Informativa 14-15 - Gruppo Sportivo Gallo

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Informativa 14-15 - Gruppo Sportivo Gallo
Journal
Direttore Responsabile
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Direttore Scientifico
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Direttore Editoriale
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Progetto Grafico
ELAV snc
Segreteria di Redazione
ELAV snc
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[email protected]
Hanno collaborato a questo numero:
Fabio Ardolino
Dalila Colacchi
Filippo Gambelli
Enrico Guerra
Gloria Micacchi
Mosè Mondonico
Gabriele Rossi
Luca Russo
Alessandro Stranieri
Pubblicazione Trimestrale Tecnico-Scientifica
Anno IV - Numero 14-15 Giugno-Settembre
2011
REGISTRAZIONE N. 31/2008 RILASCIATA
IL 14/10/2008 DAL TRIBUNALE DI PERUGIA
I
NDICAZIONI
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autore o di chi invia l’articolo.
Gli scritti e le relative immagini, dovranno essere inviati per posta elettronica all'indirizzo
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ELAV
EDITORIALE
Come in tutti i settori, anche quello del fitness si sta evolvendo o quantomeno modificando. La contingenza economica globale, il modificarsi delle variabili sociologiche dovuto in prevalenza ai social networks, l’ingresso delle
grandi catene di fitness clubs, sono tutti elementi che assieme ad altri impongono una profonda revisione del
settore, senza eccezioni. Proviamo a fare un’analisi essenziale delle quattro aree critiche:
• Logistica - Investita da un aumento esponenziale dei costi di gestione corrente e straordinaria non inferiori al
35% negli ultimi 10 anni.
• Personale - Necessita sempre più qualificato ma è proporzionalmente sempre meno pagato e raramente
contrattualizzato.
• Servizi – Necessitano di un’offerta trasversale o/e altamente specializzata, esposta all’esigenza di una continua innovazione.
• Clienti - Ridotte disponibilità economiche della fascia media ed aumento delle esigenze e dell’attenzione agli
acquisti di tutte le fasce sociali.
Le prime tre aree riguardano l’offerta del settore mentre la quarta riguarda la domanda.
In un tale contesto si stanno realmente salvando i centri di piccole/medie dimensioni orientati alla qualità e alla
specializzazione del servizio (logistica a basso impatto economico, personale di alta qualità, servizi specializzati,
pochi clienti), e i centri appartenenti alle medie e grandi catene orientate al marketing emozionale di massa e ai
grandi numeri (logistica ad alto impatto economico, personale in “franchising interno”, servizi trasversali ed emozionali, tanti clienti).
Sembra che le due realtà siano molto lontane tra di loro ma hanno invece un comun denominatore: il Personal
Trainer.
Il Personal Trainer è necessario per la specializzazione dei piccoli/medi centri e allo stesso tempo per l’implementazione del modello aziendale in “franchising interno” delle medie/grandi catene.
Parlare della figura del Personal Trainer è tutt’altro che facile e scontato. L’Italia ha ereditato questa figura professionale dal mercato del fitness USA quale naturale evoluzione dello storico istruttore della sala attrezzi dei
fitness clubs ma anche e soprattutto per una questione di evoluzione ma anche di sopravvivenza professionale
non più ottenibile nel modello classico. L’eredità nord-americana può essere vincente ma ad oggi si scontra con
un mercato nazionale profondamente diverso; la verità di questa affermazione l’abbiamo tutti davanti agli occhi
ovvero il Personal Trainer, al di fuori di qualche sporadico caso di successo, fatica a lavorare e non è giuridicamente regolamentato creando caos nel caos. Nelle poche grandi città italiane una minoranza dei Personal Trainers lavora molto ma la maggior parte è decisamente al di sotto del potenziale di offerta; nelle cittadine di provincia e nei piccoli centri tipici della geografia italiana, questa figura fatica a decollare o è addirittura inesistente.
Eppure i titolari di clubs si lamentano sistematicamente delle stesse cose e tendono a “mordersi la coda da soli”.
I clienti, sempre più culturalizzati e sempre meno propensi alla spesa, pretendono qualità sempre più elevate e
soluzioni ai propri specifici problemi non ottenibili con un istruttore che segue decine di persone contemporaneamente da solo. Il cliente si lamenta ma non vuole pagare di più per un servizio personalizzato erogato spesso
dallo stesso istruttore di sala che si cimenta nel doppio ruolo a tempo perso. La proprietà tende a forzare la qualità del servizio tramite lo stesso modello dell’istruttore di sala fallendo inevitabilmente l’obbiettivo e cannibalizzando la possibilità di implementare il servizio di personal training; inoltre, paga poco i collaboratori a causa dei
costi di gestione sempre più elevati e perde i migliori collaboratori che sarebbero in grado di erogare il vero servizio di personal training di fatto autoalimentando la scarsa percezione di valore da parte del cliente. Il Personal
Trainer professionista “gioca” su questa situazione e come free-lance offre il suo servizio a cifre completamente
irraggiungibili per la fascia media della popolazione, riuscendo in pochi nell’intento e alimentando l’etichetta di
servizio di nicchia riservato a pochi clienti facoltosi. I personal trainers e gli istruttori incastrati in mezzo a questo
sistema cercano alternative come la rieducazione funzionale affrontata senza alcuna competenza o l’osteopatia
con il risultato di snaturalizzare se non cambiare la propria mission e professione.
È veramente un cane che si morde la coda! Bisogna cambiare sistema …
Il Personal Trainer ha tante di quelle opportunità di lavoro professionalmente ed economicamente gratificanti che
nemmeno se lo immagina. Il problema è che nessuno le offre ma bisogna crearsele, abbandonando completamente la tradizione italiana del posticino fisso e sicuro senza tante preoccupazioni del quale hanno goduto i nostri genitori e i nostri nonni fino ad una ventina di anni fa.
Per crearsi le opportunità di lavoro bisogna avere però due ingredienti critici: propensione all’avventura
(provarci!) e grandi competenze (essere in grado di!). Le grandi competenze danno la possibilità di avere tante
soluzioni vincenti per gli obbiettivi dei propri clienti, e fanno scoprire una professione che ha dei valori ben oltre il
vecchio 3x10; proprio per questo il Personal Trainer è in realtà maggiormente riconoscibile in una figura di
Fitness Specialist, qualifica che descrive specifiche e specialistiche competenze anziché personal trainer che
invece descrive la modalità (one to one) in cui vengono erogate. Che occorra una rivisitazione della terminologia?
Le medie/grandi catene offrono una possibilità concreta per mettersi in gioco fornendo, ad una cifra annuale abbordabile, una logistica straordinaria e una parco clienti di tutto rispetto. Tocca poi al Personal Trainer procacciarsi il lavoro attingendo, tramite le proprie capacità, da quel 25% circa di clienti che ricorre a questo servizio. In
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LA PROFESSIONE DI PERSONAL TRAINER
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EDITORIALE
realtà, a fronte di pesanti critiche mosse a questo sistema imprenditoriale, l’opportunità è davvero importante ed
interessante per i Personal Trainers che si trovano subito “protetti” da un modello impeccabile e devono mettere
in gioco solamente le proprie capacità con un basso rischio d’impresa.
Al di fuori del mondo delle catene di clubs, le soluzioni sono probabilmente due: il centro di medie dimensioni
gestito imprenditorialmente con il solo modello del Personal Trainer, o i piccoli centri gestiti direttamente dal Personal Trainer Fitness Specialist in versione azienda di famiglia.
In tutti i casi manca comunque una riflessione che investe trasversalmente quanto scritto in precedenza, ovvero
le tariffe richieste per il servizio; è necessario rendersi abbordabili alle fasce medie della popolazione perché
numericamente rappresentative ed in grado di sostenere qualche spesa in più. Un prezzo più abbordabile garantisce comunque stipendi allettanti o può essere controbilanciato da un servizio erogato contemporaneamente a
piccoli gruppi di 2-3 clienti al massimo.
Se viene rimosso l’ostacolo del prezzo si aprono possibilità importanti di mercato dove l’ingrediente critico rimarrà solo quello delle competenze Fitness Specialist e della passione che deve accompagnarle. Il lavoro imporrà,
in questa fase storica, competenze trasversali per disporre di una clientela numericamente gratificante; in seguito, magari tra qualche anno, si potrà pensare a Personal Trainers altamente specializzati in singoli settori ricalcando quello che sta già accadendo ai colleghi USA.
Un Personal Trainer qualificato Fitness Specialist non lavora per mode o invenzioni della sera prima … ma utilizza pragmaticamente un mix di competenze tecnico-scientifiche e di esperienza a vantaggio globale del cliente e
delle sue stesse possibilità occupazionali. Oggi la moda dell’allenamento funzionale ne è esempio emblematico
perché grande modello di allenamento ma assolutamente insufficiente al raggiungimento di molti obbiettivi, a
dimostrazione che le competenze e le esperienze devono essere trasversali e tali da poter cucire il vestito adatto
al cliente e alle sue esigenze, un po come un sarto allenatore.
Certo, lo Stato potrebbe dare una mano alla categoria … in Svizzera, per esempio, chi frequenta un fitness club
può detrarre la spesa dalle tasse a patto che il club sia iscritto all’albo dei centri certificati dallo Stato e ne rispetti
le regole di appartenenza a cominciare dalla formazione continua del personale. Il club deve mantenere standard elevati altrimenti esce dal mercato e inoltre deve erogare regolare ricevuta di pagamento al cliente perché
altrimenti questo non potrà scaricare fiscalmente la spesa; in questo modo il club è costretto a regolarizzare giuridicamente il suo assetto societario anche verso i collaboratori e di conseguenza ad uniformare in alto le tariffe
dei clienti e i compensi al personale … facile no! In una sola mossa fatta dallo Stato nel concedere una misera
detrazione fiscale peraltro investita sulla salute del cittadino e quindi indirettamente a vantaggio della spesa sanitaria nazionale, è uscito dal sommerso tutto il sistema gratificando gli operatori e creando il tanto agognato
valore di percezione da parte del cliente che pagherà favorevolmente di più.
Che sia così difficile da capire? Personal Trainers d’Italia fatevi sentire!
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aumentare il costo energetico della seduta di allenamento, come aumentare il metabolismo post
esercizio e quello basale, dalla fisiologia alla nuova ed inedita metodologia di allenamento per il dimagrimento localizzato (FreeFitness Localized Slimming), l’allenamento anti-cellulite e l’interferenza
del ciclo mestruale nella donna, le vibrazioni meccaniche come mezzo fisico di allenamento per il
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FITNESS E SALUTE
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Il D.L. 8 Maggio 1998, n°178 (e sue modifiche ed integrazioni), all’art. 2, lettera b, sancisce che il corso di
laurea in Scienze Motorie è finalizzato all’acquisizione
di adeguate conoscenze di metodi e contenuti culturali, scientifici, professionali nell’area didatticoeducativa, finalizzata all’insegnamento nelle scuole di
ogni ordine e grado; nell’area tecnico-sportiva, finalizzata alla formazione nelle diverse discipline; nell’area
manageriale, finalizzata all’organizzazione e alla gestione delle strutture sportive e delle attività attinenti
al settore; nell’area della prevenzione e dell’educazione motoria adattata, finalizzata a soggetti di diversa
età e a soggetti disabili.
Per quanto concerne quest’ultima area d’intervento
occorre, però, cercare di far chiarezza. Mentre le altre
risultano essere sufficientemente delineate con un
campo d’azione ben delimitato, l’area della prevenzione e dell’attività motoria adattata è ancora per molti
poco definita.
Partiamo da una raccomandazione che l’Istituto Superiore della Sanità fece già nell’ormai lontano 2004:
“Si raccomanda di consigliare ai pazienti di praticare
regolarmente attività fisica come abitudine quotidiana,
per prevenire patologie quali la cardiopatia ischemica
(CHD), l’ipertensione, l’obesità e il diabete. La presente raccomandazione si basa sui benefici comprovati dell’attività fisica eseguita regolarmente”.
Ora, il termine utilizzato è pazienti, ma è facile comprendere come all’interno di questo siano incluse sia
persone da reputarsi sane che persone affette da diversi disturbi.
E’ sapere comune che svolgere attività fisica con regolarità riduca il rischio di morte prematura, coronopatia, ipertensione, obesità, diabete mellito, cancro al
colon e probabilmente altre forme tumorali (seno, prostata, polmone, utero, ecc.). A supporto si possono
trovare dei dati in letteratura che evidenziano come
l’inattività o un fitness cardiorespiratorio inadeguato
siano fattori predittivi di mortalità e di patologie importanti, quanto l’eccesso di peso, l’obesità, il fumo, l’ipercolesteromia e l’ipertensione.
Un buon allenamento oltre a regalare una sensazione
di benessere ha effetti benefici per il sistema cardiovascolare (esercizi aerobici), per la forza (esercizi
anaerobici), per il controllo del peso e per la salute in
genere.
Studi dell’American Diabetes Association (ADA) riconoscono all’esercizio fisico un ruolo importante nella
riduzione del rischio diabetico e per soggetti con diabete di tipo 2 ritengono necessari solo due tipi di trattamenti: dieta ed esercizio. L’attività motoria regolare
e/o una pratica sportiva esaltano i benefici di una corretta alimentazione e nel caso di regimi alimentari
scorretti ne riducono l’effetto.
Gli esercizi secondo la tipologia degli stessi (aerobici,
anaerobici, misti) ci consentono inoltre di agire sui
sistemi ormonali differenti. Gli esercizi anaerobici, ad
esempio, come la corsa veloce, gli scatti, i pesi, dove
l’intensità è elevata, permettono lo sviluppo della
massa magra corporea (responsabile del metabolismo basale) e quindi permettono, seppur indirettamente di utilizzare i grassi. Infatti, se l’esercizio anaerobico è abbastanza intenso, viene stimolata la produzione dell’ormone della crescita che, insieme al
testosterone, tra le altre funzioni presiede alla riparazione delle microlesioni muscolari provocate dall’allenamento anaerobico e incrementa lo spessore delle
fibre muscolari (ipertrofia). L’energia necessaria per
questo lavoro, deriva dal metabolismo dei grassi accumulati nelle riserve. L’ormone della crescita, secreto dall’ipofisi, è, infatti, considerato il più potente brucia grassi. Viene anche prodotto durante il sonno notturno nella fase REM, per cui migliore è la qualità del
sonno, più ormone della crescita è prodotto. Gli esercizi aerobici richiedono un maggior consumo di ossigeno e sono particolarmente adatti a bruciare i grassi.
Per migliorare lo stato di salute l’attività motoria deve
essere regolare. Con allenamenti discontinui e irregolari difficilmente si possono apprezzare miglioramenti.
Orientativamente le dosi ideali di esercizio prevedono
una frequenza di 3 sedute di allenamento settimanali
della durata di 60-90 minuti circa, con intensità personalizzata ed esercizi sia aerobici che anaerobici.
Bene, evidenziamolo ancora: fare attività motoria è
alla base di un sano stile di vita.
Uomini e donne di ogni età possono svolgerla con i
dovuti accorgimenti o meglio “adattamenti”. Uomini e
donne considerati sani, la svolgeranno per raggiungere uno stato di benessere superiore e migliorare la
qualità della propria vita e per prevenire “fattori di rischio” e l’acutizzazione dei piccoli malesseri comuni
ai più. Si può dunque facilmente comprendere come
un individuo fisicamente integro e mentalmente sano
possa liberamente decidere e attivarsi in un senso o
nell’altro per ottenere un determinato livello di qualità
positiva o negativa della propria vita. Può scegliere
uno stile di vita sedentario, andando incontro ad un
calo delle proprie capacità prestative, legato a ridotte
funzionalità artro-osteo-muscolari, cardiorespiratorie e
metaboliche o scegliere uno stile di vita più corretto e
responsabile verso se stessi che preveda una regolare attività fisica accompagnata da una corretta alimentazione.
Diversa è la situazione che veniamo a trovarci di fronte quando invece di osservare la vita di un soggetto
normodotato, volgiamo il nostro sguardo alla vita d’individui caratterizzati da condizioni fisiche svantaggiate, quali disabili, malati o anziani. Di sicuro la possibilità di scelta non è attuabile per entrambi allo stesso
modo e anche se, non ci fosse diversità in questo, le
possibilità di svolgere un’attività motoria liberamente
non sono certamente paragonabili. Eppure tutti i benefici sovraesposti valgono in assoluto anche per loro!
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ATTIVITÀ MOTORIA PREVENTIVA E ADATTATA
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FITNESS E SALUTE
In molti casi poi l’attività motoria e lo sport permettono
ad un soggetto disabile di esplorare altre potenzialità,
di svilupparle e in definitiva di servirsene per vicariare
funzione perdute o non adeguatamente sviluppate. E
così l’attività motoria e lo sport possono fuor di dubbio
essere considerate dei potenti strumenti per un soggetto disabile. Essi, infatti, oltre a prevenire l’intensificarsi di fattori di rischio già presenti combattono l’instaurarsene di ulteriori e soprattutto aiutano l’essere
umano ad acquisire quelle capacità e in molti casi
quella dignità necessarie a far di lui un membro attivo
della società.
EDUCAZIONE MOTORIA E PREVENZIONE
Quando si parla di motorio (diverso è motricità) si parla di movimento, si parla dunque di come il corpo si
muove in relazione allo spazio, al tempo, al suo stato
di salute e alla finalità che lo spingono all’azione. Il
corpo resta lo strumento principale con cui ogni essere vivente prende forma e assume un significato rispetto a se stesso e a ciò che lo circonda. Il mezzo
per “sentire il corpo” è il movimento ed è grazie ad
esso che l’uomo riesce anche a modificare la realtà
strutturale nella quale si trova adattando l’ambiente e
anche il proprio corpo alle esigenze del momento.
Essere padrone del proprio corpo, percepirlo completamente, conoscerlo in profondità e avere coscienza
dei suoi limiti e punti di forza non è però così scontato
come si potrebbe pensare o dovrebbe essere. Ognuno di noi dedica poco tempo a se stesso e spesso ci
dimentichiamo di ascoltare i nostri veri bisogni per
soddisfarne altri, certo utili, ma non necessariamente i
più importanti. Sottoponiamo continuamente il nostro
corpo e la nostra mente a situazioni di forte stress,
assumiamo posture scorrette, respiriamo male. Durante una situazione stressante il ritmo respiratorio
aumenta e di conseguenza si riduce drasticamente la
quantità di aria e di ossigeno inalati. In molti un respiro bloccato porta ad assumere posture di chiusura
alle quali sono solitamente legati anche stati emotivi
non positivi. E’ tutto collegato. Mente e corpo sono
inscindibili e l’uno non può funzionare bene senza
che anche l’altro lo segua. Lavorare con il corpo, utilizzarlo nel modo appropriato, esserne padroni è la
cosa più semplice e diretta che si possa fare per stare
bene. L’educazione motoria ha lo scopo di conoscere,
comprendere, stimolare e potenziare le capacità del
corpo per rispondere nel modo più adeguato possibile
ai bisogni dell’uomo, tenendo in considerazione le
caratteristiche individuali, caratteriali, psicofisiche e
ambientali di ognuno. L’attività motoria preventiva, da
parte sua, è utilizzata per prevenire situazioni che
potrebbero portare all’instaurarsi di eventi negativi per
il benessere fisico e mette in atto strategie per mantenere nel giusto equilibrio le capacità motorie dell’individuo in base alle sue caratteristiche normofunzionali, applica la scienza del movimento nel rispetto delle leggi auxologiche allo scopo di prevenire
e compensare disarmonie morfo-funzionali e disarmonie motorie stato-cinetiche e cerca d’impedire l’aggravarsi di stati anatomo-fisiologici-psichici ormai conso-
lidati che difficilmente tenderanno ad un miglioramento.
ATTIVITÀ MOTORIA ADATTATA
Con il termine adattata, s’intende qualcosa di specifico, di appropriato, adeguato, qualcosa che riesca a
mettere in grado tutti gli individui di poter svolgere
una regolare attività fisica durante l’intero arco della
vita. L’attività motoria adattata è dunque un’attività
motoria pensata, stabilita e plasmata sulle caratteristiche specifiche di ogni singolo individuo. Ha lo scopo
di migliorare la qualità della vita portando il soggetto a
interagire al meglio con ciò che è, e con ciò che lo
circonda.
In realtà quanto sopra è alla base dell’educazione
motoria in generale, ma questo termine è stato introdotto per differenziare quest’ultima da un’attività più
specifica indirizzata a soggetti di tutte le età caratterizzati da condizioni fisiche svantaggiate, quali disabili, malati o anziani.
Consideriamo che circa il 10% della popolazione
mondiale è affetta da condizioni patologiche o disabilità.
Cerchiamo ora di chiarire cosa s’intenda con il termine disabilità. Negli anni, infatti, ha assunto un significato diverso e si è rivolto verso un bacino d’utenza
molto più ampio.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel
1980 per le classificazioni delle condizioni patologiche
utilizzava termini quali: menomazione (deficit), incapacità (limitazione funzionale), handicap.
• Menomazione (deficit).
Indica una qualsiasi perdita o anomalia di una
struttura o funzione psicologica, fisiologica o anatomica. Prevede l’esistenza o il manifestarsi di
un’anomalia, difetto, perdita di arto, organo, tessuto o altra struttura del corpo, compreso il sistema delle funzioni mentali. Le perdite e le anomalie possono essere temporanee o permanenti.
• Incapacità.
Indica una qualsiasi limitazione funzionale o inabilità (conseguente a una menomazione) nello
svolgimento di un’attività, nella misura considerata normale per l’essere umano. Riguarda attività
composte o integrate relative alla persona nel
suo insieme impegnata in un’azione, un compito
o una determinata forma di comportamento. Può
rappresentare un eccesso o una mancanza di un
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ATTIVITÀ MOTORIA PREVENTIVA E ADATTATA
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FITNESS E SALUTE
comportamento o un'attività prevista per consuetudine. Può essere: temporanea o permanente;
reversibile o irreversibile; progressiva o regressiva; svolgere un ruolo fondamentale in questo
livello dell’esperienza.
L’incapacità può rappresentare l’esito diretto di
una menomazione o la risposta dell’individuo,
soprattutto a livello psicologico, a menomazioni
fisiche, sensoriali o di altro genere. Essa costituisce la conseguenza oggettiva, cioè l’oggettivazione della menomazione e, in quanto tale, riflette i
disturbi a livello della persona.
