: ad es., le specie più reattive con il radicale OH (etano, propano, n-butano) diminuiscono la loro concentrazione più velocemente con l’altezza rispetto alla media dei VOC. Bibliografia Latella, A.; Stani, G.; Cobelli, L.; Duane, M.; Junninen, H.; Astorga, C.; Larsen, B.R. J. Chromatogr. A 2005, 1071, 29-39. 156 QP19 CARATTERIZZAZIONE CHIMICO-FISICA DI PARTICOLATO ATMOSFERICO IN UN SITO DI FONDO URBANO Daniela Cesaria, Daniele Continia, Antonella De Marcob, Alessandra Gengab, Maria Sicilianob, Tiziana Sicilianob a b ISAC-CNR Unità di Lecce, Str. Prv. Lecce-Monteroni km 1.2, 73100 Lecce Dipartimento di Scienza dei Materiali-Università del Salento, via per Arnesano, 73100 Lecce e.mail: [email protected] Nel luglio 2006 è stata effettuata presso il Comune di Seclì, in provincia di Lecce, sito caratterizzabile come fondo urbano, una campagna di monitoraggio ambientale per la determinazione dei metalli pesanti presenti nel particolato atmosferico (PTS, PM10 e PM2.5). L’obiettivo del lavoro di ricerca è stato quello di individuare le correlazioni esistenti tra il contenuto dei metalli pesanti e i parametri atmosferici per avanzare ipotesi relative alle possibili sorgenti di emissione. Le frazioni del materiale particolato, campionate utilizzando una pompa Aquaria CF20 (per il PTS), una campionatore Zambelli Explorer per il PM2.5 ed un campionatore sequenziale Thermo-Andersen (F95SEQ) per il PM10. Il particolato è stato raccolto su filtri in fibra di quarzo aventi un diametro pari a 47 mm ed i filtri sono stati sottoposti all’analisi gravimetrica e alla caratterizzazione chimica. Sono stati determinati As, Fe, Cu, Hg, Al, Cd, Cr, Ni, V, Pb e Sb mediante Spettrometria di Emissione Atomica in Plasma Induttivamente Accoppiato a (ICP-AES) e Spettrometria di Assorbimento Atomico con Fornetto di Grafite (GF-AAS) con correzione del fondo ad effetto Zeeman. Per lo studio dei parametri atmosferici sono stati presi in considerazione i dati meteorologici relativi ai radiosondaggi di Brindisi alle quote di circa 500 m e 2000m ed i rilevamenti a bassa quota (circa 10 m dal suolo) della stazione meteorologica installata sul laboratorio mobile posto nel sito di campionamento. I risultati delle analisi indicano un livello medio di PTS, PM10 e PM2.5 pari rispettivamente a 34.2 + 7,5 µg/m3, 27.8 + 5,0 µg/m3 e 20.3 + 5,2 µg/m3. Ciò evidenzia la conformità dei livelli rilevati nei filtri campionati con i valori obiettivo indicati dalla Legislazione vigente, dalla Direttiva Europea 2004/107/CE e dalla WHO Regional Publications 2002. Inoltre la presenza di alcuni picchi relativi ad una serie di metalli, tra cui Pb, Ni, Cd, Zn, generalmente associati a fenomeni di natura antropica, quali emissioni di traffico veicolare, impianti industriali e di incenerimento, suggerisce l’ipotesi che il sito scelto per il campionamento, pur essendo di fondo urbano, risenta in determinate condizioni dell’influsso di polveri dovute al trasporto da media e lunga distanza. Tale situazione è confermata anche dallo studio dei fattori di arricchimento crostale. 157 QP20 VALUTAZIONE DELL’INQUINAMENTO OLFATTIVO MEDIANTE OLFATTOMETRIA DINAMICA: INDAGINE PRELIMINARE G. de Gennarob, P. Brunob, M. Casellib, M. Brattolia, L. de Gennaroa, M.A. De Leonibusb, A.E. Parenzab a Lenviros srl – spin off dell’Università degli Studi di Bari, via E. Orabona,4 70126 Bari Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via E. Orabona,4 70126 Bari e-mail: [email protected] b L’odore è una caratteristica ambientale che influenza profondamente la vivibilità dei luoghi ed il benessere psico-fisico dell’uomo. Sebbene le molestie olfattive non siano in genere pregiudizievoli per la salute perché legate ad una insofferenza sensoriale piuttosto che ad un pericolo immediato, si configurano come un fattore di stress psicofisico per i soggetti esposti. Esse diventano spesso un elemento di conflitto sia nel caso di impianti esistenti sia nella scelta del sito di localizzazione di nuovi impianti produttivi e depurativi. Le varie attività che possono determinare emissioni di sostanze odorigene sono riconducibili a differenti categorie, quali impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti, allevamenti zootecnici e attività industriali di vario tipo. Pur essendo quello dei cattivi odori un problema trasversale, attualmente la normativa italiana non contiene norme specifiche in materia di emissione di odori, né limiti di emissione o standard di qualità dell’aria. La regolamentazione delle emissioni odorigene è prevista solo a livello europeo attraverso la EN 13725, nella quale sono descritte le procedure standard per il campionamento di arie osmogene, per la determinazione della concentrazione di odore espresse in unità odorimetriche (UO/m3, unità di misura introdotta per esprimere i livelli di odore, in relazione alla soglia olfattiva di percezione), per la selezione del panel (standardizzazione del sensore) e per la calibrazione strumentale del dispositivo di diluizione, costituito dall’olfattometro. Il Dipartimento di Chimica dell’Università di Bari ha attrezzato un laboratorio olfattometrico conforme alla EN 13725 nell’ambito di un progetto esplorativo finanziato dalla Regione Puglia e di un progetto finanziato dalla Provincia di Bari. L’obiettivo comune ad entrambi i progetti è la valutazione di tecnologie di abbattimento di composti odorigeni prodotti da impianti a rischio osmogeno. L’olfattometria dinamica è una tecnica sensoriale basata sull’impiego della sensibilità olfattiva di un panel di valutatori, attraverso cui è possibile ottenere dei risultati significativi, in quanto direttamente correlati all’effetto generato dall’odore. Nell’ambito del lavoro progettuale è stata condotta la selezione del panel in conformità con la Normativa Europea al fine di garantire l’oggettivazione delle misure olfattometriche. Tale selezione ha rappresentato la fase successiva all’allestimento del laboratorio olfattometrico ed è stata fatta in base alla valutazione della risposta olfattiva (in termini di soglia di percezione) dei rinoanalisti verso un odorante di riferimento, il gas nbutanolo. Il dispositivo, infatti, permette di presentare ai valutatori l’odore di riferimento diluito con aria neutra (in un definito rapporto di diluizione) oppure un bianco costituito dalla sola aria di riferimento, che serve come controllo. Le persone esaminate, alle quali è stato presentato il codice di comportamento previsto dalla Normativa, sono state chiamate ad annusare il gas uscente dalla “porta di annusamento” ad indicare la percezione dell’odore (metodo si/no). I risultati ottenibili con tale metodologia permetteranno di individuare le fasi critiche di un processo e quindi di intervenire direttamente su di esso attraverso il miglioramento dei sistemi di abbattimento. Inoltre, 158 l’analisi delle emissioni odorigene potrà essere di supporto per interventi di regolamentazione legislativa, necessari in questo campo, sia per fissare limiti di emissioni, sia nell’ottica di una programmazione sostenibile delle aree industriali. Bibliografia EN 13725, 2003 Air Quality – Determination of Odour Concentration by Dynamic Olfactometry. Bruno, P; Caselli, M; de Gennaro, G; Solito, M; Tutino, M; Waste Management 2006, 27, 539–544. Centola, P; Sironi, S; Capelli, L; Del Rosso, R; Ed. AIDIC servizi Srl, Milano 2004. Sironi, S; Il Grande, M; Del Rosso, R; Céntola, P; Carrera, A; Ricicla 2002, Atti dei seminari 2002. 159 QP21 METODOLOGIE DI CARATTERIZZAZIONE DI RESIDUI POLIMERICI NEL PARTICOLATO ATMOSFERICO E. Bolzacchinia, L. Ferreroa, B. Ferrinia, Z. Lazzatia, M. Orlandia, C. Lo Portoa, G. Perronea, G. Sangiorgia, S. Petracconea, L. Zoiaa a Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università di Milano Bicocca, Piazza della Scienza 1, 20026, Milano, Italia e-mail: [email protected] La frazione organica di particolato atmosferico a composizione non nota (Capiello et al., 2003) risulta essere costituita, in relazione ai dati sin ora prodotti, da una percentuale inferiore allo 0.02% (De Leeuw, 2002) di microinquinanti di origine secondaria. Il restante apporto proviene dalle unità monomeriche, oligomeriche e polimeriche derivate da residui lignei originariamente dispersi in atmosfera. Queste molecole assumono importanza rilevante nell’ambito dei processi di nucleazione e coagulazione, quindi destino ed invecchiamento, nello studio della speciazione della matrice particolato (Rogge et al., 1993). La problematica prevede la messa a punto di un protocollo generale di trattamento campione e successiva indagine dello stesso mediante molteplici tecniche analitiche quali GC-MS; ZEISEL; GPC; LC-UV-MS; 1H, 13C, 31P NMR, allo scopo di potenziare le informazioni ottenute. Gli studi preliminari sin qui condotti hanno confermato la presenza di monomeri provenienti da polimeri sia ligninici che cellulosici. In particolare, le analisi mediante GC-MS hanno rilevato presenza di vanillina, acido veratrico; acido vanillico; acido siringico; acido sinapico tra i markers della lignina e di vari residui derivati dal glucosio. Dalle analisi mediante ESILC-MS si riscontra presenza oltre che di alcuni monomeri (fra tutti l’alcool sinapilico) anche di unità intermonomeriche quali il guaiacil fenyl propano (G; m/z 196) ed il siringil fenyl propano (S; m/z 226), indice della presenza di residui biogenici lignei nella matrice (Crestini et al., 2006). Lo stesso campione processato mediante protocollo Zeisel, ha condotto alla quantificazione della sola componente derivante dalla lignina costituente il particolato. Infine le analisi 1H NMR indicano la presenza della frazione aromatica e dei costituenti contenenti gruppi idrossilici come predominante rispetto alla frazione alifatica nota. Bibliografia Cappiello, A.; De Simoni, E.; Fiorucci, C.; Mangani, F.; Palma, P.; Facchini, M.C.; Fuzzi, S. Env. Science and Tech. 2003, 37, 1229-1240. Rogge, W.F.; Mazurek, M.A.; Hildemann L.M.; Cass, G.R.; Simonet, B.R.T. Atmosp. Env. 1993, 27A, 1309-1330. Crestini, C.; Orlandi, M.; Tolppa, E-L; Zoia, L.; Saladino R. Vienna 31-agosto-1 settembre 2006, COST E41, Joint Analysis Effort on wood and fiber characterisation. Characterisation of lignin by different spectroscopic and aromatic techniques. De Leeuw, F. A. A. M. ; Env. Science and Policy 2002, 5, 135-145. 160 QP22 RAPID MICROWAVE HEATING OF FLY ASH AND BOROSILICATE GLASS MIXTURES Isabella Lancellotti a Michael La Robina b, Luisa Barbieri a, Anna Corradi a , Cristina Leonellia a Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e dell’Ambiente,Università di Modena e Reggio Emilia, Via Vignolese 905, 41100 Modena b Institute of Materials and Engineering Science, ANSTO, New Illawarra Road, Lucas Heights NSW,2234, Australia e-mail: [email protected] Fly ash from municipal solid waste (MSW) incinerators has a fine grain size, including the breathable fraction, and is characterised by a high concentration of thermally mobile species (heavy metal) and chlorine compounds. The volatile metals (Pb, Cd...) form chlorides which are volatilised in the combustion chamber. They condense when the gases are cooled down to around 200°C and hence are mixed into the fly ash. Furthermore, since carbon content of the MSW cannot totally be converted into CO2 a minor amount of product of incomplete combustion such as CO and soot particles are found in the gases. In this context, a suitable treatment to immobilize these toxic and/or volatile substances is necessary. Vitrification is one of the most efficient techniques for incorporating heavy metals into the amorphous structure of glass. At the same time, toxic organic compounds decompose when melted above 1300°C. Rapid heating techniques, such as plasma or induction heating are very promising since the melting time is short enough to decrease volatilization of elements such as chlorides. Depending upon the fly ash starting composition and content of the borosilicate glass, the coupling of the sample with the electromagnetic field can be more or less intense leading to different heating rate (Fig. 1). EDS analyses before and after short heating cycles proved that chlorides is only partly volatilised and they are found on the crucible wall. SEM observation (Fig. 2) showed homogeneous glassy material. Figure 1: Temperature and time cycles of different fly ash Figure 2: SEM image of a polished surface showing homogeneous glass 161 QP23 IMPORTANZA DELLO STRATO DI RIMESCOLAMENTO NELLA RELAZIONE TRA I VALORI DI AOD RICAVATI DA IMMAGINI SATELLITARI E LA CONCENTRAZIONE DEGLI AEROSOL AL SUOLO PER LA CITTÀ DI MILANO B. Ferrinia, L. Ferreroa, M.G. Perronea, G. Sangiorgi a, Z. Lazzatia, C. Lo Portoa, S. Petracconea, E. Bolzacchinia, A. Ricciob a Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università di Milano - Bicocca, piazza della Scienza 1, 20126 Milano, Italia; b Dipartimento di Scienze Applicate, Università Parthenope, Via de Gasperi 5, 80133 Napoli, Italia e-mail: [email protected], [email protected] Negli ultimi anni l’alta concentrazione di aerosol, soprattutto nelle grandi città, ha portato alla necessità, a livello scientifico e politico, di elaborare informazioni spazio-temporali complete relative ai parametri di inquinamento atmosferico (Sarigiannis, 2004). Da qui l’esigenza di utilizzare nuovi strumenti, quale il satellite, nello studio delle problematiche collegate al particolato atmosferico. La Lombardia, ed in particolare la città di Milano, è caratterizzata da alti livelli di PM10 e di PM2.5. Nell’anno 2006 le concentrazioni di PM10 hanno superato il limite di 50 μg/m3 in 144 giorni con un valore medio di 54 μg/m3 (ARPAL). Si è osservato il medesimo comportamento per il PM2.5, con un valore medio di 43 μg/m3. Tali valori sono causati da un basso strato di rimescolamento e da condizioni di stabilità che, specialmente durante i periodi invernali, favoriscono il processo di accumulo degli inquinanti al suolo (Ferrero et al., 2007). In questo lavoro sono state studiate le correlazioni tra le concentrazioni di PM2.5 per la città di Milano e i dati da satellite. Poichè il segnale satellitare rappresenta un integrale del particolato sulla colonna atmosferica è fondamentale correggerlo alla luce della quota dello strato di rimescolamento, entro la quale la maggior parte del particolato si concentra, soprattutto in area urbana. Le concentrazioni di PM2.5 sono state misurate nel sito di Torre Sarca (45°31’19”N, 9°12’46”E; Università di Milano-Bicocca); i valori di AOD corretto a 550nm sono stati estratti dal prodotto MOD04, ricavato dalle immagini MODIS acquisite dal sensore Terra, per l’anno 2006 ed i dati relativi all’altezza dello strato di rimescolamento sono stati stimati mediante l’uso di modelli numerici per la previsione delle condizioni atmosferiche (MM5). Questi ultimi sono stati confrontati, per determinati giorni, con le altezze dello strato ricavate dallo studio dei profili verticali ottenuti mediante l’utilizzo di un pallone frenato equipaggiato con un contatore ottico di particelle e una stazione meteorologica portatile. Si è osservato un grado di correlazione diretta tra i valori di AOD e PM2.5 variabile in funzione dei singoli mesi e della stagione, (es: Marzo R2=0.66, Giugno R2=0.26); se si considera l’intero anno tale correlazione viene meno (R2=0.001) a causa dell’influenza dell’altezza dello strato di rimescolamento. Tuttavia utilizzando anche questo parametro per correggere la relazione tra l’AOD MODIS e il PM2.5: si osserva un netto miglioramento della correlazione (R2=0.65). Questo lavoro è supportato dal Fondo Sociale Europeo, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Regione Lombardia, INGENIO. 162 Bibliografia: Ferrero L. et al (2007) Vertical profiles of particulate matter over Milan during winter 2005/2006 FEB, Vol 16 N°6 (in press). MM5: http://dsa.uniparthenope.it/dsa/Servizi/PrevisioniMeteomarine/tabid/361/Default.aspx Sarigiannis D. A. et al (2004) Information fusion for computational assessment of air quality and health effects. Photogrammetric engineering & remote sensing Vol 70, N°2 pp. 235-245 163 QP24 POLVERI DA INCENERITORE: CARATTERIZZAZIONE E VETRIFICAZIONE Luisa Barbieria, Anna Corradia, Isabella Lancellottia, Luciano Morsellib, Fabrizio Passarinib, Ivano Vassurab, Andrea Zardina a Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e dell’Ambiente -Università di Modena e Reggio Emilia, Via Vignolese 905, 4100, Modena, ITALY b Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali - Università di Bologna, viale Risorgimento 4, 40146 Bologna e-mail: [email protected] Negli ultimi decenni le problematiche connesse alla produzione e alla gestione dei rifiuti hanno assunto proporzioni sempre maggiori. Nel 2005 sono stati prodotti in Italia 31.7 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani. L’attuale gestione dei rifiuti ha l’obiettivo di operare in modo integrato applicando soluzioni di riciclo e recupero di materia sin dove è possibile in termini tecnologici ed economici. Tali soluzioni però non coprono tutta la gestione dei rifiuti, la quale richiede altri processi quali ad esempio l’incenerimento, che oltre a diminuire il volume e la massa di rifiuti, permette un parziale recupero di energia dai rifiuti contenenti materiale con potere calorifico. Come conseguenza si ha produzione di residui solidi, quali scorie e ceneri leggere le quali a loro volta devono essere gestite in discarica o avviate al trattamento. Nel presente lavoro viene mostrata la caratterizzazione chimico-fisica dei rifiuti solidi di due impianti di incenerimento al fine di trovare una metodologia di smaltimento alternativa alla discarica. La caratterizzazione sperimentale è stata completata con un’analisi computazionale procedendo attraverso una cluster analysis (individuazione di gruppi di campioni e variabili simili tra loro) ed un’analisi delle componenti principali (PCA). Con queste tecniche si è osservato che le scorie hanno composizione simile indipendentemente dall’impianto e non mostrano significative differenze nella composizione né in funzione della stagione né dell’ora di prelievo, dimostrando che la combustione omogeneizza efficacemente il rifiuto in ingresso. Al contrario le ceneri leggere, essendo un residuo volatile sono più soggette a differenze che si vengono a creare durante l’esercizio dell’impianto (in temperatura e pressione). Altri fattori che influenzano la variazione di composizione (Na, K, Cl e carbonio) di tali residui sono i differenti quantitativi di reattivi introdotti per l’abbattimento degli inquinanti e le differenze nel rifiuto in ingresso. E’ stato inoltre dimostrato che è possibile vetrificare le scorie, poiché questo rifiuto ha una composizione in ossidi riconducibile a quella di un sistema inorganico, quale il vetro. I vetri realizzati sono stati sottoposti ad un test ambientale di rilascio di metalli (test a 24 ore in acqua bidistillata), i cui risultati sono stati confrontati con quelli del medesimo test applicato alle scorie tal quali, al fine di dare una valutazione ambientale di tale processo. Da questo confronto è emerso che i rifiuti non vetrificati mostrano forti rilasci, sia di metalli pesanti quali As, Cd, Cr e Pb che Na e K, a dimostrazione che la matrice in cui si trovano non è in grado di inglobarli efficacemente. Le scorie vetrificate, al contrario, mostrano rilasci fortemente diminuiti dimostrando che il reticolo vetroso è in grado di immobilizzarli efficacemente. 164 QP25 CARATTERIZZAZIONE CHIMICA DELLE DEPOSIZIONI ATMOSFERICHE NEI PRESSI DI UN INCENERITORE Luciano Morselli, Ivano Vassura, Fabrizio Passarini, Silvia Ferrari Università di Bologna, Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali, Polo di Rimini. E-mail: [email protected] Al fine di monitorare la pressione ambientale delle emissioni di un inceneritore di RSU, è stato realizzato un monitoraggio delle deposizioni atmosferiche. Il flusso di materiale secco e umido dall’atmosfera verso il suolo è costituito da una componente antropica e una componente naturale sia di origine litologica che marina. Il presente studio si pone l’obiettivo di valutare, attraverso l’indagine della composizione chimica delle deposizioni raccolte attraverso campionatori bulk, l’origine dei flussi di deposizione, discriminando l’eventuale contributo dell’inceneritore in questione soprattutto in riferimento ai metalli pesanti. Le deposizioni sono state raccolte per un intero anno su periodi medi mensili in quattro siti. La rete di monitoraggio è stata realizzata sulla base delle informazioni del modello di dispersione degli inquinanti emessi dall’impianto. Tre dei siti individuati sono stati collocati dove il modello indica le maggior probabilità di trasporto delle emissioni dall’inceneritore, mentre il quarto sito è stato collocato in un area non influenzata dalle emissioni dell’impianto. Per ogni periodo di campionamento sono stati registrati i dati meteoclimatici quali velocità del vento, direzione, piovosità, temperatura media. Su ogni campione si è determinato conducibilità e pH. Dopo filtrazione su membrana a 0.45um si è separata la frazione solubile da quella insolubile. Su entrambe le frazioni sono stati determinati i metalli principali tra cui As, Cd, Co, Cr, Cu, Mn, Ni, Pb, Sn, Hg, V, Zn. Mentre nella frazione solubile sono stati determinati anche gli ioni principali (Na+, NH4+, K+, Ca2+ e Mg2+, F-, Cl-, NO3-, NO2-, Br-, SO42+). Dai dati di concentrazione sono stati quindi ricavati i flussi di deposizione annuali (ug/m2) dei diversi analiti. Dai risultati ottenuti si è potuto valutare un forte contributo nelle deposizioni di sali di origine marina, soprattutto nei mesi invernali, in conseguenza ad eventi di tempesta. Gli anioni e cationi principali negli altri mesi dell’anno mostrano una forte omogeneità in tutti i siti, ad indicare un’origine comune della maggior parte del materiale rimosso dall’atmosfera. Per quanto riguarda i metalli, le cui concentrazioni risultano mediamente in linea con quanto riportato da altri studi effettuati in aree urbane o suburbane, si notano deposizioni maggiori di As e Cd nei siti soggetti all’influenza dell’inceneritore mentre al contrario Cu e Zn sono più abbondanti nel sito di riferimento. Per gli altri metalli la deposizione è omogenea nell’intera area di studio. L’integrazione dei risultati con l’analisi chimica dei suoli ha successivamente permesso di determinare i fattori di arricchimento (EF), che sono indice del contributo antropico ai flussi di deposizione. I risultati evidenziano che gli elementi che presentano un flusso di deposizione omogenea nell’area effettivamente non risentono o risentono in modo non statisticamente significativo degli apporti antropici e possono essere associati a materiale di origine terrigena. 165 QP26 CARATTERIZZAZIONE DELLE CENERI VOLANTI DA CDR E DELLE MISCELE STABILIZZATE CON LEGANTE A BASE LATERIZIO/CALCE P. Ubbrìaco, A. Trainia, D. Manigrassia, D. Calabrese Dipartimento di Ing. Civile ed Ambientale, Politecnico di Bari, via Orabona 4, Bari, Italy a Dipartimento di Chimica, Università di Bari, via Orabona 4, Bari, Italy [email protected] Le ceneri leggere da combustibile derivante da rifiuti (CDR) costituiscono dei residui speciali che devono essere innocuizzati prima dello smaltimento in discarica. Comunque per le loro caratteristiche chimiche e mineralogiche risultano interessanti sia per uno studio del processo di innocuizzazione, che per il potenziale utilizzo come miscele solidificate. E’ possibile preparare miscele di ceneri e legante idraulico, a base di laterizio e calce, la cui solidificazione determina una stabilizzazione tale da consentire il conferimento dei materiali stagionati in discarica per rifiuti inerti, soluzione più economica e sostenibile. In tale ambito si è sviluppato il presente lavoro che si basa sullo studio della preparazione delle miscele di ceneri volanti da CDR e di legante idraulico a base laterizio-calce. Le ceneri sottoposte ad indagini mineralogiche e chimiche sono state separate in un impianto di termovalorizzazione di CDR, dove la biomassa subisce la combustione in sospensione. Le paste indurite di cenere e legante mostrano resistenze meccaniche accettabili per la conservazione in forma monolitica. Le prove di eluizione dei materiali stagionati condotte con acqua deionizzata evidenziano un trascurabile rilascio di metalli pesanti indice del buon comportamento della matrice stabilizzata. L’utilizzazione di un legante idraulico nettamente più economico dei classici solidificanti (cemento, silicati, ecc.) consente inoltre di smaltire un altro residuo, quali gli scarti di laterizio da attività edili, a beneficio della sostenibilità ambientale. Bibliografia 1) P. Ubbrìaco, P. Bruno, A. Traini, J. Anal. and Environ. Chem., 2002, 92, 903-910. 2) P. Ubbrìaco, P. Bruno, A. Traini, S. Misceo, D. Calabrese, D. Manigrassi, 8° Con. Naz. AIMAT, 2006, n. 129, 27 Giugno 1 Luglio, Università di Palermo, Palermo. 166 QP27 UTILIZZO DELLE PROPRIETÀ OTTICHE DELL’AEROSOL DERIVATE DAL SENSORE MODIS PER LA STIMA DELLE CONCENTRAZIONI DI PM2.5 A LIVELLO DEL SUOLO NEL NORD ITALIA Walter Di Nicolantonio(1), Alessandra Cacciari(1), Ezio Bolzacchini(2), Luca Ferrero(2), Barbara Ferrini (2), Marialuisa Volta(3), Enrico Pisoni(3) (1)Carlo Gavazzi Space S.p.A @ ISAC-CNR, via Gobetti, 101, Bologna, [email protected] (2)Dipartimento di Scienze dell'Ambiente e del Territorio, Università di Milano Bicocca, P.za della Scienza, Milano. (3)Dipartimento di Elettronica per l'Automazione, Università di Brescia, via Branze 38, Brescia. Il monitoraggio della qualità dell’aria a scala urbana e regionale è in genere condotto mediante l’utilizzo di misure in-situ; anche i modelli chimici di trasporto vengono utilizzati per la valutazione e la predizione della qualità dell’aria. Durante gli ultimi anni è stata rivolta una grande attenzione alla possibilità di monitorare le concentrazioni di PM2.5 al suolo mediante l’utilizzo di immagini satellitari. In particolare, sono state utilizzate le potenzialità dei sensori MODIS, situati a bordo delle piattaforme Terra ed Aqua della NASA, di derivare i valori di Aerosol Optical Depth (AOD) troposferico al fine di verificare il grado di correlazione esistente tra i valori di AOD satellitari ricavati a 550 nm e le concentrazioni di PM2.5 misurate a livello del suolo. Tuttavia, diversi fattori influenzano la relazione tra l’AOD colonnare e le concentrazioni di PM2.5. Tra questi, i due fattori più importanti sono la distribuzione verticale degli aerosol e l’umidità relativa del particolato sospeso a livello del suolo. In questa analisi, condotta all’interno dei progetti ESA PROMOTE-2 (Protocol Monitoring for the GMES Service Element for Atmosphere) e ASI QUITSAT (Italian Space Agency Pilot Project for Air quality assessment through the fusion of E.O, ground-based and modeling data), viene mostrato come l’implementazione di questi parametri può aumentare il grado della citata correlazione, fornendo una più affidabile parametrizzazione per la stima del PM2.5 a partire dal dato satellitare. Bibliografia: Wang, J., et al., (2003), Geophys. Res. Lett., 30, 21, 2095, doi: 10.129/2003GL018174. Liu Y., et al., (2005), Environ. Sci. Technol., 39, 3269-3278. Randriamiarisoa et al., (2006) Atmos.Chem.Phys., 6, 1389-1407. 167 QP28 LA CARATTERIZZAZIONE CHIMICA DEL PM10 IN TOSCANA (PROGETTO PATOS): 2. LA COMPONENTE CARBONIOSA Martina Giannonia, Dario Vannucchia, Tania Martellinia, Massimo Del Bubbaa, Alessandra Cincinellia, Franco Lucarellib, Silvia Navab, Massimo Chiarib, Silvia Becaglia, Roberto Udistia, Francesco Rugia e Luciano Lepria a Univ. degli Studi di Firenze, Dip. di Chimica, Via della Lastruccia 3, 50019 Sesto F.no (FI) b Univ. degli Studi di Firenze, Dip. di Fisica, Via G. Sansone 1, 50019 Sesto F.no (FI) e-mail: [email protected] Una campagna intensiva di monitoraggio del PM10 è stata condotta nel periodo settembre 2005 - gennaio 2006 in sei aree a diverso grado di antropizzazione della regione Toscana. I siti di campionamento si differenziano per le fonti di emissione a cui sono esposti e, per questo, sono stati classificati come aree urbana-fondo, urbana-traffico e periferica. Questo studio fa parte del Progetto PATOS (Particolato Atmosferico in TOScana), patrocinato dalla Regione Toscana. L’obiettivo principale di questo lavoro è stato quello di ottenere informazioni sulle concentrazioni in atmosfera e sulle fonti di emissione di IPA e n-Alcani. Gli IPA comprendono solo una piccola frazione dell’aerosol atmosferico. Tuttavia, essi sono una classe di inquinanti ambientali ubiquitari noti come mutagenici e/o cancerogenici (Dockery et al., 1993). La maggior parte degli IPA emessi in atmosfera si forma durante i processi di combustione incompleta, e le maggiori sorgenti includono le emissioni dei veicoli a motore, la produzione di energia per combustione di carbone e petrolio, l’incenerimento dei rifiuti urbani, la combustione del legname, gli impianti di riscaldamento domestico e i processi industriali (Harrison et al., 1996). I rapporti diagnostici degli IPA mostrano un alto contributo delle emissioni di veicoli a benzina e diesel. E’ stato misurato anche il Benzo(a)pirene, come richiesto dalla Direttiva Europea: in alcuni casi supera il valore guida di 1ng/mc fissato dal Ministero dell’Ambiente. I n-Alcani possono derivare da fonti biogeniche, che includono le particelle liberate dalle cere cuticolari delle piante, la sospensione di pollini, i microrganismi e i prodotti della combustione incompleta di combustibili fossili e legname. Le concentrazioni dei n-Alcani sono in accordo con quelle generalmente ritrovate in aree urbane di altre città europee. Per valutare l’origine dei n-alcani sono stati determinati CPI, %WNA, UCM. I gas cromatogrammi della frazione dei n-Alcani mostrano profili caratteristici che evidenziano differenti origini petrogeniche. E’ stato misurato anche il Carbonio Totale (TC) che risulta avere una andamento simile a quello del PM10 e valori più alti nei mesi invernali. L’utilizzo di modelli statistici (PCA e APCA) ha messo in evidenza il forte contributo di fonti antropogeniche come ad esempio il traffico veicolare e gli impianti di riscaldamento. Dockery, D.W., Pope III, C.A., Xu, X., Spengler, J.D., Ware, J.H., Fay, M.F., Ferris, Jr, B.G., Speizer, F.E. An association between air pollution and mortality in six U.S. cities. The New England Journal of Medicine, 1993, 329, 1753-1759. Harrison, R.M., Smith, D.J.T., Luhana, L. Source apportionment of atmospheric polycyclic aromatic hydrocarbons collected from an urban location in Birmingham, U.K. Environ. Sci. Technol., 1996, 30, 825-832. 