La Lingua Sindarin

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La Lingua Sindarin
Università degli studi
Suor Orsola Benincasa – Napoli
FACOLTÀ DI LETTERE
CORSO DI LAUREA
IN
LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
DIPLOMA DI LAUREA
IN
LINGUE STRANIERE PER LA COMUNICAZIONE INTERNAZIONALE
TESI DI LAUREA
IN
GLOTTOLOGIA
LA LINGUA SINDARIN
ANALISI LINGUISTICA DI UNA LINGUA ELFICA
Relatore
Antonio Perri
Correlatore
Bruna Di Sabato
Candidato
Giandomenico Martorelli
Matricola 073000068
Anno accademico 2009-2010
Ringrazio la Società Tolkieniana Italiana, ed in special modo Gianluca Comastri, per la
collaborazione ed il supporto ricevuti al fine di completare il presente lavoro.
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Status Questionis
Nel 1954 Tolkien affermò che "il linguaggio vivo degli Elfi Occidentali
(sindarin o Grigio-elfico) è quello usualmente incontrato nel Signore degli
Anelli specialmente nei nomi. Ciò è derivato da una origine comune ad esso
ed al quenya, ma le modifiche sono state deliberatamente escogitate per
dargli un carattere linguistico molto vicino (sebbene non identico) al gallese
britannico: poiché quel carattere è quello che trovo, in qualche modo
linguistico, assai attraente; ed in quanto sembra adattarsi al tipo piuttosto
'celtico' delle leggende e storie narrate dai suoi parlatori"1. Più tardi, egli
trovò che "tale elemento nel racconto ha dato forse più piacere a molti lettori
che non ogni altra cosa in esso".
Tolkien aveva già sviluppato una lingua dalle sonorità gallesi e celtiche. Fin
da ragazzo, il Professore aveva avuto esperienze in creazioni di lingue
artificiali. Quello che più lo affascinava, era il mondo nordico ed il mondo
celtico. Tolkien riconosceva in queste due atmosfere un passato eroico e non
contaminato, passato non sottoposto alle regole del capitalismo o del
compromesso contemporaneo. Quando iniziò a sviluppare la sua prima
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lingua, essa presentava numerose sonorità gallesi. Questa lingua fu
originariamente denominata gnomico o I·Lam na·Ngoldathon, "la lingua
degli Gnomi (Noldor)". Nel 1917 Tolkien aveva già completato una fitta serie
di vocaboli, che però, a suo dire, “era in una forma primitiva e
disorganizzata”.
In molti hanno scritto a proposito dell‟approccio linguistico di Tolkien e al
suo ruolo di creatore di linguaggi e miti. Thomas A. Shippey, in un testo di
recente uscita che riscosse molto successo, lo definì “autore del secolo”2.
Illustri studiosi di ogni nazionalità hanno trovato nelle sue opere un
incredibile fascino ed un eccellente equilibrio tra letteratura e linguistica.
Uno degli aspetti più interessanti, e nel contempo controversi, della
produzione di Tolkien, è proprio lo sviluppo che la letteratura da lui
inaugurata ebbe alla sua morte. Quando, nel 1974, Tolkien morì, i suoi
ammiratori crescevano sempre più numerosi. Generazioni e generazioni
nascevano apprendendo i suoi miti e studiando le lingue da lui stesso create.
Col passare degli anni, ormai, le opere di Tolkien costituiscono, in quanto
corpus numeroso e complesso, quasi un genere a sé stante. L‟aspetto curioso
è che la maggior parte di ciò che il Professore scrisse non era mai stato
pubblicato, e un‟ampia fetta della produzione letteraria tolkieniana era
custodita dai suoi discendenti. Allo stato attuale, le opere pubblicate postume
sono quasi più numerose di quelle pubblicate in vita.
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Alla sua morte, in effetti, è rimasto un incredibile numero di appunti,
annotazioni e interi testi non pubblicati. La maggior parte di questi appunti,
trascritti durante il corso di una vita, riguarda le annotazioni sulle lingue, che
Tolkien aggiornava costantemente, in un perpetuo lavoro di miglioramento.
L‟insieme di queste annotazioni, oltre al gran numero di dettagli linguistici
pubblicati nelle sue più grandi opere (specie ne Il Signore degli Anelli e Il
Silmarillion) è stato ripreso da numerose persone: professori, studiosi, letterati
o anche semplicemente curiosi. Costoro, continuando a lavorare sui
meccanismi creati da Tolkien, hanno ripreso le annotazioni e i criteri
linguistici del professore, e li hanno modificati. In questo modo, si è formata
una vera e propria scuola di pensiero che ha “aggiornato” in un certo senso e
sviluppato notevolmente ciò che già esisteva. Questa può esser considerata la
scuola di pensiero che potremmo definire “progressista”.
Di contro, tuttavia, si è sviluppata anche un‟altra corrente di pensiero, che
considera la morte dell‟uomo Tolkien come la fine della sua letteratura.
Quanti si fanno interpreti di questa posizione sostengono ci si debba basare
soltanto sulla produzione scritta di pugno dal professore, senza elaborare su
di essa qualsivoglia modifica. Potremmo definire “conservatore” questo
filone dell‟eredità tolkieniana.
In questo lavoro esaminerò gli aspetti di entrambi gli approcci, tentando di
spiegare che senso abbia recuperare gli appunti di una persona morta per
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modificarli ed espanderli, al fine di realizzare la continuazione di un progetto
mitologico e linguistico iniziato più di un secolo fa ma che continua a
rinnovarsi.
Sulle lingue create da Tolkien hanno indagato finora migliaia di persone;
filologi, linguisti, lettori comuni e semplici appassionati. Ma fino a che punto
si spinge l‟accuratezza grammaticale di queste lingue? L‟autorità di Tolkien
in campo linguistico era riconosciuta pressoché da tutti, anche quando
insegnava ad Oxford. Scrive Carpenter, nella sua biografia di Tolkien:
“Il suo lavoro evidenziava la sua inusuale capacità di destreggiarsi
nell‟anglosassone e nei principi della grammatica comparativa delle lingue
germaniche. Non esito a dire che non ho mai conosciuto un uomo della sua
età che in questi campi avesse conoscenze paragonabili alle sue”3.
Considerata quindi l‟indiscussa autorità e competenza del Professore nel
campo della linguistica storica e degli studi sull‟origine delle lingue, uno dei
miei scopi è indagare l‟accuratezza formale e grammaticale delle lingue
prodotte dalla mente del nostro scrittore e stabilire una relazione tra le lingue
di Arda, ovvero il mondo da lui creato, con quelle del nostro pianeta.
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Introduzione 1: il fenomeno Tolkien
Le vicende della narrativa di Tolkien hanno attraversato, nel corso del tempo,
un orizzonte ben più vasto della letteratura, per riversarsi nei meandri delle
ideologie politiche e persino della religione. Questa introduzione vuole essere
un excursus sulla ricezione di Tolkien e sulla sua mitizzazione, realizzatasi
negli ambienti più disparati. A proposito dell‟argomento, molto è stato scritto
e le posizioni si sono trasformate col tempo, a partire dai commenti degli
anni Settanta fino ad oggi, a seguito dell‟uscita della trilogia cinematografica.
Prima dell‟uscita del Signore degli Anelli, nel 1953, Tolkien non godeva di una
grande notorietà e fama. I lettori di Tolkien erano già allora accademici
eruditi ed infanti curiosi, ma molto meno numerosi rispetto all‟enorme
pubblico di soli pochi anni dopo. La letteratura tolkieniana era comunque
riservata ad una élite di appassionati, dai linguisti ai bambini, e il “fenomeno
Tolkien” non era ancora esploso come fenomeno di massa. L‟unico libro di
fiction scritto allora dall‟autore, Lo Hobbit, aveva però avuto un discreto
successo negli Stati Uniti e nel resto d‟Europa. A partire dall‟uscita del
Signore degli Anelli, Tolkien inaugurò inconsapevolmente un filone letterario
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destinato ad espandersi nel corso del secolo, sino a trasformarsi in un vero e
proprio fenomeno di costume. Il libro vendette innumerevoli copie in tutto il
mondo e si cominciarono a manifestare i sintomi di quello che in futuro
sarebbe esploso come un “contagio dell‟immaginario”. Non molto tempo
dopo, infatti, il mondo fantastico di Tolkien traslò da opera prettamente
letteraria e linguistica a tendenza che si riverberò nella politica, nel cinema e
nell‟immaginario collettivo.
I prodromi di questo fenomeno si hanno alla fine degli anni Sessanta negli
Stati Uniti, durante la cosiddetta “ribellione giovanile”. Tolkien fu
l‟ispirazione di una branca del movimento sessantottino che incarnava
posizioni apertamente ecologiste, ideali di sinistra e atteggiamenti che
anticipavano le tendenze new age. Slogan come “Frodo Lives” o “Frodo for
President” divennero all‟ordine del giorno durante le manifestazioni contro
la guerra in Vietnam. La Compagnia dell‟Anello iniziò ad identificarsi con
una sorta di simbolo delle razze unite nella lotta comune: nell‟anello si volle
vedere il mito del denaro, nei tiranni Sauron e Saruman si ravvisavano gli
Stati Uniti e il Giappone. Poco tempo dopo il fenomeno si diffuse anche
altrove, e il messaggio di Tolkien venne “allegorizzato”. Le interpretazioni si
moltiplicarono, rintracciando qua e là nei miti del Professore parallelismi che
tendevano a dimostrare la presunta allegoria e somiglianza tra le vicende
politiche della Terra-di-Mezzo e quelle reali.
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Nel 1969 un gruppo di lettori di Oxford molto vicini a Tolkien decise di
fondare una società con l‟intento di diffondere l‟opera del “loro” autore. Tra i
loro scopi c‟era quello di indirizzare ad una lettura “corretta” di Tolkien,
scevra di politicismi e metafore. La Società Tolkieniana Inglese, col passare
del tempo, crebbe arruolando tra le sue fila sempre più appassionati, dando
vita a una vera e propria esegesi dell‟intera opera di Tolkien e collaborando
col figlio Christopher di concerto con i colleghi del Professore ad Oxford; ciò
avvenne, in particolare, a seguito della morte dell‟autore nel 1973.
Contemporaneamente, in Italia, Tolkien era stato recepito in due modi
distinti e contrapposti. Da un lato c‟era l‟élite intellettuale, principalmente di
sinistra, che bollò Tolkien come scrittore mediocre accusando le sue opere di
parlare di mondi scontati e pieni di nomi e vicende assurde, del tutto lontani
dai problemi della realtà, anzi colpevole di allontanare i lettori dalle
importanti vicende del quotidiano. Dall‟altro c‟erano i movimenti della
Nuova Destra, composti principalmente da giovani lettori e qualche
intellettuale rappresentativo, che fece di Tolkien il proprio mito e
trasformandolo nel visionario che ebbe rivelazioni su una realtà tradizionale
e simbolica.
Entrambe le interpretazioni furono quanto mai fuori luogo e distanti dalla
corretta lettura dell‟opera del Professore: entrambe faziose e scontate, spesso
portate avanti da chi semplicemente conosceva poco le opere di Tolkien o da
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chi le utilizzava con la consapevolezza di travisarle. La cultura di sinistra
considerava le storie ed i miti presentati da Tolkien come fiabe per menti
puerili, i draghi e le battaglie che proliferavano nei suoi testi erano visti come
espedienti letterari di così bassa lega da non dover essere minimamente presi
in considerazione. Il progetto di questa cosiddetta élite era votato
semplicemente all‟ignorare questo tipo di produzione letteraria e relegarla al
rango di “letteratura per l‟infanzia”, come ancora oggi è possibile riscontrare
tristemente in qualche scaffale di librerie italiane. Ignorare e relegare, come
linea guida da adottare contro una letteratura dell‟evasione e della
distrazione dai veri problemi del mondo. La gioventù di destra aveva invece
progetti più ambiziosi. A partire dagli anni Settanta, in Italia l‟avanguardia
del partito neofascista MSI iniziava a far propri i testi di Tolkien riscontrando
in essi simboli e miti che sarebbero stati utilizzati come altrettante iconografie
politiche. Alcune espressioni dei testi del Signore degli Anelli e dello Hobbit, il
comportamento dei personaggi, le vicende e le trame narrate vennero traslate
nel contesto politico. Frasi come la celeberrima “le radici profonde non
gelano” ma anche le tendenze cristiane di Tolkien e i miti della Terra-diMezzo divennero altrettanti veicoli di lotta politica. Le nuove reclute del
Fronte della Gioventù erano tenute a leggere le opere di Tolkien, così come ai
comunisti ne veniva vivacemente “sconsigliata” la lettura. I militanti di
sinistra si ritrovarono a leggerlo in segreto, evitando di farne parola nei loro
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circoli politici. La destra consigliava la lettura di Tolkien unita ad autori come
Pound, Eliot, Céline, d‟Annunzio, Eliade ed Evola; questa silloge di autori e
testi servì alla destra per riproporre un‟immagine autorevole di sé dopo i
decenni di calo dei consensi causati dai totalitarismi.
Il 1966 fu l‟anno in cui uscì la seconda edizione inglese del Signore degli Anelli.
In quell‟occasione, Tolkien scrisse una premessa di suo pugno dal grande
significato, che avrebbe dovuto imporsi come premessa a qualunque
interpretazione postuma della sua opera. Negli anni Settanta, la seconda
edizione fece la sua comparsa anche in Italia. L‟introduzione di Tolkien, però,
che nell‟edizione inglese era talmente importante da imporsi come parametro
a qualsiasi approccio all‟opera, era scomparsa. Al suo posto si trovava un
saggio dello scrittore di destra Elémire Zolla; la casa editrice che pubblicò il
volume era la Rusconi. È qui opportuno mettere a confronto l‟Introduzione di
Tolkien e quella di Zolla, per verificare le differenze tra le due.
Nella sua introduzione, Tolkien rigetta completamente la tesi di una
trasfigurazione allegorica dei suoi scritti asserendo che essi non hanno affatto
lo scopo di “riprodurre” una qualche realtà ma sono pure elaborazioni
fantastiche (spesso senza una scaletta, rielaborate ed aggiornate nel corso del
tempo) nate per conferire un retroscena avvincente alle lingue che lui stesso
aveva creato. L‟intento dell‟autore, dunque, era avviare la costruzione di un
mito proprio a partire dalle sue lingue, argomento sul quale torneremo.
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Tolkien dunque scelse di imporre egli stesso dei limiti alle interpretazioni
della sua opera, annunciando in prima persona che allegorizzarla sarebbe
equivalso a distorcerla. Per qualche oscura ragione, queste sue parole non
vennero ascoltate. Le interpretazioni allegoriche della sua opera, così, non
sono ancora terminate.
Nell‟edizione italiana Zolla sviluppa la tesi inversa: egli sostiene perciò che
l‟insieme di miti, simboli e riferimenti del Signore degli Anelli faccia parte di
una catena che può fornire le linee guida e la chiave d‟interpretazione del
mondo contemporaneo. Una tesi nettamente in contrasto con quella sostenuta
dall‟autore, che essendo l‟ideatore stesso dovrà pur essere considerato un
paragone apodittico. Come mai si è prodotta una distorsione simile,
espungendo l‟introduzione dell‟autore e orientando altrove l‟interpretazione?
Parliamo infatti dell‟introduzione a un importante romanzo, pubblicato da
case editrici di prestigio, e non di un testo minore destinato ad avere scarso
rilievo. Una parte della critica contemporanea, tra cui alcuni eredi della
gioventù della vecchia “sinistra tolkieniana”, sostengono tutt‟ora che questa
manipolazione fu inserita nell‟ambito di un vasto progetto, una sorta di
complotto che dagli anni Settanta portò alla consapevole e ricercata
distorsione di Tolkien in ambito neofascista. Ovviamente gli accusati
smentiscono e tuttora è possibile leggere battibecchi, tra un saggio e l‟altro, di
intellettuali di sinistra contemporanei che accusano di manipolazione
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letteraria le “vecchie guardie” fasciste. Lo stesso Gianfranco de Turris,
autorevole critico tolkieniano che non ha mai nascosto la sua vicinanza agli
ambienti di destra, smentisce l‟ipotesi di una “allegorizzazione” dell‟opera,
ribaltando l‟accusa e dichiarando l‟assoluta insensatezza di qualunque “teoria
del complotto”. Ma se non c‟è stato nessun complotto, perché in Italia
l‟Introduzione al Signore degli Anelli fu tanto faziosa e deliberatamente
difforme dagli intenti dichiarati dall‟autore? Qualunque sia la realtà delle
cose, è evidente che il problema non dovrebbe aver ragione di esistere
almeno dal 1966, anno in cui Tolkien spiegò in prima persona
l‟interpretazione dei suoi testi nell‟Introduzione, uno scritto che avrebbe
dovuto mettere tutti a tacere. Va certamente detto che in periodi successivi
Tolkien accennò lui stesso a interpretazioni allegoriche, come quando
sostenne che le sue opere avevano una base religiosa o quando (agli inizi del
suo progetto, un intento poi decaduto) dichiarava di voler creare “una
mitologia per l‟Inghilterra”; ma queste interpretazioni non hanno nulla a che
fare con alcune distorsioni deliberatamente riconducibili a usi non autorizzati
dal testo stesso: associare Sauron a Hitler è un paradosso, poiché negli anni in
cui la mente di Tolkien partorì la storia del Signore degli Anelli la Seconda
Guerra Mondiale non era ancora neanche scoppiata. Probabilmente il solo
motivo della politicizzazione dell‟opera tolkieniana fu il tentativo di
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accaparrarsi il consenso elettorale di una opinione pubblica per antonomasia
sorda e afasica nei confronti della politica.
