Gente d`Europa. Racconta l`esperienza di un viaggio in treno

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Gente d`Europa. Racconta l`esperienza di un viaggio in treno
ISTITUTO REGIONALE STUDI EUROPEI
Concorso Internazionale “Europa e giovani”
Edizione 2006
Sezione secondaria superiore: secondo premio ex-aequo a
Lodovica Comello, classe 2^ Liceo scientifico
Insegnante coordinatrice: Marilena Rossetti
Motivazione: “Lo scompartimento del treno diventa luogo in cui emergono storie e destini
diversi. Tra fantasia e realtà lo sforzo di riflettere su vicende anche drammatiche – come ad
esempio la guerra in Bosnia – vissute da persone appartenenti a diverse nazionalità,
ma sempre più europee.”
Elaborato:
Gente d’Europa. Racconta l’esperienza di un viaggio in treno attraverso alcuni paesi
d’Europa o di brevi immersioni nella metropolitana di una grande città europea. Volti
incontrati, vite intuite.
Io ovviamente sul sedile accanto alla porta della cabina: voglio vedere le persone che passano
silenziose e traballanti nel corridoio del treno in piena corsa. Mamma alla mia sinistra; papà, che
ha bisogno di aria e spazio, accanto al finestrino. Il paesaggio, là fuori, non è tra i più felici. Certo,
stiamo andando a Milano…Il cielo sereno di Mestre sta lentamente sfumando nel consueto grigioprigione che ho visto molte altre volte, quando sono stata a Milano a trovare mia sorella. Però oggi
Ilaria si laurea, e deve essere una giornata ben più felice. Peccato solo che il treno sia di una
monotonia inaccettabile: sono le sette di mattina, io ho sonno, il cielo fa l’antipatico e nessuno qui
in cabina parla…mi sa tanto che sarà un viaggio molto, molto lungo.
Cosa posso inventarmi per ingannare il tempo? Ormai non riuscirò ad addormentarmi. Guardo
speranzosa in direzione dei miei, non si sa mai che stiano facendo qualcosa d’interessante. Seh,
…dormono proprio di gusto. Così, cercando di assumere un’aria indifferente, mi metto ad
osservare le altre tre persone che stanno sedute nella nostra stessa cabina,.
Di fronte a papà, accanto al finestrino: ragazza bionda con gli occhiali, gambe accavallate,
agenda sfogliata con impazienza. Non riesce a trovare ciò che cerca. Potrebbe avere trent’anni o
giù di lì. Chissà che lavoro fa. A giudicare dalle occhiaie, uno piuttosto stressante. Il suo sguardo
spento si illumina non appena sventola tra le mani un foglietto ripiegato in due. Wow, che
emozione… Susanna lo apre (ho deciso che si chiama così) e con occhi avidi scorre una lista di
numeri scritti a penna, forse da lei. Poi estrae dal taschino della giacca un cellulare di ultima
generazione e compone un numero copiando dalla lista. “Salve qui è Schiratti, desideravo parlare
col suo collega, lo trovo?” Ah, beccata! Chissà chi sarà maaaaai questo suo collega…. Susanna,
da quando in qua una persona desidera parlare con un collega con quegli occhi sognanti? Sarà il
tuo innamorato? Mah, la risposta nella prossima puntata.
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Accanto a Susanna (a cui noto uno spiccato accento francese), un tizio molto, ma molto male in
arnese. Dario, dalla faccia. Sta seduto con le gambe aperte, le braccia incrociate sopra una giacca
che ha conosciuto tempi migliori. Non deve amare molto la doccia, penso. Continua a tirare su col
naso: se la mamma fosse sveglia non si farebbe problemi a porgergli un fazzoletto. Dario è poco
interessante. Mentre la testa gli ciondola da tutte le parti, gli auguro la buonanotte e passo al suo
vicino. Anzi, prima un’ultima occhiata a Susanna, intenta ora a scandire per bene il suo cognome:
”SCHI- RAT- TI…! No, non Schiatti, SCHIRATTI!”.
