le estorsioni in campania
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le estorsioni in campania
Con contributi di: Giacomo Di Gennaro • Franco Roberti • Maria Di Pascale Andrea Procaccini • Carlo De Luca • Amelia Debora Elce VOLUME DISTRIBUITO GRATUITAMENTE 3 ARCIPELAGO mafie • economia • impresa LE ESTORSIONI IN CAMPANIA volume pubblicato nell’ambito del pon sicurezza per lo sviluppo - obiettivo convergenza 2007-2013 - obiettivo operativo 2.4 3 GIACOMO DI GENNARO (A CURA DI) La ricerca sul fenomeno estorsivo in Campania è la prima a interessare l’intera area regionale. Basata su fonti statistiche e giudiziarie descrive i principali caratteri del fenomeno e le ragioni del suo differenziato modo di affermarsi in contesti locali diversi della regione. Il volume costituisce una nuova tappa di analisi dell’attività estorsiva che fa capo ai clan di camorra per entrare in profondità sulle ragioni che ne determinano la persistenza, lo sviluppo e la sua trasformazione, approdando a considerazioni che riguardano il ruolo delle vittime e delle istituzioni sociali e civili. La valutazione che emerge sulla diffusione del fenomeno implica la consapevolezza che se si ostacola questa primaria forma di accumulazione illegale che permette di esercitare il dominio in uno spazio sociale, si contrasta sul nascere non solo una modalità acquisitiva violenta di risorse economiche basilare per lo sviluppo di ulteriori attività e traffici criminali, ma si restituisce alle comunità locali quel diritto alla sicurezza che è condizione fondamentale e imprescindibile per l’esercizio della libertà economica e degli ulteriori diritti civili e sociali. LE ESTORSIONI IN CAMPANIA IL CONTROLLO DELLO SPAZIO SOCIALE TRA VIOLENZA E CONSENSO a cura di Giacomo Di Gennaro prefazione di Franco Roberti 3 diretta da Tano Grasso Le estorsioni in Campania Il controllo dello spazio sociale tra violenza e consenso a cura di Giacomo Di Gennaro prefazione di Franco Roberti Rubbettino Progetto grafico: Giuseppe D’Arrò, Santina Cerra, Luigi De Simone © 2015 - Rubbettino Editore 88049 Soveria Mannelli - Viale Rosario Rubbettino, 10 - tel (0968) 6664201 www.rubbettino.it Se io accetto di morire perché gli altri vivano, avrò la vita, se io pur di vivere allargherò attorno a me gli effetti della mia voracità, già ora vivo il mio annientamento (Non disturbate l’Amore: “Tra Eros e Thanatos”, Ernesto Balducci). Prefazione La camorra di oggi, che si è andata evolvendo a partire dalla seconda metà del Ventesimo secolo da fenomeno endemico di criminalità diffusa, fino a diventare una delle più aggressive forme di criminalità organizzata transnazionale, è il prodotto di dissennate scelte politiche dei gestori della cosa pubblica, che fino a ieri hanno preferito governare l’illegalità a tutti i livelli, anziché reprimerla; è il prodotto di un patto scellerato tra pezzi del mondo politico ed economico campano e la criminalità organizzata, tradottosi nell’uso di quest’ultima per fini politicoelettorali e imprenditoriali e nel corrispettivo uso della politica e dell’imprenditoria per fini criminali. Se queste sono le conclusioni cui conducono i principali accertamenti giudiziari degli ultimi anni, mi sembra rilevante, ai fini della comprensione del fenomeno, l’analisi della componente economica e di quella sociale come risulta da questo lavoro. La componente economica, e in generale la spinta all’accumulazione con ogni mezzo di risorse, rappresenta la finalità principale, per non dire unica, che spiega le scelte strategiche e tattiche delle organizzazioni criminali di ogni tipo e della camorra in particolare, che è storicamente caratterizzata da una spiccata vocazione mercantile. Ma la possibilità di profitto da sola non basta; deve essere accompagnata da una situazione ambientale favorevole, che definiremmo di vulnerabilità economico-finanziaria e istituzionale. La vulnerabilità economico-finanziaria è collegata a situazioni di bassa competitività ed efficienza. La vulnerabilità istituzionale, a sua volta, si può riscontrare quando, in un contesto territoriale, la competizione economica e lo sviluppo non sono prefazione 7 garantite da una struttura di pubbliche autorità e istituzioni che assicurano la tutela dei diritti, la risoluzione dei conflitti e in generale il rispetto delle leggi. In tale contesto la criminalità ha buon gioco a far valere, nell’area della produzione e degli scambi, gli strumenti e le procedure extra-economiche e illegali che la caratterizzano. La vulnerabilità ambientale diviene così condizione essenziale per l’insediamento e la diffusione di forme di criminalità organizzata. Cresce l’economia illegale, intendendo con tale denominazione tutti quegli scambi o produzioni in cui le relazioni di comportamento sono regolate da norme diverse – spesso opposte – rispetto a quelle istituzionali pubbliche. L’economia illegale della criminalità organizzata coincide con quella parte di scambi illegali in cui almeno uno degli attori fa parte di una organizzazione criminale. L’economia illegale può assumere forme diverse e riguardare sia la parte “reale” che quella “finanziaria” del sistema: ad esempio, produzione e commercio di stupefacenti, traffici illeciti di merci o persone, racket e usura, credito abusivo, riciclaggio. La presenza di forme di criminalità organizzata in settori dell’economia reale e finanziaria si traduce peraltro in un inquinamento progressivo non solo dell’ambito economico, ma anche, inevitabilmente, del contesto sociale e della vita pubblica. Si innesta così un circuito perverso: la vulnerabilità ambientale facilita l’inquinamento da criminalità organizzata, che a sua volta deteriora ulteriormente il contesto ambientale. L’equazione “sviluppo economico=legalità” si è dimostrata, alla luce dell’analisi economica, superata e fallace, in quanto il rapporto va decisamente rovesciato: non può esserci sviluppo economico senza legalità. Infatti, in presenza di criminalità non può esserci una sana attività di impresa e di investimento. Al contrario, se il flusso di investimento – privato e pubblico – non è assistito da condizioni di legalità, sono altissimi i rischi di inefficienza del flusso di risorse e, addirittura, che lo stesso flusso vada ad alimentare gli stessi fenomeni di criminalità diffusa. La teoria economica ha da tempo sottolineato il ruolo fondamentale della sicurezza e della fiducia per la crescita e il 8 buon funzionamento dell’economia di mercato, intese come insieme di regole e procedure che permettono produzione e scambio efficienti delle risorse in una società avanzata e democratica. La sicurezza e la fiducia degli operatori economici sono basate appunto sulla convinzione che esista un complesso di regole del gioco, garantito e controllato dalle pubbliche istituzioni, che indirizza i comportamenti, dirime i conflitti di interesse, punisce le condotte sleali. La minaccia al regolare sviluppo dell’economia è rappresentata dalla quantità, ma soprattutto dalla qualità degli atti illeciti e criminali che vengono commessi nel suo ambito. Non v’è dubbio che la presenza dell’imprenditoria criminale nel tessuto economico-sociale, alterando la libera concorrenza, incidendo negativamente sulla qualità dei servizi, sottraendo masse finanziarie al prelievo fiscale e scoraggiando gli investimenti, costituisce un potente freno allo sviluppo e, quindi, all’occupazione legale. L’obiettivo primario dell’azione di contrasto giudiziario deve perciò consistere – con sempre maggiore intensità – nell’individuare e colpire patrimoni, ricchezze, forme e percorsi di accumulazione dei profitti e dei capitali, anche all’estero, proprio perché le mafie incidono pesantemente sull’economia legale sotto forma di corruzione, riciclaggio e controllo delle imprese apparentemente legali, ma in realtà a capitale mafioso. La contrazione degli impieghi bancari, dovuta all’attuale crisi economica, favorisce senza dubbio il ricorso degli imprenditori in difficoltà a forme di finanziamento anomale o illegali. Tradizionalmente, ma ancora oggi, gli interlocutori privilegiati dei gruppi mafiosi sono gli imprenditori meno propensi a denunziare le pressioni estorsive e i prestiti usurai, spesso, più che per reale paura di ritorsioni, per calcolo utilitaristico legato all’esigenza di non attirare l’attenzione dello Stato sui profili illegali delle proprie attività (evasione fiscale, acquisti di merce in nero, dipendenti non inquadrati, ecc.). In proposito è