• Handicap.
Rappresenta una condizione di svantaggio per
un dato individuo, derivante da una menomazione o disabilità che limita o impedisce l’esecuzione
di un compito considerato normale (in base all’età, al sesso e a fattori sociali/culturali). Lo stesso
handicap può manifestarsi in situazioni diverse e,
pertanto, quale esito di diverse disabilità. Costituisce un fenomeno sociale, il quale rappresenta le
conseguenze sociali e ambientali delle menomazioni e delle disabilità. È caratterizzato da un disaccordo fra il rendimento o la condizione dell’individuo e le aspettative del gruppo particolare di
cui fa parte. La condizione di svantaggio può essere percepita soggettivamente: dall’individuo
stesso; dalle persone che assumono una valenza
significativa per l’individuo; dalla comunità nel
suo insieme. L’handicap rappresenta la dimensione sociale di una menomazione o disabilità, e
riflette le conseguenze a carico dell’individuo in
un determinato ambito.
Nel maggio 2001 L’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS) ha pubblicato la “Classificazione internazionale del funzionamento della salute e disabilità
(ICF) ”, abbandonando la parola “handicap” e sostituendola con disabilità intendendo con quest’ultima
una condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
Il nuovo modello tiene in considerazione ogni aspetto
della vita dell’individuo e permette la correlazione fra
stato di salute e ambiente. Non si riferisce più a un
disturbo strutturale o funzionale senza prima metterlo
in rapporto con uno stato di salute ideale.
Ad oggi le categorie principali di classificazione delle
condizioni di salute sono:
• Condizioni patologiche sensomotorie.
Si riferiscono alle funzioni del sistema nervoso e
di quello muscoloscheletrico (es. lesioni del midollo spinale, ictus, amputazione di un arto) che
limitano lo sviluppo, la coordinazione e/o l’esecuzione completa di un movimento.
• Condizioni patologiche interne.
Fanno riferimento alle funzioni delle ghiandole
endocrine e degli organi dell’apparato respiratorio, cardiovascolare, urinario e di altri organi interni, le quali limitano la capacità fisiologica.
• Condizioni patologiche psico-sociali.
Si riferiscono alle funzioni dell’interazione sociale
ed emotiva (es. autismo, schizofrenia), le quali
compromettono il contatto sociale dell’individuo
con il proprio ambiente.
• Ambiti della salute mentale.
Fanno riferimento alle funzioni cognitive superiori, in particolare per quanto riguarda il ritardo
mentale e i disturbi dell’apprendimento, i quali
possono influire sulla capacità dell’individuo di
vivere in modo autonomo.
Questa nuova visione della disabilità permette di estendere l’azione dell’attività motoria adattata ad un
numero maggiore di soggetti con i quali lavorare allo
scopo di migliorare le abilità in relazione alla
“limitazione o perdita della capacità di compiere un’attività a causa dell’ambiente sfavorevole estrinsecata
attraverso atti e comportamenti che per generale consenso costituiscono aspetti essenziali della vita quotidiana”.
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ATTIVITÀ MOTORIA PREVENTIVA E ADATTATA
ATTIVITÀ MOTORIA NELLA DISABILITÀ
Il trattamento motorio nella disabilità ha molteplici funzioni che vanno dalle stesse valide per i soggetti normodotati riguardo all’educazione e la prevenzione ad
altre dallo scopo più funzionale e specifico per il caso
che si tiene in esame.
Quando si lavora con un soggetto disabile la prima
cosa da fare è accettare la “condizione effettiva” e
partire da questa alla scoperta delle potenzialità nascoste. Vivere in una situazione diversa non significa
necessariamente non poter fare le stesse cose che
fanno gli altri, vuol dire semplicemente trovare un modo diverso per metterle in pratica. Inoltre l’istinto di
sopravvivenza così come quello di adattamento, in
determinate situazioni, se stimolato correttamente, è
una fonte incredibile di risposte differenti allo stesso
problema. Molto spesso quello che non si riesce a
concepire nemmeno con il pensiero è già una realtà.
Un ragazzo non vedente che va in bicicletta e si muove nello spazio senza ausili, ma emettendo suoni dalla bocca che gli rinviano segnali vibratori così come
fanno i pipistrelli. Amputati ad entrambi gli arti inferiori
che gareggiano in gare di atletica con i normodotati.
Malati psichici che raggiungono un’indipendenza tale
da poter vivere da soli e crearsi una famiglia. Non
sono fantasie, sono realtà, sono possibilità!
L’attività motoria e sportiva hanno conseguenze benefiche su tutti e per questi ultimi tali effetti vengono
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FITNESS E SALUTE
maggiormente evidenziati dall’importanza che assumono in relazione al tipo di disabilità. Ad esempio per
un paraplegico su sedia a rotelle uno scalino lungo la
propria strada può rappresentare un ostacolo insormontabile; viceversa superare senza aiuti esterni lo
stesso scalino può essere uno scherzo per un giocatore di basket in carrozzina, abituato ad usare il proprio mezzo di locomozione come un attrezzo sportivo.
Sheng, Dijkers: “La partecipazione ad attività sportive
da parte di un paraplegico, riduce la depressione psichica, diminuisce i ricoveri ospedalieri e ne prolunga
l’attesa di vita.”
Un soggetto non vedente attraverso attività in acqua
può migliorare la percezione del proprio corpo in toto
ed imparare ad utilizzarlo al meglio in ogni situazione.
Un amputato ad un braccio può attraverso l’attività
motoria riequilibrare il proprio corpo nella nuova situazione e divenire così coordinato da non necessitare
dell’arto mancante per le attività quotidiane.
Aspetto importantissimo assumono poi risultati sul
piano psicosociale. A partire dal rapporto due a due
fino a giungere all’inserimento in attività di gruppo.
Attivare una comunicazione verso l’esterno a tutto
campo, prima corporea e poi verbale. Aumento di
comportamenti socialmente accettabili e comprensibili
grazie anche a un maggiorato o conquistato livello di
autostima ed autonomia. L’intervento motorio ha l’obiettivo principale di far accettare i limiti effettivi, di
superare il disagio riscoprendo se stessi e le proprie
capacità e stimolare la vitalità rinchiusa per ri/aprirsi
al Mondo.
CONCLUSIONE
Facendo nuovamente riferimento alla definizione di
disabilità data dall’OMS, (ICF), e quindi ad una condizione di salute in un ambiente sfavorevole non possiamo far altro che rinforzare gli effetti positivi che
l’attività motoria adattata può avere sulla vita di coloro
che si trovano a vivere in una situazione di svantaggio. Dalla presa di coscienza di se stessi, alla percezione del proprio corpo fino all’uso che si può fare di
esso per ottenere le prestazioni migliori possibili nello
svolgimento di ogni tipo di attività quotidiana. L’intervento motorio si sviluppa su ogni aspetto della persona influenzando sia la psiche sia lo stato d’animo. Il
lavoro sulle funzioni corporee, sulle strutture corporee
ed anche sui rapporti con l’esterno mette il soggetto
disabile nelle condizioni di sentirsi completo e appagato. Supererà la sensazione di “essere” a cui manca
qualcosa con l’accettazione di “essere” esattamente
come si è con tutte le possibilità che tale stato gli offre.
Un intervento motorio adattato dev’essere chiaramente fatto da un professionista del settore che abbia le
conoscenze adeguate per sviluppare un programma
che tenga in considerazione lo stato effettivo del soggetto con il quale lavora dopo un’attenta valutazione e
individuazione delle caratteristiche specifiche che lo
contraddistinguono nella sua interezza ed unicità. Per
tale motivo dovrà aver conto di quelle che sono le
condizioni di sviluppo del movimento umano e da un
punto di vista epistemologico, come affermano Carraro, Lanza, Zocca e Bertollo (2002) svolgere l’attività
tenendo a mente che “il movimento è mediatore:
• dello sviluppo delle funzioni fisiologiche (H. Seyle
1956);
• dello sviluppo e del mantenimento di efficaci processi cognitivi (in particolare attenzione, concentrazione, memoria, pianificazione), (Mcnaughter e
Gabbare 1993, Heckler e Croce 1992);
• della comunicazione, in particolare di quella non
verbale e della relazione sociale (Argyle 1988,
Eibl-Eibelsfeldt 1993, Morris 1978);
• dello sviluppo del pensiero in età infantile e giovanile (J. Brunner 1981, G. Edelman 1995, M.
Jeannerod 1990, J. Piaget 1970);
• di un adeguato livello di autostima (Harter 1978,
Sonstroen 1988, Fox 1990, Marsh 1994, Bertollo,
Pasqualotto 2000, Bertollo, Pellizzari 2001);
• della costruzione della capacità di prestazione
motoria dei giovani adulti (Martin 1992, Schmidt
& Wrisberg 2000);
• dello stato di salute e di prestazione motoria di
adulti e anziani (A.C.S.M. 1998).”
ELAV JOURNAL Anno IV Numero 14-15
ATTIVITÀ MOTORIA PREVENTIVA E ADATTATA
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ELAV JOURNAL Anno IV Numero 14-15
ATTIVITÀ MOTORIA PREVENTIVA E ADATTATA
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BIOMECCANICA
BAREFOOT REVOLUTION:
IL FUTURO DELL’ALLENAMENTO A PIEDI SCALZI
Gambelli Filippo1, Guerra Enrico2, Mondonico Mosè3, Russo Luca Ph.D.4
1
Osteopata, Docente ELAV
2
Responsabile Scientifico ELAV, Facoltà Scienze
Motorie – Perugia
3
Laureato in Scienze Motorie, Docente ELAV
4
Docente ELAV, Facoltà Scienze Motorie – L’Aquila
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni si sta consolidando la tendenza del
“Barefoot” ovvero svolgere esercizio fisico e attività
giornaliere a piedi nudi (Collier 2011). Tra i capisaldi
di questa tendenza si possono annoverare il ritorno
ad un utilizzo arcaico del piede, che troppo spesso
viene inibito da calzature poco ergonomiche o poco
fisiologiche. Anche la scienza in parte conferma questi punti di vista sottolineando in alcuni casi come la
calzatura possa non solo restringere il naturale movimento del piede e cambiarne degli aspetti di gestione
coordinativa (Kurz 2004), ma addirittura possa imporre al piede uno specifico pattern di movimento (Morio
2009) e per tanto vengono consigliate soprattutto alle
fasce più giovani d’età delle scarpe estremamente
morbide e flessibili (Wolf 2008). Quanto è riportato
dalla letteratura non significa quindi che il piede viene
“ovattato” dalle scarpe e che le sue funzioni propriocettive siano perse irrimediabilmente. Il piede riceve
delle stimolazioni anche indossando le scarpe e questi stimoli dipendono in gran parte dalla natura della
scarpa indossata, dalla sua stiffness e dalla sua elasticità e deformabilità dei materiali. La scarpa infatti,
anche se di pochi centimetri, allunga il braccio di leva
dell’articolazione della caviglia, sottoponendo quest’ultima ad un processo di adattamento alla calzatura
utilizzata. Diversi studi sottolineano come vi sia una
notevole differenza sia biomeccanica che fisiologica
tra lo svolgimento di attività fisica con e senza scarpe.
Le principali differenze che si sono riscontrate tra le
due modalità di esercizio a favore del barefoot sono:
un consumo di ossigeno minore, una minor ampiezza
di passo e maggior frequenza e maggior “rimbalzo” a
terra (mantenimento della stiffness muscolo tendinea), un appoggio non calcaneare ma con l’avampiede
o il mesopiede nella fase filogravitaria del passo che
si avvicina maggiormente alle attuali tendenze in
campo di allenamento della tecnica di running
(Romanov 2002; Romanov 2007), una minor forza di
reazione al suolo soprattutto in termini di riduzione
dello forza di reazione al suolo dallo stato di passaggio dal tallone all’avampiede, una minor pronazione
del piede sotto carico (Divert 2005; Divert 2005; Bishop 2006; Divert 2008; Squadrone 2009; Jungers
2010; Lieberman 2010). Vi sono inoltre dati scientifici
che sottolineano come l’incidenza degli infortuni nelle
attività sportive svolte in barefoot non sia maggiore di
quella delle attività sportive svolte con le scarpe e che
addirittura l’attività di barefoot possa essere preventiva per gli infortuni (Vormittag 2009).
Allo stesso tempo va comunque sottolineato e menzionato che seppur l’attività di barefoot offra una maggior predisposizione alla prevenzione di calli, onicomicosi, e problemi alle dita del piede, l’assenza di scarpe può portare a lacerazioni della pelle, infezioni e
contagio da agenti patogeni (Vormittag 2009) o a lungo andare potrebbe provocare effetti tendinei indesiderati in quanto le strutture connettivali ed elastiche
non sono adattate alle stimolazioni offerte dal barefoot. Motivo per il quale è fondamentale indossare un
calzare che possa mantenere tutti i vantaggi del barefoot completo ma allo stesso tempo proteggere il piede da agenti patogeni e possibili infezioni che l’ambiente esterno offre.
Alla luce di queste informazioni si presenta un case
study svolto per comparare gli effetti su alcuni parametri biomeccanici della corsa svolta con le scarpe,
senza le scarpe e con un calzare progettato per il barefoot. L’ipotesi indagata è che il calzare per barefoot
si avvicini ai risultati dell’esercizio svolto in condizioni
assolute di barefoot e che allo stesso tempo si discosti dall’utilizzo della scarpa classica.
ELAV JOURNAL Anno IV Numero 14-15
BAREFOOT DEVOLUTION:IL FUTURO DELL’ALLENAMENTO A PIEDI SCALZI
METODI
Un soggetto maschio volontario (33 anni, 185 cm, 81
kg) è stato testato durante un esercizio di corsa su
treadmill svolto a 4, 7, 10, 13 e 16 km*h-1 in tre condizioni diverse: con le proprie scarpe da running
(SCARPA), con un calzare AKKUA Revolution
(AKKUA, Roncadelle (BS), Italia) progettato per il barefoot (BAR) e con una calza di spugna (CALZA). Si è
utilizzata la calza e non il piede completamente nudo
per motivi igienici e a tutela della salute del soggetto
volontario. Il soggetto, fisicamente attivo e in stato di
buona salute, non era esperto nella tecnica di corsa
senza scarpe. Durante la sessione di running il soggetto è stato monitorizzato con un accelerometro
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BIOMECCANICA
Sensorize Freesense (Sensorize, Roma, Italia) saldamente applicato alla vita del soggetto e settato a 200Hz e video ripreso con una fotocamera Casio Exilim
FH-20 (Casio, Shibuva, Tokyo, Giappone) settata a
210fps. Per ogni condizione ad ogni velocità sono
stati misurati: l’accelerazione prodotta dal ciclo di passo, da cui il picco di entrata del piede in appoggio e
l’andamento medio di un appoggio plantare, l’angolo
di approccio del piede a terra, la frequenza e l’ampiezza di passo.
RISULTATI
I risultati dei test mostrano degli andamenti similari
dei valori misurati che crescono al crescere delle velocità in tutte le condizioni di esecuzione dell’esercizio.
L’accelerazione di picco media registrata al momento
dell’appoggio a terra del piede mostra dei valori similari con una tendenza all’aumento per la condizione
BAR (Fig.1). Gli andamenti delle tre condizioni testate
mostrano delle correlazioni significative tra l’aumento
della velocità e il valore di accelerazione registrato. È
da sottolineare che questo dato è stato riportato graficamente in valore assoluto al fine di rendere più pratica la visualizzazione , in quanto i valori registrati dallo
strumento in questa fase del movimento erano con
segno negativo.
L’intero andamento dinamico dell’accelerazione media registrata durante una fase di appoggio mostra
delle differenze interessanti in termini di geometria
delle curve grafiche tra le tre condizioni al progredire
della velocità. Vengono riportati gli andamenti a 4, 10
e 16 km*h-1 (Fig.2).
La velocità di 4 km*h-1 è troppo bassa per apprezzare
delle differenze interessanti a questo livello di analisi.
Ben altri spunti di riflessione offrono le velocità più
alte 10 e 16 km*h-1. L’andamento della condizione
SCARPA mostra molte più “creste” soprattutto nelle
prime fasi del grafico fino a 0,2 secondi. Questo andamento non viene invece ripetuto nella condizione
BAR e tantomeno in quella CALZA che appaiono più
lineari e verosimilmente meno dispendiose.
L’ampiezza e la frequenza del passo (Fig.3 e 4) mostrano degli andamenti sovrapponibili delle tre condizioni, anche se è da sottolineare come la frequenza di
passo nelle condizioni BAR e CALZA sia sempre leggermente maggiore di quella registrata nella condizione SCARPA.
Molto interessante invece risulta l’angolo di approccio
del piede al suolo (Fig.5). La condizione BAR mostra
una correlazione significativa tra l’aumentare della
velocità di corsa e la diminuzione dell’angolo di approccio del piede al suolo, cosa questa che non accade anche per le altre due condizioni. Singolare l’andamento della SCARPA che non rileva nessuna sostanziale tendenza di variazione dell’angolo di approccio
al terreno, se non addirittura una relativa costanza.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONE
La letteratura suggerisce che lo svolgimento dell’esercizio fisico in condizioni di barefoot offra un miglior
appoggio fisiologico del piede grazie ad un caricamento trasversale e longitudinale del connettivo e alla
divaricazione trasversale dei metatarsi che dentro le
scarpe classiche viene spesso limitato se non addirittura viziato dalla struttura stessa della scarpa.
I dati del caso di studio presentati sono assolutamente in linea con quanto suggerito dalla letteratura circa
la tendenza ad un aumento della frequenza del passo
nella condizione BAR e CALZA rispetto alla SCARPA,
cosa questa che potrebbe tendere ad ottimizzare la
meccanica stessa della locomozione.
La tendenza all’aumento dell’accelerazione di picco in
fase di appoggio del piede che si registra nelle velocità più alte (in cui si comincia la vera fase di corsa) è
dovuta probabilmente all’assenza di materiale shockabsorber sotto la suola del calzare BAR, ma allo stesso tempo è compensata da un andamento più lineare
e meno frastagliato dell’accelerazione in fase di assorbimento dell’impatto e successiva spinta e da un
minor angolo di approccio del piede al suolo rispetto
alla condizione SCARPA. Quest’ultimo dato permette
quindi un appoggio non più calcaneare, ma spostato
più in avanti verso il mesopiede.
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BAREFOOT DEVOLUTION:IL FUTURO DELL’ALLENAMENTO A PIEDI SCALZI
Figura 1 - Andamenti accelerazione di picco in entrata del piede a diverse velocità
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BIOMECCANICA
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BAREFOOT DEVOLUTION:IL FUTURO DELL’ALLENAMENTO A PIEDI SCALZI
Figura 2 - Andamenti dell'accelerazione in fase di appoggio a diverse velocità
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BIOMECCANICA
ELAV JOURNAL Anno IV Numero 14-15
BAREFOOT DEVOLUTION:IL FUTURO DELL’ALLENAMENTO A PIEDI SCALZI
Figura 3 - Andamenti ampiezza del passo a diverse velocità
Figura 4 - Andamenti della frequenza del passo a diverse velocità
Figura 5 - Andamenti angolo di approccio al suolo del piede a diverse velocità
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BIOMECCANICA
Va ricordato a tal proposito che il soggetto testato non
era avvezzo a correre senza scarpe per cui probabilmente i dati registrati potrebbero subire delle modificazioni più o meno profonde rispetto ai dati attuali in
base a quanto influisca la tecnica di movimento senza
scarpe sulla dinamica dell’appoggio. Pertanto risulta
utile, ai fini di una migliore conoscenza dell’esercizio
a piedi nudi, condurre degli altri studi sulle modalità di
appoggio, su altre forme di movimento oltre la locomozione, sulle modificazioni indotte sulla componente
elastica e contrattile, sul trasferimento dell’energia (di
impatto e di movimento) lungo il rachide, sulle variazioni di costo energetico degli esercizi svolti, sugli
effetti sulle ossa e su quant’altro può essere di sostanziale importanza per la miglior conoscenza dei
benefici e dei limiti di questa forma di esercizio fisico.
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SPORT
ANALISI COMPARATIVA ELETTROMIOGRAFICA
DI DUE ATTREZZATURE PER IL BALANCE TRANING
Russo Luca Ph.D. 1, Guerra Enrico2
1
Docente ELAV, Facoltà Scienze Motorie – L’Aquila
2
Responsabile Scientifico ELAV, Facoltà Scienze
Motorie – Perugia
INTRODUZIONE
L’allenamento funzionale in questi ultimi anni si sta
diffondendo come una metodica molto praticata dai
trainer nei workout di atleti e di utenti del fitness
(Gionta Alfieri 2001, Boyle 2004, Brill 2004, Radcliffe
2007), per i primi a causa delle caratteristiche di globalità delle catene muscolari attivate e dell’impegno
coordinativo richiesto mentre per gli altri per le caratteristiche di divertimento, di sfida e di varietà dell’allenamento proposto oltre che per la miglior preparazione ai movimenti che la vita quotidiana ci chiede di
svolgere.
Allo stato attuale l’allenamento funzionale è ancora
da organizzare in forma metodologica come è accaduto in passato per altre forme di allenamento, ma
una categoria di esercitazioni che certamente entra a
pieno titolo nell’ambito dell’allenamento funzionale è
quella del balance training (BT) con evidenze scientifiche sia in ambito sportivo che rieducativo (Heitkamp
2001, Anderson 2005, Michell 2006, Kidgell 2007,
McKeon 2008, DiStefano 2009, Silva 2010, Steffen
2010). Ogni palestra, ogni centro fitness, ogni società
sportiva e ancora molti appassionati dell’home fitness
hanno almeno un attrezzo nato per il BT: un piano
instabile, una tavoletta propriocettiva, un cuscino ad
aria, una fitball o qualcosa del genere. Ma quali sono
le differenze tra questi attrezzi e quali sono i principi
del principi del BT?
In senso lato il BT prevede delle esercitazioni in cui in
carico da vincere non è una particolare resistenza
esterna o una velocità di movimento nota, ma bensì
la mancanza di stabilità posturale. Questa instabilità
crea quindi il presupposto necessario e fondamentale
per l’attivazione delle strategie fisiologiche di ripristino
e mantenimento dell’equilibrio, attraverso il massiccio
e prevalente intervento di sistemi di controllo posturali
a risposta rapida: i propriocettori. Pertanto appare
chiaro ed evidente che da un punto di vista cinematico le esercitazioni di BT siano tutte caratterizzate da
rapidi cambiamenti della stabilità posturale dei soggetti che si allenano e da altrettanto rapide risposte
del loro sistema neuromuscolare.