168 QP29 HYDROCARBONS AND INERT GASES DETERMINATION OF GASES BYPRODUCTS OF REFORMING PROCESSES BY HIGH SPEED GAS ANALYSER Filippo Lo Coco1, Giuliana Vinci2, Pierluigi Barbieri3, Gianluca Stani4, Donatella Restuccia2, Gianni Gasparini5 1 Dipartimento di Scienze Economiche, Area Ambientale, Università di Udine - Via Tomadini, 30/A - 33100 Udine - Italy; [email protected] 2 Università, Dipartimento per leTecnologie, le Risorse e lo Sviluppo, La Sapienza Università di Roma - Via del Castro Laurenziano, 9 - 00161 Roma - Italy; [email protected]; [email protected]; 3 Dipartimento di Scienze Chimiche, Università di Trieste - Via L. Giorgieri, 1 – 34127 Trieste - Italy; [email protected] 4 SRA Instruments Italia srl, Area Ambientale - V.le Assunta, 101 - 20063 Cernusco sul Naviglio, Milano - Italy; [email protected] 5 ENI, Raffineria di Venezia, Laboratorio Chimico - Via dei Petroli, 4 - 30175 Porto Marghera, Venezia - Italy; [email protected] Most refining processes generate gas streams. Each gas stream has a function in the refinery as a fuel gas or a feedstock for further processing. Refinery gas streams vary considerably in composition. Determining individual components of each gas stream is a challenge. An exact measure of stream components is essential in achieving optimum control and assuring product quality. Early methodology can be traced to UOP method 539-97. Despite the ability of the instrumentation to provide adequate separation of most of the analytes of interest, there were many difficulties as (a) long analysis time of about 48 min, (b) coelution of Butene-1 and Isobutylene and (c) elution of H2S in the Butane region with difficulty of separation. Improvements in gas chromatographic instrumentation, columns and their components have increased the reliability and productivity of refinery gas analysers. In this paper a new high-speed Refinery Gas Analyser (RGA) to evaluate the composition of gases by-products of reforming processes was used. This system determines and reports the composition of this gas streams in about seven minutes and characterizes: C1 - C5 and C6+ hydrocarbons; inert gases including nitrogen, hydrogen, helium, oxygen, carbon monoxide, carbon dioxide and hydrogen sulphide. The RGA system contains six columns and is subdivided into three separate analytical channels. One channel determines helium and hydrogen, the second channel is used to determine the remaining inert gases and hydrogen sulphide. Both channels use the same Thermal Conductivity Detector (TCD) for the signal detection. The third channel separates the hydrocarbons on the Porous Layer Open Tubular (PLOT) column and their detection by Flame Ionisation Detector (FID). All channels operate simultaneously to provide a high-speed analysis. The RGA system generates two chromatograms and one total analysis report. The Detection Limit (DL) of this RGA system is: 0.02 % (mol/mol) for inert gases, 0.01 % (mol/mol) for hydrocarbons, 0.1 % (mol/mol) for hydrogen sulphide. 169 QP30 BIOMONITORAGGIO DEGLI ELEMENTI IN TRACCIA NELLE DEPOSIZIONI ATMOSFERICHE MEDIANTE L’UTILIZZO DEL MUSCHIO PLEUROCHAETE SQUARROSA Micaela Buonocorea, Nicola Cardellicchiob, Luigi Lopeza, Lucia Spadaa a b Dipartimento di Chimica, Università di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari. C.N.R. - Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, via Roma 3, 74100 Taranto [email protected] Questo studio rappresenta nell’area di Taranto il primo approccio per la valutazione della contaminazione da inquinanti atmosferici mediante l’utilizzo di briofite. L’attenzione è stata rivolta alla scelta della specie di muschio, allo studio dei meccanismi di assorbimento dei metalli dall’aria e dalle precipitazioni, alla valutazione dell’influenza del regime dei venti e della contaminazione da suolo, nonché alle sorgenti di inquinamento. Per la valutazione della qualità dell’aria, concentrazioni di elementi in traccia (Cd, Cr, Cu, Ni, Mn, Pd, Hg, V, As, Pb, Al, Fe) sono state determinate mediante muschi appartenenti alla specie indigena Pleurochaete squarrosa. Le analisi sono state condotte su muschi epigei campionati in aree soggette a diverso impatto antropico. Sono state effettuate tre campagne di monitoraggio in stagioni diverse per correlare i livelli di contaminazione da metalli con fattori meteoclimatici. I metalli analizzati sono stati quelli derivanti sia da emissioni industriali (stabilimento siderurgico dell’ILVA, raffineria ENI), che da traffico veicolare. I risultati ottenuti confermano la validità di Pleurochaete squarrosa come bioindicatore della contaminazione atmosferica da metalli e concordano con gli “indici di qualità” dell’aria misurati dalle centraline di monitoraggio automatico. Bibliografia T. Berg , E. Steiness, Environmental Pollution, 1997, pp.61-71. G. Tyler, Ambio 1972, 1(2), 52-59. P.C. Onianwa, Environmental Monitorino and Assestment, 2001, 71,13-50. R. Gerold, L. Bragazza, R. Marchesini, R. Alber, L. Sonetti, G. Lorenzoni, M. Achilli, A. Buffoni, N. De Marco, M. Franchi, S. Pison, S. Giaquinta, F. Calmieri, P. Spezzano. Environmental Pollution, 2000, 108, 201-208. Rühling Å (ed.). Atmospheric heavy metal deposition in Europe - estimation based on moss analysis. NORD,1994, 9, 1-53. Cenci, R.M. e F.Palmieri. Inquinamento, 1997, 1, 36-45. 170 QP31 CARATTERIZZAZIONE CHIMICA DELL'AEROSOL NEL MAR MEDITERRANEO. UN CASO DI STUDIO: ISOLA DI LAMPEDUSA Silvia Becaglia, Carlo Bommaritob, Emiliano Castellanoa, Omar Cerria, Massimo Chiaric, Franco Lucarellic, Federica Marinod, Silvia Navac, Alcide di Sarrae, Damiano M. Sferlazzob, Mirko Severia, Francesco Rugia, Rita Traversia, Roberto Udistia a Dipartimento di Chimica, Università di Firenze, Sesto F.no I-50019, Firenze b ENEA, Climate laboratory, I-90141, Palermo a Dipartimento di Fisica, Università di Firenze e INFN, Sesto F.no, I-50019, Firenze d DISAT, Università di Milano Bicocca, I-20126, Milano e C.R. Casaccia, S. Maria di Galeria I-00123, Roma e-mail: [email protected] L’effetto degli aerosol atmosferici sul clima terrestre, sui cicli bio-geo-chimici di componenti naturali e antropici, sulla salute degli esseri viventi, sulla degradazione dei materiali e sulla trasparenza dell’atmosfera ha posto l’attenzione sull’importanza di conoscere le principali sorgenti antropiche e naturali del particolato atmosferico primario e secondario in regioni a differenti tipologie, in modo da esercitare una efficace politica di riduzione delle emissioni. Le particolari caratteristiche geografiche dell’Italia, il cui territorio mostra per la maggior parte una complessa orografia e si trova relativamente vicino ad aree marine, impongono una particolare attenzione al contributo di aree relativamente remote (montane, forestali e marine) al budget complessivo dell’aerosol atmosferico. Infatti, contributi rilevanti (e, talora, dominanti) al carico atmosferico e alla composizione chimica del particolato possono derivare da processi di trasporto di masse d’aria marina (ricche dei componenti tipici dello spray marino, come sodio, cloruri e magnesio) e continentali (con particolare riguardo ai maggiori eventi di trasporto di polveri desertiche provenienti dalle regioni del Nord-Africa). Tali contributi naturali possono fortemente alterare la concentrazione atmosferica del particolato, comportando superamenti delle soglie previste dalla normativa vigente per la qualità dell’aria, ma non comportando un reale rischio per la salute e per l’ambiente. I dati ottenuti dall’analisi chimica su campioni di PM 10, PM 2.5, PM1, raccolti a partire da giugno 2004 a tutt’oggi, hanno permesso di caratterizzare le fonti principali naturali e antropiche dell’aerosol atmosferico in un’area relativamente remota del bacino del Mediterraneo Meridionale, colmando una lacuna conoscitiva in una regione marina su cui si affacciano tre diverse aree continentali: Europa, Asia e Africa. L’analisi dei profili delle sorgenti ottenuti con la tecnica statistica APCA (Absolute Principal Component Analysis) ha permesso di identificare numerosi eventi di tipo salt-storm e Saharan dust che sono stati confermati con l’analisi delle retrotraiettorie (Hysplit model). Allo scopo di valutare i forcing radiativi di ciascun tipo di aerosol, la composizione degli eventi identificati dai profili delle sorgenti è stata posta in relazione con le proprietà ottiche della colonna d’aria (indice di Angstrom e spessore ottico), misurate nello stesso sito. Per gli eventi di tipo Saharan dust, sono stati determinati i rapporti caratteristici fra il contenuto totale di selezionati metalli che possono essere utilizzati come marker della sorgente sahariana. E’ stato, inoltre, valutato il rapporto fra la concentrazione totale del metallo (misurata con tecnica PIXE) e la frazione solubile determinata con tecnica HR ICP MS (pH 1.5) o cromatografia ionica. Ca e Mn presentano una elevata percentuale in forma solubile (80 e 54% rispettivamente); al contrario Fe e Al sono principalmente presenti in forma insolubile. Nelle condizioni di estrazione a pH 1.5, la frazione solubilizzabile rappresenta solo il 4% per il Fe e il 15% per il Mn. 171 QP32 CARATTERIZZAZIONE CHIMICA DEL PM10 IN TOSCANA (PROGETTO PATOS): 1. LA COMPONENTE INORGANICA Roberto Udistia, Silvia Becaglia, Emiliano Castellanoa, Omar Cerria, Alessandra Cincinellia, Massimo Chiarib, Martina Giannonia, Luciano Lepria, Franco Lucarellib, Tania Martellinia, Silvia Navab, Mirko Severia, Francesco Rugia, Rita Traversia. a b Dipartimento di Chimica, Università di Firenze, Sesto F.no I-50019, Firenze Dipartimento di Fisica, Università di Firenze e INFN, Sesto F.no, I-50019, Firenze e-mail: [email protected] Nell’ambito del progetto PATOS (Particolato Atmosferico in Toscana) è stata effettuata una campagna di campionamento della durata di un anno in sette siti della Toscana, scelti come rappresentativi di differenti livelli di impatto antropico. Il questo lavoro viene focalizzata l’attenzione sulla componente inorganica solubile e insolubile, capace di dare informazioni sui contributi primari naturali dell’aerosol (marini e crostali) e antropici secondari (SO42-, NO3- e NH4+). L’analisi è stata effettuata su filtri di Teflon raccolti con campionatori a norma EN 12341 (24 h, 2.3 m3/h) posti in sette siti in Toscana: Firenze (background urbano), Prato (urbana traffico), Capannori-Lucca (urbana background), Arezzo (urbana traffico), Grosseto (urbana background), Livorno (suburbana background), Montale-Pistoia (background rurale). I campionamenti sono stati effettuati nell’arco temporale di un anno a partire da Settembre 2005. Tre campionatori sono stati utilizzati a rotazione in sei siti per cicli di campionamento di 15 giorni. Un altro campionatore è stato utilizzato sporadicamente per il campionamento di PM2.5 nel sito di Firenze e di PM10 nel sito di Montale-Pistoia. I filtri di teflon, dopo la pesata, sono stati tagliati in tre parti sotto cappa a flusso laminare classe 100. Un quarto di ogni filtro è stato dedicato all’analisi per cromatografia ionica di anioni inorganici, cationi, acido metansolfonico e acidi carbossilici a corta catena; un altro quarto è stato utilizzato per l’analisi della frazione solubilizzabile a pH1.5 di selezionati metalli (Al, Fe, Mn, Cu, Zn, Cr, Ni, V, Mo, Pb, Cd, As, Hg) per HR-ICP-MS; la rimanente metà è stata utilizzata per l’analisi del contenuto totale degli elementi con tecnica PIXE. I risultati di un così esteso set di dati hanno permesso la caratterizzazione chimica del particolato atmosferico, con una ricostruzione della massa superiore al 95% in tutte le stazioni. L’applicazione dell’analisi statica delle componenti principali (APCA) ha permesso l’identificare e la quantificazione delle sorgenti primarie e secondarie, di distinguere fra le sorgenti naturali e antropiche e di valutare i livelli di fondo regionale in modo da evidenziare contributi locali. Inoltre, lo studio dei profili temporali delle sorgenti e dei singoli marker in funzione dei parametri meteorologici (come ad esempio la formazione dello strato di inversione termica e trasporti di polvere da grande distanza) ha permesso di comprendere quali siano le condizioni emissive e meteorologiche che controllano le concentrazioni di particolato atmosferico. 172 QP33 MONITORAGGIO DELL’ARIA (INDOOR E OUTDOOR) NELLA CITTÀ DI TIRANA Luigi Campanella, Dalina Lelo Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma e-mail: [email protected]; [email protected] I problemi ambientali sono più che mai oggi molto importanti. L'ingresso dei vari paesi dell’Est nella comunità Europea porterà sicuramente cambiamenti radicali di sviluppo tecnologico ed economico. Così con l'aumento della quantità di emissione degli scarichi ambientali sarà sempre più necessario il monitoraggio dell'ambiente (domestico e urbano). La caratterizzazione chimica dei composti presenti nei depositi secchi l’atmosferici è un dato essenziale per la qualità dell' atmosfera. Il deposito secco è una fonte importante di informazione e il monitoraggio dell'ambiente è legato ad esso. Queste particelle si formano dalla polverizzazione delle sostanze combustibili, dalla lavorazione dei metalli, dal trasporto, dalle erosioni vulcaniche, dalle polveri della terra, dall’aerosol di origini di mare. I problemi di inquinamento da metalli pesanti sono sempre più attuali anche per la loro influenza sulla catena alimentare e sulla salute umana. In questo lavoro, viene effettuata l’analisi chimica di campioni ambientali da ecosistemi diversi e in particolare modo l’analisi di polveri per la determinazione dei metalli pesanti in ambienti urbani e domestici della città di Tirana. Come metodo base è impiegato AAS. 1. Questo studio ha due obiettivi: fare una valutazione generale dell’inquinamento, in modo indiretto basandosi sulla composizione chimica dei polveri. 2. paragonare il grado di inquinamento dell’aria in varie zone valutando anche diversi fonti di inquinamento solido. Per la realizzazione di questi obiettivi si è effettuato un piano di monitoraggio in varie zone, tenendo presente il livello di presenza dei autotrasporti e altri fonti di inquinamento. Sono stati scelti due tipi di campioni: polvere di strada e polvere dell’ambiente di casa. L’analisi chimica dei polveri si articola in due stadi importanti: 1. Disgregazione dei campioni 2. Determinazione analitica. Il primo stadio realizza il passaggio del campione dallo stato solido ad un stadio di soluzione; il secondo stadio, la valutazione quantitativa del contenuto dei metalli pesanti nella soluzione ottenuta dopo la disgregazione. Il metodo di disgregazione del campione è correlato allo scopo dell’analisi. Le analisi eseguite hanno riportato i metalli Cu, Fe, Mg, Li, Cr, Cd, Pb, si è anche effettuata la correlazione tra vari elementi: Così Pb-Zn. Pb-Cu,Pb-fe, Pb-Cd, Cu-Zn, Cu-Fe e la loro concentrazione nelle varie zone della città. Inoltre si è effettuato la normalizzazione dei dati per identificare l’indice di geoaccumulazione e l’ aumento relativo degli elementi analizzati in vari stazioni. Infine, questo lavoro ha premesso di identificare che la distribuzione dei metalli, è diversa per le aree urbane e domestiche e che la concentrazione di Pb in ambienti domestici, è più bassa da valori di altri paesi Europei. Bibliografia [1] Joseph, J. Dulca, J,J; Risby, T,H.; Anal. Chem. 1976, 48, 8. [2] Hubert, J.; Candelaria, M,R.; Atom. Spectro. 1980, 1 4.(jul-aug). 173 QP34 BIOSENSORE AMPEROMETRICO PER LA DETERMINAZIONE DELLA TOSSICITÀ INTEGRALE DI PARTICOLATO ATMOSFERICO Maria Anna Benincasa, Fabio Borzetti, Nicola Caretto, Rossella Grossi, Luigi Campanella Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma e-mail: [email protected] L’attenzione della ricerca scientifica nel selezionare e verificare soluzioni per la descrizione dei parametri legati al materiale particolato aereodisperso (MPA), nasce dalle crescenti preoccupazioni in merito agli effetti biologici di tali materiali sia attraverso sollecitazioni chimiche che fisiche a livello dell’apparato respiratorio umano. Analizzando i limiti stabiliti dalla legge, si evince che essi sono solo limiti quantitativi. Un’analisi qualitativa è invece assai importante proprio per la valutazione della tossicità dell’MPA e, quindi, del suo potenziale impatto sulla salute umana. Le comuni tecniche di analisi del materiale particolato raccolto, generalmente tecniche microscopiche e spettrometriche sono costose e richiedono personale altamente qualificato. In questo lavoro viene proposto un sistema di facile utilizzo, poco costoso e che non richiede per l’uso particolari esperienze per ottenere una risposta rapida ed affidabile circa la tossicità del particolato raccolto dalle stazioni di prelievo. I filtri contenenti materiale particolato vengono incubati con le cellule di lievito ed è determinata mediante la misura amperometrica (elettrodo di Clark) dell'O2 disciolto in soluzione l’inibizione dell’attività respiratoria delle cellule dopo esposizione al PM. Dall’analisi dei dati sperimentali si può affermare che l’indice di inibizione respiratoria non è univocamente determinato dalla massa di particolato raccolto su filtro. Tale risultato è congruente con le nostre ipotesi: infatti, una quantità di MPA più elevata può non corrispondere ad una maggiore tossicità integrale, poiché può essere dovuto alla deposizione di materiale di provenienza naturale (sabbia, polveri) .Un altro risultato che ci conforta è che i filtri con PM 10 sono, generalmente, più tossici di quelli contenenti solo le frazioni minori; infatti queste sono contenute in quello. Nell’inibizione respiratoria è emerso un buon accordo fra quanto atteso e quanto trovato sulla base della natura del sito campionato (urbano, rurale, intensivo e ventilato) e delle condizioni atmosferiche al momento del campionamento. Bibliografia [1] Campanella, L.; Dragone, R.; Fisco, L.; Tomassetti, M. Analytical Letters 2004, 37, 30473061; [2] Rapporti ISTISAN 06/13 - Stazione di rilevamento dell’Istituto Superiore di Sanità per lo studio della qualità dell’aria: anni 2003 e 2004 - A cura di Giorgio Cattani e Giuseppe Viviano. 174 QP35 ANALISI HPLC-FD DI COMPOSTI MUTAGENI NEL PARTICOLATO FRAZIONATO DELLA CITTA’ DI CATANIA V. Librando, G. Perrini, S. D’Amico, Z. Minniti, G. Tringali Dipartimento di Scienze Chimiche, Università di Catania , Viale Andrea Doria, 6, 95125, Catania; e-mail: [email protected] I nitroderivati degli idrocarburi policiclici aromatici esistono in tracce in tutti i comparti ambientali. L’interesse scientifico per questa classe di composti deriva dalla loro attività cancerogena e mutagena. I nitro-IPA provengono direttamente o indirettamente dai processi di combustione e, dopo essersi formati in fase gas, sono adsorbiti sul particolato. Gli studi più recenti hanno dimostrato che le frazioni di particolato più pericolose per la salute umana sono quelle finissime, con diametro al di sotto di 1 μm, che arrivano fino ai bronchi e agli alveoli polmonari: abbiamo quindi ritenuto utile misurare le quantità di nitro-IPA presenti nei vari tagli dimensionali raccolti nella città di Catania. Il particolato è stato prelevato e frazionato mediante un impattore ad alto volume TischTE235, ed estratto con CH2Cl2. I nitro-IPA analizzati sono stati: 1-nitropirene, 2nitrofluorene, 9-nitroantracene, 3-nitrofluorantene, 6-nitrocrisene, 6-nitroB[a]pirene. L’estratto è stato purificato in due stadi: su SPE con cartucce di silice, e successivamente su una colonna preparativa in silice 250mm x 10mm allo scopo di eliminare le interferenze dovute alla coeluizione di altre sostanze fluorescenti. L’analisi è stata condotta con un HPLC dotato di rivelatore a fluorescenza e accoppiato a una cella elettrochimica; in questo modo è stato possibile ridurre i nitro-IPA, molto poco fluorescenti, ad ammino-IPA, composti caratterizzati da una intensa fluorescenza. La quantità riscontrate di nitro-IPA sono simili a quelle di letteratura [1-3] per campionamenti svolti in condizioni analoghe e la somma delle concentrazioni di tutte le frazioni risulta un ordine di grandezza più bassa rispetto agli IPA. Le maggiori quantità di nitro-IPA sono state riscontrate nella frazione più fine (<0,49μm), anche se quantità discrete sono state trovate in tutte le altre frazioni. Bibliografia 1)M. Wada et al.; Environmental Pollution, 2001, 115, 139-147 2)C. Schauer et al.; Anal. Bioanal. Chem., 2004, 378, 725-736 3)F. Reisen, J. Arey ; Environ. Sci. Technol., 2005, 39, 64-73 175 QP36 SISTEMA INTEGRATO PER IL MONITORAGGIO DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO (SIMPA) M. Casellia, B.E. Darestaa, G. de Gennaroa, P. Ielpoa, C.M. Placentinoa, A. Febo, A. Forgioneb, A.C.R. Imperatoreb, F.De Tomasic, M.R. Perronec, S. Di Sabatinod a Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona, 4 70126 Bari b FAI Instruments, Via Aurora, 29 00013 Fonte Nuova (RM) c Dipartimento di Fisica, Università degli studi di Lecce, Via Arnesano, 73100 Lecce d Dipartimento di Scienza dei Materiali, Università degli studi di Lecce, Via Arnesano, 73100 Lecce e-mail: [email protected] Con il termine particolato atmosferico viene indicato un insieme di particelle solide e liquide con composizione complessa e variabile nel tempo e nello spazio. Una parte di esso ha origine locale, mentre una parte proviene da sorgenti esterne come il deserto del Sahara e le aree industriali del Nord e dell’Est Europa. La misura della massa di particolato, ad esempio delle frazioni indicate come PM10 o PM2.5, non rende pienamente conto della sua natura: molti dei componenti della materia particolata più rilevanti dal punto di vista dei loro effetti sulla salute o sulle caratteristiche ottiche dell’atmosfera, sono concentrati nell’intervallo di dimensioni al di sotto del micrometro che influisce molto poco sulla massa totale. E’ quindi necessario disporre di un sistema integrato che misuri contemporaneamente: la massa del particolato in almeno due frazioni granulometriche; la distribuzione dimensionale dei diametri; le condizioni meteorologiche con particolare riferimento al PBL; la provenienza del particolato in riferimento al trasporto sia orizzontale che verticale su scala locale, regionale e planetaria. Questo contributo si propone di illustrare i contenuti e gli obiettivi del progetto “Sistema Intergrato per il Monitoraggio del Particolato Atmosferico” (SIMPA), un Progetto Strategico finanziato dalla Regione Puglia (BURP- n. 107 del 25-8-2005). Tale progetto vede coinvolti due enti di ricerca: Università di Bari (dipartimento di Chimica) ed Università di Lecce (dipartimento di Fisica e dipartimento di Scienza dei Materiali) e due aziende private: FAI Instruments s.r.l.(Roma) e LEnviroS s.r.l.(Spin-off dell’Università di Bari). Una prima fase del progetto prevede la progettazione, lo sviluppo e la sperimentazione sul campo di un prototipo per la determinazione dei contributi locali, regionali e transfrontalieri alle concentrazioni di particolato fine. Strumenti quali un OPC Multicanale (contaparticelle ottico multicanale) per la caratterizzazione in tempo reale ed in continuo della distribuzione granulometrica del materiale particellare aerodisperso nell'intervallo >0.3µm, uno SWAM dual channels per il campionamento e determinazione di PM10 e PM2,5, un anemometro sonico, ed un PBL Mixing Monitor, per monitorare l’altezza dello strato rimescolato, verranno installati in un cabinet modulare e portatile. Obiettivo del prototipo è quello di identificare i parametri essenziali e le loro relazioni al fine di caratterizzare le frazioni “fine” e “corse” del particolato atmosferico e di identificarne le sorgenti, a partire dai dati ottenuti dal monitoraggio integrato. Una seconda fase prevede la progettazione, lo sviluppo e la sperimentazione sul campo del prototipo per la determinazione dei contributi delle singole sorgenti (‘fugitive emission’) alle concentrazioni di particolato fine. Si tratta di sviluppare un sistema integrato che prevede l'identificazione di tre postazioni intorno ad una sorgente (sito): una delle quali sarà costituita 176 dal cabinet assemblato con la strumentazione sopra descritta, mentre le altre due saranno delle stazioni standard di monitoraggio della qualità dell’aria. Il progetto prevede, inoltre, un sistema integrato esteso per il monitoraggio del materiale atmosferico particolato su vasta area, attraverso l’uso di osservazioni terrestri mediante immagini satellitari e dati derivati da simulazioni numeriche del flusso e della dispersione in supporto a misure effettuate al suolo. Gli obiettivi sono il confronto dei dati di PM10 di diverse stazioni di monitoraggio presenti sul territorio regionale con quelli di PM10 ricavati da dati satellitari; l’utilizzo della modellizzazione nel caso di dati mancanti o non affidabili; l’individuazione delle principali sorgenti di inquinanti di origine locale e non; la determinazione dell’evoluzione spazio-temporale dei più importanti eventi inquinanti di origine locale o trasportati su lunghi percorsi come gli eventi di Saharan dust; la ricostruzione dei campi di vento e della turbolenza nelle aree di studio e quindi la determinazione di mappe di concentrazione di particolato a partire dai valori mediati su aree dell’ordine dei 10km x 10km forniti dalle misure satellitari. Infine saranno effettuati confronti ed integrazioni dei dati al suolo, ottenuti dal prototipo sviluppato, con i dati forniti da satellite e dati ottenuti con modelli diffusionali. Bibliografia World Health Organization; Report on a WHO working group meeting E 82790., 2004. Querol, X.; Alastuey, A.; Ruiz, C.R. et al. Atmospheric Environmet, 2004, 38, 6547-6555; Sillanpaa, M.; Hillamo R., Saarikoski S. et al. Atmospheric Environmet, 2006, 40, S212-S223; Gonzales, R.; Schaap, C.; de Leeuw, M. et al.Atmos.Chem. Phys. 2003, 3, 521-533 177 QP37 ANDAMENTI DEL PM10 NELLE REGIONI DI PUGLIA E BASILICATA M. Amodioa, P. Brunoa, M. Casellia, P.R. Dambruosoa, G. de Gennaroa, P. Ielpoa, L. Trizioa, A. Ricciob, B. Bovec, A.M. Criscic, G. Di Nuzzoc, C. Mancusic, L. Mangiamelec, G. Mottac a Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari Dipartimento di Scienze Applicate, Università degli Studi di Napoli “Parthenope”, via De Gasperi 5, 80133 Napoli c ARPA Basilicata, via della Fisica 18, 85100 Potenza e-mail: [email protected] b Il particolato atmosferico, prodotto sia da sorgenti locali, quali il riscaldamento domestico, impianti di incenerimento, industrie metallurgiche, traffico autoveicolare etc. sia da trasporto trans-frontaliero (eventi di Saharan dust), durante il suo tempo di residenza in atmosfera subisce diversi processi chimici e fisici. Il prodotto risultante è un sistema polidisperso di particelle chimicamente eterogenee variabile sia nel tempo che nello spazio. In questo lavoro vengono presentati dati di PM10 relativi al periodo Gennaio 2005 - Aprile 2007 rilevati in diverse stazioni di monitoraggio automatico della qualità dell’aria delle regioni Puglia e Basilicata. I dati di PM10 raccolti nella regione Puglia derivano sia dalla rete di monitoraggio della qualità dell’aria del Comune di Bari, in particolare vengono presentati dati raccolti in due stazioni site nel centro della città (in corso Cavour e piazza Luigi di Savoia), una sita in un quartiere residenziale (viale Archimede) ed una periferica sita presso lo stadio S.Nicola; sia dalla rete di monitoraggio della Provincia di Bari: sono mostrati dati relativi alle stazioni site a Casamassima (20 Km a sud-est di Bari), Monopoli (paese costiero a 44 Km a sud di Bari) e Altamura (50 Km a sud-ovest di Bari). Della rete di monitoraggio della qualità dell’aria della regione Basilicata, gestita da ARPAB, vengono mostrati dati raccolti in diverse stazioni regionali, ovvero dati raccolti in quattro stazioni ubicate nella città di Potenza (due in zone urbane, una in zona suburbana ed un’altra in una zona industriale), nella stazione di Melfi (53 Km a nord di Potenza), in quella di Viggiano (60 km a sud di Potenza) e nella stazione di Matera (100 km ad est di Potenza e 18 Km a sud di Altamura). Sono mostrati gli andamenti di PM10 in relazione ai parametri meteorologici (pressione, velocità e direzione del vento ecc), agli eventi di Saharan dust, ai valori di PBL (Planetary Boundary Layer). Sono evidenziati ed interpretati particolari fenomeni critici. Gli andamenti di PM10 relativi ai vari siti considerati non mostrano evidente stagionalità e le sue concentrazioni sembrano essere indipendenti da sorgenti locali. Moreno, T.; Querol, X.; Alastuey, A.; Viana, M.;Gibbons,W. Atmosph. Environm, 39, 2005, 6109-6120 Charron, A.; Harrison, M. R.; Quincey, P. Atmosph Environm, March 2007 1960-1975 178 QP38 SPECIAZIONE INORGANICA DI PARTICOLATO ATMOSFERICO PM10 E PM2.5 NELLA CITTA’ DI BOLOGNA DURANTE IL PROGETTO SITECOS Laura Tosittia, Daniela Baldaccia, Silvia Parmeggiania, Sergio Zappolib, Milena Stracquadaniob, Daniele Ceccatoc a Dip. Chimica “G. Ciamician” Univ. di Bologna Via Selmi ,2 40126 Bologna e-mail: [email protected] b Dip. Chimica-Fisica ed Inorganica, Univ. di Bologna, Viale Risorgimento 4, 40136 Bologna; c INFN-Laboratori Nazionali di Legnaro, Viale dell’Università 2, 35020 Legnaro (PD) Vengono presentati i dati di speciazione inorganica per cromatografia ionica ed analisi elementale mediante PIXE (Proton Induced X-ray Emission) presso la large scale facility dell’ INFN di Legnaro (PD) ottenuti nel corso dei campionamenti di aerosol atmosferico PM10 e PM2.5 nella città di Bologna previsti dal Progetto Nazionale COFIN SITECOS. Il presente studio è stato supportato dalle conoscenze provenienti da un precedente progetto effettuato a Bologna (collab. UNIBO/ARPA-EMR-Progetto PolveRE) basato sull'impiego di un campionatore Andersen ad alto volume, a stadi ossia su aerosol frazionato dimensionalmente. Tali dati sono risultati fondamentali per la migliore interpretazione dei dati di SITECOS stesso, basati invece su prelievi bulk. In entrambi i progetti si è constatato un ruolo rilevante della frazione fine (<2.5um) nel determinare la massa del PM10 a Bologna (61% fine in estate, 71% fine in autunno, 81% fine) con i seguenti livelli medi di concentrazione (ug m-3) estate : PM10 = 35 +/-11, PM2.5 = 21 +/-7, PM(10-2.5) = 17+/-7 autunno : PM10 = 46+/- 17, PM2.5 = 33+/-18, PM(10-2.5) = 12+/-11 inverno : PM10 = 51+/-31, PM2.5 = 41+/-26, PM(10-2.5) = 1.0+/-8 L'aerosol di Bologna presenta minimi estivi e massimi invernali associati all'andamento stagionale dell'altezza dello strato rimescolato e delle differenti condizioni di diluizione/ridistribuzione del particolato. I dati gravimetrici ottenuti con il campionatore PM2.5 manuale hanno rivelato una minore rispondenza rispetto al sequenziale ARPA-BO (R2=0.78), a causa della manipolazione dei filtri, mentre nelle campagne 2006, la corrispondenza è migliorata, a causa dell'introduzione del campionatore sequenziale (R2 =0.91 relativamente al campionatore ARPA), pur nella considerazione di due diversi siti di campionamento. Durante la campagna invernale gli ioni inorganici idrosolubili rappresentano una parte cospicua della massa totale del PM, oscillando tra il 45% e il 49%; l'apporto maggiore è dovuto principalmente a solfati, nitrati e ammonio (più del 90% del contributo ionico totale), tipico di un'area continentale fortemente antropizzata. Il minore contributo relativo dei nitrati durante il periodo estivo, con concentrazioni notevolmente inferiori rispetto ai solfati, è dovuto alla natura semivolatile del nitrato d'ammonio, mentre, la maggiore intensità della radiazione solare in estate, comporta un aumento relativo dei solfati, le cui concentrazioni estive sono circa uguali a quelle invernali, salvo fluttuazioni meteorologiche, con conseguente aumento della cinetica di ossidazione dell' SO2. La presenza di potassio nella frazione dimensionale fine è caratterizzata da un andamento stagionale in accordo con le concentrazioni di PM2,5, indicando l'esistenza di una sorgente ad 179 alta temperatura, quale l'emissione di ceneri in processi di combustione di rifiuti e/o biomassa. Al, Mg e Ti mostrano un fattore di arricchimento relativo al Silicio EF < 10 sottolineandone l’origine crostale, mentre elementi come S, Cu, Zn, Br, Pb, Se, Ni, Co, Cl risultano notevolmente arricchiti, suggerendo invece sorgenti antropiche. 