significativo un dato statistico nazionale aggiornato al 2013: negli ultimi due anni, le denunce per usura che rappresentano solo la porzione “emersa” del fenomeno criminale, sono aumentate rispetto al prefazione 9 2010-2011 quasi del 20%. Sicché imprese apparentemente legali si ritrovano, nei fatti, nelle mani della criminalità. Il “caso Campania” – cresciuto nel tempo tra strumentalizzazioni e sottovalutazioni – rappresenta esattamente, più di ogni altro fenomeno criminale, la somma delle inefficienze e delle inadempienze in questi settori. Per quanto riguarda, in particolare, il fenomeno delle estorsioni, sono emerse negli ultimi anni rilevanti correzioni di tendenza operate sia da parte delle organizzazioni mafiose che da parte degli imprenditori. Per quanto riguarda le prime, dopo un periodo nel quale la strategia di esazione estorsiva ha indubbiamente subito un mutamento – poiché alla scelta perseguita da oltre un quindicennio di formulare delle richieste capillari di somme di moderata entità, strettamente commisurate al volume di affari dell’esercente l’attività economica si era sostituita una formulazione di richieste di entità notevolmente superiore – oggi le organizzazioni criminali sono tendenzialmente ritornate ai vecchi “protocolli” di riscossione nella logica del dare minore visibilità possibile alla propria attività criminale; lo stesso è a dirsi circa gli avvertimenti o le reazioni ai mancati pagamenti per i quali si è tornati a danneggiamenti meno eclatanti ma di maggiore frequenza. Tale modalità pratica di realizzazione del delitto appare particolarmente significativa in realtà nelle quali le organizzazioni criminali appaiono in crisi di leaderschip, poiché proprio le dette modalità consentono alle organizzazioni mafiose di conservare il controllo del territorio, che, si ricordi, è un dato imprescindibile per le stesse, senza dover operare azioni criminali particolarmente eclatanti, che possono destare le reazioni dello Stato. Permane costante la continuità della reazione di una parte della società civile, in cui, grazie ad associazioni antiracket e antiusura accreditatesi negli ultimi anni anche nei confronti delle istituzioni civile per il coraggio, la coerenza, la serietà e la continuità dei loro interventi, già da tempo si erano concretamente innestati elementi di rigetto contro questa forma di violenza mafiosa, nonché l’esatta percezione delle conseguenze che essa comporta. Ma quel che più conta è che anche i com10 mercianti e gli imprenditori si sono fatti portavoce di questo rifiuto della violenza parassitaria mafiosa. Un sintomo assai rilevante di questo rifiuto è stata l’adesione, da parte di molti di essi, alle predette associazioni. Nello stesso quadro vanno positivamente valutate le iniziative che tendono a coinvolgere il mondo delle libere professioni in un quadro di resistenza e reazione civile al racket estorsivo. È maturata da parte di molti cittadini la consapevolezza che l’estorsione è la prima attività mafiosa, quella essenziale per la sopravvivenza dell’organizzazione criminale. Se non c’è più estorsione è molto più difficile il controllo del territorio; se il sistema estorsivo collassa comincia il declino delle mafie radicate sul territorio. Naturalmente la strada da percorrere è ancora molto lunga e travagliata e passa, anzitutto, per la conquista della fiducia dei cittadini da parte delle istituzioni, le quali devono dare prova, con i fatti concreti e non con i proclami, di voler veramente sradicare la mala pianta del crimine organizzato. Franco Roberti Procuratore Nazionale Antimafia prefazione 11 Introduzione Il presente lavoro è incentrato sul fenomeno dell’attività estorsiva in Campania. È il primo, la cui analisi si estende a tutte le province della regione, a radiografare su territori diversi il fenomeno ed è il secondo a fare il punto delle ragioni della sua persistenza e trasformazione in maniera quanto più compiuta possibile. Infatti, nel 2010 a conclusione di un percorso di ricerca che ha visto integrate competenze giuridiche, sociologiche, economiche, investigative, sotto l’impulso della Fondazione Rocco Chinnici e sintetizzato nel volume I costi dell’illegalità. Camorra ed estorsioni in Campania, si dava conto dell’attività estorsiva nelle due maggiori aree provinciali (Napoli e Caserta) mettendone in risalto dimensione quantitativa, effetti sul tessuto economico e sociale, criticità persistenti nella legislazione di contrasto. I problemi aperti, cui perveniva la ricerca, riguardavano, tra l’altro, l’incipiente diffusione del fenomeno nelle altre province in particolare quelle implicate – come la beneventana e la salernitana – da interessanti trasformazioni economiche, dallo sviluppo ed estensione dell’urbanistica, da una modificazione dell’economia agricola e turistica. Il coinvolgimento di queste aree in nuove direttrici e dinamiche economiche pone, inevitabilmente, stante il carattere strutturale della criminalità organizzata in Campania, il problema dell’estensione della pratica estorsiva, nonché quello, attraverso la pratica corruttiva, della permeabilità e vulnerabilità delle attività economiche all’inquinamento del crimine. È un imperativo categorico, quindi, restare con i riflettori accesi su una pratica illegale che costituisce la primaria forma distintiva tra il profilo deviante e quello criminale. L’attività estorsiva, infatti, per essere svolta introduzione 13 necessita di brutalità, diponibilità a fare ricorso alla violenza, crudeltà, prepotenza, astuzia, capacità persuasiva, furbizia. Non è un caso che la semantica utilizzata dagli emissari, affiliati, dai picciotti, dagli incaricati dei mafiosi è sempre allusiva, metaforica e, solo in fasi successive, esplicita. E non è un caso che boss, capibastone, uomini di onore, ’ndranghetisti si servano di persone fidate, ma nella fase del convincimento che succede all’aggancio venga utilizzato personale subalterno reclutato tra le fila della marginalità illegale che aspira a carriere criminali. Contrastare, allora, il racket delle estorsioni significa ostacolare la primaria forma accumulativa che permette a un nucleo criminale di sodali di acquisire risorse per soddisfare molteplici esigenze ed esercitare il dominio su un’area (sia essa un quartiere, una zona più ampia, un comune, un vasto territorio) per sviluppare ulteriori traffici illegali. L’esigenza, allora, di produrre riflessività, operatività, impegno civile è necessaria se si vuole liberare l’economia e il tessuto sociale dalla ferrea gabbia del crimine organizzato nostrano. Questa finalità è alla base del più ampio Progetto del pon Sicurezza per lo Sviluppo (Obiettivo operativo 2.4) nelle regioni dell’Obiettivo Convergenza 20072013, relativo all’asse “contrastare il racket delle estorsioni e dell’usura”, che costituisce il format entro il quale si situa questa ricerca. Essa è il risultato di una intesa collaborativa con la Federazione italiana antiracket (fai), evoluzione del movimento antiracket, che da venticinque anni è impegnata in prima persona nella tutela delle vittime di estorsione, nel consolidamento della risposta giudiziaria e difesa processuale, nel contrasto dal lato della domanda di ogni sentiero di consumo che favorisce la commercializzazione e la distribuzione di beni e servizi la cui provenienza è direttamente collegata alle imprese criminali o assoggettata da queste a commercianti consenzienti. È, come si arguisce, un impegno profuso in maniera interdipendente sul lato della primaria azione: la denuncia. Poi su quello della tutela, della responsabilizzazione e del recupero della vittima. Infine, sul terreno sia della sensibilizzazione e implementazione del consumo critico che della sfera dell’individuazione delle imprese e attività economiche che in forme mascherate impongono a 14 imprenditori, commercianti, artigiani, servizi, beni, prodotti o in forme di collusione ne compartecipano i vantaggi. Ed è proprio a partire da questi ultimi due aspetti che appare opportuno domandarsi: a che servono le estorsioni? Perché, nonostante lo sviluppo e il maggior rendimento di altri traffici illegali (per es. droga, rifiuti, tratta di immigrati, traffico di medicinali) mafia, camorra, ’ndrangheta sentono ancora il bisogno di praticare le estorsioni? Come è cambiata l’attività estorsiva ed è omogenea in tutti i territori? Fra tutte le diverse organizzazioni criminali? Interessa tutti coloro che iniziano o gestiscono attività