Negli anni Ottanta la destra italiana allentò la presa sui rimandi ai miti
tolkieniani, principalmente perché il Fronte della Gioventù si divise per
motivi politici. Era comunque rimasta una base piuttosto folta di simbolismi
ereditati da Tolkien, ed i suoi testi sono ancora un riferimento importante per
le nuove reclute politiche. L‟élite di sinistra continua a ignorare l‟opera
tolkieniana, ed i lettori di Tolkien vengono spesso considerati come persone
che evadono dalla realtà disposti ad accettare fantasticherie su terre lontane e
noiose genealogie. Per i movimenti neofascisti comunque Tolkien rimane la
chiave per la “riscoperta di valori di destra e pagani”. Le riviste di destra ed i
movimenti ad esse connessi non mancano di prospettare una umanità in cui
la riscoperta di alcuni valori guerrieri, della competizione sportiva e della
natura avrebbero potuto condurre alla salvezza. È emblematico il fatto che gli
slogan di Tolkien siano stati utilizzati persino per lanciare la campagna della
legge anti-immigrazione Bossi-Fini. Nella Terra-di-Mezzo molte razze
convivono insieme, ed Il Signore degli Anelli ha un lieto fine proprio perché la
collaborazione delle razze porta ad una conclusione felice. La collaborazione
tra Elfi, Nani, Umani ed Hobbit permette di riuscire nell‟impresa finale. Allo
stesso modo, è difficile immaginare quali simpatie potesse avere avuto
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Tolkien per i movimenti fascisti, di destra o totalitari: in guerra, il Professore
sentì le bombe fasciste dritte sulla sua testa…
Un passaggio tratto da L’anello che non tiene spiega con una certa coerenza
storica il motivo per cui, fino a tutto il XX secolo, l‟opera di Tolkien in Italia
non ebbe straordinaria rilevanza e non fu valutata tanto come opera d‟arte
quanto come strumento di lotta politica o altro ancora. Riporto qui la
citazione: “L‟opera di Tolkien, almeno sotto certi aspetti, è figlia di una
tradizione ben documentata nelle letterature di lingua inglese e fino ad oggi
ininterrotta. Gli aspetti più inquietanti e irrazionali dell‟Ottocento europeo
non hanno mai attecchito se non superficialmente, e la produzione letteraria
si è orientata da subito verso altre direzioni. Gli stessi romanzi storici di
ambientazione medievale, pervasi come sono di valori risorgimentali, sono
intesi non come mero strumento di evasione, ma piuttosto come mezzo di
lotta politica. E successivamente, dalla narrativa campagnola e veristica del
secondo Ottocento fino al neorealismo novecentesco, una serie di fattori
storici peculiarmente italiani hanno orientato prevalentemente i narratori
verso tematiche globalmente „realiste‟: di volta in volta, gli scrittori si sono
trovati a fare i conti prima con i problemi della formazione di uno stato
nazionale, poi con i divari economici esistenti tra sud e nord, le condizioni di
vita assai misere delle campagne, le periferie di città neo industrializzate, e
dopo ancora con l‟ascesa del fascismo e la lotta partigiana; colpiti da questa
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realtà magmatica e difficile, hanno per lo più scelto d‟interagire con essa
attraverso la letteratura, con la pretesa, a volte, di incidere direttamente sui
processi sociali in corso. È come se in Italia le situazioni di continua
emergenza abbiano spinto i letterati (scrittori e critici) a interessarsi poco
all‟evasione nella fantasy. Se si aggiunge a questo l‟estraneità delle leggende
celtiche al nostro patrimonio folklorico e la minore diffusione della letteratura
di consumo (come riflesso inevitabile di un tasso di analfabetismo
notevolmente più alto, fino a qualche decennio fa, rispetto ai paesi
dell‟Europa settentrionale), ne consegue – dato del resto ovvio a qualsiasi
lettore – che Il Signore degli Anelli è nel complesso incanalato in percorsi
narrativi lontani da quelli battuti finora nel nostro paese”4.
In seguito all‟uscita della serie di film tratti dai suoi romanzi, nel periodo che
va dal 2000 al 2002, Tolkien è approdato sul grande schermo in un progetto
cinematografico talmente colossale da non poter più passare inosservato.
Tralasciando gli aspetti peculiari del film, dei quali probabilmente Tolkien
non andrebbe affatto orgoglioso, al cinema va il merito di aver costretto
alcuni ad una rivalutazione postuma dell‟opera. Il film proietta l‟immaginario
tolkieniano in un campo politicamente neutrale, e coloro che lo avevano
trattato come fenomeno marginale sono stati costretti a ricredersi. Ma la
trasfigurazione tolkieniana ha raggiunto vette di proporzioni quasi
inverosimili. Per comprendere ciò, basta citare alcuni articoli di giornalisti
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statunitensi che si sono dilettati a pubblicare ottusi voli pindarici in
concomitanza con l‟uscita dei film. Da costoro i “cattivi” della Terra-diMezzo sono stati accostati ai terroristi, ed il titolo Le Due Torri è stato ritenuto
“di pessimo gusto” dopo la caduta delle Twin Towers (Le Due Torri è il titolo
della seconda parte del Signore degli Anelli). Con l‟uscita del film, peraltro, è
continuata anche in Italia la tendenza della destra politica a seguire le vicende
di Frodo e Gandalf: alla prima italiana della Compagnia dell’Anello c‟erano
anche personaggi politici influenti, come i ministri Gasparri e Castelli.
Tornando ancora a parlare dell‟allegoria cui fu soggetta l‟opera di Tolkien,
questi la rifiutò a tal punto da rompere con uno dei suoi più fidati amici: C.S.
Lewis, facente parte del circolo degli Inklings, il gruppo di letterati al quale
Tolkien apparteneva. Anche Lewis si dilettò di letteratura fantastica, ma
esplicitamente rivolta alle fasce più giovani e col preciso intento di riversare
allegoria e moralità nella sua opera. Tolkien non condivideva l‟allegoria nella
fantasy, e Lewis non poteva pensare un mondo fantastico senza allegoria.
Dalla rottura in poi, gli Inklings si sciolsero e gli scrittori si orientarono verso
divergenti orizzonti letterari.
Al di là di queste interpretazioni e illazioni, il vero spirito di Tolkien è
indubbiamente racchiuso nelle sue storie non allegoriche e nelle lingue da lui
inventate. Le fantastiche vicende che narrano millenni di storia di Arda non
sono altro che la base per fornire uno scenario realistico e creare un mondo
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plausibile che funga da ambiente alle lingue cui il Professore lavorò durante
una vita intera. Per questo ciò che segue non terrà conto delle interpretazioni
politiche, religiose e sociali di volta in volta assegnate all‟opera di Tolkien,
ritenendole false e fallaci, ma si fonderà invece esclusivamente sulla sua
opera al fine di trattare uno dei leitmotiv che la caratterizzano: le lingue,
appunto.
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Introduzione 2: Storia di Arda e delle lingue elfiche
L‟opera di creazione linguistica di Tolkien iniziò quand‟egli era poco meno
che ventenne, con i suoi primi esperimenti sulla creazione di parole. Le
lingue elfiche iniziarono a venire alla luce negli anni Dieci. Da allora, fino alla
morte avvenuta nel 1973, Tolkien non cessò mai di svilupparle. Per coloro che
studiano la sua opera, non sempre è facile destreggiarsi tra i continui
mutamenti subiti dalle varietà linguistiche di sua invenzione e comprenderne
l‟evoluzione. Nel corso del tempo, il nome stesso di una particolare lingua
cambia: così il nome di una lingua nelle prime stesure della Storia della Terradi-Mezzo non era più lo stesso in quelle postume. Ne segue che il lettore deve
impegnarsi in primo luogo nel capire di cosa l‟autore stia parlando, prima
ancora di dedicarsi a evincerne i segreti. Qualsiasi approccio a Tolkien è
difficoltoso proprio per queste ragioni, ma al tempo stesso ciò rappresenta
anche il fascino provato da chi si sforza di comprendere la materia
tolkeniana: generazioni di studiosi continuano a passare al setaccio l‟opera
del Professore al fine di far emergere particolari ancora nell‟ombra.
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Ovviamente, ad un primo approccio, avvicinarsi a Tolkien può risultare
davvero ostico; si tratta perciò di un autore che deve essere comunque
affrontato da esperti i quali, per presentare con successo un‟argomentazione
in materia, devono spesso corredare i loro scritti di premesse e avvertenze. Lo
stesso è necessario avvenga in questa tesi, per quanto possibile. Si sta infatti
per parlare di lingue e nella fattispecie di una lingua artificiale, il sindarin. La
storia di questa lingua è intimamente connessa a quella del popolo che, nei
testi di Tolkien, la parla. Tolkien, cioè, creava la storia di Arda insieme a
quella delle lingue sindarin e quenya in via di sviluppo. Come si ribadirà in
seguito, pertanto, nella narrativa tolkeniana è insensato distinguere la lingua
dal popolo che la parla proprio come nel mondo reale, stando a quanto a più
riprese affermato da moltissimi linguisti sin dall‟Ottocento.
Così ritengo che il lettore per riuscire a comprendere, se non le sottigliezze,
quanto meno la struttura generale della lingua, debba essere debitamente
informato circa l‟ambientazione e la storia del pianeta di finzione di cui si sta
parlando. Evitando inutili prolissità, pertanto, i paragrafi successivi si
soffermeranno a delineare in modo generale la struttura del mondo di Arda e
la genesi delle lingue durante i Tempi Antichi della sua storia, con particolare
attenzione alle lingue elfiche.
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Le narrazioni di Tolkien hanno inizio nei Tempi Antichi di Arda, la
cosiddetta Prima Era. Nel corso della sua mitologia, Tolkien ha sviluppato in
modo particolarmente dettagliato le caratteristiche di questa Prima Era
definendola come il periodo della genesi, del popolamento di un mondo
vuoto. In seguito le narrazioni tolkieniane si sono soffermate anche sul
periodo della Seconda Era, caratterizzata dall‟avvento degli Uomini e infine
della Terza, al termine della quale hanno luogo gli eventi narrati nel Signore
degli Anelli.
Durante la Prima Era soltanto il continente minore di Arda (Aman) era
abitato. A popolarlo erano i Valar, potenze ultraterrene facenti riferimento a
Ilùvatar, il Signore del Cielo. Costoro comunicavano tra loro utilizzando una
lingua specifica, il valarin. In seguito a un tempo lunghissimo, durante il
quale i Valar riempivano il mondo delle loro creazioni, agli antipodi del
Reame Benedetto di Aman i primi Elfi si destarono. Il risveglio avvenne sulle
sponde del lago di Cuiviénen, all‟estremo oriente del mondo. Essi erano una
creazione di Ilùvatar, che concesse loro il dono della vita eterna e l‟arte per
saper apprezzare la vita su Arda, cogliendone le sfumature e la bellezza.
Sulla lingua parlata dagli Elfi al loro risveglio, ci sono due interpretazioni. I
primi scritti di Tolkien lasciano intendere che gli Elfi parlarono fin da subito
poiché Ilùvatar aveva loro conferito in dono di un linguaggio personale. La
versione postuma del Silmarillion spiega invece che gli Elfi, una volta destati,
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crearono progressivamente da sé un proprio linguaggio. Ad ogni modo,
questo particolare non sembra avere un qualsivoglia influsso col resto della
mitologia. Lo stadio più primitivo di questa lingua è chiamato elfico
primordiale (oppure eldarin comune). In seguito i Valar invitarono gli Elfi a
trasferirsi nel Reame Benedetto di Valinor in Aman, all‟estremo occidente di
Arda. La quasi totalità degli Elfi accettò e si trasferì, guidata dalle potenze
divine, agli antipodi in un viaggio attraverso l‟intera Terra-di-Mezzo. Gli Elfi
che non andarono a Valinor si sparpagliarono nel continente creando vari
gruppi etnici e le loro favelle subirono evoluzioni disparate. Gli Elfi giunti in
Aman, invece, iniziarono ad assimilare la loro parlata a quella delle Potenze
Divine. Questo lento processo contribuì a creare la lingua più melodiosa mai
creato da qualsiasi essere non-divino. A poco a poco, dalla contaminazione
col valarin, l‟elfico primordiale divenne qenya (o “quenya” come fu
ribattezzato in seguito; in queste righe adotteremo tale dicitura per evitare
ulteriori confusioni), o “lingua dei Quendi” (ovvero gli Elfi). Come si vede, la
creazione del quenya è il primo eclatante caso del fitto rapporto fra trama
narrativa e creazione delle lingue in Tolkien, allorché un popolo muta
sensibilmente il suo idioma per assimilarlo a quello della lingua degli ospiti.
Il quenya così formato non differiva molto nella sostanza dall‟elfico
primordiale, ed i parlanti si sarebbero compresi vicendevolmente. Questo
perché piuttosto che mutazioni vocaliche o consonantiche la lingua fu
22
soggetta soprattutto a un processo di crescita e arricchimento del lessico. Ciò
avvenne anche perché i Valar invitavano gli Elfi a “creare nuovi vocaboli
secondo il loro proprio stile, o... tradurre il significato dei nomi in eleganti
forme eldarin” piuttosto che adattare termini Valarin. Persino i Valar
appresero il quenya, e più volte erano stati visti parlare tra di loro in quella
favella piuttosto che nel loro idioma originario. Gli Elfi, infatti, avevano dato
vita a una lingua talmente aulica e maestosa da attirare persino le Potenze
Divine.
Gli Elfi rimasti nella Terra-di-Mezzo vivevano invece nel Beleriand, ovvero la
zona nord-occidentale del grande continente. Costoro non furono mai a
contatto con le potenze divine e la loro lingua era una diretta discendente
dell‟eldarin comune, ovvero l‟elfico primordiale utilizzato da tutti gli Elfi al
loro risveglio. La lingua di questi Elfi, pertanto, andò assumendo un aspetto
sempre più specifico sino a dare origine a quello che sarebbe divenuto noto
come sindarin – lingua degli Elfi che non avevano mai visto il Reame
Benedetto di Valinor. Il sindarin era un idioma assai diffuso, in quanto i
parlanti erano molto numerosi. Quando però costoro iniziarono a separarsi
dividendosi in più popolazioni, anche il sindarin fatalmente si moltiplicò
dando origine a numerosi dialetti.
Alcuni degli Elfi del Reame Benedetto, i Noldor, a seguito di numerose
vicende, lasciarono le sponde di Valinor per recarsi nel Beleriand. Lì furono
23
accolti dalle popolazioni locali, e per la prima volta i due popoli udirono
l‟evoluzione della lingua nata tremilacinquecento anni prima sulle sponde
del lago Cuiviénen. I Sindar si meravigliarono non poco della bellezza del
linguaggio dei Noldor. Inoltre mentre questi ultimi non ebbero particolari
difficoltà ad apprendere il sindarin, i Sindar incontrarono molti problemi
nell‟apprendere il quenya.
Nel contempo gli Uomini (chiamati anche la stirpe degli Edain), anch‟essi
risvegliati da Ilùvatar, stavano popolando il Beleriand e instaurando
inevitabili contatti con gli Elfi. Gli Uomini parlavano il linguaggio
numenoreano, mentre un gruppo di loro, i Dùnedain, appresero quasi tutti il
sindarin ma ben poco del quenya, nonostante riconoscessero il valore
letterario di questo idioma. Alcune parole quenya furono utilizzate dai
Dùnedain per nominare importanti città o quali nomi propri per i loro figli.
Per il resto in molti conoscevano il sindarin, e trasmisero questa conoscenza
anche ai loro eredi.
Al termine della Seconda Era il Beleriand fu sommerso dalle Divine Potenze a
seguito di una serie di eventi lunghissimi e intricati; il Reame Benedetto
Valinor viene esiliato da Arda fino al confine etereo delle cose celate, lontano
dalla vista degli abitanti del mondo. Da un punto di vista linguistico questi
eventi non mancano di apportare cambiamenti, dato che buona parte degli
abitanti del continente morirono durante i cataclismi. Le vicende relative
24
all‟inabissamento del Beleriand infusero alla mitologia un ulteriore senso di
tristezza, che si riverbera sulle lingue. Le lingue sopravvissute divennero
infatti il baluardo dell‟identità delle razze di Arda, ciò che permise loro di
preservare la memoria dei Tempi Antichi.
Nei periodi a venire, durante la Terza Era, alcuni gruppi di Umani
sopravvissuti alle grandi catastrofi del pianeta tennero in vita la memoria del
sindarin fino ai tempi più recenti. Essi fondarono i Reami in Esilio Arnor e
Gondor, e adottarono il sindarin come lingua culturale. Preservare il ricordo
del sindarin permise a quelle popolazioni di mantenere la propria identità
nùmeroreana, servendosene al contempo come varietà linguistica del ceto
alto. È per questo che ne Il signore degli anelli alcuni personaggi umani (come
Aragorn, appartenente proprio alla stirpe dei Dùnedain) sono in grado di
esprimersi nella favella elfica; qualcuno di loro ricorda addirittura parole in
quenya.
A proposito invece delle lingue elfiche nella Terra-di-Mezzo della Terza Era,
ovvero di quelle che si situano cronologicamente “ai giorni nostri”, rispetto al
passato la situazione è molto diversa e semplificata. L‟unica lingua
sopravvissuta è infatti il sindarin, parlata all‟incirca in tre aree. La prima è la
zona dei Porti Grigi, dove l‟antico Elfo Cìrdan ne preserva l‟uso; essa è
rimasta quasi inalterata rispetto all‟idioma parlato nel Beleriand. La seconda
è quella di Gran Burrone, luogo celebre perché attraversato dai personaggi
25
nella prima parte del Signore degli anelli. Anche qui la parlata è molto simile al
sindarin antico, essendo gli Elfi Grigi locali i diretti eredi dei sopravvissuti
alle catastrofi del Beleriand. Vi è infine un terzo luogo abitato da Elfi parlanti
sindarin ed è Lòrien, foresta anch‟essa attraversata nel corso del Signore degli
anelli. Qui tuttavia il sindarin parlato sembra avere strani “accenti”, poiché
l‟idioma deriva dalla contaminazione con quello parlato dagli Elfi che
comprendevano i Noldor in esilio parlanti quenya. Questa notazione è segno
di un‟ulteriore raffinatezza nella riflessione linguistica tolkieniana: ancora ai
tempi della Terza Era, dopo oltre diecimila anni di storia percorsi con la sua
narrazione, lo scrittore continuava infatti ad attribuire un‟immensa
importanza alle infinite possibilità di sviluppo delle lingue, interessandosi al
loro intrecciarsi in funzione delle condizioni storico-geografiche di Arda.
La storia esaminata finora permette di comprendere in gran parte la genesi
dei linguaggi Elfici. A seguito della venuta dei Noldor nel Beleriand, quenya
e sindarin iniziarono lentamente a standardizzarsi: basti pensare che queste
lingue avevano subìto molte più mutazioni nei tremilacinquecento anni
iniziali di quante ne avrebbero subite nei settemila successivi. In questi ultimi
millenni, epoca in cui si svolgono le vicende narrate da Il signore degli anelli, il
sindarin parlato dagli Elfi della storia è in gran parte simile a quello che i
Sindar utilizzarono per accogliere gli esuli Noldor.
26
Con queste nozioni circa lo sviluppo storico-narrativo e linguistico
dell‟universo tolkeniano è possibile affrontare più nei dettagli uno studio
della struttura del quenya, soffermandosi in particolare sul sindarin.
27
Parte I: Tolkien e l’invenzione delle lingue
I-A: Sull’inventare lingue
Inventare lingue è un hobby (secondo la stessa definizione di Tolkien) dai
molti risvolti. Il Professore, fin dalla sua adolescenza, coltivò questa passione
con discrezione e segretezza. Agli inizi era da lui stesso considerata una
mania temporanea, un passatempo da riservare al tempo libero. Ma, col
passare degli anni, egli dedicò a quest‟attività la stessa cura che metteva nel
fare altro; persino quando cominciò ad insegnare, dedicava buona parte del
suo tempo a questa attività creativa. Tolkien ha sempre guardato con molta
ironia a questo suo passatempo; ne parlava solo alle persone più fidate, in
maniera scherzosa, inducendoli a considerarlo un hobby come qualunque
altro. Ma, in segreto, le sue risorse mentali venivano costantemente dedicate a
creare
parole,
gestire
formule
verbali,
elaborare
regole
sintattiche.