180 SESSIONE POSTER IP: INQUINANTI PRIORITARI 181 182 IP01 SCREENING, BASATO SU MODELLI QSAR, DI COMPOSTI CHIMICI AD ATTIVITA’ ESTROGENICA Ester Papa, Huanxiang Liu e Paola Gramatica Unità di Ricerca QSAR in Chimica Ambientale ed Ecotossicologia, Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, Università dell’Insubria, via Dunant 3, Varese. e-mail: [email protected] Nel corso degli ultimi decenni un’attenzione sempre maggiore è stata rivolta dalla comunità scientifica al problema degli interferenti endocrini (EDCs), sostanze con proprietà tali da causare conseguenze sulla salute di un organismo o della sua progenie, a seguito di cambiamenti nelle funzioni endocrine, in particolare con alterazioni sul sistema riproduttivo. L’elevato numero di EDCs presenti nell’ambiente giustifica la necessità di sviluppare nuovi ed efficaci metodi di screening utili per l’identificazione di questa tipologia di sostanze nell’ambito del processo di valutazione del rischio tossicologico e della nuova normativa europea per la registrazione, valutazione ed autorizzazione delle sostanze chimiche (REACH). In questo lavoro, diversi modelli QSAR di regressione e classificazione sono stati sviluppati per predire l’affinità di legame al recettore estrogenico, valutata per un ampio set di molecole organiche strutturalmente eterogenee. I modelli sono stati sviluppati a partire da un’informazione strutturale globale rappresentata dai descrittori molecolari teorici, calcolati mediante il software DRAGON. Il modello di regressione lineare multipla-OLS, basato su otto variabili strutturali, presenta caratteristiche soddisfacenti relative ai parametri comprovanti la sua validità statistica, valutata anche mediante validazione esterna (Q2= 0.750.85). I modelli di classificazione ottenuti con diversi metodi (Least Square Support Vector Machine (LS-SVM), Counter Propagation Artificial Neural Network (CP-ANN), e k-nearest Neighbor (kNN)) si sono rivelati in grado di predire, con buone prestazioni, l’attività estrogenica non solo delle sostanze utilizzate per la costruzione dei modelli (training set) ma anche di nuove sostanze utilizzate per la validazione esterna (prediction set). Inoltre l’efficacia dei modelli, qui proposti come strumenti di screening per potenziali EDCs, è stata valutata su un ampio dataset costituito da 58.000 composti organici di cui circa il 76% è stato predetto come non-EDC. I modelli QSAR presentati, basati esclusivamente su caratteristiche strutturali e caratterizzati da una buona qualità statistica e da una reale capacità predittiva, possono dunque essere proposti come strumenti utili per un rapido screening dell’attività estrogenica di composti organici, siano essi già presenti nell’ambiente o non ancora sintetizzati. Bibliografia Liu; H., Papa; E; Gramatica, P. Chem. Res. Toxicol., 2006, 19, 1540-1548. Liu; H., Papa; E; Gramatica, P. J.Mol. Graph. Model., 10.1016/j.jmgm.2007.01.003 183 2007, DOI IP02 PREVISIONE DELLA MUTAGENICITA’ E GENOTOSSICITA’ DI COMPOSTI AROMATICI POLICICLICI MEDIANTE MODELLI QSAR Paola Gramatica , Pamela Pilutti e Ester Papa Unità di Ricerca QSAR in Chimica Ambientale ed Ecotossicologia, Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, Università dell’Insubria, via Dunant 3, Varese. e-mail: [email protected] I composti policiclici aromatici (PAC), e tra questi gli idrocarburi IPA sono inquinanti ubiquitari dell’aria urbana, di elevato impatto ambientale, per cui la conoscenza delle ripercussioni negative sulla salute umana risulta di straordinaria importanza. Diversi test biologici sono stati messi a punto per studiare le potenziali attività mutagene o genotossiche di queste sostanze, ma la disponibilità di dati sperimentali è comunque inferiore al numero di inquinanti di questo tipo esistenti nell’ambiente. La modellistica a base strutturale QSAR viene quindi applicata per sviluppare modelli predittivi che permettano di classificare i PAC per mutagenicità o genotossicità. I dati di mutagenicità su B-linfoblastoidi umani per 70 PAC ossigenati, nitrati o non sostituiti (IPA), evidenziati nell’aerosol urbano in forma adsorbita sul PM, sono stati modellati mediante metodi QSAR di classificazione: k-NN (k-Nearest Neighbour) e CART (Classification and Regression Tree), utilizzando descrittori molecolari teorici, selezionati dall’Algoritmo Genetico. I migliori modelli ottenuti hanno alte prestazioni in predizione, verificati anche su composti che non hanno partecipato allo sviluppo dei modelli (sensitività: 76.9-90.3%, specificità: 55.6-87.5%). La genotossicità di 276 composti policiclici aromatici altamente eterogenei (PACs) misurata dal SOS Chromotest, è stata, in modo analogo, modellata mediante classificazioni CART e kNN, basate su descrittori molecolari teorici. Per verificare la capacità predittiva esterna sono stati confrontati i risultati ottenuti a seguito di tre diverse tipologie di splitting dei dati disponibili (Disegno Sperimentale D-ottimale, Reti neurali con Mappe di Kohonen e selezione Random). I migliori modelli QSAR, basati su solo 2 descrittori molecolari 1D- and 2D-, sono stati sviluppati su un training set di 174 composti e verificati per la loro predittività su 102 molecole (sensitività: 69.7- 78.8% e specificità 82.695%) . La classificazione dei PAC secondo la loro mutagenicità o genotossicità, basata su pochi descrittori molecolari teorici, permette una preliminare valutazione del rischio per la salute umana derivante da questi composti e l’individuazione dei composti prioritari. Bibliografia Gramatica, P.; Pilutti, P.; Papa, E. SAR &QSAR Environ. Res., 2007, 18 , 169-178.. 184 IP03 THEORETICAL STUDY ON PAH AND SOOT STRUCTURE AND OXIDATION Anna Giordana,a Andrea Maranzana,a Giovanni Ghigo,a Mauro Causà,b and G. Tonachinia (a) Dipartimento di Chimica Generale e Organica A., Università di Torino, Corso Massimo D'Azeglio 48, 10125 Torino, Italy (b) Dipartimento di Chimica, Università di Napoli "Federico II", ComplessoUniversitario di Monte Sant'Angelo, Via Cintia 1, I-80126 Napoli, Italy e-mail: [email protected] We initially aimed to define suitable PAH-like or periodic models for a soot platelet, then examined the gas-solid interaction of some small species (H, NO, NO2, and NO3) by which soot functionalization can take place.[1] We then considered soot oxidation operated by ozone and compared its features with some experimental studies.[2] Finally, we have explored the nature of the oxidized soot surface through the theoretical study of the desorption mechanisms of a variety of polar groups, and attempted to give a contribution to the interpretation of Temperature Programmed Desorption (TPD) spectra.[3] The investigation is now extended to different model systems, which can be reasonably assumed to form during combustion. These are made up by an odd number of carbon atoms, such as those detected in flames (where they are almost as important as the even ones), or can contain 5-membered rings. For these systems, we compare the reactivity of both internal and peripheral positions toward ozone. 1. Ghigo, G.; Maranzana, A.; Tonachini, G.; Zicovich-Wilson, C. M.; Causà M. J. Phys. Chem. B 2004, 108, 3215-3223 2. Maranzana, A.; Serra, G.; Giordana, A.; Tonachini, G.; Barco, G.; Causà M. J. Phys. Chem. A 2005, 109, 10929-10939 3. Barco, G.; Maranzana, A.; Ghigo, G.; Causà M.; Tonachini, G. J. Chem. Phys. 2006, 125, 184706. 185 IP04 IMPLICAZIONI TOSSICOLOGICHE DI NUOVI CONTAMINANTI AMBIENTALI: IL CASO DI Pd, Pt E Rh Chiara Frazzolia, c, Roberto Dragoneb, Alberto Mantovania, Cristiana Massimic, Luigi Campanellac a)Dip.to Sanità Alimentare ed Animale e Centro di Collaborazione OMS/FAO per la Sanità Pubblica Veterinaria, Istituto Superiore di Sanità, V.le Regina Elena 299, 00161 Roma b) Istituto dei Sistemi Complessi –CNR c/o Dipartimento di Chimica Università di Roma “La Sapienza” c)Dipartimento di Chimica Università di Roma “La Sapienza” P.le Aldo Moro 5, 00185 Roma e-mail: [email protected] Numerosi lavori segnalano il rilevante accumulo, avvenuto negli ultimi decenni, degli Elementi del Gruppo del Platino (Platinum Group Elements, PGE), nei diversi comparti ambientali. Questi metalli (in particolare Pd, Pt e Rh) vengono rilasciati nell’ambiente principalmente dalle marmitte catalitiche e possono passare nelle acque, nei sedimenti, nel suolo, nella catena alimentare e infine nell’organismo umano. L’esposizione umana è documentata da numerosi studi condotti sui fluidi biologici e tessuti di soggetti particolarmente esposti per ragioni occupazionali e di soggetti diversamente esposti perché residenti in aree urbane o rurali. La tossicità dei PGE costituisce ancora un argomento controverso. Quando si considerano le reazioni biologiche, la forma metallica dei PGE risulta inerte, mentre è nota la biodisponibilità e tossicità di alcune forme clorurate; è riportato, infatti, che tali composti possono legare gli atomi di N e S nelle proteine portando ad una ridotta attività enzimatica. I pochi dati di letteratura sulla tossicità dei PGE focalizzano sugli effetti citogenetici, portando anche a risultati contraddittori. Pertanto, ad oggi, non sono disponibili informazioni sufficienti per valutare la correlazione fra esposizione, accumulo nei tessuti e potenziali conseguenze tossiche e/o mutagene. Allo scopo di ottenere informazioni complementari alle indagini di effetti fini-citogenetici, il test di tossicità basato sul biosensore respirometrico è stato utilizzato per individuare i livelli citotossici dei cloruri dei tre metalli. Il biosensore è costituito dall’accoppiamento di un ossimetro di Clark con una sospensione di cellule di lievito (Saccaromyces cerevisiae). La respirazione è stata monitorata quale indicatore della normale attività mitocondriale e del metabolismo cellulare. Con tale test è stato esplorato l’intervallo di inibizione respiratoria fra il 10 e l’80%. Le risultanti curve dose-risposta sono state interpretate in base alla pendenza ed ai valori di EC10 ed EC50 dopo 2 ore di esposizione. È stata inoltre valutata la persistenza dell’effetto tossico osservandone la reversibilità dopo 14 ore dalla somministrazione del tossico. Per convalidare i risultati, sono state identificate e valutate le fonti di incertezza durante le diverse fasi del protocollo analitico ed è stata infine stimata l’incertezza del metodo. 186 SESSIONE POSTER TR: TECNOLOGIE DI TRATTAMENTO, BONIFICHE, RIFIUTI 187 188 TR01 PHOTOCATALYTIC DEGRADATION OF ORGANIC POLLUTANTS IN WATER: TOWARD THE DESIGN OF A NEW GENERATION OF HYBRID TIO2 BASED CATALYSTS WORKING UNDER VISIBLE LIGTH Giuseppe Melea, Li Jun b, Leonardo Palmisanoc, Rudolf Słotad, Giuseppe Vasapolloa a Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione, Università del Salento, Via Arnesano, 73100 Lecce b Department of Chemistry, Northwest University, Xian 710069, PR China c Dipartimento di Ingegneria Chimica dei Processi e dei Materiali, Università di Palermo,Viale delle Scienze, 90128, Palermo, Italy d Institute of Chemistry University of Opole ul. Oleska 48 45 - 095 Opole, Poland e-mail: [email protected] Photodegradation of organic compounds in water solutions by means of economically advantageous and environmental friendly processes is a topic of growing interest. In the recent years a great attention has been devoted to TiO2 based photocatalysts for the oxidative degradation of various organic pollutants under UV light irradiation. Recently, TiO2 based photocatalysts, some of which having a modified surface by immobilized sensitizers, have been used in environmental friendly water purification processes [1-4]. The photocatalytic activity of polycrystalline TiO2 samples impregnated with different sensitizers (i. e. phthalocyanines, porphyrins, rare earth metal diphthalocyanines) has been investigated studing the photocatalytic degradation of 4-nitrophenol (4-NP) both under UV and/or solar light irradiation. A significant improvement of the photoreactivity was observed in the case of TiO2 impregnated with copper porphyrins. Also Ho, Sm and Nd double-decker phthalocyanine complexes were proved beneficial for the photoactivity of the studied systems. References (1) Marcì, G.; Mele, G.; Palmisano, L.; Pulito, P.; Sannino, A. Green Chem. 2006, 8, 439. (2) Mele, G.; Ciccarella, G.; Vasapollo, G.; García-López, E.; Palmisano, L.; M. Schiavello, Appl. Catal. B: Environ., 2002, 38, 309. (3) Mele, G.; Del Sole, R.; Vasapollo, G.; García-López, E.; Palmisano, L.; Schiavello, M.; J. Catal., 2003, 217, 334. (4) Mele, G.; Del Sole, R.; Vasapollo, G.; García-López, E.; Palmisano, L.; Attanasi, O. A.; Filippone P., Green Chem. 2004, 6, 604. 189 TR02 RIUTILIZZO DI ACQUE REFLUE A SEGUITO DI TRATTAMENTI FOTOCATALITICI CON BIOSSIDO DI TITANIO PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE Luigi Campanella, Rosa Vitaliano, Nicodemo Bruzzese, Nicola Caretto, Fabio Borzetti Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma e-mail: [email protected] In un quadro di sviluppo sostenibile su scala mondiale, ogni Paese è obbligato ad affrontare il problema dell’inquinamento ambientale a seguito dello sviluppo delle attività antropiche, civili e industriali, e della crescita demografica. Anche l’Italia partecipa attivamente a progetti di sviluppo sostenibile definiti a livello internazionale e che sono riuniti nell' "Agenda 21", documento di propositi ed obiettivi programmatici su ambiente, economia e società e sottoscritto da oltre 170 paesi di tutto il mondo. In questo contesto, uno dei punti più drammatici è la riserva mondiale di acqua dolce che, di per sé già limitata e sempre più a rischio d’inquinamento, in futuro non sarà più in grado di sopperire al crescente fabbisogno. Per questo l’acqua riclicata costituisce una risorsa che deve essere presa in considerazione per un piano sostenibile di approvviggionamento idrico. Il riutilizzo di acque reflue è perciò una pratica in continuo sviluppo e su tale argomento in questi ultimi anni sono stati svolti diversi studi. Il presente lavoro costituisce un contributo alla sperimentazione rivolta all’elaborazione di un metodo di trattamento delle acque reflue basato sulla fotocatalisi eterogenea con biossido di titanio. Detto ciò, sono stati simulati dei reflui acquosi contenenti: atrazina, SDS, propranololo, nitrobenzene, scelti col criterio di rappresentare le quattro principali classi di inquinanti organici rispettivamente pesticidi, tensioattivi, farmaci, derivati idrocarburici che, presenti in acque reflue urbane e industriali, si riversano nell’ambiente e hanno la caratteristica di accumularsi in esso perché resistenti ai naturali processi di degradazione. In questa ricerca la fotodegradazione è stata realizzata in veterometro, strumento dotato di una serie di lampade in grado di irradiare con UV i campioni e di simulare su scala di laboratorio un eventuale processo industriale. Il monitoraggio degli analiti durante il trattamento fotodegradativo ha consentito di poter individuare le condizioni ottimali di reazione: tempo, irradianza, temperatura, quantità di catalizzatore, necessari al miglior rendimento delle reazioni di fotodegradazione. Inoltre è stato possibile determinare l’ordine cinetico delle reazioni e le rispettive costanti di velocità, nonché l'influenza su di esse del mezzo di reazione. Il sistema utilizzato ha sempre consentito la fotodegradazione catalizzata di detti inquinanti organici, a concentrazioni piuttosto elevate, in condizioni non drastiche di temperatura, irradianza e pressione. Solo nei casi delle sostanze inquinanti particolarmente persistenti, la reazione di fotocatalisi ha richiesto l’ausilio di una sostanza ossidante, l’H2O2, la quale fotodegradandosi integralmente fornisce un’alta concentrazione di radicali ossidrili, i maggiori responsabili della fotodegradazione, senza tuttavia generare alcuna ulteriore contaminazione del refluo. La tossicità del refluo modello è stata valutata con biosensore a cellule di lievito immobilizzato. I risultati sperimentali hanno evidenziato che le fotodegradazioni condotte in presenza di fotocatalizzatore sono più veloci e più quantitative rispetto a quelle non catalizzate e portano a prodotti meno tossici o del tutto non tossici. 190 TR03 LA QUALITÀ DEL SUOLO NELLA BONIFICA DEI SITI CONTAMINATI: UN ASPETTO TRASCURATO Francesca Pedron, Gianniantonio Petruzzelli Istituto per lo Studio degli Ecosistemi, CNR - Area della Ricerca, Via Moruzzi 1, 56124 Pisa; [email protected] Dagli inizi degli anni 90, il concetto di qualità del suolo si è evoluto in risposta ad una aumentata richiesta di un uso sostenibile del territorio. Sono state riconosciute le funzioni essenziali che il suolo svolge per l’ambiente e ci si è resi conto che la qualità del suolo, non è legata esclusivamente alla produttività agronomica, ma che può influenzare in maniera determinante anche la qualità dell’ambiente e la salute dell’uomo. Di recente, anche la Comunità Europea, ha elaborato una serie di documenti per supportare una strategia di difesa del suolo. In questi documenti, tra le minacce che gravano sul suolo, una delle più importanti, anche se sicuramente non la principale, è quella legata all’inquinamento, che trova il suo punto di maggiore criticità nella problematica dei siti inquinati. Quello dei siti inquinati è uno dei settori di maggiore sofferenza del suolo e la necessità di conservare inalterata l’insostituibile azione di protezione che il suolo svolge nei confronti di altri comparti ambientali, si è manifestata, in questi ultimi anni, proprio in seguito alla problematica della bonifica dei siti contaminati. L’interesse nei confronti dell'inquinamento del terreno è diventato uno dei punti centrali di molte normative ambientali. Tuttavia nelle operazioni di bonifica la qualità del suolo è stata spesso considerata solo marginalmente essendo l’obiettivo primario degli interventi quello di raggiungere i livelli di concentrazioni residue dei contaminanti richiesti dalla normativa, con una ridotta attenzione alle possibili conseguenze che le tecnologie impiegate possono avere sulla qualità del suolo. Con lo svilupparsi di un crescente interesse per l'applicazione di nuove tecnologie in grado di rispondere ai requisiti fondamentali di minor costo e di maggior accettabilità pubblica, oggi il concetto di qualità del suolo può divenire una parte importante delle strategie di risanamento. Questa possibilità si rispecchia anche nell’evoluzione dell’applicazione delle tecnologie di bonifica, infatti oggi l’impiego di strategie innovative è in continuo aumento e maggiore è l’attenzione agli effetti che possono avere sull’ambiente. Un esame delle tecnologie applicate a livello internazionale e nazionale, mostra una positiva, anche se talora “inconscia”, evoluzione nella considerazione della matrice suolo. Nel caso dei suoli nei siti contaminati il rapporto terreno - contaminanti è molto complesso, spesso caratterizzato dalla presenza contemporanea di differenti classi chimiche di composti, che si sono accumulate nel tempo. In questo ambito la chimica del suolo deve offrire, all’interno di un approccio multidisciplinare, un contributo essenziale per una scelta corretta delle strategie di recupero in modo che il suolo non sia più considerato semplicisticamente come un rifiuto da trattare, ma come una matrice che esplica funzioni essenziali di protezione degli altri comparti ambientali, orientando, di conseguenza, anche la scelta delle tecnologie di bonifica, verso quelle soluzioni che consentono di ottenere al termine delle operazioni una suolo, per quanto possibile, con un’elevata funzionalità. 191 TR04 BROWNFIELDS BESIDE RECREATIONAL AREAS: SOME CONCEPTUAL MODELS AND CHALLENGES FOR SENSIBLE REMEDIATION TECHNOLOGIES C. Della Torre1, G. Pignolo1, R. Urbani2, P. Sist2, A. Bandiera2, A. Falace3, M. Sesso4, P. Plossi5, P. Barbieri1 1 Università di Trieste, Dip. di Scienze Chimiche, Via L. Giorgieri 1, 34127 Trieste, [email protected] 2 Università di Trieste, Dip. di Biochimica, Biofisica e Chimica delle Macromolecole, Via L. Giorgieri 1, 34127 Trieste 3 Università di Trieste, Dip. di Biologia, Via Weiss 2, 34127 Trieste 4 Agricola Monte San Pantaleone Coop. Sociale, Via De Pastrovich 1, 34127 Trieste 5 Provincia di Trieste, Funzione Ecologia e VIA, Via S. Anastasio 3, 34142 Trieste Beside brownfields located within industrial areas - eventually constituting megasites there are cases where contamination affects areas in valuable landscapes. Two sites from the province of Trieste are considered, that are respectively close to a park hosting cultural, research, didactical and health services and another one close to recreational coastal shoreline. Combustion ashes have been discharged in the first site for several decades, while sediment from ship-building docks have been used for advancing the coastline in the second one. After preliminary chemical and geological characterization, zonation is conducted, and conceptual models are built, that link secondary sources of contamination to potential targets. Restoration techniques are also considered, with special regard to phyto- and bio-remediation. Low impact technologies – even if slow -are preferred by public administrations that have property on the areas. An experimentation on a selected number of hyperaccumulating plant species has started. A special case is the coastal one, where sediment contamination also appears. Artificial submarine barriers that promote bacterial and benthic activity with biological mussel filtrating sections for controlled bioaccumulation are tested for attenuation of marine sediment contamination. 192 TR05 PRODUZIONE DI AMMENDANTE COMPOSTATO VERDE: VALUTAZIONE DEL PROCESSO E DEL PRODOTTO Marco Girardini a, Lorena Franz b, Luca Paradisi b, Alberto Ceron b, Francesco Loro b, Lucio Bergamin b, Federica Germani b, Daniele Formigoni c, Bruno Pavonia a Università Ca’ Foscari di Venezia, Dip. di Scienze Ambientali, Calle Larga S.Marta, 2137, 30123 Venezia b ARPA Veneto, Dip. Prov. Treviso, Oss. Reg. Rifiuti e Compostaggio, Via Baciocchi 9 31033 Castelfranco Veneto (TV) c S.I.E.M. S.p.A., Via Ariosto 49, 46100 Mantova e-mail: [email protected] Dai rifiuti vegetali raccolti in maniera differenziata e sottoposti a compostaggio si ottiene un prodotto di qualità (ammendante compostato verde, ACV) che può trovare una collocazione sul mercato come ammendante o substrato di coltura. Per essere venduto come prodotto sul mercato italiano l’ACV deve possedere le caratteristiche fissate dal D.lgs. 217/2006. Inoltre esiste un sistema di certificazione di qualità del prodotto promosso e gestito dal Consorzio Italiano Compostatori (CIC). Entrambi i sistemi sono basati sul rispetto di valori limite per parametri chimico-fisici, chimici o microbiologici. Non sono invece previste misure di stabilità e maturità del materiale, attualmente incluse solamente nel sistema di certificazione regionale del Compost Veneto. Valori limite per la stabilità del compost (misurata come Indice di Respirazione Dinamico, IRD) sono spesso fissati dalle regioni con l’obbiettivo non tanto di garantire la qualità del prodotto quanto piuttosto di regolamentare l’esercizio degli impianti di compostaggio. Il presente lavoro illustra i risultati del monitoraggio di due processi di compostaggio a scala reale di materiale vegetale da raccolta differenziata. Vengono riportati i dati relativi ai principali parametri di processo (umidità, sostanza organica, forme dell’azoto) ed i risultati delle prove di stabilità (Dissolved Organic Carbon, DOC e IRD) e maturità (saggio di fitotossicità con Lepidium sativum). Dai dati ottenuti è possibile calcolare i bilanci di massa e formulare un giudizio sul prodotto finale e sul processo in base alla normativa italiana di riferimento (D.lgs. 217/2006) e agli standard di qualità di adozione volontaria proposti dal CIC. I risultati indicano che i parametri adottati dalla normativa e dal sistema di assicurazione di qualità del CIC non sono sufficienti a garantire la qualità dell’ACV prodotto in quanto anche materiali non stabili possono risultare conformi alla normativa o addirittura ai criteri per il riconoscimento di qualità. Esperimenti condotti precedentemente dall’Osservatorio avevano confermato questa osservazione. Questo studio mette in risalto l’importanza di prevedere un sistema di controllo del processo, come avviene per il Compost Veneto, insieme con una periodica verifica delle caratteristiche chimicofisiche del prodotto finito. Alla luce dei risultati si può inoltre ipotizzare che il consumo di sostanza organica dovuto ad un processo di compostaggio che raggiunga le condizioni di stabilità del materiale abbassi il tenore di carbonio organico al di sotto del limite di normativa (> 30% su s.s.) con conseguente declassamento dell’ACV da prodotto pregiato a rifiuto. Si suggerisce pertanto una correzione di questo limite in sede di revisione della normativa, in quanto troppo alto. 193 TR06 ANALISI DI RISCHIO ASSOCIATA ALLE EMISSIONI DI UNA DISCARICA DI RIFIUTI NON PERICOLOSI Morselli L., Piccari L., Passarini F., Vassura I. Università di Bologna, Dip. di Chimica Industriale e dei Materiali, Polo di Rimini. e-mail: [email protected] Gli effetti sulla salute e sull’ambiente delle emissioni di inquinanti costituiscono un elemento di evidente interesse nel dibattito sulla compatibilità ambientale di molte attività umane. Per rispondere alle esigenze di una gestione del territorio in linea con i principi dello sviluppo sostenibile, l’Analisi di Rischio, che integra il Sistema di Monitoraggio Ambientale (SIMA), rappresenta un valido strumento di conoscenza sistemica e multidisciplinare del territorio utilizzabile come metodologia di controllo degli impatti sulla salute umana da applicare sull’intero percorso di gestione dei rifiuti. Inoltre è strumento integrante dei processi di valutazione degli impatti ambientali, strumento tecnico-operativo di supporto alla valutazione di scenari alternativi di gestione dell’impianto stesso, di certificazione aziendale, e strumento utile al fine di adottare decisioni trasparenti e sostenibili ed infine di comunicazione dei rischi verso la popolazione. Lo studio riguarda una discarica avviata nel 1990, con un volume complessivo di 2.525.000 mc e un’utenza di 200.000 abitanti, attualmente in fase di postchiusura. Sulla base dei dati di emissione lo scopo del lavoro è quello di valutare gli impatti dell’intero corpo discarica sul territorio circostante. L’ente gestore porta avanti un piano di monitoraggio come previsto e disciplinato dal D.Lgs 36/03, e controlli legati ad ulteriori aspetti ambientali dell’attività svolta considerati significativi in fase di analisi ambientale del sito. Tali dati sono parte integrante degli input in ingresso al modello. L’analisi è impostata sul percorso generale così come definito dall’US EPA, che prevede le 4 fasi successive di identificazione del pericolo, valutazione dell’esposizione, valutazione della dose-risposta e caratterizzazione del rischio. Gli strumenti utilizzati per condurre la valutazione degli effetti delle sostanze inquinanti emesse dall’impianto sono database costruiti ad hoc, fogli di calcolo elettronici, modelli “Fate & Transport” per la valutazione della dispersione degli inquinanti nei comparti ambientali dalla sorgente al corpo recettore e strumentazione GIS (Geographic Information System) per la gestione, l’analisi e la visualizzazione delle informazioni con contenuto geografico/spaziale. Per la valutazione dell’esposizione, e quindi del rischio, vengono presi in considerazione i principali percorsi di diffusione degli inquinanti nelle tre matrici ambientali aria, suolo e acque (superficiali e sotterranee), in funzione delle caratteristiche costruttive del sito e quindi delle tecnologie utilizzate per prevenire possibili vie di migrazione dei contaminanti, nonché delle caratteristiche quali-quantitative del percolato e del biogas (prodotto sia dai rifiuti abbancati che dalle attività di trattamento e trasformazione dello stesso) generati dall’impianto. Bibliografia US EPA, 2005, Human Health Risk Assessment Protocol for Hazardous Waste Combustion Facilities, Final. Office of Solid Waste and Emergency Response. EPA 530-R-05-006. APAT, 2005, Criteri metodologici per l’applicazione dell’analisi assoluta di rischio alle discariche. 194 TR07 STUDIO SULLA DEFINIZIONE DI BIODEGRADABILITÀ DEI RIFIUTI DI ORIGINE URBANA E CONFRONTO SPERIMENTALE TRA LE PRINCIPALI METODOLOGIE DI DETERMINAZIONE ANALITICA Lara Zanin a, Lorena Franz b, Luca Paradisi b, Marco Girardini a e Bruno Pavoni a a Università Ca’ Foscari di Venezia, Dip. di Scienze Ambientali, Calle Larga S. Marta, 2137, 30123 Venezia b ARPA Veneto, Dip. Prov. Treviso, Oss. Reg. Rifiuti e Compostaggio, Via Baciocchi 9 31033 Castelfranco Veneto (TV) e-mail: [email protected] La conoscenza del livello di biodegradabilità dei rifiuti costituisce un aspetto chiave per definirne una corretta gestione. La normativa europea impone, infatti, la riduzione della quantità di frazione biodegradabile in discarica e della biodegradabilità dei rifiuti non recuperabili prima dello smaltimento. A livello normativo e scientifico, però, non c’è ancora chiarezza sulla definizione di biodegradabilità, sulle metodiche per determinarla e sui valori limite di riferimento. Il lavoro ha comportato una classificazione delle definizioni e delle metodiche analitiche riscontrate in letteratura, distinguendo tra biodegradabilità istantanea e potenziale e un’indagine sperimentale finalizzata al confronto delle metodiche analitiche più comunemente proposte in letteratura e nella normativa. Nelle prove di laboratorio, per la determinazione del livello di biodegradabilità istantanea ed il contenuto di solidi volatili come misura di quella potenziale, sono stati utilizzati tre test respirometrici: Indice di Respirazione Statico-IRS (ARPAV, 2004), Specific Oxygen Uptake Rate-SOUR (Lasaridi e Stentiford, 1998; Adani et al., 2001), Indice di Respirazione Dinamico-IRD (Adani et al., 2001). Sono state analizzate diverse tipologie di rifiuti, comunemente avviati a discarica, per valutare l’applicabilità delle diverse tecniche analitiche a matrici con caratteristiche merceologiche e chimico-fisiche differenti. La correlazione tra i parametri è stata valutata attraverso un approccio monovariato con costruzione di una matrice di correlazione e un approccio multivariato basato sull’Analisi delle Componenti Principali (PCA). Da questo studio è stata confermata la correlazione tra IRS e IRD, già evidenziata in letteratura (Franz et al., 2005) ed è emersa la significatività statistica, oltre che tecnica, della distinzione tra le definizioni e le metodiche analitiche che misurano la biodegradabilità istantanea e quella potenziale. Bibliografia Adani F.; Lozzi P.; Genevini P.L. Compost Science and Utilization, 2001, 9 163-178. ARPAV, 2004. Compostaggio nel Veneto, strategie di recupero dei rifiuti organici, 1-13, 6777, 101-117, 145-168. Franz L.; Ceron A.; Paradisi L.; Germani F.; Bergamin L.; Caravello G. Rifiuti Solidi, 2005, 19, 22-26. Lasaridi K.E.; Stentiford E.I. Water Resources, 1998, 3, 3717-3723. 