Art Nouveau e architettura

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Art Nouveau e architettura
Parte terza
Art Nouveau e architettura
Fig. 52 La Tour Eiffel, Esposizione universale del 1889
1. Prospettive francesi di fine Ottocento
“La vita dei fiori nello Jugendstil: un arco si tende dalle fleurs du mal,
passando per le anime floreali di Odilon Redon fino alle orchidee che
Proust intesse nell’erotismo del suo Swann.”
W. Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo.
Le esperienze culturali, artistiche e architettoniche che si erano sviluppate in Europa tra la
fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento – almeno così come si erano incarnate in alcune
significative figure di storici, intellettuali, di artisti, scrittori e architetti – hanno rivalutato il mondo
medievale, recuperandone elementi: il Gotico viene ora visto sotto una nuova luce che può offrire
nuove suggestioni e aprire nuove prospettive. Scrittori come René de Chateaubriand (Il genio del
Cristianesimo, 1802), Victor Hugo (Notre Dame di Parigi, 1832), erano affascinati da quel periodo:
il pensiero religioso che metteva al centro Dio Padre e Gesù suo Figlio incarnato sembrava
contenere ancora un nucleo indissolubile di Verità; la cattedrale gotica assurgeva a simbolo del
Medioevo: Proust e Debussy se ne ricorderanno molti anni dopo1.
In architettura, attingendo all’estetica del “sublime” e del “pittoresco”, si possono
riscontrare analoghe tendenze nella costruzione delle folies, vale a dire di false rovine, collocate in
senso decorativo all’interno dei giardini o nelle scenografiche residenze di campagna. I danni che
aveva provocato la Rivoluzione francese al patrimonio artistico e architettonico erano stati ingenti:
castelli, palazzi nobiliari rappresentavano agli occhi dei rivoluzionari i simboli del potere tirannico
della monarchia che doveva essere distrutto. Ma anche alcuni edifici religiosi furono, in questa
ottica, demoliti: così furono abbattute l’abbazia di Cluny, la cattedrale di Cambray, la SainteChapelle di Dijon. Con la caduta di Napoleone Bonaparte e il ritorno della monarchia degli Orléans
si avvertì l’esigenza di ripristinare, con un gesto simbolico di segno opposto, le antiche glorie e i
monumenti che la cecità artistica e l’odio rivoluzionario avevano abbattuto. Castelli e chiese che
erano stati maggiormente oggetto della furia distruttiva, opere realizzate tra il XII e il XV secolo,
furono oggetto di attenzione e di recupero attraverso tecniche di restauro che appaiono tuttavia
inadeguate ad una logica conservativa moderna2. Si ricorda a tal proposito, l’esempio del restauro
della basilica di Saint-Denis effettuato dall’architetto François Debret, la demolizione delle torri
dell’abbazia di Saint-Germain-des-Prés, l’abbattimento della torre nord della facciata della
collegiale di Notre-Dame a Nantes per ricostruirla simmetrica a quella disposta a sud. Contro le
semplicistiche ricostruzioni e le demolizioni delle cattedrali gotiche si oppose Victor Hugo in
Guerre aux démolisseurs (1837). Da parte sua, l’architetto Eugène Viollet-le-Duc elaborava una
concezione del restauro dell’arte medievale che richiamava ad un approccio maggiormente
indirizzato al recupero storico e strutturale coerente delle vecchie opere medievali. Da questo punto
di vista, sarà sufficiente qui menzionare l’inserimento della guglia mancante della cattedrale di
Notre-Dame, realizzata secondo una visione filologica rispettosa dello stile originario3. Vediamo
ora di sintetizzare alcuni aspetti relativi alle esperienze successive nell’ambito teorico e pratico.
