Aqua Acoustic Quality La Scala
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Aqua Acoustic Quality La Scala
Aqua Acoustic Quality La Scala C he interessante revival questo delle unità DAC, elettroniche che un decennio fa attraversavano una crisi d’identità bella e buona. Con i SACD che sembravano imporsi, erano in tanti a chiedersi quanto valesse la pena portarsi in casa 10 kg di pur eccellente elettronica, per convertire un “elementare” segnale 44/16. Poi, merito della musica liquida ma anche di chi ha tenuto duro cercando fino all’ultimo milligrammo la qualità nel flusso red book, i DAC separati hanno ritrovato una nuova ragion d’essere. Certo, si sono dovuti evolvere, da elettroniche “passive” quali erano, hanno dovuto familiarizzare con i computer aggiungendo un ingresso informatico, molti si sono specializzati nell’alta risoluzione, molti hanno perso il collegamento ottico, e così via. Questa neo-evoluzione oggi ha nuovamente raggiunto un livello tale, che si sono ri-formate delle famiglie di appartenenza con i rispettivi capofamiglia. Si potrebbe ipotizzare la famiglia industriale-ma-romantica capitanata dall’Audio Research DAC8, oppure i signorili dCS, o gli Audio Note: tutti i segnali elettrici che li hanno attraversati raccontano sensazioni fantastiche! Poi, in questo surrogato di “Città Invisibili” calviniane, c’è il professionale che piace agli audiofili Rosetta 200 di Apogee. E poi ci sono i DAC piccoletti, famiglia interessante, sempre più popolare e ampiamente trattata nell’ultimo anno da AUDIOREVIEW. C’è però anche chi esula tutti questi casati e costruisce DAC senza copiare nessuno (né ARC, né Audio Note, né Apogee, insomma nessuno). La cosa attraente, è che questa è una ditta della provincia di Milano che opera con metodi semiartigianali e che è 78 DAC Aqua Acoustic Quality La Scala + La Voce Prezzi: La Voce Euro 950,00 (Euro 1050,00 versione con Burr-Brown); La Scala Euro 2800,00 (compelto di scheda USD HD) Distributore per l’Italia: Stefano Jelo, via Fratelli Cervi 3 - 20090 Opera (MI). www.aquahifi.com talmente sicura dei suoi prodotti da aver preso una saletta tutta sua allo scorso Milano Hi-End. Parliamo di Aqua che, per la verità, si scriverebbe aqua, tutto minuscolo, ed è l’abbreviazione di “acoustic quality”. A questo punto, la domanda drammaturgica principale potrebbe essere: “Quando è giusto parlare di oggetto, di prodotto e di creatura?”. Audio Club, per esempio, per suo DNA predilige le “creature”. C’è massimo rispetto per tutte quelle aziende che s’identificano in rigidi processi produttivi il cui goal è un’alta qualità che armonizzi i principali driver del mercato, anche per essere competitivi con i colossi cinesi. Rispetto quindi, ma da queste “rigide” linee di produzione al massimo potranno uscire design mozzafiato, prestazioni eccellenti e misure così pulite che sembrerebbero essersi disegnate da sé. Ma le creature sono un’altra cosa. Le creature nascono (anche) in spazi angusti (da qui il dispregiativo “cantinaro”), nascono da chi ha la fobia di liquefare stagno, tanto stagno e tanti fumi finché l’orecchio non è soddisfatto e solo poi si guardano le misure. Le creature sono quelle macchine da musica prodotte in pochi esemplari, spesso cucite addosso alle esigenze del cliente, fatto rendersi conto che per la logica degli sconti-quantità dei grossisti dovresti portati in casa un milione di componenti per volta! Dei prodotti Aqua ci piace un po’ tutto questo e ci piace che loro costruiscono veramente in accordo alla filosofia che sbandierano sul sito: “Elettroniche progettate per servire la musica, costruite per durare”. Io aggiungerei anche l’elevata attitudine di quest’azienda al customer satisfaction. Il loro portfolio comprende: due DAC (il loro prodotto principe), un ampli integrato e due modelli di diffusori. Su richiesta, Aqua produce anche cavi sviluppati per il collegamento di tutti i loro componenti (della serie: bisogna rispondere con i fatti e con una propria politica a un mercato sempre più complesso). La