195 TR08 ARC NON-TRANSFERRED PLASMA TORCH FOR WASTE TREATMENT Mariagrazia Muolo, Marco Giannini, Francesco Tedeschi, Carmine Pappalettere Centro Laser S.c.r.l. – Str. Prov. Per Casamassima Km. 3, 70010 Valenzano (BA) (I) e-mail: [email protected] The new trend in the world environmental policy recommends to limit the production of waste and industrial residues, the reduction of their hazardness and promotes recycling. It is very difficult to reduce waste production and alternative technologies have been investigated to reduce their hazardness and to promote material recycling. The difficulties are connected not only to the content of toxic element of many residues, but also to the complexity of waste composition and to their scarce reproducibility. A valuable help to overcame these obstacles could be the thermal plasma induced vitrification. The plasma is able to transform organic compounds in energetic gas and promotes the vitrification of inorganic compounds, generating homogeneous amorphous materials that can be recycled. This paper presents a new plasma torch for waste treatment that operates in non-transferred arc mode (nominal power = 50 kW). The experimental data available on existing thermal plasma systems demonstrate its capability to be efficiently employed for the treatment of hazardous wastes that can hardly be cleaned in classical ways. In fact high temperature is very often required in order to achieve a high destruction efficiency and low environmental risks. Plasma Torch section Keywords: Plasma torch; thermal plasma; Waste. 196 TR09 ASPETTI METODOLOGICI DELL’ANALISI DEL DISSOLVED ORGANIC CARBON NEL COMPOST: EFFETTO DEL RAPPORTO DI ELUIZIONE E DELLA GRANULOMETRIA DEL MATERIALE Marco Girardini a, Lorena Franz b, Luca Paradisi b, Alberto Ceronb, Francesco Loro b, Lucio Bergamin b, Federica Germani b e Bruno Pavoni a a Università Ca’ Foscari di Venezia, Dip. di Scienze Ambientali, Calle Larga S. Marta, 2137, 30123 Venezia b ARPA Veneto, Dip. Prov. Treviso, Oss. Reg. Rifiuti e Compostaggio, Via Baciocchi 9 31033 Castelfranco Veneto (TV) e-mail: [email protected] La misura della stabilità biologica di compost e rifiuti è generalmente effettuata attraverso misure respirometriche, ma si stanno sviluppando diversi metodi più rapidi, semplici e meno dispendiosi. Tra questi vi è il DOC o WSC (Dissolved Organic Carbon, Water Soluble Carbon), una misura di Carbonio organico sull’eluato da test di cessione in acqua deionizzata, che rappresenta una stima della frazione di sostanza organica prontamente disponibile e facilmente degradabile per i microrganismi (Garcia et al., 1991). Il DOC risulta quindi legato al grado di attività biologica esplicabile dal materiale compostato e diversi autori ne hanno proposto l’utilizzo come parametro per misurare la stabilità biologica del compost (Hue and Liu, 1995; Bernal et al., 1998; Zmora-Nahum et al. 2005). I protocolli per la misura del DOC presentati in letteratura, pur basandosi sullo stesso principio, differiscono per alcuni aspetti importanti quali la preparazione del campione da sottoporre ad analisi (essiccazione, setacciatura) e le modalità di esecuzione del test di cessione (rapporto di eluizione, tempo di contatto, modalità di agitazione). Dai dati di letteratura, le principali differenze tra le procedure sono il rapporto liquido:solido impiegato nel test di cessione e le dimensioni delle particelle sottoposte ad analisi, in quanto influenzano i processi di ripartizione durante il test. È stata quindi realizzata un’indagine sperimentale per verificare se, a parità di altre condizioni operative, queste differenze possono rappresentare un elemento sostanziale di divergenza dei protocolli. I risultati ottenuti sembrano confermare che i dati ottenuti da autori con metodi che usano diversi rapporti di eluizione e diverse granulometrie non sono immediatamente confrontabili. L’applicazione del DOC come strumento per controllare il grado di stabilità biologica non può prescindere da una fase di standardizzazione del protocollo operativo, anche in vista di applicazioni in sede normativa (esempio DM 5 agosto 2005, “Criteri per l’ammissibilità in discarica”). È stata inoltre svolta un’indagine di confronto con dati di stabilità misurata come IRD in quanto resta ancora da chiarire la relazione del DOC con questo parametro di stabilità. Bibliografia Bernal M.P.; Paredes C.; Sanchez-Monedero M.A.; Cegarra J. Bioresource Technology 1998, 63, 91-99. Garcia C.; Hernandez T.; Costa F. Environmental Management 1991, 16, 433-499. Hue N.V.; Liu J. Compost Science and Utilization 1995, 3, 8-15. Zmora-Nahun S.; Markovitch O.; Tarchitzky J.; Chen J. Soil Biology and Biochemistry 2005, 37, 2109-2116. 197 TR10 CARATTERIZZAZIONE CHIMICO-FISICA DEL CAR FLUFF AI FINI DELLA VOLORIZZAZIONE L. Morsellia, V. Baravellia, D. Fabbrib , A. Paludia, F. Passarinia, I. Vassuraa a: Facoltà di Chimica Industriale, Polo Scientifico Didattico di Rimini, Università di Bologna. b: Laboratori “R. Sartori”, Centro Interdipartimentale di Ricerca per le Scienze Ambientali (C.I.R.S.A), Università di Bologna. e-mail: [email protected] Lo studio in questione si colloca nell’ottica dell’azione di prevenzione e di recupero di materia ed energia dai rifiuti, così come espresso dalla normativa comunitaria. Oggi si ricicla mediamente il 75% in peso dei veicoli a fine vita, i cosiddetti residui di rottamazione, mentre il 25%, consistente nel residuo da frantumazione non ferroso, è disposto in discarica con problemi di contaminazione di acqua e suolo. Tale residuo viene denominato car fluff, o ASR (Automobile Shredder Residue). Il problema correlato allo smaltimento del fluff deriva soprattutto dal fatto che, essendo costituito essenzialmente da materiali organici, potrebbe avere un PCI superiore a quello individuato dalla normativa vigente per lo smaltimento in discarica (13.000 kJ/kg secondo la Dir 1999/31 Ce). Lo scopo di questo lavoro è quello di caratterizzare il materiale attraverso un’analisi chimico-fisica e merceologica, al fine di individuare le potenzialità nella valorizzazione dell’ ASR o di alcune sue frazioni come plastiche o metalli. Il car fluff tipicamente ha una densità di 405 kg/m3 e contiene il 6% di umidità. Dalle analisi effettuate, suddividendo il residuo secondo la granulometria (D=0-20mm, D=2050mm,D=50-100mm, D>100mm), risulta che l’84% in peso del materiale ha dimensioni minori di 50mm e solo l’1,7% del residuo è costituito da materiale con dimensioni superiori a 100mm. In seguito all’analisi merceologica è stato possibile riscontrare che le componenti principali sono plastiche e tessuti, mentre i metalli pesanti, soprattutto piombo, manganese, nichel e cromo, rappresentano l’1,4% in peso sul totale e sono concentrati maggiormente nella frazione con granulometria compresa fra 50 e 100 mm. Al fine di approfondire la caratterizzazione e, soprattutto per individuare una possibile tecnica di valorizzazione per questo materiale di scarto, sono state fatte prove di pirolisi sia su scala analitica che attraverso un reattore da banco a letto fluido. La pirolisi è un trattamento termochimico ad alte temperature che avviene in atmosfera inerte e dal quale si ottengono un prodotto liquido (bio-olio), uno solido (char) e gas. Con la pirolisi analitica si sono integrate le informazioni ottenute dalla caratterizzazione merceologica riguardanti la composizione delle 4 frazioni, mentre, in seguito alla pirolisi del car fluff su reattore da banco a letto fluido è stato possibile quantificare il bio-olio e il char prodotti, corrispondenti, rispettivamente, all’8 % e al 66 %. 198 TR11 INDAGINE SU FIBRE DI CARBONIO E INTERAZIONE CON L’ACQUA MEDIANTE RILASSOMETRIA NMR Antonella Maccottaa, Paola Fantazzinib, Giuseppe Alonzoc, Mirko Gombiab a Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi, Università di Siena, Via A. Moro 2, 53100 Siena, Italy, e-mail: [email protected] b Dipartimento di Fisica, Università di Bologna, Viale Berti Pichat 6/2, 40127 Bologna, Italy c Dipartimento di Ingegneria e Tecnologie Agro-Forestali, Viale delle Scienze, Edificio 4, 90128 Palermo, Italy Le fibre di carbonio sono costituite da un sistema eterogeneo di piani di grafene che durante il processo di sintesi si piegano a formare dei vuoti. Sono caratterizzate da un’alta conducilibità elettrica e riscaldandosi, per effetto Joule, possono essere utilizzate per trattamenti termici ai terreni agricoli, in particolare possono essere utilizzate per la disinfezione e la disinfestazione del terreno dagli agenti patogeni come tecnica alternativa e più rispettosa dell’ambiente rispetto, ad esempio, ai mezzi chimici. Il diverso comportamento delle fibre dipende dalla struttura chimica: le fibre costituite da più cilindri stratificati, a differenza delle fibre a parete singola, possono presentare una elevata porosità e quindi una diversa interazione con l’acqua che può essere studiata mediante la Risonanza Magnetica Nucleare (NMR). Infatti tecniche che utilizzano l’NMR per i fluidi nei Materiali Porosi (tecniche MRPM), sono già ampiamente utilizzate per lo studio e la caratterizzazione di materiali porosi di diversa natura [1] fornendo informazioni sulla porosità e sull’assorbimento e la diffusione dell’acqua. In questo lavoro abbiamo studiato, mediante Rilassometria NMR, tre diverse fibre di carbonio che, pur avendo la stessa composizione chimica, hanno mostrato caratteristiche differenti e soprattutto comportamenti diversi nell’assorbimento di acqua. Bibliografia 6. P. Fantazzini, J.Gore, Editors, PROCEEDINGS of the Eighth International Bologna Conference on Magnetic Resonance Applications to Porous Media, Bologna, 10-14 September 2006, Magn. Res. Imaging: 25 (4) (2007) 199 TR12 CARATTERIZZAZIONE DELLE COMPONENTI BIOTICHE E ABIOTICHE DI UN SITO CONTAMINATO DA CENERI DI RIFIUTI SOLIDI URBANI Emanuele Argese a, Stefano Bedini b, Pierluigi Figliola a, Ulrike Gamper a, Giancarlo Rampazzo a, Chiarafrancesca Rigo a, Marta Simion a, Luca Zamengo a Dipartimento di Scienze Ambientali, Università Ca’ Foscari - Venezia, Dorsoduro 2137, 30123 Venezia b Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie, Università di Pisa, Via del Borghetto 80, 56124 Pisa c Dipartimento di Chimica Fisica, Università Ca’ Foscari - Venezia, via Torino 155, 30172 Venezia e-mail: [email protected] L’isola di Sacca S. Biagio è situata nella laguna centrale di Venezia e si estende su una superficie di circa 45000 m2. Sull’isola sono state riversate le ceneri risultanti dall’attività di termodistruzione di un inceneritore per rifiuti solidi urbani attivo negli anni ’70. Tale area rientra nel sito di interesse nazionale di Venezia-Porto Marghera da bonificare e risulta contaminata principalmente da metalli pesanti. Scopo di questo lavoro è la caratterizzazione del substrato, in particolare la valutazione della frazione di metalli potenzialmente biodisponibili, e la ricerca di relazioni tra le concentrazioni di metalli pesanti nel substrato e quelle presenti nei tessuti vegetali di sette specie erbacee raccolte sull’isola scelte tra quelle più abbondanti nel sito. A tal fine è stata indagata la concentrazione di metalli nel substrato e nelle piante mediante analisi ICP-AES e ICP-MS ed è stata effettuata una caratterizzazione semi-quantitativa del substrato con SEM-EDS e XRD. Il sito risulta contaminato principalmente da rame, piombo e zinco e sono stati osservati particelle, composti ed aggregati contenenti metalli pesanti e minerali di neo-formazione derivanti da processi di weathering [Piantone et al., 2004]. La mobilità dei metalli e la loro potenziale biodisponibilità per la vegetazione è stata valutata mediante estrazioni con HCl 0.5 M ed acido citrico; i risultati indicano una bassa mobilità già ipotizzabile in base alla natura della matrice considerata [Meima et al., 1999]. Le radici e la porzione epigea delle piante sono state analizzate separatamente. Dai risultati è emersa una grande variabilità nella risposta biologica delle diverse specie, ma si possono comunque individuare delle tendenze generali: ad esempio Rumex crispus e Conyza canadensis sembrano traslocare facilmente molti dei metalli considerati verso la porzione aerea, mentre Cynodon dactylon mostra un comportamento opposto e potrebbe perciò essere considerata una specie escluditrice, nella quale i metalli rimangono concentrati nelle radici e la traslocazione verso le parti aeree è minima [Fitz and Wenzel, 2002]. Bibliografia: Fitz, W.J., Wenzel, W.W. Journal of Biotechnology 2002, 99, 259-278 Meina, J.A., Comans, R.N.J. Applied Geochemistry, 1999, 14, 159-171 Piantone, P., Bodénan, F., Chatelet-Snidaro, L. Applied Geochemistry, 2004, 19, 1891-1904 200 TR13 BONIFICA DI SEDIMENTI INQUINATI DA METALLI PESANTI. PROVE PRELIMINARI N. Cardellicchioa, B.M. Petroniob, M. Pietrantoniob, M. Pietrolettib, R. Caracciolob, L. Grifab a Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto dell’Ambiente Marino Costiero, Via Roma 3, 74100 Taranto. b Dipartimento di Chimica, Università “La Sapienza”, piazzale A. Moro 5, 00185 Roma [email protected] I metalli pesanti presenti in forma disciolta e particellata nelle acque naturali provengono sia da fonti naturali che antropogeniche quali scarichi urbani e industriali, acque di dilavamento di aree agricole, fanghi di depurazione, ecc. Un’elevata quantità di metalli pesanti negli ambienti acquiferi può causare significative alterazioni ambientali ed ecologiche, legate alla loro persistenza e tossicità. Va sottolineato che i metalli pesanti presenti nelle acque possono essere trasferiti da queste ai sedimenti nei quali si accumulano in gran quantità. Da qui la necessità di decontaminare i sedimenti. In questo lavoro viene presa in esame la possibilità di asportare i metalli presenti nel sedimento utilizzando fanghi da cartiera che, attraverso meccanismi diversi quali precipitazione ed assorbimento, sono in grado di legare i metalli in forma stabile, come evidenziato da precedenti lavori relativi sia ad acque che a suoli (1,2). Sono stati utilizzati per la sperimentazione fanghi da cartiera provenienti da una cartiera del basso Lazio e sedimenti provenienti dal Mare Piccolo (Taranto). I fanghi da cartiera sono stati caratterizzati e per alcuni dei metalli considerati sono state costruite le isoterme di adsorbimento. Nel sedimento è stato determinato sia il contenuto totale di Cu, Zn, Pb, Ni, Fe, Mn, Hg sia la loro distribuzione in forme chimiche di interesse ambientale. Sono state eseguite due serie di prove tendenti a simulare trattamenti diversi: prove in cui il sedimento è stato messo a contatto con lastrine di vetro supportanti uno strato di fango (simulante un intervento extra-situ) e prove in cui una certa quantità di acqua di mare ricopre il sistema sedimento-fango (simulante prove in-situ). Dopo un mese sulle lastrine e sulle porzioni di sedimento comprese tra due lastrine sono state determinate le concentrazioni dei singoli metalli. I risultati ottenuti sono stati soddisfacenti in quanto si è riscontrato: ¾ un aumento delle concentrazioni di alcuni metalli sul fango; ¾ un accumulo di metalli nello strato di sedimento a stretto contatto con il fango. Tali risultati sottolineano una migrazione dei metalli dal sedimento verso il fango. Bibliografia N. Calace, E. Nardi, B.M. Petronio, M. Pietroletti, G. Tosti, Chemosphere 51 (2003) 797-803 N. Calace, T. Campisi, A. Iacondini, M. Leoni, B.M. Petronio, M. Pietroletti Environ. Pollut., 136 (2005) 485-492. 201 TR14 EFFICACIA DI Phragmites Australis NELLA FITORIMEDIAZIONE DI TERRENI CONTAMINATI DA IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI (IPA): IL CASO DI CERANO (BR) Marta Nicolìa, Erbana Epifania, Giovanni Ingrossoa Luisella De Vitisb, Annamaria Maffeib, Vittorio Espositob a Laboratorio di Chimica Organica, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali, Università del Salento. Lecce. Italy. b Consorzio INCA, Laboratorio Microinquinanti Organici di Lecce, c/o Dipartimento di Ingegneria dell'Innovazione, Università del Salento. Lecce. Italy L’abilità del suolo di sostenere la biocenosi naturale e l’agricoltura è negativamente influenzata dalla contaminazione degli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) che rappresentano un rischio tossicologico per le piante coltivate in un agrosistema. E’ dimostrato che uno dei principali meccanismi di fitorimediazione di terreni agricoli contaminati da IPA è rappresentato dalla capacità di alcune piante di promuovere la degradazione microbica degli inquinanti a livello di rizosfera1,2. Particolarmente attiva nella fitorimediazione di terreni contaminati da IPA è Phragmites Australis o reed2: reed rimedia con succeso il terreno degradando, a livello di rizosfera, sino al 70% degli IPA presenti in esso. Gli obiettivi di questo lavoro sono la valutazione dell’attività di fitorimediazione di Phragmites Australis attraverso monitoraggi della contaminazione da IPA in terreni con e senza questa pianta e la valutazione dell’andamento stagionale della suddetta attività. Il monitoraggio prevede un campionamento mensile per quindici mesi di terreni prelevati da tre siti differenti: 1) senza Phragmites Australis sottoposto ad inquinamento; 2) con Phragmites Australis sottoposto ad inquinamento; 3) lontano da qualsiasi fonte di inquinamento. Come sito inquinato è stato scelto Cerano (BR), presso la centrale termoelettrica a carbone ENEL. Le tecniche analitiche per IPA basate sulla gascromatografia ad alta risoluzione con determinazioni tramite spettrometria di massa si impongono per la precisione dei risultati richiesti, così come l'uso di standard marcati al deuterio per la quantificazione dei singoli analiti. Nei primi mesi di monitoraggio, la comparazione della degradazione di IPA nel terreno con e senza reed ha dimostrato che la concentrazione totale di IPA nel terreno con reed è inferiore del 20% rispetto a quella senza reed. 1. Kanaly, R. A.; Hayama, S. Journal of Bacteriology, 2000, 182(8), 2059-2067. 2. Muratova, A. Yu. O.; Turkovskaya, V.; Hubner, T. and Kuschk. P. Applied Biochemisty and Microbiology, 2003, 39 (6), 599-605. 202 SESSIONE POSTER MI: METODI INNOVATIVI DI INDAGINE 203 204 MI01 ANALISI DI FITOTOSSICI CON UN BIOSENSORE AD INIBIZIONE ENZIMATICA E STUDIO DI POSSIBILI INTERFERENTI, QUANDO SI OPERI IN SOLUZIONE ACQUOSA OD IN SOLVENTE ORGANICO Luigi Campanella, Dalina Lelo, Elisabetta Martini, Mauro Tomassetti Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma e-mail: [email protected]; [email protected]. È superfluo ricordare la grande importanza che riveste l'analisi dei fitotossici, in particolare dei pesticidi, in molti campioni reali. Negli ultimi anni sono state condotte numerose ricerche sui biosensori ad inibizione per l'analisi di pesticidi (soprattutto della classe degli organofosforici o dei carbammati). In pratica tutti questi biosensori sono basati sulla misura del grado di inibizione dell'attività enzimatica. La principale difficoltà, che spesso insorge nell'applicazione di questi biosensori all'analisi di campioni reali è dovuta alla scarsa solubilità, in soluzione acquosa, sia di parecchi pesticidi, sia di molte delle matrici reali che li contengono. Il recente sviluppo degli (OPEEs organic phase enzyme electrodes) ha ovviato a questo inconveniente. Il nostro gruppo di ricerca ha progettato e realizzato a questo scopo diversi OPEE ad inibizione, basati, in un primo tempo, sull'inibizione dell'enzima butirrilcolinesterasi, più recentemente sull'inibizione dell'enzima tirosinasi: prima di tutto per l'analisi dei pesticidi triazinici, quindi anche per la determinazione dei carbammati e degli organofosfati, operando in cloroformio saturo d'acqua. È stato perciò possibile effettuare l'analisi del contenuto di questi pesticidi (correlato all’azione inibitrice rilevata) in diversi tipi di campioni vegetali, ma anche in acque naturali; effettuando direttamente la misura in questo solvente organico, dopo averlo utilizzato come estraente dei pesticidi stessi. Nella presente ricerca l'attenzione è stata focalizzata soprattutto su due punti di estremo interesse: innanzitutto sullo studio di altri potenziali inibitori dell'enzima tirosinasi, costituiti, soprattutto quando si operi in soluzione acquosa, da diversi ioni di metalli pesanti, o da acidi carbossilici, quale il cinnamico, il sorbico ed il benzoico, che possono interferire quindi nell'analisi ad inibizione dei fitotossici; in secondo luogo su un confronto approfondito per stabilire se la possibilità di effettuare l'analisi in solvente organico, anziché in soluzione acquosa, dopo estrazione con cloroformio, possa costituire, o no, un vantaggio, quando si effettui la determinazione dei fitotossici in presenza dei possibili interferenti sopra ricordati. Bibliografia [1] Campanella, L.; .Dragone, R.; Lelo, D.; Martini, E.; Tomassetti, M.; Anal. Bioanal.Chem 2006, 384, 915-921. [2] Campanella, L.; Lelo, D.; Martini, E.; Tomassetti, M.; Anal.Chim.Acta. 2007, 587, 22-32. 205 MI02 SVILUPPO DI BIOSENSORI PER IL MONITORAGGIO DELLA CONTAMINAZIONE AMBIENTALE DA IDROCARBURI MEDIANTE BATTERI RICOMBINANTI Luigi Campanellaa, Nicodemo Bruzzesea, Manuela Aiossaa, Maddalena Papacchinib, Patrizia Di Gennaroc, Giuseppina Bestettic a Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma; b ISPESL, Dipartimento di Insediamenti Produttivi ed Interazione con l'Ambiente, Monteporzio Catone, Roma; c Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università degli Studi di Milano Bicocca - Piazza della Scienza, 1 - 20126, Milano. e-mail: [email protected] La protezione della salute pubblica e la salvaguardia dell’ambiente impongono di contenere quanto più possibile i livelli di pericolosi inquinanti come gli idrocarburi aromatici. Per questa classe di composti, infatti, i valori ammissibili sono stati recentemente dimezzati. Per monitorare tale basso grado di contaminazione e garantire sempre più la salute dei cittadini è quindi indispensabile sviluppare metodi analitici altamente sensibili e facili da applicare. Un biosensore per benzene, etilbenzene, toluene e xilene (BTEX) è stato realizzato adoperando Pseudomonas putida, che ha la capacità di utilizzare tali idrocarburi come fonte di carbonio, ma la sensibilità e la specificità di questo sistema non è più sufficiente. Le biotecnologie, scegliendo distinti elementi genici, consentono di preparare nuovi microrganismi che procurano vantaggi allo sviluppo di strumenti bioanalitici ultrasensibili e estremamente selettivi. Abbiamo ottenuto ceppi ricombinanti di Escherichia coli, che portano i geni codificanti la benzene diossigenasi e la cis-benzene diidrolo deidrogenasi, espressi in diversi sistemi. I ceppi ricombinanti sono capaci di convertire il benzene e i composti aromatici derivati accumulando i corrispondenti catecoli. Le cellule non necessitano di particolare preparazione e possono essere trasferite dalle colture, o da aliquote congelate, direttamente al dispositivo per la rilevazione degli idrocarburi. Stiamo attualmente esaminando le possibilità applicative dei ceppi ottenuti. L’uso di microrganismi in un biosensore richiede oltre alle cellule specificamente sensibili, un trasduttore del segnale e un dispositivo di misura che possano essere applicati a differenti matrici ambientali: acqua, aria, suolo. Nei ceppi costruiti, i catecoli accumulati possono essere finemente misurati in HPLC, rapidamente rilevati mediante un biosensore a tirosinasi, o determinati con metodo colorimetrico. L’analisi dei catecoli mediante cromatografia può essere estremamente sensibile e specifica per misurare ridotti livelli degli idrocarburi. Le cellule ricombinanti combinate al sensore enzimatico a tirosinasi, che utilizza un elettrodo amperometrico per l’ossigeno come trasduttore, possono portare allo sviluppo di uno biosensore in-linea di elevata sensibilità. L’analisi colorimetrica può indicare con rapidità le quote e la persistenza nel tempo dei contaminanti. Considerati tali presupposti il ceppo ricombinante di E. coli, che esposto a BTEX accumula catecoli, può risultare concretamente applicabile al controllo della contaminazione ambientale. [1] Campanella L.; Crescentini G.; D’Onorio M.G.; Favero G.; Tomassetti M. Ann. Chim. 1996, 86, 527-538. [2] Campanella L.; Bonanni A.; Martini E.; Todini N.; Tomassetti. Sensor & Actuators B 2005, 111-112,505-514 [3] Xu Z.; Mulchandani A.; and Chen W. Biotechnol. Prog. 2003, 19, 1812-1815. 206 MI03 DETERMINAZIONE DI METILXANTINE MEDIANTE CROMATOGRAFIA LIQUIDA (LC). Luigi Lopez Carlo Zambonin, Francesco Latanza Dipartimento di Chimica Università di Bari, via Orabona 4, 70124 Bari e-mail: [email protected] Nell’ambito di un più vasto progetto, che vede coinvolti l’Istituto CNR “IAMC” di Taranto e il Corso di Laurea in “Scienze Ambientali” del polo Universitario di Taranto, in questa comunicazione verranno discusse nuove ipotesi di bonifica dei siti marino costieri locali, privilegiando metodologie avanzate e nuove infrastrutture derivanti dalla conoscenza del territorio nei suoi molteplici aspetti. La necessità di conoscere il territorio verrà enfatizzato in uno studio preliminare sui livelli di concentrazione delle metilxantine, escrete con le urine, da cui estrapolare le quantità delle stesse presenti nelle acque reflue influenti in un impianto di depurazione, o direttamente sversate nei bacini idrografici di Taranto. Bibliografia (a) Breton R., Boxall A. 2003, QSAR Comb. Sci. ,22, 399; (b) Daughton C.G. 2003. Environmental Health Perspectives, 111, 757; (c) Daughton C. G. 2003, Environmental Health Perspectives, 111, 775; (d) Daughton C.G., Ternes T.A. 1999, Environmental Health Perspectives, 107, 907 and refererences therein.; (e) Daughton. C:G. 2004, Environ. Impact Asses. Review, 24, 711; (8f) Voulvoulis N. 2004 Organohalogen Compounds, 66, 3481 and references therein 207 MI04 ANALISI DI SCREENING DEI VOC NELLE MATRICI SOLIDE E APPLICAZIONE AL CONTROLLO DEI FANGHI DI DEPURAZIONE Giuseppe Anzilottaa, Teresa Trabacea, Achille Palmaa a Metapontum Agrobios s.r.l. S.S. Ionica km 448.2 Metaponto (MT) e-mail: [email protected] Le metodiche di analisi dei composti organici volatili applicate alle matrici solide (terreni, fanghi e sedimenti) indicate dall’EPA1 prevedono l’impiego di due tecniche di estrazione: il campionamento dello spazio di testa statico (HS) e dello spazio di testa dinamico (Purge & Trap) precedute dall’estrazione con metanolo e diluizione acquosa nel caso di campioni a concentrazioni maggiori di 0.2 µg/g1 . Come si è potuto verificare l’estrazione metanolica, in questo caso, è necessaria anche ad evitare effetti di contaminazione incrociata tra il campione contaminato e il successivo. Rispetto a quanto suggerito dall’EPA è stata testata e validata una metodologia che prevede direttamente un’analisi di screening dei campioni sull’estratto metanolico diluito di un fattore cento seguita nel caso di campioni contaminati da un’analisi sull’estratto diluito maggiormente. Le motivazioni a favore di questa scelta sono: • un rischio minore di contaminazione del sistema; • risultati sicuramente più accurati, ripetibili e indipendenti dalla tipologia di matrice solida indagata e un rischio minore di falsi negativi; • l’impossibilità nel caso di analisi sul campione tal quale di dosare una concentrazione che non rientra nel range lineare in funzione di poter decidere la diluizione da fare così come previsto nel metodo EPA 5030. La metodica è stata validata su due matrici certificate di terreno denominate CRM-624 e CRM-625 rispettivamente a un livello di contaminazione “basso” e “alto” e i risultati confrontati con quelli prodotti e sia dall’HS che dal P&T sul campione tal quale, dimostrando in ogni caso di essere da preferire. Il metodo è stato quindi usato e confrontato con l’analisi dello spazio di testa statico per analizzare campioni di fanghi di depurazione perlopiù di reflui urbani. Questi hanno presentato valori compresi in un intervallo 0.5-3600 ppm, quindi superiore a quanto riportato da studi effettuati in precedenza con un decremento della concentrazione in dipendenza dal tempo di essiccamento. La presenza dei composti organici volatili nei fanghi dimostra quanto sia più che mai opportuno inserire il controllo dei VOC tra i controlli obbligatori da effettuare sui fanghi soprattutto in vista di un loro possibile reimpiego in agricoltura. Un ultimo aspetto che è stato valutato è l’importanza dell’analisi del bianco, che in questo caso è costituito dal metanolo stesso usato per l’estrazione e trattato come un campione. La presenza di impurezze volatili a vari livelli riscontrata nei solventi venduti in commercio per questo tipo di applicazione va tenuta ben presente al momento dell’acquisto e bisogna valutare caso per caso l’opportunità di esprimere i risultati analitici dopo sottrazione del bianco. 1 EPA Method 5035A Crathorne B.; Donaldson K.; James H. A.; Rogers H. R.; Organic contaminants in wastewater, sludge and sediment. The determination of organic contaminants in UK sewage sludges. Elsevier Applied Science. 