economiche o solo alcuni? In base a quale criterio sono selezionate le vittime? E le estorsioni sono praticate nei riguardi solo della sfera delle attività legali o sono estese anche a quelle illegali? Il comportamento delle vittime è uguale o si diversifica? Questi interrogativi hanno un fondamento perché, innanzitutto, l’attività estorsiva è la più antica e primaria attività illegale che la camorra ha prodotto ed “esportato”. Non è un caso che a partire dalla seconda metà dell’Ottocento e lungo tutto il Novecento a Napoli veniva usato il termine “camorra” per designare la tassazione praticata nelle carceri o su alcune attività illegali da guappi o gruppi di delinquenti specializzati nell’estorsione realizzata in vari settori e perfino con nomi diversi. Nella provincia di Reggio Calabria, nel catanzarese, nel cosentino ancora in pieno Novecento affermare «io sono camorrista» o dire «occorre riscuotere la camorra» significava indicare la pratica estorsiva e al contempo l’organizzazione mafiosa. L’identificazione della pratica evocando la parola “camorra” appariva più pregnante nonostante fosse già in uso, dopo l’Unità d’Italia, la parola mafia sia in Calabria che in Sicilia per indicare non solo una più specifica organizzazione, ma un insieme circoscritto di relazioni sociali e collaudate attività economiche. L’uso del termine mafia, quindi, aveva di fatto già soppiantato il termine “camorra” usato a Napoli, ma per l’estorsione si utilizzava “camorra”. Come è stato possibile, allora, che l’attività estorsiva sia sopravvissuta per un periodo così lungo di tempo e perché oggi è così ancora fortemente esercitata? La risposta risiede nelle funzioni che l’attività estorsiva soddisfa: a) in primo luogo, come già anticipato, è la forma primaria introduzione 15 di accumulazione di risorse economiche. Se una famiglia mafiosa, un clan di camorra ha necessità di acquisire immediate risorse, liquidità, ricorre alle estorsioni. Se un gruppo di giovani dediti a reati predatori, a rapine, furti intende uscire dalla marginalità criminale e darsi un profilo mafioso, la prima attività che compie è l’estorsione; b) in secondo luogo, l’estorsione è il modo migliore per garantirsi il dominio di un territorio, esercitare il potere, rendere fattiva la dimensione glocale nel caso in cui il clan abbia assunto anche la dimensione di impresa. Se un clan intende appropriarsi di una fetta di territorio e su esso esercitare un controllo che deve essere totale per poi sviluppare successive attività economiche illegali, ha bisogno innanzitutto di assoggettare in maniera sistematica tutti coloro che producono in questo spazio fisico e urbano ricchezza, sia in forma legale sia illegale. La reputazione di un clan è tanto più forte quanto maggiore è la capacità di esercitare la sovranità e questa quanto maggiore e datata è, tanto meno necessita di essere imposta con la violenza; c) ancora: proprio perché è una forma arbitraria di tassazione gravante su chiunque produce ricchezza, vende merci o svolge provenendo dall’esterno un’attività economica in un territorio considerato “proprietà privata”, assurge – in una forma cognitiva e simbolica distorta – a risarcimento per tutti i diritti che sono negati; d) in quarto luogo, è una “cassa” destinata primariamente e funzionalmente al pagamento degli avvocati, al mantenimento delle famiglie dei detenuti, alla retribuzione dei gregari; e) inoltre, costituisce una sorta di “dote”, un capitale, una rendita assicurata trasmessa, specialmente per quei clan che sono radicati in un territorio da lungo tempo, da una generazione a un’altra e come tutte le doti va preservata e consolidata; f) in più, è l’esercizio selettivo e strumentale di una strategia di lenta acquisizione di patrimoni, beni, aziende la cui finalità è, attraverso il riciclaggio del denaro proveniente dalla stessa attività e da altre collaterali (per es. l’usura), l’estromissione delle vittime dal controllo dell’attività economica e l’entrata nel mercato legale; g) è un’attività che si connota sempre più con un carattere imprenditoriale non solo perché ci sono clan che impongono prodotti, servizi, beni, forniture, ma perché si concretizza come forma di scambio di 16 gare, appalti che, se non possono essere gestiti in prima persona, vengono girati a imprese consenzienti o colluse; h) è un’attività che genera nei segmenti marginali degli strati sociali consenso sociale dal momento che i clan impongono l’occupazione di persone, offrono lavoro alla manodopera locale, alla gente del posto, distribuiscono opportunità lavorative tra quelle imprese con le quali si stringono accordi ambientali; i) infine, è un’attività che nella sua forma estrema rappresenta una modalità di socializzazione al crimine organizzato e ingresso in esso. Una sorta di scuola, di palestra di allenamento all’assunzione del profilo più marcatamente mafioso che deve combinare affidabilità, competenza, omertà. L’attività estorsiva alimenta la coesione interna al gruppo, assicura solidità al gruppo di persone legate da vincoli delinquenziali e garantisce compattezza tra i membri e fedeltà agli obiettivi preordinati. Sulla base di queste funzioni, esercitare, quindi, l’attività estorsiva diviene una necessità, quasi un obbligo se si vuole passare dalla fase primaria di accumulazione a quella secondaria fondata sull’esercizio di ulteriori e distinte attività illegali (per es. l’usura, il controllo delle piazze di spaccio, la commercializzazione di sostanze di stupefacenti). Anche i clan, le cosche, le famiglie mafiose che evolvono e agiscono nella sfera economica attraverso l’“impresa mafiosa” non rinunciano all’attività estorsiva. E proprio perché è necessaria vi è una correlazione stretta e interdipendente tra contesto ambientale, tipo di organizzazione e forma o modalità in cui si esprime l’estorsione. Il che vuol dire che l’attività estorsiva è cambiata e non si pratica nella stessa maniera in tutti i territori, non assume un carattere uniforme e non tutti i gruppi criminali organizzati nostrani la svolgono secondo una tipologia unitaria. L’estorsione assume un carattere diretto quando è esercitata in forma di pizzo. Nel 2008 un gruppo di ricercatori sotto l’egida di un programma di ricerca ideato sempre dalla Fondazione Rocco Chinnici, all’esito dei risultati di un lavoro che contribuiva per la prima volta a produrre una conoscenza più approfondita del fenomeno, sosteneva che in terra siciliana la strategia della mafia era cambiata e ancorché all’esercizio di introduzione 17 una vera e propria protezione delle vittime si affiancava una strategia predatoria più attenuata nella cui essenza si potesse rendere visibile la maggiore sensibilità e vicinanza delle famiglie mafiose «alle esigenze degli operatori economici». Questa strategia contemplava la riduzione del costo del pizzo a “costo ambientale” sopportabile con l’evidente conseguenza di rendere meno vantaggiosa e disincentivante la collaborazione degli imprenditori e dei commercianti con la giustizia e al contempo assorbire il peso e la presenza criminale attuando un programma basato su accorgimenti più subdoli e persuasivi piuttosto che le intimidazioni violente e prototipiche connesse maggiormente al genere estorsivo predatorio. Nel 2010 nella ricerca campana sull’area napoletana e casertana mettevamo in luce come a differenza della mafia i clan di camorra esibissero un repertorio tipologico estorsivo più ampio con un modello di operatività contrassegnato da due poli estremi, protezionepredatorio puro, ma il continuum è internamente diversificato da una gamma di forme non tutte ascrivibili a tutti i clan e condizionate ancorché dal contesto ambientale dal modello organizzativo del clan. La lettura permanente degli atti giudiziari conferma le tesi sviluppate quasi cinque anni addietro e per non pochi aspetti in ragione della crisi economica, le arricchisce. Anche nella presente ricerca possiamo confermare che l’attività estorsiva in Campania si realizza in forme diverse: il pizzo, la tangente sono le forme più dirette, quelle che si basano sul capitale informativo acquisito dal clan e sono subordinate al settore commerciale, all’attività imprenditoriale, alla zona sulla quale ricade l’attività, alla dimensione dell’impresa o dell’attività commerciale, al tipo di attività illegale, al grado di vulnerabilità della vittima. Questo tipo di estorsione può avere una cadenza temporale molto ampia (mensile, periodica, una tantum) e