Scala è il maggiore dei due DAC. È un convertitore che ha come target prestazioni con pochi compromessi, indipendentemente che la sorgente sia una meccanica CD o la musica liquida in alta risoluzione. Un gradino sotto c’è La Voce, macchina per tanti aspetti sorprendente cui è stato dedicato il box separato. La Scala si presenta molto bene, con un design sobrio, solido, dove risalta la realizzazione artigianale made in Italy. Il cabinet e il frontale sono in alluminio, in modo da garantire una buona refrattarietà alle vibrazioni e fare da guscio amagnetico ai circuiti. Un leggero smusso sui due angoli bassi del frontale firma la livrea di quest’apparecchio, mentre una finestra ovoidale fa intravedere il cuore dello stadio d’uscita: due Telefunken ECC82 NOS. Proprio per volere di queste signore valvole, tutti i rami delle tre alimentazioni principali (sezioni digitale, analogica e 6,3 V) passano da trasformatori de- AUDIOREVIEW n. 324 luglio-agosto 2011 Rimosso il cover de La Scala, in alto si vedono i trasformatori a lamierini, in basso a sinistra lo stadio d’uscita. dicati a lamierini. Il progetto elettronico è stato sviluppato intorno a due concetti principali: non-oversampling e prece- denza alle impressioni d’ascolto sulle misure, il che spiega anche la mancanza di un filtro digitale, ma solo un filtraggio analogico molto blando (ovvero, non complichiamo le cose per ridurre tutte le spurie fuori banda, a meno che queste non pregiudichino davvero la qualità dell’ascolto). Comunque, ci sono altri tratti progettuali degni di nota. Le sezioni digitale e analogica sono galvanicamente e magneticamente isolate. La conversione D/A è affidata a quattro BurrBrown PCM1704. Gli ingressi in formato S/PDIF sono sia su RCA che su BNC, più uno bilanciato AES/EBU su XLR. A questi si affianca l’USB, capace, come tutti gli altri ingressi, di trattare segnali fino a 24 bit/192 kHz. Le uscite sono fisse e sbilanciate, accoppiate allo stadio finale con condensatori Jantzen Silver Z-cap. Apprezzabile la presenza del selettore di fase (io di solito non lo sfrutto perché il mio impianto è poco sensibile alla fase assoluta del segnale, ma in alcuni casi l’inversione di fase può essere un vero toccasana). Inizio l’ascolto promettendomi di evitare paragoni valvolar-vinilici. Di solito non cado in questa retorica (almeno credo…), ma vorrei proprio evitare il rischio… Mi chiedo spesso quanto abbia poco senso dire che un giradischi tradizionale abbia la precisione del digitale, o per un’elettronica a stato solito biascicare il desunto paragone: “Calda come un valvolare”. Ci sono macchine a stato solido più morbide di tanti valvolari e viceversa. Ci sono sorgenti analogiche dalle dinamiche fulminee da far invida alle sorelle digitali. Una cosa che però vorrei introdurre è che, trattandosi di un DAC non-oversampling, si accenderebbe il dibattito che contrappone questa soluzione a chi fa uso di oversampling e upsampling. Difficile contraddire il fatto che l’oversampling cambia quantitativamente il flusso dei bit, ma che a questo corrisponda un aumento qualitativo nella riproduzione è tutto da dimostrare. Preferisco però una teoria più rilassata, secondo la quale non esiste una soluzione in assoluto migliore. La mia fede dice che i costruttori hanno Più serioso e semplice, ma sempre elegante il frontale de La Voce. AUDIOREVIEW n. 324 luglio-agosto 2011 79 ampie capacità per utilizzare quella che di queste due tecniche garantisce il miglior risultato paragonato al prezzo. Per il primo ascolto impegnato, utilizzo il giraCD come sorgente. Il brano è quello che da poco ho inserito tra i miei branitest: dall’album Velut Luna “Sketches Of Memories”, il floydiano “Wish You Were Here” interpretato dalla voce di Fabiana Martone con Fabio Ranghiero al grandpiano e Hammond B3. La prima impressione positiva è che questi tre suoni sono ben collocati sul soundstage. La voce è davanti a ore 11-12, il piano subito dietro, naturalmente disteso nella dimensione orizzontale, e l’organo ancora dietro a ore 