1989 2 208 MI05 DETERMINATION OF TRACE LEVEL PERCHLORATE IN DRINKING WATER Patrizia Iannecea, Domenico Acanforaa, Oriana Mottab and Antonio Protoa a Dipartimento di Chimica, bDipartimento di Scienze dell’ Educazione Università degli Studi di Salerno, 84084 Fisciano (SA), Italy e-mail: [email protected] Perchlorate (ClO4-) is an emerging pollutant that has been detected in soil, ground and drinking waters, vegetables, milk, and, most recently, in wine and beer [1-3]. High local concentrations of perchlorate have been associated with the manufacture or use of ammonium perchlorate as an oxidant in rocket fuel, munitions, or blasting materials. It is also used in air bag inflators, pyrotechnics, tanning and finishing leather, batteries and lubricating oil additives [4]. Perchlorate ingestion has potential health effects related to its ability to interfere with the normal thyroid function. This can lead to metabolic problems in adults ad anomalous development during gestation and infancy [5]. In 2005, the United States Environmental Protection Agency (EPA) estabilished a drinking-water equivalent level of 24.5 μg/L of perchlorate in water [6]. Several methods have been published for the analysis of perchlorate; however, ion chomatography (IC) is, presently, the most common system for its determination in water samples. Typical IC reporting limits are 2.5-4 μg/L [7-9]. In this work we describe a simple, less expensive, and less-time consuming method for the determination of perchlorate in drinking water using IC. The procedure based on the IonPac AS20 column with a 100mM NaOH eluent, a large loop injection (1000μL), and suppressed conductivity detection permits to quantify 1 μg/L of ClO4- in drinking water. By cool evaporation of water under nitrogen flux it is also possible to detect 0.1 μg/L of ClO4-.The method is free of interference from common inorganic anions, linear over the range of 0.1100μg/L and quantitative recovery are obtained. [1] Kirt, A.B.; Martinelango, P.K.; Tian, K.; Dutta A.; Smith, E.E; Dasgupta, P K. Environ. Sci. Technol. 2005, 39, 2011-2017. [2] Aribi, H.; Le Blanc, Y.J.C.; Antonsen, S.; Sakuma, T. Anal. Chim. Acta 2006, 567, 39-47. [3] Krynitsky, A.J.; Niemann R.A.; Williams A.D.; Hopper M.L. Anal. Chim. Acta 2006, 9499. [4] Motzer W.E. Environ. Forensics 2001, 2, 301. [5] B.C. Blount,; J.L. Pirkle; J.D. Osterloh; L.V. Blasini; K.L. Caldwell Environ. Health Perspect. 2006, 114, 1865-1871. [6] National Academy of Sciences 2005, 102, 16152. [7] Koester C.J.; H.R. Beller; Halden R.U. Environ. Sci. Technol. 2000, 34, 1862-1864. [8] Jackson P.E.; Gokhale S.; Streib T.; Rohrer J.S.; Pohl C.A. J. Chromatogra. 2000, 888, 151- 158. [9] Snyder S.A.; Vanderford B.J.; Rexing D.J. Environ. Sci. Technol. 2005, 39, 4586-4593. 209 MI06 STIMA DEI TASSI DI PRODUZIONE E RESPIRAZIONE IN LAGUNA DI VENEZIA ATTRAVERSO L’ANALISI DI DATI IN CONTINUO DI QUALITA’ DELL’ACQUA Stefano Ciavattaa, Christian Badettib, Giorgio Ferrarib, Roberto Pastresc a Consorzio Venezia Ricerche, Via della Libertà, 12 - 30175 Venezia e-mail: [email protected] c Magistrato alle Acque di Venezia, 19 San Polo-Rialto, 30125 Venezia, Italy d Dipartimento di Chimica Fisica, Università di Venezia, Dorsoduro 2137, 30123 Venezia; Nell'ambito dei monitoraggi della qualità dell'acqua, sono utilizzati sempre più diffusamente strumenti di rilevazione automatica ed in continuo dei dati, anche in ottemperanza delle recenti disposizioni normative in tema di tutela dei corpi idrici: il D. Lgs 152/06 e la Direttiva Comunitaria 2000/60/CE. Tali strumenti consentono infatti di rilevare in continuo serie storiche di osservazioni di variabili chimico-fisiche dell'acqua, permettendo di sorvegliare in tempo reale lo stato di salute dell'ecosistema. Inoltre, i sistemi di monitoraggio in continuo possono rappresentare un vantaggiosa alternativa, in termini di costi e continuità temporale, rispetto alle metodologie sperimentali comunemente utilizzate per indagare complesse dinamiche ambientali, se i dati raccolti vengono elaborati mediante opportuni strumenti statistici e modellistici (Beck e Lin, 2003). In questo lavoro, dati di ossigeno disciolto (OD), temperatura dell’acqua e salinità, rilevati con la frequenza di 30 minuti nella Laguna di Venezia dal sistema di monitoraggio SAMANET del Magistrato alle acque di Venezia (Ferrari et al., 2004), sono utilizzati per la stima giornaliera dei tassi di produzione primaria (P), di consumo (R) e di scambio con l’atmosfera (k) dell’OD. I tassi di respirazione e riareazione sono stimati attraverso l’interpolazione di un modello del bilancio dell’OD rispetto ai dati rilevati nelle ore notturne. Le stime ottenute sono successivamente utilizzate nel modello per stimare il tasso di produzione planctonica di OD attraverso l’elaborazione dei dati raccolti in automatico durante le ore diurne. Testi statistici sono applicati per eliminare i valori ottenuti per i tre parametri nei casi in cui essi non risultino significativi. Tale procedura di stima è stata applicata all’elaborazione delle serie storiche rilevate in un sito lagunare nel corso degli anni 2002-2004, consentendo di investigare l’evoluzione stagionale di P, R e k. I valori mediani mensili mostrano che la produzione ed il consumo di ossigeno risultano confrontabili nei mesi invernali, mentre la respirazione del sistema risulta maggiore della produzione da aprile a dicembre. I risultati ottenuti hanno inoltre consentito la stima della produzione netta annuale del sistema (NEP), che è risultata negativa, indicando che le aree lagunari in cui la produzione planctonica risulta dominante rispetto a quella di fanerogame e macroalghe, possono risultare, su base annuale, rilevanti fonti di carbonio per l’atmosfera. Bibliografia Beck, M. B.; Lin, Z. Wat. Sci. Tech. 2003, 47, 43-51. Ferrari, G.; Badetti, C.; Ciavatta, S. Sea Technology 2004, 45, 22-26. 210 MI07 DETERMINAZIONE DI METALLI ALCALINI, ALCALINO-TERROSI E DI AMMONIO MEDIANTE CROMATOGRAFIA IONICA IN ACQUE DESTINATE A CONSUMO UMANO Maria Concetta Bruzzonitia, Rosa Maria De Carloa, Martino Fungib, Corrado Sarzaninia a Dipartimento di Chimica Analitica, Università di Torino, Via P. Giuria 5, 10125 Torino e-mail: [email protected] b Società Metropolitana Acque di Torino SpA, C.so XI febbraio 14, 10152 Torino La cromatografia ionica è ampiamente utilizzata per la determinazione di metalli alcalini, alcalino-terrosi e dello ione ammonio nelle acque destinate ad uso umano. Tuttavia, qualora questi analiti siano contenuti in rapporti di concentrazione molto diversi, la loro separazione e quantificazione è difficoltosa soprattutto se tali analiti eluiscono l’uno in prossimità dell’altro. Un caso tipico è rappresentato dalle concentrazioni molto basse di ione ammonio e dagli elevati livelli di ione sodio che possono essere presenti nelle acque. Poiché gli scambiatori cationici classici mostrano una selettività simile per queste due specie, non è possibile ottenere una risoluzione dei due picchi se le concentrazioni di tali ioni differiscono di qualche ordine di grandezza. Un’altra problematica è rappresentata dalla determinazione di Ba2+ e Sr2+ nelle acque. Poiché l’affinità di Ba2+ e Sr2+ per gli scambiatori cationici convenzionali è molto elevata, la loro eluizione cromatografica comporta tempi di analisi piuttosto lunghi e l’utilizzo di eluenti acidi concentrati. Per questo motivo, la loro determinazione è solitamente effettuata mediante spettroscopia di emissione atomica. In questo lavoro è presentato lo studio di ottimizzazione per la separazione cromatografica di Li+, Na+, K+, Ca2+, Mg2+, NH4+ in presenza di Ba2+ e Sr2+. Lo studio si è sviluppato attraverso l’utilizzo di due colonne a scambio cationico IonPac CS12A a diverse dimensioni (250 mm x 4 mm e 150 mm x 3 mm) e di eluenti a diversa composizione contenenti acido metansolfonico, acetonitrile e etere 18-corona-6. I risultati ottenuti evidenziano il ruolo determinante dell’etere 18-corona-6 nel variare la selettività della colonna e risolvere eventuali parziali sovrapposizioni dei picchi di Na+ e NH4+ a diversi rapporti di concentrazione. 211 MI08 SEPARAZIONE DI IONI METALLICI IN SCAMBIO CATIONICO MEDIANTE SUBSTRATI SILICEI MESOPOROSI FUNZIONALIZZATI Maria Concetta Bruzzonitia, Rosa Maria De Carloa, Sonia Fiorillib, Edoardo Garroneb, Barbara Onidab, Ambra Prellea, Corrado Sarzaninia, Flaviano Testac a Dipartimento di Chimica Analitica, Università di Torino, Via P. Giuria 5, 10125 Torino e-mail: [email protected] b Dipartimento di Scienza dei Materiali e Ingegneria Chimica, Politecnico di Torino, Corso Duca degli Abruzzi, 24 – 10125 Torino c Dipartimento di Ingegneria Chimica e dei Materiali, Università della Calabria, Via Pietro Bucci-Cubo 44A, 87030 Rende (CS) Nell’ultimo decennio, i materiali mesoporosi a base silicea hanno trovato applicazione come fasi stazionarie per la separazione cromatografica di composti organici. Se opportunamente funzionalizzati, i materiali mesoporosi mostrano un’affinità anche per gli ioni metallici e risultano pertanto utilizzabili nel recupero/rimozione di tali specie. Attualmente, l’affinità verso gli ioni metallici è esaltata attraverso l’introduzione di gruppi funzionali quali mercapto-, amminopropilici, etc. In questo lavoro si sono valutate le prestazioni di un materiale mesoporoso siliceo (SBA-15) funzionalizzato con trietossisililbutirronitrile, precursore di gruppi –(CH2)3COOH, quale fase stazionaria per l’eluizione di ioni di metalli pesanti (Cd2+, Co2+, Cu2+, Fe3+, Ni2+, Pb2+, Zn2+) in cromatografia di scambio cationico. Dopo la sintesi, il materiale (SBA15-COOH) è stato caratterizzato mediante tecniche di diffrazione di raggi X, FTIR e mediante misure di adsorbimento-desorbimento di N2. Attraverso una titolazione potenziometrica sono state inoltre valutate capacità acida e pKa dei gruppi –(CH2)3COOH. Il comportamento cromatografico dei metalli sulla fase stazionaria SBA15-COOH è stato studiato con diverse tipologie di eluente (acidi metansolfonico, piridin-2,6-dicarbossilico e ossalico), variandone le condizioni di concentrazione, pH e forza ionica. Attraverso i risultati ottenuti si sono discriminate le proprietà di coordinazione e di scambio cationico del materiale verso i metalli e si è ottimizzata un’eluizione a gradiente per la separazione di cinque fra gli ioni metallici considerati. 212 MI09 SEPARAZIONE E ARRICCHIMENTO DI TENSIOATTIVI ANIONICI IN MATRICI ACQUOSE MEDIANTE CROMATOGRAFIA IONICA Maria Concetta Bruzzoniti, Rosa Maria De Carlo, Corrado Sarzanini Dipartimento di Chimica Analitica, Università di Torino, Via P. Giuria 5, 10125 Torino e-mail: [email protected] L’utilizzo di tensioattivi è ampiamente diffuso e correlato a diverse attività antropiche. A seconda delle loro caratteristiche chimiche i tensioattivi possono essere classificati in anionici, cationici, non-ionici e anfoteri. Per quanto riguarda i tensioattivi anionici, i composti appartenenti alle famiglie degli alcansolfonati, alchilsolfati e alchilbenzensolfonati sono impiegati soprattutto nella produzione di detergenti e il loro uso estensivo comporta il loro inevitabile rilascio nell’ambiente, con particolare riferimento al comparto acquoso. La metodica ufficiale per la determinazione dei tensioattivi anionici nelle acque (espressi come tensioattivi totali) è basata sulla determinazione colorimetrica dopo reazione con blu di metilene. In questo lavoro si è sviluppato un metodo per la determinazione degli acidi metan-, etan-, propan-, butan-, pentan-, esan-, eptan-, ottan-, nonan-, decan-, dodecan-, benzen-, p-toluensolfonico, ottil- e dodecil- solfato di sodio mediante cromatografia di scambio anionico e rivelazione conduttimetrica con soppressione. La fase stazionaria è uno scambiatore anionico IonPac AS11 (Dionex) idrossido- selettivo. Visto l’elevato numero di analiti considerati e la loro eterogeneità, l’ottimizzazione della separazione è avvenuta attraverso uno studio dettagliato della variazione dei fattori di capacità al variare della composizione dell’eluente. In particolare, si è studiato l’effetto della concentrazione di NaOH e della presenza di modificanti organici (CH3OH e CH3CN) sulla separazione. I risultati ottenuti hanno dimostrato la necessità di operare mediante un’eluizione a gradiente la cui composizione finale, dopo ottimizzazione, ha portato alla separazione di tutti gli analiti considerati. Successivamente, si sono valutate eventuali interferenze dovute ad anioni tipicamente presenti nelle acque (Cl-, NO3-, SO42-) e si è sviluppata una procedura di arricchimento fuori-linea dei tensioattivi mediante estrazione in fase solida con cartucce a riempimento polimerico (SDB-1, Baker). Le rese di recupero sono particolarmente elevate per gli alchilsolfati, gli alchilbenzensolfonati e per gli alcansolfonati a catena medio-lunga. Il metodo sviluppato è stato applicato alla preconcentrazione e determinazione dei tensioattivi in un campione di acqua di mare. 213 MI10 BIOMARKERS NEL LOMBRICO Lumbricus terrestris Antonio Calisi, Maria Giulia Lionetto, Maria Elena Giordano, Trifone Schettino Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche Ambientali- Università del Salento, Via Provinciale Lecce- Monteroni 73100 Lecce e-mail: [email protected], [email protected], [email protected] I lombrichi sono organismi molto importanti per la funzionalità del sistema suolo in quanto intervengono nel riciclo dei materiali organici e nella loro trasformazione in humus e svolgono un’importantissima azione di rimescolamento del terreno con conseguente aumento dell’aerazione e della capacità di drenaggio del suolo. Per tali motivi i lombrichi sono largamente utilizzati come bioindicatori della qualità del suolo (Lanno et al., 2004). Obiettivo del presente lavoro è lo studio di una batteria di biomarkers molecolari e cellulari in Lumbricus terrestris, una delle più comuni specie di lombrico, al fine di un suo potenziale utilizzo nella valutazione del rischio chimico ambientale del suolo. Esemplari di Lumbricus terrestris sono stati esposti in laboratorio ad alcuni dei più comuni pesticidi utilizzati in agricoltura quali il solfato di rame e il metiocarb. Su tali esemplari è stato studiato un nuovo biomarkers, rappresentato dalla misura di alterazioni morfometriche dei celomociti, insieme a biomarkers già standardizzati, quali livelli tissutali di metallotioneine, attività di acetilcolinesterasi e stabilità della membrana lisosomiale. I biomarkers molecolari e cellulari sono stati confrontati con la misura di endpoints ecologici quali la misura della biomassa e della mortalità. I risultati ottenuti hanno mostrato un significativo (P<0.01) incremento delle dimensioni dei celomociti sia negli animali esposti al CuSO4 sia in quelli esposti al metiocarb, suggerendo una potenziale applicazione di tale alterazione come biomarker generale di esposizione a contaminanti chimici. Negli animali esposti al CuSO4 è stato registrato un significativo incremento dei livelli di metallotioneine (P<0.001), mentre in quelli esposti al metiocarb si è osservato un significativo decremento dell’attività di acetilcolinesterasi (P<0.0001). La stabilità della membrana lisosomiale ha subito un significativo decremento in entrambi i gruppi (P<0.0001). I biomarkers molecolari e cellulari hanno manifestato una buona correlazione con la misura della biomassa e della mortalità sia negli animali trattati con solfato di rame sia in quelli trattati con metiocarb. I risultati ottenuti hanno permesso di standardizzare una batteria di biomarkers generali e specifici in Lumbricus terrestris utile per l’individuazione della sindrome di stress indotta dai contaminanti chimici in questi organismi bioindicatori della qualità del suolo. Questo lavoro contribuisce ad incrementare le conoscenze sulle risposte molecolari e cellulari (biomarkers) che questi organismi sviluppano nei confronti dei contaminanti chimici presenti nel suolo al fine del loro utilizzo nella valutazione del rischio chimico nel suolo. Bibliografia Lanno, R.; Wells, J.; Conder, J.; Bradham, K.; Basta, N. Ecotox. Environ. Saf. 2004, 57, 3947. 214 MI11 ATTIVITÀ ENZIMATICHE E INDUZIONE DI METALLOTIONEINE NEL MYTILUS GALLOPROVINCIALIS ESPOSTO AL CADMIO Antonella Di Leoa, Ermelinda Pratoa, Francesca Biandolinoa, Giovanna Calzarettib, Elisabetta Casalinob, Nicola Cardellicchioa a b Istituto Ambiente Marino Costiero - CNR - Taranto Via Roma , 3 - 74100 Taranto. Laboratorio di Biochimica Veterinaria, Dipartimento Farmaco Biologico, Università di Bari, Str. Prov. per Casamassima, Km3 - 70010 Bari. e-mail: [email protected] Per contrastare gli effetti delle sostanze tossiche, gli organismi con l’evoluzione hanno sviluppato sistemi di difesa e detossificazione attraverso processi di biotrasformazione. Lo studio del metabolismo degli inquinanti in organismi acquatici può svolgere un ruolo importante nella comprensione del destino ambientale, della biodisponibilità e degli eventuali processi di detossificazione a cui essi possono essere sottoposti nell’ambiente naturale. I molluschi bivalvi, quali Mytilus galloprovincialis. sono utilizzati in programmi di monitoraggio ambientale, attraverso lo studio di attività di enzimi di detossificazione indotti dal bioaccumulo dei contaminanti. A tal proposito è stata avviata una ricerca preliminare per valutare nel M. galloprovincialis, prelevato nel Mar Grande di Taranto, le risposte biochimiche all’esposizione di cadmio. In laboratorio gli organismi, prima dell’esposizione al contaminante, sono stati acclimatati per una settimana alle condizioni di laboratorio (T°=16±2°C, Salinità=36‰, pH=8.2) in acquari continuamente areati. Le analisi sono state eseguite sull’epatopancreas di mitili di differente taglia [piccola (lunghezza 1.36±0.24cm), media (lunghezza 2.45 ± 0.20cm) e grande (lunghezza 4.80±0.37cm)] esposti a concentrazioni crescenti di cadmio (100-200-300 µgCd/l) per 4-7-10 giorni. Sugli esemplari è stato determinato, oltre all’accumulo di Cd, il livello di Superossidodismutasi (SOD), della Catalasi, della Glutatione perossidasi (GPX), della glutatione reduttasi (GR) e l’induzione delle metallotioneine. Il confronto tra i livelli di cadmio e le risposte biochimiche ha permesso di valutare, in particolare, le risposte dei mitili di taglia differente agli inquinanti. Dall’analisi multifattoriale (PCA) si evince che nei mitili di taglia piccola la glutatione perossidasi e la glutatione reduttasi diminuiscono all’aumentare delle concentrazioni del Cd, mentre i livelli di metallotioneine e superossidodismutasi aumentano. Nei mitili, sia di taglia media che grande, solo la glutatione perossidasi diminuisce all’aumentare delle concentrazioni del Cd, mentre le metallotioneine e la superossidodismutasi presentano nei mitili di taglia media lo stesso andamento riscontrato nei mitili di taglia piccola. Nei molluschi più grandi, invece oltre alle metallotioneine anche la catalasi aumenta all’aumentare dei livelli di cadmio. Sono state riscontrate, inoltre, differenze significative tra i mitili di controllo di taglia piccola e quelli medio-grandi nei diversi parametri studiati. 215 MI12 STUDIO DI UN NUOVO BIOASSAY IN VITRO BASATO SULLA MISURA DI INIBIZIONE DELL’ATTIVITÀ ENZIMATICA DI ANIDRASI CARBONICA E. Erroi, M.G. Lionetto, M.E. Giordano, T. Schettino Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali; via Prov.le Lecce-Monteroni, Università del Salento (Italy) e-mail: [email protected] I bioassays sono saggi ecotossicologici che utilizzano sistemi biologici in vitro o in vivo (specie test) per rilevare la presenza di composti chimici tossici nelle matrici ambientali (acque, sedimenti, reflui) (Tarazona et al., 1995). Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse nei confronti dei bioassays in vitro che risultano strumenti facili da gestire, poco costosi e adatti per il pre-screening di campioni ambientali e, inoltre, riducono l’utilizzo di animali vivi. In un precedente studio (Lionetto et al., 2005) è stato sviluppato un bioassay in vitro basato sull’inibizione dell’attività dell’enzima anidrasi carbonica (isoforma II estratta da eritrociti bovini) da parte di contaminanti chimici ambientali quali metalli pesanti, PCB e pesticidi. L’anidrasi carbonica (CA) è un metallo-enzima ubiquitario, presente in batteri, piante e animali, che catalizza la reazione di idratazione reversibile di CO2 in H+ e HCO-3, utilizzando lo zinco come cofattore, e gioca un ruolo fondamentale in molti processi fisiologici, come la respirazione, il trasporto ionico, la regolazione acido-base e la calcificazione. Lo scopo del presente lavoro è stato quello di utilizzare questo bioassay in vitro, precedentemente standardizzato solo su composti puri, per rivelare la tossicità generale di campioni ambientali reali, rappresentati da elutriati ottenuti da campioni di sedimento provenienti dal porto di Brindisi. L’attività enzimatica di CA è stata dosata elettrometricamente attraverso la misura della variazione di pH della miscela di reazione contenente CO2 come substrato dell’enzima. Il nuovo bioassay in vitro è stato standardizzato per l’applicazione su campioni marini e ha manifestato un diverso grado di sensibilità nei confronti delle varie diluizioni degli elutriati. Nel corso di tale studio, per comprendere al meglio la sensibilità di tale bioassay, gli stessi campioni di elutriato sono stati analizzati con altri due tests di tossicità, già standardizzati e consigliati dall’ICRAM per la valutazione della tossicità di sedimenti marini, quali il test di spermiotossicità su Paracentrotus lividus e il test di sopravvivenza a 24 ore su Brachionus plicatilis. I risultati ottenuti con questi due tests in vivo sono simili a quelli ottenuti con il nuovo bioassay in vitro, dimostrandone l’affidabilità. Il bioassay in vitro basato sull’inibizione dell’attività enzimatica di CA può rappresentare un nuovo strumento affidabile, sensibile, di facile impiego e a basso costo per le analisi di routine nel monitoraggio ambientale. Esso può fornire utili informazioni sulla tossicità generale di campioni ambientali reali senza la necessità di utilizzare organismi vivi. Bibliografia Lionetto M.G., Caricato R., Erroi E., Giordano M.E., Schettino T. International Journal of Environmental Analitical Chemistry 2005, 85:895-903 Tarazona J.V., Carballo M., Castañoz M.J. In: Cell Biology Environmental Toxicology, Cajaraville M.P. editor, 1995 pp.15-28 216 MI13 FITOMONITORAGGIO: UTILIZZO DELLA VEGETAZIONE ESISTENTE PER LA DETERMINAZIONE DELLA QUALITÀ AMBIENTALE Alessandra Gengaa, Marco Lazzoia, Antonio Micelib, Carmine Negrob, Maria Sicilianoa, Luca Tommasib a Dipartimento di Scienze dei Materiali; bDipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali - Università del Salento, Via per Monteroni, 73100 Lecce [email protected] Il monitoraggio ambientale basato sulle convenzionali metodologie di rilevamento presenta spesso dei limiti in quanto in grado di controllare solo pochi inquinanti in stazioni fisse, necessariamente ridotte come numero a causa degli alti costi di impianto, gestione ed esercizio. A ciò si aggiunge la necessità di acquisire informazioni relative all’accumulo ed ai conseguenti effetti biologici degli inquinanti. Considerando la rarità di episodi acuti e la diffusione e persistenza di specie inquinanti anche a basse concentrazioni su aree geografiche di diversa estensione, è d’uopo valutare il “danno invisibile” conseguente alle variazioni di parametri fisico-chimici ambientali. Risulta, quindi, necessario integrare i dati analitici convenzionali con altri in grado di evidenziare anche gli effetti biologici. A tal fine, trovano ampia applicazione le tecniche di biomonitoraggio che, utilizzando organismi viventi, permettono di determinare gli effetti sugli stessi degli inquinanti presenti nell’ambiente. Un ruolo rilevante è giocato dal fitomonitoraggio, il quale offre la possibilità di valutare il danno biologico e/o l’accumulo di sostanze tossiche in piante idonee esistenti o “coltivate” e/o “esposte” nell’ambiente da analizzare. Nel presente lavoro sono illustrati i risultati preliminari di una campagna di fitomonitoraggio, effettuata nel settembre 2006, per la determinazione di alcuni metalli pesanti (Cr, V, Pb, Cu e Cd) contenuti in due specie vegetative (Vitis spp. e Pinus spp.), campionate in una zona agricola della provincia di Lecce, localizzata nelle vicinanze di un cementificio. In particolare il campionamento è consistito nella raccolta di foglie di vite e aghi di pino presenti in un raggio compreso tra 0.4 e 2 km dal cementificio. Le concentrazioni degli elementi su indicati sono state determinate mediante Spettroscopia di Assorbimento Atomico con fornetto di grafite e i dati ottenuti sono stati elaborati tramite tecniche statistiche multivariate (PCA). I risultati mostrano come il contenuto dei metalli sia mediamente maggiore nel pino; inoltre, nei campioni di vite si può notare una notevole variabilità della quantità di Cu, la cui presenza può essere attribuita anche all’impiego, piuttosto frequente nelle pratiche agricole, di anticrittogamici. L’elaborazione statistica dei dati ha evidenziato, per la prima volta a nostra conoscenza, la stretta correlazione nell’accumulo di Cr e V, in entrambe le specie vegetali analizzate, probabilmente dovuta a meccanismi fisiologici di accumulo simili. Il Pb, inoltre, mostra un comportamento differente nelle due specie: nella vite covaria insieme a Cr e V, mentre nel pino presenta un andamento indipendente, il che potrebbe essere dovuto ad un diverso meccanismo fisiologico di accumulo e/o trasporto nelle due specie. 217 MI14 APPLICAZIONE DELLA TECNICA COMBINATA SDFFF-CID-ETAAS PER LA CARATTERIZZAZIONE DI MATERIALE PARTICOLATO COLLOIDALE DI INTERESSE AMBIENTALE Gabriella Bloa, Catia Contadoa, Cristina Costaa, Francesco Dondia, Antonella Pagnonia , Alessio Ceccarinib, Roger Fuocob a) Dipartimento di Chimica, Università di Ferrara, via L. Borsari 46, 44100 Ferrara. b) Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, Università di Pisa, via Risorgimento 35, 56126 Pisa e-mail: [email protected] Si presentano alcuni risultati dello studio di caratterizzazione dimensionale ed elementale di particolati colloidali di interesse ambientale, in relazione al loro contenuto di metalli pesanti, mediante l’applicazione di un sistema analitico di tecniche accoppiate, la tecnica di Sedimentation Field Flow Fractionation (SdFFF), combinata in modalità on-line, con la tecnica Electrothermal Atomic Absorption Spectroscopy (ETAAS), attraverso un particolare sistema di deposizione–concentrazione diretta del campione nel fornetto di grafite, denominato CID (Capillary Injection Device)1. Il sistema analitico messo a punto, mediante l’accoppiamento on-line degli strumenti SdFFF ed ETAAS, tramite CID, presenta prestazioni di sensibilità ed accuratezza che consentono di evitare le lunghe operazioni di preconcentrazione off-line, laboriose e ad elevato rischio di contaminazione o alterazione del campione. La duplice caratterizzazione realizzata con questo approccio metodologico è interessante per lo studio di matrici naturali come il particolato sospeso nei corpi idrici (SPM), l’aerosol atmosferico (PM) ed i sedimenti, il cui ruolo nei processi ambientali è fortemente condizionato dalle loro dimensioni. Lo studio applicativo svolto ha interessato la caratterizzazione di alcuni campioni di queste matrici ambientali, per la determinazione di alcuni elementi specifici (Fe, Al e Pb). Bibliografia 1. Blo G.; Ceccarini A.; Conato C., Contado C.; Fagioli F.; Fuoco R.; Pagnoni A.; Dondi F. Anal.Bioanal.Chem. 2006, 384, 922-30. 218 MI15 PREPARAZIONE DEL CAMPIONE ED ANALISI GC-MS DI STIRENE ED ALTRI VOC NELLE RESINE POLIESTERE INSATURE Giovanna Mangani e Alessandro Tiberi Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino “Centro di Studio per la Chimica dell’Ambiente e le Tecnologie Strumentali Avanzate” Via Saffi 2 61029 Urbino Italy [email protected] Lo stirene ed altri VOC quali α-metilstirene, o, m, p, metilstirene sono presenti nelle resine poliestere insature sia come solventi che come monomeri per contribuire alle reazioni di polimerizzazione quando alla resina viene aggiunto un catalizzatore perossidico. La determinazione quantitativa dello stirene e degli altri VOC riveste molta importanza sia dal punto di vista occupazionale che tecnico dato il largo impiego nell’industria, con particolare riguardo all’industria nautica. Esistono metodi di analisi dei VOC sia gravimetrici che gascromatografici con colonna impaccata e rivelatore FID che non permettono l’identificazione certa dei VOC presenti nella resina. In questo lavoro viene proposto un metodo di preparazione del campione ed analisi GC-MS dei VOC presenti nelle resine poliestere insature, che permette sia la loro determinazione qualitativa che quantitativa. La preparazione del campione è stata eseguita utilizzando l’evaporazione sotto vuoto dei VOC seguita dal loro adsorbimento in trappole contenenti Carbograph 4. Successivamente i VOC sono stati recuperati dalla trappola per eluizione con diclorometano e 2µL dell’eluato sono stati iniettati nell’apparato GC-MS. Per la calibrazione è stato utilizzatolo stirene deuterato, che veniva aggiunto in quantità nota al campione da analizzare. Sono riportati i risultati relativi all’analisi di 7 diverse resine poliestere insature. 219 MI16 IMMOBILIZZAZIONE DI INQUINANTI SU CELLULE BATTERICHE: IDENTIFICAZIONE DI SITI DI BINDING MEDIANTE SPETTROSCOPIA ATRFTIR DIFFERENZIALE Livia Giottaa, Francesca Italianob, Francesco Milanob, Angela Agostianob,c, Massimo Trottab a Dipartimento di Scienza dei Materiali, Università del Salento, Strada Provinciale per Monteroni, 73100 Lecce, bCNR - Istituto per i Processi Chimico-Fisici, Sezione di Bari, c/o Dipartimento di Chimica, via Orabona, 4 - 70124 Bari c Dipartimento di Chimica, Università di Bari, via Orabona, 4 – 70124 Bari e-mail: [email protected] Diversi microrganismi presentano interessanti capacità bioassorbenti nei confronti di sostanze tossiche e risultano pertanto interessanti per lo sviluppo di tecniche di risanamento di siti inquinati (bioremediation)1,2. In particolare l’immobilizzazione di metalli pesanti sulla superficie cellulare esterna è stata dimostrata per una ampia varietà di ceppi batterici. La parete cellulare e la membrana esterna (per i Gram-negativi) presentano infatti una struttura chimica molto complessa, ricca di gruppi funzionali che manifestano elevata affinità per i protoni e per diversi cationi metallici tossici. Allo scopo di selezionare i ceppi più versatili ed eventualmente realizzare un miglioramento dei microrganismi basato sull’ingegneria genetica, è fondamentale identificare i siti di binding maggiormente coinvolti nell’immobilizzazione dei metalli pesanti. Le transizioni energetiche nell’ambito dei livelli vibrazionali delle molecole, promosse dalla radiazione elettromagnetica infrarossa, sono fortemente influenzate dall’intorno chimico risultando sensibili ad eventi di binding. La spettroscopia infrarossa in riflettanza totale attenuata (ATR) è stata dunque utilizzata con successo per delucidare la natura chimica dei gruppi funzionali protonabili, responsabili dell’immobilizzazione di Co2+ e Ni2+ sulla superficie esterna di Rhodobacter sphaeroides3, un microrganismo fototrofo Gram-negativo, appartenente alla famiglia dei batteri rossi non sulfurei. L’utilizzo di una cella in flusso e la modalità differenziale di acquisizione degli spettri ha permesso di sviluppare un protocollo altamente efficace per l’analisi di sottili biofilm batterici e di rivelare con estrema sensibilità gli eventi di binding a carico delle strutture cellulari esterne. 