può combinarsi con altre forme (estorsione multipla). C’è poi l’estorsione mascherata, ossia quella che si realizza acquistando un bene a un prezzo non rispondente al suo valore reale. Una famiglia entra in possesso di un bene acquisito in proprietà attraverso un prestanome perché attraverso questo accordo si offre il permesso a un investitore, un imprenditore di portare a termine 18 il proprio investimento (o attività) – sul quale possono slittare anche altre utilità – e si lucra sul margine di guadagno. C’è l’estorsione allargata, quella che si sviluppa attraverso il pagamento delle fatture alterate, la costituzione di fondi extra bilancio. C’è l’estorsione che assume sempre più il carattere di offerta di servizi, beni, prodotti, forniture (caffè, acqua minerale, carni, slot machine, calcestruzzo, ecc.). È in un certo senso anch’essa una forma mascherata di imposizione ma tende a imprenditorializzare l’opportunità estorsiva perché si basa sull’offerta-imposizione di beni o servizi che sarebbero in ogni caso acquisiti dalle vittime con il vantaggio, per queste, che in taluni casi il prezzo è migliore (sebbene di rado), in altri la trattativa evita che la relazione slitti su un piano violento. Questa forma di estorsione si pratica con la collusione di imprenditori ai quali si chiede la percentuale sul piazzato o attraverso imprese che sono emanazione diretta dei clan. È questa una delle opportunità che si situa tra black economy e grey economy. C’è, infine, l’estorsione che nella sua forma predatoria si basa sia sul pagamento di una quota che su quella del controvalore in merce (talvolta si accompagnano), e spesso a queste forme si associa l’uso o il consumo gratuito di beni di proprietà della vittima. Come si può arguire ci troviamo di fronte a un’ampia gamma di forme estorsive la cui differenziazione spiega anche perché è facile che si estenda, ovvero che trovi nelle diverse tipologie di attività economica l’appropriata e adattabile forma. Ma è anche vero che non tutti i clan sono titolari di tutti i tipi di estorsione. C’è una correlazione che va delineandosi come sempre più stretta tra modello organizzativo del clan di camorra e tipologia di estorsione. L’estorsione quando è diretta, ovvero identificata nella richiesta del pizzo essa è trasversale a tutti i clan e ciò che varia è solo la sua temporalità. È la combinazione di questa con le altre forme che rende l’estorsione multipla appannaggio, poi, di alcuni e non di tutti i clan. Questa selezione è subordinata al contesto, alla configurazione organizzativa del clan e al tipo di vittima. L’estorsione a carattere più imprenditoriale e/o quella mascherata richiede un ulteriore grado di specializzazione del clan e capacità di aggancio degli imprenditori o dei commercianti introduzione 19 e per ciò stesso, quindi, è ancora più selettiva. Solo grandi clan e spesso ben radicati sul territorio sono capaci di articolare queste forme. Esse, infatti, necessitano di una dimensione imprenditoriale e di personale professionalmente idoneo che lavora in nome e per conto del clan. Il clan dei casalesi, per esempio, è stato (ed è) impegnato fortemente nel settore dell’edilizia e dei rifiuti. L’evoluzione di questo cartello criminale verso la forma imprenditoriale è stata così sviluppata e intensa che si è sostanziata in una capacità di gestione di traffici illegali a livello nazionale e transnazionale, con profitti riciclati in investimenti sul territorio nazionale ed estero. Un altro aspetto che non va sottovalutato per spiegare le diverse forme attuative dell’estorsione attiene il ruolo della vittima. L’attività estorsiva, infatti, è resa anche più facile dal comportamento delle vittime che non è mai univoco. E qui si pone l’altra faccia del problema. In genere la vittima è assoggettata perché si fa leva sull’intimidazione, la paura di ritorsioni, del coinvolgimento di familiari, sulla violenza che si può subire, sulla scarsa fiducia nelle istituzioni giudiziarie, nell’azione investigativa. In tempi di crisi economica si fa leva sull’apparente generosità del boss che riduce i costi dell’estorsione o addirittura si rende disponibile a prestiti che diventano poi crediti usurai. Ci sono vittime che non collaborano, che negano anche in dibattimento, anche di fronte all’evidenza dei fatti, ogni pressione subìta, ogni atto estorsivo. Ci sono poi vittime che non solo non collaborano per le ragioni indicate ma non lo fanno perché colluse, ovvero hanno tratto e traggono dalla relazione con il boss di turno vantaggi, appalti, gestione monopolistica di attività economiche in particolari ambiti dal momento che grazie alla protezione del clan o della famiglia camorristica le altre imprese oneste sono state fatte fuori. Non sono succubi e obbedienti ma compartecipi dei vantaggi del controllo territoriale esercitato dal clan. Spesso essi stessi si trasformano da vittime in carnefici. Ci sono vittime, poi, che considerano l’estorsione come un fatto “normale”, c’è un lento processo di assuefazione a questo modus operandi per cui il costo interpretato come “costo ambientale” viene traslato sul consumatore o si fa la “cresta” sulle forniture. Ci sono 20 vittime, infine, che non chinano la testa sin dall’inizio di fronte alle pretese della camorra, della mafia. Si affidano alla magistratura, alle forze di polizia, avvicinano le associazioni antiracket, collaborano perché convinte che se si cede per una sola volta sin dall’inizio il percorso diventa irreversibile. A queste vittime si associano quelle che scoprono più tardi la convenienza della collaborazione, della denuncia. È un processo più lento, si afferma in tempi avanzati quando l’estorsione ha cominciato a produrre i suoi carnefici effetti sull’attività economica, sull’impresa. Queste vittime collaborano al punto che dopo diventano spesso protagoniste della lotta antiracket. Il ruolo della vittima, come si può comprendere, è fondamentale per la soluzione del problema. E proprio perché è fondamentale il ruolo dell’associazionismo antiracket è delicato. Non è un caso che infiltrazioni nel movimento si sono già registrate, così come formazioni di associazioni generate dagli stessi boss o clan. Il rendimento e la collaborazione dell’associazionismo antiracket deve essere costantemente monitorato, valutato attraverso parametri trasparenti e certi, così come tali devono essere i requisiti. L’accesso ai fondi di solidarietà per le vittime non può essere minato da incertezze, opache procedure, ambigui comportamenti. La lotta all’attività estorsiva non può prevedere tentennamenti. L’attività estorsiva è cambiata e sempre più assumerà una fisionomia imprenditoriale piuttosto che predatoria. I vantaggi derivanti da questa connotazione sono maggiori dei costi. Sarà un processo lento ma rischia di prendere questo indirizzo e una ragione di questa trasformazione risiede da un lato nella trasformazione del capitalismo mondiale, sempre più aggressivo, inquinato da una finanza immoralmente gestita e da una forte liquidità proveniente dagli investimenti criminali. Questo capitalismo violento, rapace offre la spalla e la giustificazione all’affermazione di questa prassi criminale. L’attività estorsiva, inoltre vede occupate, dall’altro, nella sfera delle attività predatorie in continua ascesa le donne, sia nella gestione del racket sia in quella di tanti traffici illegali. È questo un ulteriore elemento di novità. La camorra per prima, poi la mafia, ora anche la ’ndrangheta: in queste organizzazioni le donne vanno sempre introduzione 21 più ricoprendo ruoli di primaria rilevanza. Date alle donne le stesse opportunità degli uomini e vedrete cosa sono capaci di fare. Potrebbe essere questo l’incipit di un nuovo lavoro sulla scia delle tesi già sviluppate da Freda Adler nel 1975 nel suo Sisters in Crime. Sono infatti ormai diverse decine le donne di clan che escono dalle investigazioni e dai dibattimenti nelle aule di giustizia con responsabilità registrate in maniera precisa su eventi estorsivi. Responsabilità di gestione, di coordinamento, di aggancio, di intimidazione, investimento dei profitti. Colpire l’attività estorsiva, proprio perché è la primaria attività che discrimina un gruppo di sodali delinquenti da uno criminale di tipo mafioso, significa colpire l’atto costitutivo e generativo dell’iter criminale. Significa amputare le gambe a chi intende fare dell’attività criminale e illegale la fonte dei propri guadagni. Significa recidere