12-13. Del piano apprezzo un registro basso molto dettagliato e della voce mi piace il trattamento delle sibilanti, restituite con solo una sottile enfasi, malgrado la notevole trazione vocale di questo brano. Voglio però concentrarmi sulla riproduzione di segnali liquidi FLAC 192/24 con Foobar in kernel streaming. Come sorgente utilizzo il PC con cavo USB in “accesso venoso diretto” senza interfacce USB-S/PDIF esterne. Per la scelta di un brano adatto, cedo alle emozionanti atmosfere dei canti gregoriani di “Crux Fidelis” (album “Exaudiam Eum”, splendida incisione dell’etichetta norvegese 2L). Esplode letteralmente, in tutta la sua pienezza, l’ambienza della sede della registrazione (la chiesa di Ringsaker, Norvegia). Le voci si spalmano ed emanano in tutte le direzioni, mantenendo a fuoco il loro epicentro. Può una fredda macchina digitale imparentata più con un oscilloscopio che con un fonorilevatore essere spirituale? Poetica? Proviamo a condurre la risposta su un piano più oggettivo, ma è difficile, perché la sensazione è davvero eterea. Ogni nota, ogni sillaba pronunciata, sembra continuare a vivere e vibrare all’infinito, senza spegnersi mai. C’è solo da considerare che un impianto con un’amplificazione tendente a gonfiare il AQUA La Voce A proposito di questo fratello minore (definizione quanto mai deviante…), la prima cosa che mi ha colpito è stata una fotografia. Sul sito aquahifi.com c’è una galleria fotografica relativa allo scorso Milano Hi-End nel quale si vede il DAC La Voce cablato, come tutta la catena in cui è inserito, con una ciabatta da ipermercato e relativa cavetteria da 2 euro. Provocazione? Non credo. Interpreto piuttosto questa mossa come l’invito per tanti audiofili per una più razionale e ragionata ripartizione del budget di chi mette su il suo impianto. Detto questo, La Voce ha delle caratteristiche molto interessanti, e le prestazioni pure. A sostegno di quanto non si tratti di una versione ridotta de La Scala, questi due progetti sono completamente diversi e sviluppati indipendentemente: assolutamente niente scale-down. Questo DAC può essere acquistato anche in versione finita o anche in kit (“autocostruzione”, parola passata un po’ di moda nel modo dell’Hi-Fi). Però, c’è un’altra caratteristica che, oltre a semplicemente interessante, definirei addirittura sperimentale. Su La Voce, è data facoltà all’utente di sostituire con semplici operazioni il convertitore D/A! Sulla scheda madre ci sono dei connettori sui quali si possono montare a piacimento: il Philips TDA1541, l’Analog Devices AD1865 o il Burr-Brown PCM1704. Questo però non significa solamente una macchina progettata per il tweaking a cuore aperto, ma questa flessibilità predispone la sezione di conversione a futuri “trapianti” con chip di prossima immissione sul mercato. Sul versante delle caratteristiche più convenzionali, c’è una dotazione d’ingressi sufficiente a coprire le principali esigenze di connessione: due S/PDIF su RCA, un ingresso ottico Toslink e un USB. Tranne la porta USB, limitata al 44/16, gli altri ingressi sono in grado di gestire segnali fino a 192/24. Poi, riprova evidente di quanto Aqua ritiene utile l’inversione di fase, anche qui c’è questa possibilità mediante un bumper sul circuito. La macro componentistica prevede due tra- 80 Ottimamente studiato il layout dei circuiti de La Voce. AUDIOREVIEW n. 324 luglio-agosto 2011 suono potrebbe non gradire questa (naturale) pienezza armonica. L’etichetta 2L mi piace, la qualità delle loro registrazioni è sempre alta e questo invoglia a cercare ancora nelle loro produzioni. Trovato! Sempre da file FLAC 192/24 premo la freccetta del play con l’album “harmOrgan” di Sigmund Groven & Iver Kleive. Questo anticonvenzionale duo con organo (beninteso a canne, non un organo elettronico) e armonica cromatica si cimentano in un repertorio a cavallo tra classico e contemporaneo per un album saturo di colori e nuance. Il brano a suonare è tra quelli con le escursioni dinamiche più pronunciate: “En Bagatell I Le