1 Malik. A. Environ Int 2004, 30, 261-78 Munoz, R.; Alvarez, M.T.; Munoz, A.; Terrazas, E.; Guieysse, B.; Mattiasson B. Chemosphere 2006, 63, 903-11 3 Buccolieri, A.; Italiano, F.; Dell’Atti, A.; Buccolieri, G.; Giotta, L.; Agostiano, A.; Milano, F.; Trotta, M. Ann Chim 2006, 96, 195-203 2 220 MI17 ANALISI PROTEOMICA DELL’EFFFETTO DEL COBALTO SULL’APPARATO FOTOSINTETICO DI RHODOBACTER SPHAEROIDES R26.1. Francesco Pisani(a), Luigi R. Ceci(b),Raffaele Gallerani(a,b), Francesca Italiano(c), Massimo Trotta(d), L. Zolla (e), S. Rinalducci (e) e Francesca De Leo(b) (a) Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare - Università degli studi di Bari, (b) Istituto di Biomembrane e Bioenergetica (CNR), (c) Dipartimento di Chimica - Università di Bari, (d) Istituto per i Processi Chimico Fisici (CNR) - Sezione di Bari, (e) Dipartimento di Sc. Ambientali – Università della Tuscia Viterbo. [email protected] Rhodobacter sphaeroides è un batterio Gram negativo, anaerobio facoltativo, fotosintetico, anossigenico non sulfureo, ben caratterizzato da un punto di vista biomolecolare, il suo genoma risulta infatti completamente sequenziato (1). Una caratteristica importante di questo batterio è la capacità di crescere in presenza di elevate concentrazioni di cobalto nel mezzo di coltura (2). È stato ipotizzato il coinvolgimento della biosintesi dell’apparato fotosintetico nella risposta a questo metallo pesante. La nostra attenzione è focalizzata all’identificazione delle proteine coinvolte in questa risposta attraverso un’approccio olistico, che possa quindi offrire un quadro generale a tal proposito. Tale approccio è consistito nel confronto di una mappa elettroforetica bidimensionale ottenuta da Rhodobacter sphaeroides cresciuto in presenza di Co(II) con il relativo controllo. Abbiamo ottimizzato tale procedura sperimentale producendo un protocollo 2DE-PAGE che ci ha consentito di rilevare circa 800 spot nella sola porzione idrosolubile a punto isoelettrico acido (intervallo 4-7). L’analisi differenziale delle mappe 2D ha rilevato circa 100 spot coinvolti nella risposta al cobalto. Per 21 di questi si sono ottenute informazioni quantitative. Tra questi ultimi ritroviamo enzimi coinvolti nella biosintesi della batterioclorofilla: la porfobilinogeno deaminasi e l’aconitasi, che risultano entrambi sotto-espressi in risposta al cobalto. All’analisi proteomica è stata affiancata l’analisi cinetica, questa ha dimostrato una riduzione dell’attività enzimatica della porfobilinogeno deaminasi, in proteine estratte da Rh. Spaeroides cresciuto in presenza di cobalto, di circa dieci volte rispetto al controllo. Questa inbizione sembra essere il risultato di effetto diretto da parete del Co(II) sull’enzima, come ampiamente dimostrato in letteratura ma anche da una riduzione del livello trascrizionale e/o traduzionale del gene che codifica la porfobilinogeno deaminasi, come dimostrato dall’analisi 2D. Concludendo, l’pproccio proteomico ha permesso di dimostrare che il Co(II) possiede un’effetto sulla biosintesi della batterioclorofilla anche a livello trascrizionale o traduzionale. Ultreiri analisi riguardo l’attività dell’aconitasi sono in corso di attuazione per chiarire meglio il meccanismo di inbizione della biosintesi della batterioclorofilla da parte del cobalto. (1) http://www.rhodobacter.org/ (2) Giotta L., et al. Chemosphere 62 (2006) 1490-1499. 221 MI18 RISULTATI PRELIMINARI SULL’UTILIZZO DI SENSORI ANALITICI BIOLOGICI NEL MONITORAGGIO DELLE ACQUE MARINE COSTIERE Nadia Beatrice Barile a, Eliana Nerone a,Giuseppina Mascilongo a, Luca Bolellib, Stefano Girotti b a Centro di Biologia Marina, Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e Molise “G.Caporale”, Viale Marinai d’Italia, 20, 86039 Termoli, [email protected] b Dipartimento di Scienza dei Metalli, Elettrochimica e Tecniche Chimiche- Università di Bologna, Via San Donato, 15, 40127 Bologna, [email protected]. Ai fini della valutazione della qualità delle acque marine costiere, è stato sperimentato, un nuovo sistema biologico di preallarme (Mosselmonitor ®-Delta Consult-Olanda) che utilizza una batteria di otto molluschi bivalvi appartenenti alla specie Mytilus galloprovincialis e che rileva la percentuale di apertura valvare. Il sistema è stato installato a circuito chiuso con acqua prelevata off-shore e, durante la sperimentazione, è stato osservato il comportamento dei bivalvi sia in regime di alimentazione quotidiana con rata ipodietetica di Cheatoceros spp. e ricambio dell’acqua su base settimanale sia in assenza di somministrazione algale e ricambio dell’acqua effettuato ogni 36 ore. I parametri chimico-fisici dell’acqua (T°, pH, O2 e Salinità) sono stati rilevati ogni due ore attraverso una sonda multiparametrica.Dopo le fasi di adattamento ed osservazione degli organismi sono state simulate diverse prove di tossicità con concentrazioni crescenti di metalli pesanti (rame, mercurio, cadmio e piombo) per la valutazione della sensibilità del sistema agli inquinanti e per verificare, durante un periodo di esposizione di ventiquattro ore, il tipo e la durata degli allarmi prodotti.Il sistema utilizzato è risultato utile al rilevamento dei livelli di inquinamento realmente presenti in natura. Per la valutazione della sensibilità del sistema agli inquinanti, sono state individuate le concentrazioni minime di effetto (LOEC) che hanno determinato gli allarmi di chiusura prolungati: 5 ppb per il rame, 0,01 ppb per il mercurio, 80 ppb per il cadmio e 250 ppb per il piombo. La “performance” del Mosselmonitor ® è stata comparata con la risposta di un test per la tossicità acuta ampiamente utilizzato, il Microtox®, basato su batteri marini bioluminescenti Vibrio fischeri. Il test della bioluminescenza è risultato essere meno sensibile con le concentrazioni minime di effetto (LOEC) pari a 1 ppm per il rame, 0,5 ppm per il mercurio 10 ppm per il cadmio e 1 ppm per il piombo. Bibliografia Baldwin I.G., Kramer K.J.M., “Biological Early Waming Systems (BEWS)”, Biomonitoring of Coostal Waters and Estuaries. K.J.M. Kramer (Ed.), CRC Press, Boca Raton FL, 1994, pp.1128. Barile N.B., Recchi S., Nerone E., “Monitoraggio delle acque marine costiere con molluschi bivalvi”, Acqua & Aria, 2004, 7, 28-31 S.Girotti, L.Bolelli, F.Fini, M.Monari, G.Andreani, G.Isani, E.Carpené. “Trace metals in the archid clam Scapharca inaequivalvis: effects of molluscan extract on bioluminescent bacteria”. Chemosphere, 65 (4), 627-633, 2006. 222 MI19 CALIBRAZIONE DI UN PROFILATORE PER MISURE FLUORIMETRICHE IN SITU PER LO SVILUPPO DI MODELLI BIOOTTICI SATELLITARI Raffaella Matarresea, Vito De Pasqualeb, Sergio Rochirac, Pinalysa Cosmac, Massimo Trottad, Maria Teresa Chiaradiaa, Guido Pasquariellob a Dipartimento interateneo di Fisica – Politecnico di Bari, bCNR - Istituto di Studi sui Sistemi Intelligenti e l’Automazione cDipartimento di Chimica– Università degli studi di Bari dCNR Istituto per i Processi Chimico Fisici - Bari e-mail: [email protected] Le acque costiere rappresentano solo una piccola frazione delle acque naturali del pianeta, ma risultano di fondamentale importanza per il loro ruolo economico, sociale ed ecologico. Il loro monitoraggio assume, dunque, una particolare rilevanza. La misura di parametri fisici, chimici e biologici che fungono da indicatori della qualità delle acque è effettuata tradizionalmente con campagne periodiche di prelievo di campioni a mare. I recenti sviluppi dei sistemi di elaborazione dati di immagini satellitari, hanno mostrato come questa nuova tecnica possa integrarsi a quelle tradizionali, fornendo informazioni sinottiche e a basso costo di alcuni indici dello stato delle acque. Da misure satellitari sono determinabili solo quelle sostanze che interagiscono con la radiazione solare che ha attraversato la superficie marina, ovvero la clorofilla di alghe e cianobatteri, i sedimenti sospesi e la sostanza gialla. Gli algoritmi ad oggi disponibili sono ottimizzati per misure in acque oceaniche (Caso I). Per le aree costiere (Caso II), tuttavia, tali algoritmi possono non essere adeguati ed è quindi necessario svilupparne una versione che sia adatta alle caratteristiche di queste acque, che possono variare drasticamente da zona a zona. Tale sviluppo può essere effettuato solo utilizzando misure chimiche, biochimiche e radiometriche in situ. Il contenuto in clorofilla di un’acqua è direttamente legato alla quantità di microrganismi fotosintetici ivi contenuti. La loro distribuzione in termini di specie e di concentrazione è fortemente dipendente dalle caratteristiche chimico fisiche delle acque, come ad esempio temperatura, pH e soprattutto concentrazione di nutriliti. Questi parametri dipendono dalla zona costiera dalla quale i prelievi sono effettuati e tendono ad essere differenti fra i siti di Taranto, Margherita di Savoia e Isole Tremiti oggetto dell’indagine. Le misure in situ del contenuto in clorofilla parametro su cui si focalizza questo lavoro, sono effettuate tramite misure fluorimetriche. Campioni di acqua prelevati nelle posizioni delle misure, sono successivamente analizzati in laboratorio con cromatografia liquida. Le misure fluorimetriche sono così calibrate con i valori ottenuti in laboratorio e vengono a loro volta utilizzate per calibrare gli algoritmi satellitari. In questo lavoro verranno presentate misure fluorimetriche e radiometriche, ottenute con un profilatore della Satlantic Inc., che rappresentano i valori di riflettanza superficiale dell’acqua corretti atmosfericamente da satellite. Saranno inoltre presentate le calibrazioni del profilatore ottenute con le alghe Clorella, Laminaria, Fucus vesciculus ed il cianobatterio Spirulina e la correlazione di questi dati con le misure di fluorescenza in situ. Mobley, C.D. Light and water: radiative transfer in natural waters. 1994 Academic Press 223 MI20 SIMPLE AND RAPIDE DETERMINATION OF POLYCYCLIC AROMATIC HYDROCARBONS IN DIFFERENT WASTEWATERS, SEWAGE SLUDGES AND STREAM WATERS SAMPLES BY LIQUID CHROMATOGRAPHY WITH FLUORIMETRIC AND UV DETECTION Filippo LoCoco1, Donatella Restuccia2, Giuliana Vinci2 , Gianpiero Adami3 1 Department of Economic Sciences, Environmental Field, University of Udine –Via Tomadini, 30/A – 33100 Udine - Italy; [email protected] 2 Department for the Technologies, Resources and Development – Sapienza University of Rome - Via del Castro Laurenziano, 9 – 00161 Rome - Italy; [email protected]; [email protected] 3 Dpartment of Chemical Sciences, University of Trieste - Via L. Giorgieri, 1 - 34127 Trieste, Italy. [email protected] Polycyclic aromatic hydrocarbons (PAHs) are an important group of organic and ubiquitous contaminants with carcinogenic and mutagenic properties, persistent in different ecosystems (1). Several natural and anthropogenic processes are responsible for PAHs production such as human excretion products, household disposals, fossil fuel spillage, and urban runoff inputs that flush the organics deposited on the ground surface from vehicles or heating systems (2). The aim of this work is the analytical determination of 16 priority EPA PAHs in different samples coming from an Italian garbage dump applying liquid chromatography with both fluorimetric and UV detection. Extraction and clean-up of the compounds have been achieved in a single step procedure (3). Different sample typology has been analyzed: 16 wastewater (WW), 3 sewage sludges (SS) and 2 stream water (SW) samples. The method showed recovery values ranging from 92% (pyrene) to 106% (naphthalene) with good values of linearity, sensitivity, reproducibility and repeatability. The sum of 16 considered compounds ranged from 0.96 to 21.45 μg/L for WW, from 1.26 to 9.54 μg/L for SW and from 152.31 and 502.41 μg/Kg for SS. References 1) Wild S:R.; Jones K.C. Environ. Poll., 1995, 88, 3 2) Roger H.R. Sci. Total Environ. 1996, 185, 1706 3) Zoccolillo L., Amendola L., Tarallo G.A., Intern. J. Environ. Anal. Chem., 1996, 91, 91-98 224 MI21 IDENTIFICAZIONE DI MOLECOLE SEGNALE MEDIANTE CROMATOGRAFIA LIQUIDA E SPETTROMETRIA DI MASSA IN TRASFORMATA DI FOURIER (LCESI-FTMS) ED IMPLICAZIONI DEL QUORUM SENSING IN BATTERI GRAMNEGATIVI COINVOLTI NEI PROCESSI DI BIORISANAMENTO AMBIENTALE Tommaso R.I. Cataldi, Giuliana Bianco, Giuseppe Pace, Salvatore Abate Dipartimento di Chimica, Università degli Studi della Basilicata, Via N. Sauro, 85, 85100, Potenza. ([email protected]) L’inquinamento del suolo e delle risorse idriche da metalli pesanti, idrocarburi e sostanze xenobiotiche rappresenta un problema ambientale sempre più pressante. La bioremediation o "risanamento mediato da agenti biologici", consiste nell'uso di organismi viventi per la degradazione e mineralizzazione di contaminanti organici e per la rimozione di quelli inorganici dai siti inquinati: suoli e acque. Numerosi ceppi batterici presenti nel suolo, manifestano livelli più o meno elevati di resistenza ad inquinanti, come alcuni metalli pesanti, e sono in grado di biodegradarli, rendendoli innocui o meno tossici. I microrganismi sembrano essere particolarmente adatti ai cosidetti processi di biodegradazione di inquinanti ambientali per ragioni presumibilmente legate a: (i) struttura cellulare estremamente semplice; (ii) altissima capacità di adattamento, anche agli ambienti più difficili; (iii) crescita di tipo esponenziale. La riduzione di Cr(VI) a Cr(III) ad opera di Pseudomonas aeruginosa [ i ], la biodegrazione del fenolo da parte di Serratia liquefaciens [ ii ], e degli idrocarburi policiclici aromatici ad opera di P. fluorescens, S. liquefaciens e ceppi di Micrococcus [ iii ] sono esempi di processi di detossificazione di siti contaminati ad opera di batteri. Nel caso di degradazione di contaminanti organici, i batteri utilizzano tali composti quale fonte di carbonio e di energia per supportare il metabolismo cellulare e la crescita della popolazione. La bioremediation mediata da biofilm è considerata una strategia molto interessante dal momento che le cellule in un biofilm hanno una migliore possibilità di adattamento e sopravvivenza, specie durante periodi di stress, essendo protetti dalla matrice [ iv ]. Un biofilm è una comunità strutturata di cellule batteriche racchiuse in una matrice polimerica autoprodotta ed adesa ad una superficie inerte o vivente. L’organizzazione del biofilm in strutture multicellulari complesse è percepita dalle cellule una volta che sia stata raggiunta una concentrazione soglia, ed è regolata da una costante modulazione dei segnali chimici intercellulari con una sorta di comunicazione che si traduce in un processo noto come “quorum sensing” [ v ]. Nei batteri gram-negativi, la comunicazione cellulare avviene attraverso l’attività di autoinduttori appartenenti alla famiglia dei lattoni omoserinici acilati (AHL) [ vi ]. L’alta densità di popolazione di cellule nei biofilm, porta all'ipotesi che gli AHL potrebbero avere importanti funzioni in queste comunità, stimolando l’immobilizzazione e la degradazione degli inquinanti ad opera dei microrganismi autoctoni presenti [ vii ]. Ad esempio, il microrganismo fotosintetico Rhodobacter sphaeroides è un batterio gram-negativo in grado di bioassorbire diversi metalli pesanti [ viii ]. La sua aggregazione cellulare con conseguente formazione di biofilm e l’attività metabolica è influenzata dal quorum sensing attraverso la produzione di 7,8-cis-N-(tetradecenoil)omoserin-lattone, C14:1-HSL, in qualità di autoinduttore [ ix ]. Le attività in corso nel nostro laboratorio sono rivolte, alla determinazione dell’intera famiglia di molecole segnale coinvolte nel quorum sensing mediante cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa con ionizzazione ESI e rivelazione con trappola ionica ciclotronica in trasformata di Fourier caratterizzata da altissima accuratezza e risoluzione 225 (LC-ESI-FTICR-MS) [ x ], allo sviluppo di algoritmi per ottimizzare e rendere più rapida l’individuazione di molecole segnale e dei loro precursori (S-adenosil-metionina, 5’-deossi5’-metiltio-adenosina, esteri dell’acido 3-idrossi-palmitico, lipopeptidi ciclici, ecc.) e alla selezione di batteri gram-negativi di elevato interesse ambientale ed industriale per la rimozione di inquinanti da matrici contaminate. Molto promettente è l’impiego di colture differenti che risultano in genere più efficaci per i sinergismi biodegradativi che possono risultare dalla presenza contemporanea di gruppi microbici affini o complementari in termini di attività. In questa comunicazione saranno riportati i risultati ottenuti nella fase di caratterizzazione dell’intero set di lattoni dell’N-acilomoserina in estratti di colture batteriche di P. aeruginosa e S. liquefaciens. Oltre ai noti AHL: butanoil-, esanoil-, ottanoil-, decanoil-, dodecanoil-, tetradecanoil-, 3-cheto-esanoil-, e 3-cheto-ottanoil (i.e., C4-HSL, C6-HSL, C8HSL, C10-HSL, C12-HSL, C14-HSL, 3-O-C6-HSL, e 3-O-C8-HSL), sono stati identificati per la prima volta, mediante misure di massa accurate, alcuni AHL insaturi, con singola o doppia insaturazione, 3-O-C10:1-HSL, 3-O-C11:2-HSL, 3-O-C13:2-HSL e persino un composto con un numero di atomi di carbonio della catena laterale pari a 16: 3-idrossi-C16-HSL. Il ruolo di tutti questi autoinduttori nella comunicazione batterica intercellulare in generale e nel risanamento ambientale resta tutto da definire. Bibliografia 1) Ganguli, A., Tripathi, A.K., Lett. Appl. Microbiol. 1999, 28, 76-80. 2) Sharma, A., Kachroo, D., Kumar, R., Environ. Monit. Assess. 2002, 76, 195-211. 3) Mesdaghinia, A.R., Nasseri, S., Arbabi, M., Rezaie, S., Proceedings of the 9th International Conference on Environmental Science and Technology, Rhodes Island, Greece, 1-3 September 2005 (accesso al sito: April 2007, http://www.ath.aegean.gr/srcosmos/showpub.aspx?aa=6464) 4) Decho, A.W., Cont. Shelf Res. 2000, 20, 1257-1273. 5) Stanley, N.R., Lazazzera BA. Mol. Microbiol. 2004, 52, 917-924. 6) Cámara, M., Daykin, M., Chabra, S.R., Meth. Microbiol., 1998, 27, 319-330. 7) Singh, R., Paul, D., Jain, R.K., Trends Microbiol. 2006, 14, 389-397. 8) Giotta, L., Agostiano, A., Italiano, F., Milano, F., Trotta, M., Chemosphere 2006, 62, 1490-1499. 9) Puskas, A., Greenberg, E.P., Kaplan, S., Schaefer, A.L., J. Bacteriol. 1997, 179, 75307537. 10) Cataldi, T.R.I., Bianco, G., Abate S., inviato per la pubblicazione, 2007. 226 MI22 SVILUPPO DI UNA NUOVA COLONNA PER LA MISURA DI ACIDI ALOACETICI NELL’ACQUA POTABILE CON IC/MS E IC/MS/MS S. Cavalli, S. Ghirlanda - Dionex (Europe) Management AG R. Al-Horr, C. Saini, R. Slingsby e C. Pohl - Dionex Corporation, Sunnyvale, CA, USA Gli acidi aloacetici (HAA) risultano tra i sottoprodotti della disinfezione generate durante la clorazione dell’acqua contenete material organica di origine naturale e bromuri. I metodi EPA 552.1 e 552.2 usati per determinare gli HAA richiedo una tediosa derivatizzazione e diversi passaggi di estrazione seguiti da gas cromatografia (GC) con rivelazione a cattura d’elettroni (ECD) e spettrometria di massa (MS). L’accoppiamento cromatografia ionica – spettrometria di massa (IC-MS e IC-MS/MS) offre un’alternativa sensibile e selettiva e non richiede pretrattamento del campione. L’acqua è iniettata direttamente nel cromatografo ionico accoppiato ad uno spettrometro di massa con triplo quadrupolo. La separazione di tutti i 9 HAA citati nel metodo EPA si realizza su una colonna a scambio anionico ad alta capacità da 2 x 250 mm o 1 x 250 mm usando un semplice gradiente idrossido. Si ottiene un’eccellente risoluzione dei picchi e linearità tra 0.4 μg/L e 100 μg/L in una matrice contenente fino a 250 mg/L ciascuno di cloruri e solfati e 30 mg/L di nitrate. Usando 13CClH2COOH come standard interno il limite di rivelabilità è inferiore a 0.4 μg/L per ciascuno dei 5 HAA regolamentati e meno di 1 μg/L per gli altri quattro. Non si osserva alcun significativo effetto matrice. In una matrice simulata delle concentrazioni riportate, i recuperi di tutti i nove HAA sono superiori al 90%. 227 MI23 DETERMINAZIONE DI CONTAMINANTI IONICI IN MATRICI DIVERSE USANDO LA TECNICA DI ESTRAZIONE ACCELERATA CON SOLVENTE (ASE®) S. Cavalli, S. Ghirlanda - Dionex (Europe) Management AG, Olten CH S. Henderson, E. Francis, R. Carlson, B. Murphy, B. Dorich e B. Richter - Dionex Corporation, Salt Lake City, Utah USA Una tecnica di estrazione automatizzata come l’estrazione accelerata con solvente (ASE) sostituisce tecniche laboriose e che richiedono elevate quantità di solvente come il Soxhlet e l’estrazione con ultrasuoni. L’estrazione delle maggior parte delle sostanze da un matrice solida dà luogo ad una miscela di componenti. La tecnica ASE è ampiamente utilizzata per l’estrazione di composti apolari e polari, ma scarsamente usata per l’estrazione dei composti ionici. Scegliendo la polarità del solvente di estrazione in modo che coincida con quella dell’analita bersaglio si ottiene un’estrazione selettiva e nel presente lavoro si è utilizzata questa tecnica di estrazione per l’analisi di coloranti proibiti in tessuti, perclorati nel suolo derivanti da contaminazioni ambientali da parte di propellenti per razzi, esplosivi e concimazioni, cromo nel suolo e nelle pelli. La tecnica ASE ha dimostrato la sua applicabilità anche all’estrazione di composti ionici in differenti matrici. 228 MI24 DETERMINAZIONE HPLC DI RITARDANTI DI FIAMMA POLIBROMURATI (PBFR) – OTTIMIZZAZIONE E MIGLIORAMENTO DEI TEST ROHS. PARAGONE DEI METODI HPLC/UV, HPLC/MS E GC/MS Michael Riess1, Sandro Ghirlanda2, Silvano Cavalli2, John Richardson2 e Marion Wolf3 1 Motorola Physical Realisation Research Center Europe, Rapid Environmental Assessment Lab, Heinrich-Hertz-Str 1, 65232 Taunusstein D 2 Dionex (Europe) Management AG - Solothurnerstrasse 259, 4600 Olten CH 3 University of Erlangen-Nuremberg, Institute for Inorganic Chemistry, Egerlandstr 1, 91058 Erlangen D La Motorola opera il Rapid Environmental Assessment Lab (REAL) in Taunusstein, Germania come centro di eccellenza per la valutazione ambientale dei prodotti. Il laboratorio agisce come servizio interno a Motorola e per client esterni. REAL stabilisce le prestazioni dei prodotti elettronici secondo le direttive EU sulla restrizione dell’uso di sostanze pericolose (Restriction of Hazardous Substances Directive - RoHS) e dei rifiuti dell’industria elettrica ed elettronica (Waste from Electrical and Electronic Equipment - WEEE). La tecnica HPLC/UV permette la determinazione dei ritardanti di fiamma (bifenili polibromurati PBB e bifenili polibromurati ossidi PBDE) che sono limitati da RoHS. La prestazione del metodo HPLC/UV, usando strumentazione Dionex, sviluppato per permettere la determinazione e la quantificazione dei ritardanti di fiamma bromurati dalle famigli di PBB e PDE è stato dimostrata. Il metodo è stato presentato alla valutazione dei metodi test IEC come metodo per la valutazione RoHS. Il metodo è stato paragonato alle prestazioni ottenute con tecniche LC/MS e GC/MS. Tutti e tre i metodi permettono la separazione del nona- dal decabromodifeniletere consentendo l’analisi di concentrazioni di nonabromodifeniletere che non sono esentate da RoHS. 229 230 SESSIONE POSTER SM: SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE E MONITORAGGIO 231 232 SM01 INTEGRATING ENVIRONMENTAL ASPECTS IN TRADITIONAL ECONOMIC EVALUATION: THE CASE OF THE PROVINCE OF PESCARA Roberto Ridolfi, Riccardo Maria Pulselli, Antonio C. I. Pizzigallo, Simone Bastianoni Dept. of Chemical and Biosystems Sciences and Technology - University of Siena Via A. Moro, 2 – 53100 Siena e-mail: [email protected] Different methodologies can be integrated in order to provide an organic evaluation of the environmental sustainability at the territorial level. A territory is a complex, dynamic and open system where a population lives, uses resources, produces, consumes, depletes and finally obtains economic performances. All these elements characterise human behaviour, which can be monitored, measured and compared to the capacity of the environment to sustain it in the long run. This paper presents an environmental sustainability assessment of the Province of Pescara based on the Index of Sustainable Economic Welfare (ISEW) and the Greenhouse Gas Inventory. This study is aimed to study the interdependency of environmental, social and economic aspects, indicating sustainable development as the key for integrating the main (social, economic and environmental) dimensions of development in planning and policymaking. The ISEW is an ecological economic instrument created in order to integrate environmental and social aspects in the information embodied in GDP. The ISEW has been already calculated for several national economies but rarely for a region. This case-study is one of the first time series analyses for ISEW (1971-2003) applied to a local territorial system. The results show a stagnation of the ISEW after the 1980s, compared to a constant increase of GDP during the period 1971-2003. Greenhouse Gas Inventory is a methodology based on the guidelines by IPCC in order to link the responsibility of the emission of equivalent CO2 to certain behaviours of a population on a given area. This method is applied to the provincial system in the year 2003. Results show that the total emissions are equal to 2822 Gg eq. CO2. The emissions per capita are higher than the italian average value: 8.9 t eq. CO2/inhab. for the local system, and 8.2 t eq. CO2/inhab. for Italy. The major contributor to the final result is the energy sector that represents about of 61% of total emissions; this result is due to the high industrial density of the system. This paper shows that the results of these two approaches are important and complementary, and can provide fundamental information to policy makers interested in taking into consideration the issues of sustainable development. References Daly, H.E.; Cobb, J.B.; For the Common Good: Redirecting the Economy Towards Community, the Environment, and a Sustainable Future Beacon Press, Boston 1989, 482 pp. IPCC Guidelines for National Greenhouse Gas Inventories; Eggleston H. S.; Buendia L.; Miwa K.; Ngara T.; Tanabe K. (eds). 2006, Published by IGES, Japan. Pulselli, F.M., Ciampalini, F., Tiezzi, E., Zappia, C., Ecological Economics, 2006, 60, 271281. 233 SM02 THERMODYNAMICS AND ANTHROPIC SYSTEMS: A PHYSICAL VIEW OF GLOBALIZATION Nadia Marchettini, Federico Maria Pulselli, Enzo Tiezzi Dept. of Chemical and Biosystems Sciences and Technology - University of Siena Via della Diana, 2/A – 53100 Siena email: [email protected] The 2nd Law of thermodynamics shows the universal tendency towards disorder (the general trend toward an entropy maximum), which is also loss of information and usable energy availability. This tendency to the Clausius’ “thermal death” takes to the thermodynamic equilibrium, through the destruction of gradients as well as diversities. There are two ways to achieve such a condition: a) when a system, becoming isolated, consumes its resources, increasing its internal entropy and, at the end, self-destruction; b) when, through energy exchanges as heat fluxes, a loss of differences in temperature occurs and nothing more can be done, because no exchange of usable energy is allowed. Contrary to living systems, that try to keep themselves as far as possible from thermodynamic equilibrium, as demonstrated by Prigogine and Morowitz, economic systems seem to be unaware of second principle. Two opposite trends of our society can be shown to put on evidence that twofold risk of “entropic euthanasia” at both local and global level. On the one hand, autarky: it is clear that an autarkical system, that is isolated from other systems, dealing with only its self-conservation, will tend towards thermodynamic equilibrium. On the other hand, globalization: it is defined as the economic integration of the globe by free trade, free capital mobility, and to a lesser extent by easy migration. It is the effective erasure of national boundaries for economic purposes, and a growing, and apparently endless, process, whose need is the worldwide compliance with market rules. Furthermore, the growing demand of energy and matter to support the global system and the increasing greenhouse effect imply that globalization contravenes the fundamental rules for a dissipative structure to survive. Thermodynamics does not justify the project of an infinite growth in a finite planet Our society cannot ignore 2nd Law. A country, a nation, a system that makes a political dogma of its isolation, of its refusing of cultural contamination (cross-fertilization), of its castling on extremist positions of self-conservation, will go to the thermal death, to the final destruction. Globalization, the destruction of both biological and cultural diversities, homogenisation and the unique thought take inescapably to the same end. In sum, an excessive defence of one’s diversity and a complete loss of diversity are two faces of the same thermodynamic foolishness. And this become apparent from a thermodynamic, ecological and socio-political point of view. References Daly, H. and Farley J., 2004. Ecological Economics: Principles and Applications. Island Press, Washington DC. Morowitz, H., 1979. Energy flow in biology. Ox Bow Press, Woodbridge, Connecticut. Prigogine, I., 1954. Introduction to thermodynamics of irreversible processes. C.C. Thomas, Springfield. Pulselli, F.M., Bastianoni, S., Marchettini, N., Tiezzi, E., 2007. Plus and Minus of Sustainability. Wit Press, Southampton, UK (in press). Tiezzi, E., 2003. The essence of time. Wit Press, Southampton, UK. 234 SM03 IL DATA-BASE LIMNO PER LA VALUTAZIONE PREVISIONALE DELLA SENSIBILITA’ AL MERCURIO DEGLI ECOSISTEMI LACUSTRI ITALIANI L. Guzzi a, G. Tartari b a CESIRICERCA SpA, Dipartimento Ambiente e Sviluppo Sostenibile, Via Rubattino 54, Milano b CNR - Istituto di Ricerca sulle Acque, Brugherio (MI) Studi recenti hanno evidenziato l’esistenza di un’elevata correlazione tra il valore della concentrazione del metilmercurio nella fauna ittica ed alcuni parametri idrochimici delle acque lacustri (Driscol et al., 2006). In particolare è emerso che nei pesci le concentrazioni superiori a 0,3 mg/kg peso fresco, valore indicato dall’US EPA come limite di qualità per le acque dolci (US EPA, 2002), si riscontrano in quei laghi che sono caratterizzati da valori di fosforo totale < 30 μg/L, di pH < 6, di alcalinità < 100 μeq/L e di carbonio organico disciolto (DOC) > 4,0 mg C/L. In quanto statisticamente correlati all’entità del bioaccumulo del metilmercurio da parte dei pesci, i parametri di qualità delle acque possono essere utilizzati quali un “indicatore surrogato” dei livelli attesi di concentrazione del mercurio nella fauna ittica lacustre. Utilizzando le informazioni idrochimiche disponibili per fosforo totale, alcalinità totale e pH per 275 laghi (166 artificiali, 109 naturali) dei 365 laghi presenti nel data-base LIMNO (Tartari et al., 2003) è stata effettuata una valutazione di “screening” della sensibilità di tali ambienti alle deposizioni di mercurio. E’ emerso che 194 laghi (circa il 70%) presentano valori di fosforo totale < 30 µg/L, 30 laghi (circa 11%) valori di alcalinità totale < 100 µeq/L e 9 laghi (3%) valori di pH < 6 unità. L’analisi non ha considerato il carbonio organico disciolto in quanto tale informazione è disponibile soltanto per pochissimi laghi. Sulla base dei dati di fosforo totale, e limitando l’analisi ai soli ecosistemi lacustri caratterizzati da dati analitici sufficientemente numerosi (> 10), si può ritenere che la sensibilità al mercurio dei laghi riguardi circa il 10% circa dei laghi (28 complessivamente, di cui 2 artificiali e 26 naturali su 275) in quanto caratterizzati da valori di fosforo totale < 30 µg/L. Sulla base dei dati di alcalinità totale e di pH, anche in questo caso per i soli ecosistemi lacustri caratterizzati da dati analitici sufficientemente numerosi, la sensibilità risulterebbe minore in quanto soltanto 4 laghi naturali hanno valori < 100 µeq/L e 2 laghi naturali hanno valori di pH < 6. Adottando un approccio basato sul “caso peggiore” è stata effettuata una estrazione multipla dei dati per i 3 “indicatori” di sensibilità; è emerso che 22 laghi (13 artificiali, 9 naturali) presentano contemporaneamente valori di fosforo totale < 30 µg/L e di alcalinità totale <100 µeq/L; 6 laghi (2 artificiali, 4 naturali) presentano contemporaneamente valori di fosforo totale < 30 µg/L e di pH < 6; 5 laghi (1 artificiale, 4 naturali) presentano contemporaneamente valori di fosforo totale < 30 µg/L, di alcalinità totale < 100 µeq/L e di pH < 6. Supponendo che l’universo campionario contenuto in LIMNO (275 laghi) sia qualitativamente rappresentativo delle caratteristiche idrochimiche della totalità dei laghi italiani (circa 1.100) il numero dei laghi sensibili, cioè di quelli potenzialmente in grado di favorire l’accumulo del mercurio da parte della fauna ittica, dovrebbe essere moltiplicato per quattro ottenendo rispettivamente valori di circa 90 laghi (per la coppia fosforo totalealcalinità totale), di 25 laghi (per la coppia fosforo totale-pH) e infine di 20 laghi per l’insieme dei tre indicatori (fosforo totale, pH, alcalinità totale). 