1
Mi riferisco, ovviamente, non soltanto alla ricorrente presenza del tema della cattedrale nella corrispondenza e nella
Recherche di Proust ma anche al fatto che egli avrebbe voluto costruire il suo grande romanzo come una cattedrale, con
i suoi elementi specifici (“Porche I, Vitraux de l’abside, etc.”). Quanto a Debussy, basti qui ricordare il pezzo per
pianoforte intitolato La cathédrale engloutie, che suona ‘moderno’ sullo strumento ma utilizza, in realtà, procedimenti
antichi, caratteristici della vocalità medievale (sovrapposizione delle ‘voci per intervalli di quarta, come avveniva
proprio nella celebre Scuola di Notre Dame di Parigi (magister Leoninus e magister Perotinus ne erano i capiscuola).
2
Cfr. La storia dell’arte. L’impressionismo cit., p. 501-502.
3
Ibidem. Vedi la riproduzione di p. 505.
Con l’espressione “Art Nouveau”, viene indicato un movimento artistico che, tra la fine
Ottocento e l’inizio del Novecento, interessò tanto l’architettura quanto le arti decorative in Europa
e negli Stati Uniti. Nel generale clima di rinnovamento culturale che accompagnò
l’industrializzazione, il nuovo movimento ebbe rapida diffusione; la borghesia si rafforzava
ulteriormente sul piano economico e politico. A favorire la circolazione delle nuove tecniche e delle
diverse esperienze artistiche contribuirono ampiamente riviste, conferenze e, in particolare, le
grandi esposizioni universali. Si crearono i presupposti, pur nei diversi contesti locali, per la
formazione di uno stile sostanzialmente unitario: sorse così lo stile floreale o liberty in Italia, il
modern style in Gran Bretagna, il modernismo in Spagna, lo stile “coup de fouet” o Velde stil in
Belgio, lo Jugendstil in Germania, la Sezessionstil in Austria. L’art nouveau, sorta polemicamente
come reazione all’accademismo e all’eclettismo ottocenteschi, rifuggiva dal ricorso agli stili storici
del passato per ispirarsi direttamente alla natura. Deriva da ciò il linearismo accentuato, il carattere
metamorfico, l’eleganza decorativa. La matrice formale più diretta dell’Art nouveau va ricercata
nelle tendenze pittoriche – particolarmente intense nelle arti grafiche – che contrapponevano in
quegli anni al “realismo” della scuola impressionista la ricerca (influenzata dalla pittura giapponese
e cinese) di una maggiore stilizzazione della figura in funzione simbolica o semplicemente
decorativa. Tra i pittori di questa tendenza ricordiamo F. Khnopff, A. Beardsley, J. Toorop, F.
Hodler, G. Klimt e, nella sua fase simbolista, E. Munch. Più che nella pittura, però, è
nell’architettura, nel campo della decorazione degli interni e delle arti applicate che l’Art nouveau
ottenne i suoi risultati maggiormente innovatori. I nuovi materiali tipici della produzione industriale
(ferro, vetro, cemento) venivano studiati in funzione delle loro possibilità tecniche ed espressive;
l’alleanza arte-industria era sorretta dall’utopia di riuscire a portare la bellezza nella vita di ogni
giorno, per tutti.
Il concetto di unità progettuale viene a configurarsi come punto di forza dell’estetica
modernista: in architettura esso significava continuità tra esterno e interno, coerenza stilistica tra
struttura, decorazione e arredo; nelle arti applicate, nuova qualità e dignità degli oggetti d’uso, in
opposizione alla volgarità commerciale provocata, nella seconda metà dell’Ottocento, dalla
lavorazione a macchina. Contro lo scadimento del gusto indotto nelle arti applicate dai nuovi
processi di produzione erano già insorti in Inghilterra John Ruskin, William Morris e il movimento
delle “Arts and Crafts”4. Nel periodo compreso tra il 1890 circa e la prima guerra mondiale, furono
comunque la Francia, il Belgio (Victor Horta, Henry Van de Velde), la Germania (ricordiamo O.
Eckmann e H. Obrist che, con altri giovani, si raccoglievano attorno alle riviste “Pan”, “Jugend”) e
l’Austria (il gruppo della Secessione e la rivista “Ver Sacrum”; Klimt e gli architetti J. Olbrich e J.