schede DAC intercambiabili dall’utente de La Voce. sformatori toroidali per le alimentazioni digitali e analogiche, alimentazioni completamente separate e realizzate per quanto più possibile con componenti discreti. Gli ingressi S/PDIF sono isolati dal resto del circuito tramite trasformatori Murata. Come La Scala, il progetto si mantiene fedele alla linea del non-oversampling. Lo stadio di guadagno è a FET in pura classe A, senza controreazione. Il bello di una macchina dal triplo DAC come questa è che fa esplodere la matrice delle possibilità di ascolto al livello di rompicapo. Nel mio caso, la preferenza è andata al Burr-Brown (lo stesso che equipaggia La Scala…) per la sua maggior precisione, estensione e articolazione in basso. Siamo comunque in un dominio di differenze per le quali anche il Philips va bene al punto che molti potrebbero ritenerlo, tra i tre, quello con più anima! L’ascolto con il Burr-Brown a bordo evidenzia quella che è la principale differenza con La Scala: il trattamento degli armonici. Il sustain del vibrafono e del pianoforte, o i piatti della batteria suonati con le spazzole, sono un po’ più prolungati e persistenti con La Scala, più smorzati con La Voce. Ciò è responsabile anche di un’apparente riduzione delle dimensioni del soundstage, ma è solo apparenza, perché in realtà si tratta di confini più definiti. Sono comunque differenze nell’impostazione, non tanto di un suono migliore dell’altro. Infatti, se vi capitasse di ascoltarli entrambi e alla fine preferite La Voce a La Scala, avete tutta la mia comprensione! L’unico punto dove La Scala manifesta una certa superiorità su La Voce è sulle prestazioni ottenute con il collegamento diretto via USB. Sia La Scala che La Voce gradiscono le unità di trasporto basate su Philips CD-PRO2. Altrettanto gradite tutte le Teac VRDS, in altre parole le attuali meccaniche Esoteric, ma anche oggetti di qualche anno fa marcati Wadia e Tascam garantiscono un’ottima sinergia. Idem le (costosissime) trasmissioni a cinghia CEC. A queste raccomandazioni “nice to have”, consiglierei comunque di evitare meccaniche con alimentazioni switching. L.B. Det Store Og Hele”. La difficoltà nel riprodurre (e registrare) questo duo è sulla distanza che separa i mondi sonori di questi due strumenti. È una prova di “minimalismo allargato” dove La Scala riesce a mantenere stabile fin sulle altissime il suono privo di vibrato dell’armonica e reagire fedelmente alle variazioni di registro e di dinamica dell’organo. Il dettaglio si attesta su valori q.b. (quanto basta). Proseguo la linea iper-colorata dei combo anticonvenzionali con un’altra interessante produzione Velut Luna: il gershwiniano “Blues” interpretato dal Nubilaria Clarinet Ensemble, un clarinet choir di nove elementi (dall’album omonimo “Nubilaria Clarinet Ensemble”). La prima cosa evidente è come la scena sia ben motorizzata e focalizzata al centro quanto agli estremi del soundstage orizzontale (c’è chiaramente bisogno che i diffusori siano sufficientemente uguali per rivelare ciò, cosa mai da dare per scontata). Una classe sopra è anche la microdinamica sui clarinetti del secondo piano, che hanno una luce sì più piccola, ma sempre ben articolata. Mi piace come tutti i suoni, anche se bassi in volume, appaiano vivaci. Le conclusioni sono semplici. Come convertitore di meccaniche CD, La Scala è un’eccellente prova di come il non-oversampling asseconda il lato purista (e anche minimalista) dell’audiofilo. Impegnato sull’alta risoluzione liquida, siamo su un livello di prestazioni altrettanto eccellenti e mi piace la sua indole introspettiva, ma discreta, mai urlata. Macchina che, più che spettacolare, definirei “intrinsecamente spettacolosa”, ma che lo diventa dopo la prima ora d’ascolto. Per tutti coloro ai quali avessi acceso qualche voglia, tutti gli album relativi alle tracce liquide di cui sopra sono acquistabili su hdtracks.com. Luca Buti Su La Voce ci sono due ingressi S/PDIF su RCA. Perché non un RCA e un BNC? AUDIOREVIEW n. 324 luglio-agosto 2011 81