Segretamente, la creazione linguistica diventò nel tempo un‟attività tutt‟altro
che scherzosa o da prendere con ironia. Divenne anzi la sua attività
principale. Tolkien narra di questa sua passione nel saggio Un vizio segreto5, il
cui titolo esplicita già i contenuti di questa passione con una certa
28
sottigliezza. Agli inizi della sua dissertazione l‟autore è molto cauto
nell‟esprimere e spiegare pubblicamente una vicenda così personale: così non
perde occasione di irridere sé stesso e questo tema. Tuttavia, sin dalla metà
del saggio, sono reperibili avvisaglie del fatto che il suo discorso è tutt‟altro
che ironico. Con le sue parole Tolkien tenta di comunicare al pubblico quanta
soddisfazione dia l‟attività del creare lingue, e come la si possa considerare
una vera e propria arte.
Sarà su tale argomento che ci interrogheremo nella prima parte di questo
lavoro.
Il Professore ricorda ancora con piacere i tempi in cui, molto piccolo, venne in
contatto per la prima volta con una lingua artificiale: l‟animalese. Si trattava di
un semplice codice infantile utilizzato da alcuni suoi coetanei, il cui unico
principio era semplicemente che una parola ne significava invece un‟altra.
Riportando un esempio molto citato, cane usignolo picchio quaranta
corrispondeva in animalese a “tu sei un asino”6. Tolkien stesso non ha
mancato di ricordare ironicamente quest‟epoca passata in cui riusciva a farsi
entusiasmare persino da una lingua così elementare nella sua regolarità di
cifratura. In seguito era ancora giovane quando entrò a far parte del progetto
sul nevbosh, o „nuovo nonsense‟. Si trattava di un‟altra lingua creata da alcuni
compagni, alla cui progettazione il giovane Tolkien aveva collaborato e che
doveva rappresentare uno sviluppo esponenziale dell‟animalese. Infatti il
29
nevbosh fu creato proprio da uno dei principali “parlanti” dell‟animalese. La
finalità di questo sistema linguistico artificiale – un vero e proprio gergo
giovanile – era riuscire a comunicare in maniera pratica, in modo che solo i
componenti del ristretto gruppo di parlanti sarebbero stati in grado di
comprendere i messaggi prodotti. Tolkien però ne era insoddisfatto: fin da
ragazzo, infatti, era del tutto convinto che una lingua dovesse essere creata in
primo luogo come forma d’arte, e solo successivamente per il suo scopo
pratico. Ad ogni modo si dedicò al nevbosh con un certo entusiasmo,
partecipando alle attività di formazione delle parole. Queste ultime erano
create a partire da parole in altre lingue (principalmente inglesi), che
venivano modificate sino a trovare una forma fonica adatta. Per fare alcuni
esempi, il pronome “io” era
sostituito da go, ottenuto semplicemente
abbreviando il latino ego. Oppure “vacca” diventava woc (stavolta invertendo
la forma grafica inglese cow). Nonostante la discreta evoluzione del nevbosh,
comunque, Tolkien prese ben presto a sperimentare di testa sua.
Era poco più che ventenne, e in quegli anni imperversava la Grande Guerra.
Si trovava tra le trincee e persino in quei giorni, nei momenti liberi, pensava
alle sue lingue; le elaborava spesso prendendone nota su taccuini e quaderni.
Scrisse numerose lettere a sua moglie confessandole che stava lavorando a un
“linguaggio fatato senza senso”. Tutti gli scritti tolkeniani accumulatisi fino a
quel momento, da allora in poi, divennero lingue elfiche. Egli stesso avvertiva
30
un pizzico di follia in questa sua attività, ma lo gratificava a tal punto da non
indurlo a farsene un problema.
Di ritorno dalla guerra Tolkien iniziò a scrivere The Book Of Lost Tales, che in
seguito diventò Il Silmarillion. I precetti che lo avevano guidato nella
creazione delle lingue elfiche vennero messi su carta; era l‟inizio di una
nuova fase, che si sarebbe conclusa solo con la sua morte. Le lingue
divennero per lui una raison d’être: iniziò così a lavorare come assistente di
lingua inglese, si occupò del New English Dictionary e, nel tempo libero,
progettò diverse lingue. Nel farlo si ispirava a molti idiomi europei, essendo
un attento fonetista. Tentava di conoscere il più possibile le lingue d‟Europa,
studiandole e elaborandole; amava il loro suono, le combinazioni che
potevano essere create a partire dai nessi e la loro grammatica. Tra le lingue
che preferiva c‟erano lo spagnolo, il greco, il finlandese, l‟italiano ed altre
ancora. Non nutriva una particolare predilezione per il francese, nonostante
fosse una lingua da molti considerata “bella” e molto studiata ai suoi tempi.
Ma in particolar modo era esaltato dal gallese. Nel suo saggio “Inglese e
Gallese”, infatti, ricorda di quando lesse le parole Adeiladwyd 1887 (Costruito
nel 1887) su
una lapide. “Ha fatto breccia nel mio cuore linguistico” 7,
sostenne in seguito.
Fu proprio a partire dal gallese che Tolkien trasse il maggior numero di
spunti riguardo alla struttura delle sue lingue elfiche: il quenya e soprattutto
31
il sindarin, di cui ci occuperemo in queste pagine, agli inizi sorsero proprio
basandosi sul gallese.
I-B: La bellezza sonora della lingua e i criteri per inventare parole
Col tempo Tolkien sviluppò un gusto sempre più raffinato nei confronti delle
diverse lingue. Aveva fatto molta strada dall‟animalese e il suo udito, insieme
al suo cervello, recepivano il suono di una lingua a un livello estremamente
sottile. Sviluppò la capacità di comprendere quale sillaba si associava meglio
ad un‟altra secondo il suo gusto personale – e fu proprio tale gusto che lo
guidava in quest‟oceano linguistico. Le possibilità che gli si aprivano dinanzi
erano potenzialmente infinite, ma Tolkien riusciva a creare parole che lo
soddisfacevano con gran rapidità. Ciò era dovuto, più che alla sua
applicazione tecnica, alla sua “intuizione” sonora, il principio che lo portava
a dire che un suono era più adeguato di un altro per rappresentare una certa
parola. Tolkien cercava questa similitudine in tutte le parole che creava,
evidentemente contrapponendosi all‟idea di arbitrarietà del segno di
Saussure.
Ma i criteri di questa creazione non provenivano unicamente dalla resa
sonora che gli elementi del lessico avrebbero dovuto avere. In buona parte,
infatti, le parole così inventate attingevano a piene mani dalle lingue
preesistenti che Tolkien amava o conosceva. Ad esempio la parola sindarin
32
roch (cavallo) ricorda il verbo ebraico râkháv „cavalcare‟. Anche pé, „bocca‟ ha
origine dall‟ebraico mentre lá „no, non‟ è araba. In quenya il verbo
„proteggere‟ è detto varja, lemma estremamente simile al norvegese verge,
verje.
Tolkien non ha mai negato di attingere o ispirarsi a parole di lingue reali
nella creazione dei suoi dizionari, e questo per lui non è mai stato un
problema. Al contrario, riteneva che arricchire le sue lingue „artificiali‟ con
parole tratte da lingue storico-naturali „terrestri‟ ne avrebbe accresciuto la
musicalità e la sensazione di non avere a che fare con idiomi del tutto alieni.
Va ricordato che i suoi progetti linguistici sono sorti in funzione del puro
diletto, e mai da giovane avrebbe potuto sospettare che le sue creazioni
sarebbero un giorno passate tra le mani di illustri linguisti che vi avrebbero
ritrovato dati e caratteristiche per loro familiari.
I-C: Il desiderio di ottenere lingue più complesse e le rivisitazioni
Col tempo, quando divenne insegnante, la competenza linguistica di Tolkien
crebbe notevolmente. Le sue lingue cominciarono perciò a diventare sempre
più elaborate: a poco a poco assumevano la forma di vere lingue umane – con
le loro eccezioni, i sistemi verbali, le particelle e tutto quanto permette ad una
lingua di “funzionare”. I tempi di animalese e nevbosh erano ormai passato
remoto. La mente di Tolkien poteva esser stimolata solo con un meccanismo
33
molto più complesso – e così fu lui stesso a creare “macchine linguistiche”
eccellenti, in grado di suscitare l‟interesse degli esperti del settore.
Iniziò così a sviluppare propria lingua personale a partire dal nevbosh: il
naffarin. Esso incarnava alcune tra le ultime evoluzioni del nevbosh da lui
stesso introdotte negli ultimi anni; in più v‟erano elementi latini e spagnoli.
Tolkien parlò davvero poco di questa lingua, ma presentò una frase in
naffarin che avrebbe dovuto fungere da esempio. Di questa frase però non
diede alcuna traduzione:
O Naffarínos cutá vu navru cangor luttos ca vúna tiéranar, dana maga tíer ce vru
encá vún' farta once ya merúta vúna maxt' amámen.
Non è difficile notare come i foni ricostruibili da tale frase inizino già a creare
i presupposti per una sonorità decisamente antico-islandese.
Dopo l‟uscita della trilogia del Signore degli anelli, nel 1954-55, le lingue di
Tolkien ebbero una grande diffusione. In questo libro, infatti, gli elfi
utilizzano la lingua sindarin e numerose sono le espressioni presenti nel
testo. Inoltre al termine del volume vi è un‟appendice linguistica “ufficiale”,
ovvero scritta da Tolkien stesso, nella quale si ritrovano i criteri di pronuncia
e alcune basi grammaticali. In questo modo la lingua sindarin ebbe una
diffusione considerevole, ma ciò ovviamente non ne rese possibile una reale
utilizzabilità. Esso era infatti ad uno stato “non parlabile”, nonostante la
pronuncia e le regole esistessero in buona parte. Solo Tolkien, il suo
34
inventore, sarebbe stato in grado di ricavare delle frasi corrette. La stessa
situazione si verificò in seguito anche col quenya e con le altre lingue da lui
create. Questo accadde, probabilmente, perché l‟iniziale impulso alla
creazione linguistica era subordinato al desiderio di “creare belle parole”.
Solo in seguito l‟ambizione tolkeniana crebbe a tal punto da fargli pensare
che si potevano davvero creare lingue vere e proprie, parlabili e utilizzabili.
Quello della fruibilità dei linguaggi di Tolkien da parte di un pubblico è un
problema che si pose sin dalla pubblicazione del Signore degli anelli e continua
a porsi ancora oggi, dato che alla morte del Professore i suoi appunti erano
vasti e non sempre ordinati. L‟ostacolo principale è costituito dalle continue
variazioni che Tolkien apportava al suo lavoro. In conformità con il suo gusto
e la sua tecnica, entrambi fattori in costante affinamento, le parole venivano
infatti modificate: cambiavano morfemi, dittonghi e regole grammaticali. Nel
corso degli anni le modifiche assunsero proporzioni ragguardevoli, e ciò
causò non poche difficoltà a Christopher, il figlio di Tolkien, quando tentò di
rielaborare gli appunti del padre per renderli presentabili in una forma
fruibile al grande pubblico. Le continue rivisitazioni non dovevano giovar
molto neanche allo stesso autore, che nel tempo è più volte tornato sui suoi
passi anche nelle stesse correzioni. Al temine della sua vita, pertanto, tutte le
lingue create da Tolkien erano ancora incompiute.
35
A questo proposito si può citare un‟interessante affermazione di Tolkien,
pubblicata in The Monsters and the Critics“se si costruisce una lingua artefatta
secondo principi scelti così come sono fissati, e nel coraggioso rispetto delle
proprie regole, si deve resistere alla tentazione del supremo despota di
alterarle”8. Col tempo, insomma, l‟ideatore è divenuto despota del proprio
stesso linguaggio. Ripropongo ora il testo di un poema scritto da Tolkien la
prima volta nel 1931 in lingua quenya. In seguito Tolkien lo avrebbe
completamente riscritto, aggiornandolo nella forma dell‟attuale quenya
(fissata all‟incirca negli anni Sessanta).
Qenya, 1931
Quenya, anni 1960
Man kiluva lómi sangane,
Man kenuva lumbor ahosta
telume lungane
Menel akúna
tollalinta ruste,
ruxal' ambonnar,
vea qalume,
ëar amortala,
mandu yáme,
undume hákala,
aira móre ala tinwi
enwina lúme elenillor pella
lante no lanta-mindon?
talta-taltala atalantië mindonnar?
Ecco una traduzione plausibile del passaggio:
36
“Chi vedrà radunarsi le nubi, i cieli piegarsi su colline franate, il mare impetuoso,
l'abisso spalancato, la tenebra antica oltre le stelle cadenti su torri cadute?”
Il significato del brano è rimasto invariato, ma le parole sono cambiate
notevolmente. Ciò che è rimasto immutato è man, „chi‟, a sua volta parola
araba. Anche la desinenza del tempo futuro –uva, affissa alla seconda parola,
è identica, così come l‟ultima parola del poema, che presenta la stessa radice
mindon. Il resto è quasi completamente modificato, tanto da poter dire che un
Elfo che parlava in quenya non avrebbe potuto capire un parlante di qenya.
Un brano interessante relativo alla concezione linguistica del Professore si
ritrova ne Il medioevo e il fantastico. Nel già citato saggio Un vizio segreto,
Tolkien si interroga su come un tempo fosse più facile creare parole nuove e
servirsene per finalità poetiche. Egli chiama infatti in causa Omero e Lönnrot,
rispettivamente gli autori dell‟Odissea e del Kalevala. Cito a tal proposito le
sue parole:
“Per noi sono ormai lontani i tempi meno smaliziati in cui perfino Omero
poteva permettersi di distorcere una parola in modo da adattarla a esigenze
melodiche, o in cui erano concesse libertà spensierate come nel Kalevala, in cui
i versi possono adornarsi di trilli fonetici, come ad esempio in Enkä lähe
Inkerelle, Penkerelle, pänkerelle (Kal. Xi, 55), oppure Ihveniä ahvenia, tuimenia,
taimenia (Kal. XLVIII, 100), dove pänkerelle, ihveniä, taimenia sono ‹‹non
37
significanti››, puri e semplici abbellimenti della melodia fonetica studiati per
armonizzarsi a penkerelle o tuimenia che invece ‹‹significano››”9.
Questa osservazione chiarisce quale sia l‟approccio di Tolkien alle lingue, un
approccio “sensoriale” per così dire, molto viscerale e basato sul primato del
suono. Questo approccio lo avrebbe accompagnato tutta la vita, spingendolo
a sviluppare sempre di più quell‟ideale di adeguatezza fonetica che tanto
ricercava. Per dirla con parole sue: “al piacere fonetico abbiamo dunque unito
la gioia ben più sottile dello stabilire relazioni nuove ed insolite fra simbolo e
significato per poi contemplarle”10.
I-D: Le lingue create da Tolkien
Una domanda che in molti si sono posti a proposito del nostro autore è
quante lingue avesse creato. Egli riempì la sua Terra di Mezzo con numerose
popolazioni, diverse tra loro per razza e abitudini; ovviamente ognuna di
queste razze aveva un proprio idioma. I più famosi sono sicuramente le
favelle elfiche ma anche gli umani, gli orchi, gli uomini-albero, i nani e tutte
le altre razze parlavano utilizzando varietà linguistiche proprie. Tolkien ha
lavorato ad ognuna di queste lingue, espandendole e fornendone un
dizionario ricco di espressioni, lemmi e modi di dire.
In definitiva però di tutte le altre lingue esistono solo pochi passaggi
“ufficiali”, per così dire, ovvero effettivamente inseriti nelle sue opere. Il resto
38
è stato ricavato a posteriori dal figlio Christopher, a partire dagli appunti del
padre. Di alcune lingue, così, ad esempio la lingua di Mordor o linguaggio
oscuro, Tolkien fornisce soltanto alcune frasi e poche parole.
È possibile classificare le lingue di Tolkien in quattro categorie differenti,
fondate sul livello più o meno dettagliato di analisi e descrizione cui erano
soggette.
Prima categoria: lingue ben sviluppate. In questa categoria rientrano le due
lingue maggiormente sviluppate e di cui abbiamo già parlato, ovvero le
lingue elfiche qenya e sindarin. Di ognuna esistono una grammatica
dettagliata e migliaia di vocaboli. Il lessico di queste lingue è abbastanza
numeroso da permettere la creazione di un testo.
Seconda categoria: lingue poco sviluppate. Esistono circa una decina di lingue il
cui corpus ammonta a meno di duecento parole, delle quali è possibile
ricostruire una grammatica embrionale spesso ricavabile solo a partire da
poche frasi. Tra queste lingue vi sono quella degli Umani, ovvero l‟Ovestron,
ed un altra (sempre parlato dagli Umani) chiamata numenoreano o adûnaico.
Terza categoria: lingue frammentarie. Di almeno quattro idiomi Tolkien fornisce
alcuni accenni e passaggi, qualche esclamazione o qualche verso poetico. Tra
questi si annoverano il Linguaggio Oscuro e la lingua dei Valar, ovvero le
divinità di Arda.
39
Quarta categoria: lingue a cui si fa soltanto cenno. Ad una grande quantità d‟altre
lingue lo scrittore fa semplicemente riferimento. Si tratta delle lingue di Elfi
in esilio, di quella parlata da una razza di umani Rohirrim, della lingua degli
“Ent” (alberi parlanti) e molte altre. Di ognuna esse esistono pochissimi
termini, e vi si fa cenno perlopiù come retroscena della storia del pianeta.
In virtù di tale classificazione le lingue alle quali si farà più riferimento nelle
pagine seguenti saranno quenya e sindarin; rivolgeremo comunque
particolare attenzione al sindarin, la lingua parlata dagli Elfi grigi.
I-E: Lingua e mito
Ancora oggi pochi credono che i miti di Tolkien si svilupparono in seguito
all‟elaborazione di una lingua, eppure è così. Ma in realtà questo è il punto di
arrivo e non di partenza di un discorso che a mio avviso costituisce il
fondamento dell‟immaginifica creatività tolkeniana e permette di giustificare
e comprendere la sua intera opera.
Basta partire dalla fondamentale affermazione del Professore: “la costruzione
di una lingua genera mitologie”. In base a questo principio si può
comprendere senza difficoltà l‟approccio artistico di Tolkien. Egli asseriva:
“L'invenzione di lingue è il fondamento. Le 'storie' sono state create per
fornire un mondo ai linguaggi, piuttosto che il contrario. A me viene prima in
mente un nome, e la storia in seguito... il Signore degli anelli è per me... un
40
esteso saggio di 'estetica linguistica', come io talvolta dico alle persone che mi
chiedono 'che cos'è soprattutto?'”11. Inoltre aggiunge: "Nessuno mi crede
quando dico che il mio lungo libro è un tentativo di creare un mondo in cui
una forma di linguaggio accettabile dal mio personale senso estetico possa
sembrare reale. Ma è vero" (Lettere, p. 264).