Hoffmann) i paesi nei quali l’art nouveau si sviluppò in modo più organico e coerente. In Francia,
in particolare, numerosi furono i contributi nel settore delle arti applicate grazie ad E. Gallé nell’arte
del vetro, A. Delaherche nella ceramica, G. de Feure ed E. Gaillard nella produzione dei mobili; H.
Guimard, al quale si devono le celebri stazioni del métro di Parigi del 1900.
4
In Scozia fu originale l’esperienza di Charles Rennie Mackintosh che influenzò a sua volta gli esponenti del
movimento belga dell’Art nouveau. Un ruolo solo parzialmente analogo fu svolto dall’Art nouveau nell’Europa
orientale: in Cecoslovacchia, in Ungheria, in Russia; in Olanda e in Catalogna (si pensi ad Antoni Gaudí) le esperienze
risultano marcatamente autonome; negli Stati Uniti emersero parallelamente la scuola di Chicago e Tiffany.
Fig. 53 Emile Gallé in un dipinto di Victor Prouvé (1893), Musée de l'École de Nancy
Un po’ dell’atmosfera di quella Parigi “fin de siècle”, un po’ del clima che si respirava nella
Parigi di Monet e di Gauguin, di Mallarmé e Rimbaud, di Fauré e di Debussy si ritrova anche in
quella straordinaria cattedrale letteraria che è la Recherche5 di Marcel Proust e in quei Passagen6 di
Walter Benjamin, in quel libro fatto quasi esclusivamente di citazioni, che ci ricordano un po’ le
infinite ramificazioni dell’Art nouveau. Una vita, quella parigina, che Renoir e Gustave Caillebotte
ci hanno tramandato, tra gli altri, in vivacissime o suggestive opere. Le trasformazioni subite dalla
capitale francese hanno avuto origine nel corso dell’Ottocento per diversi motivi che hanno
determinato trasformazioni urbanistiche profonde anche in altre città europee, naturalmente. La
rivoluzione industriale aveva determinato un notevole incremento demografico, dovuto allo
spostamento della popolazione dalla campagna in città. I maggiori centri amministrativi, i sistemi
viari, le città portuali sono ora collegati da un sistema stradale e ferroviario più efficiente ed è in
questi luoghi che attività produttive e persone si concentrano con maggiore intensità. Dopo la
rivoluzione del 1848 Parigi subirà, tra il 1853 ed il 1869, grandi trasformazioni ad opera del barone
Georges Eugène Haussmann. Una nuova idea di città comincia ad imporsi: le cinta difensive di
mura, i bastioni, le fortezze appaiono inutili nel nuovo contesto politico, sociale e architettonico,
come pure i vecchi confini tra città e campagna. Persone e merci devono muoversi liberamente, in
linea con l’idea di progresso. Nell’ottica della Rivoluzione francese, e con il conseguente affacciarsi
della classe borghese come classe che ora partecipa sempre più attivamente alla vita pubblica un
tempo privilegio dell’aristocrazia, anche i teatri, le biblioteche, le università assunsero nuova
importanza, nuove valenze nel tessuto urbanistico, divenendo essenziali nella nuova organizzazione
dello spazio urbano. Nel nuovo contesto verrà ad assumere particolare rilievo il Teatro dell’Opéra
di Parigi, la cui funzione di luogo di rappresentanza, e di valenza anche simbolica, determinerà
l’assetto attorno al quale ruoterà l’intera area urbana limitrofa. I boulevards, i grandi viali alberati
sui quali si affacciano gli alti edifici abitativi, provvisti eventualmente anche di negozi al piano
terreno, appaiono l’aspetto più vistoso della grande città immaginata da Napoleone III e dal barone
Haussmann7. La tipologia e l’altezza degli edifici era sostanzialmente decisa all’interno di norme
fissate rigidamente nel regolamento edilizio che, in un ventennio circa, aveva imposto una
trasformazione indirizzata alla ristrutturazione e al risanamento di vecchi e malsani immobili.
Nuove strade furono costruite per oltre quaranta chilometri; numerose stazioni ferroviarie venivano
collegate tra di loro e connesse con il centro della città, facilitando scambi commerciali e
agevolando il flusso turistico verso il resto della nazione. Si aprirono nuove piazze; i lunghi viali
potevano avere in antichi monumenti e in più recenti costruzioni il loro ideale fondale prospettico8.