235 Tale valutazione di sensibilità al mercurio, basata esclusivamente sull’applicazione di un modello statistico ricavato da indagini su ambienti lacustri presenti in un diverso contesto geografico, richiede una più approfondita valutazione che sarà realizzata attraverso l’effettuazione di specifiche indagini sperimentali sulle concentrazioni di mercurio nei pesci in alcuni dei laghi individuati come potenzialmente sensibili. L’opportunità di dare indicazioni mirate alla valutazione del rischio trova principalmente riscontro nella mancanza di una visione completa del problema a scala nazionale soprattutto in ragione della scarsità di dati che possono confermare le previsioni modellistiche. A ciò si sovrappone la tendenza al recupero della qualità trofica degli ambienti lacustri in relazione agli obbiettivi di qualità indicati dalla Direttiva 60/2000/CE, che stabilisce il raggiungimento di uno stato di buono entro il 2015. In questi termini le prospettive di un recupero della qualità ecologica pongono il problema dell’incremento di situazioni a rischio che si possono prefigurare con l’incremento di ambienti in condizioni di oligo e mesotrofia (concentrazioni di fosforo totale inferiori a 30 µg/L). Bibliografia ¾ ¾ ¾ Driscoll C. T., Y. J. Han, C. Y. Chen, D. C. Evers, K. F. Lambert, T. M. Holsen, N. C. Kamman, R. K. Munson (2006). Mercury contamination in forest and freshwater ecosystems in the Northeastern United States: sources, transformations and management options, 38 pp. (in press). Tartari G., E. Buraschi, C. Monguzzi, A. Marchetto, D. Copetti, L. Previtali, F. Salerno, S. Tatti, G. Barbiero, R. Pagnotta (2003). Progetto LIMNO: qualità delle acque lacustri italiane. Vol. 1. Sintesi dei risultati. CNR, Istituto di Ricerca Sulle Acque, Quaderni, 120: 334 pp. US EPA (2002). National Recommended Water Quality Criteria: 2002. US Environmental Protection Agency, Office of Water and Office of Science and Technology, EPA-822-R02-047, 33 pp. 236 SM04 ENVIRONMENTAL SUSTAINABILITY OF AGRO-INDUSTRIAL PROCESSES TOWARD THE EXTRACTION OF FINE CHEMICALS: UTILITY OF A WEB GEOGRAPHIC INFORMATION SYSTEM Giuseppe Mele, Mario Fiorentino, Eleonora Margapoti, Marco Palazzo, Matteo Serafino, Lorenzo Vasanelli, Giuseppe Vasapollo Università del Salento, Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione, via Arnesano, 73100, Lecce e-mail: [email protected] There is nowadays an increasing interest in the preparation of natural products and new fine chemicals based on renewable organic materials using sustainable processes. At the same time innovative developments associated to main local productions (e.g. olive oil and wine industries) as well as to the extraction fine chemicals from less important local cultivar (e.g. mulberry, black-berry, bilberry etc.), are of topical importance in view of a sustainable “green chemistry”. Emerging technologies for simulating, controlling, and optimizing complex systems are nowadays considered, crossing a long list of disciplines such as, botanical, chemical, computational, material science and process simulation. In this context we report our studies concerning a planned sampling of local agri-food and non-food species (traditional and/or minor cultivar), which could be interesting for this purpose. With this sampling we are able to trace the real distribution of local cultivations and to map these on a Geographic Information System (G.I.S.). Then, each sample will be listed depending on its own biological properties and physical condition of the selected cultivar. So that, because our main objective is to build a relationships between cultivar and finechemicals we had to develop a Web-Based Information System in order to provide the following services: – Supporting and controlling the project processes and their progress. – Taking trace relationships between fine chemicals, raw materials, extraction processes and geographical cultivation placements. – Selecting kind of plants from which can be pull out fine-chemicals with different rate distribution and characteristics, depending on the species and the extraction processes. – Comparing all the results and pointing out performance production. – Providing a base knowledge for researchers, and agricultural and chemical industries. CUIS and Consorzio di Comuni “Valle della Cupa” are acknowledged for the financial support 237 SM05 MISURE DI RADON NELLA FALDA DEL SALENTO Alessandro Buccolieri, Giovanni Buccolieri, Alfredo Castellano, Angelo Dell’Atti, Laura Sandra Leo, Lorena Rizzo Università del Salento, Dipartimento di Scienza dei Materiali, via Monteroni, 73100, Lecce. E-mail: [email protected] Il gas radon fa parte delle sorgenti naturali di radiazioni alle quali l’uomo è stato esposto fin dalla sua comparsa sulla terra. Esso è presente in 26 forme isotopiche, ma la sua pericolosità è legata principalmente all’isotopo Rn-222 che appartiene alla serie di decadimento dell’U-238 e decade con un tempo di dimezzamento di 3.82 giorni emettendo una particella α da 5.49 MeV. La sua disintegrazione dà luogo a una catena di elementi radioattivi, tutti solidi, che termina con il Pb-206 [1]. Il radon, se introdotto nel corpo umano per inalazione e/o ingestione, si deposita nei polmoni o nell’apparato digerente dove, decadendo, irraggia le cellule delle mucose, dei bronchi e di altri tessuti causando danni al DNA. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha identificato il radon come cancerogeno collocandolo al secondo posto, dopo il fumo, quale causa di tumori polmonari. Il radon è costantemente generato dalle rocce della crosta terrestre, quindi le acque delle falde acquifere, a diretto contatto con le rocce, possono presentare un’elevata concentrazione di radon in funzione della geologia del sottosuolo. Per tali ragioni è necessaria un’accurata determinazione dei valori di radon in acqua se questa è utilizzata direttamente dall’uomo [2, 3]. In questo lavoro sono riportati i risultati ottenuti da una campagna di misura finalizzata alla determinazione della concentrazione di radon nelle acque di falda del Salento. Sono state analizzate le acque di 15 pozzi artesiani appartenenti al consorzio di bonifica “Ugento e li Foggi”. Le analisi sono state eseguite mediante un rivelatore a stato solido di particelle α, prodotto dalla DURRIGE Company, modello RAD7. Sono state inoltre eseguite delle determinazioni al fine di valutare le variazioni della concentrazione di radon a differenti profondità di prelevamento. Bibliografia 1. Cother, C. R.; Smith, J. E. Environmental radon, 1987. 2. Nazaroff, W., Reviews of Geophysics 1992, 30, 137-160. 3. Cothern, C. R.; Rebers, P. A. Radon, Radium and Uranium in drinking water, Lewis Publishers, 1990. 238 SM06 A BIOSENSOR BASED ON SILVER NANOPARTICLES EMBEDDED IN STARCH FOR DETERMINATION OF HYDROGEN PEROXIDE Emanuela Filippo, Daniela Manno, AnnaRita De Bartolomeo, Massimo Di Giulio, Antonio Serra Dipartimento di Scienza dei Materiali – Unità CNISM Università del Salento – Via Monteroni 73100 Lecce e-mail:[email protected] Metal and semiconductor nanoparticles are of great importance due to their potential applications in emerging areas of nanoscience and technology. Size, shape, and surface morphology play pivotal roles in controlling the physical, chemical, optical, and electronic properties of these nanoscopic materials. Preparation of nanoparticles generally involves the reduction of metal ions in solutions or in high temperature gaseous environments. Most of the synthetic methods reported to date rely heavily on organic solvents. This is mainly due to the hydrophobicity of the capping agents used. There have been approaches reported for the synthesis of H2O-soluble metal nanoparticles. The majority of methods reported to date use reducing agents such as hydrazine, sodium borohydride (NaBH4), and dimethyl formamide (DMF). All of these are highly reactive chemicals and pose potential environmental and biological risks. In this work we propose a preparation method of silver nanoparticles and nanowire based onto hydrothermal synthesis that uses solvent medium, reducing agent, and capping agent that are all environmentally benign and nontoxic material. In the present approach, H2O is utilized as the environmentally benign solvent throughout the preparation. The reducing sugar, β-D-glucose, is used as the reducing agent. With gentle heating, this system is a mild, renewable, inexpensive, and nontoxic reducing agent. The final, and perhaps most important, issue in the preparation of nanoparticles is the choice of starch as the capping material used to protect or passivate the nanoparticle surface. The obtained silver nanostructures have been analysed by High Resolution Transmission Electron Microscopy (HREM) methods, X-Ray Diffraction (XRD), Scanning Electron Microscopy (SEM), Atomic Force Microscopy (AFM) and UV-Vis spectroscopy. The silver nanostructures were electrodeposited onto suitable substrates with gold interdigital electrodes. The obtained amperometric biosensors showed an high sensitivity to hydrogen peroxide as shown in Figure 1 where a typical resistance-time response curve for successive addition of H2O2 is reported. Resistance ( kΩ ) 10 8 6 4 2 0 0 200 400 600 800 1000 1200 Time ( s ) Figure 1 - Typical resistance-time response curve for successive additions of 10, 20, 30 and 40 μL 30 mM H2O2 in 100 mL H2O pH 5.4 239 SM07 PARAMETRI CHIMICI IN PROSSIMITÀ DELLA “SEDIMENT-WATER INTERFACE” DI UN’AREA DEL GOLFO DI TRIESTE ESPOSTA AGLI SCARICHI DELL’IMPIANTO DI DEPURAZIONE CITTADINO G. Adamia, E. Reisenhofera, S. Cozzib, C. Cantonib, L. Celica , P. Barbieria e F. Lo Cococ a Dipartimento di Scienze Chimiche, Università di Trieste, Via Giorgieri 1, 34127 Trieste e-mail: [email protected]; b Istituto di Scienze Marine, CNR, Sezione di Trieste; cDipartimento di Scienze Economiche, Università di Udine. L’ambiente marino delle zone costiere di una città come Trieste è un ecosistema a rischio. Questo lavoro parte sulla base dei dati da noi già raccolti negli anni scorsi1-3, e volti ad approfondire il carico antropico dello scarico dell’impianto di depurazione cittadino nel Golfo di Trieste, che è un ecosistema tipicamente a rischio: nel caso particolare si tratta di acque circoscritte, quindi scarsamente rinnovate, e poco profonde (la massima profondità si aggira sui 25 m). Nel presente studio si è focalizzata l’attenzione sull’impatto dell’impianto di depurazione sui fondali dell’area che riceve i liquami trattati: negli ultimi decenni lo studio degli strati d’acqua vicini al fondale marino ha assunto una notevole importanza. La Sediment-Water Interface (SWI), cioè l’interfaccia sedimento-acqua, è luogo di continui interscambi: il materiale particellato può depositarsi costituendo un flusso di composti verso il sedimento, che quindi costituisce un bacino di raccolta di specie anche inquinanti, e in pari tempo dà origine a fenomeni di rimobilizzazione degli stessi comportando un inquinamento secondario. In questa area critica tale fenomeno è stato finora poco studiato, anche perché la fase di campionamento è decisamente complicata e la messa a punto di apparecchiature idonee a tal fine è molto recente. Nel 2005 Sauter et al.4 hanno proposto sistemi che permettono di campionare a diversi livelli la Bottom-Water (BW) che, operativamente, è lo strato tra 5 e 40 cm sopra al fondale marino. Noi abbiamo programmato un campionamento su una griglia di 1.5×0.7 Km, alla profondità di 21-22 m, mediante un carotiere a gravità che preserva la SWI dai disturbi di risospensione e di mescolamento, permette il mantenimento delle condizioni in situ del campione, evitando infiltrazioni d’acqua dal ‘top’ della carota, e consente di raccogliere agevolmente 200-250 ml di acqua nello strato fra 5 e 20 cm sopra il fondale. Simultaneamente al campionamento di BW, abbiamo campionato il sedimento e la colonna d’acqua sovrastante a vari livelli per consentire confronti con i rispettivi dati analitici di metalli pesanti, nutrienti eutrofizzanti e DOM, DON, DOP, DOC. Abbiamo in tal modo parametrizzato il comportamento dei nutrienti e dei metalli in queste acque di fondo, evidenziando in pari tempo una diffusione non omogenea dei liquami (con dati anomali in aree ristrette), concentrazioni elevate di metalli quali il rame, e valori elevati di nutrienti nei fondali rispetto alla colonna d’acqua sovrastante. Questa serie di dati sarà utile per futuri confronti temporali e valutazioni sull’impatto delle acque del depuratore in quest’area critica dell’Alto Adriatico. 1 Barbieri, P.; Adami, G.; Reisenhofer, E.; et al.. An. Chim. Acta; 1999, 398, 227-235. Barbieri, P.; Adami, G.; Reisenhofer, E.; et al.. Tox. Env. Chem. 1999, 71, 105-114. 3 Cozzi, S.; Adami, G.; Barbieri, P.; et al.. Mar. Poll. Bull. 2004, 48, 587-603. 4 Sauter, E.J.; Schluter, M.; Wegner, J.; Labahn, E., J. Sea Res., 2005, 54, 204-210. 2 240 SM08 ANALISI DEL MATERIALE PARTICOLATO IN ACQUE NATURALI N. Calace, B.M. Petronio, M. Pietrantonio, M. Pietroletti Dipartimento di Chimica, Università “La Sapienza” P.le A.Moro 5, 00185 Roma Viene definito materiale particellato la miscela di sostanze organiche ed inorganiche che è trattenuta da filtri aventi una dimensione dei pori di 0.45 µm. La composizione chimica del materiale particellato può risultare estremamente variabile a seconda dell’ambiente che si sta analizzando, anche se la componente organica deriva in gran parte da materiale detritico di origine fitoplanctonica, zooplanctonica e/o batterica e la componente inorganica è costituita da detriti minerali argillosi, ossidi e idrossidi di Fe e Mn e carbonati. Inoltre in associazione al materiale particellato possono essere presenti metalli pesanti, contaminanti organici e sostanza organica naturale trasformata (sostanze umiche). Da un punto di vista analitico, le difficoltà e le incertezze che si verificano durante l’analisi del materiale particellato dipendono essenzialmente dal processo di filtrazione che, come riportato in molti lavori di letteratura, presenta numerose criticità. In particolare le criticità maggiormente evidenziate in letteratura sono riconducibili: - alla quantità in volume di campione liquido filtrato; - alla tempistica operativa del processo di filtrazione ovvero filtrazione in campo all’atto del prelievo del campione o filtrazione in laboratorio previo stoccaggio e trasporto del campione al luogo di analisi. In effetti in letteratura sono riportati molti studi comparativi focalizzati sulle differenze riscontrabili tra una filtrazione di piccoli volumi (1-4 L) e di grandi volumi di campione (anche oltre 100 L) dove i piccoli volumi vengono filtrati in laboratorio mentre i grandi volumi vengono filtrati direttamente all’atto del prelievo (pompe peristaltiche dotate in linea di un supporto per filtro di 0.45 m). Il nostro studio ha come scopo quello di evidenziare eventuali differenze tra filtrazione di piccoli e grandi volumi condotte entrambe nelle stesse condizioni operative, ovvero in laboratorio. I risultati ottenuti con una serie di campioni provenienti dal Mare di Ross (Antartide) hanno messo in evidenza che filtrando piccoli volumi (2-4 L) di campione si ottengono concentrazioni di particellato mediamente più alte di quelle ottenute filtrando grandi volumi (30-40 L). Tali differenze sono state però determinate esclusivamente su campioni di acqua di mare superficiale e sui campioni di acque di fondo mentre le stesse procedure applicate a campioni relativi a quote intermedie della colonna d’acqua non hanno mai evidenziato differenze significative tra piccoli e grandi volumi filtrati. Le due quote “critiche” sono quelle in cui, generalmente, la quantità di materiale organico presente, sia disciolto che particellato, è maggiore in quanto interessate, la prima, a processi di produzione fitoplantonica ed a rilascio di materiale sia organico che inorganico da parte dei ghiacci, e la seconda a processi di risospensione. Le discrepanze osservate potrebbero essere pertanto spiegate, come fatto da alcuni autori, considerando l’assorbimento da parte del filtro di materiale organico disciolto (in prevalenza di natura colloidale), tanto maggiore quanto minore è la superficie del filtro utilizzato. Inoltre, poiché le differenze osservate tra filtri grandi e filtri piccoli sono estremamente variabili, si può supporre che sia la composizione chimica del materiale particellato che la natura del materiale disciolto influiscano notevolmente sulla determinazione quantitativa del materiale particellato rendendo estremamente difficile individuare un fattore correttivo che possa rendere confrontabili i dati di concentrazione del particellato ottenuti filtrando volumi differenti di campione. 241 SM09 LA BIOMAGNIFICAZIONE DEL MERCURIO NEL MAR PICCOLO DI TARANTO Cristina Annicchiaricoa, Nicola Cardellicchio a, Antonella Di Leoa, Santina Giandomenico a , Luigi Guzzi b, Walter Martinotti b, Stefania Santoro a, Lucia Spada a a C.N.R. - Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, via Roma 3, 74100 Taranto b CESI RICERCA - Via Rubattino 54, 20134 Milano [email protected] L’interesse verso lo studio della contaminazione ambientale da mercurio è andato via via crescendo in questi ultimi anni in funzione dell’aumento delle emissioni del metallo in atmosfera, legato anche ad un maggior uso di carbone in processi di generazione elettrica. Di conseguenza, si è avvertita la necessità di approfondire gli studi del ciclo biogeochoimico del mercurio, soprattutto in ecosistemi “sensibili” dove, a causa di particolari condizioni ambientali, alta è la possibilità di formazione di metilmercurio. Da diversi anni è stato intrapreso nel Mar Piccolo di Taranto, esempio di bacino chiuso eutrofizzato, uno studio rivolto a valutare sia il grado di contaminazione dei sedimenti marini, sia i processi di metilazione del mercurio e la possibilità di accumulo del metallo negli organismi attraverso i meccanismi delle catene alimentari. A questo proposito, dopo indagini preliminari condotte sui sedimenti e rivolte ad individuare l’estensione della contaminazione, gli studi sono stati focalizzati su tutti quei fattori che possono in qualche modo influenzare il rilascio del mercurio all’interfaccia acqua-sedimento, ovvero ciclo della sostanza organica, potenziale redox, presenza di solfuri e batteri solfato-riduttori. L’analisi di speciazione, effettuata secondo lo schema proposto da Bloom, ha dimostrato che, in tutte le stazioni esaminate, le particolari condizioni ossido-riduttive dei sedimenti consentono che, anche in presenza di un eccesso di solfuri, la forma prevalente di mercurio sia il mercurio metallico, forma presumibilmente poco biodisponibile per gli organismi marini. Al fine di valutare le correlazioni tra lo stato di contaminazione dei sedimenti e l’accumulo di mercurio in organismi, specialmente bentonici, è stato studiato un tipico modello di catena alimentare marina caratteristico del Mar Piccolo di Taranto. I risultati ottenuti dimostrano come gli organismi di fondo, sia per fenomeni di contatto che per ingestione di particelle di sedimento, risultano più contaminati da mercurio. Il rischio per la popolazione umana è stato valutato determinando il mercurio e il metilmercurio in mitili, essendo il Mar Piccolo di Taranto una delle aree di mitilicoltura più importanti d’Italia. I risultati ottenuti dimostrano però che i livelli di contaminazione dei molluschi sono accettabili e compresi entro i limiti fissati dalle recenti normative. Ulteriori analisi, basate sulla determinazione di isotopi stabili del carbonio e dell’azoto, permetteranno di ricostruire le catene alimentari marine e i rapporti tra gli organismi esaminati. 242 SM10 VALUTAZIONE DELL’ACCUMULO DI POLICLOROBIFENILI (PCB) NEL POLICHETE Sabella spallanzanii Laura Trianni a, Santina Giandomenico b, Adriana Giangrande a, Nicola Cardellicchio b a Laboratorio di Zoologia e Biologia Marina, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali, Università del Salento, Via per Monteroni, 73100 Lecce b C.N.R. - Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, via Roma 3, 74100 Taranto I policlorobifenili (PCB) sono microinquinanti ubiquitari nell’ambiente, resistenti alla degradazione biologica, chimica e fotolitica. Utilizzati in passato per le loro caratteristiche fisico-chimiche in innumerevoli applicazioni industriali e commerciali (dispositivi elettrici, scambiatori di calore, plastiche, tinture) sono stati attualmente banditi, perchè dannosi per l’ambiente. A causa della loro natura lipofilica, i PCBs vengono adsorbiti in ambiente marino, sulla frazione organica del sedimento e dal particellato in sospensione, tendendo poi ad accumularsi nei compartimenti lipidici degli organismi. I PCB entrano così nella catena alimentare attraverso il fenomeno della biomagnificazione. Nel presente lavoro è stato valutato il livello di contaminazione da PCBs nel polichete filtratore Sabella spallanzanii (Gmelin). Tale invertebrato è un organismo sessile, filtratore, con corpo protetto da una struttura esterna. Queste caratteristiche biologiche sono simili a quelle dei mitili, molluschi più studiati e utilizzati in programmi di monitoraggio come bioindicatori. La concentrazione di PCB è stata determinata sia in sedimenti che nei policheti (porzione “corpo” e “tubo” ) prelevati da cinque località della costa pugliese soggette a diverso impatto antropico. In una di queste stazioni, inoltre, è stato valutato l’accumulo dei PCB in relazione alla taglia corporea e al periodo riproduttivo dell’animale. L’accumulo nei corpi e nei tubi dei policheti è risultato correlato alla concentrazione di inquinante presente nei sedimenti, secondo relazioni lineari altamente significative. I tubi sono in grado di accumulare inquinanti fino a 3.5 volte in più rispetto ai sedimenti, mentre i corpi presentano concentrazioni 60 volte superiori al livello di PCB nei sedimenti. L’accumulo di PCB, nei copri dei policheti, in funzione della taglia, ha rivelato che la concentrazione di inquinante cresce all’aumentare delle dimensioni corporee. Il confronto con mitili (Mytilus galloprovincialis) di taglia grande, prelevati dallo stesso sito di studio, ha evidenziato una concentrazione di PCB paragonabile a quella presente in S. spallanzanii di taglia piccola. Policheti appartenenti a taglia media o grande, quindi, sono in grado di accumulare PCB a concentrazioni da 3.7 a 5 volte superiori a quelle riscontrate in mitili di taglia grande. Inoltre, un confronto effettuato tra policheti e mitili in fase di riposo riproduttivo e durante il periodo di pre-spawning, ha mostrato come la concentrazione di PCB sia maggiore nei policheti in fase di riposo rispetto a quelli in fase di pre-spawning. Tali concentrazioni sono, inoltre, superiori rispetto a quelle riscontrate nei mitili nei diversi stadi del ciclo riproduttivo. Questi risultati preliminari sembrano incoraggiare l’ipotesi di individuare nel polichete S. spallanzanii un nuovo organismo bioindicatore. 243 SM11 CONTAMINAZIONE DA ELEMENTI IN TRACCIA IN SEDIMENTI ED ORGANISMI DEL MAR PICCOLO DI TARANTO: BIOACCUMULO E CONSIDERAZIONI ECOTOSSICLOGICHE Nicola Cardellicchioa, Antonella Di Leoa, Cristina Annicchiaricoa, Luigi Lopezb, Lucia Spadab a C.N.R. - Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, via Roma 3, 74100 Taranto. b Dipartimento di Chimica, Università di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari. e-mail:[email protected] Il Mar Piccolo di Taranto rappresenta un bacino interno, semichiuso a scarso idrodinamismo suddiviso in due seni, denominati “primo e secondo seno”. Il bacino è influenzato da input antropici di diversa natura legati ad attività cantieristiche, navali, militari e mitilicoltura. Queste attività rappresentano una fonte potenziale di contaminazione da metalli. Questi ultimi, presenti in genere in basse concentrazioni nella colonna d’acqua, tendono a concentrarsi nei sedimenti che fungono, conseguentemente, da serbatoio e da sorgente potenziale di contaminazione per gli organismi, soprattutto bentonici. Nel presente studio metalli pesanti (Hg, Pb, Cu, Ni, V, Cd, Cr e Zn) e metalloidi (As) sono stati determinati, mediante la tecnica ICP-MS, in sedimenti ed organismi marini, presenti nell’ambiente di studio ed aventi un rapporto più o meno stretto con il sedimento stesso (Mytilus, Pecten, Hexaplex, Aplysia, Sabella, Symphodus). Scopo del lavoro è stato quello di determinare il livello di contaminazione da metalli pesanti nel Mar Piccolo e di ottenere informazioni sul relativo bioaccumulo. I dati ottenuti relativi ai sedimenti sono stati confrontati con le Linee Guida “mean Sediments Quality Guidelines quotience” (mPELq, mERMq) al fine di individuare il livello di rischio del sito oggetto di studio. Concentrazioni preoccupanti sono state riscontrate in corrispondenza del primo seno, in particolare nelle stazioni influenzate dalle attività dell’Arsenale Militare. I risultati mostrano che particolari organismi tendono ad accumulare determinati metalli: V, Pb, Ni e Hg per le alghe, As per la Sabella, Cd e Zn per Murex. Il confronto con le Linee Guida Internazionali evidenzia un frequente rischio ecotossicologico, soprattutto nelle stazioni a maggior impatto del primo seno. Il calcolo dei quozienti PELq ed ERMq, ha permesso di confermare l’elevata contaminazione del sito da cui la necessità di interventi di salvaguardia e decontaminazione. Bibliografia Di Toro, D.M.; Zarba, C.S.; Hansen, D.J.; Berry, W.J.; Swartz, R.C.; Cowan, C.E. Environ Toxicol Chem. 1991, 10, 1541– 83. Long, E.R.; MacDonald, D.D.; Smith, S.L.; Calder, F.D. Environmental Management, 1995, 19(1), 81-97. Mountouris, A.; Voutsas, E.; Tassios, D. Mar. Poll. Bull. 2002, 44, 1136-1141. 244 SM12 STUDIO DELLA DISTRIBUZIONE DEI LIVELLI DI CONCENTRAZIONE DI IPA IN 5 CAROTE DI SEDIMENTO PRELEVATE NEL GOLFO DI TARANTO N. Cardellicchio a, S. Giandomenico a, L. Lopez b, F. Pizzulli b, L. Spada b a Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto dell’Ambiente Marino Costiero, Via Roma 3, 74100 Taranto. b Università degli Studi di Bari, Dipartimento di Chimica, Via Orabona 4, 70126 Bari Le concentrazioni dei 15 IPA, indicati dall’EPA come inquinanti prioritari più il benzo(e)pirene, sono state determinate in cinque carote di sedimento campionate nell’area marino-costiera della città di Taranto. In particolare, 4 carote sono state campionate nel primo seno del Mar Piccolo (MP01, MP02, MP03, MP04) e una nel Golfo di Taranto (GT01). Il rateo di sedimentazione per i sedimenti è stato determinato tramite i profili attività-profondità del 210Pb e del 137Cs. Al fine di valutare l’origine della contaminazione da idrocarburi policiclici aromatici, è stato applicato il metodo di “fingerprinting”che consente, attraverso lo studio di particolari rapporti tra i vari IPA, di risalire alle probabili fonti responsabili dei livelli di inquinamento riscontrati. Le concentrazioni più elevate di IPA totali (65587 ng g-1 p.s.) sono state determinate nella carota GT01, prospiciente l’area industriale di Taranto. Nelle carote del Mar Piccolo, i valori massimi di concentrazione degli IPA risultavano inferiori e compresi tra 3845 ng g-1 p.s. e 21744 ng g-1 p.s.. In generale gli strati più contaminati sono risultati quelli superficiali, intorno ai 10 cm di profondità, tranne che nelle carote MP01 e MP03 del Mar Piccolo, dove lo strato più inquinato risulta quello compreso tra i 40 e 45 cm. L’utilizzo del metodo di “fingerprinting” ha evidenziato che nell’area costiera tarantina, gli IPA hanno prevalente origine pirogenetica. La datazione dei sedimenti ha consentito di ricostruire il trend storico della distribuzione degli idrocarburi nelle varie carote, identificando il ventennio 1960-1980 come periodo di maggiore immissione di questi inquinanti nell’ambiente marino costiero. 245 SM13 EFFECTS OF COMMERCIAL AND PURIFIED NANOSIZED CARBON BLACK (NCB) ON MOLLUSCAN IMMUNOCYTES Laura Canesia*, Caterina Ciaccib, Michele Bettib, Rita Fabbria, Giulio Poianac, Antonio Marcominic a b Dipartimento di Biologia, Università di Genova; Istituto di Scienze Fisiologiche, Università “Carlo Bo” di Urbino; c Università Ca’ Foscari di Venezia. Carbon black (NCB) has widespread applications in both industrial and domestic products, such as rubber products (mainly tyres and fabrics), inks, paints and plastics. The ultrafine and nanosized carbon black is recently substituting the larger µ-sized counterpart in many of these products, since its superior performances. Increasing environmental exposure to NCB raised concern on their possible mechanisms of toxicity and consequent health hazard not only in humans, but also in aquatic animals. In this work, a detailed chemical characterization of NCB was performed by applying both GC and HPLC coupled with Mass Spectrometry in order to detect organic impurities of potential toxicity. The biological effects of commercial cNCB and purified pNCB (1-10 µg/ml) were evaluated on the immunocytes of the mollusc Mytilus. Significant uptake of both cNCB and pNCB was observed without significant cytotoxic effects. Moreover, NCB induced hydrolytic enzyme release, oxidative burst and nitric oxide (NO) production, indicating stimulation of the immune function leading to inflammatory processes. Although some differences in the extent and time course of the response to cNCB and pNCB were observed, the results indicate that the impurities associated to cNCB do not play a major role in mediating the biological effects. Other factors., such as shape, surface area, porosity, etc. may be involved in determining the interactions of NCB with biological systems. 