le radici a chi svilupperà più tardi il peso nell’economia e nella finanza, nonché nei successivi e ben più lucrosi traffici illegali, primo fra tutti la droga. Significa liberare l’economia, l’azione imprenditoriale dal controllo illegale del territorio. Ridare sicurezza, qualità della vita lì ove regnano paura e soggezione. E d’altra parte è pensabile l’esercizio della libertà senza la sicurezza? Questa è alla base dell’esercizio dei diritti civili e sociali dei cittadini, influenza il benessere economico, determina uno sviluppo equilibrato. Ma la sicurezza non potrà mai essere garantita considerevolmente se pensata come esclusiva azione delle forze di polizia, della magistratura, degli apparati di intelligence, dei pubblici poteri. La sicurezza è l’esito di un processo integrato di azioni e attività alle quali non possono sottrarsi i privati cittadini sia contribuendovi con forme sussidiarie e complementari di controllo sociale che con atti partecipati e formazione di reti associative idonei a costruire forme di protezione collettive. Questo lavoro racchiude questi elementi di riflessione. Si sviluppa in due parti. Nella prima, si cerca di fare il punto sulla dimensione teorica: come è stato ed è interpretato il fenomeno estorsivo. Cosa c’è dietro questo rapporto, spesso mascherato, di protezione che talvolta è posto in essere proprio per offrire un servizio. Perché in molte parti della nostra regione l’estorsione si regge su un forte carattere violento, predatorio. Come 22 è cambiata l’attività estorsiva nella transizione da una camorra storica a una contemporanea. Qual è il volume di questa delittuosità nel Paese nell’ultimo periodo. I contributi dello scrivente e di Maria Di Pascale si misurano con una serie di indicatori che rivelano la permanente apicalità della Campania nel ranking nazionale. Occorrerebbe mettere in scena un’azione straordinaria e permanente per un non breve periodo integrando politiche di contrasto, formative, educative, del lavoro, di welfare per essere certi di ottenere quanto meno risultati significativi di riduzione del danno della presenza dei clan nella vita e nella storia della nostra regione. Ridurre, cioè, una tale presenza finalmente a qualcosa di contingente e singolare. La seconda parte, è dedicata alla Campania, alle sue differenti province, alle specificità e comunanze che caratterizzano il fenomeno. Sono stati elaborati dati su una configurazione territoriale che tiene conto per la prima volta anche delle distinte geografie territoriali giudiziarie presenti nella regione, ancorché della classica ripartizione provinciale. Andrea Procaccini rilegge la geografia estorsiva sulla base delle competenze territoriali dei Tribunali dando conto della presenza dei clan e dell’andamento delle estorsioni nei diversi circondari giudiziari. La comparazione è realizzata tra realtà territoriali meno estese e più omogenee rispetto a quelle provinciali e ciò permette di valorizzare maggiormente i tassi e gli indicatori elaborati a livello comunale. In più, una tale rielaborazione permette di acquisire informazioni sull’attività dei tribunali in merito a questo reato, il carico di lavoro e, in conseguenza del tasso di investigazione territoriale realizzato, spiegare un incremento dell’attività giudiziaria, come nel caso di Salerno che proprio nel quadriennio esaminato ha visto accrescere per questo reato il valore delle denunce passate dal 13,9% del 2010 al 43,6% del 2013. I risultati della ricerca pongono alcune criticità e generano alcuni timori che vanno affrontati con tempestività e coerenza se si vuole rendere conto dell’efficacia della lotta alle diverse mafie senza che siano vanificati gli sforzi, le risorse e il capitale umano impiegato in questa lotta. Il contrasto passa attraverso diversi aspetti che, tuttavia, vanno rivisitati: in prima istanza le introduzione 23 strategie incentrate sull’intelligence investigativa; a seguire il tema dello smantellamento dei patrimoni illecitamente costruiti. L’investigazione è necessaria ma non è sufficiente se non fa seguito ad essa l’acquisizione definitiva dei patrimoni accumulati illecitamente. La prima tappa, come direbbe Augusto Balloni, è un’arte perché ancorché fondata su un uso appropriato delle tecniche d’indagine e in quanto osservazione, supposizione, deduzione, argomentazione consiste nel mettere in scena gli indizi coordinandoli con altri fatti (essenziali o accidentali) in modo da rendere evidente il significato della loro funzione. In tal senso, allora, l’investigazione non deve orientarsi alla disgregazione di un clan se non colpisce contemporaneamente in una zona gli altri o l’altro che vi domina. L’indebolimento di un gruppo inevitabilmente porta al rafforzamento di un altro che si sostituisce nella dinamica criminale. È opportuno colpire e sradicare per aree, zone, quartieri tutte le famiglie o i gruppi che si contendono il controllo di quel determinato spazio. Ridare alle comunità locali che abitano quello spazio sociale il ritrovato senso di libertà e sicurezza. E veniamo al secondo aspetto: la sottrazione dei patrimoni. Una politica di contrasto incentrata su iniziative di controllo e riduzione del crimine non avrà alcuna efficacia se non è accompagnata e seguita da effettive azioni di acquisizione definitiva e riuso dei patrimoni accumulati illegalmente. Questo aspetto chiama in causa il ruolo, la riorganizzazione interna e le funzioni assegnati all’Agenzia nazionale per i beni confiscati. Occorre una programmazione della destinazione dei beni, un monitoraggio costante dell’azione di riuso e rivalutazione di tali beni; bisogna attivare un coordinamento tra gli attori gestori e le istituzioni locali essendo l’azione di recupero strategica per la visibilità della legalità sul territorio e rilevante ai fini della dinamica economica. Lo Stato non vince la battaglia contro le mafie se oltre a sradicarne presenza, radici e interessi non restituisce appieno sicurezza, libertà, legalità alle comunità locali. Ciò non è sufficiente confiscando i simboli del potere accumulato dai clan ma occorre che esse siano risarcite dei danni procurati attraverso un riuso legale e produttivo di qualsiasi tipo di bene, 24 specie le aziende, perché è solo rendendo sostenibile in forma legale la produttività e il rendimento di questi beni precedentemente identificati come simboli del successo e del potere e trasformandone la connotazione e funzione in beni sociali disponibili che si potrà sperare in un più generale e collettivo radicamento della fiducia nei confronti dello Stato e in una sua acquisita credibilità. Quest’obiettivo risulta indicato in maniera molto chiara nel recente documento della Commissione1 e fatto proprio dall’attuale Governo ove si sostiene che ruolo strategico è da assegnarsi «al sistema di gestione e destinazione dei beni confiscati, di cui occorre assicurare una più adeguata efficienza con l’intento di promuovere la riaffermazione della legalità, in uno allo sviluppo dei territori interessati dal fenomeno mafioso. In questa prospettiva, si rende necessario predisporre misure che rendano i beni sottratti alla criminalità mafiosa “presidi di legalità”, forieri di rinnovate relazioni economiche, sane e legali, con una particolare attenzione alle aziende sequestrate e confiscate, perché divengano occasione di rilancio economico, soprattutto per le aree geografiche maggiormente interessate dal fenomeno mafioso, tra cui le zone economicamente più depresse del Paese, ponendo il lavoro al centro di un nuovo percorso di riscatto civile e sociale». Il timore è che questo che dovrebbe essere un obiettivo cardine della “moderna politica antimafia” resti un corollario di buone intenzioni. Un terzo aspetto, infine, riguarda le politiche di contrasto alla mafia e al crimine organizzato in generale. Occorre consolidare con provvedimenti legislativi gli incentivi alla denuncia, incoraggiare le vittime a contrastare il dominio violento dello spazio sociale nel quale si sviluppa la propria vita quotidiana. Restituire sotto forma premiale il coraggio di aver rotto il muro dell’omertà accompagnando le vittime a entrare 1. Vedi, Rapporto Antimafia, Per una moderna politica antimafia. Analisi del fenomeno e proposte di intervento e riforma, rapporto della Commissione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per l’elaborazione di proposte in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità; documento gennaio 2014, Roma (reperibile al sito www. governo.it), cit. p. 11. introduzione 25 nella trasparente dinamica economica del mercato assumendosi l’onere di concorrere mediante innovazione, ricerca, creatività, competizione, competenza. L’uscita dovrebbe prevedere una fase di transizione nella quale a fronte della denuncia e uscita da condizioni protette o imposte, si agevoli la vittima con l’affidamento di lavori pubblici, commesse, convenzioni inerenti, magari, lavori di ristrutturazione dei beni confiscati o interventi sul patrimonio acquisito o semplicemente con una fiscalità ridotta. Come si può comprendere si tratta di aprire forse una nuova fase nella lotta alle organizzazioni criminali di stampo mafioso e camorristico. Una fase più organizzata, coordinata, che certamente deve vedere e trovare lo Stato nelle sue diverse articolazioni presente e a capo dello schieramento sociale e civile che si è andato già costituendo ma deve rafforzarsi e la cui linfa sarà tanto maggiore quanto inarrestabile sarà la riflessività prodotta sui fenomeni e i comportamenti criminali. Max Horkheimer in un denso e breve testo Die Rackets und der Geist (Le espressioni del racket e lo spirito), scritto tra il 1939 e il 19422, espone quella che può definirsi la teoria del racket interpretato come espressione di ciò che più ampiamente inerisce i rapporti di dominio e il nesso esistente tra dominio e rinuncia. Egli sostiene che «la forma fondamentale del dominio è il racket» e lo identifica con la funzione e l’esercizio della protezione. Ogni forma di racket osserva solo la legge della propria auto-conservazione, entra in conflitto con ogni forma di universalizzazione delle “mediazioni”, (per es. le norme giuridiche, l’arte, la lingua), con ogni tendenza alla formalizzazione delle norme. Il racket è avverso alle mediazioni che, nel linguaggio del pensatore francofortese e sulla scia hegeliana, coincidono con lo “spirito”, ovvero con tutte quelle manifestazioni che ne permettono l’emancipazione attraverso l’universalizzazione dei diritti, l’apertura alle differenze, l’accettazione della specificità. Il racket è una tale forma di dominio che sacrifica i legami più intimi, quelli più cari. Instilla sfiducia verso le istituzioni, fecon2. Ripubblicato in un numero della rivista «Kainos», nuova serie, dedicato al tema della Malavita, n. 12, 20 gennaio 2014. 26 da paura, insicurezza, senso di illegalità, rinuncia all’esercizio della personale libertà, sfigura il sistema produttivo, l’economia, contrae l’iniziativa privata, mortifica il principio di libera concorrenza, toglie speranza al futuro. Se non si vuole cedere il passo al potere che i clan hanno di imbrigliare e contaminare la vita sociale di una comunità, non occorre inventare nuove parole per dare linfa alla reazione e all’impegno civico, bisogna solo agire, partecipare, vigilare perché progredisca in un senso più ricco la cittadinanza la cui articolazione di diritti-doveri delle persone e delle loro formazioni sociali non ha fondamento se privata del vettore dei diritti umani e se strangolata da ogni forma di dominio. La Campania negli ultimi anni non è proprio tra le priorità dell’agenda politico-governativa, né la sua interna classe dirigente sembra preoccuparsi dei rischi di regressione sociale che il tessuto economico e sociale manifesta. Alle molte discontinuità istituzionali non si può che contrapporre dal basso un orientamento fattivo che accoglie e interpreta la sfida che il crimine organizzato pone negando la dignità della persona il cui carattere trascendente non è riducibile ad alcuna forma storica di cittadinanza. Giacomo Di Gennaro Ringraziamenti La ricerca è stata svolta nell’ambito del Progetto PON Sicurezza per lo Sviluppo (Obiettivo operativo 2.4) nelle regioni dell’Obiettivo Convergenza 2007-2013, relativo all’asse “contrastare il racket delle estorsioni e dell’usura”. Terminata nel 2014 è stata realizzata sull’intero territorio campano e resa possibile grazie innanzitutto alla disponibilità dei dati messi a disposizione dalla banca dati dello SDI, Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza; dalla Procura Nazionale Antimafia, dalle sedi della Dia, dai Presidenti dei Tribunali della Campania, dalle Procure presso i Tribunali della regione, dalla banca dati della Fai (Federazione Antiracket Italiana). La ricerca non sarebbe introduzione 27 stata possibile senza l’impegno e la disponibilità di tanti magistrati, giudici, pubblici ministeri, funzionari delle forze di polizia e ufficiali dell’Arma dei carabinieri che hanno concesso il proprio tempo per la ricerca dei materiali giudiziari e la discussione degli obiettivi dell’indagine. A tutti un sincero ringraziamento e gratitudine per la collaborazione realizzata. Un ringraziamento anche a molte vittime che hanno dato conto attraverso i loro racconti dell’esperienza dell’estorsione, concedendo suggerimenti utili e orientamenti per le tracce dell’intervista. Motivi di riservatezza ci impediscono di fare i nomi sebbene molte delle loro testimonianze meriterebbero una cornice editoriale degna della valorizzazione delle sofferenze patite e del coraggio esibito. Siamo rammaricati, infatti, che molto del materiale acquisito non sia stato possibile refluirlo nella pubblicazione in conseguenza dei vincoli editoriali. Tuttavia proprio la ricchezza delle informazioni raccolte merita che si dedichi ad esse una pubblicazione specifica. Infine un grazie sentito alla generosa attenzione dei colleghi Riccardo Marselli e Francesca Di Iorio per i suggerimenti, la lettura e la validazione di molte elaborazioni fatte. Degli errori eventualmente presenti ne sono l’esclusivo responsabile. 28 Parte prima 1. Come spiegare origine, sviluppo e decadenzadel fenomeno estorsivo Giacomo Di Gennaro Premessa Chi si occupa di fenomeni criminali sa bene che quando si parla di crimini, di reati, di delittuosità se si vuole andare oltre le definizioni convenzionali per interpretare tali fenomeni occorre considerare diversi fattori: i processi legali e legislativi (con conseguente coerenza, razionalità ed efficacia del codice penale); le modalità con cui si esercita il controllo sociale o più semplicemente si fa rispettare la legge; le motivazioni dell’offender e quelle della vittima; il potere di istituzioni o gruppi sociali determinati di etichettare come “crimine” o atto deviante un’azione o comportamento; la riconoscibilità da parte di una collettività che un’azione, un atto, un comportamento non abbiano solo infranto il sentimento morale di un aggregato umano ma provocato un danno a una persona, a un’entità tangibile (un gruppo, una comunità, una collettività, un ambiente). Esistono, infatti, danni e costi sociali che ricadono sulla vittima in forme dirette e immediate, ma in forme indirette questi possono estendersi anche a un gruppo o addirittura a una collettività. Alcuni danni e costi sono quantificabili e misurabili con parametri e indicatori più precisi, altri sono di difficile misurazione, o perché appunto indiretti o perché immateriali. Possono avere ricadute brevi e costi che, invece, si propagano nel tempo su contesti territoriali specifici, su singoli settori economici, sulle istituzioni, su determinate categorie commerciali, imprese, ancorché sulle generazioni successive. E ciò ancor di più perché i reati di cui sono interpreti, per esempio, le organizzazioni criminali, hanno impatti differenti in ragione del come spiegare origine, sviluppo e decadenza 31 contesto economico e istituzionale in cui sono commessi. Pertanto, gli effetti di particolari reati, nel nostro caso l’estorsione, non sono il risultato esclusivo dell’intensità della presenza del crimine organizzato, ma si correlano alla presenza e diffusione dei mercati illegali e al tipo di struttura economica, finanziaria e sociale di riferimento. Inoltre, tale incidenza non è detto che sia costante nel tempo e può darsi che esista una soglia oltre la quale ogni ulteriore incremento dell’attività illegale implichi ulteriori effetti sull’economia e la vita sociale. Si dovrebbe intraprendere una direzione analitica dei danni e dei costi sociali prodotti da determinati crimini. Una sorta di agenda di studi ed evidenze empiriche di matrice zemiologica scandita da un programma che consideri gli effetti, per esempio, della presenza del crimine organizzato e i danni non solo economici procurati e solo a tutt’oggi accertati, con migliaia di morti, alle popolazioni locali in quei