Se sono queste le caratteristiche del BT va posta una
riflessione di natura critica sui mezzi di allenamento.
Uno stimolo “disequilibrante” può intervenire sul nostro sistema posturale da diverse zone corporee, ma
andando a riassumere si può ridurre il tutto a soli 2
ingressi dello stimolo: dal basso (piedi) e dall’alto
(tronco). Riflettiamo sulla natura di due sport profondamente diversi: il surf e la pallacanestro. Nel primo
caso è la tavola e la superficie mobile su cui essa
poggia che provoca la mancanza di stabilità, mentre
nel secondo caso che si svolge su una superficie stabile sono i contatti con gli avversari che sottraggono
equilibrio avvenendo prevalentemente nella zona del
tronco (dove c’è la palla). Questa distinzione ci lascia
la possibilità di riflettere sulla natura delle così dette
tavolette propriocettive classiche che prevedono, siano esse ad aria o rigide, una instabilità proveniente
dal basso. A questo punto la porta resta aperta a tutta
quella gamma di esercitazioni e di attrezzature per il
BT con disequilibri che provengono dall’alto. Ma non
è finita qui. La maggior parte dei mezzi classici di allenamento di BT hanno tutti una caratteristica comune:
il disequilibrio che forniscono è “figlio” di una nostra
risposta al disequilibrio precedente, ovvero ipotizzando di allenarsi su una tavoletta classica tipo “cappello
del prete” (piano rigido circolare con mezza sfera sotto), può diventare prevedibile che se per cercare l’equilibrio ci si sposta verso destra il successivo movimento di “ri-equlibratura” dovrà essere verso sinistra
perché la tavoletta si sposterà verso destra. In questa
maniera tende a venire meno la capacità di reazione
ad uno stimolo “disequilibrante” di natura sconosciuta,
ma si esalta invece la capacità di stazionamento
pressoché isometrico del comparto anatomico che sta
lavorando, riducendo di conseguenza la performance
esplosiva (Cressey 2007).
Sulla base di queste e altre considerazioni qualche
azienda sta provando a mettere in commercio delle
attrezzature per il BT di natura completamente diversa: il piano instabile non viene mosso in forma passiva alla mercé dei movimenti dell’utente, ma in forma
attiva attraverso un motore, ribaltando il concetto e
ponendo quindi tutto il soggetto alla mercé dell’attrezzo. Il principio base da un punto di vista concettuale
risulta essere molto interessante, ma quanto questi
nuovi attrezzi possono sostituire i vecchi?
La letteratura propone molti esempi di comparazione
di esercizi fisici, soprattutto tra esercizi svolti su basi
stabili e instabili (Cotterman 2005, Norwood 2007,
Sternlicht 2007, Santana 2007, Sirani de Oliveira 2008, Cacchio 2008, Goodman 2008, Nuzzo 2008, Uribe
2010), ma pochi sono ancora gli studi che hanno cercato di indagare le differenze di singoli esercizi svolti
su piani instabili (Wahl 2008, Eisen 2010)
Lo scopo del presente studio è pertanto quello di
comparare attraverso un’analisi dell’attività muscolare
due diverse attrezzature per il BT: una classica ed
una meccanica.
ELAV JOURNAL Anno IV Numero 14-15
ANALISI COMPARATIVA ELETTROMIOGRAFICA DI DUE ATTREZZATURE PER IL BALANCE TRANING
MATERIALI E METODI
Soggetti
Hanno partecipato allo studio 12 soggetti maschi moderatamente attivi e fisicamente sani. Ogni partecipante è stato preventivamente istruito sulle modalità
di test e misurazione necessarie per lo sviluppo dello
studio e ognuno ha fornito il proprio consenso informato a partecipare alle sessioni di test.
Strumentazione
L’attrezzatura studiata per l’allenamento del BT in
condizione “classica” (BTc) era una tavoletta propriocettiva (Fig.1) di forma circolare con mezza sfera rigi-
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18
SPORT
da (PK 200 WL, TecnoBody, Dalmine – Italia). Questo attrezzo classico per l’allenamento del BT prevede la possibilità di gestire movimenti disequilibranti di
breve ampiezza ma rapida frequenza.
Mentre per l’allenamento del BT in condizione
Figura 1 - Tavoletta propriocettiva per BTc
“meccanica” (BTm) è stato studiato un prototipo di
pedana mobile robotizzata (Fig.2) mossa da tre motori elettrici con possibilità di rotazione sia lungo un asse orizzontale al piano d’appoggio (asse X) sia lungo
un asse verticale (asse Y). Le rotazioni lungo il solo
asse X producono movimenti di disequilibrio anteroposteriori, mentre le rotazioni lungo l’asse Y producono movimenti di disequilibrio latero-laterali. Attraverso
il software di gestione del macchinario è possibile
unire queste tipologie di movimenti, concatenandoli e
creando dei protocolli di allenamento personalizzati o
maggiormente orientati verso disequilibri anteroposteriori piuttosto che latero-laterali o viceversa. La
frequenza e l’ampiezza delle rotazioni della pedana
intorno ai propri assi è anche essa modulabile e personalizzabile potendo così scegliere una vastissima
possibilità di compiti motori all’interno della stessa
esercitazione.
Figura 2 - Macchinario robotizzato per BTm
L’analisi elettromiografica (EMG) di ogni esercitazione
è stata portata avanti attraverso un elettromiografo di
superficie a 7 canali con frequenza di campionamento
a 2000Hz (Tesys 1000, Globus, Codognè – Italia). Gli
elettrodi sono stati applicati sulla cute, dopo un’idonea pulizia, al centro del ventre muscolare dei muscoli
scelti seguendo la direzione delle fibre, in accordo
con le European Reccomendations for Surface Electromyography (Hermens 1999). I muscoli coinvolti in
questa analisi sono stati nell’ordine: 1) Gemello esterno del Gastrocnemio (GE), 2) Tibiale Anteriore (TA),
3) Vasto Laterale (VL), 4) Bicipite Femorale (BF), 5)
Grande Gluteo (GG), 6) Obliquo Esterno dell’addome
(OE), 7) Erettori spinali lombari (SL); tutti gli elettrodi
sono stati piazzati sul lato destro del corpo. Ai fini di
normalizzare i dati elettromiografici derivanti da ogni
canale in ogni esercitazione sono state fatte eseguire
tre prove di ½ squat massimale isometrico (½SMIV)
ai fini di avere un valore di EMG normalizzato non per
la massima contrazione isometrica e d isolata di ogni
singolo muscolo, ma per un esercizio fisico classico
dell’allenamento di muscolazione. Lo squat veniva
eseguito al multipower bloccando il bilanciere ad un’altezza tale che poneva il soggetto con angolo al ginocchio di 90° e tenendo una distanza tra i piedi pari
alla larghezza delle spalle, al soggetto veniva richiesto di spingere al massimo per 10 secondi. Come
fondo scala per ogni singolo muscolo veniva presa la
media di attività EMG derivante dal quarto al sesto
secondo di spinta (lasso di tempo in cui si verificava
la maggior attività stabilmente mantenuta da tutti i
soggetti).
ELAV JOURNAL Anno IV Numero 14-15
ANALISI COMPARATIVA ELETTROMIOGRAFICA DI DUE ATTREZZATURE PER IL BALANCE TRANING
PROTOCOLLO
Ogni soggetto ha svolto una sola sessione di test in
cui eseguiva nell’ordine: ½SMIV, allenamento BTc e
allenamento BTm.
L’allenamento BTc prevedeva tre serie di lavoro con
appoggio bi podalico (TB) e tre serie di lavoro con
appoggio mono podalico (TM), la durata delle esercitazioni era di 10 secondi e lo scopo era mantenere
quanto più possibile la tavoletta propriocettiva in posizione orizzontale. La prima serie è stata considerata
necessaria come famigliarizzazione all’esercizio mentre la seconda veniva presa in considerazione per
l’analisi; la terza era solo una serie di “back-up” qualora il segnale EMG avesse avuto dei problemi nella
seconda serie. La standardizzazione della posizione
dei piedi veniva garantita da una griglia centimetrata
disegnata sulla pedana circolare della tavoletta: ogni
soggetto era posizionato con la proiezione del malleolo interno che “cadeva” a -3 centimetri dal centro della
pedana. Il protocollo di allenamento BTc è riportato in
tabella 1.
L’allenamento BTm prevedeva tre circuiti di tre esercizi propriocettivi svolti sul macchinario in diverse posizioni, reagendo a tre diversi stimoli disequilibranti.
Sono stati creati tre protocolli di lavoro ad hoc: 1) protocollo 1 (P1) disequilibrio con ampiezza in senso
antero-posteriore e frequenza in senso latero-laterale,
durata 14 secondi; 2) protocollo 2 (P2) disequilibrio
con ampiezza in senso latero-laterale e frequenza in
senso antero-posteriore, durata 14 secondi; protocollo 3 (P3) disequilibrio “caotico” con stimoli variabili nel
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SPORT
ESERCIZIO
POSIZIONE
Angolo al ginocchio 90°
Schiena eretta
Braccia libere
Angolo al ginocchio 90°
Schiena eretta
Braccia libere
TB
Bi podalico
TM
Mono podalico
SERIE
DURATA SERIE
ANALISI EMG
3
10”
8” centrali
3
10”
8” centrali
Tabella 1 - Protocollo BTc
ESERCIZIO
P1
Bipodalico
Monopodalico
P2
Bipodalico
Monopodalico
P3
Bipodalico
Monopodalico
ASSE X
ASSE Y
Ampiezza
ALTA
Frequenza
BASSA
Ampiezza
BASSA
Frequenza
ALTA
Ampiezza
ALTA
Frequenza
MEDIA
Ampiezza
BASSA
Frequenza
ALTA
Ampiezza
ALTA
Frequenza
BASSA
Ampiezza
MEDIA
Frequenza
MEDIA
POSIZIONE
SERIE
DURATA
SERIE
ANALISI
EMG
3
14”
12”
centrali
3
14”
12”
centrali
3
18”
16”
centrali
Angolo al ginocchio 90°
Schiena eretta
Braccia libere
ELAV JOURNAL Anno IV Numero 14-15
ANALISI COMPARATIVA ELETTROMIOGRAFICA DI DUE ATTREZZATURE PER IL BALANCE TRANING
Angolo al ginocchio 90°
Schiena eretta
Braccia libere
Angolo al ginocchio 90°
Schiena eretta
Braccia libere
Tabella 2 - Protocollo BTm
BASSA
MEDIA
ALTA
MOLTO ALTA
<100%
100-199%
200-299%
300-399%
ALTISSIMA
400-499%
>500%
Tabella 3 - Fasce di intensità segnale EMG % ½SMIV
tempo in ampiezza e frequenza sia antero-posteriore
che latero-laterale, durata 18 secondi, creato ai fini di
“mimare” i movimenti della tavoletta propriocettiva.
Ogni protocollo veniva svolto in bi podalico e in mono
podalico. Anche per il BTm il primo circuito era di famigliarizzazione, il secondo serviva per l’analisi ed il
terzo era di “back-up”. La posizione di lavoro è stata
standardizzata con dei riferimenti sulla pedana di appoggio dei piedi. Il protocollo di allenamento BTm è
riportato in tabella 2.
ANALISI DEI DATI
I dati dell’EMG dopo essere stati filtrati sono stati elaborati calcolando 6 fasce di intensità di segnale come
riportato in tabella 3. Le fasce di intensità indicano
quanto il segnale dell’esercizio valesse in termini percentuali rispetto al ½SMIV. Sono stati poi calcolati il
quantitativo di picchi di segnale filtrato (1 dato ogni
0,05 secondi) che si collocano in ogni determinata
fascia di intensità ai fini di valutare il “peso” di ogni
singolo muscolo in ogni esercizio. Data la diversa natura e durata delle singole esercitazioni testate, i picchi di segnale sono stati normalizzati per il tempo di
acquisizione e sono quindi espressi in numero di picchi al secondo (n. P*s-1) I dati sono stati trattati con un
T-Test per campioni indipendenti ai fini di misurare
differenze significative tra il numero di picchi di EMG
per ogni muscolo in ogni fascia d’intensità. Il valore di
p<0,05 è stato accettato come livello di significatività.
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SPORT
RISULTATI
L’analisi dei dati mostra che in ogni esercizio la fascia
media (100-199%) di intensità di segnale EMG in %
del ½SMIV è quella con un quantitativo di picchi maggiore per ogni muscolo, sia negli esercizi bi podalici
che in quelli mono podalici (Fig.3-Fig.10), tutti i dati
sono espressi in picchi di attività EMG al secondo
(P*s-1).
L’andamento dei grafici nelle due modalità di esercizio rivela molte similitudini, il VL gioca sempre un ruolo importante in tutte le esercitazioni, mentre risulta
interessante la costanza di un valore praticamente
identico di picchi (per ogni fascia di intensità) che viene fatto registrare sia dall’OE e dagli SL.
Nell’analisi per singolo muscolo all’interno della fascia
a bassa intensità (<100%) il muscolo GE risulta significativamente più attivo nel TB (8,5±4,9) e nel P3 bi
podalico (7,7±2,5) rispetto al P1 mono podalico
(4,2±2,2). Il muscolo TA è significativamente più attivo nel P2 bi podalico (4,2±2,4) rispetto al TB
(2,2±1,9), al TM (1,9±1,9), al P1 bi podalico (2,5±1,9)
e al P3 mono podalico (2,2±1,7) e più attivo nel P3 bi
podalico (3,9±2,7) rispetto al P1 mono podalico
(1,7±1,5). Il muscolo VL appare significativamente più
attivo nel TB (3,7±2,8), nel P1 (4,9±2,8) P2 (4,9±3,1)
e P3 (4,8±2,9) bi podalico rispetto al TM (1,5±1,8) e al
P3 mono podalico (1,7±1,6) e ancora più attivo nel P1
P2 e P3 bi podalico rispetto al P2 (1,9±1,6) e P3 mono podalico. Il muscolo BF risulta invece significativamente più attivo nel P2 bi podalico (7,8±1,8) rispetto
al TB (5,7±2,1) poi ancora nel P1 (6,5±1,8) P2
(7,8±1,8) e P3 (7±2,4) bi podalico rispetto al TM
(4,3±1,8), nel P2 bi podalico rispetto al P1 (4,9±2,3)
P2 (5,3±3) P3 (5±2,5) mono podalico e nel P3 bi podalico rispetto al P1 mono podalico. Il muscolo OE è
significativamente più attivo nel P2 (7,2±2,2) e P3
(7,4±2) bi podalico rispetto al P1 (4,9±2,5) P2
(5,1±2,4) e P3 (5,4±2,2) mono podalico. I muscoli GG
e SL non mostrano alcuna differenza significativa in
questa fascia di intensità.
Nella fascia media (100-199%) il muscolo TA risulta
significativamente maggiore solo nel P3 bi podalico
(13,6±2,3) rispetto al P2 bi podalico (12±3,1). Il muscolo VL è significativamente più attivato nel TM
(17,9±1,8), nel P2 (16,9±1,8) e P3 (17±2,2) mono
podalici rispetto al P1 mono podalico (15,5±2,5) e al
P1 (14,4±3,5) P2 (14,6±3,1) e P3 (14,4±3,5) bi podalici. Il muscolo BF risulta essere significativamente più
attivo nel TB (13,9±2,4) rispetto ai P1 (12,7±2,4) P2
(11,7±2,2) e P3 (12,5±2,8) bi podalici e nel P3 mono
podalico (14,7±2,9) rispetto al P2 bi podalico. I muscoli GE, GG, OE e SL non mostrano alcuna differenza significativa in questa fascia di intensità.
Nella fascia alta (200%-299%) il muscolo GE sembra
essere significativamente più attivo nel P1 bi podalico
(1±1,2) e mono podalico (1,8±2,3) rispetto al TB
(0,2±0,5) e nel P1 mono podalico rispetto al P3 bi
podalico (0,3±0,8). Il muscolo TA è significativamente
più attivo nel P2 mono podalico (4,3±2,3) rispetto al
TB (2,5±1,9), nel P1 mono podalico (3,8±2,1) rispetto
al P3 bi podalico (1,7±1,7) e nei P2 e P3 (3,5±2,3)
mono podalici rispetto al P3 bi podalico. Il muscolo VL
risulta essere significativamente più attivo solo nei P1
(1,5±1,8) e P2 (1,2±1,6) mono podalici rispetto al TB
(0,1±0,1). Il muscolo BF come anche il GE è significativamente più attivo nel P1 mono podalico (1,5±1,9)
rispetto al TB (0,2±0,9), al TM (0,2±0,6) e al P3 mono
podalico (0,3±0,7). Il muscolo GG è più attivo nei P2
(0,6±0,9) e P3 (0,3±0,6) mono podalico rispetto al TB
(0±0). Il muscolo OE risulta significativamente più
attivo nel P1 mono podalico (2,3±1,7) rispetto ai P1
(0,8±1,2) P2 (0,7±1) e P3 (0,6±1,1) bi podalici, nel P2
(2,3±1,7) e P3 (2±1,5) mono podalici rispetto ai P2 e
P3 bi podalici. Il muscolo SL non mostra alcuna differenza significativa in nessun esercizio in questa fascia di intensità.
Dalla fascia d’intensità molto alta (300-399%) a salire
sino alle due altissime (400-499% e >500%) per tutti i
muscoli tranne che per l’OE non si rilevano più alcune
differenze significative, e per altro i picchi di segnale
EMG al secondo si riducono a valori davvero piccoli:
dell’ordine dello 0,1-0,2 P*s-1. L’OE invece nella fascia molto alta risulta essere molto attivato nei protocolli P1 (0,9±0,9) P2 (0,9±0,9) P3 (0,8±0,7) mono podalici rispetto al TB (0,2±0,3), e seppur non risultano
differenze significative il quantitativo di picchi di segnale EMG al secondo in questi protocolli è comunque maggiore rispetto a quelli fatti registrare nel TM,
altre differenze significative si hanno poi tra i singoli
protocolli di BTm mono podalici rispetto ai bi podalici.
Le stesse identiche differenze significative si ripetono
poi nella prima fascia ad intensità altissima (400499%) ma logicamente con valori assoluti di picchi di
EMG al secondo molto ridotti, fino poi a ridursi e quasi scomparire nella seconda fascia di intensità altissima (>500%).
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ANALISI COMPARATIVA ELETTROMIOGRAFICA DI DUE ATTREZZATURE PER IL BALANCE TRANING
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
L’analisi dei dati mette in luce come l’intensità del segnale EMG sia spesso superiore al valore fatto registrare da un esercizio di ½SMIV. Questo dato potrebbe tranne in inganno facendo ipotizzare che un esercizio di BT sia più intenso di un esercizio multi articolare isometrico massimale, va però considerato che,
concettualmente, uno stesso segnale EMG della medesima intensità in µV può essere generato attraverso due strade complementari: 1) un maggior numero
di unità motorie che si contraggono a bassa intensità
o 2) un minor numero di unità motorie che si contraggono ad alta intensità. Delle due strade prese come
esempio, senza dubbio, il BT si colloca nella seconda, in quanto un quantitativo di unità motorie minori si
attiva ad alta frequenza di scarica del Sistema Nervoso. Inoltre va anche sottolineata la natura dell’esercizio massimale utilizzato come parametro di normalizzazione dei dati: è senza dubbio un esercizio più utile
come riferimento per degli esercizi allenanti rispetto
alla semplice contrazione muscolare isometrica localizzata, ma allo stesso tempo non porta a contrazione
massimale tutti i muscoli indagati (es: OE, SL) e questo è un altro motivo per cui alcuni muscoli hanno
delle attività EMG nel BT che sono anche 2-3 volte
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SPORT
Figura 3 - Attivazione EMG nel BTc TB
Figura 7 - Attivazione EMG nel BTmP2 bipodalico
Figura 4 - Attivazione EMG nel BTc TM
Figura 8 - Attivazione EMG nel BTmP2 monopodalico
Figura 5 - Attivazione EMG nel BTmP1 bipodalico
Figura 9 - Attivazione EMG nel BTmP3 bipodalico
Figura 6 - Attivazione EMG nel BTmP1 monopodalico
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ANALISI COMPARATIVA ELETTROMIOGRAFICA DI DUE ATTREZZATURE PER IL BALANCE TRANING
Figura 10 - Attivazione EMG nel BTmP3 monopodalico
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SPORT
maggiori di quelle fatte registrare nel ½SMIV.
La fascia di intensità bassa (<100%) mostra una notevole maggiore attività muscolare in molti esercizi bi
podalici rispetto ai mono podalici e soprattutto nel
protocollo BTm in confronto al BTc, questo vale per
tutti i muscoli tranne che per GG e SL. È comunque
una fascia di attivazione EMG bassa.
La fascia di intensità media (100-199%) per il VL
sembra essere una fascia molto importante perché
discrimina nettamente, a differenza della fascia precedente, gli esercizi mono podalici da quelli bi podalici. Per tanto sembra che a bassa intensità il quadricipite “gestisca” solo gli esercizi bi podalici, mentre ad
alta intensità solo quelli mono podalici. Mentre per il
BF l’esercizio bi podalico classico sembra dominare
in questa fascia rispetto a quello bi podalico meccanico, probabilmente a causa di una diversa gestione del
movimento che nel BTc porta più spesso il soggetto
ad “alzarsi” per poi tornare in posizione di ½ accosciata. Inoltre va sottolineato che l’esercizio su cui si
è calcolata la normalizzazione dei dati di EMG è un
esercizio svolto al multipower che attiva molto di più il
VL rispetto ad un stesso esercizio però svolto liberamente (Andreson 2005), pertanto i dai di intensità del
VL potrebbero risultare leggermente sottostimati.