Le lingue dunque hanno sempre avuto un ruolo fondamentale all‟interno
dell‟opera tolkeniana, e gli esempi sono innumerevoli. Sarebbe impossibile
citarli tutti, ma mi limiterò a prendere una situazione emblematica come
riferimento per far capire quanto le lingue tolkeniane non fossero solo un
“espediente letterario” necessario ad arricchire i suoi testi, bensì costituissero
un elemento indissolubile del mondo di Arda da lui creato e delle sue
vicende.
La storia cui accenno è tratta dalle narrazioni dei periodi antichi, la “Prima
Era” di Arda. Una divinità crudele e spietata, Melkor, è catturato e tenuto in
cattività. A poco a poco riesce a riconquistare la fiducia delle altre divinità e
ha modo di interagire con gli Elfi che dimorano nei pressi del luogo della sua
prigionia. Ora, Melkor non avrebbe dovuto conoscere la versione del quenya
parlata da quegli Elfi; eppure la apprese. Fece ciò per riuscire a corrompere i
suoi interlocutori; gli Elfi di stupirono alquanto dell‟abilità con la quale il dio
malvagio riusciva a padroneggiare il loro idioma. Grazie a quest‟espediente,
Melkor conquistò la fiducia di quegli Elfi, e da queste vicende scaturirono in
41
seguito fatti di notevole portata. Come si vede, quindi, le lingue assumono in
Tolkien un ruolo di diretti protagonisti: elementi centrali dell‟azione e focus
di nuove prospettive narrative.
Al momento della creazione di opere letterarie normalmente un autore si
pone l‟obiettivo di elaborare un intreccio, inventare personaggi, gestire un
ambiente. Nel caso di Tolkien siamo di fronte a un approccio differente.
Come alcuni artisti iniziano a progettare le loro opere a partire da una musica
dalla quale si sentono ispirati, così il nostro Professore si basava sulle lingue.
Egli creava dapprima le parole, modellandone i suoni in base ai suoi gusti.
Dopodiché pensava al popolo che avrebbe dovuto parlare quella lingua. Gli
idiomi quenya e sindarin, come verrà spiegato in seguito, sarebbero stati la
base delle lingue elfiche in quanto ispirati rispettivamente da finlandese e
gallese. Di conseguenza, la bellezza che queste favelle comunicava a Tolkien
causò la creazione di popoli leggiadri, maestri nelle arti e adoratori del bello.
Alcune parole ronzavano da diverso tempo nella mente dell‟autore prima di
trovare una collocazione mitologica. Ma, col tempo, egli diede sfogo ai suoi
istinti linguistici attribuendo un significato alla parola in base a ciò che essa
evocava in lui.
In realtà Tolkien iniziò a sviluppare una teoria quasi musicale del linguaggio,
che secondo lui avrebbe portato ad una uniformità di gusti da parte degli
ascoltatori. Un paragone plausibile per spiegare questa teoria può essere
42
condotto, ancora una volta, con la musica. Nella musica a volte si hanno dei
suoni particolari, o meglio delle note, che singole o combinate in un
particolare momento comunicano uniformemente un unico stato emotivo a
prescindere dall‟ascoltatore. Queste note vengono definite “appoggiature”
musicali. La teoria sviluppata da Tolkien era alquanto similare a questa. Egli
cominciò, col tempo, a ritenere che alcune parole evocassero una precisa
sensazione ad ogni ascoltatore, secondo i principi della fonosemantica.
Secondo questo principio le parole che creava esprimevano in modo sempre
più immediato un preciso significato.
Ad esempio uno dei suoi “cavalli di battaglia”, che non mancava mai di citare
parlando di quest‟argomento, era il nesso –lint: tale sequenza gli comunicava
un‟idea di dinamismo. Questo nesso fu inventato ai tempi del nevbosh e
naffarin. Dopo molti decenni, dama Galadriel nel Signore degli anelli sviluppa
una dissertazione sul tempo trascorso, affermando che gli anni nella Terra di
Mezzo sono trascorsi ve lintë yuldar lissë-miruvóreva, che tradotto vuol dire
„come rapidi sorsi del dolce idromele‟. Quindi Tolkien riteneva che alcune
parole fossero più foneticamente adatte di altre per rappresentare particolari
significati. Ad esempio vanya divenne „bello‟, elen „stella‟ e lòte „fiore‟.
Naturalmente l‟associazione fonetico-semantica rimane del tutto opinabile,
ma va sottolineato che era in quest‟ottica che Tolkien creava le parole e di
conseguenza le lingue. A questo proposito va citato il caso della lingua di
43
Mordor (il Linguaggio Nero), ovvero quella utilizzata dai “cattivi” delle sue
storie, come Orchi e creature oscure di vario genere. Egli desiderava rendere
questa lingua “foneticamente brutta”, in modo che già ad ascoltarla si sarebbe
dovuto capire che le creature che la parlavano avrebbero dovuto essere
viscide e pericolose. Ad esempio, citando la parola nazg (anello), si è portati a
pensare che si tratti di un calco del gallese nasc, vocabolo dallo stesso
significato. La parola tuttavia è “appesantita” e “cricchiata”, sonorizzando le
consonanti finali e rendendo il termine più “cupo”. A proposito di questa
lingua è possibile citarne il campione più celebre, ovvero la frase incisa
sull‟Anello del Potere, vale a dire l‟anello sul quale si impernia l‟intera
vicenda del Signore degli anelli:
Ash nazg durbatulûk, ash nazg gimbatul,
ash nazg thrakatulûk agh burzum-ishi krimpatul
Un anello per domarli, un anello per trovarli,
un anello per ghermirli, e nel buio incatenarli
Pronunciando queste parole, è ragionevole pensare che la maggior parte delle
persone abituate ai linguaggi terrestri le troverebbero “brutte” o “cupe”,
oppure “grevi”. Il Linguaggio Nero fu appositamente composto, come si è
44
detto, per suscitare questa sensazione. E sicuramente nel perseguire
quest‟intento Tolkien centrò il bersaglio.
45
Parte II: le lingue elfiche
II–A: Quenya e sindarin
Quando il Professore era ancora giovane, due erano le lingue storico-naturali
che più avevano influenzato la sua fervida immaginazione linguistica: il
gallese e il finlandese. Già in occasione delle prime stesure delle sue lingue
inventate, così, cominciò a creare parole muovendo da questi due idiomi per i
quali nutriva così grande ammirazione. A poco a poco creò due distinte: il
finlandese gli diede ispirazione per la lingua che denominò “quenya”, e il
gallese per il “sindarin”.
Quenya e finlandese hanno svariati tratti in comune: entrambe sono lingue
agglutinanti, la fonologia presenta tratti similari (presenza di umlaut,
numerose vocali, dittonghi). La differenza principale tra finlandese e quenya
è che quest‟ultimo non presenta casi, peraltro numerosi e complessi in
finlandese.
Per quel che riguarda le connessioni tra gallese e sindarin, anche queste
lingue hanno dei punti in comune. Innanzi tutto, si può segnalare che
ascoltando un parlante di entrambe le lingue non sarà difficile rendersi conto
delle similitudini fonetiche. Infatti, molti dittonghi sono simili se non identici.
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Un altro aspetto in comune rappresenta le similitudini con l‟inglese: il gallese
infatti è pesantemente influenzato dal vocabolario inglese, la morfologia, la
sintassi, l‟intonazione12. Allo stesso modo, il sindarin è stato influenzato
dall‟inglese, poiché nella creazione di una lingua artificiale, l‟ideatore riversa
in essa le componenti della propria lingua madre. Per concludere, l‟aspetto
più importante che accomuna gallese e sindarin riguarda le mutazioni
consonantiche: su questo argomento si tornerà più avanti per esaminarlo nel
dettaglio.
La struttura grammaticale del quenya era più complessa: c‟erano molte più
regole grammaticali, e la formazione delle parole era soggetta a molteplici
vincoli. Il sindarin si presentava più semplice, anche per questa lingua
Tolkien creò un maggior quantitativo di vocaboli. Tolkien cominciò a
prendere nota delle parole sui suoi taccuini, abitudine che avrebbe continuato
a seguire fino al termine dei suoi giorni. Queste note sono in seguito divenute
famose come le Etimologie e sono state pubblicate la prima volta dal figlio
Christopher nel libro The lost road. Fu in base a queste pagine di appunti che
Tolkien organizzò il lavoro. Infatti, proprio a partire da queste etimologie,
iniziò la stesura del Signore degli Anelli.
Una voce tipica delle Etimologie si presenta così:
MBUD- *mbundu: Q mundo muso, naso, capo; N bund, bunn. Cf. *andambundâ
dal lungo muso, Q andamunda elefante, N andabon, annabon.
47
Per “Q” Tolkien intende quenya; “N” si riferisce al noldorin, ovvero la lingua
che in seguito sarebbe divenuta sindarin.
Tolkien continuò a basarsi su questi scritti fino a comporre veri e propri
dizionari quenya e noldorin. Ma, col tempo, le sue pagine di descrizione
linguistica persero efficacia a causa delle continue rivisitazioni alla sua opera
e dei costanti rimaneggiamenti apportati alle radici. Non arrestò ma il
processo di modifica, neanche in punto di morte.
All‟inizio, come si è detto, il sindarin aveva tutt‟altro nome – ovvero
Golgodrin o „gnomico‟. Ad esso l‟autore faceva riferimento come i-Lam naNgoldathon o „la favella degli Gnomi‟. Negli anni ottanta del XX secolo fu
pubblicato per la prima volta un dizionario gnomico, forse il più completo
dizionario elaborato da Tolkien. Nel 1998, infine, fu pubblicato anche un
dizionario quenya, anch‟esso molto vasto e chiaro.
Il quenya è sempre stato, sia nella mente dell‟autore che nella storia di Arda,
la lingua più nobile in quanto era parlato dagli Elfi più “puri” e cari agli dèi.
Il sindarin invece era in qualche modo una lingua generatasi posteriormente,
parlata da una razza di Elfi che rifiutò di rimanere nel Reame Benedetto ove
gli dèi risiedevano per andare ad abitare le contrade della Terra-di-Mezzo. Le
due lingue svilupparono così differenti sonorità – oltre al fatto che il quenya
(come si è accennato) era più complesso del sindarin. Si diceva, infatti, che “i
Noldor... erano rapidi nell‟apprendere la favella del Beleriand [ovvero il
48
sindarin], laddove i sindarin erano lenti nel padroneggiare quella di Valinor
[ovvero il quenya]”13.
Probabilmente anche nella mente dell‟autore esisteva una differenza tra il
grado di “nobiltà” delle due lingue, che doveva risultare evidente alle sue
stesse orecchie; è probabile insomma che Tolkien preferisse il quenya al
sindarin ma si tratta solo di elucubrazioni, dato che il tempo che dedicò alla
creazione e al perfezionamento del sindarin fu senza dubbio paragonabile a
quello impiegato per delineare la struttura del quenya. Quest‟ultima lingua
fu poi meno parlata, nella Terra-di-Mezzo, rispetto al sindarin, dato che le
comunità più ampie di Elfi abitarono la Terra-di-Mezzo e non il Reame
Benedetto, rimasto ormai l‟unico luogo ove gli abitanti parlassero quenya. Di
contro il quenya era la lingua dei Valar, le divinità di Arda, i quali appresero
il linguaggio dagli Elfi che vivevano a contatto con loro e iniziarono a
padroneggiarlo.
A proposito delle differenze vere e proprie tra i due idiomi, possiamo subito
notare che il quenya presenta una maggiore quantità di vocali rispetto al
sindarin. È anche ricco di dittonghi, laddove il sindarin presenta numerose
occlusive sonore, parole più brevi e meno accenti.
49
II-B: I vari stadi nell’evoluzione del sindarin
Come si è accennato, il sindarin originariamente si chiamava “gnomico”. In
seguito il nome del linguaggio divenne “noldorin”, la lingua dei Noldor, e
solo dopo questa evoluzione linguistica giungiamo al vero e proprio sindarin.
Trasformazioni come questa sono state molteplici nella mente del Professore,
ma per comprenderne la natura e la giustificazione in termini narrativi è
necessario fare riferimento alle vicende di Arda – il pianeta creato da Tolkien
ove è ubicata la famosa Terra-di-Mezzo, uno dei continenti del suo mondo
immaginario.
In tempi remoti, infatti, Arda venne popolata da molti e popolosi gruppi
etnici di origine elfica. Questa storia, che è a fondamento dei successivi miti
tolkeniani, fu una delle prime ad essere ideata dal nostro autore. Gli Elfi che
popolavano allora la Terra-di-Mezzo parlavano tutti una medesima lingua. A
proposito di questo idioma, Tolkien fornisce poche spiegazioni sostenendo
che si tratta di una lingua infusa in loro dalla divinità stessa che li aveva
creati, Ilùvatar il Signore del Cielo. A seguito di questi eventi, numerose
vicende portarono i gruppi elfici nati nell‟estremo oriente della Terra-diMezzo a dividersi in più schiere. In particolare, una schiera si recò all‟estremo
occidente del pianeta, nel continente di Aman insieme alle divinità che
dimoravano sulla terra. Questi Elfi fissarono il loro idioma e lo elaborarono
durante la lunga migrazione che li condusse ad ovest, battezzandolo quenya.
50
Il restante gruppo di elfi rimase nella Terra-di-Mezzo e non raggiunse l‟ovest
ove i semidei dimoravano nel benedetto reame di Valinor; essi battezzarono
la loro lingua “noldorin”. Fu proprio quest‟ultimo idioma che, in seguito a
numerose elaborazioni, cambiò nome: infatti nella mente dell‟autore il
gruppo etnico dei Noldor era destinato a trasformarsi, e coloro che prima si
chiamavano Noldor divennero poi Sindar. Anche la loro lingua, di
conseguenza venne chiamata sindarin. Questi processi non rispettano in
alcun modo le dinamiche di mutamento e differenziazione linguistica, ma
sono stati invece frutto dei continui rimaneggiamenti, da parte dell‟autore,
alla sua stessa opera.
Dapprincipio, come già indicato, le lingue elfiche erano chiamate
genericamente “gnomiche”. Questo perché all‟epoca in cui Tolkien iniziò la
sua elaborazione mitologica gli Elfi erano un popolo ben diverso da come poi
divennero in seguito alla loro evoluzione. Infatti, nei miti del pianeta Terra,
gli Elfi erano perlopiù un popolo di esserini dalle abitudini scherzose che
viveva in contatto con la natura: una sorta di folletti o spiritelli, appartenenti
a quel “piccolo popolo” di cui si parla spesso facendo riferimento ai miti
celtici o nordici. Così Tolkien, all‟inizio della sua mitologia, li battezzò
“gnomi” e li considerò parlanti un linguaggio gnomico. È interessante notare
come siano state proprio le idee di Tolkien a proposito della razza elfica ad
aver forgiato l‟attuale immaginario collettivo su questo popolo. Se prima di
51
Tolkien gli elfi erano folletti dei boschi, dopo Tolkien divennero i precursori
del genere umano, esseri la cui evoluzione intellettiva e spirituale superava
quella di ogni altra creatura non divina. La creazione di questo tipo di Elfi da
parte di Tolkien ha fatto sì che i “suoi” Elfi diventassero più importanti di
quelli della mitologia terrestre, in una sorta di transfert cosmogonico.
D‟altronde cos‟è una mitologia se non una serie di invenzioni riguardanti
storie, creature, miti provvisti di un background comune? Tolkien creò questa
mitologia, senza però aspettarsi che le sue idee sarebbero approdate al
cinema,
alla
letteratura,
all‟immaginario
collettivo
in
maniera
così
dirompente.
Abbiamo riassunto brevemente le tappe dell‟evoluzione del sindarin, che
come si evince è confusa e scarsamente comprensibile soprattutto nella sintesi
offertane. La storia di questa lingua ed il suo sviluppo in effetti vanno di pari
passo, e i cambiamenti che Tolkien introdusse nella descrizione della
comunità linguistica vanno di pari passo con le trasformazioni imposte alla
lingua e al suo vocabolario.
II- C: Fonologia sindarin
Si introducono qui degli elementi della fonologia sindarin, in modo che il
lettore possa assimilarli prima di accingersi a leggere il corpus del linguaggio.
La pronuncia del sindarin è abbastanza regolare, con un discreto rapporto di
52
congruenza tra foni e caratteri scritti. Tolkien decise, senza avere dubbi in
proposito, di impiegare l‟alfabeto latino per la trascrizione della lingua. Non
sarà quindi difficile per il lettore realizzare una corretta pronuncia delle
parole sindarin, seguendo alcuni semplici criteri.
Consonanti e nessi consonantici
La maggior parte delle consonanti singole viene pronunciata in maniera
identica all‟italiano. Alcuni nessi, però, formati dalla composizione con –h,
cambiano la pronuncia e in quel caso è necessario seguire alcuni criteri
ortografici. Altri elementi, come la –v che diventa –w in fine parola, hanno
principalmente valore ortografico e non influenzano la pronuncia.
Nella tabella sottostante si indicano soltanto le lettere alfabetiche utilizzate da
Tolkien ed i nessi digrafici che hanno una pronuncia in parte differente
dall‟italiano, accompagnati dalla trascrizione IPA e da un‟indicazione relativa
alla pronuncia. Le pronunce identiche all‟italiano non sono quindi
menzionate. Di qualche consonante che potrebbe risultare ambigua a causa
del suo valore ortografico italiano (-g si pronuncia come in guado o giorno?) è
aggiunta una specifica menzione, per evitare incomprensioni.
53
Consonante Simbolo IPA
C
κ
Linee guida di pronuncia
Si pronuncia sempre come nell‟italiano cane,
cosa; non è mai pronunciato come in cielo
nell‟inglese church
CH
DH
Molto aspirata, come nel tedesco bach, lauch
ð
F
Come nell‟inglese then
Pronuncia identica all‟italiano, ma in fine di
parola va pronunciata come -v
G
g
Sempre come nell‟italiano guado o nell‟inglese
get, mai come in giorno
H
Senza altre consonanti adiacenti, è sorda come
nell‟inglese house
Pronunciato come una –w sorda, praticamente
HW
identica a W.