Il vicino di Dario è di sicuro un fotomodello: bello come se ne vedono pochi, in giro. È senz’altro
straniero, ma non riesco ad ipotizzare un nome. Forse Franz…, ma non ne sono sicura.
Sta seduto ben dritto, lui, leggendo un libro dalla copertina rossa. Fa un salto sul posto quando
una suoneria di cellulare a volume 3000 tuona all’interno della cabina.
Chi è lo scellerato che tiene una suoneria così alta, in treno? Susanna, naturalmente. Quella
estrae con grande stupore di tutti un secondo cellulare dalla borsetta (ma quanti ne ha?); risponde,
(è la mamma); chiude e sente il bisogno impellente di scrivere un sms a qualcuno. Guarda i due
cellulari indecisa su quale usare; incapace di una seria decisione, infila la mano nell’altra tasca
della giacca e ne sfila un Nokia palmare. Dopo questo - c’è chi sta tentando invano di convincere i
suoi a prendergli un cellulare solo un po’ più recente, mentre qualcun altro ne ha tre, uno più
nuovo dell’altro!- decido di non badare più a Susanna.
La testa di Dario è scivolata dolcemente sulla spalla di Franz, che lo guarda per storto.
Caspita, che noia. Mi sta venendo sonno… se qui dentro non succede qualcosa va a finire che mi
addormento. Per cinque minuti lascio perdere Susanna, Dario e Franz, e navigo nei miei pensieri.
Chissà mia sorella che sta facendo…sarà emozionatissima!
Poi, improvvisamente, vedo qualcosa di nuovo.
Vedo Susanna, seduta nel suo ufficio. Sulla porta scintilla orgogliosa un’etichetta: Caporedattore.
Susanna sta sfogliando una rivista di moda, evidentemente si è concessa una pausa dal suo
lavoro tanto stressante. Entra una signorina per bene, con un caffé. “Grazie Barbara” dice
Susanna con voce debole (dev’essere proprio stancante leggere di moda…) e forte accento
francese. Magari non è proprio Susanna: forse Suzanne. E, a giudicare dal panorama di palazzi
grigi, cartelloni pubblicitari, cielo fumoso oltre la vetrata alle sue spalle, siamo proprio a Milano.
Barbara esce più che discreta, mentre Suzanne le ingiunge di riferire ad una certa Gloria che, nel
caso non si fosse ancora capito, lei sta ancora aspettando la recensione su Casanova, del
prossimo numero. Numero? Capito. È la redazione di una rivista! Rivolgo lo sguardo al titolo del
giornale che Suzanne stringe tra le dita: Vanity Fair. Barbara tutta rossa (come se fosse indirizzata
a lei, ultima arrivata, l’ammonizione!) corre fuori, prima che il capo possa dirle qualcos’altro.
Qualcun altro bussa alla porta del caporedattore. Sarà Gloria con la recensione su Casanova? No,
è un uomo. Un Glorio. Molto elegante e dall’aspetto professionale. Porge dei moduli a Suzanne e
parla: erre morbide, accento inglese. “C’è quel siniore che chiede quando publichiamo sua history.
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Forse su prosimo Vanity. What should I say?” “Bah, fallo entrare. Scarseggiamo di storie
interessanti… Ah, la perorazione che hai piazzato in fondo al tuo pezzo non è per niente efficace.
Rivedila.” James (perché senza un nome vero, lui?) esce e poco dopo ritorna accompagnando
l’uomo un uomo dalla faccia familiare: Dario, del treno! Con la giacca logora e le scarpe sfondate.
Suzanne alza gli occhi al cielo, abbozzando un sorriso.
“Salve, molto piacere di incontrarla, signor…” “Irvin Radica.” “…Mi dica, ho qualche minuto.”
“Io volevo far conoscere la mia storia. Io vengo da Bosnia, Sarajevo. Io vengo qui in 1993, quando
in Bosnia c’è guerra, con mio fratello e mia mamma. Mio papà morto sotto macerie della casa…”.