La fascia di intensità alta (200-299%) è sicuramente
una zona di lavoro impegnativa, dalle 2 alle 3 volte
maggiore dell’intensità di segnale espressa nel
½SMIV. Per alcuni muscoli però che non sono impegnati al massimo nel test isometrico come ad esempio l’OE questa fascia di intensità appare utile a discriminare alcuni comportamenti di questo muscolo
che non si palesavano in altre fasce di intensità: maggior coinvolgimento negli esercizi mono podalici rispetto a quelli bi podalici e, seppur non statisticamente differente ma solo ai limiti della significatività, maggior attivazione di questo muscolo nel protocollo di
lavoro P2 mono podalico rispetto al TB. Da queste
informazioni sembra trasparire che il BTm crei una
maggiore stimolazione della muscolatura della parete
addominale.
I dati della fascia di intensità molto alta (300-399%) e
della prima fascia ad altissima intensità (400-499%)
confermano quanto ipotizzato sul muscolo OE. Il BTm
attiva molto di più la muscolatura addominale che in
esercitazioni disequilibranti svolge un’importante funzione di “link” tra il treno inferiore e quello superiore.
Questa funzione viene esaltata nel BTm a causa della
natura stessa dell’esercizio: dal momento che la pedana robotizzata si muove sotto i piedi del soggetto
con forza, ampiezza e frequenza di movimento diverse fra loro il soggetto si trova in uno stato di doppio
disequilibrio che è dato dalla pedana sottostante e
dall’effetto di “sbandieramento” del tronco che si crea
in seguito a pochi attimi di lavoro sulla macchina. Per
tal motivo la maggior parte dei muscoli dell’arto inferiore reagisce a questo lavoro in maniera molto simile
a quello che accade nel BTc, ma la muscolatura addominale invece lavora in condizione completamente
diversa, andando a bloccare ed “ancorare” al cingolo
pelvico il tronco, che essendo la parte più distante
dalla pedana mobile è la zona soggetta a maggior
velocità periferiche, per cui l’intervento della parete
addominale per mantenere saldo il tronco è fondamentale.
Un comportamento a parte sembra invece avere la
muscolatura lombare (SL) che non risulta mai significativamente più attiva in alcune esercitazioni piuttosto
che in altre. La spiegazione potrebbe essere data dal
fatto che la posizione richiesta durante gli esercizi (½
accosciata) porta i muscoli SL in continua tensione
per cui la medesima posizione nei differenti protocolli
potrebbe causare una tensione di base simile nelle
differenti esercitazioni. Va comunque sottolineato l’andamento pressoché speculare della muscolatura
OE e SL che traspare dai grafici (fig.3-fig.10), in cui si
nota come questa zona del corpo (core) risponda in
forma speculare alle sollecitazioni disequlibranti con
lo scopo di compattare il sistema tronco-pelvi-arto
inferiore ai fini di non perdere repentinamente l’allineamento dei segmenti corporei.
In conclusione il BT di natura ascendente, quindi con
un disequilibrio che origina dal basso, attiva i muscoli
indagati fino a 2-3 volte in più rispetto al ½SMIV. In
generale gli esercizi bi podalici mostrano maggiori
differenze rispetto ai mono podalici per quanto riguarda le soglie di attività fatte registrare che sono solitamente più basse e si collocano per quasi tutti i muscoli nella fascia di intensità bassa <100%. Tra gli
esercizi svolti in posizione bi podalica e quelli in posizione mono podalica questi ultimi attivano maggiormente la muscolatura dell’arto inferiore, specie del VL
ma non del BF che sembra essere attivato maggiormente da BTc bi podalico, e del tronco (OE). Mentre
tra una condizione di instabilità classica (BTc) e una
indotta meccanicamente (BTm) sembra che l’ultima
attivi maggiormente la muscolatura indagata e soprattutto quella della parate addominale (OE) che si trova
a dover gestire un disequilibrio sicuramente più intenso.
ELAV JOURNAL Anno IV Numero 14-15
ANALISI COMPARATIVA ELETTROMIOGRAFICA DI DUE ATTREZZATURE PER IL BALANCE TRANING
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ANALISI COMPARATIVA ELETTROMIOGRAFICA DI DUE ATTREZZATURE PER IL BALANCE TRANING
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FITNESS E SALUTE
INTERLEUCHINA 6 E CONTRAZIONE MUSCOLARE. IL MUSCOLO: UN NUOVO ORGANO ENDOCRINO?
Stranieri Alessandro
Fisiologo Clinico dell’esercizio Fisico
Specialista in salute ed efficienza fisica
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni si è rivolta una grande attenzione al
ruolo delle citochine e del sistema immunitario e soprattutto del loro ruolo nei processi infiammatori. Molte delle attuali malattie cardiovascolari e in parte metaboliche, possono essere fatte risalire a processi di
tipo infiammatorio, i quali producono, ad esempio, la
proliferazione e il reclutamento dei monociti immunitari a livello endoteliale, i quali, insieme ai macrofagi, ai
leucociti e ad altre cellule, portano alla formazione
delle placche aterosclerotiche, principali responsabili
della stenosi delle arterie e della formazione di trombi
che possono occludere parzialmente o totalmente le
arterie, causando infarto miocardico e ictus cerebrale.
Quando i tessuti del nostro organismo sono sottoposti
ad un insulto, questi rispondono con una infiammazione, ovvero un’alterazione dei tessuti connettivi, del
sangue e dei vasi che lo conducono, finalizzata a riparare il danno subito ed eliminare l’agente dannoso.
E’ anche vero, però, che in alcuni casi il processo
infiammatorio può portare a risposte sovradimensionate[4] e poco controllate, tanto da creare danni aggiuntivi e contribuire all’innesco di un’infiammazione
di lunga durata.
In effetti il nostro sistema immunitario può essere diviso in due componenti principali, denominate come
componente naturale (o innata) presente in tutti gli
organismi pluricellulari e da una componente specifica (o acquisita) di complemento alla prima e più lenta
ad entrare in azione. I principali protagonisti della no-
stra immunità innata, ovvero di quella risposta immediata che danno luogo all’infiammazione, sono i granulociti neutrofili, prodotti dal midollo osseo, i fagociti
mononucleati (composti da monociti originati dal midollo osseo e che nei tessuti si trasformano nei più
potenti macrofagi) e da un particolare tipo di linfociti,
denominati Natural Killer (NK) che provvedono ad
attaccare i microrganismi che penetrano nel nostro
corpo. La componente specifica è invece rappresentata in gran parte dai linfociti T e B e dagli anticorpi da
questi prodotti, che insieme rappresentano una sorta
di sofisticato prolungamento della componente innata.
L’insieme delle due componenti è in grado di controllare l’agente dannoso, molte volte già solamente con
l’immunità innata, la quale cerca, in caso contrario,
l’aiuto dell’immunità acquisita comunicando con questa attraverso le citochine, molecole messaggere di
origine proteica prodotte dai macrofagi e dalle cellule
Natural Killer, che a loro volta sono in grado di attivare i linfociti e la componente cellulare del sistema immunitario.
ELAV JOURNAL Anno IV Numero 14-15
INTERLEUCHINA 6 E CONTRAZIONE MUSCOLARE
COSA SONO LE CITOCHINE E A COSA SERVONO
Le citochine sono un gruppo piuttosto numeroso di
proteine solubili che agiscono da mediatori di messaggi tra una cellula e l’altra, in modo particolare di
quelle che prendono parte alle difese immunitarie dell’organismo umano. Sono spesso divise in famiglie,
tra cui le più conosciute sono quelle delle Interleuchine (IL), degli Interferoni (IFN α, β, γ) e dei Fattori di
Necrosi Tumorale alfa (TNF- α). Lo studio di queste
molecole risale già agli anni ’50, ma in effetti sono
state indagate in modo massivo solo dagli anni ’80 in
poi, periodo in cui si è riusciti a clonare molte delle
citochine oggi conosciute. Al momento quelle identificate sono più di 100, ciascuna con effetti molteplici,
attuati attraverso legami su recettori specifici (tipo I o
II, TNFR, 7-TM) delle cellule bersaglio. Seppure il loro
Figura 1 - Principali siti di produzione delle citochine
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FITNESS E SALUTE
ruolo di messaggeri chimici sia simile a quello attuato
dagli ormoni endocrini, queste non sono secrete da
ghiandole specifiche, ma prodotte da una grande varietà di tessuti e cellule e per tale motivo spesso viene
dato loro un nome che ne indichi la cellula di provenienza o la loro attività. Ecco quindi che le citochine prodotte dai linfociti sono
chiamate linfochine, quelle originate dai monociti sono dette monochine, oppure interferoni, chemochine
e interleuchine per via della loro attività, fino ad arrivare alle recenti adipochine e miochine rispettivamente prodotte dalle cellule adipose e muscolari. Le modalità con cui le citochine si legano alle cellule possono
essere di tipo autocrino (sulla membrana della stessa
cellula che l’ha prodotta) paracrina (in cellule vicine a
quella produttrice) e in pochi casi di tipo endocrino (in
cellule molto lontane dalla cellula che le origina). [34]
Negli anni le citochine si sono dimostrate in grado di
realizzare numerosi effetti diversi in vitro, ma poco
ancora si conosce delle azioni biologiche in vivo. E’
però noto che tutte hanno quattro principali proprietà:
[26]
1. proprietà di pleiotropia, dove una stessa citochina
può avere effetti diversi su differenti cellule;
2. proprietà di ridondanza, in cui l’azione contemporanea di due o più citochine su di una stessa cellula amplifica l’effetto di ciascuna;
ORIGINI ED EFFETTI DELLE PRINCIPALI CITOCHINE CITOCHINA
ORIGINE
IL-1
Monociti Macrofagi Fibroblasti Endotelio Adipociti
IL-6
Linfociti Monociti Macrofagi Endotelio Adipociti Miociti
IL-8
IL-12
Linfociti T Monociti Endotelio Adipociti Miociti
Neutrofili Macrofagi
IL-15
Linfociti Macrofagi Miociti
IL-16
Linfociti-T
TNF-alfa
Macrofagi Linfociti Cellule NK Mastociti Fibroblasti Endotelio Adipociti
IFN-alfa
IFN-beta
IFN-gamma
Linfociti
Fibroblasti Cellule diverse
Linfociti Cellule NK
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INTERLEUCHINA 6 E CONTRAZIONE MUSCOLARE
EFFETTI PRINCIPALI
Aumento della temperatura Attivazione dei linfociti T e dei Macrofagi Incremento dell’attività dei NK Attività pro-infiammatoria Attività pro-coagulante
Attivazione e maturazione dei Linfociti T e B insieme a IL-2 Regola la fisiologia dell’infiammazione In sinergia con IL-1 stimola la produzione di timociti Stimola le proteine della “fase acuta” negli epatociti Stimola l’asse ipotalamo-surrene alla secrezione di ACTH Differenziazione delle cellule nervose, attività NGF simile Attività lipolitica locale
Attivazione dei Neutrofili Angiogenesi (?)
Differenziazione dei linfociti Attivazione delle cellule NK
Aumenta i linfociti T del sangue periferico Insieme all’Acido retinoico innesca la celiachia Fattore di crescita muscolare Attività lipolitica
Chemiotassi
Infiammazione locale Cambiamenti di permeabilità Aumento della temperatura Induce resistenza all’insulina Aumenta la produzione di proteina C reattiva Diminuisce la pressione Diminuisce la contrattilità del miocardio Induce la formazione di trombi Induce apoptosi di molte cellule
Attivazione SLA I
Attivazione dei NK Inibizione della replicazione dei virus
Induzione di SLA I e SLA II Presentazione di antigeni
Tabella 1 - origine ed effetti delle principali citochine
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FITNESS E SALUTE
3. proprietà di sinergia, dato che due citochine possono sommare i loro effetti su una stessa cellula;
4. proprietà di antagonismo, perché una citochina
può inibire o regolare l’effetto di una seconda citochina.
A queste proprietà si aggiungono alcuni effetti comuni
a tutte le diverse famiglie di citochine:
• mediano le risposte immunitarie e infiammatorie;
• sono prodotte da molti generi cellulari e agiscono
su altrettanti tipi di cellule differenti;
• si legano a specifici recettori posti sulla membrana della cellula bersaglio;
• la secrezione è di breve durata e autolimitata;
• spesso la sintesi di mRNA e di proteine è necessaria per attuare la risposta cellulare alla citochina;
• molte citochine regolano la divisione cellulare al
pari dei fattori di crescita. CONTRAZIONE MUSCOLARE E INTERLEUCHINE
IL-8 E IL-15
Sono ormai diversi anni che la ricerca scientifica ha
evidenziato come anche il muscolo scheletrico sia in
grado di produrre alcune citochine a seguito della
contrazione muscolare, in modo particolare le interleuchine IL-6, IL-8, IL-15, [28] [27] le quali appartengono
a famiglie piuttosto diverse di citochine. citochina dopo un esercizio esaustivo condotto per
mezzo di contrazioni eccentrico-concentriche, anche
se queste ultime sembrerebbero produrre meno IL-8
rispetto alla sola componente eccentrica. [30] [31] [32] [33]
Durante alcune biopsie muscolari l’IL-8 è stata riscontrata negli arti inferiori di atleti che avevano eseguito 3
ore di corsa al treadmill. [28] Allo stesso modo è provato che il muscolo scheletrico produca IL-8 all’interno
delle cellule muscolari di soggetti che abbiano condotto 3 ore di esercizio alla cyclette. [3]
L’interleuchina 15 (IL-15) è probabilmente la citochina
di più recente scoperta nel muscolo umano e sembra
possa comportarsi al pari di un fattore di crescita, modulando al contempo la funzione immunitaria. Si è
notato, infatti, un aumento delle proteine della catena
pesante della miosina, concomitante ad una significativa presenza di IL-15. [11] L’incremento sperimentale
di IL-5 nelle cellule muscolari del topo ha indotto nel
sarcomero un aumento di 5 volte della catena pesante della miosina. Inoltre, l’IL-15 esercita i suoi effetti
comportandosi in modo simile al fattore di crescita
insulino-simile (IGF-1) ma agendo indipendentemente
da questo. [39] L’interleuchina 15, oltre ad aver dimostrato (in vivo e in vitro) effetti anabolici sui muscoli
scheletrici, sembra giocare un interessante ruolo nel
metabolismo del tessuto adiposo e nella riduzione
ELAV JOURNAL Anno IV Numero 14-15
INTERLEUCHINA 6 E CONTRAZIONE MUSCOLARE
Figura 2 – Comportamento di alcune citochine durante esercizio strenuo prolungato.
Fonte: Kasapis and Thompson, Physical Activity and Inflammatory Markers, JACC
Vol. 45, No. 10, 2005
L’interleuchina 8 (IL-8) è compresa nella famiglia delle chemochine e si pensa agisca come fattore angiogenico, cioè in grado di stimolare la crescita di nuove
cellule endoteliali del microcircolo umano [15] in seguito alla sua capacità di produrre un’infiammazione per
mezzo di un’attività di tipo autocrina e paracrina. Diversi autori hanno riscontrato un incremento di questa
della massa grassa, tanto che la somministrazione in
ratti adulti di IL-15 per 7 giorni ha concretizzato una
riduzione del 33% della massa adiposa originaria. [6]
L’allenamento della forza sembra, quindi, aumentare
l’espressione dell’IL-15, anche se il ruolo regolatore
della contrazione muscolare nei confronti di questa
citochina non è ancora perfettamente chiaro. [27] In un
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FITNESS E SALUTE
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INTERLEUCHINA 6 E CONTRAZIONE MUSCOLARE
Figura 3 – Cellule produttrici di IL-6 (in alto) e cellule attivate dall’IL-6 con i rispettivi effetti (in basso)
recentissimo studio pubblicato su Nature a febbraio
del 2011, Bana Jabri, insieme ad altri ricercatori dell’Università di Chicago ha messo in luce come l’associazione tra IL-15 e Acido Retinoico derivato dalla
vitamina A, potrebbe essere all’origine della celiachia,
patologia che in Italia colpisce circa 100.000 persone.
ESERCIZIO FISICO E IL-6
Abbiamo scelto di soffermarci maggiormente su questa citochina, in quanto, tra le citochine prese in analisi in questo articolo, è sicuramente quella maggiormente studiata fino ad oggi, soprattutto per il suo ruolo nella regolazione immunitaria e ancor di più per il
suo ruolo pro-infiammatorio generalmente indotto dal
TNF-α e dall’IL-1. L’interleuchina 6 (IL-6) è solitamente prodotta dai monociti/macrofagi, dalle cellule endoteliali, dagli adipociti e dai fibroblasti e appartiene alla
famiglia di citochine caratterizzate da interazione con
i recettori di tipo I, come ad esempio l’IL-11, l’oncostatina M, il fattore inibente la leucemia, la cardiotrofina1, ed altre. [12]
E’ però anche vero che l’IL-6, oltre alle proprietà proinfiammatorie, possiede anche caratteristiche antiinfiammatorie e le tesi correnti sembrano assecondare l’ipotesi che sia proprio quest’ultima caratteristica a
predominare in questa citochina. Infatti, a differenza
delle ben più potenti TNF-a e IL-1, l’infusione nell’uomo di IL-6 non causa drammatici effetti infiammatori,
caratterizzandosi solo attraverso un lieve aumento
della temperatura corporea.[40] La sua fama di agente
infiammatorio è stata però predominante fino a non
molti anni addietro ed ecco perché, la presenza di IL6 a seguito di esercizio intenso e prolungato, ha fatto
immediatamente pensare agli effetti di un danno muscolare. Per tale motivo molte ricerche hanno provato
ad associare la presenza contemporanea di IL-6 e di
CK (CreatinKinasi) proprio per supportare la tesi di un
danno tessutale.[30] [31] In realtà si è visto che la con-
trazione muscolare, in modo particolare quella eccentrica, riesce ad aumentare anche di 1000 volte il contenuto plasmatico di CK, senza però modificare in
modo eccessivo la quantità di IL-6 nel sangue che,
nei giorni successivi l’impegno muscolare, aumenta di
sole quattro volte rispetto ai valori originali.[51] E’ quindi probabile che l’abnorme aumento di IL-6 dopo esercizio fisico di lunga durata sia indipendente dal
danno muscolare. E’ però certa la diretta correlazione
tra, elevata frequenza cardiaca, intensità di esercizio
e l’aumento di IL-6 plasmatica, comprovato dagli studi
effettuati da Ostrowski sugli atleti della maratona di
Copenaghen, analizzati nelle edizioni del 1996, 1997
e del 1998.[30] [43] E’ stato inizialmente ipotizzato che
tale incremento plasmatico della IL-6 fosse dovuto
all’adrenalina circolante. In seguito si è però appurato
che l’infusione di adrenalina in soggetti volontari accresceva di sole 4 volte L’IL-6 nel plasma, mentre
durante l’esercizio fisico la stessa aumentava di ben
30 volte. [47]
Dal punto di vista antiflogistico, è molto interessante
notare come, l’elevata presenza di IL-6 dopo contrazione muscolare, produca un rilevante antagonismo
alle interleuchine pro-infiammatorie, in modo particolare favorendo la produzione delle interleuchine IL-10
e della IL-1Ra (interleuchina antagonista per il recettore della IL-1b) che, come suggerisce il nome, legandosi al recettore cellulare della IL-1, impedisce alla
stessa di svolgere il suo ruolo dannoso. La IL-6 è anche in grado di stimolare il sTNFR (soluble Tumor
Necrosis Factor Receptor) che ostacola l’altrettanto
pericoloso TNF-alfa. Se consideriamo che il muscolo
scheletrico, vista la sua estensione corporea, è il più
grande organo del corpo umano, questa scoperta è
sicuramente rivoluzionaria e potrebbe fornire una risposta per capire il meccanismo dei benefici effetti
dell’esercizio fisico sulla salute e su molte patologie
croniche su base infiammatoria.[16] La produzione di
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FITNESS E SALUTE
IL-6 durante l’esercizio fisico può, quindi, essere utile
a mitigare gli effetti infiammatori di un lavoro fisico
prolungato, ma allo stesso tempo ci permette di pensare all’attività motoria come ad un potente antiinfiammatorio naturale in grado di combattere gli effetti dannosi della sedentarietà.
L’azione dell’IL-6 non si limita però alle sue capacità
anti-infiammatorie. Diversi studi hanno riportato anche effetti sul metabolismo dei carboidrati. Sono molti
i ricercatori che hanno tentato di capire in quale modo
il fegato sia in grado di rilasciare glucosio nel torrente
ematico durante l’esercizio fisico. Nonostante l’attività
fisica porti ad evidenti cambiamenti riferiti al cortisolo,
all’insulina, al glucagone e all’adrenalina, sembra che
questi non possano ancora spiegare il meccanismo di
aumento del glucosio epatico durante l’esercizio fisico. Si ipotizza, quindi, l’esistenza di un fattore sconosciuto rilasciato dal muscolo durante la contrazione.
[18]
L’IL-6 potrebbe dare una risposta ai dubbi emersi
in questi ultimi 30 anni, visto che tale citochina sembra essere amplificata durante l’esercizio eseguito
con bassi livelli di glicogeno[13] mostrando inoltre notevoli ripercussioni sul metabolismo del glucosio epatico e sull’assorbimento di glucosio da parte di quei
tessuti più insulino-sensibili.[49] E’ provato, inoltre, che
l'assunzione di carboidrati attenua gli aumenti plasmatici di IL-6 durante la corsa e la pedalata al cicloergometro[43] [25] mentre una bassa concentrazione di
glicogeno muscolare migliora ulteriormente l’mRNA
della IL-6 e il tasso di trascrizione della stessa. [46] [19]
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INTERLEUCHINA 6 E CONTRAZIONE MUSCOLARE
Figura 4 – Lo schema qui rappresentato mostra come
l’esercizio fisico possa attivare, per mezzo dell’IL-6, le
citochine inibitrici dell’infiammazione, bloccando l’azione dannosa del TNF-a e della IL-1. Queste due
citochine possono però a loro volta produrre IL-6 di
tipo infiammatorio, se stimolate da uno scorretto stile
di vita e da un eccesso di tessuto adiposo, riconosciuto anch’esso capace di secernere IL-6 infiammatoria,
attraverso la stimolazione di TNF-alfa e IL-1. Fonte:
Helle Bruunsgaard, Physical activity and modulation
of systemic low-level inflammation Journal of Leukocyte Biology Volume 78, October 2005
[48]
CONCLUDENDO
Alla luce di quanto espresso in questo articolo, si
comprende come sia di fondamentale importanza
mantenere sempre un buon grado di attività fisica, in
modo tale da contrastare gli effetti dannosi dell’inattività e degli errati stili di vita. E’ ormai comprovato da
un’infinità di studi come l’esercizio fisico sia protettivo
nei confronti delle malattie cardiovascolari e del diabete[22] del tumore del colon-retto[42] del cancro al seno[17] delle sindromi depressive e del declino cognitivo
[52] [53] [1]
e mortalità per qualsiasi causa. E’ altrettanto
importante nel trattamento delle malattie coronariche
[50]
nell’insufficienza cardiaca cronica[5] e nella BPCO
(Bronco-Pneumopatia Cronica Ostruttiva).[23] Risulta
essere però un paradosso il fatto che solitamente, un
lieve grado di aumento di IL-6 circolante nell’organismo sia considerato un grave rischio per l’insorgenza
di diabete di tipo2, di malattie cardiovascolari e di numerose patologie croniche, mentre invece grandi
quantità di IL-6, rilasciate a seguito di esercizio fisico
strenuo, siano addirittura considerate benefiche e
protettive per la nostra salute. Singolare dimostrazione ne è il fatto che l’IL-6 è spesso associata all’insorgenza di insulino-resistenza, mentre la sensibilità all’insulina si dimostra più elevata durante e dopo l’attività fisica, proprio quando l’IL-6 è fortemente cospicuo nel circolo sanguigno. Probabilmente gli studi
effettuati fino ad oggi rappresentano solo la punta
dell’iceberg e sicuramente i prossimi dieci anni ve-
Figura 5 – La contrazione muscolare rilascia IL-6, la
quale produce diversi effetti metabolici a livello del
fegato, del tessuto adiposo e dell’infiammazione. Le
ricerche provano che la IL-6 induce anche lipolisi e
ossidazione dei grassi ed è coinvolta nell’omeostasi
del glucosio durante l’esercizio. Fonte: Anne Marie W.