L
l
Identica all‟italiano, come in luogo. Se però si
trova in fine di parola seguendo –e o –i, si
palatalizza
NG
Normalmente identico all‟italiano come in
angolo. In fine di parola però la –g quasi
scompare come nell‟inglese sing
54
PH
f
Pronunciato come l‟italiano –f, si scrive –ph in
fine di parola
RH
я
Si pronuncia come una –r afona, similmente al
francese quatre
TH
θ
Identico all‟inglese think
V
v
Identica all‟italiano, ma non si usa in fine
parola ove si scrive -w
W
u
Semivocalica, come nell‟inglese we
Vocali e dittonghi
Le vocali del sindarin si pronunciano in maniera identica all‟italiano. Il
sindarin ne comprende sei: a, e, i, o, u, y. La –y va pronunciata come il
francese lune, l‟inglese tune o la ü tedesca (assente dall‟italiano standard, in
quanto vocale anteriore alta arrotondata). I dittonghi sindarin comprendono
ae, ai, ei, oe, oi, ui e au, tutti pronunciati come in italiano. In realtà si tratta di
dittonghi “muti”, e quindi risultano come una addizione ortografica di suoni.
Vi è una lieve eccezione sul piano della rappresentazione grafica, in quanto –
au si scrive in fine di parola –aw. Come ulteriore eccezione, -ae ed -oe possono
essere pronunciati rispettivamente come /ai/ ed /oi/. Per concludere, la
vocale -e in fine di parola non è mai muta; essa va pronunciata e solitamente è
trascritta con ë. Va precisata una ulteriore circostanza, relativa a una certa
55
confusione presente negli scritti di Tolkien riguardo al digrafo oe usato a volte
come tale, altre volte come trascrizione del fono ö (/œ/ in IPA).
Accenti
Negli scritti di Tolkien il tema degli accenti è piuttosto controverso,
soprattutto a causa delle continue revisioni. Spesso infatti l‟autore cambiava
l‟accento tonico delle parole, modificando il criterio di accentazione. Altre
volte, invece, nelle sue etimologie gli accenti sono incompleti o non
specificati. Ad ogni modo è stato possibile inferire i seguenti criteri per
l‟accentuazione relativi al sindarin.
Si può iniziare col dire che gli accenti non sono segnati sulle lettere poiché la
tonicità va dedotta dalla composizione delle sillabe. Nelle parole formate da
due sillabe, così, l‟accento cade sulla prima (ad esempio Gòndor). Per le
parole formate da tre o più sillabe, invece, il criterio è il seguente: se la
seconda sillaba contiene una vocale lunga, un dittongo o la vocale è seguita
da due o più consonanti l‟accento ricade su di essa (ad es. Galàdriel); se
invece non si verifica nessuna di queste condizioni, l‟accento ricade sulla
terzultima (ad es. Dòriath).
Anche in questo, come per altri aspetti delle sue lingue, Tolkien non ha creato
nulla di originale: egli si ispirava alle lingue preesistenti, ed era sua
intenzione simularne i meccanismi.
56
II-D: Corpus del sindarin
Alla morte di Tolkien, i testi redatti in sindarin e gli esempi di enunciati
completi erano presenti soltanto nei suoi romanzi e non comparivano mai nei
saggi o nelle conferenze. Ciò ha causato non poche difficoltà all‟impresa
consistente nel rielaborare la lingua e ricavarne i criteri.
In ogni caso il sindarin presenta un corpus di testi piuttosto vasto rispetto
agli altri idiomi tolkeniani, soprattutto prendendo in esame Il Signore degli
Anelli e il Silmarillion. Entrambi i romanzi, infatti, presentano numerose frasi
o periodi in sindarin di cui alcuni tradotti direttamente dall‟autore nel corso
del testo.
L‟intento di questo paragrafo è esporli con chiarezza, così che possano
fungere da punto di partenza nell‟approcciare la lingua e ci consentano di
introdurre gli argomenti successivi. Per alcuni testi proporrò un‟analisi
grammaticale formulata sotto forma di glossa, basandomi su conoscenze
personali e sui testi degli studiosi che negli anni hanno tradotto l‟idioma di
cui mi sto occupando.
I testi sono tratti da Il Signore degli Anelli. Di fianco alla citazione verrà
indicato il capitolo nel quale la citazione stessa occorre.
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Ai na vedui
Dúnadan!
Mae govannen!
(SdA1/I cap. 12)
Ah con ultimo Uomo-dell‟Ovest bene incontrato
“Ah, finalmente, uomo dell’Ovest! Ben incontrato!.”
Noro lim, noro lim Asfaloth!
(SDA 1/I cap. 12)
Corri veloce corri veloce Asfaloth
“Corri veloce, corri veloce Asfaloth!”
Naur an edraith ammen! Naur
dan i
ngaurhoth! (SdA 1/ II cap 4)
Fuoco per salvezza a-noi Fuoco contro la orda-di-mannari
“Che il fuoco sia la nostra salvezza! Fuoco sull’orda dei lupi mannari!”
Annon edhellen, edro hi ammen! Fennas nogothrim, lasto beth
Cancello elfico
apri ora a-noi
ingresso nani
Lammen!
ascolta parola
(SdA1/II cap. 4)
lingua nostra
“Elfico cancello, ora apriti per noi! Ingresso del popolo nanico, ascolta le parole nella
nostra lingua!”
Ennyn Durin Aran Moria: pedo mellon a minno. Im Narvi hain echant:
Celebrimbor o Eregion teithant i thiw hin. (SdA1/II cap. 4)
58
“Le Porte di Durin, Signore di Moria. Dite, amici, ed entrate. Io, Narvi, le feci”
A Elbereth Gilthoniel / silivren penna míriel / o menel aglar elenath! / Nachaered palan-díriel / o galadhremmin ennorath, / Fanuilos le linnathon /
nef aer, sí nef aearon (SdA1/II cap. 1).
In questo caso si tratta del testo di un canto.
“O Elbereth che accendi stelle, bianche faville, che digradano scintillanti come
gemme, dal firmamento la gloria della volta stellata. A remote distanze contemplando
da lontano dai paesaggi intessuti di alberi della Terra di Mezzo, Fanuilos, a cui va il
mio canto, da questa riva dell'oceano, qui da questa diva dell'Oceano”.
A Elbereth Gilthoniel o menel palan-diriel, le nallon sí di-nguruthos! A
tiro nin, Fanuilos!
“O Elbereth che accendi stelle, dal firmamento costì contemplando, a Te grido preda
dell'ombra della morte. Volgimi il tuo sguardo, Semprebianca!”
Cuio i Pheriain anann! Aglar'ni Pheriannath! ... Daur a Berhael, Conin en
Annûn, eglerio! ... Eglerio! (SdA 3/VI cap. 4)
“Possano gli Halflings vivere a lungo, gloria agli Halflings! … Frodo e Sam, principi
dell’ovest, glorificateli! … Glorificateli!”
59
Ónen i-Estel Edain, ú-chebin estel anim. (SdA appendice A)
“Ho dato la speranza ai Dùnedain, non ne ho conservata per me.”
Probabilmente la più importante fonte sindarin è “la lettera reale”. Si tratta di
un epilogo al Signore degli Anelli che avrebbe dovuto essere più lungo, ma
venne accantonato da Tolkien. È il testo più lungo mai composto dall‟autore
in qualsiasi lingua elfica, e quindi rappresenta il campione più significativo.
Elessar Telcontar. Aragorn Arathornion Edhelharn, aran Gondor ar Hîr i
Mbair Annui, anglennatha i Varanduiniant erin dolothen Ethuil, egor ben
genediad Drannail erin Gwirith edwen. Ar e aníra ennas suilannad
mhellyn în phain: edregol e aníra tírad i Cherdir Perhael (i sennui Panthael
estathar aen) Condir i Drann, ar Meril bess dîn; ar Elanor, Meril,
Glorfinniel, ar Eirien sellath dîn; ar Iorhael, Gelir, Cordof, ar Baravorn,
ionnath dîn. A Pherhael ar am Meril suilad uin aran o Minas Tirith
nelchaenen uin Echuir.
“Elessar Telcontar: Aragorn figlio di Arathorn Gemma Elfica, Re di Gondor e
Signore delle Terre Occidentali, arriverà al Ponte del Baranduin nell'ottavo giorno di
Primavera, o nel Calendario della Contea il secondo giorno d'Aprile. Ed egli desidera
salutare là tutti i suoi amici. In special modo egli desidera vedere Maestro Samvise,
Sindaco della Contea, e Rosa sua moglie; ed Elanor, Rosa, Cioccadoro, e Daisy sue
60
figlie; e Frodo, Merry, Pipino ed Hamfast, suoi figli. A Samvise e Rosa il saluto del
Re da Minas Tirith, il trentunesimo giorno di Stimolo (inizio di primavera)”.
61
Parte III: analisi del sindarin
III – A: Introduzione all’analisi
Passeremo ora ad un‟analisi in dettaglio della struttura linguistica del
sindarin. Uno degli aspetti più complessi di questa lingua è la fonologia, che
non di rado ricorre ad umlaut e mutazioni piuttosto che ad affissi per
esprimere idee grammaticali. L‟umlaut (o metafonia) è il processo di
assimilazione di una vocale ad un‟altra. Tolkien lo rinvenne in lingue come
l‟inglese ed il tedesco che, in quanto lingue germaniche, fanno largo uso di
tale regola grammaticale. Il fenomeno dell‟umlaut in sindarin è chiamato
prestanneth che significa „affezione, turbamento‟.
La seguente disamina partirà dall‟analisi di categorie grammaticali specifiche
quali quelle dei nomi, degli articoli e dei pronomi, e continuerà affrontando
un aspetto della lingua trattato nel dettaglio da Tolkien – ovvero il sistema
verbale. Essa si concluderà con una sezione dedicata alle mutazioni vocaliche
e consonantiche. Queste ultime, infatti, si sono susseguite nell‟idioma
seguendo criteri che Tolkien aggiornava man mano, durante la sua creazione.
Molti potrebbero storcere il naso pensando che tutte le mutazioni descritte
possano far parte di una lingua artificiale; ci si chiede infatti a come sia
possibile che un solo uomo abbia potuto pensare tali dettagli e “calcolare” un
così gran quantitativo di variazioni linguistiche – e soprattutto perché.
62
Si tratta di un problema che ho già affrontato nel corso della tesi; in questa
sede va ribadito che Tolkien non aveva intenti palingenetici nell‟affrontare la
materia, né voleva farsi promotore di una lingua franca per i popoli della
Terra: si trattava solo di un elaborato gioco letterario, che tuttavia divenne
poi uno dei principali scopi della sua vita.
L‟arguzia linguistica di Tolkien lo portò ad far evolvere incredibilmente i suoi
idiomi, e le pagine che seguono hanno lo scopo di indagare uno di essi al fine
di sviscerare i meccanismi. Tramite la disamina delle regole grammaticali,
credo sia possibile comprendere appieno l‟uomo che ha dato vita a questa
complessità.
Nelle pagine seguenti, tutte le strutture sindarin analizzate si riferiscono
all‟ultima varietà a noi pervenuta della lingua – non, dunque, agli stadi
intermedi. Si tratta quindi di un approccio sincronico, anche per quel che
riguarda
le
mutazioni
consonantiche.
Ciò
solleva
in
realtà
una
contraddizione: una mutazione consonantica normalmente attesta il
cambiamento diacronico del linguaggio, ed è un fenomeno che si spiega di
solito in termini storico-evolutivi. Tuttavia le mutazioni proposte in queste
pagine indicano principalmente il modificarsi di particolari consonanti
all‟interno della frase in funzione del contesto – un fenomeno grammaticale,
dunque, che può essere oggetto di un approccio descrittivo. Dato che la
totalità dei sindarinisti affrontano l‟argomento definendolo “mutazione
63
consonantica”, nel corso dell‟esposizione questo fenomeno sarà presentato
con lo stesso nome utilizzato dagli altri studiosi.
Tolkien non ha stilato una completa e dettagliata grammatica del sindarin.
Per questo motivo, tutti gli studiosi che negli ultimi trent‟anni hanno
ininterrottamente analizzato la sua struttura hanno dovuto ricavare dai testi
delle opere le regole grammaticali e fonetiche. Non interamente, a dire il
vero, poiché Tolkien redasse comunque numerosi scritti in cui esponeva le
fondamenta dell‟idioma e ne analizzava l‟evoluzione; al fine di stilare un
compendio grammaticale, comunque, è necessario desumere alcuni criteri
descrittivi dai testi – anche al fine di ricorrere ad esempi diretti.
Questa sezione del lavoro deve molto all‟opera di Helge Fauskganger, David
Salo ed Edward Kloczko, sindarinisti di vasta esperienza, che hanno diffuso
le loro analisi in testi specializzati e su internet.
III – B: Sistema nominale: sostantivi, articoli, pronomi e aggettivi
I sostantivi
All‟inizio della costruzione della lingua sindarin, Tolkien aveva pensato a
organizzare la struttura nominale in un sistema a tre numeri (inventato da lui
stesso): singolare, plurale e duale. Col tempo e con l‟evoluzione del sistema
linguistico il duale a poco a poco scomparve (in modo simile a quanto
64
accadde alla lingua greca) per lasciar posto a forme di plurale generico. In
base alle attestazioni attualmente disponibili circa la costruzione tolkieniana,
pare che in origine il sindarin presentasse un sistema di casi. Esso era una
semplificazione di quello quenya, ricco di desinenze da apporre in fine di
parola per indicare il ruolo sintattico-semantico (e ovviamente ispirato al
finlandese). Col tempo però il sistema dei casi è scomparso dall‟architettura
dell‟idioma, lasciando posto a un buon numero di casi non inflessi (casi che
non presentano marche o affissi morfologici specifici).
I sostantivi sindarin possono così essere usati come genitivi senza cambiare la
loro forma, semplicemente mediante la loro collocazione in funzione di
modificatori di un nome testa. Abbiamo già citato l‟iscrizione sul Cancello di
Moria: “Ennyn Durin Aran Moria”, “Le Porte di Durin, Re di Moria”, nella
quale i nomi Durin e Moria funzionano come genitivi non inflessi: „di Durin‟,
„di Moria‟. Per dire “X di Y” pertanto è sufficiente giustapporre i lessemi
(secondo la formula X Y, in cui X è la testa e Y il modificatore). La Lettera
Reale fornisce numerosi esempi: Aran Gondor „Re (di) Gondor‟, Hîr i Mbair
Annui „Signore (del)le Terre Occidentali‟, Condir i Drann „Sindaco (del)la
Contea‟. Si noti che questa morfologia del genitivo si discosta da quella dei
composti inglesi o tedeschi. Tolkien annotò che tali genitivi non flessi
probabilmente discendevano da precedenti “forme flessionali”. Ad uno
stadio iniziale, insomma, il Sindarin probabilmente aveva la medesima
65
desinenza genitiva -o del quenya ma essa andò perduta assieme alle altre
vocali finali. (Il sindarin Doriathrin talvolta mostra una desinenza genitiva -a,
come nell‟epiteto di Túrin Dagnir Glaurunga, „Flagello di Glaurung‟.
L‟origine di tale desinenza è del tutto indecifrabile poiché Tolkien non ne fa
menzione, ed essa non è apparentemente utilizzata in sindarin standard).
Non soltanto il genitivo ma anche il dativo può essere espresso da un
sostantivo sindarin che non cambia in alcun modo la sua forma. Questo
aspetto è evidente dalla prima parte del linnod di Gilraen, nel Signore degli
Anelli Appendice A: Onen i-Estel Edain, „Ho dato la speranza ai [Dún]edain‟.
L‟oggetto indiretto, o oggetto dativo, è chiaramente Edain – ma esso non
presenza alcuna desinenza flessionale, né vi è alcunché di corrispondente alla
preposizione “ai” della traduzione inglese fornita da Tolkien. Il dativo
dunque è apparentemente espresso dal solo ordine dei costituenti (stavolta
con una sintassi oggetto diretto-oggetto indiretto). Tale costruzione, a dire il
vero, può essere comparata con l‟inglese I gave the Edain Hope, anch‟essa priva
di preposizione o desinenza flessionale; ma l'inglese in tal caso inserisce
l'oggetto indiretto prima dell'oggetto diretto, mentre come si è detto in
sindarin l'oggetto indiretto segue sempre quello diretto.
66
Gli articoli
L‟analisi degli articoli del sindarin permette di evidenziare il ricorso, da parte
di Tolkien, ad umlaut e suffissi per esprimere alcuni contenuti grammaticali,
come si spiegherà tra breve.
Il sindarin non ha articolo indefinito, e l‟articolo definito singolare è i.
Abbiamo quindi aran, ovvero „re‟, plurale i aran, “il re”. In alcune occorrenze
quest‟articolo diventa “ir” dinanzi a nominali che iniziano in i, come ad
esempio ir ithil, „la luna‟, per evitare lo iato tra identiche vocali.
Un caso interessante si ha quando l‟articolo subisce mutazione, ovvero
diventa suffisso di preposizioni. In questi casi esso occorre nella forma –n. Ad
esempio, la preposizione na („a‟) diventa nan, ovvero „al‟. Allo stesso modo
accade con nu, „sotto‟ che diventa nuin, ovvero „sotto le‟ – come si constata ad
esempio in Dagor-nuin-Giliath, „Battaglia sotto le Stelle‟. Nei casi in cui
l‟articolo occorre come suffisso –in si può verificare un interessante fenomeno
di mutazione: ad esempio suffissando l‟articolo ad or (preposizione dal
significato di „sopra, su‟) la preposizione articolata diviene erin („sul‟) poiché
la vocale i produce umlaut della o trasformandola in e. Pare infatti che in
origine „sul‟ fosse espresso con la forma örin. Non sono ancora chiari tutti i
casi in cui l‟articolo si suffissa, e probabilmente l‟uso della suffissazione è
discrezionale.
67
A proposito dell‟articolo genitivale esso si esprime con en, ovvero „di‟. In una
espressione comprendente un nome proprio tuttavia tale elemento si elide, in
modo simile a quanto accade in inglese: avremo quindi Ennyn Durin, „le porte
(di) Durin‟, oppure Aran Moria, „signore (di) Moria‟. Dinanzi a un comune
sostantivo en occorre invece normalmente: Methed-en-Glad („Fine del Bosco‟) e
orthad en·Êl („Levata della Stella‟). Nel Signore degli Anelli, Frodo e Sam
vengono chiamati Conin en Annûn, „principi dell'Ovest‟ al Campo di
Cormallen. A volte l‟articolo genitivale assume forma „breve‟ in e come in
Narn e·Dinúviel, „Racconto dell'Usignolo‟; come verrà spiegato meglio più
avanti, si tratta di una mutazione nasale.
In sindarin l‟articolo è anche utilizzato nella funzione del pronome relativo
che, come evidenziano gli esempi seguenti: Perhael (i sennui Panthael estathar
aen), ovvero „Samvise (che dovrebbe essere chiamato Panthael)‟ nella Lettera
Reale; oppure il nome Dor Gyrth i chuinar, „Terra del Morto che Vive‟.
Spesso Tolkien connette gli articoli al nominale seguente tramite un punto o
un trattino. Questa scelta ortografica, tuttavia, dopo una indagine condotta
sui vari scritti, sembra essere assolutamente casuale e quindi non
riconducibile ad una regola definita.