246 SM14 MIGRAZIONE GLOBALE IN SIMULANTI ALIMENTARI DI MANUFATTI POLIMERICI MONOUSO Anna Farina a, Carmela Cavaliere a, Oriana Motta b, Mario Capunzo b, Francesco De Carob, Antonio Proto a a Dipartimento di Chimica, b Dipartimento di Scienze dell’Educazione Università degli Studi di Salerno, via P.Don Melillo 84084 Fisciano (SA) e-mail: [email protected] I contenitori per alimenti possono contenere sostanze a basso peso molecolare utilizzate per migliorare le caratteristiche del materiale stesso. Tali sostanze possono diffondere dal manufatto all’alimento e causare problemi tossicologici al consumatore o, più semplicemente, variazioni organolettiche dell’alimento. In questo lavoro sono stati studiati gli effetti del tempo e della temperatura sulla migrazione globale da manufatti commerciali a base di polistirene (PS), polipropilene (PP) e contenitori di vetro per alimenti. Sono stati inoltre analizzati manufatti a base di PS variamente colorati. Le prove sono state eseguite a temperature di contatto costanti (40°, 70° e 100°C) e tempi di contatto variabili, utilizzando acqua, soluzioni acquose al 3% di acido acetico e 15% di etanolo per simulare le proprietà estrattive degli alimenti. I risultati ottenuti mostrano che la quantità di sostanza rilasciata per unità di superficie segue l’andamento tipico della legge di diffusione di Fick, pertanto la migrazione può essere considerata come un processo dinamico. I valori di migrazione globale di tutti i campioni analizzati, posti in commercio da diversi produttori, rispettano i limiti imposti dal Decreto del Ministero della Sanità del 21 Marzo 1973 “Disciplina igienica degli imballaggi, recipienti, materiali, destinati a venire in contatto con le sostanze alimentari o con sostanze d’uso personale”. Tuttavia si evidenzia che i manufatti colorati, per restando entro i limiti di legge, presentano generalmente valori della migrazione globale maggiori di quelli non colorati. Bibliografia Vijayalakshmi, N.S.; Baldev Raj, P. Ravi and Mahadeviah M. Deutsche Lebensmittel-Rund Schau ,1999, 95 Jahrgang, Heft 1, 22-26 Cwiek-Ludwicka K; Jurkiewicz M; Stelmach A; Poltorak H; Mazanska M. Rocz Panstw Zakl Hig. 2002; 53(1):47-58. Robertson.G.L. Fick’s law in migration. Ed.Marcel Dekker Publ.1985/2005 624(20) Robert.A. Food packaging migration and legislation. Pira international (2)26-27 Schlotter, N.E.; Furlan, P.Y., Polymer 1992, 3, 3323-3342. 247 SM15 CARATTERIZZAZIONE CHIMICO-FISICA DELLE ACQUE DI FALDA NEL SALENTO Alessandro Buccolieria, Giovanni Buccolieria, Nicola Cardellicchiob, Dario Corlianòa a Università del Salento, Dipartimento di Scienza dei Materiali, via per Monteroni, 73100 Lecce. E-mail: [email protected] b C.N.R.-I.A.M.C., Sede di Taranto, via Roma n. 3, 74100 - Taranto Le acque di falda circolanti nel Salento, territorio privo di significativi corsi d’acqua superficiali, rappresentano la principale risorsa d’acqua per scopi potabili e irrigui. La ricchezza delle acque sotterranee è stata compromessa da un uso incontrollato della risorsa stessa, caratterizzato da prelievi eccessivi e non pianificati che in prossimità della costa possono provocare il richiamo della sottostante acqua marina causando la salinizzazione delle falde. La qualità di questa risorsa è andata progressivamente peggiorando anche a causa dell’impiego crescente, a volte irrazionale, di pesticidi e concimi chimici. Per tali ragioni, nel 1991 è stato intrapreso il monitoraggio delle acque sotterranee del Salento al fine di valutarne la loro qualità, il possibile impiego per usi irrigui e i fenomeni di salinizzazione. Nel presente lavoro sono illustrati i risultati dell’ultima campagna di indagine svolta nel Maggio 2006 su quindici significativi pozzi artesiani del comprensorio di bonifica della provincia di Lecce “Ugento e Li Foggi” con l’obiettivo di effettuare la classificazione delle acque in base alla normativa proposta dalla FAO per usi irrigui [1], valutare eventuali variazioni del livello piezometrico, i fenomeni di intrusione in falda di acqua di mare e la contaminazione da concimi chimici rispetto a indagini precedenti [2]. Sui vari campioni sono stati determinati pH, conducibilità elettrica, solidi totali a 180 °C, ioni calcio, magnesio, sodio, potassio, bicarbonato, bromuri, fluoruri, cloruri, solfati, nitrati, fosfati, ammoniaca, silice, durezza totale, Al, As, Be, Cd, Cr, Cu, Fe, Li, Mn, Mo, Ni, Pb, Se, Sn, Sr, Ti, Tl, V e Zn. Per valutare la salinità delle acque sono stati calcolati anche i parametri S.A.R. (rapporto di assorbimento di sodio) e R.S.C. (carbonato di sodio residuo), mentre per l’intrusione di acqua marina in falda sono stati presi in considerazione il limite di Todd e i rapporti ionici Na+/Cl- e SO42-/Cl-. Per una migliore visualizzazione dei risultati e per cercare di evidenziare aree con particolare vulnerabilità i dati ottenuti sono stati elaborati mediante il software GIS e le tecniche statistiche multivariate Bibliografia [1] FAO, 1994. “Water quality for agricolture - FAO irrigation and drainage”. Ayers R.S. e Westcot D.W., 29, Rev. 1, Reprinted 1989. [2] Buccolieri, A.; Buccolieri, G., Cardellicchio N.; Maci A. Annali di Chimica. 2005, 95, 227-237. 248 SM16 CONTAMINAZIONE DA COMPOSTI ORGANOSTANNICI E INQUINANTI ORGANICI PERSISTENTI (PCB, IPA, PESTICIDI CLORURATI) IN MOLLUSCHI GASTEROPODI AFFETTI DA IMPOSEX PRELEVATI LUNGO LA COSTA SLOVENA Seta Noventaa, Elena Centannia, Elisa Pistolatoa, Francesca Garaventab, Marco Faimalib, Bruno Pavonia a Università Ca’ Foscari di Venezia, Dipartimento di Scienze Ambientali – Calle Larga S. Marta 2137, Venezia, Italia b CNR - Istituto di Scienze Marine, Dipartimento di Tecnologie Marine – Via de Marini 6, Genova, Italia * e-mail: [email protected] Il fenomeno dell’imposex consiste nella sovrapposizione di caratteri sessuali maschili sull’apparato genitale femminile di molluschi gasteropodi. Tale fenomeno, riportato in letteratura per più di 63 generi e 150 specie di gasteropodi prosobranchi1, è un chiaro esempio di perturbazione del sistema endocrino notoriamente associato alla presenza di composti organostannici (OTC) in ambiente marino-costiero. Alcuni studi hanno evidenziato che anche altri composti possono intervenire nell’induzione di tale fenomeno2,3. Partendo da questa osservazione, gli autori hanno condotto uno studio di carattere epidemiologico4 ipotizzando un possibile contributo al fenomeno anche da parte di inquinanti organici persistenti, quali policlorobifenili (PCB), idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e pesticidi clorurati, recentemente riconosciuti come agenti perturbatori del sistema endocrino. In questo lavoro sono stati campionati organismi appartenenti alla specie Hexaplex trunculus in sei stazioni poste lungo il litorale sloveno con lo scopo di approfondire tale ipotesi. Sugli organismi sono state condotte analisi biologica per la determinazione del sesso e del grado di imposex e analisi chimiche per valutare le concentrazioni di OTC, PCB, IPA e pesticidi clorurati nei tessuti degli organismi. Per ciascuna stazione sono stati calcolati gli indici di popolazione VDSI (Vas Deferens Sequence Index, media degli stadi di imposex nella popolazione campionata) e RPSI (Relative Penis Size Index, rapporto percentuale del cubo della lunghezza media del pene femminile e maschile). Le popolazioni di H. trunculus dell’area slovena sono risultate profondamente colpite dal fenomeno di imposex, coinvolgendo la totalità delle femmine campionate e con valori di VDSI e RPSI che variano tra 4.6±0.3 e 4.9±0.3 e tra 20 e 70, rispettivamente. Le analisi chimiche hanno rilevato concentrazioni piuttosto variabili di OTC (123±6÷425±27 ng Sn g-1 d.w.), PCB (18±2÷239±6 ng g-1 d.w.), IPA (31±1÷856±70 ng g-1 d.w.) e pesticidi (2.0±0.2÷9.0±0.8 ng g-1 d.w). Dal confronto dei dati chimici con quelli biologici è emersa una buona correlazione tra RPSI e concentrazioni di OTC e PCB (rispettivamente r=0.95 e r=0.92, p<0.05) e tra VDSI e pesticidi (r=0.93, p<0.05). 1 Schulte-Oehlmann, U.; Tillmann, M.; Markert, B.; Oehlmann, J.; Watermann, B.; Scherf, S. Ecotoxicolog 2000, 9, 399-412 2Nias, D.J.; McKillup, S.C.; Edyvane, K.S. Mar. Pollut. Bull. 1993, 26, 380-384 3 Evans, S.M.; Kerrigan, E.; Palmer, N. Mar. Poll. Bull. 2000, 40, 212-219 4 Maran, C.; Centanni, E.; Pellizzato, F.; Pavoni, B. Environ. Toxicol. Chem. 2006, 25, 486495 249 SM17 LAGO DI COMO: STUDIO DELLA DISTRIBUZIONE E DELLA SPECIAZIONE DI METALLI IN TRACCIA NEL BACINO LACUSTRE MEDIANTE ANALISI MULTIVARIATA Barbara Giussani, Damiano Monticelli, Elena Ciceri, Andrea Credaro, Laura Rampazzi, Andrea Pozzi, Sandro Recchia, Carlo Dossi Dipartimento di Scienze Chimiche e Ambientali, Università degli Studi dell’Insubria via Valleggio 11, 22100 Como e-mail: [email protected] Dal dicembre 2001 il gruppo di ricerca di Chimica Analitica dell’Università degli Studi dell’Insubria si è dedicato allo studio del Lago di Como e, in particolare, della distribuzione di metalli in traccia nei differenti comparti ambientali quali acqua e sedimento. Lo studio ha interessato le acque lacustri, allo scopo di valutarne la composizione ionica e la distribuzione di metalli in traccia di interesse ambientale quali nichel, cobalto, ferro, manganese, rame e uranio lungo la colonna. Sono stati condotti, inoltre, studi di speciazione per determinare la distribuzione dello ione rame tra le diverse forme chimiche nelle acque lacustri: acquoione, complessi inorganici labili e organici forti. L’indagine è stata estesa alle acque degli immissari del lago, alla ricerca di informazione riguardo le fonti dei metalli oggetto di indagine: i campionamenti eseguiti nell’arco di un anno hanno permesso di studiarne, oltre la composizione chimica, anche la variabilità temporale. Sono stati considerati, infine, i sedimenti lacustri, archivi ambientali in grado di immagazzinare informazione riguardo il passato dell’intero ecosistema. Le analisi chimiche sono state condotte mediante Cromatografia Ionica (IC), Spettrometria di Assorbimento Atomico con Atomizzazione Elettrotermica (ETAAS), Voltammetria di Ridissoluzione Catodica (ACSV) e Spettrometria di Massa con Sorgente al Plasma (ICP-MS). Per le analisi di speciazione dello ione rame è stata impiegata la tecnica di equilibrio competitivo dei leganti con determinazione voltammetrica della frazione labile. La fase di analisi è stata preceduta da una lunga fase di ottimizzazione delle metodiche analitiche impiegate a partire dalle procedure di campionamento, di conservazione del campione e di pretrattamento, per garantire accuratezza e precisione dei dati analitici ottenuti. A causa della complessità e del grande numero di dati ottenuti, sono state impiegate tecniche di analisi multivariata quali Analisi in Componenti Principali (PCA) e metodi three-way (Tucker3) per studiare la relazione tra la composizione chimica delle acque lacustri, delle acque superficiali e dei sedimenti. 250 SM18 CONTAMINAZIONE DA COMPOSTI ORGANOSTANNICI IN MOLLUSCHI BIVALVI DELLA LAGUNA DI VENEZIA Francesca Zanona, Nadia Radoa, Elena Centannib, Nadezhda Zharovab, Bruno Pavonib a ARPAV - Dipartimento Regionale Laboratori - Servizio Laboratorio Provinciale di Venezia Via Lissa, 6, Mestre (Venezia) b Università Ca’ Foscari di Venezia, Dipartimento di Scienze Ambientali Calle Larga S. Marta 2137, Venezia * e-mail: [email protected] Negli anni sessanta sono state introdotte nel mercato vernici antivegetative a base di tributilstagno (TBT), studiate per limitare la formazione del fouling sugli scafi delle imbarcazioni e, in generale, su tutte le superfici sommerse; anche il trifenilstagno (TPhT), un tempo usato essenzialmente in agricoltura, è stato introdotto nelle vernici antifouling, come cobiocida (Morcillo e Porte, 1998). Nel 1975 sono stati osservati in ostriche Crassostrea gigas, nella molluschicoltura della baia di Arcachon in Francia, i primi effetti nocivi dovuti ai composti organostannici (Alzieu, 1998). Negli anni successivi la presenza di queste sostanze nell’ambiente acquatico fu correlata alla comparsa di caratteri sessuali maschili nelle femmine di molluschi gasteropodi, fenomeno noto come imposex. Attualmente l’imposex è stato registrato in 118 specie appartenenti a 63 generi (Terlizzi et al., 1998). Tra il 1999 e il 2003, in un periodo di 5 anni e con frequenze di campionamento anche stagionali, sono stati campionati in 20 stazioni distribuite nell’intera area della Laguna di Venezia molluschi bivalvi eduli appartenenti alle specie Mytylus Galloprovincialis e Tapes sp.. Gli obiettivi dell’indagine sono stati: valutare la contaminazione da composti organostannici nei tessuti di questi organismi nel periodo precedente l’entrata in vigore della normativa europea sulla limitazione dell’uso di composti organostannici nelle vernici antivegetative; monitorare la variazione dei livelli di concentrazione di tali composti in organismi commestibili e valutare il potenziale rischio per la salute umana dovuto al loro consumo. Nei mitili sono state rilevate delle concentrazioni che variano tra 38±8 e 6700±1300 µg kg-1 d.w., come catione (TBT+) e risultano significativamente più alte (ANOVA, p<0.05) di quelle osservate nelle vongole (6±1 ÷ 2300±400 µg TBT+ kg-1). Nell’arco di tempo considerato non sono state osservate variazioni statisticamente significative delle concentrazioni di composti butilici per alcuna delle due specie analizzate (ANOVA, p>0.05). Il confronto delle concentrazioni di TBT rilevate con il Tolerable Average Residue Level (TARL, Belfroid et al., 2000) evidenzia in alcune stazioni un potenziale rischio per la salute umana associato al consumo di Mytilus galloprovincialis. Bibliografia Alzieu, C. Ocean Coast. Manage. 1998, 40, 23-36 Belfroid, A.C.; Purperhart, M.; Ariese, F. Mar. Pollut. Bull. 2000, 40, 226-232 Morcillo, Y.; Porte, C. Trend Anal. Chem. 1998, 17, 109-116 Terlizzi, A.; Geraci, S.; Minganti, V. Mar. Pollut. Bull. 1998, 36, 749-752 251 SM19 THE ECODONET PROJECT: DEVELOPMENT OF A MODEL WEB BASED VIRTUAL OBSERVATORY OF ACHERONTAS, KALAMAS AND TORRE GUACETO ECOSYSTEMS AND ITS APPLICATION AS A MOBILE EXHIBIT AND PERMANENT ENVIRONMENTAL KIOSK TOWARDS PUBLIC AWARENESS AND SUSTAINABLE DEVELOPMENT OF COASTAL ECOSYSTEMS Dimitris Karamanisa, Giuseppe Meleb, Panayotis Assimakopoulosa, Kostas Ioannidesa, Apostolos Katsikisa, Ioannis Leonardosa, Chrisanthy Papadopouloua, Kostas Stalikasa, Kostas Stamoulisa, Cosimino Malitestac, Rosaria Anna Piccac, Lorenzo Vasanellib, Giuseppe Vasapollob, Eleonora Margapotib, Nikos Kotsiosd, Alechandra Koroud, Kostas Griniase, Evaggelos Mellose, Alessandro Ciccolellaf a The University of Ioannina, 45110 Ioannina, Greece; bUniversity of Salento, Department of Innovation Engineering, via Arnesano, 73100 Lecce, Italy, cUniversity of Salento, Department of Material Science, via Arnesano 73100 Lecce, Italy; dManagement Authority of Kalamas and Acherontas Ecosystems, 46100 Igoumenitsa, Greece; eIgoumenitsa Port Authority, 46100 Igoumenitsa, Greece; fManagement Authority Consortium AMP of Torre Guaceto, via S. Anna 6, 72012, Carovigno (Brindisi) Italy e-mail: [email protected] and [email protected] The preservation of the environment has become an important challenge for modern society. To address this complex problem involving researchers, public and the environment, a close interdisciplinary collaboration approach is required. In this context, the ECODONET project has been initiated with a complete community-based, Internet-served monitoring strategy that involves all aspects of a typical monitoring strategy: data input, analysis of monitoring data, presentation of results, community training and involvement, cartographic visualization, and access via the Internet. Future upgrades are also planned which include the system integration with decision support based on knowledge-based systems, inclusion of capabilities for remote sensing of ecosystems and its expansion with more ecosystems from the Epirus and Apulia regions. Aims of the ECODONET project consist in the improvement of the management, protection and sustainability of Acherontas, Kalamas and Torre Guaceto ecosystems. The objective will be first accomplished via satellite and investigative identification of the current ecosystems quality. Furthermore, a mobile Web based virtual observatory with simplified scientific ecosystem information will be developed. This hand on mobile exhibit will be model used to motivate and train specific groups of local population in the region of Acherontas-Kalamas and Apulia region. The expected result will be the establishment of a regional electronic network of volunteers and stakeholders and the foundation of a Community Based Ecosystem Monitoring Network (CBEM). The EcoDO system audience will eventually be expanded with the installation of permanent electronic environmental information kiosks. Acknowledgement This work is supported by the Greece-Italy Interreg IIIA Community Initiative programme. 252 SM20 INFLUENZA DELLE CARATTERISTICHE SITO-SPECIFICHE SULLA METILAZIONE DEL MERCURIO IN ECOSISTEMI ACQUATICI FLUVIALI L. Guzzi - W. Martinotti CESI RICERCA SpA- Dipartimento Ambiente e Sviluppo Sostenibile Via Rubattino 54, 20134 Milano La presenza del mercurio nell’ambiente è fonte di preoccupazione in quanto pone potenziali rischi per la salute umana e per la vita animale in generale. Le sorgenti di mercurio sono sia di origine naturale (vulcani, evaporazione dalla crosta terrestre e dai corpi d’acqua, ecc.) che antropogenica (emissioni da impianti produttivi e di combustione). Il mercurio è un metallo presente in pressoché tutte le componenti ambientali (aria, suolo, acqua, organismi) e “circola” tra loro partecipando a svariati processi biogeochimici. La chimica del mercurio è abbastanza complessa. Questo metallo può trasformarsi in differenti specie chimiche ciascuna caratterizzata da peculiari proprietà. Di tutte le specie chimiche, quella del metilmercurio è ritenuta la più pericolosa dal punto di vista della tossicità. Il metilmercurio, bioaccumulato nei tessuti degli organismi acquatici, viene biomagnificato nei livelli più elevati alti delle catene alimentari. Il consumo di animali contaminati rappresenta la principale via di esposizione per la popolazione umana. Nonostante oggi molto si conosca sul comportamento ambientale del mercurio, i più recenti studi indicano che occorre ulteriormente approfondire la conoscenza di questo elemento in relazione soprattutto alle modalità del suo trasporto e destino finale. Nell’ambito delle attività di “Ricerca di Sistema” per il settore elettrico*, è stato avviato da CESIRICERCA un programma avente come obiettivo la qualificazione sperimentale, in tre tipologie di ecosistemi acquatici fluviali “campione”, di un “indicatore” sintetico dell’efficienza complessiva di metilazione del mercurio in rapporto ai principali fattori strutturali e funzionali dell’ambiente (entità delle deposizioni, uso del territorio, qualità delle acque). A tal fine, sono stati individuati e caratterizzati i bacini imbriferi “campione” del torrente Agogna (Piemonte), del fiume Vara (Liguria-Toscana) e del fiume Cesano (Marche), sui quali sono in corso campagne sperimentali di prelievo e misura. 253 254 INDICE DEGLI AUTORI 255 256 Autori pagina Autori pagina Abate S. Acanfora D. Adami G. Adduci F. Agostiano A. Aiossa M. Albertano P. Alfano D. Alfano M. Al-Horr R. Alisi C. Almeida C.M.R. Alonzo G. Alparone A. Amadori M.L. Amodio M. Andreotti A. Andriani E. Annicchiarico C. Antiochia R. Anzilotta G. Argese E. Assimakopoulos P. Augenti A. Avino P. 225 209 224, 240 57, 78, 83 51, 220 206 75, 110, 111 65 65 227 46, 79 32 199 88 130 59, 69, 178 76 147 242, 244 44 208 200 252 118 145 Bergamin L. Bergamo A. Bernardello M. Bernardi E. Berto D. Berzioli M. Bestetti G. Betti M. Bianco G. Biandolino F. Blo G. Bolelli L. Bolzacchini E. Bacci G. Badetti C. Baglioni P. Bagnuolo G Baldacci D. Balducci C. Balest L. Balzarini A. Bandiera A. Baraldi P. Baravelli V. Barbabietola N. Barbieri L. Barbieri P. Barile N.B. Bartolucci U. Bastianoni S. Becagli S. Bedini S. Bellezza S. Bellusci D. Belosi F. Benedetti A. Benedetti V. Beneduci A. Benincasa M.A. 115 210 85 54 135, 136, 179 138, 142 92 155 68, 192 55 198 79 161, 164 68, 169, 192, 240 42, 222 76, 81 233 168, 171, 172 200 75, 110, 111 106 139 137 135 127 174 193, 197 62 43 141 40, 43 99 206 89, 246 225 215 218 42, 222 71,153,154,155,160, 162, 167 171 76 61 48 44, 56, 174, 190 112 178 67, 104 147, 158 40 90 54 59, 69, 147, 158, 178 190, 206 211, 212, 213 51, 57, 62, 78, 83, 146, 238, 248 51, 57, 62, 78, 83, 146, 238, 248 170 Bommarito C. Bonaduce I. Bonanni P. Bonserio C. Borzetti F. Boschetti C. Bove B. Brai M. Brattoli M. Brigolin D. Brivio S. Brunetti G. Bruno P. Bruzzese N. Bruzzoniti M.C. Buccolieri A. Buccolieri G. Buonocore M. Cacace C. Cacciari A. Calabrese D. Calace N. Calisi A. Calliari I. Calzaretti G. Cambini G. Cameletti M. Campanella L. Campani E. Canesi L. Cantoni C. Capunzo M. Caracciolo R. 257 61 167 166 241 214 121 215 114 154 34, 44, 56, 58, 122, 123, 124, 125, 173, 174, 186, 190, 205, 206 66, 99, 100, 101 89, 246 240 247 201 Covelli S. Cozzi S. Cozzutto S. Credaro A. Cremonesi P. Crisci A.M. Critto A. Croveri P. Cardellicchio N. 93, 146, 170, 201, 215, 242, 243, 244, 245, 248 Caretto N. 174, 190 Carlson R. 228 Carofalo I. 62 Carretti E. 85 Caruso F. 129 Casaletto M.P. 129 Casalino E. 215 Caselli M. 59, 69, 70, 143, 147, 158, 176, 178 Casoli A. 66, 99, 100, 101 Castellano A. 57, 78, 83, 238 Castellano E. 171, 172 Cataldi T.R.I. 225 Causà M. 185 Cavaliere C. 247 Cavalli S. 227, 228, 229 Ceccarini A. 76, 218 Ceccato D. 179 Cecchetti G. 149 Ceci L.R. 51, 221 Cecinato A. 138, 142 Celic L. 240 Centanni E. 43, 249, 251 Ceron A. 193, 197 Cerri O. 171, 172 Cesareo R. 57 Cesari D. 139, 157 Chelazzi D. 85 Chiantore O. 73, 102, 107 Chiaradia M.T. 223 Chiari M. 168, 171, 172 Chiavari C. 141 Ciacci C. 89, 246 Ciancio Rossetto P. 124 Ciavatta S. 94, 210 Ciccolella A. 252 Ciceri E. 250 Cincinelli A. 45, 168, 172 Cinelli G. 145 Clemenza M. 71 Colombini M.P. 76, 81, 114, 115 Colombo C. 81 Contado C. 218 Conti C. 81 Conti M.E. 149 Contini D. 139, 157 Corlianò D. 248 Corradi A. 112, 161, 164 Corrocher E. 50 Corti C. 116 Cosma P. 223 Costa C. 218 Costanza C. 58, 122, 123, 125 40 240 68 250 35, 99, 100 178 39 102 D’Aguanno A. 58, 123, 125 D’Amico S. 150, 151, 152, 175 Dambruoso P.R. 59, 178 Daresta B.E. 59, 176 De Bartolomeo A.R. 239 De Carlo R.M. 211, 212, 213 De Caro F. 247 De Caro T. 129 De Gennaro G. 59, 69, 143, 147, 158, 176, 178 De Gennaro L. 147, 158 De Gregorio M. A. 63 De Leonibus M.A. 147, 158 De Marco A. 157 De Pasquale V. 223 De Tomasi F. 176 De Tommaso B. 54 De Vitis L. 87, 202 Degano I. 114, 115 Del Bubba M. 45, 168 Del Moro G. 47 DeLeo F. 51, 221 Dell’Atti A. 51, 62, 146, 238 Della Torre C. 192 DellaGreca M. 95 Di Gennaro P. 206 Di Giulio M. 83, 239 Di Iaconi C. 47, 92 Di Leo A. 215, 242, 244 Di Monte L. 68 Di Nicolantonio W. 167 Di Nuzzo G. 178 Di Sabatino S. 176 Di Sarra A. 171 Diamanti A. 75, 110, 111 Digilio D. 114 Donateo A. 139 Dondi F. 64, 218 Dorich B. 228 Dossi C. 250 Doumett S. 45 Dragone R. 56, 186 Duane M. 155 Emblico L. Epifani E. 258 151 202 Errani E. Erroi E. Esposito V. 137 216 87, 202 Fabbri B. Fabbri D. Fabbri R. Facchini M.C. Fachechi L. Faimali M. Falace A. Famà L. Fanelli C. Fantazzini P. Fantinati A. Farina A. Fassò A. Favara A. Febo A. Feo M. L. Fermo P. Ferrari G. Ferrari S. Ferrero L. Ferri E. Ferrini B. Fibbi D. Figliola P. Filippo E. Fiorentino M. Fiori C. Fiorilli S. Fonti P. Foresti E. Forgione A. Formalewicz M. Formigoni D. Francioso S. Francis E. Franz L. Frazzoli C. Fumo M.G. Fungi M. Fuoco R. 137 198 246 151 106 249 192 120 106 67, 104, 199 50 65, 247 154 76 176 49 63 210 165 71, 153, 154, 155, 160, 162, 167 42 71, 155, 160, 162, 167 45 200 70, 239 237 118 212 42 152 176 43 193 139 228 193, 195, 197 186 42 211 218 Gaddi R. Gallerani R. Galli P. Gallo G. Gallucci M.C. Gamper U. Garaventa F. Garrone E. Gasparini G. 61 51, 221 56 89 127 200 249 212 169 Gatta T. Genga A. Germani F. Ghezzi P. Ghigo G. Ghirlanda S. Giandomenico S. Giangrande A. Giani M. Giannini M. Giannoni M. Giannossa L.C. Gigliotti S. Ginnasi M.C. Giordana A. Giordano M.E. Giorgi R. Giotta L. Giovagnoli A. Girardini M. Girotti S. Giussani B. Gombia M. Gramatica P. Greco S. Grifa L. Grinias K. Grossi R. Gualandi I. Guzzi L. Guzzo M. 124 84, 118, 157, 217 193, 197 44 185 227, 228, 229 242, 243, 245 243 40, 43 196 168, 172 117 127 108, 109 185 214, 216 85 51, 220 61 193, 195, 197 42, 222 116, 250 67, 199 86, 183, 184 106 201 252 124, 125, 174 137 235, 242, 253 116 Henderson S. 228 Iacobucci M. 149 Iacopini S. 77 Iannece P. 209 Ielpo P. 59, 70, 143, 176, 178 Iesce M. R. 95 Imperatore A. C. R. 176 Ingo G.M. 129 Ingrosso G. 202 Ioannides K. 252 Italiano F. 51, 220, 221 259 Janssens K. Joseph E. Jun L. 52 77, 119 189 Kamseu E. Karamanis D. Katsikis A. Kendix E. 112 252 252 119 Korou A. Kotsios N. 252 252 La Robina M. Laganara C. Lancellotti I. Larsen B. Latanza F. Laviano R. Lazzati Z. LoCoco F. Lonero F. Lopez A. Lopez L. Loro F. Lorusso L. C. Lorusso S. Losacco A. M. Lovato T. Lucarelli F. Łucejko J.J. 161 84 161, 164 155 207 117 71, 153, 154, 155, 162 217 173, 205 57, 78, 83, 238 252 112, 161 45, 168, 172 152 88, 108, 150, 151, 175 214, 216 183 71, 153, 154, 155, 162 68, 169, 224, 240 106 47, 92 93, 170, 207, 244, 193, 197 89 82, 113 48 94 168, 171, 172 115 Maccotta A. Maffei A. Magrini M. Maiolini E. Malitesta C. Mancusi C. Mancuso S. Mangani F. Mangani G. Mangiamele L. Mangone A. Manigrassi D. Manno D. Mantovani A. Manzo S. Maranzana A. Marchettini N. Marcomini A. Marelli M. 67, 104, 199 87, 202 121 42 54, 252 178 45 130 219 178 84, 117 166 70, 120, 239 186 46 185 234 39, 50, 89, 246 116 Lazzoi M. Lelo D. Leo L. S. Leonardos I. Leonelli C. Lepri L. Lesci I.G. Librando V. Lionetto M.G. Liu H. Lo Porto C. Margapoti E. Marino F. Marrale M. Marrocchi A. Martellini T. Martini C. Martini E. Martinotti W. Mascilongo G. Mascolo G. Massimi C. Matarrese R. Matteucci C. Mazzeo R. Mele G. Mellos E. Miceli A. Micheletti C. Milano F. Mingoia F.M. Minniti Z. Minuti L. Missori M. Montanari M. Montanaro S. Monticelli D. Morselli L. 160, 152, 160, Motta G. Motta O. Mucha A.P. Muolo M. Murphy B. Musella R. Musetti A. 237, 252 171 67, 104 108, 109 168, 172 141 44, 205 242, 253 222 54, 92 186 223 82, 113 77, 119 189, 237, 252 252 217 39, 94 51, 220 129 150, 151, 152, 175 108, 109 125 105, 106 95 250 31, 141, 164, 165, 194, 198 178 65, 209, 247 32 48, 196 228 46 136 Nassisi V. Natali A. Nava G. Nava S. Negro C. Nerone E. Nervegna G. Nicolì M. Notardonato I. Noventa S. 83 82, 113 126 168, 171, 172 217 222 138, 142 202 145 43, 249 Onida B. Orlandi M. 212 160 Paccagnella F. Pace G. Pagnoni A. Palazzo M. Palla M.F. 55 225 218 237 130 245 260 Palleschi G. Palma A. Palmisano L. Paludi A. Paolillo V. Papa E. Papacchini M. Papadopoulou C. Pappalettere C. Paradisi L. Parenza A.E. Parmeggiani S. Pasquariello G. Passamano M. Passarini F. Pasti L. Pastres R. Pavoni B. Pedron F. Perrini G. Perrone M.G. Perrone M.R. Petraccone S. Petraroia S. Petronio B.M. Petruzzelli G. Piazzalunga A. Picca R.A. Piccari L. Pietrantonio M. Pietroletti M. Pignolo G. Pilutti P. Pinzari F. Pisani F. Pisoni E. Pistolato E. Pizzigallo A.C. I. Pizzulli F. Placentino C.M. Ploeger R. Plossi P. Pohl C. Poiana G. Poluzzi V. Possanzini M. Pozzi A. Prandstraller D. Prati S. Prato E. Predonzani S. Prelle A. Previtali E. 75, 110, 111 208 189 198 59 86, 183, 184 206 252 196 193, 195, 197 147, 158 135, 136, 179 223 65 164, 165, 194, 198 64 40, 94, 210 43, 193, 195, 197, 249, 251 191 150, 151, 152, 160, 175 71, 153, 154, 155, 162 62, 176 71, 153, 154, 155, 160, 162 152 201, 241 191 63 252 194 201, 241 201, 241 192 184 105, 106 221 167 249 233 245 59, 176 73 192 227 50, 89, 246 137 138, 142 250 77, 141 77, 119 215 40 212 71 Previtera L. Proto A. Pulselli F.M. Pulselli R.M. 95 65, 209, 247 234 233 Rado N. Ragusa C. Ramadori R. Ramous E. Rampazzi L. Rampazzo F. Rampazzo G. Ranieri G.A. Realini M. Recchia S. Reisenhofer E. Renda I. Restuccia D. Ricciarelli I. Riccio A. Riccio M. Richardson J. Richter B. Ricucci C. Ridolfi R. Riedo C. Riess M. Rigo C. Rinalducci S. Rizzo B. Rizzo L. Rochira S. Rossi C.O. Roveri N. Rubino M. Ruffolo S.A. Ruggiero P. Rugi F. Russo M.V. 251 78 47 121 81, 116, 250 40 200 126 81 250 240 106 169, 224 137 71, 162 90, 178 229 228 129 233 107 229 200 221 81, 116 238 223 126 152 95 126 52 168, 171, 172 145 Sabbatini L. Sabetta M. Saccani I. Saini C. Sangiorgi G. 117 36 100 227 71, 153, 154, 155, 160, 162 108, 109 242 69 120 211, 212, 213 68 73, 107 65 214, 216 Santarelli M.L. Santoro S. Saracino M.R. Sarcinelli G. Sarzanini C. Scaggiante B. Scalarone D. Scarabino C. Schettino T. 261 Sebastianelli M. Semenzin E. Serafino M. Serra A. Sesso M. Severi M. Sferlazzo D.M. Siciliano A. Siciliano M. Siciliano T. Signorini E. Simion M. Sist P. Slingsby R. Słota R. Smeriglio A. Spada L. Spagnuolo M. Sprocati A. R. Sprovieri M. Stalikas K. Stamoulis K. Stani G. Stracquadanio M. 130 39 237 70, 120, 239 192 171, 172 171 120 84, 118, 157, 217 70, 84, 157 100 200 68, 192 227 189 126 170, 242, 244, 245 52 46, 79 49 252 252 169 135, 136, 137, 179 Tagliacozzo G. Tamburri E. Tartari G. Tasso F. Taticchi A. Tedeschi F. Temussi F. Tepore A. Tepore M. Terranova M.L. Terzano R. Testa F. Testa M.L. Tiberi A. Tiezzi E. Tomassetti M. Tommasi L. Tonachini G. Tontini S. Tositti L. Trabace T. Traini A. 138, 142 75, 110, 111 235 46, 79 108, 109 48, 196 95 84 70 75, 110, 111 52 129, 212 129 219 234 44, 122, 124, 205 217 185 118 135, 136, 179 208 84, 117, 166 262 Traversi R. Trentelman K. Trianni L. Tringali G. Trizio L. Trotta M. Tumidei S. Tutino M. 171, 172 66 243 150, 151, 175 143, 178 51, 220, 221, 223 113 59, 69 Ubaldi C. Ubbrìaco P. Udisti R. Urbani R. Uricchio V. F. 46 166 168, 171, 172 68, 192 54 Valentini F. Valli G. Vallotto D. Vandini M. Vannucchi D. Vasanelli L. Vasapollo G. Vasconcelos M.T. Vassura I. Vecchi R. Vedovato E. Vekemans B. Vezzil C. Vinci G. Vitale R. Vitaliano R. Volta M. Vona F. 75, 110, 111 63 50 118 168 237, 252 189, 237, 252 32 164, 165, 194, 198 63 79 52 68 169, 224 120 190 167 57, 78 Wolf M. 229 Zambonin C. Zamengo L. Zanin L. Zannini P. Zanon F. Zappoli S. Zardin A. Zharova N. Zoia L. Zolla L. 207 200 195 55 251 135, 136, 137, 179 164 251 160 221 263 264