Petersen and Bente Klarlund Pedersen The antiinflammatory effect of exercise Journal of Applied
Physiology • Volume 98, April 2005
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dranno un nuovo filone di ricerche riferite alla capacità dell’esercizio fisico di stimolare la funzione endocrina del muscolo attraverso precise stimolazioni di questo tessuto.
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INTERLEUCHINA 6 E CONTRAZIONE MUSCOLARE
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FITNESS E SALUTE
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INTERLEUCHINA 6 E CONTRAZIONE MUSCOLARE
32
PSICOLOGIA
DIFFERENZE TRA AUTOSTIMA E AUTOEFFICACIA E LORO IMPORTANZA NELLO SPORT
te/tutto all’interno di uno stesso fenomeno, inoltre ci
specifica come l’autostima non sia meno multidimensionale del senso di efficacia.
Ardolino Fabio1, Colacchi Dalila2
1
Laureato in scienze della formazione, Master in
“Basketball Coaching System” presso il Crowell intensitive camp (Seattle)
2
Laureata in scienze della formazione primaria
INTRODUZIONE
Per poter spiegare al meglio le differenze che intercorrono tra Autostima e Autoefficacia è estremamente
utile dare una definizione preliminare di questi due
meccanismi:
Autostima: l’autostima è il rapporto tra il Sé percepito di una persona e il suo Sé ideale. Il Sé percepito
equivale al concetto di sé, alla conoscenza di quelle
abilità, caratteristiche e qualità che sono presenti o
assenti; mentre il Sé ideale è l’immagine della persona che ci piacerebbe essere (James 1890).
Autoefficacia: l’autoefficacia è l’insieme di credenze
che l’individuo possiede nei confronti delle proprie
capacità di aumentare i livelli di motivazione,attivare
risorse cognitive ed eseguire le azioni necessarie per
esercitare controllo sulle richieste di un compito
(Bandura 1996).
Come si può notare anche solo leggendo le definizioni fornite tra questi due meccanismi vi è una profonda
differenza. Mentre l’autostima riguarda giudizi di valore personale il senso di autoefficacia concerne giudizi
di capacità personale. Bisogna subito sottolineare
come tra i due fenomeni non ci sia alcun tipo di relazione definita, difatti questi meccanismi vengono a
mischiarsi soltanto quando una data attività riveste
molta importanza per una persona, quindi la perdita di
senso di efficacia influisce sull’autostima. Quindi se ci
limitiamo ad evidenziare le attività che la persona investe del proprio valore personale troviamo una falsa
corrispondenza tra i due fenomeni, poiché in questo
caso vengono completamente ignorate le altre attività
in cui queste due variabili non influiscono (come ad
esempio un’attività in cui il soggetto si sente molto
capace ma che non reputa importante ai fini della stima di se).
Il confondere questi due fattori ha origine sia metodologica che concettuale. I primi errori sono dovuti al
fatto che in alcuni test per misurare l’autostima
(Coopersmith 1967) si analizzano alcune variabili sull’autoefficacia che dovrebbero rimanere distinte, mischiando questi fattori si crea un falso rapporto di correlazione tra i due meccanismi, che diventano legati
l’uno all’altro. Per quanto riguarda gli errori di tipo
concettuale alcuni autori come Harter (1990) considerano l’autostima come una forma di autoefficacia generalizzata,trattando i giudizi di valore e di competenza personale come aspetti di diverso livello di generalità di uno stesso fenomeno, quindi il valore personale
viene considerato globale mentre il senso di competenza specifico. Bandura (1990) ci spiega come i giudizi di valore personale di autoefficacia costituiscono
fenomeni differenti,e non legati da una relazione par-
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DIFFERENZE TRA AUTOSTIMA E AUTOEFFICACIA E LORO IMPORTANZA NELLO SPORT
Fatte queste dovute premesse passiamo ora alla parte che più ci interessa, quella relativa allo sport. È
utile citare l’opera di Mone, Baker e Jeffris(1995) che
ci spiegano come un’alta autostima non influisca sulla
qualità delle prestazioni fornite, è il senso di autoefficacia percepita a condizionare le previsioni sugli obbiettivi scelti e la qualità delle prestazioni stesse. Detta in questo modo sembra che il livello di autostima di
un’atleta sia trascurabile e vada messo in secondo
piano, al contrario. Bisogna evitare che l’atleta attui
un processo di auto-svalutazione, essa trae origine
dall’incompiutezza e va combattuta coltivando capacità che possano fornire risultati positivi. Bisogna verificare quali siano gli standard a cui un’atleta tende e se
essi sono troppo elevati bisogna portare questi standard a livelli più realistici. Jackson (1972) ci spiega
come prendendo in considerazione livelli di prestazione giusti per l’atleta questo riesca più facilmente a
incrementare la propria autostima, e a regolare da
solo i propri obbiettivi e standard di prestazione.
Per quanto riguarda il senso di autoefficacia il discorso è più complesso. Come abbiamo visto dagli studi
sopracitati questa influisce pesantemente non solo
sugli obbiettivi scelti ma anche sui livelli di prestazione che l’atleta fornisce. Per questo ritengo utile trattare in maniera più approfondita il concetto di autoefficacia e il suo utilizzo all’interno dello sport.
AUTOEFFICACIA
L’autoefficacia costituisce un aspetto fondamentale
della conoscenza del sé, è la sensazione di ‘’essere
capaci’’ che attribuiamo a noi stessi. Bandura (2006)
sostiene che le persone contribuiscono a determinare
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33
PSICOLOGIA
il loro funzionamento psicosociale attraverso i meccanismi di aggentività (traduzione letterale dall’inglese
agency) personale, e l’autoefficacia rappresenta il più
importante fra questi, perché se le persone smettessero di credere di poter compiere una determinata
azione avrebbero pochi stimoli ad agire. Sempre citando Bandura “Il senso di autoefficacia corrisponde
alle convinzioni circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie per
produrre determinati risultati”.
Per iniziare a parlare di efficacia bisogna chiarire che
non si tratta di un’abilità fissa che una persona possiede o meno, ma di una capacità generativa in cui le
diverse sottoabilità (cognitive, sociali, emozionali e
comportamentali) devono essere adeguatamente coordinate e organizzate. Gli studi condotti da Schwartz
e Gottman(1976) evidenziano come una persona può
offrire una prestazione pessima nonostante conosca
alla perfezione il compito che deve svolgere e possieda tutte le abilità necessarie a svolgerlo. Un funzionamento efficiente richiede sia le abilità che la convinzione di saper usare quelle date abilità. È utile citare
a riguardo uno studio che More(1994) ha compiuto su
un gruppo di alunni. Questo studio mirava a confrontare le loro convinzioni di efficacia con il raggiungimento di diversi livelli di prestazione scolastica e le
loro sensazioni di efficacia riguardo alcune sottofunzioni cognitive (come prendere appunti o memorizzare), il risultato è stato che le sottoabilità necessarie
alla prestazione contribuiscono al giudizio di efficacia
ma non lo sostituiscono.
Passiamo ora ad elencare le quattro fonti principali
sulle si quali si forma il nostro senso di autoefficacia
(Bandura):
1. Esperienze comportamentali dirette: quanto ho
avuto successo in passato nello svolgere quell’attività
2. Esperienze vicarie e di modellamento: rifacendomi a esperienze altrui ed esempi portatimi dalla
società come mi paragono ad essi
3. La persuasione verbale ed altri tipi di influenza
sociale
4. Stati fisiologici ed affettivi.
Un altro aspetto che influisce in maniera importante
sull’autoefficacia percepita sono le aspettative che ci
si pone su quel dato evento o quella data circostanza,
anche in questo caso possiamo elencare dei parametri per misurare le nostre aspettative:
• Generalità: esperienze passate creano un determinato tipo di aspettativa di efficacia circoscritta
in un determinato ambito, altre ancora invece
allargano le aspettative a più ambiti • Forza: più è forte una data aspettativa più durerà
nel tempo e sarà in grado di resistere ad ogni tipo
di feedback che ci viene proposto • Ampiezza: ordinando per difficoltà varie attività,
troviamo che le aspettative di efficacia di alcune
persone sono limitate alle più semplici, a differenza di altre persone: l’individuo perciò si cimenterà
con certi compiti, non con altri più impegnativi. Come abbiamo visto quindi il nostro senso di autoefficacia viene creato mischiando esperienze, aspettative ed ansie. Naturalmente esso varia e si modifica a
seconda della situazione e del momento, cambiando
di fronte a nuovi compiti e nuovi obbiettivi.
L’autoefficacia percepita influenzerà in maniera consistente la scelta delle nostre attività, difatti se non ci
sentiamo in grado di svolgere una determinata situazione tenderemo a evitarla, o l’approcceremo in maniera negativa già sapendo di essere destinati a fallire
nell’impresa, la concentrazione durante lo svolgimento di quel determinato compito sarà volta ai limiti che
abbiamo e a quanto non siamo in grado di fare, i problemi ci sembreranno inevitabili e aspetteremo passivamente che arrivino. Inoltre sarà molto facile lasciare
il compito e cercare un ripiego più semplice. Se invece il nostro senso di autoefficacia è forte saremo pieni
di positività e di forza nell’affrontare il compito, sarà
l’ottimismo a prevalere e i problemi verranno affrontati
con giudizio e calma per essere risolti, in caso di fallimento si daranno spiegazioni come “Ero in grado ma
non mi sono impegnato abbastanza” e si recupererà
in poco tempo la voglia di riprovare e il proprio senso
di autoefficacia.
Arrivati a questo punto bisogna fare una distinzione
fra autoefficacia e autostima, che potrebbero sembrare due concetti molto simili. L’autoefficacia è un freddo giudizio sulle proprie capacità, su quanto siamo in
grado di fare in relazione ad un determinato compito,
l’autostima è un giudizio di valore personale basato
sulla soddisfazione di se. Inoltre mentre l’autostima
influisce sul nostro umore e sulle nostre emozione,
sono esse ad influire sul nostro senso di autoefficacia. Andiamo ora ad analizzare su quali piani il nostro
senso di autoefficacia influisce in maniera significativa:
• Cognitivo: Più la nostra autoefficacia è alta più lo
sono le nostre energie interiori, la nostra determinazione a svolgere il compito e la nostra capacità
di guardare ai successi futuri è strettamente legata al senso di efficacia che proviamo in quel dato
momento • Motivazionale: riguarda la capacità di affrontare i
problemi e le difficoltà, come già detto più l’autoefficacia è alta più la nostra motivazione tenderà
a mantenersi e a restare alta, senza scemare al
primo segno di difficoltà Inoltre sarà più facile
trovare nuove motivazioni all’interno dello stesso
compito • Emozionali: un forte senso di autoefficacia aiuta a
riparasi dallo stress e dall’ansia nello svolgere un
determinato compito, inoltre sarà più semplice
creare un clima di lavoro produttivo con altre persone • Scelta degli obbiettivi: come abbiamo visto la
scelta degli obbiettivi è strettamente legata al
senso di autoefficacia percepita, più ci crediamo
capaci più sceglieremo compiti che se pur considerati complicati godono di una percezione alta
nel nostro livello di appagamento. www.elav.biz
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DIFFERENZE TRA AUTOSTIMA E AUTOEFFICACIA E LORO IMPORTANZA NELLO SPORT
34
PSICOLOGIA
Quanto detto in questo paragrafo è riassunto in una
frase di Bandura:
“Le convinzioni che le persone nutrono sulle proprie
capacità hanno un profondo effetto su queste ultime.
Chi è dotato di self-efficacy si riprende dai fallimenti;
costoro si accostano alle situazioni pensando a come
fare per gestirle, senza preoccuparsi di ciò che potrebbe eventualmente andare storto” AUTOEFFICACIA E SPORT
Molto spesso le capacità di un’atleta sono condizionate sia in positivo che in negativo da quanto quell’atleta
pensa di essere in grado di fare.
Si è visto che il senso di autoefficacia è una somma
di esperienze passate, stato emotivo e esperienza
vicarie che un soggetto somma al suo interno. Questo
crea un’aspettativa di prestazione, che nello sport è
ancora più importante. Andiamo ad analizzare i vari
aspetti in relazione allo sport:
• Esperienze comportamentali dirette: le prestazioni
passate pesano in maniera significativa su quelle
future, un esempio che possiamo fare è quello dei
‘’tiratori di striscia’’ nel basket. Questo tipo di giocatori prendono fiducia mano a mano che i tiri
entrano, e dopo una partita con una buona media
al tiro solitamente ne seguono altre con una media altrettanto alta, questo perché ad ogni tiro che
entra il loro senso di competenza sale, sentono di
essere in grado di segnare anche il tiro successivo, si sentono infallibili • Esperienze vicarie: vedere un compagno di squadra o un idolo sportivo fare determinate cose mette l’atleta nella condizione di dover dire ‘’ sono in
grado di farlo?’’, spesso questa domanda porta
numerose insidie e problemi, e giocatori si perdono per l’incapacità di emulare una prestazione
vista • Persuasioni verbali: questo punto è quello su cui
interviene direttamente l’allenatore e l’ambiente
circostante. Un esempio calzante nello sport americano sono i bambini di 8/10 che vengono portati
come nuovi fenomeni in un determinato sport,
vengono esposti mediaticamente e ottengono già
cosi giovani dei contratti pubblicitari. Naturalmente il loro senso di autoefficacia sale alle stelle, si
può rivelare dannoso dato che le proprie aspettative rischiano di diventare troppo alte • Stati fisiologici ed affettivi: è la componente più
importante in una prestazione sportiva, difatti lo
stato fisiologico e affettivo influenza in gran parte
la prestazione, se un atleta non si sente pronto
fisicamente, o sente che non c’è fiducia in lui non
riuscirà mai a dare il meglio nella propria prestazione. Bandura (1986) afferma che l’osservazione di un modello competente rappresenti il modo migliore per
acquisire informazioni necessarie allo sviluppo delle
abilità. L’autoefficacia per padroneggiare un’abilità
fisica complessa definirà quanto impegno verrà profu-
so nell’imparare quella determinata abilità, se si prova
un senso di inefficacia si abbandonerà presto l’attività
fisica, invece un forte senso di autoefficacia renderà
più rapidi i progressi e si tenderà a sviluppare un senso di efficacia per l’attività fisica in questione. Lo dimostrano gli esperimenti svolti da Ferrari e BouffardBouchard (1992) su degli allievi di una scuola di karate; dopo averli divisi per senso di autoefficacia e abilità sono stati sottoposti ad insegnamento tramite modeling, il risultato è stato che anche chi aveva un effettivo livello di abilità basso ma un senso di autoefficacia alto padroneggiava la sequenza motoria meglio
di un compagno più abile ma con meno senso di efficacia. Quindi possiamo dedurne che l’apprendimento
di una data abilità non sia solo dovuto al talento ma
all’attitudine di ogni individuo. Quando un atleta capisce che lo svolgimento di determinate abilità non dipende dal talento ma dall’ impegno aumenta in maniera significativa il senso di soddisfazione e rende
molto più interessante l’attività, che viene improvvisamente percepita come alla propria portata.
È opportuno analizzare ulteriormente questi aspetti
attraverso una distinzione tra autoefficacia e fiducia.
La fiducia è un termine molto usato nello sport, ma è
un termine vago che indica una convinzione forte
senza specificarne l’oggetto. La fiducia può essere
anche riposta in negativo (ho fiducia che fallirò l’impresa). L’autoefficacia si riferisce alla convinzione di
riuscire a svolgere quell’impresa.
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DIFFERENZE TRA AUTOSTIMA E AUTOEFFICACIA E LORO IMPORTANZA NELLO SPORT
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PSICOLOGIA
Possiamo facilmente dedurre dopo aver analizzato
questi punti come gli atleti con un basso livello di autoefficacia percepita non riusciranno a produrre prestazioni soddisfacenti, andando sempre a cercare la
soluzione più semplice e non sempre di successo.
Anche chi crede che l’unico modo per imparare una
data abilità sia il talento avrà un risultato negativo.
Interessante a riguardo è la tesi del professor McAuley (1989) che considera l’autoefficacia e l’attività fisica in una relazione circolare dove la prima rappresenta il fattore che favorisce la conduzione di una vita
fisicamente attiva e l’attività fisica promuove, di conseguenza, un sentimento di efficacia personale.
Naturalmente è possibile intervenire sugli atleti con
un bassa percezione di efficacia personale, e la figura
che maggiormente può agire è quella dell’allenatore.
Difatti per il ruolo che ricopre nella vita di un’atleta
l’allenatore possiede delle armi esclusive, le sue parole sono ascoltate con maggior interesse da parte
dell’atleta ed alle sue considerazioni viene dato un’importanza cruciale. Ma tolto l’ovvio intervento di persuasione verbale che un’ allenatore può applicare con
un suo atleta esso può anche creare allenamenti atti
a migliorare il senso di autoefficacia percepita dall’atleta. In questi allenamenti si devono affrontare punti
critici per l’atleta e fornirgli una soluzione, in modo da
formare un bagaglio di esperienze pregresse sulle
quali l’atleta può poi fare riferimento. Altro strumento
utile sono i video, filmando la prestazione dell’atleta e
affiancandola con una leggermente migliore si può
stimolare l’atleta a fare meglio, facendogli vedere dove pecca e dandogli un riferimento da seguire, inoltre
essenziale è la scelta degli obbiettivi che devono risultare stimolanti, citando Bandura (1986) “la creazione di sfide personali attraverso la scelta di obbiettivi
contribuisce allo sviluppo ed all’esecuzione delle abilità atletiche in diversi modi importanti”.
Per concludere, un diagramma di Lupoli (2000) ci fornisce un’ottima sintesi a riguardo dell’autoefficacia e
del suo rapporto con la prestazione sportiva (Figura
1).
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DIFFERENZE TRA AUTOSTIMA E AUTOEFFICACIA E LORO IMPORTANZA NELLO SPORT
Figura 1 - Diagramma di Lupoli
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FITNESS E SALUTE
DECISION MAKER TRAINING: LA TECNOLOGIA A
SERVIZIO DELL’ALLENATORE
Mondonico Mosè1, Russo Luca Ph.D.2
1
Laureato in Scienze Motorie, Docente ELAV
2
Docente ELAV, Facoltà Scienze Motorie – L’Aquila
INTRODUZIONE
Al giorno d’oggi il continuo espandersi del mercato
del fitness e dell’allenamento mirato e cucito su misura sul cliente impone che la scelta dei contenuti e delle tipologie di allenamento non possa più dipendere in
alcun modo dalla sorte, pena la perdita del cliente da
parte del personal trainer o del centro fitness in questione a causa dell’insorgere di dubbi e demotivazione nel cliente per degli effetti dell’allenamento sperati
e mai concretizzati. Pertanto se nella vita di tutti i giorni siamo chiamati in ogni istante a prendere delle decisioni di diversa natura, lo stesso accade nella formulazione di una scheda di allenamento. Purtroppo
però nel processo di allenamento, non sempre, anzi
quasi mai è possibile verificare la scelta dei contenuti
allenanti nel brevissimo termine. In questa maniera
allora la programmazione di un intervento allenante
assume la connotazione di un continuo bivio tra l’ipotesi di avere successo o quella di fallire in termini di
risultati raggiunti. Si pone quindi la necessità di possedere un qualche strumento o parametro di riferimento che possa svolgere il ruolo di Decision Maker,
ovvero un metodo di analisi che fornisca degli indici e
delle misurazioni, da poter svolgere anche preallenamento, che forniscano delle indicazioni istantanee dello stato funzionale del soggetto: ovvero la valutazione dell’integrità della massa muscolare e della
relativa efficienza. Una sfida difficile per costi e praticità dei test non sempre alla portata della routine lavorativa.
Questo proposito può venire in aiuto l’utilizzo di uno
strumento troppo a lungo ignorato dai professionisti
del settore: il bioimpedenziometro. Ma come uno stru-
mento classicamente utilizzato da professionisti della
nutrizione può dare informazioni utili anche ai professionisti dello sport e del fitness? La bioimpedenza
(BIA), utilizzata non come strumento di valutazione
corporea ma come strumentazione di screening da
affiancare ai test di start up, può fornire informazioni
preziose per orientare il programma di allenamento?
La risposta è si ma per comprendere come queste
informazioni possono essere utili al processo di allenamento si deve conoscere meglio la metodica e passare dall’impedenziometria standard alla analisi vettoriale di impedenza, come a dire: “Se non sai da dove
parti è difficile prevedere dove arrivi”.