68
I composti
Numerose parole sindarin sono in realtà composti, ovvero formazioni di più
nominali giustapposti o agglutinati tra di loro al fine di formarne un lessema
nuovo dal significato originale. Le parole composte sono copiose in tutte le
lingue germaniche, alle quali Tolkien faceva sovente riferimento e che erano
sempre presenti ne suoi pensieri. Non a caso quest‟aspetto delle lingue
storico-naturali della terra è penetrato in sindarin.
Uno degli esempi più significativi di composto, che esemplifica anche
l‟impiego dell‟umlaut, è rappresentato dalla parola Edenedair ovvero „padri
degli uomini‟ (letteralmente „Uomini-padri‟): la parola è chiaramente derivata
da adan (edan in virtù dell‟umlaut) + adar (edar in seguito a umlaut), ovvero
„uomo + padre‟.
I composti presentano particolarità soprattutto in relazione a quelli
aggettivali: spesso infatti gli aggettivi si agglutinano alle parole per
arricchirne la dimensione semantica. Esaminiamo quindi gli aggettivi.
Gli aggettivi
Gli aggettivi, come si è accennato, possono essere dei nominali indipendenti
oppure dei suffissi da posporre alle parole per integrarne il significato.
Tipiche desinenze aggettivali sono:
69
Aggettivo
Deriva da
Aglareb („glorioso‟)
Aglar („gloria‟)
Brassen („bianco incandescente‟) Brass („calor bianco‟)
Uanui („mostruoso, orribile‟)
Uan („mostro‟)
Non tutti gli aggettivi però hanno desinenze speciali, ed alcuni appartengono
a più categorie grammaticali del linguaggio in virtù di quel processo
morfologico detto conversione. Ad esempio morn („oscuro‟) può essere sia
aggettivo che sostantivo, esattamente come accade per l‟inglese dark.
Gli aggettivi devono essere accordati con i sostantivi nel numero, allo stesso
modo in cui si formano i plurali nel resto dei nominali: ad esempio malen,
„giallo‟, plurale melin.
I pronomi
I pronomi sindarin non costituiscono un paradigma completo, dato che
Tolkien non li definì con precisione. Questa circostanza è causa di non pochi
ostacoli ai fini dell‟eventuale creazione di nuove proposizioni. Alcuni
pronomi infatti sono sostituiti da desinenze le quali, unite ad altre parole,
esprimono una determinata persona grammaticale.
70
Persona
Sindarin
Possessivo e/o altri impieghi
Prima singolare
Im („io‟)
Nìn („mio‟), Anim („per me‟)
Seconda singolare Desinenza -ch
Le („a te‟)
Terza singolare
E („egli, lui‟)
Dîn („suo‟)
Prima plurale
Desinenza –m, *men Ammen („per noi, di noi‟)
Seconda plurale
Non attestato
Non attestato
Terza plurale
Hain
Non attestato
Come si vede, i pronomi non sono presenti in tutte le posizioni della tabella e
il paradigma risulta difettivo. Però nelle Etimologie, scritte da Tolkien per
formulare e ricordare sotto forma di appunti le sue idee linguistiche,
troviamo alcuni spunti che consentono di integrare questi dati. Si tratta però
di riferimenti al noldorin, ovvero alla fase “antica” del sindarin, e non ne è
dunque attestato l‟uso (per così dire) “contemporaneo”.
Tolkien elenca
dunque le forme ho, hon, hono per „egli‟, he, hen, hene per „ella‟; ha, hana per
„esso‟. I plurali sono indicati dall‟autore come huin, hîn, hein, evidentemente
denotanti il pronome „essi‟ riferendosi ad un gruppo di uomini, donne ed
oggetti
rispettivamente.
Hein
fu
evidentemente
modificato
in
hain
posteriormente, come risulta dalla tabella più in alto; cfr. l'iscrizione del
Cancello di Moria: Im Narvi hain echant, „Io Narvi le (lettere) feci‟. D‟altronde il
pronome noldorin huin dovrebbe occorrere nella forma *hýn in sindarin.
71
III- C: I plurali
In modo simile a quanto avviene nella maggior parte delle lingue storiconaturali, il singolare è la forma base alla quale si aggiungono umlaut e
desinenze per la formazione del plurale. La formazione dei plurali sindarin è
in un certo senso opposta, e al contempo simile, a quella della lingua inglese.
Infatti in inglese normalmente il plurale si forma con l‟aggiunta del suffisso
-s mentre solo alcune parole (mouse e mice, per esempio, rispettivamente
„topo‟ e „topi‟) ricorrono alla mutazione vocalica. In sindarin, al contrario,
questa mutazione è il caso più frequente di formazione del plurale al quale si
aggiungono casi in cui viene affissa una desinenza. Così ad esempio amon
(„colle‟) diviene emyn („colli‟).
In origine i plurali sindarin si formavano seguendo la regola valida per il
quenya, idioma nel quale i plurali erano contrassegnati da una marca –i in
fine di parola. Questo fatto è attestato, ad esempio, nei nomi di popoli (cfr.
Quendi, ovvero „gli Elfi‟). Col tempo tuttavia questa desinenza –i è venuta a
cadere, e nelle ultime fasi di sviluppo del sindarin si può ricorrere a varie
possibilità con cui formare il plurale.
Il plurale di classe
Il sindarin ha un cosiddetto plurale di classe, o plurale collettivo. Esso è
formato mediante un suffisso, -ath, e sta ad indicare tutti gli oggetti del
72
medesimo
nome, tutti
i
rappresentati
di
quella
parola. Possiamo
esemplificare questa caratteristica con alcuni esempi:
Elenath: „la moltitudine delle stelle‟ (elen).
Ennorath: „il gruppo delle terre centrali‟ (ennor).
Argonath: la coppia di gigantesche statue a nord di Gondor (Argon).
Periannath: gli Hobbit (intesi come l‟intera razza).
A volte il plurale di classe da –ath viene sostituito con –oth, ad indicare
perlopiù una moltitudine:
Glamhoth: orda terribile.
Lossoth: uomini delle nevi.
Gaurhoth: lupi mannari.
Tra le voci lemmatizzate nel Silmarillion, hoth denota „schiera, orda (per lo
più in senso peggiorativo)‟. Non è difficile accostare quindi tale nesso al
plurale di classe.
Esempi di plurale
I plurali in sindarin possono cambiare anche notevolmente in base al contesto
fonetico. Si tratta principalmente di casi nei quali le vocali in fine di parola, a
causa di umlaut, subiscono modifiche. Le condizioni segmentali in cui si
trova un dittongo all‟interno di una parola permettono di stabilire il tipo di
73
umlaut che questa riceverà se volta al plurale. Ecco ora una disamina delle
varie vocali e del tipo di plurale che possono assumere.
Vocale A: Una a occorrente nella sillaba finale di un vocabolo usualmente si
trasforma in ai al plurale. Ciò vale anche quando la sillaba finale è anche
l'unica sillaba e il termine è monosillabico (in tali vocaboli vediamo spesso la
lunga â). L‟esempio citato più in alto, fang (pl. feng invece di *faing), è
alquanto atipico; per altri versi tale modello è relativamente ben attestato:
tâl „piede‟, pl. tail (il plurale tail è attestato nella forma sonorizzata -dail nel
composto tad-dail „bipedi‟);
cant, „forma", pl. caint (per la forma plurale cfr. morchaint = „forme oscure,
ombre‟)
rach, „vagone, carro‟, plurale raich (cfr. Imrath Gondraich „Valle dei Carri di
Pietra‟);
barad, „torre‟, pl. beraid;
lavan, „animale‟, pl. levain;
aran, „re‟, pl. erain.
Vocale E: vi sono molte similitudini tra l‟ultima fase del sindarin ed il
materiale delle Etimologie e del noldorin. Normalmente, la e nella sillaba
finale di un vocabolo diventa i.
74
Edhel, „elfo‟, pl. edhil;
ereg, „agrifoglio‟, pl. erig;
laegel, „elfo verde‟, pl. largi;
lalven, „olmo‟, pl. lelvin;
malen, „giallo‟, pl. melin;
certh, „runa‟, pl. cirth;
telch, „gambo‟, pl. tilch.
Anche nel caso della ê lunga troviamo la î lunga al plurale:
hên, „fanciullo‟, pl. hîn;
têw, „lettera‟, pl. tîw.
Vocale I: questa vocale è particolarmente regolare nella formazione del
plurale. Normalmente, infatti, una i rimane i al plurale, anche nei casi in cui
ciò causa omofoni o sovrapposizione di forme. Ad esempio la parola per
„spie‟ è ethir – che deriva probabilmente dalla radice indicata da Tolkien come
TIR („guardare‟); il plurale è identico, ethir, ed è dunque possibile dedurre che
si tratta di un plurale solamente dal contesto.
Ithron, ‘stregone’, pl. Ithryn;
Glinnel, ‘Elfo del Terzo Clan’, pl. Glinnil.
75
Vocale O: segue anch‟essa un comportamento abbastanza regolare al plurale.
In sillaba finale, infatti o diventa y e ó diventa ý. Esempi di plurali sono:
orch, „orco, folletto‟, pl. yrch;
toll, „isola‟, pl. tyll;
bór, „uomo fidato‟, pl. býr;
amon, „colle‟ pl. emyn;
annon, „grande portone‟ pl. ennyn.
Vocale U: normalmente la vocale u al plurale diventa y, come illustrano i
seguenti esempi.
Tulus, „pioppo‟, pl. tylys;
dûr, „oscuro‟, pl. duir
Vocale Y: tale vocale rimane identica anche nella formazione del plurale, dato
che l‟umlaut non agisce su di essa.
Dittongo AU: di regola quando au occorre nell‟ultima sillaba essa assume la
forma ui, secondo i seguenti esempi. Non sempre però questa caratteristica è
rispettata nell‟ultima fase del sindarin.
gwaun, ‘oca’, pl. guin;
naw, ‘idea’, pl. nui;
76
rhaw, ‘leone’, pl. rhui;
saw, ‘succo’, pl. sui;
thaun, ‘pino’, pl. thuin.
III- D: Le mutazioni consonantiche
Le mutazioni consonantiche costituiscono l‟aspetto più complesso nella
morfologia del sindarin. Si tratta di un fenomeno che scoraggerebbe molti
aspiranti parlanti sindarin, a causa delle molteplici difficoltà che crea nella
struttura della lingua. Di contro si può dire che si tratta di uno degli aspetti in
assoluto più affascinanti dell‟intero idioma, poiché trasforma qualunque testo
in un sistema in continua trasformazione dato che ogni parola risente della
presenza delle altre.
Come già detto, le mutazioni consonantiche di cui si tratterà in queste pagine
non si riferiscono alle mutazioni o trasformazioni che la lingua ha subito
diacronicamente, ovvero nel corso del tempo. Ci si riferisce invece al
fenomeno sincronico della mutazione nella consonante iniziale di una parola
in funzione dell‟eventuale articolo che la precede. Tali trasformazioni
possono essere accorpate in categorie distinte, che identificheremo come
mutazione palatale, nasale, mista, occlusiva e liquida; queste, almeno, sono le
definizioni comunemente impiegate dai sindarinisti.
77
Trattandosi di uno degli aspetti più complessi e mutevoli del sindarin, è
necessario avere le idee ben chiare in proposito; per questo, al termine della
presentazione delle mutazioni, verrà proposto uno schema che riassumerà
tutti gli aspetti di questo particolare fenomeno morfo-fonologico con valore
grammaticale.
Cosa si intende per mutazione consonantica in sindarin
A mo‟ di premessa, è opportuno sottolineare come le mutazioni di questo
genere interessino soltanto i vocaboli che iniziano per consonante; tutti quelli
inizianti per vocale non sono influenzati dalle regole che presenterò di
seguito. Si prendano ad esempio due vocaboli completamente distinti come
saew, „veleno‟ ed haew, „abitudine‟. Una regola di mutazione prevede che la s
in certi contesti grammaticali divenga h. L‟articolo i, „il‟ costituisce uno dei
contesti fonetici cui si applica tale mutazione; così se lo si prefissa a saew per
esprimere „il veleno‟ il risultato non sarà **i saew perché in virtù della
mutazione il veleno dovrà essere espresso con il sintagma i haew. Sebbene
haew significhi anche „abitudine‟, e si crei pertanto una potenziale situazione
di omofonia, un competente parlante del sindarin dovrebbe essere in grado
di evitare fraintendimenti e pensare che i haew significhi „l‟abitudine‟ invece
che „il veleno‟ – poiché nella medesima posizione in cui la s diviene h la
regola di mutazione prevede anche che h divenga ch. Così se ad haew,
78
„abitudine‟ si prepone l‟articolo i si dovrebbe ottenere i chaew per denotare
„l‟abitudine‟ – e i vocaboli resteranno ancora distinti.
In ogni caso è ovvio che questi processi costituiscono occasione di grande
confusione, se non si comprende nella sua totalità il sistema di mutazione
sindarin. È fin troppo facile, infatti, immaginare che uno sprovveduto
studioso di sindarin veda la combinazione i haew in un testo e ricercando
quindi haew invece del corretto lemma saew in un dizionario sia indotto a
concluderne, impropriamente, che i haew significhi „l‟abitudine‟ invece di „il
veleno‟ – ove non ricordi che haew è semplicemente la forma che il vocabolo
saew assume in quella particolare posizione. Ne segue che è del tutto
impossibile utilizzare in modo corretto un vocabolario sindarin a meno che
non si sia già compreso nella sua totalità il sistema di mutazione; in alcuni
casi, anzi, il dizionario sarebbe del tutto fuorviante.
Si tenterà ora di descrivere i vari aspetti delle mutazioni consonantiche nei
particolari, tenendo però presente che la maggior parte delle considerazioni
svolte si basa sul lavoro di esperti i quali, a loro volta, non possono garantire
al cento per cento l‟esattezza delle nozioni riportate. Ci sono attestazioni
chiare riguardanti le mutazioni palatali e nasali, ma il resto è stato estrapolato
dagli scritti di Tolkien al fine di ricavarne criteri e regole generali. Nonostante
si tratti di nozioni quasi certe, non è escluso che in futuro pubblicazioni e
studi ulteriori potranno portare ad un‟evoluzione dei concetti sinora
79
formulati.
Mutazione palatale
La mutazione di questo tipo è la meglio accertata e la più frequente tra le
mutazioni del sindarin. Essa occorre quando la sillaba che precede la parola
mutante termina per vocale; nella maggior parte dei casi, ciò avviene quando
l‟articolo i („il‟) precede una parola. In quel caso essa si modifica per
lenizione. Questo fenomeno è l‟indebolimento della articolazione delle
consonanti occlusive, che da sorde diventano sonore. Nell‟evoluzione del
sindarin, molte consonanti mutarono seguendo una vocale: per esempio la c
divenne g e la t divenne d (si confronti il sindarin adar, „padre‟ col primitivo
vocabolo atar, mantenutosi inalterato in quenya). In seguito le particelle –
come preposizioni e articoli immediatamente precedenti un lessema –
divennero così strettamente associate alla parola stesso che l‟intero sintagma
particella+lessema fu percepito come una specie d'unità. Perciò un vocabolo
come tâl, „piede‟, quando ricorreva in un‟espressione come i tâl, „il piede‟, fu
sottoposto alla medesima mutazione che trasformava una parola unica come
atar in adar: poiché c‟è una vocale che precede la t, essa si trasformerà in d - e
mentre tâl rimase come termine per „piede‟ un sintagma come „il piede‟, da
quel momento in poi, è espresso invece da i dâl.
80
La mutazione palatale ha una varietà d'usi. Essa occorre dopo una serie di
particelle, preposizioni e prefissi; l'articolo determinativo i è soltanto una di
tali particelle. Di norma stiamo parlando di particelle che o terminano in una
vocale oppure terminavano in una vocale ad uno stadio iniziale. Una
preposizione come na, „a‟ dà il via alle medesime mutazioni previste nel caso
dell'articolo i, per esempio na venn, „a un uomo‟ (che come lessema semplice
occorre nella forma benn). Nell‟inno ad Elbereth (A Elbereth Gilthoniel)
abbiamo ad esempio il sintagma na-chaered, „a remote distanze‟, in cui haered
„remote distanze, il remoto‟ subisce mutazione palatale e diviene chaered.
Si sa o si deduce con relativa certezza che la mutazione palatale occorre dopo
le seguenti particelle e prefissi:
- il prefisso e preposizione ab „dopo, dietro, che segue, più tardi‟ (in origine
questa preposizione aveva la forma apa, come in quenya);
- la preposizione adel „dietro, sul retro (di)‟ (questa era probabilmente *atele in
antico sindarin);
- la preposizione e prefisso am „su, sopra, oltre‟ (cfr. il quenya amba). La
mutazione palatale è attestata inoltre in composti come ambenn „in salita‟ (am
+ una forma lenita di pend, penn, „declivio‟);
- il prefisso ath-, „su entrambi i lati, dall'altra parte‟ (la forma più antica è
*attha);
81
- il prefisso athra-, „dall'altra parte‟ (cfr. un vocabolo come athrabeth,
„dibattito‟, il secondo elemento essendo una forma lenita di peth „parola‟);
- la preposizione be „secondo‟ (forse anche „come‟, posto che dovrebbe
corrispondere al quenya ve);
- l‟avverbio/prefisso dad, „in basso‟ (cfr. dadbenn, che è dad + una forma lenita
di pend, penn, „declivio‟);
- la preposizione di "sotto, al di sotto"
- il prefisso go-, gwa- "assieme" (con ogni possibilità anche utilizzato come
una preposizione indipendente "con")
- la preposizione na "a, verso di; a; di; con, vicino a"
- la preposizione nu (no) "sotto"
- la preposizione trî "attraverso" ed il corrispondente prefisso tre- l'elemento negativo ú-, u- "non" oppure "senza di", usato come un prefisso,
e.g. ú-chebin *"non ne ho conservata" nel linnod di Gilraen (confrontare
l'immutato hebin "io tengo"). Cfr. anche un vocabolo tale come ubed
"diniego" (u + ped, quest'ultima essendo la radice del verbo "dire", perciò
ubed = "che non dice").
Ecco alcuni esempi di mutazione palatale prodotta dall‟occorrenza di i:
pân "tavola" > i bân "la tavola"
caw "cima" > i gaw "la cima"
82
tâl "piede" > i dâl "il piede"
bess "donna" > i vess "la donna"
daw "buio" > i dhaw "il buio"
gaw "vuoto" > i 'aw "il vuoto"
Nota: la G originariamente volse nella spirante gh, ma tale suono più tardi
scomparve (i ghaw divenne i 'aw). Ad indicare che una g è stata lenita a zero,
si può usare un apostrofo ' come in tale esempio, ma gli scritti di Tolkien sono
incoerenti siu questo punto. Un altro esempio è con Curunír 'Lân per
"Saruman the White", l'apostrofo evidentemente indica che 'Lân (l'aggettivo
"bianco") è glân quando non mutato. Cfr. anche galadh "albero" > i 'aladh
"l'albero". Ma nel Silmarillion abbiamo nomi come Ered Wethrin "monti
ombrosi", wethrin essendo una forma lenita di gwethrin, la forma plurale
dell'aggettivo gwathren "ombroso". Forse una compitazione equivalente di
Ered 'Wethrin dovrebbe effettivamente essere usata in scrittura Tengwar,
Tolkien talvolta dismise l'apostrofo in nomi occorrenti nelle sue narrazioni.