Non è né Dario, né italiano, ma un vecchio rifugiato. “Vostro giornalista cercato qualcuno per
sapere di ora, come noi vive pace e nuova costruzione città; io raccontato ritorno…”
“Sì, mi hanno accennato e mi ricordo di una serie di interviste di questo genere… ma mi dispiace,
Irvin, non credo siamo più interessati. Non intendiamo pubblicare quel servizio. Tutti raccontano le
stesse cose, oramai la guerra in Bosnia non se la ricorda più nessuno; noi non trarremmo alcun
vantaggio dalla pubblicazione della sua vicenda.” “Ma mia mamma…” “La prego, si accomodi.”
Irvin si deve accontentare di essere un sopravvissuto qualunque.
Mezz’ora dopo. Suzanne con giacca e borsetta e si dirige a passo spedito verso l’uscita della
redazione. Sembra molto innervosita e stanca. Tutti gli impiegati la salutano cordiali, ma lei non
risponde a nessuno, anzi borbotta qualcosa in francese (deve essere una bella scocciatura essere
rispettata da tutti, eh!). Io la seguo e, una volta in strada, la vedo salire su un taxi. Che peccato,
l’ho persa… vabbè, continuerò il giro per Milano da sola. Giro l’angolo, mi trovo di fronte alla
Biblioteca Civica di Milano. Decido di entrare e chi ti trovo? Bello e biondo come lo era sul treno, il
mio Franz è intento a sfogliare un libro più grosso di lui. Quello è un testo di psicologia (c’è scritto
pure Freud) e lui trascrive pazientemente annotazioni su un quaderno. Scrive in tedesco (visto che
era Franz?). Strano, un fotomodello sta sulle passerelle, non in biblioteca a studiare Freud. Forse
uno studente in Erasmus che nel tempo libero sfila per Armani? C’è movimento, in Europa!
Esco dalla biblioteca. Accanto mi passa una signora col burqua, poi una hostess in partenza per
chissà quale paese del Mondo, un ragazzone di colore con un borsone della Nike…
Chissà chi sono mai queste persone, da dove vengono, dove sono dirette, che cosa hanno
passato e cosa si aspettano di trovare. Sono tante Suzanne o tanti Irvin? Vanno per la loro strada
o inseguono qualcuno? Non si può sapere tutto di tutti. Una cosa, però, è certa. Qualcuno, ora, sta
inseguendo me. Mi corre appresso, gridandomi “Bigliettooo!...biglietto! ehi, signorina…posso
vederle il biglietto?” Ma che biglietto vuole? “Bigliettoo! Signorina, mi sta sentendo? Mi deve dare il
suo biglietto…!”. Io non ho biglietti, ma che sta dicendo? E che maleducato, ad importunare una
persona che non conosce e che non ha mai visto. Che sia un maniaco? Meglio correre via, non mi
deve prendere… Troppo tardi. Qualcuno mi afferra per la spalla: non posso più scappare. Io mi
dimeno, tiro calci e pugni, ma quel qualcuno non molla la presa e continua a strattonare.
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In preda allo spavento, improvvisamente mi ritrovo sul sedile del treno diretto a Milano. Accanto
a me, la mamma mi scuote per una spalla e mi dice di svegliarmi, perché il controllore sta
aspettando di vedere il mio biglietto. E così era il controllore…e io stavo semplicemente sognando.
Che stupida, sembrava così realistico. Ero a Milano, ma ero in Francia, in Bosnia, a Berlino, in
Inghilterra… Ho sentito il francese, ho immaginato la sofferenza di una persona che sfugge alla
guerra, ho toccato la voglia di sapere di un’altra. Ero un pezzettino di un enorme e complicato
puzzle che chiamiamo Europa; ero una delle tante persone che nello stesso momento viaggiano
per le vie di un variegato mega-paese, inseguendo un suo sogno diverso da quello degli altri.
Peccato che qualcuno abbia distrutto questo sogno, è vero, qualche volta amaro…
Dannato controllore…
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