Nel rinnovamento dell’insieme delle aree verdi ebbe una parte anche l’ingegnere Alphand, in
particolare per quanto riguarda la progettazione dei nuovi parchi: il Bois de Boulogne, il Bois di
Vincennes, Buttes Chaumont. Questa nuova strutturazione di Parigi era, comunque, anche
funzionale ad un maggior controllo delle possibili rivolte della popolazione, grazie alle regolari e
dritte vie della capitale. La supremazia della borghesia come classe sociale, la sua necessità di
dominare l’aspetto mondano e spirituale sembrano raggiungere qui, nella cornice delle grandi
arterie stradali, la loro “apoteosi”9.
Nelle opere dei pittori impressionisti ritroviamo spesso suggestive raffigurazione dei
boulevards parigini con i loro viali alberati, in varie stagioni dell’anno, delle grandi banche, dei
grandi magazzini, dei caratteristici caffè, delle stazioni ferroviarie. Una vita nuova si prospettava
per una popolazione che era, oltretutto, anche cresciuta a dismisura10.
5
M. Proust, Du côté de chez Swann in À la recherche du temps perdu, Paris, Gallimard, 7 voll., 1985, pp. 61-62.
W. Benjamin, Das Passagen Werk, trad. it. Parigi capitale del XIX secolo, Torino, Einaudi, 1986, edizione italiana a
cura di G. Agamben. Benjamin lavorò a questa sua opera tra il 1927 e il 1940, anno della sua morte.
7
Vedi il cap. 2: Nasce la città moderna. Lo sviluppo urbano in Europa nel vol. La storia dell’arte. L’età
dell’Impressionismo, Milano, Electa, 2006, pp. 55 e sgg.
8
Walter Benjamin coglieva come continuamente presente nell’Ottocento il “nobilitare necessità tecniche con finalità
artistiche.” Cfr. Angelus Novus. Saggi e frammenti, trad. e introd. Di R. Solmi, Torino, Einaudi, 1982, pp. 157 e sgg.
9
W. Benjamin, Angelus Novus cit., p. 157.
10
Passando, tra il 1801 e il 1861, da 547.000 a 1. 538.00 abitanti.
6
Haussmann che aveva studiato al Liceo Condorcet di Parigi, come Marcel Proust, e al
selettivo College Henri IV, si era dedicato a studi musicali al Conservatoire National Superieur de
Musique et de Dance, poi di diritto; lavorando successivamente come prefetto. In vecchiaia scrisse
un libro di memorie in tre volumi, pubblicati tra il 1890 ed il 1893. Affermava di avere il culto del
Bello, del Bene, delle grandi cose; della bella natura che ispira la grande arte, che incanta l’orecchio
e affascina lo sguardo; aveva l’amore della primavera in fiore, ma non tutti lo avevano visto sotto
questa luce così autocelebrativa! La stampa satirica di opposizione, contraria all’opera di
sventramento della vecchia Parigi e alla speculazione finanziaria che avevano provocato delle scelte
relative ritenute indispensabili alla gestione economica dovuta agli interventi di Haussmann,
ironizzò per così dire ‘musicalmente’ sull’operato del barone. Si giocò sarcasticamente sui costi, sui
‘conti’ dell’operazione di intervento architettonico, alludendo a Le comptes d’Hofmann (I racconti
di Hofmann) del celebre compositore Jacques Offenbach, che venivano a riflettersi così in Les
comptes d’Haussmann!
Fig. 54 Una caricatura del barone Haussmann
Fig. 55 Pierre-Auguste Renoir, Il Mulino della Galette, 1876 ca. Parigi, Musée d’Orsay
Fig. 56 Gustave Caillebotte, Il Ponte dell’Europa, 1876, Ginevra, Musée du Petit Palais
Fig. 57 Jean Béraud, Il Boulevard Saint Denis, 1879 ca., Collezione privata
Fig. 58 Camille Pissaro, Avenue de l’Opéra, Paris, 1898