contesti denominati “Terra dei fuochi” (il triangolo tra i comuni di Acerra, Nola e Marigliano) o in altri da appurare ove il clan dei Casalesi ha fatto del ciclo dei rifiuti speciali e tossici (raccolta, trasporto, smaltimento) una soluzione di ragguardevoli profitti irriguardosa del disastro ambientale e sanitario prodotto1. Oppure che misuri con scan1.Vedi, commissione parlamentare d’Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti e sulle Attività Illecite ad esso connesse (2007), Relazione territoriale sulla Campania, relatori sen. Roberto Barbieri e sen. Donato Paglionica, doc. xxiii, n. 2, 13 giugno e doc. xxiii, n. 4, 20 dicembre; (2008), Relazione finale, doc. xxiii, n. 8, 28 febbraio. Inoltre, la documentata ricostruzione della vicenda in t. sodano, n. trocchia, La peste, Rizzoli, Milano 2010. Le recenti dichiarazioni di Carmine Schiavone, per anni cassiere della federazione criminale dei casalesi, sullo smaltimento dei rifiuti tossici, anche radioattivi, per verità messe a verbale già negli interrogatori del 1993, 1994, 1996 e nel 1997 in un’audizione, non più secretata, presso la commissione parlamentare e sulle mancate bonifiche dei siti inquinati da parte dello Stato, costituiscono un’ennesima riprova della ignominia connessa al traffico dei rifiuti tossici e l’interramento nelle cave di sabbia sul territorio che va dal Lago Patria fino a Mondragone, l’area sud della Terra di Lavoro, la zona nord-est dell’hinterland partenopeo nonché ampia parte dell’ex Asl Napoli 5 e l’ambito del Comune di Casal di Principe (Ce); vedi, xiii Legislatura, commissione parlamentare d’Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti e sulle Attività Illecite ad esso connesse, seduta di martedì 7 ottobre 1997, declassificato parte segreta 31 ottobre 2013, audizione del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone; nonché, Legambiente, Terra dei fuochi: radiografia di un ecocidio. I numeri, le responsabilità, le conseguenze sulla salute dei cittadini e le proposte di Legambiente, Roma 18 settembre 2013. 32 giacomo di gennaro sione più precisa di quanto già fatto, quale sia nei suoi effetti negativi il peso e la tipologia di influenza che il radicamento delle attività economiche illegali esercita sulle economie regionali e locali2. E che dire, poi, della corruzione: terreno ideale per l’infiltrazione delle mafie di ogni tipo. La corruzione politica, economica, amministrativa altera l’efficienza del mercato, di un servizio, di una prestazione. Contamina l’immagine della pubblica amministrazione, di un ente, una istituzione, un organismo di partito. Distorce le regole della concorrenza, della fiducia e inietta nell’organizzazione sociale e nella convivenza civile dosi di diffidenza, scetticismo, sospetto, cultura e profili morali dell’illegalità3. Si ha l’impressione che la corruzione sia un male della contemporaneità, ma in realtà non è così. Oggi se ne parla di più, emerge in forme e con dinamiche più frequenti perché si indaga di più su fatti ed eventi corruttivi, se ne misura la percezione, ma in realtà essa c’è sempre stata e inoltre stimare la corruzione reale e quantificarne i danni è cosa diversa da misurare la percezione che una collettività può avere di essa. Ci può essere corruzione senza mafia, ma sicuramente dove c’è la mafia c’è corruzione. 2. Una prima valutazione del rischio di vulnerabilità dei territori regionali del Paese connesso alla presenza del crimine organizzato e alle diverse fasi che ne scandiscono la crescita e lo sviluppo (accumulazione illegale; riciclaggio; investimento), è dato dal Rapporto 2001 su Criminalità, Economia e Finanza in Italia; vedi a riguardo d. masciandaro (a cura di), Crimine e soldi, Egea, Milano 2001. Sviluppi più recenti nella direzione delle ripercussioni della presenza criminale organizzata nei territori sono in c. detotto, m. vannini, Counting the Cost of Crime in Italy, in «Global Crime», vol. 11, 4, 2010, pp. 421-435; f. calderoni, Mythical numbers and the proceeds of organized crime: estimating mafia proceeds in Italy, in «Global Crime», vol. 15, 1-2, 2014, pp. 138-163. 3. Secondo il recente Libro Bianco sulla Corruption in Sanità, il costo stimato diretto della corruzione nel sistema sanitario italiano supera i 23 miliardi di euro, ai quali è difficile aggiungere i costi indiretti che l’inefficienza economica di molti servizi sanitari produce sulle altre dimensioni dell’economia nazionale; cfr. ispe-sanità, Libro Bianco sulla Corruption in Sanità, Roma 2014. Sugli effetti economici e istituzionali della corruzione si vedano m. arnone, e. iliopulos, La corruzione costa. Effetti economici, istituzionali e sociali, Vita e Pensiero, Milano 2005; A. Vannucci, Atlante della corruzione, Ega-Edizioni Gruppo Abele, Torino 2012; n. fiorino, e. galli, La corruzione in Italia, il Mulino, Bologna 2013; m. lisciandra, e. millemaci, A Panel Investigation on Corruption and Economic Growth: the Case of the Italian Regions, in «Rassegna Economica», 1, 2013, pp. 169-185. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 33 Un’agenda zemiologica fondata su un orientamento analitico che non sia unidirezionale, come se i danni fossero imputabili sempre e solo agli input dei clan di camorra o alle sollecitazioni di opportunità illegali provenienti dalle organizzazioni criminali. Come se la figura del criminale, del mafioso, del camorrista, pur se modificata nel tempo, coincidesse sempre e solo con esponenti delle classi marginali perché è da lì che vi si produce il “tipo”. No, occorre adottare un’ottica circolare, non convenzionale, bidirezionale che consideri la delittuosità come originata anche dai white collar crimes, dagli amministratori locali, dai funzionari e burocrati degli apparati pubblici, dagli imprenditori, dai professionisti, dal personale politico, dai rapaci di turno proprio perché la commistione dei servizi legali e illegali vede interagire in quella “zona grigia” attori del mercato legale con quelli del mercato illegale con cointeressenze che ne configurano l’inconfessabilità del legame. Insomma, una direzionalità che non sia solo generata da chi gode già di una attribuzione criminale. Si potrebbe continuare per molto perché molti crimini si affermano senza che chi li subisce sia considerato una vittima, così come molte vittime non denunciano i crimini che patiscono. Ci sono danni che spesso ci si affanna a renderli “astratti”, o intangibili in quanto connessi a quella sfera dei c.d. «crimini senza vittime» (secondo l’espressione di Edwin Schur 19714), la cui evidenza non riposerebbe nella sostanzialità del danno arrecato, ma nel controllo della riorganizzazione simbolica che una comunità o uno Stato compie dello stesso. 4. E. Schur, che aderisce alle teorie dell’etichettamento di H. Becker, ha usato l’espressione «crimini senza vittime» per indicare quei reati (droga, prostituzione, gioco d’azzardo, omosessualità, aborto e altre pratiche) la cui punibilità è determinata dall’esistenza delle leggi che vietano tali atti piuttosto che da una sostanzialità del diritto penale. Sono crimini che non producono vittime se non per effetto della rappresentazione di uno Stato o di una comunità astratta che verrebbe offesa; cfr. e.m. schur, Labelling Deviant Behaviour, Harper & Row, London 1971. Le analisi vittimologiche stanno cercando di ridefinire e riempire i vuoti lasciati dagli approcci interazionistici, specie per quei reati (es. inquinamento ambientale, reati predatori, estorsioni, usura, aggressioni, violenze verso le donne, ecc.) in cui è elevato il numero oscuro, proprio perché non denunciati e quindi non registrati. 