LA BIA E I MODELLI COMPARTIMENTALI DELL’ESSERE UMANO
La BIA è una valutazione oggettiva, semplice, affidabile, ripetibile e soprattutto assolutamente indipendente dalla volontà del soggetto testato sulla quale si
può iniziare a costruire la consulenza richiesta, sciogliendo facilmente il primo bivio a cui va incontro un
professionista delle scienze motorie trovandosi di
fronte un cliente: iniziare il programma di interventi
allenamento con esercizio aerobico o con potenziamento?
La risposta a questa domanda è fornita attraverso le
misurazioni delle BIA. Ma quali sono queste misurazioni? La BIA altro non è che la misurazione dell’impedenza ovvero una grandezza fisica che rappresenta la forza di opposizione di un corpo al passaggio di
corrente attraverso il calcolo della resistenza (R) e
della reattanza (XC), che possono essere interpretate
rispettivamente come: la forza opposta dai fluidi e la
forza opposta dalle membrane cellulari. In quest’ottica
allora si passa da una valutazione classica della composizione corporea basata su un Modello Bicompartimentale, costituito da massa grassa e massa magra,
ad un Modello Tricompartimentale, costituito da massa grassa, massa extra cellulare (ECM) e massa cellulare (BCM). Questo tipo di modello di composizione
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DECISION MAKER TRAINING: LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’ALLENATORE
Figura 1 - Confronto tra Modello Bicompartimentale e Modello Tricompartimentale
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FITNESS E SALUTE
corporea non è solo quantitativo, ma anche qualitativo dal momento che offre informazioni aggiuntive su
come è distribuita la massa magra e su quale sia la
quantità di quella metabolicamente attiva. La ECM è
formata da scheletro, collagene, legamenti, derma,
plasma, liquido interstiziale (solidi e liquidi extracellulari); mentre la BCM è la componente metabolicamente attiva dell’organismo: contiene il tessuto ricco
di potassio, ossida il glucosio, contribuisce per larga
parte al consumo di ossigeno; si tratta sostanzialmente delle cellule dei muscoli e degli organi. L’utilizzo del
Modello Tricompartimentale suggerisce allora che a
parità di massa magra ci si può trovare di fronte a
soggetti completamente diversi, che andranno sicuramente allenati in maniere differenti (Fig.1).
Le misurazioni di R e XC vengono poi inserite in un
grafico ellissoidale denominato BIAVECTOR che fornisce la descrizione dello stato funzionale del soggetto. Il grafico può essere interpretato come una sorta
di bussola che indica l’orientamento dello stato funzionale del cliente al momento della misurazione. Essendo un grafico ellissoidale avrà quindi due assi di
riferimento: uno maggiore che indica lo stato di idratazione e uno minore che indica la qualità delle membrane cellulari (Fig.2).
lar modo. Una valutazione svolta su 248 soggetti (118
donne e 130 uomini) presso un centro fitness italiano
(database Akern, Pontassieve (FI), Italy) riporta una
distribuzione del BIAVECTOR sui quadranti di sinistra
del 60% per le donne e del 89% per gli uomini, mentre sui quadranti di destra del 40% per le donne e dell’11% per gli uomini (Fig.3).
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DECISION MAKER TRAINING: LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’ALLENATORE
Figura 3 - Distribuzione BIAVECTOR praticanti
fitness, in rosa le donne e in blu gli uomini
ESEMPI DI APPLICAZIONI E CASI DI STUDIO
Caso 1: Obeso
Uomo di 36 anni, altezza di 1,85 m, peso di 163,5 kg.
Massa grassa 45%, metabolismo basale a riposo 1800 kcal. Obiettivo: riduzione della massa grassa e
miglioramento dell’assetto idrico.
Figura 2 - BIAVECTOR assi e punti di riferimento
Spostandosi parallelamente all’asse maggiore delle
ellissi dal basso verso l’alto (direzione S-N) si passa
da una condizione di iper-idratazione ad una condizione di disidratazione, spostandosi invece lungo l’asse minore delle ellissi da destra verso sinistra
(direzione E-W) si evidenzia un aumento della struttura e della sua qualità.
Per avere una maggiore chiarezza di come può essere valutato un soggetto e di quali possono essere le
situazioni da affrontare con i clienti occorrono dei
punti di riferimento. La BIA è nata soprattutto per applicazioni cliniche per cui risulta fondamentale fare
riferimento a dei campioni di soggetti quanto più specifici rispetto all’attività sportiva e al fitness in partico-
Figura 4 - Caso 1 soggetto obeso
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FITNESS E SALUTE
L’analisi del BIAVECTOR (Fig.4) ci indica un soggetto
con buona cellularità ma con evidente ritenzione idrica. La qualità delle membrane cellulari offre lo spunto
per credere che un primo approccio aerobico possa
ottenere dei risultati in quando le cellule sono pronte
a mantenere al loro interno la massa metabolicamente attiva che è quelle preposta al consumo di energia,
inoltre la buona salute cellulare permette l’utilizzo di
un volume di allenamento relativamente elevato.
Tipologia e quantità di allenamento da proporre:
1. Costruzione di un programma di training rivolto al
consumo calorico
2. Functional training rivolto al consumo calorico
3. Moderato lavoro con sovraccarichi
4. Circolatorio
5. 3-4 sedute settimanali
rattere aerobico. Infine il volume di lavoro dovrà essere sicuramente limitato vista la scarsa salute cellulare
e quindi la probabile difficoltà nel recupero.
Tipologia e quantità di allenamento da proporre:
1. Programma prevalentemente con sovraccarichi
2. Attività aerobica da inserire progressivamente
3. 2-3 sedute settimanali
Caso 3: ragazza sottopeso
Donna di 24 anni, altezza di 1,72 m, al primo test peso di 45,5 kg e massa grassa 6%, al controllo dopo
un mese di trattamento peso di 50,7 kg e massa grassa di 12%. Obiettivo: recupero funzionalità muscolare
e incremento ponderale.
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Caso 2: Donna soggetta ad effetto “YOYO”
Donna di 54 anni, altezza di 1,62 m, al primo test peso di 49,5 kg e massa grassa 33%, al controllo dopo
un mese di trattamento peso di 50,7 kg e massa grassa di 23%. Obiettivo: perdita di massa grassa.
Figura 6 - Caso 3 soggetto sottopeso
Figura 5 - Caso 2 donna soggetta ad effetto "YOYO"
L’analisi del BIAVECTOR (Fig.5) ci informa innanzi
tutto sulla scarsa qualità muscolare e delle cellule
della cliente che essendo poco resistenti tendono a
non mantenere al loro interno l’acqua portando la paziente in uno stato di cattiva idratazione. Questa condizione non favorisce di certo il mantenimento del
peso in quanto la massa metabolicamente attiva non
rimane all’interno delle cellule per bruciare energia.
L’allenamento dovrà allora orientarsi prima di tutto
verso la nuova ricostruzione delle cellule, coscientizzando la cliente che l’eventuale aumento o stati del
peso non sono assolutamente un fattore negativo ma
un necessario tono-trofismo muscolare utile alla successiva perdita di massa grassa, solo in un secondo
momento si potrà procedere con l’allenamento a ca-
In palestra non capitano solo casi di soggetti con necessità di perdere peso per tornare in salute ma anche il contrario. In questi casi la BIA offre informazioni
utilissime per come orientare il programma allenante,
soprattutto per conoscere quanto è deteriorato il tessuto cellulare in caso di malnutrizione. Il BIAVECTOR
(Fig.6) suggerisce un tessuto cellulare in cattivo stato
e una alta disidratazione. È necessario ripristinare la
qualità delle membrane cellulari affinchè mantengano
all’interno la massa metabolicamente attiva e migliori
lo stato di idratazione cellulare. Per raggiungere questi obiettivi in questa fase si deve optare per un ridotto
volume allenante.
Tipologia e quantità di allenamento da proporre:
1. Programma con sovraccarichi rivolto all’ipertrofia
e all’incremento del metabolismo basale
2. Attività aerobica limitata alla fase di warm-up
3. Functional training non rivolto al consumo calorico
4. 2-3 sedute settimanali
Caso 4: uomo sportivo amatoriale
Donna di 32 anni, altezza di 1,80 m, al primo test pe-
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FITNESS E SALUTE
so di 86 kg e massa grassa 22% Obiettivo: calo ponderale ed incremento della massa muscolare funzionale all’attività sportiva praticata.
preso tra 1-5 minuti prima del test, la tipologia degli
elettrodi rispettando le indicazioni del costruttore e
aspetto molto importante il posizionamento degli elettrodi che vanno applicati sempre sullo stesso lato del
corpo (per convenzione sul lato destro), nella stessa
maniera e a distanza di almeno 5 centimetri l’uno dall’altro (Fig.8).
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DECISION MAKER TRAINING: LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’ALLENATORE
Figura 8 - Standardizzazione posizionamento elettrodi
BIA
Figura 7 - Caso 4 soggetto sportivo amatoriale
L’analisi del BIAVECTOR (Fig.7) indica un soggetto
leggermente disidratato e con una qualità cellulare ai
limiti della normalità. Questa condizione che clinicamente potrebbe essere presa per buona sotto certi
punti di vista non lo è per un soggetto che una volta a
settimana sceglie di praticare una attività sportiva amatoriale senza avvalersi della consulenza di un professionista: la classica partita di calcio a 5 del fine
settimana. La qualità delle sue membrane cellulari e
della massa muscolare al momento del test potrebbe
divenire fonte di un eventuale infortunio durante l’attività fisica svolta. È allora necessario strutturare il programma di allenamento partendo da un lavoro sulla
muscolatura e funzionale all’attività sportiva praticata.
Tipologia e quantità di allenamento da proporre:
1. Programma con sovraccarichi rivolto al tonotrofismo muscolare e alla disciplina praticata
2. Functional training
3. 2-3 sedute settimanali + attività sportiva amatoriale una volta a settimana
ULTERIORI CONSIDERAZIONI SULLA BIA
Quanto riportato finora è senza dubbio un aiuto notevole per l’impostazione delle prime fasi di allenamento di un cliente che non si conosce o che si pone degli
obiettivi specifici e che punta sulla consulenza di un
professionista. Ad ogni modo, nonostante la BIA sia
un test attendibile e ripetibile è fondamentale che
vengano rispettate delle precauzioni utili a standardizzare il test e rendere le singole misurazioni quanto più
simili tra loro. Sono quindi da rispettare e ripetere l’ora del test che sarebbe meglio svolgere nelle prime
ore del mattino, la posizione del soggetto che deve
essere in decubito supino per un lasso di tempo com-
La BIA permette quindi di svolgere un’analisi FUNZIONALE della composizione corporea in quanto i
risultati della misura eseguita possono essere interpretati per avere informazioni ulteriori su: equilibrio
idroelettrico, variazioni di bioimpedenza registrabili,
equilibrio Anabolico/Catabolico e valutazione delle
fasi Carico/Recupero. Questi ultimi due aspetti sono
fondamentali per la programmazione di un piano di
allenamento personalizzato sul cliente al fine di scoprire quando, quanto e come si possono modulare i
parametri del carico allenante. Il valore della BIA che
fornisce queste indicazioni è l’Angolo di Fase (Fig.9).
Figura 9 - Angolo di fase (PA)
L’Angolo di Fase (PA) deriva dal rapporto tra reattanza e resistenza e varia nel corpo umano da 2-3° a 910°, sostanzialmente è un indicatore della proporzione fra le masse intra ed extracellulari. In questa maniera fornisce indicazioni sulle fasi anaboliche e cataboliche, facendo registrare valori maggiori per le fasi
di costruzione cellulare e valori inferiori per le fasi di
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FITNESS E SALUTE
distruzione (Fig.10). È fondamentale però sottolineare
e ricordare di porre attenzione all’Angolo di Fase e
contestualizzarlo sempre con gli altri parametri in
quanto due soggetti diversi potrebbe avere lo stesso
Angolo di Fase, ma caratteristiche e relative condizioni nettamente differenti (Fig.11).
Figura 10 - Relazione tra equilibrio Anabolico/
Catabolico e Angolo di Fase
CONCLUSIONI OPERATIVE
A seguito di questa breve panoramica delle potenzialità che l’analisi bioimpedenziometrica mette al servizio del professionista delle scienze motorie si possono trarre le seguenti conclusioni operative che si inseriscono all’interno di un processo integrato con altre
professionalità per la salute e il benessere dell’individuo (Fig.12), pertanto attraverso la BIA il trainer può:
1. Valutare ed orientare il programma di allenamento adeguandolo alle necessità personali di ogni
cliente
2. Individuare i volumi di allenamento
3. Monitorizzare continuamente il cliente creando
un archivio e un profilo personale
4. Conoscere le fasi cataboliche e anaboliche all’interno della ciclizzazione stagionale.
ELAV JOURNAL Anno IV Numero 14-15
DECISION MAKER TRAINING: LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’ALLENATORE
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:
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adult and elderly populations. Am J Clin Nutr,
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2. Database privato Akern.
Figura 11 - Peculiarità Angolo di Fase
Figura 12 - Processo di lavoro del trainer attraverso l'uso della BIA
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FITNESS E SALUTE
ALLENAMENTO PER IL DIMAGRIMENTO LOCALIZZATO. UN METODO RIVOLUZIONARIO PER
RISULTATI CONCRETI
Guerra Enrico1, Stranieri Alessandro2
1
Responsabile Scientifico ELAV, Facoltà Scienze
Motorie – Perugia
2
Fisiologo Clinico dell’esercizio Fisico
Specialista in salute ed efficienza fisica
INTRODUZIONE
L’esercizio fisico rappresenta un mezzo importante e
scientificamente provato per la per la prevenzione ed
il trattamento delle patologie cardiache, respiratorie,
oncologiche e soprattutto dell’obesità. Nonostante il
crescente interesse della medicina verso le grandi
potenzialità dell’esercizio fisico, la maggior parte delle
persone pensa a questo come ad un semplice metodo per migliorare il proprio aspetto estetico. Ecco
quindi il boom dei centri fitness, frequentati con l’intento di sottoporsi ad esercizi e programmi di allenamento finalizzati al dimagrimento di quelle specifiche
aree corporee ritenute ormai fuori controllo. Purtroppo
in molti casi si potrà riscontrare come sia difficile eliminare gli odiosi accumuli, tanto più quando questi
sono causa di particolarità ormonali dipendenti dal
sesso del soggetto e dalla localizzazione del tessuto
adiposo da rimuovere. E’ infatti noto come esista una
diversa capacità lipolitica dei vari distretti del nostro
corpo, dove il tessuto maggiormente sensibile a questo processo risulta essere quello dell’addome, seguito dalla zona superiore del tronco e delle braccia e
concludendo con quello meno lipolitico, ovvero il tessuto adiposo situato sui glutei, sulle cosce e al ginocchio. Di solito si tenta di pervenire allo scopo impiegando esercizi fisici che realizzino un dimagrimento
attraverso l’uso dei muscoli situati al di sotto del tessuto adiposo che si intende ridurre, alla ricerca di un
risultato localizzato. Ma esiste veramente il dimagrimento localizzato? Questo argomento non risulta affatto nuovo alla comunità scientifica internazionale, la
quale ha incominciato ad occuparsi di questa materia
già circa mezzo secolo fa, senza però arrivare ad una
opinione condivisa ed inequivocabile. Una delle più
note ricerche è stata senza dubbio quella di Grant,
Chelvam e Steinberg del 1971,[3] in cui si valutarono
le pliche cutanee degli arti superiori di numerosi tennisti, con lo scopo di appurare se l’utilizzo massivo della muscolatura del braccio dominante potesse essere
di ausilio per la perdita di grasso dell’arto stesso. Il
risultato fu deludente, in quanto non si rilevò nessuna
differenza significativa, in termini di plica adiposa, tra i
due arti. L’unica differenza sostanziale, ed intuibile, fu
la diversa dimensione muscolare (ipertrofia) dell’arto
che usava la racchetta. Nel 1979 Krockiewski e collaboratori indagarono gli effetti di 5 settimane di allenamento su 10 donne di mezza età che utilizzavano, in
modo monolaterale, una leg extension. Anche in questo caso vi fu un aumento della forza e del trofismo
muscolare, ma nessuna riduzione significativa del
tessuto adiposo sottocutaneo della gamba allenata.[8]
Nel 1984 Katch misurò il diametro degli adipociti della
regione addominale, glutea e sottoscapolare a seguito di un allenamento di 27 giorni eseguito con esercizi
di Sit-Up per l’addome. I risultati indicarono che tale
esercizio, pur riducendo del 6,4% il diametro degli
adipociti dell’addome non era stato prettamente specifico in quanto, risultati simili, erano stati ottenuti sia
nella zona glutea (5%) che nella zona sottoscapolare
(3,7%).[6] Sempre nella metà degli anni ’80 Despres
intraprese una ricerca in merito alla distribuzione del
grasso dopo un training aerobico su bike in soggetti
maschi. I risultati dimostrarono che le 20 settimane di
esercizio modificarono le pliche cutanee degli arti inferiori in modo minore rispetto a quelle del tronco,
(soprailiaca), denotando una maggiore sensibilità lipolitica dell’addome rispetto agli arti inferiori. Lo studio confermava però, come non esistesse una specificità nel dimagrimento di una determinata zona in seguito alla contrazione del tessuto muscolare adiacente.[1] Con un salto nel tempo arriviamo al 2007, per
vedere che Kostek non appura risultati migliori con
allenamenti per la parte superiore del corpo effettuati
contro resistenza.[7] Negli anni a seguire e fino ai giorni nostri, gli studi in merito al dimagrimento localizzato
(o Spot Reduction, come direbbero gli americani) si
susseguirono numerosi e tutti, inesorabilmente, concludevano che la riduzione adiposa circoscritta non è
raggiungibile né per mezzo di allenamenti contro resistenza, né con quelli di tipo aerobico. A riaprire la
possibilità che il dimagrimento localizzato possa effettivamente verificarsi attraverso l’esercizio fisico ci ha
pensato uno studio del 2007, che ha dimostrato un
aumento del tasso lipolitico nel tessuto sottocutaneo
adiacente al muscolo in esercizio.[11] I soggetti testati
hanno eseguito un training monolaterale contro resistenza al Leg Extension, alternando gli arti inferiori
nell’esecuzione e utilizzando intensità di potenza pari
al 25% (arto A), al 55% (arto B) e all’80% (arto A) del
Wmax, rispettivamente per 30, 120 e 30 min con 30
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ALLENAMENTO PER IL DIMAGRIMENTO LOCALIZZATO
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FITNESS E SALUTE
min di recupero tra ciascun periodo attivo. Ma cosa è
cambiato rispetto agli studi di solo qualche mese prima? In primis sono cambiati i sistemi di analisi della
lipolisi, attuati per mezzo di tecnologie più mirate,
quali lo Xenon-133 washout e la microdialisi. Lo Xenon-133 (o Xe-133) è un gas radioattivo con un’emivita nell’organismo di circa 5 giorni, in grado di emettere radiazioni gamma e beta rilevabili con attrezzature
di medicina nucleare. In sostanza è un tracciante gassoso molto lipofilico che giunge nel circolo sistemico
accumulandosi nel tessuto adiposo. La tecnica del
washout prevede una misurazione del tempo di
scomparsa del tracciante dall’area esplorata. Nello
studio è stato usato per valutare il flusso sanguigno
nel tessuto adiposo. La microdialisi, sistema comunemente impiegato per studiare la diffusione di farmaci
e neurotrasmettitori, è una tecnica che consente di
raccogliere e/o somministrare una sostanza in un determinato tessuto in vivo, rendendo possibile per diverse ore la raccolta continua di campioni. E’ stata
adoperata per verificare la quantità di glicerolo interstiziale presente nell’area interessata, parametro utile
per capire l’entità della lipolisi locale. Attraverso tali
metodiche lo studio ha messo in risalto che il flusso
sanguigno e la lipolisi sono generalmente più alti nel
tessuto adiposo sottocutaneo adiacente al muscolo in
contrazione rispetto a quello a riposo, a prescindere
dall’intensità di esercizio. Esercizi specifici, soprattutto ad alta intensità, riescono ad indurre una “spot reduction” nel tessuto adiposo. Il meccanismo di questa
lipolisi localizzata sembrerebbe in gran parte dovuto
alla stimolazione delle terminazioni nervose simpatiche libere, le quali, attraverso la contrazione muscolare, sono compresse e spronate alla secrezione di catecolamine, in particolare di noradrenalina, sostanza
altamente lipolitica.[2] Oltre a ciò, negli ultimi anni si è
appurato che il tessuto muscolare è in grado di rilasciare durante la contrazione, in particolare quando i
livelli di glicogeno sono bassi, una citochina chiamata
Interleuchina-6 (IL_6) che si è dimostrata in grado di
produrre effetti di lipolisi locale, [9][12][13] sebbene di
grado inferiore a quanto visto per la noradrenalina. In
sostanza, in aggiunta ai già noti fattori lipolitici ormonali (Cortisolo e GH) la contrazione muscolare è in
ELAV JOURNAL Anno IV Numero 14-15
ALLENAMENTO PER IL DIMAGRIMENTO LOCALIZZATO
grado di immettere nel circolo locale, sia noradrenalina che IL-6 per attuare una lipolisi del tessuto adiposo, il quale produrrà a sua volta NEFA (Non Esterified
Fat Acyd) ovvero acidi grassi non esterificati, quindi
liberi dal legame con il glicerolo, i quali potranno essere riutilizzati dal muscolo stesso durante l’esercizio
fisico. Si è però visto che gli acidi grassi liberi, se non
utilizzati dal circolo ematico locale entro una finestra
temporale di circa 60 min, tendono a ri-esterificarsi in
trigliceridi, riducendo l’effetto di lipolisi degli esercizi
contro resistenza.[4] Per tale motivo bisognerebbe
cercare di allontanare nel più breve tempo possibile
gli acidi grassi separatisi dal glicerolo, ricercando un
aumento del flusso ematico locale. Questo potrebbe
essere ottenuto attraverso un’attività aerobica di media intensità. Vi sono, in merito, numerose evidenze
scientifiche sugli effetti metabolici dell’esercizio aerobico eseguito dopo un training contro resistenza e su
come questo possa aumentare il dispendio calorico e
l’ossidazione dei grassi.[4] [5]
LO STUDIO PILOTA ELAV
Sulla base di tali evidenze scientifiche, si è voluto testare, attraverso uno studio pilota, un modello di addestramento caratterizzato dalla combinazione di sequenze di esercizi contro resistenza, eseguiti in modo
da favorire risposte ormonali atte a stimolare il tasso
lipolitico e a cui facesse seguito un esercizio aerobico
facilitante l’ossidazione dei grassi mobilizzati. Lo studio è stato svolto in compartecipazione tra l’Università
degli Studi del Foro Italico di Roma, nelle persone del
prof. Massimo Sacchetti e della collaboratrice Chiara
Antonetti, l’Università di Tor Vergata di Roma, rappresentata dal prof. Carmine Orlandi, ed eLAV, quale
soggetto coordinatore dell’intero progetto. La sperimentazione ha analizzato 14 persone durante 6 settimane di allenamenti, suddivisi in tre sessioni di
training settimanale. Gli allenamenti sono stati condotti per mezzo di due diversi circuit training, destinati
ad altrettanti gruppi di persone, che eseguivano:
- Circuito A: composto da 5 esercizi isotonici dedicati
agli arti superiori e un seguente training aerobico
svolto con gli arti inferiori.