Le seguenti consonanti evidentemente subiscono le medesime mutazioni se
formano parti di gruppi:
blabed "sbattimento di vele" > i vlabed "lo sbattimento di vele"
brôg "orso" > i vrôg "l'orso"
claur "splendore" > i glaur "lo splendore"
83
crist "mannaia" > i grist "la mannaia"
dring "martello" > i dhring "il martello"
gloss "neve" > i 'loss "la neve"
grond "club" > i 'rond "il club"
gwath "ombra" > i 'wath "l'ombra"
prestanneth "affezione" > i brestanneth "l'affezione"
trenarn "racconto" > i drenarn "il racconto"
Le consonanti h, s e m sono lenite in ch, h e v, rispettivamente:
hammad "indumento" > i chammad "l'indumento"
salph "zuppa" > i halph "la zuppa"
mellon "amico" > i vellon "l'amico" (anche ortografato i mhellon)
Bisogna inoltre osservare che b ed m divengono entrambe v quando lenite. In
pochi casi, può sorgere ambiguità. Considerare due aggettivi come bell
"forte" e mell "caro"; soltanto il contesto può decidere se i vess vell significhi
"la forte donna" oppure "la cara donna". (In sindarin, un aggettivo
normalmente segue il sostantivo che descrive, ed in tale posizione, l'aggettivo
è lenito.)
Le spiranti afone f, th, le nasali n e le liquide r, l non sono influenzate dalla
mutazione palatale: fend "soglia" > i fend "la soglia", thond "radice" > i
84
thond
"la
radice",
nath
"tela"
>
i
nath
"la
tela",
rem "rete" > i rem "la rete", lam "lingua" > i lam "la lingua"
Riassumendo, ecco i principali criteri della mutazione palatale:
P>B
T>D
C>G
B>V
D > DH
G > Scompare (graficamente sostituita con un accento)
Mutazione nasale
La mutazione nasale s‟innesca a seguito dell‟articolo determinativo plurale in
(i), oppure dopo la preposizione an (per) e per finire dopo dan (contro). In
antico sindarin, p, t, k (c) che seguono una n divengono aspirate, volgendo in
un aspirato ph, th, kh. Confrontare un termine antico sindarin come thintha"svanire", che indubbiamente rappresenta pure l'antico *thintâ- con la comune
desinenza verbale -tâ. Perciò abbiamo anche in tîw > i thîw (th qui essendo
l'aspirata t piuttosto che una spirante þ). Posteriormente, le aspirate volsero in
spiranti e la precedente nasale fu assimilata ad esse, in effetti scomparendo
(in þîw > iþ þîw, i þîw).
85
Le mutazioni nasali delle occlusive afone p, t, c sono pertanto ph, th, ch. I
gruppi iniziali cl, cr, tr, pr probabilmente si comportano nella medesima
maniera delle semplici occlusive quando la mutazione nasale è debita (così se
combiniamo vocaboli come claur "splendore", crûm "mano sinistra", trenarn
"conto", prestanneth "affezione" con la preposizione an "a, per", potremmo
vedere a chlaur, a chrûm, a threnarn, a phrestanneth).
Mutazione mista
In alcuni casi avviene una mutazione che non è riconducibile a criteri ben
definiti e non è innescata da particolari vocali o consonanti. Tra gli scritti di
Tolkien, inoltre, si ritrovano tracce di questo tipo di mutazione ma ad essa
non fu dato alcun nome. Ci si riferirà quindi ad essa come “mutazione
mista”. È difficile risalire ai criteri che la regolano, e quindi stabilire delle
regole generali del suo impiego. A proposito delle origini, si pensa che queste
contraddittorie modifiche siano derivate dalle mutazioni velare e nasale che
col tempo hanno apportato eccezioni ed irregolarità.
I meglio attestati effetti della mutazione mista possono essere inferiti da
pochi esempi, e ce ne vorrebbero numerosi per tracciare delle linee guida. Per
il momento, ecco esposti alcuni criteri (che verranno poi schematizzati nella
tabella finale per una migliore comprensione). Le esplosive sorde p, t, c sono
sonorizzate in b, d, g (pân "asse", caw "sommità", tâl "piede" > e-bân
86
"dell'asse", e-gaw "della sommità", e-dâl "del piede", e parimenti erin bân,
erin gaw, erin dâl per "sull'asse/sommità/piede"). Le esplosive sonore b, d, g
sono invariate (benn "uomo", daw "buio", gass "buco" > e-benn "dell'uomo",
e-daw "del buio", e-gass "del buco", e parimenti erin benn "sull'uomo" etc.) È
a malapena necessario far rilevare che vi è qualche opportunità di confusione
qui, dacché la distinzione fonemica tra esplosive sorde e sonore è
neutralizzata in tale posizione. Soltanto il contesto può dirci se, diciamo, egost significa "dell'alterco [cost]" oppure "dello spavento [gost]".
Mutazione occlusiva
A proposito di questa mutazione, essa non è stata interamente accertata,
nonostante esista un discreto numero di occorrenze tra gli scritti di Tolkien.
Alcune informazioni scritte direttamente da Tolkien prima nel 1917 e negli
scritti postumi espongono le seguenti considerazioni: "Come le mutazioni
seguenti la preposizione o ['da, di'] mostrano, essa doveva preistoricamente
terminare in -t oppure -d”. Tolkien fa anche presente che spesso prima di un
sostantivo iniziante per vocale le preposizioni gli articoli che lo precedono
aggiungono una consonante occlusiva
(ad esempio ed Annûn "fuori
da[ll']Ovest"). Ma prima delle consonanti, ed appare come e, ma la
consonante che segue dovrebbe spesso mutare. Se possiamo fidarci della
nostra comprensione dell'evoluzione fonologica del sindarin, le occlusive
87
afone t-, p-, c- dovrebbero volgere nelle spiranti th-, ph-, ch- (i gruppi tr-, pr-,
cl-, cr- parimenti divengono thr-, phr-, chl-, chr-):
pân "tavola" > e phân "fuori da una tavola"
caw "vetta" > e chaw "fuori da una vetta"
taur "foresta" > e thaur "fuori da una foresta"
claur "splendore" > e chlaur "fuori da uno splendore"
criss "crepaccio" > e chriss "fuori da un crepaccio"
prestanneth "affezione" > e phrestanneth "fuori da un'affezione"
trenarn "racconto" > e threnarn "fuori da un racconto"
D'altra parte, le occlusive sonore b-, d-, g- (che ricorre da sola o nei gruppi bl, br-, dr-, gl-, gr-, gw-) non dovrebbero subire cambiamenti: confrontare o
galadhremmin ennorath "dai paesaggi intessuti di alberi della Terra di
Mezzo" nell'inno a Elbereth; il vocabolo galadh "albero" è invariato.
barad "torre" > e barad "fuori da una torre"
daw "buio" > e daw "fuori dal buio"
gass "foro" > e gass "fuori da un foro"
bronwe "tolleranza" > e bronwe "fuori tolleranza"
blabed "sbattimento di vele" > e blabed "fuori da uno sbattimento di vele"
88
dring "martello" > e dring "fuori da un martello"
gloss "neve" > e gloss "fuori dalla neve"
groth "cava" > e groth "fuori da una cava"
gwath "ombra" > e gwath "fuori da un'ombra"
Allo stesso modo, h- e hw- possono divenire ch- e w-, rispettivamente:
haust "letto" > e chaust "fuori da un letto"
hwest "brezza" > e west "fuori da una brezza"
Mutazione liquida
La mutazione liquida non è attestata ufficialmente. Tolkien non ne fa
menzione nelle Etimologie e nei suoi scritti. Tuttavia, la sua esistenza è stata
inferita grazie a ricostruzioni postume e, nonostante l‟inesistenza di una
regola ufficiale, le informazioni a nostra disposizione ne dimostrano
l‟esistenza pur se non codificata.
Sappiamo che seguendo le liquide l, r, il sindarin a un certo punto modificò le
esplosive in spiranti; confrontare il telerin alpa "cigno" col Sindarin alph,
oppure il quenya urco "Orco" col Sindarin orch. Ciò non accade solamente in
vocaboli unitari. Il prefisso or- "sopra", chiaramente separabile, è visto
causare una simile modifica nel verbo ortheri "padrone, conquistatore",
89
letteralmente *sopra-potere (ove la radice è data come TUR "potere,
controllo"). Non vi è motivo di dubitare che or, anche quando appaia come
un'indipendente preposizione "su, sopra", dovrebbe innescare simili
modifiche nel vocabolo che segue: le occlusive divengono spiranti.
pân "tavola" > or phân "sopra una tavola"
caw "vetta" > or chaw "sopra una vetta"
tâl "piede" > or thâl "sopra un piede"
benn "uomo" > or venn "sopra un uomo"
doron "quercia" > or dhoron "sopra una quercia"
Non fa differenza se l'occlusiva iniziale occorra da sé o come parte di un
gruppo; essa dovrebbe ancora volgere in una spirante sotto l'influenza della
mutazione liquida, secondo i seguenti criteri:
tr- > thrpr- > phr
cl- > chlcr- > chrdr- > dhrbl- > vl90
br- > vrgl- > 'l
gr- > 'r
gw- > 'w
La m, come la b, dovrebbe probabilmente volgere in v quando soggetta a
mutazione liquida. Tale modifica è vista in vocaboli unitari; ad esempio il
primitivo *gormê (quenya ormë) "premura" che fornisce il Sindarin gorf.
Perciò: mîr "gioiello" > or vîr "sopra un gioiello" (arcaico or mhîr, ove mh = v
nasalizzata).
H- e hw- sono probabilmente potenziate in ch-, chw-, sotto l'influenza della
mutazione liquida:
habad "riva" > or chabad "sopra una riva"
hwand "fungo" > or chwand "sopra un fungo"
Per la modifica h > ch, confrontare un vocabolo come hall "alto" che diviene chal quando or- è prefisso a produrre un vocabolo per "superiore, elevato,
eminente" - orchal che letteralmente significa sopra-alto, super-alto.
Le liquide sorde lh, rh possono divenire 'l, 'r, come presumemmo essere il caso
della mutazione nasale e mista:
91
lhûg "dragone" > or 'lûg "sopra un dragone"
Rhûn "Est" > or 'Rûn "sopra (l')Est”
Le liquide sonore r, l non dovrebbero essere affette dalla mutazione liquida:
rem "rete" > or rem "sopra una rete"
lam "lingua" > or lam "sopra una lingua"
Le spiranti sorde f, th, la nasale n e la sibilante s non dovrebbero essere
affette, nondimeno:
fend "soglia" > or fend "sopra una soglia"
thond "radice" > or thond "sopra una radice"
nath "tela" > or nath "sopra una tela"
sirith "torrente" > or sirith "sopra un torrente"
Tabella riassuntiva delle mutazioni consonantiche
Presentiamo di seguito una tabella riassuntiva delle mutazioni consonantiche
del sindarin. A proposito della colonna riguardante la voce della mutazione
nasale, essa può essere introdotta da due tipi di particelle e per questo
verranno presentate entrambe a sinistra della colonna stessa.
A sinistra, alla colonna corrispondente alla voce “Base” si trovano le
consonanti che subiscono mutazione.
92
Base
Palatale
Nasale
Mista
Occlusiva
Liquida
b...
i v...
i / am m...
e-b...
e b...
or v...
bl...
i vl...
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93
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Tr...
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III- E: Il sistema verbale
Al pari di quanto accade con altri aspetti del sindarin, anche a proposito del
sistema verbale non si hanno certezze assolute. Le note di Tolkien risalenti
alle Etimologie si limitano infatti a citare specifici verbi all‟infinito, fornendo
alcuni elementi di coniugazione per ciascuno di essi. Di contro, i suoi appunti
erano densissimi di note grammaticali e ipotesi; ne segue che il materiale a
disposizione è ricco e molteplice. A partire dalle note, alcuni studiosi sono
riusciti a estrapolare delle regole generali per l‟identificazione delle
coniugazioni e dei paradigmi verbali. Il punto è che le attestazioni sono
poche, ed i testi ufficiali recano soltanto scarsi esempi di come un verbo possa
essere declinato e come si modifica a seconda del contesto.
94
Ad ogni modo le considerazioni seguenti sono consolidate, e si rivelano
frutto di un‟accurata disamina che permette di tracciare alcune linee-guida
abbastanza certe. Ovviamente rimane la possibilità che in futuro qualcosa si
modifichi a seguito di ulteriori scoperte postume, ma si può comunque star
certi che le informazioni riportate sono fedeli agli originali appunti di
Tolkien.
Il sistema verbale si fonda principalmente sull‟opposizione tra verbi
elementari (o semplici) e derivati. La prima categoria è meno numerosa, e
comprende quei verbi che hanno una forma radicale invariabile. I secondi,
molto più numerosi, sono provvisti di una radice base che viene modificata
da suffissi in base alla persona da esprimere.
Verbi primari
La coniugazione dei verbi derivati (che hanno radice in A) sembra essere
decisamente elementare, posto che come si è detto prevede per la maggior
parte la semplice occorrenza di una serie di suffissi. Evidenze indirette
sembrano lasciare intendere che Tolkien abbia denominato tale classe “verbi
deboli”.
L‟infinito è formato con la desinenza -o (solitamente la desinenza è affissa ad
una forma ridotta della radice, priva della a tematica):
95
bronio (tollerare)
dagro (muovere guerra)
esto (chiamare, nominare)
ertho (unire)
lacho (fiammeggiare)
linno (cantare)
harno (ferire)
Il tempo presente (terza persona singolare, considerata la forma base) è
identico alla radice in A (dunque è espresso morfologicamente da un suffisso
):
bronia „tollera‟
dagra „muove guerra‟
ertha „unisce‟
esta „nomina‟
lacha „fiammeggia‟
linna „canta‟
harna „ferisce‟.
Le desinenze di plurale o pronominali menzionate nei paragrafi precedenti
sono affisse a tale forma: broniar „(essi) tollerano‟, broniam „noi tolleriamo‟. Si
96
osservi che la desinenza -n del pronome „io‟ fa sì che la vocale radicale finale
-a si trasformi in -o: perciò bronion „io tollero‟, dagron „io muovo guerra‟.
Il tempo passato (sempre in relazione alla terza persona singolare) di questa
classe di verbi è nella maggior parte dei casi formato col suffisso -nt:
broniant „tollerò‟
dagrant „mosse guerra‟
estant „chiamò, nominò‟
erthant „unì‟
lachant „fiammeggiò‟
linnant „cantò‟
harnant „ferì‟.
Come nel caso del tempo presente, è possibile aggiungere desinenze di
plurale o pronominali. Se, così, il suffisso -nt diviene -nne- prima della
desinenza per formare la terza persona plurale avremo:
broniant „tollerò‟ > bronianner „essi tollerarono‟ (anche plurale, e.g. in Edhil
bronianner, „gli Elfi tollerarono‟), broniannen „io tollerai‟, broniannem „noi
tollerammo‟.
Per „(essi) cantarono‟ dovremmo aspettarci linnanner (dacché „cantò‟ è
linnant), ma ogni volta che ci si attende una „doppia sequenza nn‟ il verbo è
probabilmente contratto: perciò „(essi) cantarono‟ può semplicemente essere
linner.
97
Il tempo futuro è formato mediante l'aggiunta del suffisso -tha alla radice:
broniatha, „tollererà‟
dagratha, „muoverà guerra‟
estatha, „chiamerà, nominerà‟
erthatha, „unirà‟
lachatha, „fiammeggerà‟
linnatha, „canterà‟
harnatha, „ferirà‟.
Anche in questo caso è possibile aggiungere desinenze di plurale o
pronominali, seguendo le medesime regole del tempo presente. Come al
presente, la desinenza -n per „io‟ modifica la vocale tematica finale -a
trasformandola in -o: broniathon, „io tollererò‟ (linnathon per „io canterò‟ è
effettivamente attestato nel Signore degli Anelli). In tutti gli altri casi, la
desinenza finale -a resta invariata: broniatham, „noi tollereremo‟, linnathar,
„essi canteranno‟.
L'imperativo è formato con la desinenza -o, che prende il posto della vocale
tematica finale -a. In tale classe di verbi, di conseguenza, l‟imperativo è
identico all'infinito. L'imperativo in -o resta invariato per tutte le persone
verbali, non importa se l‟ordine sia diretto a una persona oppure a diverse
persone.
98
Il participio presente è un aggettivo derivato da un verbo, e descrive la
condizione di un soggetto che compie l‟azione denotata dal verbo (se voi
cantate, voi siete cantanti; pertanto, cantante è il participio del verbo „cantare‟).
In sindarin il participio presente dei verbi derivati è formato per mezzo della
desinenza -ol, che rimpiazza la finale -a della radice verbale:
broniol, „tollerante‟
glabro, „balbettante‟
erto, „unente‟
lachol, „fiammante‟
linnol, „cantante‟
harnol, „ferente‟
In sindarin esiste anche il participio passato; si tratta di un aggettivo che
descrive la condizione di qualcosa o qualcuno che è (oppure è stato) esposto
all‟azione del corrispondente verbo: se qualcuno vi vede, voi siete visti; visto è
pertanto il participio passivo del verbo vedere. In inglese seen è effettivamente
un participio passato irregolare; nella maggior parte dei casi infatti l‟inglese
forma i suoi participi passivi per mezzo della desinenza -ed (killed da kill). il
sindarin di solito forma i propri participi passati mediante la desinenza
aggettivale -en aggiunta al passato (di terza persona singolare, ossia la forma
99
semplice). Dato che i verbi derivati formano i loro tempi passati in -nt, i
corrispondenti participi passivi terminano in -nnen che rappresenta -nten (la
morfofonologia sindarin esige che il gruppo nt divenga nn tra due vocali):
gosta- „temere estremamente‟ > gostannen „temuto, paventato‟
egleria- „glorificare, encomiare‟ > egleriannen „glorificato‟
eitha- „insultare‟ > eithannen „insultato‟
esta- „chiamare, nominare‟ > estannen „chiamato, nominato‟
ertha- „unire‟ > erthannen „unito‟
gruitha- „terrorizzare‟ > gruithannen „terrorizzato‟
harna- „ferire‟ > harnannen „ferito‟
maetha- „combattere‟ > maethannen „combattuto‟
baugla- „opprimere‟ > bauglannen „oppresso‟
Come participio passato di linna- „cantare‟ potremmo aspettarci linnannen
(„cantato‟); ma, come in altri casi nei quali la „doppia sequenza nn‟ dovrebbe
occorrere, la forma probabilmente è semplicemente contratta: linnen. In base a
queste marche formali, i participi passati coincidono col passato di prima
persona: gostannen potrebbe anche denotare „io temetti‟, egleriannen è anche
„io glorificai‟ etc. Sarà il contesto a decidere come intende la forma verbale.