- Circuito B: composto da 5 esercizi isotonici rivolti
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FITNESS E SALUTE
agli arti inferiori e un successivo lavoro aerobico per
gli arti superiori eseguito con la stessa intensità di
quella previste al primo circuito. Entrambi i circuit
training sono stati ripetuti per 2 volte, eseguendo gli
esercizi alla massima velocità possibile per il carico
dato (60% del CM), prima di realizzare il lavoro cardiovascolare aerobico al 70% del VO2max. I soggetti
di entrambe i gruppi sono stati valutati prima e dopo il
periodo di allenamento per mezzo di:
• DEXA – Dual Emission X-ray Absorptiometry
(totale, agli arti, e al tronco)
• Plicometria a 5 zone (tricipite, sottoscapola, addome, soprailiaca, coscia)
• Dispendio energetico a riposo con calorimetria
indiretta
• VO2 max e FC con test incrementale al cicloergometro
I risultati hanno confermato l’ipotesi di un dimagrimento localizzato agli arti superiori (per il gruppo A) e
agli arti inferiori (per il gruppo B). Anche la plicometria
ha evidenziato, rispetto alla fase iniziale della sperimentazione, miglioramenti selettivi dal 9% all’11% (a
seconda del sito preso in considerazione) per il gruppo arti superiori e del 11-12% per il gruppo degli arti
inferiori, evidenziando curiosamente in quest’ultimo,
anche una diminuzione del 15% della plica soprailiaca, a dimostrazione della maggior capacità di lipolisi
dell’addome e del fatto che il dimagrimento non può
essere totalmente isolato. La ricerca è stata condotta
con l’ausilio di un sensore inerziale Sensorize che ha
permesso una più agevole indicazione della velocità
di esecuzione degli esercizi in tempo reale. L’analisi
dei risultati ha portato, inoltre, alla creazione di un
algoritmo originale con cui calcolare con estrema precisione l’intensità di allenamento. L’algoritmo prevede
un calcolo troppo complesso e lungo per essere compiuto manualmente e per questo motivo ELAV e Sensorize hanno collaborato alla realizzazione di un nuovo strumento dedicato, provvisto di un software in
grado interpretare i dati scaturiti dall’accelerometria e
che vedrà la luce durante l’autunno con il nome di
FreeFitness. CONCLUSIONI
In base agli studi esaminati, l’esercizio fisico finalizzato al dimagrimento localizzato non sembrerebbe, ad
oggi, la chimera di un tempo. Dalla ricerca eLAV e
dalla bibliografia consultata si è potuto rilevare che,
specifici programmi di training mirato, possono influire
in maniera prevalente, sebbene non totalmente selettiva, sui distretti adiposi corporei degli arti superiori ed
inferiori. Per avere un tale effetto, gli esercizi isotonici
contro resistenza dovranno essere condotti con un’intensità pari ad una percentuale di potenza massima
(Wmax) tra il 60 e l’80% e con un’alta velocità di esecuzione. Tale intensità sembra avere l’effetto di indurre una maggior produzione di noradrenalina dalle terminazioni nervose libere stimolate dalla contrazione e
di far rilasciare IL-6 dal tessuto muscolare stesso.
Queste sostanze sembrano indurre un’azione lipolitica locale nei pannicoli adiposi adiacenti ai gruppi muscolari utilizzati, con conseguente ossidazione degli
acidi grassi liberati. Tale reazione risulta ancor più
favorita da una successiva fase di esercizio aerobico
di moderata intensità, condotto per un tempo variabile
tra i 15 e i 20 minuti. L’utilizzo di una strumentazione
sofisticata, come l’accelerometria, permette al trainer
di individuare con estrema precisione l’intensità di
intervento finalizzata alla Spot Reduction, con evidente soddisfazione della clientela e conseguente ritorno
di immagine per l’alta competenza dimostrata.
ELAV JOURNAL Anno IV Numero 14-15
ALLENAMENTO PER IL DIMAGRIMENTO LOCALIZZATO
BIBLIOGRAFIA
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ALLENAMENTO PER IL DIMAGRIMENTO LOCALIZZATO
45
NEWS
DIETA MEDITERRANEA E QUALITÀ DELLA VITA.
STRATEGIE DI ALIMENTAZIONE PER UN’ATLETA
DURANTE UNA PROVA DI ULTRA ENDURANCE.
La dieta mediterranea è stata correlata con una ridotta morbilità ed un miglior benessere. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare se la dieta Mediterranea sia associata con la salute mentale e fisica e
con la qualità della vita. L’analisi ha coinvolto 11.015
soggetti che hanno partecipato a 4 anni di follow-up
(progetto SUN). Prima dell’inizio del follow-up è stato
utilizzato somministrato un questionario di 136 voci
per valutare l’aderenza alla dieta Mediterranea. I soggetti, successivamente, sono stati divisi in 4 categorie
(basso, basso-moderato, moderato-alto e alto) in relazione alla fedeltà al regime alimentare. La salute correlata alla qualità della vita (HRQL) è stata misurata
dopo 4 anni di follow-up attraverso la versione Spagnola del SF-36 Health Survey. L’analisi dei risultati
ha rivelato un’associazione significativa e diretta tra
l’aderenza alla dieta Mediterranea e tutte le categorie
fisiche e la maggior parte di quelle mentali. La vitalità
e la salute generale hanno mostrato i coefficienti
maggiori. La media dei valori della funzionalità fisica,
il ruolo dell’attività fisica, il dolore del corpo, la salute
generale sono risultati significativamente maggiori nei
soggetti che hanno seguito la dieta Mediterranea. I
soggetti che hanno aumentato al classe di partenza
iniziale (ed esempio passando da basso a moderatoalto) hanno registrato un miglioramento del punteggio
del funzionamento fisico e della salute generale. Seguire la dieta Mediterranea sembra essere un fattore
fortemente associato con migliori punteggi di HRQL.
Henríquez Sánchez P, Ruano C, de Irala J, RuizCanela M, Martínez-González MA, Sánchez-Villegas
A.
Eur J Clin Nutr. 2011
Lo scopo di questo caso di studio è stato quello di
descrivere le pratiche di nutrizione di un runner per
completare la sua prima 100-km di corsa conclusa
con il tempo di 12h 48 min e 55s. Il consumo di cibo e
di liquidi durante la corsa è stato di 10,890 kj (736 kj/
hr) e di 6,150 (415 ml/hr) di liquidi. L’assunzione oraria di carboidrati è stata di 44g con il 34% proveniente
da liquidi. L’assunzione di carboidrati oraria è aumentata nella seconda parte della corsa (53 g/hr) rispetto
alla prima parte della corsa (34 g/hr). L’assunzione di
sodio è stata di 500 mg/hr (52 mmol/L) ottenuta tramite l’assunzione di bevande sportive e di un brodo preparato in casa. L’atleta ha consumato diverse tipologie di alimenti senza però accusare disturbi gastrointestinali. Nonostante in allenamento l’atleta preferisse
consumare cibi dolci, durante la gara ha preferito consumare cibi salati soprattutto nelle ultime fasi della
prova. Questo caso di studio evidenzia l’importanza
della nutrizione sportiva durante le gare di endurance
e fornisce delle indicazioni sull’assunzione di cibo e di
liquidi necessari per soddisfare i loro obiettivi nutrizionali.
Moran ST, Dziedzic CE, Cox GR.
Int J Sport Nutr Exerc Metab. 2011
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ALIMENTAZIONE
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
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NEWS
GLI EFFETTI DELLA CREATINA MONOIDRATO
SULLA PERFORMANCE ANAEROBICA E SULLA
FORZA.
DIFFERENZE TRA I SESSI NELLA SCELTA DELLO SNACK MENTRE SI GUARDA LA TELEVISIONE.
Lo scopo di questo studio è stato quello di esaminare
gli effetti di 7 giorni di supplementazione con 20 g di
creatina monoidrato al giorno (CM) sulla potenza media (MP) sul picco di potenza (PP), sul Wingate anaerobic test (WAnT), sul peso corporeo (BW) e sul risultato di una ripetizione massimale (1-RM) di leg extension e di bench press (BP). Alla ricerca hanno partecipato 20 uomini (età media ± DS = 22,1 ± 2,0 anni,
altezza = 178,0 ± 5,8 cm; BW = 77,6 ± 7,6 kg) che
sono stati assegnati in maniera causale al gruppo di
supplementazione o al gruppo placebo. Il gruppo
SUPP ha ingerito 20 g al giorno di creatina monoidrato in polvere per 7 giorni, mentre il gruppo PLAC ha
ingerito 20 g di maltodestrine al giorno. I test sono
stati eseguiti prima e dopo il periodo di supplementazione. I risultati di questo studio indicano che c’è stato
un significativo aumento dei valori di MP nel gruppo
SUPP (Pre vs Post test del 5,4%) mentre questo fenomeno non è stato riscontrato nel gruppo PLAC.
Non sono state rilevate delle differenze tra i due gruppi per quanto riguarda il test di leg extension e bench
press. Le scoperte di questo studio indicano che un
carico di 20 g di creatina monoidrato al giorno per 7
giorni aumenta la MP determinata dal WAnT, mentre
non ha effetti sulla forza.
Zuniga JM, Housh TJ, Camic CL,
J Strength Cond Res. 2011
Guardare la televisione è associato all’aumento del
rischio di obesità infantile. Le ricerche sulle abitudini
alimentari degli adolescenti non hanno analizzato le
preferenze riguardo gli snack consumati mentre i ragazzi guardano la TV. Lo scopo di questo studio è
stato quello di descrivere le preferenze degli adolescenti per quanto riguarda gli snack e quali sono le
regole imposte dai genitori riguardo il mangiare mentre si guarda la TV. Alla ricerca hanno partecipato
1557 studenti provenienti da 12 scuole del New England a cui è stato somministrato un questionario.
Dall’analisi dei dati è emerso che la maggioranza dei
bambini (62,9%) mangia gli snack a volte o sempre
durante la visione televisiva. Lo snack più consumato,
per entrambi i sessi, è stato quello salato (47,9%)
mentre la frutta e la verdura vengono mangiate del
18,4%. Le ragazze scelgono frutta e verdura più
spesso dei ragazzi. I maschi scelgono più frequentemente le bevande zuccherate rispetto alle ragazze
(43,5% vs 31,7%) mentre si verificano scelte opposte
per quanto riguarda la scelta dei succhi di frutta
(12,3% ragazze vs 6,1% maschi). In generale, circa la
metà (53,2%) degli studenti consuma degli snack meno salutari mentre guarda la televisione. Gli interventi
dei genitori focalizzati sul consumo di alimenti più sani potrebbero determinare dei benefici a lungo termine per la salute dei ragazzi.
Skatrud-Mickelson M, Adachi-Mejia AM, Sutherland
LA.
J Am Diet Assoc. 2011
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ALIMENTAZIONE
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
47
NEWS
ANALISI CINEMATICA DEI CALCIATORI TOPCLASS DURANTE UN CALCIO.
CARATTERISTICHE CINEMATICHE DEI MARCIATORI D’ELITE E MODIFICAZIONI DURANTE UNA
GARA.
Lo scopo di questo studio è stato quello di descrivere
la cinematica del movimento del calcio nei calciatori
top-level giovani concentrandosi sull’analisi della velocità lineare delle articolazioni impegnate nel movimento del tiro. Sono stati fatti eseguire dei calci di
collo piede a 21 calciatori top-class (16,1 +/-2 anni).
Sono state svolte delle riprese utilizzando un sistema
tridimensionale di video capture. La palla è stata calciata alla velocità media di 30,6 ± 1,54 m / s. La velocità massima lineare dell’anca è stata di 5,49 ± 0,53
m/s, quella del ginocchio 10,89 ± 0,63 m/s, quella
della caviglia di 19,36 ± 0,96 m/s e quella della punta
del piede di 24,59 ± 1,33 m/s. I marker sono stati attivati consecutivamente durante il calcio con lo sviluppo prossimale-distale tipico della catena cinetica. Durante l’azione di calcio sono state notate delle differenze significative nella posizione delle braccia, del
tronco, delle cosce, dello stinco e dei segmenti del
piede. Queste differenze indicano nell’istante in cui
ciascun giocatore (e ogni marker osservato) raggiunge la massima velocità di movimento ci sono posizioni diverse dei segmenti corporei. I risultati di questo
studio forniscono dei dati aggiuntivi sulla biomeccanica del calcio ed informazioni utili agli allenatori.
Juárez D, Mallo J, De Subijana C, Navarro E.
J Sports Med Phys Fitness. 2011
Lo scopo di questo studio è stato quello di analizzare
le più importanti variabili cinematiche nei marciatori
durante una corsa di 20 km. Alla ricerca hanno partecipato 30 uomini e 30 donne che sono stati analizzati
attraverso dei video registrati durante la World Race
Walking Cup. I dati video sono stati raccolti utilizzando 2 telecamere a 50 Hz che hanno permesso di
svolgere un’analisi 3D. I due parametri analizzati sono stati la frequenza e l’ampiezza del passo. Gli uomini sono stati più veloci delle donne grazie all’ampiezza del passo maggiore (la frequenza è rimasta
inalterata). Una riduzione della lunghezza del passo è
la causa iniziale di rallentamento. Dei tempi di contatto più brevi sono importanti per ottimizzare sia l’ampiezza che la frequenza del passo; gli atleti più veloci
riuscivano ad avere tempi di volo maggiori rispetto
agli atleti più lenti. È stato meno chiaro quali altre variabili cinematiche siano critiche per il successo nella
marcia, in particolare riguardo gli angoli delle articolazioni. Sono state trovate differenti associazioni per
alcune variabili chiave negli uomini e nelle donne, ciò
suggerisce che le tecniche possono differire a causa
delle differenze di altezza e massa.
Hanley B, Bissas A, Drake A.
Sports Biomech. 2011
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BIOMECCANICA
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
48
NEWS
LA VALUTAZIONE DI ATLETI ADOLESCENTI USANDO IL SALTO IN LUNGO REATTIVO E DA
FERMO.
UNA VIDEO SIMULAZIONE SPECIFICA PER I CALCIATORI PER MIGLIORARE LA VALUTAZIONE
DEL MOVIMENTO.
Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare
l’affidabilità del test di salto in lungo per la previsione
della performance di sprint nei 10 m negli atleti adolescenti di elite. Alla ricerca hanno partecipato otto giovani di livello nazionale di atletica leggera che hanno
eseguito tre salti in lungo da fermo (SLJ) e tre salti in
lungo reattivi (RLJ) su delle pedane di forza, seguiti
da tre prove di sprint sulla distanza di 10 metri. Per
esaminare l’affidabilità di questo test è stato calcolato
il coefficiente di correlazione intra-classe (ICC) e il
coefficiente di variazione (CV). I risultati della regressione lineare hanno individuato, dalla cinematica del
salto e dalle misura cinetica, il predittore migliore della performance media e migliore dei 10 m di sprint. I
valori ICC e CVs hanno indicato una buona affidabilità per la maggioranza delle misure cinetiche, tuttavia,
la maggiore affidabilità è stata registrata nel salto
SLJ. Il SLJ è un buon predittore del tempo di sprint
medio e migliore sui 10 metri, e la potenza media orizzontale è il miglior predittore della performance
(migliore, R2 = 0,751, p = 0,003, errore standard della
stima (SEE) = 2.2% media; R2 = 0,708 , p = 0,005,
VEDERE% = 2,5).
Moresi MP, Bradshaw EJ, Greene D,
Sports Biomech. 2011
Il miglioramento della validità tecnologica delle ricerche di laboratorio è recentemente venuto alla ribalta
grazie agli scenari di realtà virtuale. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare le differenze tra
biomeccanica degli arti inferiori mentre viene eseguito
un cambio di direzione previsto e uno non previsto.
Un software di visualizzazione è stato sviluppato con
lo scopo di ricreare una situazione specifica del gioco
del calcio in ambiente di laboratorio. Alla ricerca hanno partecipato tredici volontari. I dati biomeccanici
degli arti inferiori sono stati raccolti attraverso il sistema di video analisi VICON e grazie all’utilizzo di due
pedane di forza. Il test è stato svolto in condizione di
cambio di direzione previsto o imprevisto. È stato rilevato un aumento dell’angolo di adduzione del ginocchio (cambio di direzione non previsto -7.2 + / - 5,30
gradi; previsto: -4,0 + / - 5.3 gradi), e della rotazione
interna del ginocchio (non previsto: 8,1 + / - 4.7 gradi;
previsto: 5,2 + / - 6,5 gradi). Gli approcci metodologici
per gli studi che hanno valutato i fattori associati agli
infortuni di ACL dovrebbero prendere in considerazione l’ambiente di laboratorio e le modalità di proposizione degli esercizi ai soggetti partecipanti.
Cortes N, Blount E, Ringleb S,
Sports Biomech. 2011 Mar
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BIOMECCANICA
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
49
NEWS
ASSOCIAZIONE TRA L’ATTIVITÀ FISICA, IL
FITNESS E LO SVILUPPO DI DISORDINI METABOLICI.
STUDIO PILOTA SULLA CORE STABILITY E LA
PERFORMANCE ATLETICA: ESISTE UNA RELAZIONE?
I fattori di rischio cardiovascolari (CVD) si stanno presentando anche nei bambini. Ciò è stato dimostrato
che a partire dai 9 anni, ma negli ultimi anni questa
età si sta abbassando. È stato svolto uno studio longitudinale che ha coinvolto 484 bambini di 6 anni. Tre
anni dopo 434 bambini hanno partecipato al followup. I principali risultati analizzati per i fattori di rischio
cardiovascolari sono stati: la valutazione dell’omeostasi dell’insulino resistenza (HOMA), il rapporto tra
colesterolo totale/HDL, i valori dei trigliceridi (TG) e la
pressione sistolica. RISULTATI: i fattori di rischio sono distribuiti in maniera indipendente nei bambini di
sei anni, e non sono state rilevate delle associazioni
tra i valori dei fattori di rischio e i livelli di fitness o di
attività. Il raggruppamento dei fattori di rischio cardiovascolari è stato notato all’età di nove anni con 3 o
più fattori di rischio rilevati. All’età di nove anni i bambini appartenenti al quartile più basso come livello di
fitness avevano un rischio 34,9 volte maggiori di raggruppamento dei fattori di rischio rispetto ai bambini
del quartile di fitness più alto. Il raggruppamento dei
fattori di rischio cardiovascolari si sviluppa tra i sei e i
nove anni. A nove anni il raggruppamento dei fattori
di rischio cardiovascolari è fortemente associato con
dei bassi livelli di fitness.
Andersen LB, Bugge A, Dencker M
Int J Sports Phys Ther. 2011
L’obiettivo di questo studio è stato quello di valutare
la relazione tra core stability e performance atletica
negli atleti del college. In Letteratura non sono disponibili ricerche che quantifichino la relazione tra core
stability e la performance atletica. Permangono dubbi
riguardo i componenti più importanti della core stability in relazione alla performance atletica. Un campione di 35 studenti atleti volontari è stato coinvolto nella
ricerca. I soggetti hanno eseguito delle serie di 5 test:
abbassamento di entrambe le gambe (stabilità del
core), sprint di 40 yard, il T-test, il salto verticale e il
lancio della palla zavorrata. Sono state registrate delle correlazioni tra i test di core stability e ognuno dei
quattro test di performance. Il lancio della palla zavorrata è associato negativamente con il test di core stability (r -0.389, p=0.023).I soggetti che hanno ottenuto
punteggi migliori di core stability hanno registrato una
correlazione negativa con il lancio della palla zavorrata (r =-0.527). Il sesso è stato associato fortemente
con le variabili di forza del core, i maschi hanno registrato una misure dell’abbassamento delle gambe di
47,43 gradi mentre le donne 54,75 gradi. Sembra esserci una relazione tra il test di stabilità del core e i
test di performance atletica, tuttavia, sono necessarie
ulteriori ricerche per fornire una risposta definitiva
sulla natura di questo rapporto. Studi futuri dovranno
cercare di determinare se ci sono delle sotto categorie specifiche di core stability che sono più importanti
per l’allenamento ottimale e la performance negli
sport individuali.
Sharrock C, Cropper J, Mostad J.
Int J Sports Phys Ther. 2011
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FITNESS E SALUTE
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
50
NEWS
EFFETTI DI UN ALLENAMENTO DI FORZA E DI
RESISTENZA SUL FITNESS FUNZIONALE E L’UMORE E LA RELAZIONE TRA BMI E UMORE NEGLI ANZIANI.
EFFETTO IN ACUTO DEL VOLUME DI ALLENAMENTO CON I SOVRACCARICHI SULLA RISPOSTA ORMONALE NEGLI UOMINI ALLENATI.
L’indipendenza fisica e gli stati d’animo positivi contribuiscono ad invecchiare con successo. Lo scopo di
questo studio è stato quello di analizzare gli effetti di
un programma di allenamento aerobico e di forza sui
livelli di fitness funzionale e sugli stati d’animo degli
anziani e di valutare la relazione tra adiposità e stati
d’animo. Alla ricerca hanno partecipato settantotto
soggetti di età compresa tra i 65 e i 95 anni che sono
stati assegnati in maniera casuale al gruppo di controllo, al gruppo che ha svolto un allenamento aerobico (AT) o al gruppo di allenamento di forza (ST). I
livelli di Fitness funzionale sono stati valutati utilizzando il Senior Fitness Test (sia per gli arti superiori che
per quelli inferiori). Gli stati d’umore (depressione,
tensione, fatica, rabbia e confusione) sono stati valutati attraverso il questionario POMS-SF. I soggetti
sono stati valutati al basale e al termine delle 16 settimane di allenamento. Il valore di BMI è stato associato in maniera positiva con la tensione (r=0,30;
P<0,01), l’affaticamento (r = 0.31, p <0,01) e la confusione (r = 0.24, p <0,05). Dopo 16 settimane dalla
valutazione il gruppo di controllo ha registrato un aumento del livelli di confusione mentre il gruppo ST ha
registrato degli aumenti di forza. CONCLUSIONE:
Questi risultati supportano l’idea che un allenamento
basato sulla forza possa essere efficace come l’allenamento aerobico nel migliorare le abilità fisiche e
contribuire alla mobilità funzionale negli anziani. È
stata rilevata un’associazione positiva tra l’aumento di
BMI e i disturbi dell’umore. L’allenamento fisico ha
anche contribuito ad alcuni miglioramenti dell’umore.
Martins R, Coelho E Silva M, Pindus D.
J Sports Med Phys Fitness. 2011
Lo scopo di questo studio è stato quello di analizzare
la risposta ormonale in acuto ad un allenamento con i
sovraccariche di differente volume negli uomini. Alla
ricerca hanno partecipato dieci uomini allenati (24,5 ±
7,6 anni, 76,2 ± 9,2 kg; 175,6 ± 1,5 cm; 24,5 ± 5,5 kg /
m (-2)). Tutti i soggetti hanno eseguito due protocolli
sperimentali con differenti volumi. Il primo protocollo
consisteva in tre serie al 80% di 6 RM mentre il secondo protocollo era composto da 3 serie al 80% di
12 RM con due minuti di recupero tra le serie; i due
protocolli sono stati svolti a setti giorni di distanza. Gli
esercizi sono stati svolti con questa sequenza: panca
piana con bilanciere, leg press, lat machine, leg curl,
shoulder abduction e leg extension. Le variabili ematiche analizzate sono: testosterone, ormone della crescita (GH), cortisolo e rapporto cortisolo/
corticosterone (T:C) prima (pre) e immediatamente
dopo (post) ogni sessione. RISULTATI: La comparazione intra-gruppo dei livelli di testosterone e hGH ha
rilevato un significativo aumento nei protocolli 80%6RM e 80%-12RM. I livelli di cortisolo sono stati significativamente maggiori nel gruppo 80%-12RM e il rapporto T:C nel gruppo 80% 6 RM se confrontati i valori
pre e post. La comparazione inter-gruppo ha mostrato
valori maggiori di hGH e cortisolo e più bassi nel rapporto T:C nel gruppo 80% 12 RM. Non sono state
notate delle differenze statisticamente significative tra
i due gruppi per quanto riguarda i livelli di testosterone. CONCLUSIONI: Questo studio conferma che il
volume dell’allenamento con i sovraccariche potrebbe
essere un fattore importante per la modulazione della
risposta ormonale in acuto.
Leite RD, Prestes J, Rosa C
J Sports Med Phys Fitness. 2011.
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FITNESS E SALUTE
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
51
NEWS
TRATTAMENTO DEGLI INFORTUNI AL LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE NEI BAMBINI IN ETÀ
EVOLUTIVA.
MODIFICAZIONI RADIOLOGICHE E SEGNI DI OSTEOARTRITE DELLE DITA NEI CLIMBERS PROFESSIONISTI.
L’infortunio al legamento crociato anteriore (ACL) nei
soggetti in età evolutiva rimane una sfida per i bambini, i genitori, i chirurghi e i terapisti. Le principali sfide
sono rappresentate dal potenziale rischio di instabilità
ricorrente e dall’aumento del rischio di infortuni
(dovuti ad un trattamento non operativo) e dei rischi
connessi con il trattamento chirurgico dovuti alla delicatezza delle cartilagini epifisarie nella fase di accrescimento. Non sono stati condotti studi randomizzati
controllati che indagassero il risultato delle diverse
tipologie di trattamento. Non è stato riscontrato un
consenso in letteratura per quanto riguarda i criteri di
trattamento. Inoltre, sono descritti dei programmi di
riabilitazione da svolgere sia dopo il trattamento non
operativo che nel periodo post-operativo. Sulla base
dei dati attualmente disponibili è stato proposto un
algoritmo per il trattamento e la gestione delle lesioni
del LCA nei bambini in età evolutiva. Infine abbiamo
suggerito delle indicazioni per futuri studi prospettici
che dovrebbero includere lo sviluppo di misure di valutazione e dei programmi di riabilitazione specifici.
Moksnes H, Engebretsen L, Risberg MA.
J Orthop Sports Phys Ther. 2011
OBIETTIVO: Lo scopo di questo studio è stato quello
di indagare i cambiamenti radiologici e segni di artrosi
alle dita dei climbers professionisti dovuti allo stress
meccanico acuto a cui vengono sottoposte le dite, nel
corso degli anni, durante le arrampicate. Alla ricerca
hanno partecipato 31 uomini del Swiss climbing team
e 67 non climbers. È stato utilizzato il Fisher's exact
test per confrontare i segni di artrosi nei professionisti
e non professionisti. Per la valutazione delle modificazioni radiologiche, sono state eseguite delle radiografie di entrambe le mani. Nelle radiografie anteroposteriore sono stati rilevati dei segni di osteoartrite
nelle articolazioni interfalangee distali (DIP) e prossimali (PIP) delle dita II-V. Gli osteofiti delle articolazioni DIP e PIP sono stati valutati con delle radiografie
laterali e confrontate con i dati emersi dalle radiografie antero-posteriore. In accordo con il metodo Kellgren-Lawrence 6 dei 31 climber hanno mostrato chiari segni di osteoartrite nelle dita, mentre non sono
stati rilevati questi segni nei non alpinisti. Ventitre
climber avevano chiari segni di osteofitosi (emersi
dall’analisi radiografica antero-posteriore) rispetto ai
31 emersi dell’analisi radiografica laterale. Le radiografia laterale ha mostrato essere più accurata nella
scoperta e nella localizzazione dell’osteofitosi rispetto
alla radiografia antero-posteriore. I maschi climber
presentano molti più segni di osteoartrite rispetto i
coetanei non climber. Lo sviluppo degli osteofitosi
sembra essere normale nei climber. La radiografia
laterale è più accurata nella diagnosi dell’osteofitosi
nei climber rispetto a quella tradizionale anteroposteriore.
Allenspach P, Saupe N, Rufibach K, Schweizer A.
J Sports Med Phys Fitness. 2011
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RIABILITAZIONE E POSTUROLOGIA
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
52
NEWS
EFFETTI BIOMECCANICI DELL’AUMENTO O DIMINUZIONE DEI GRADI DI LIBERTÀ DELL’ARTICOLAZIONE TRAPEZIO-METACARPALE IN SEGUITO
AD UN INTERVENTO CHIRURGICO.
LA FRATTURA DI GALEAZZI.
L’osteoartrite dell’articolazione trapezio metacarpale
(TMC) potrebbe essere trattata con artrodesi o protesi, che potenzialmente potrebbero diminuire i gradi di
libertà dell’articolazione stessa (DoF). Lo scopo di
questo studio è stato quello di portare nuove conoscenze biomeccaniche riguardo questa procedura
chirurgica congiunta indagando l’influenza dei DoF
sull’articolazione TMC e sulla forza dell’articolazione
del pollice. Un modello di muscolo scheletrico del pollice è stato sviluppato per equilibrare la forza esterna
di 1 N in varie direzioni nella posizione di contatto tra
pollice e indice. Confrontando le varie tecniche con la
condizione 2-DoF (articolazione intatta) la forza muscolare è diminuita leggermente nel 0-DoF
(artrodesi), ma è drasticamente aumentato nel 3-DoF
(artroplastica). Le forze dell’articolazione TMC nella
condizione 3-DoF sono state 12 volte maggiori rispetto a quelle registrate nell’articolazione 2-DoF. Questo
studio contribuisce ad una maggiore comprensione
della biomeccanica della riparazione chirurgica dell’articolazione TMC ed evidenzia le differenze biomeccaniche conseguenti al tipo di tecnica chirurgica DoF
utilizzata.
Domalain MF, Seitz WH, Evans PJ, Li ZM.
J Orthop Res. 2011
La frattura Galeazzi è una fratture della diafisi radiale
con distruzione dell’articolazione radio-ulnare distale
(DRUJ). Tipicamente, il meccanismo d’infortunio è
determinato da un forte carico assiale e di torsione
dell’avambraccio. La diagnosi viene eseguita attraverso una valutazione radiografica. È comune anche una
sottodiagnosi poiché potrebbe essere trascurata la
distruzione dei legamenti dell’articolazione DRUJ. Il
trattamento non chirurgico, dopo una riduzione anatomica, con immobilizzazione del braccio potrebbe essere efficace nei bambini. Negli adulti il trattamento
non chirurgico generalmente non riesce a causa delle
forze che agiscono sul radio distale e sulla DRUJ. La
riduzione a cielo aperto con fissaggio interno sono da
preferire nel caso di scelta chirurgica. La riduzione
anatomica e il fissaggio rigido dovrebbero essere seguiti da una valutazione intraoperativa del DRUJ. Ulteriori interventi intraoperatori si basano sulla riducibilità e sulla stabilità postriduzione della DRUJ. La diagnosi errata o una inadeguata gestione del trattamento della frattura di Galeazzi potrebbe determinare disabilità o complicazioni, come ad esempio instabilità
DRUJ, limitato ROM dell’avambraccio, dolore cronico
del polso e osteoartrite.
Atesok KI, Jupiter JB, Weiss AP.
J Am Acad Orthop Surg. 2011
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RIABILITAZIONE E POSTUROLOGIA
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
53
NEWS
MODIFICAZIONI DELL’ALLENAMENTO DI UN ARBITRO DI ALTO LIVELLO: UN CASO DI STUDIO
DELLA DURATA DI 8 ANNI.
L’HIT & TURN TENNIS TEST UN TEST DI ENDURANCE PER I TENNISTI.
I casi di studio di un atleta sono spesso concentrati
sul risultato dell’allenamento e non riguardano il processo dell’allenamento stesso. Di conseguenza, c’è
una carenza d’informazioni longitudinali riguardo i
protocolli di allenamento, ma è la valutazione combinata sia dei risultati che dei processi che esaltano
l’interpretazione dei dati dei testi fisici. Abbiamo sfruttato un’opportunità unica di valutare il carico di allenamento, la performance fisica durante il match e i livelli
di fitness di un arbitro di elite di calcio nel periodo 2002-2010, ovvero da quando è diventato professionista
a quando ha arbitrato nei campionati del mondo. È
stata osservata verso la fine del periodo di studio una
maggiore attenzione all’allenamento della velocità di
corsa e della forza. Inoltre, è stata notata una diminuzione della distanza totale di corsa durante una partita ma un aumento dell’intensità della stessa. Gli esami di laboratorio hanno mostrato una stabilità dei livelli di VO2 max (52.3 vs 50.8 mL·kg-1·min-1), mentre la
velocità di corsa alla soglia del lattatato si è migliorata
nel corso degli anni passando da 14.0 vs 12.0 km·h-1
(2010 vs 2002) come l’economia della corsa (37.3 vs
43.4 mL·kg-1·min-1).
Weston M, Gregson W, Castagna C.
Int J Sports Physiol Perform. 2011
Questo studio è stato condotto per verificare e valutare l’Hit & Turn Tennis Test una prova progressiva sul
campo per giocatori di tennis. Alla ricerca hanno partecipato novantotto tennisti (53 maschi e 45 donne) di
differenti età e livello di gioco. Per la convalida i giocatori hanno compiuto tre prove del Hit & Turn Test di
Tennis, una su un campo in terra battuta e due prove
su una superficie sintetica, inoltre hanno svoltoun test
specifico con una macchina lancia palle e un test incrementale sul treadmill. È stata notata una forte correlazione tra la massima performance (r = 0.81,
P < 0.01) e il massimo consumo di ossigeno (r = 0.96,
P < 0.01. E’ stata osservata una correlazione tra l’Hit
& Turn test e il test con la macchina lancia palle che
tra l’Hit & Turn test e il treadmill test. Per il test-retest,
abbiamo notato una correlazione significativa tra la
massima performance sia sulla stessa che su differenti superfici. Durante il test di valutazione, la massima performance è stata maggiore nei maschi rispetto
alle donne e migliora con l’aumentare dell’età (nei
maschi ma non nelle ragazze). Concludendo l’Hit &
Turn test può essere utilizzato come un valido e affidabile test per la resistenza specifica del tennis.
Ferrauti A, Kinner V, Fernandez-Fernandez J.
J Sports Sci. 2011 Jan
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SPORT
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
54
NEWS
MISURA DEL CARICO DI ALLENAMENTO NELLO
SPORT.
REPEATED SPRINT ABILITY E FITNESS AEROBICA.
Il principio di allenamento può essere ridotto ad un
semplice rapporto “dose-risposta”. La risposta in questa relazione può essere misurata come una modificazione della performance o un adattamento dei sistemi fisiologici. La dose dell’allenamento, o lo stress
fisiologico associato al carico di allenamento è più
difficile da misurare in quanto non esiste un gold standard assoluto che possa essere utilizzato sul campo,
rendendo difficile validare le procedure. Sono stati
fatti dei tentativi per utilizzare la frequenza cardiaca
come marker d’intensità durante l’allenamento, ma
l’attrattiva teorica di questo metodo non è supportato
dalla precisione e dalla praticità di utilizzo del metodo
durante l’allenamento o la competizione. La sessione
di RPE, basata sul prodotto della durata dell’allenamento per l’intensità percepita è più pratica e può essere utilizzato in diversi sport. Tuttavia, i valori dipendono da una valutazione soggettiva e intersoggettiva
e la comparazione interindividuale potrebbe essere
poco accurata. Le esigenze delle differenti discipline
sportive e, quindi, i metodi di valutazione variano di
conseguenza. C’è un precedente per questo approccio che gli scienziati hanno fatto per la valutazione
dell’attività fisica e per definire gli infortuni nel rugby,
calcio e cricket. La standardizzazione di questi metodi
ha portato ad un aumento esponenziale della qualità
delle ricerche in questo ambito.
Lambert MI, Borresen J.
Int J Sports Physiol Perform. 2010
Lo scopo di questo studio è stato quello di rianalizzare la relazione tra fitness aerobico e indice di fatica
durante l’esecuzione di repeated sprint ability (RSA),
con una particolare attenzione alla normalizzazione
metodologica. I soggetti sono stati divisi in due gruppi
in base ai diversi livelli di fitness (alto e basso). I soggetti sono stati valutati con un test RSA (3 serie da 5
ripetizioni di uno sprint di 40-m con un minuto di recupero tra gli sprint e 1,5 minuti tra le serie) e un test di
sprint sulla distanza di 40 m. Sono stati eseguiti, inoltre, delle valutazioni della potenza delle gambe, uno
shuttle test sui 20-m e il University of Montreal Track
Test (UMTT) per misurare la potenza aerobica. La
maggiore correlazione con gli indici di fatica di RSA è
stata ottenuta con lo shuttle test (r = 0,90, p = 0.0001,
n = 19), un test con cambi di direzione di 180° che
prevede accelerazioni e decelerazioni. La correlazione più bassa è stata registrata con UMTT suggerendo
che alcuni test aerobici rilevano meglio che la potenza aerobica che però non rappresenta l’unico fattore
che concorre nel determinare il livello di RSA. Tuttavia, né la forza né il potenza di salto verticale sono
correlate con gli indici di fatica di RSA. I soggetti con
livelli maggiori di MAS sono riusciti a mantenere un
livello di velocità quasi costante per tutte le serie di
sprint ripetuti e hanno registrato un miglior recupero
tra le serie. Una MAS di almeno 17 Km/h favorisce un
livello di velocità costante ed elevato durante gli sprint
ripetuti. Da un punto di vista pratico, dei livelli di
fitness aerobici elevati sono importanti per contrastare la fatica negli sport che prevedono numerosi sprint.
Thébault N, Léger LA, Passelergue P.
J Strength Cond Res. 2011
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SPORT
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
55
NEWS
L’OREXINA È RICHIESTA PER LO SVILUPPO LA
DIFFERENZIAZIONE E LA FUNZIONALITÀ DAL
TESSUTO ADIPOSO BRUNO.
I VALORI PERCENTILI DELLA PERFORMANCE
AEROBICA DURANTE LA CORSA/MARCIA NEI
BAMBINI DI ETÀ COMPRESA TRA I 6 E 17 ANNI:
INFLUENZA DEL PESO.
Il neuro peptide Orexina (OX) stimola l’alimentazione
e l’eccitazione. La carenza di Orexina è implicata nella narcolessia, una malattia associata all’obesità, che
si verifica, paradossalmente, a fronte di una ingestione di cibo ridotta. In questa ricerca dimostriamo che
l’obesità nell’orexina-null dei topi sia associata ad una
compromissione della termogenesi del tessuto bruno
adiposo (BAT). Il cattivo funzionamento della termogenesi nella OX-null nei topi è dovuta all’incapacità
dei preadipociti del tessuto bruno di differenziarsi. Il
nostro studio suggerisce che l’obesità associata con
la deplezione di OX è collegata all’ipoattvità del grasso bruno, che porta a una diminuzione del consumo
energetico. Così, l’orexina gioca un ruolo fondamentale nella termogenesi adattiva e nella regolazione del
peso corporeo attraverso gli effetti sulla differenziazione e sulla funzione del BAT.
Sellayah D, Bharaj P, Sikder D.
Cell Metab. 2011
Lo scopo di questo studio è stato quello di fornire i
valori percentili di quattro diversi test di performance
aerobica in un gruppo composto da 2.752 (1.261 ragazze) di età compresa tra i 6 e 17.9. La performance
aerobica è stata valutata tramite il test di corsa a navetta (20mSRT), la corsa sulla distanza di 1 miglio, ½
miglio e ¼ di miglio. È stata misurata l’altezza e il peso ed è stato calcolato l’indice di massa corporea. I
maschi hanno ottenuto dei punteggi significativamente migliori rispetto alle ragazze nei test (in tutte le età
prese in considerazione) ad eccezione del test di ¼ di
miglio per i ragazzi di 6-7 anni. I bambini sottopeso
hanno ottenuto delle prestazioni simili a quelle dei
bambini normopeso. I bambini sovrappeso hanno
ottenuto delle prestazioni peggiori rispetto ai loro omologhi normo o sottopeso. La conoscenza dei valori
percentili dei più comuni test da campo per la valutazione della performance aerobica nei giovani potrebbe essere utile per identificare l’aumento del rischio
per le patologie croniche nei bambini e negli adolescenti.
Castro-Piñeiro J, Ortega FB, Keating XD, GonzálezMontesinos JL
Nutr Hosp. 2011
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UTILITA’ DALLA SCIENZA
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
56
NEWS
RELAZIONE TRA IL BODY MASS INDEX E LA
MORTALITÀ NEGLI EUROPEI.
WEIGHT CYCLING E CANCRO: RELAZIONE TRA
LA RESTRIZIONE CALORICA INTERMITTENTE E
IL CANCRO.
L’obiettivo di questo studio è stato quello di analizzare
la relazione tra body mass index (BMI) e la mortalità
per diverse cause. Alla ricerca hanno partecipato 72.947 uomini e 62.798 donne di età compresa tra i 24
e i 99 anni. Sono stati stimati sia il rischio di mortalità
relativo che quello assoluto per ogni categoria di BMI.
Il follow-up medio è stato di 16,8 anni e in quest’arco
di tempo 29.071 soggetti sono morti; 13.502 per patologie cardiovascolari (CVD) e 8748 per patologie cancerose. Tutte le cause di morte comprese quelle per
cancro hanno mostrato un aumento i relazione all’aumento del valore del BMI. Il rischio di morte più basso
è stato registrato negli uomini con un BMI compreso
tra 23 e 28 e nelle donne con un BMI compreso tra
21.0 e 28.0. La mortalità per CVD è stata costante
fino ad un BMI di 28.0 e dopo è aumentata gradualmente sia negli uomini che nelle donne, indipendentemente dall’età e del fatto che i soggetti fossero o meno fumatori. È stata riscontrata una relazione Ushaped tra il BMI e le cause di mortalità e una relazione di gradualità tra le CVD e il BMI maggiore di 28,0.
La relazione tra la mortalità per cancro e il BMI dipende in larga misura dal fatto che i soggetti siano o meno fumatori e necessita di ulteriori ricerche di approfondimento.
Song X, Pitkäniemi J, Gao W, Heine RJ, Pyörälä K,
Eur J Clin Nutr. 2011 Aug
I soggetti in sovrappeso e obesi spesso limitano l’apporto calorico per perdere peso. La perdita di peso
che ne risulta, solitamente è seguita da un aumento
di peso uguale o maggiore, questo fenomeno è chiamato anche weight cycling. La maggiore attenzione
del weight cycling è focalizzata sull’identificare gli effetti dannosi, ma alcuni esperimenti preclinici indicano
che la restrizione calorica o il digiuno intermittente
possano ridurre il rischio di cancro, questo aspetto ha
suscitato interesse sui possibili effetti benefici del
weight cycling. Anche se sono state ipotizzate delle
controindicazioni del weight cycling sul metabolismo
energetico esse rimangono in gran parte prive di fondamento, esiste anche una mancanza di prove epidemiologiche che la perdita di peso seguita da un aumento possa aumentare il rischio di malattie croniche.
Negli studi limitati sul weight cycling e il cancro non
sono stati rilevati degli effetti sul carcinoma mammario post-menopausa, mentre è stato registrato un modesto aumento del rischio di carcinoma alle cellule
renali, endometriali e del linfoma non Hodgkins. Un
effetto della restrizione calorica o del digiuno come
forma di prevenzione del cancro non è supportata
dalla maggior parte degli esperimenti condotti sulle
cavie. I dati raccolti indicano che per ridurre il rischio
di cancro sia necessario prevenire l’aumento di peso
e cercare di mantenere il peso corporeo all’interno del
range di normalità.
Thompson HJ, McTiernan A.
Cancer Prev Res (Phila). 2011
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ELAV JOURNAL Anno IV Numero 14-15
UTILITA’ DALLA SCIENZA
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
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ELAV JOURNAL Anno IV Numero 14-15