Come si vede, a seguito di questa limitata disamina fatta sui verbi primari
sono presenti numerose omofonie e alcune forme verbali corrispondono ad
100
altre. Soltanto chi è pienamente addentro alla morfologia e alla fonologia
sindarin è in grado di orientarsi tra queste omofonie senza fare confusione.
101
Conclusione
Come esaminato, il linguaggio sindarin è il risultato dell‟inventiva di un
autore, che ha messo in piedi un insieme complesso di regole linguistiche e di
storia di un popolo immaginario. Come si ricorda, la creazione dei linguaggi
è il cuore di tutta l‟opera di Tolkien, ed attorno ai linguaggi gravitano i più
importanti espedienti letterari di questo autore.
In realtà, Tolkien non concepì i suoi linguaggi allo scopo di essere parlati. La
sua fu un‟elucubrazione letteraria, un divertissement linguistico, e anche una
sfida con sé stesso. La sua meta non consisté nel fare in modo che i suoi
linguaggi fossero parlati da un gran numero di persone, ma che essi fossero
plausibili. I linguaggi da lui creati, benché imprecisi e costantemente in
revisione, risultano tuttora verosimili anche ad un orecchio attento ed
esperto; questo perché il Professore, molto competente in materia, si applicò
interamente nella loro realizzazione. Ma potrebbe sorgere qualche dubbio se
si dovesse interamente parlare in sindarin.
Uno dei punti nodali nel discorso delle lingue artificiali del tipo artistico è
proprio questo: quanto queste lingue sono effettivamente parlabili? Questa
domanda ricorre dalla fine dell‟Ottocento, ovvero il periodo in cui iniziò a
diffondersi la tendenza a sviluppare lingue artificiali. Proprio negli ultimi
decenni del secolo si verificò un‟impennata da questo punto di vista: medici,
102
letterati, scrittori professionisti, uomini religiosi, una compagine eterogenea
che senza preventivo accordo da varie parti del mondo iniziò a sviluppare
linguaggi artificiali.
Fu proprio il 1880 l‟anno di consacrazione di due
linguaggi artificiali che senza dubbio possono essere considerati tutt‟ora i più
diffusi: l‟Esperanto e il
Volapük. Entrambi linguaggi artificiali ausiliari,
entrambi creati integralmente da una singola persona. L‟esperanto fu creato
dal un medico polacco, il dottor Ludwik Lejzer Zamenhof; la creazione
avvenne dal 1875 al 1890 circa. L‟Esperanto si propose come lingua franca
internazionale, con un intento altamente neutrale: sarebbe dovuto diventare
super partes, ovvero una lingua veicolare comune alla maggior parte dei
popoli che avrebbero potuto usarlo per i loro scambi e le comunicazioni a
qualsiasi livello. L‟intento profondo di Zamenhof, nobile e apolitico, era
quello di permettere delle comunicazioni efficaci senza cedere il “predominio
culturale” ad alcun linguaggio, e di conseguenza ad alcuna nazione. La
sudditanza culturale nei confronti dei paesi anglofoni, francofoni eccetera
sarebbe terminata, proprio in quegli anni in cui queste lingue erano in fase di
grande diffusione. Nonostante il progetto non si sia realizzato appieno,
l‟Esperanto è di gran lunga la lingua artificiale di maggior fama esistente, e
conta all‟attivo oltre un milione di persone in grado di parlarla come seconda
lingua, e circa mille che la parlano come prima lingua. La sua diffusione è
estesa in oltre 120 paesi del mondo, soprattutto in Europa, Cina e Brasile.
103
Seppur esso non si sia rivelato l‟assoluta realizzazione dei progetti di
Zamenhof, la diffusione di questa lingua ed il costante interesse che essa
suscita possono essere considerati un successo. Attualmente il fenomeno è in
crescita, soprattutto grazie alla rete che permette di diffondere testi in
Esperanto e file multimediali che ne semplificano la diffusione. L‟aspetto
certamente più geniale di questa lingua è la semplicità delle sue strutture, che
ne permettono l‟apprendimento in tempi anche tre volte più rapidi rispetto
ad una lingua nazionale. A proposito del Volapük, invece, esso fu creato dal
sacerdote cattolico tedesco Johann Martin Schleyer. Per lui, la creazione di
lingue faceva parte di un segno divino, dato che questi sostenne che fu
proprio Dio ad affidargli l‟incarico. Sul finire del XIX secolo, il Volapük
incontrò molto successo in numerosi circoli culturali tedeschi. Alcuni giornali
locali venivano redatti in tale lingua e col tempo si tenne anche il primo
congresso interamente in Volapük. Le strutture grammaticali di tale lingua
sono attinte dalle maggiori lingue europee, prima di tutte tedesco, inglese e
francese. Il sistema linguistico è di tipo agglutinante, e presenta talvolta
strutture verbali elaborate. Fu proprio a causa di questa complessità che
all‟inizio del Novecento l‟Esperanto scavalcò il Volapük per affermarsi
definitivamente al disopra di questo.
Possiamo dividere le lingue artificiali in tre grandi categorie. Le lingue
artificiali ausiliari, ovvero quelle che si propongono di essere lingue franche
104
internazionali. Ad esse si affiancano le lingue del tipo artistico, ovvero quelle
creati per il semplice diletto e non ai fini di un utilizzo come lingua veicolare
umana. Si può aggiungere un terzo tipo di lingue artificiali, ovvero le lingue
artificiali logiche, create ai fini di impiego in filosofia, matematica, lingua
sperimentale o altro, spesso composte da codici e sistemi di segni piuttosto
che dai normali sintagmi. I linguaggi di Tolkien rientrano naturalmente nella
seconda categoria. Queste categorie di lingue artificiali presentano a loro
volta una sotto-classificazione: le lingue a priori e a posteriori. Le prime sono
interamente inventate, e non tengono conto dei sistemi linguistici tipici delle
lingue terrestri. Le parole non hanno alcun rapporto con quelle di qualsiasi
lingua se non per una pura coincidenza, e non è possibile tracciare paralleli
tra un idioma terrestre e quello di una lingua artificiale a priori. Quelle a
posteriori partono invece da idiomi preesistenti al fine di creare una nuova
lingua che ricorda, come sonorità, struttura grammaticale, accenti o altro, un
sistema linguistico già esistente. Un linguaggio di questo genere spesso
attinge alla lingua madre del suo creatore, e possiede delle caratteristiche
fortemente
connesse
a
ciò
che
questi
conosce.
A
proposito
di
quest‟argomento, aprirei una parentesi per parlare del sindarin. Questo
linguaggio, come abbiamo stabilito, appartiene ai linguaggi artificiali artistici;
rientra inoltre nella categoria a posteriori. Come è stato disaminato durante il
percorso, il sindarin ha numerose connessioni col gallese, per non dire che è
105
stato ispirato direttamente ad esso. Nel sindarin si ritrovano echi delle lingue
più studiate dal Professore, come l‟anglosassone e l‟islandese. Inoltre, questa
lingua presenta anche delle connessioni dirette: ad esempio, la parola per
“ramo” in sindarin è “branch”, come in inglese. Per queste considerazioni si
può concludere che questa lingua artificiale rientra certamente nella sottoclassificazione a posteriori. Riguardo quest‟argomento, c‟è una ulteriore
dimostrazione che consacra la veridicità di quest‟assunto ma che nel
contempo lancia anche un‟ombra di dubbio sui criteri impiegati dal
Professore per creare i suoi linguaggi. Pare che la lingua sindarin, e anche le
altre creati da Tolkien, presentasse delle incomprensioni ed eccezioni similari
ai linguaggi terrestri. Ad esempio, in sindarin il dittongo –au in fine di parola
viene trascritto –aw. Che bisogno c‟era di tale precisazione? Molte lingue di
Tolkien hanno eccezioni apparentemente incomprensibili. Si sa bene che
quella che si chiama “eccezione” in una lingua reale è la non-coincidenza di
determinate forme verbali, congiunzioni, o altri parametri, con una tale
regola definita. Qual è la necessità di includere delle eccezioni in una lingua
artificiale? Un idioma di questo genere, pianificato a tavolino, dovrebbe essere
integralmente scevro da questo genere di “errore” per il semplice motivo che
non esistono le condizioni tali che portano a creare un‟eccezione. A questo
punto abbiamo due spiegazioni possibili. La prima considera che le eccezioni
dei linguaggi artificiali artistici di Tolkien non siano desiderate dall‟autore. A
106
causa delle continue revisioni, adattamenti, mutazioni subite dalle lingue, le
nuove regole hanno soppiantato le vecchie creando delle irregolarità. La
seconda spiegazione considera che Tolkien avesse scelto deliberatamente di
includere le eccezioni nel suo corpus linguistico. La ragione per la quale
avrebbe fatto ciò sarebbe da attribuire ad un tentativo di estrema credibilità
che avrebbe voluto infondere alle sue creazioni linguistiche. In questo modo,
le sue lingue artificiali, sarebbero risultate incredibilmente reali.
Ci si ritrova dunque alla domanda iniziale: il sindarin potrebbe essere
utilizzato efficacemente per una comunicazione quotidiana? Alla domanda è
necessario rispondere in più fasi. Innanzi tutto, per pensare ad una
comunicazione quotidiana, sarebbe necessario avere a disposizione un
maggior numero di parole in lingua sindarin. Nonostante i dizionari contino
migliaia e migliaia di voci, esse sarebbero ugualmente insufficienti per una
comunicazione fluida. Quindi, è necessario chiarirsi che ci si interroga se il
sindarin potrebbe essere parlato quotidianamente ipotizzando di avere a
disposizione una quantità di vocaboli più che doppia rispetto a quelli di base
forniti da Tolkien. Ipotizzo ciò poiché credo che il discorso, più che una
faccenda di vocaboli, sia legato alle strutture grammaticali di questa lingua.
Come visto nel corso del lavoro, il sindarin presenta un sistema verbale molto
ben strutturato, praticamente autonomo. La formazione dei plurali è vasta e
ricca, ma presenta numerose eccezioni, cosa che potrebbe confondere non
107
poco il parlante. La struttura delle frasi è invece un tasto dolente, poiché
nonostante esistano strutture base di riferimento spesso nelle fonti di Tolkien
si ritrovano numerose espressioni che fanno eccezioni alla regola generale,
ancora di più che con i plurali. Questa considerazione vale purtroppo per
numerosi aspetti del sindarin. Come esaminato in precedenza, che ciò sia
frutto di una scelta consapevole dell‟autore è ancora da definirsi. Per
concludere, sarebbe errato dire che una comunicazione quotidiana in
sindarin, pur escludendo numerose parole complesse, sarebbe efficace.
Ciononostante, la creazione artistica di Tolkien esula dall‟effettiva possibilità
di parlare queste lingue: esse devono essere considerati arte, e non mezzo di
espressione quotidiana. Rimane il merito al Professore di aver creato lingue
di tale livello di dettaglio che danno l’impressione di poter essere parlate, e
quindi presentare una complessità e completezza notevoli. Ma l‟insieme di
quanto scritto da Tolkien dovrebbe essere esaminato nel suo complesso:
l‟aspetto linguistico, l‟aspetto letterario e l‟aspetto mitico si sono fusi insieme.
Hanno dato vita ad opere mai tentate fino a quel momento e che oggi sono
diventate un vero e proprio filone portato avanti da sedicenti epigoni.
L‟insieme di questi aspetti oggi è ricorrente nella fantasy ma, nonostante la
copiosità di opere in continua uscita, nessuno è riuscito a raggiungere i livelli
narrativi che solo Tolkien riuscì a concretare.
108
Abstract
Tolkien‟s myths are surely the most popular of the XX century. His
characters,
his tales, the mixture of culture, language and traditions
generated by his fantasy, created a world that has taken on a life of its own.
One of the most interesting aspects of his production was specifically the
realisation of his artificial tongues, used by the inhabitants of the planet Arda.
As time passed, the development of the linguistic structures increased, as did
the relevancy that they acquired in his literary production. The role of
language became even more important when Tolkien realised that the
tongues were one of the central interests of his readers. Moreover, their
relevancy, in certain cases, was superior to the actual plot of his novels.
Upon Tolkien‟s death, it became evident that his work concerning linguistic
structures of his tongues was not ultimate: in many cases, they needed a reevaluation and updating. For that reason, some professors began to work on
each idiom to enhance the vocabulary and codifying the structures. Other
professors distanced themselves from that approach, declaring that the death
of the author implicated the end of his tongues‟ development.
109
Tolkien developed principally two idioms, each one corresponding to a kind
of elfish people: Quenya and Sindarin. This work principally considers
Sindarin. It was one of the most important idioms, for two reasons. First,
elves that speak Sindarin have a major influence on mythology. Second,
Sindarin‟s structure is more complex in comparison to its counterpart,
Quenya.
In this work, Sindarin will be thoroughly examined as a typical
representation of Tolkien‟s linguistic bent, highlighting its differences with
Quenya and the other idioms.
110
Note e riferimenti
1: Tolkien C, De Turris G. (a cura di), 2003, Il Medioevo e il Fantastico, Bompiani Editore, Milano
2: Shippey T.A, 2003, The Road to Middle-Earth, Houghton Mifflin Company, Boston
3: Carpenter H., 1995, J. R. R. Tolkien: A Biography, HarperCollins Publisher, London
4: Del Corso L., Pecere P., 2003, L’anello che non tiene, Minimum Fax, Roma, pagg. 112-113
5: Tolkien C, De Turris G. (a cura di), 2003, Il Medioevo e il Fantastico, Bompiani Editore, Milano
6: Fauskanger H.,Il vizio non troppo segreto di Tolkien, http://move.to/ardalambion
7: Ibidem.
8: Tolkien C, De Turris G. (a cura di), 2003, Il Medioevo e il Fantastico, Bompiani Editore, Milano,
pagg. 218-19
9: Ibidem.
10: Ibidem, pag. 310
11: Tolkien C, Carpenter H. (a cura di), 2001, La Realtà in Trasparenza. Lettere, Bompiani Editore,
Milano, Lettere, pagg. 219-220
12: Brown K., 2005, Encyclopedia of language and linguistics, Elsevier, Londra, pagg. 547-548
13: Tolkien J. R. R., 2002, Il Silmarillion, Bompiani Editore, Milano
111
Bibliografia
Opere di riferimento generale
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Berruto, G, 2006, Corso elementare di linguistica generale, UTET Università, Torino
Serianni L., 1988, Italiano: grammatica, sintassi, dubbi, Garzanti, Torino
Gianpaolo Dossena, Dizionario delle lingue inventate, Zanichelli
Opere di Tolkien
1992, Lo Hobbit, o la Riconquista del Tesoro, Adelphi Edizioni, Milano
1994, Il Signore degli Anelli, Rusconi Editore, Milano
2002, Il Silmarillion, Bompiani Editore, Milano
Tolkien C, Carpenter H. (a cura di), 2001, La Realtà in Trasparenza. Lettere, Bompiani
Editore, Milano
Tolkien C, De Turris G. (a cura di), 2003, Il Medioevo e il Fantastico, Bompiani Editore,
Milano
Tolkien C. (a cura di), 1998, Racconti Incompiuti di Nùmenor e della Terra-di-Mezzo,
Rusconi Editore, Milano
Tolkien C. (a cura di), 1998, Racconti Ritrovati, Rusconi Editore, Milano
Tolkien C. (a cura di), 1998, Racconti Perduti, Rusconi Editore, Milano
Opere su Tolkien
Carpenter H., 1995, J. R. R. Tolkien: A Biography, HarperCollins Publisher, London
Castriota M. A., 2006, J. R. R. Tolkien, filologo e poeta tra antichità e „900, Editrice l‟Arco e
la Corte, Bari
De Turris G., 2007, “Albero” di Tolkien, Bompiani editore, Milano
Del Corso L., Pecere P., 2003, L‟anello che non tiene, Minimum Fax, Roma
112
Giuliano S., 2001, Le radici non gelano. Il conflitto fra tradizione e modernità in Tolkien,
Edizioni Ripostes, Salerno
Killer U. (a cura di), 2000, Antologia di J. R. R. Tolkien, Bompiani Editore, Milano
Monda A, Simonelli S., 2002, Tolkien. Il signore della fantasia, Edizioni Frassinelli, Milano
Shippey T.A, 2003, The Road to Middle-Earth, Houghton Mifflin Company, Boston
Società Tolkeniana Italiana, 1999, Dizionario del mondo fantastico, Rusconi Editore,
Milano
Sitografia
http://www.tolkiensociety.org
Sito della Società Tolkieniana inglese.
http://www.tolkien.it
Sito della Società Tolkieniana italiana.
http://move.to/ardalambion
Sito italiano che offre un compendio delle lingue di Tolkien.
http://www.elvish.org/gwaith
Sito inglese che approfondisce i linguaggi elfici.
http://www.geocities.com/almacq.geo/sindar/index.html
Sito inglese che si occupa di fantastico in generale, e che fa riferimento anche a Tolkien e alle sue
lingue artificiali.
http://www.imladris.immaginario.net
Sito italiano che tratta dei miti di Tolkien.
http://www.tolkienlibrary.htm
Sito inglese che offe un compendio di saggi e testi riguardanti il mondo di Tolkien.
http://www.pourtolkien.free.fr/accueil.html
Sito francese che si occupa della produzione letteraria di Tolkien.
http://www.forodrim.org/daeron/md_home.html
Gilda svedese dei linguaggi di Tolkien.
http://tolklang.quettar.org/pronmid/pronguide.html
Guida di pronuncia delle lingue elfiche.
http://www.geocities.com/Athens/Parthenon/9902/langinfo.html
113
Portale che permette di orientarsi tra i siti italiani che riguardano Tolkien e la sua produzione
letteraria.
http://www.acondia.com/fonts/index.html
Sito che permette di ottenere le tengwar, ovvero i caratteri della scrittura di alcune lingue
tolkieniane.
114
Indice
Status Questionis ………………………………………………………………………..
3
Introduzione 1: Il fenomeno Tolkien ………………………………………………….
7
Introduzione 2: Storia di Arda e delle lingue elfiche ………………………………..
19
Parte I: Tolkien e l‟invenzione delle lingue …………………………………………..
28
Parte II: Le lingue elfiche ………………………………………………………………. 46
Parte III: Analisi del sindarin ………………………………………………………….. 62
Conclusione ……………………………………………………………………………... 102
Abstract ………………………………………………………………………………….. 109
Note e riferimenti ……………………………………………………………………….
111
Bibliografia e sitografia ………………………………………………………………… 112
115