34 giacomo di gennaro I fenomeni criminali sono l’esito, pertanto, di molti fattori spesso indicati come push o pull factors che si combinano con la motivazione del soggetto, con il significato che egli attribuisce all’azione compiuta, con le scelte che intraprende, con le caratteristiche della vittima. Proprio il significato assegnato alle proprie azioni e le caratteristiche della vittima sono oggi tanto più importanti da capire perché molti atti o comportamenti illegali, oltretutto, essendo diventati di routine o essendo una componente stabile di molta parte della società organizzata, sono apprezzati presso molti gruppi o aree della società al punto che vengono declassati a pure offese morali. Vieppiù: le retoriche della crisi, della società liquida e della dimensione virtuale del sociale hanno messo in scena una configurazione così frammentata della soggettività umana che anche quando parliamo di cos’è un crimine o cosa sia un atto criminale sembra che il significato sia divenuto ambivalente o rifletta una sorta di metonimia dipendente dagli orientamenti morali. Ciò appare tanto più vero nella nostra contemporaneità in quanto è presente in ciò che chiamiamo fenomeni criminali una intrinseca complessità di fattori o multidimensionalità di aspetti che impedisce di circoscrivere il quadro interpretativo a una sola teoria dal momento che rilevanti sono gli elementi patogenetici o patoplastici presenti nel contesto ove si consuma un’azione criminale. Ecco perché una teoria può essere valida per la spiegazione di un crimine ma non per un altro. Non è un caso che la criminologia contemporanea ha abbandonato l’idea positivistica di elaborare una eziologia del comportamento criminale, sostituendo questa visione universale della spiegazione dei crimini con una più parziale fondata sulla spiegazione di tipi specifici di reati e correlandoli – attraverso questa sempre più affinata impostazione – a un mix determinato di fattori. L’attenzione ai fenomeni criminali, inoltre, deve essere più profonda oggi perché molti crimini sono connessi a nuovi fattori, nuovi impulsi, nuovi profili di autori che li producono, nuove vittime. In più se si pensa ai crimini delle organizzazioni criminali non si può non considerare l’enorme modificazione che il processo di globalizzazione ha provocato generando per esse nuove come spiegare origine, sviluppo e decadenza 35 condizioni e opportunità istituzionali, economiche e sociali che ne hanno favorito la diffusione, l’infiltrazione e il radicamento in nuovi territori. Le riflessioni degli ultimi anni sui fenomeni criminali condividono ormai l’assunto che tali manifestazioni e i comportamenti devianti non sono separabili dai fenomeni sociali locali e globali, tanto meno da un’analisi più profonda e articolata, come propone De Maillard, sulla crisi degli Stati e delle forme politiche moderne. Egli sostiene che «l’espansione indefinita e universale della criminalità, la sua diffusione nel tempo e nello spazio attraverso processi continui, la sua penetrazione nelle sfere dell’economia, della finanza e della politica, mutano completamente la questione. Si scopre con stupore e sconcerto che la delinquenza e la criminalità sono diventate le modalità di formazione di plusvalore, delle strategie per l’acquisizione di posizione di potere assai diffuse e generalizzate, in quanto costituiscono le attività economiche più redditizie e assumono dimensione planetaria. Tali attività hanno ormai da tempo cessato di riguardare solo i gruppi marginali e le classi pericolose. Inoltre non possono più essere considerate come espressione di comportamenti meramente individuali dissociabili dal funzionamento dei contesti sociali in cui si radicano, ossia l’economia, la finanza e il potere. Le pratiche criminali, infatti, sono diventate una delle modalità di funzionamento di tali ambiti. Prendere coscienza significa quindi fare i conti con lo sconvolgimento delle nostre categorie mentali più consolidate»5. C’è una dimensione locale che offre elementi esplicativi circa l’origine dei fenomeni criminali organizzati, ma c’è una nuova versione transnazionale che conferisce a molti reati e traffici criminali una dimensione inedita che non solo non può essere bypassata, ma necessariamente deve essere analiticamente rappresentata e spiegata perché si basa su quella sotterranea, mimetica capacità che le diverse mafie hanno maturato di tessere reti affaristiche e strategie di collegamento con ambien5. j. de maillard, Il mercato fa la sua legge. Criminalità e globalizzazione, Feltrinelli, Milano 2002, pp. 18-19. 36 giacomo di gennaro ti economici, politici, finanziari per generare nuove e migliori opportunità idonee a farle prosperare. D’altra parte ogni tipo di società, ovvero di organizzazione sociale produce dal suo interno la forma sociale che va assumendo la criminalità e la devianza. Certo, resta ancora problematico trovare un accordo metodologico e concettuale su cosa intendere per crimine organizzato in ragione di quel carattere fluido e polisemico che, come ha indicato Costantino, è l’esito «delle dimensioni semantiche delle definizioni politiche, legislative e applicative delle sue manifestazioni»6. Tuttavia, proprio i limiti registrati negli approcci economici rational e in quelli sociologici e criminologici impongono sforzi di integrazione delle acquisizioni teoriche e concettuali più efficaci raggiunte negli ultimi tempi in base anche alle nuove evidenze empiriche, in modo da sviluppare modelli interpretativi più aderenti alla realtà e idonei a formulare una più adeguata e selettiva costruzione e implementazione di politiche pubbliche preventive e di contrasto. La ricerca di un modello integrato sarà utile sia per superare un’analisi monodimensionale e riduzionista del fenomeno che per oltrepassare l’impasse metodologica qualità versus quantità celebrata quale esito spesso di confini teorici concettualmente rigidi (talvolta astratti) con un corrispettivo rigido uso di tecniche e metodi che non facilitano la cooperazione e l’integrazione. 1.1 L’attività estorsiva: una forma illegale di primaria accumulazione L’attività estorsiva, specie quella praticata dalle organizzazioni criminali di camorra, racchiude, per verità, molti degli elementi fin qui richiamati. Per tale fenomeno non abbiamo uno specifico e lungo corso di studi e ricerche contemporanee. Esso, in genere, è stato inquadrato nell’ambito sociologico nella più ampia 6. s. costantino, Criminalità e devianze. Società e divergenze, mafia e Stati nella seconda modernità, Editori Riuniti, Roma 2004, p. 282. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 37 analisi dell’origine delle organizzazioni mafiose, nel carattere violento di alcuni ceti dominanti, nella funzione che tale risorsa garantisce ai fini del controllo territoriale, o come risorsa economica costante utile al mantenimento della struttura associativa. Ciò che anche sul piano giuridico è avvenuto al di là del contemplato dell’art. 629 del codice penale che colloca il reato nell’ambito delle norme a tutela del patrimonio è stato oggetto solo negli ultimi anni di riflessioni più proprie della dottrina che dell’analisi criminologica e sociologica7. L’evoluzione e la dinamica complessa che le diverse sfaccettature contempla la fattispecie delittuosa sono state oggetto, infatti, di approfondimenti giuridici e dottrinari connessi agli affiancamenti che derivano dall’esame degli artt. 110 e 416 bis c.p. che ne rilevano il carattere ascrivibile alla criminalità organizzata e l’introduzione dell’art. 2 comma 19, l. n. 94/2009 che ha introdotto una sorta di obbligo di collaborazione con l’Autorità Giudiziaria a carico dell’imprenditore vittima dei reati di cui agli artt. 317 e 629 c.p. aggravati ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. 13 del 1991 n. 152 convertito con modificazioni nella legge n. 203/1991. L’opera progressiva di tipizzazione giurisprudenziale e normativa è proseguita con la recente introduzione della legge n. 62 del 17 aprile 2014 che ha apportato modifiche al già introdotto art. 416 ter c.p. con il d.lgs. 8 giugno 1992, n. 306 il quale già apprestava, modificando il 416 bis l’esigenza di disciplinare il fenomeno dello scambio elettorale politico-mafioso. La ricostruzione dei confini normativi della fattispecie delittuosa estorsiva assume una rilevanza oltretutto sociologica specie se coglie i differenti aspetti e le connessioni che derivano da un lato, da ciò che è l’esperienza dell’associazionismo antiracket e antiusura, alla quale è connessa una importante e utile 7. r. scarpinato, Sistemi criminali, in «Questione Giustizia», 3, 2008, pp. 151-167. Ancora in un recente manuale di criminologia, per esempio, gli autori dedicano molta attenzione a diversi reati contro il patrimonio nonché a reati violenti e alla criminalità economica. Pur trattando, sebbene sinteticamente la criminalità di stampo mafioso non vi è alcuna attenzione e riflessione circa l’attività estorsiva. Vedi, a. balloni, r. bisi, r. sette, Manuale di Criminologia, vol. ii, Clueb, Bologna 2013. 38 giacomo di gennaro legislazione per tutelare le vittime e incoraggiare le denunce8. Dall’altro, proprio sotto il profilo dell’analisi vittimologica i casi di estorsione come di usura praticati dalle organizzazioni criminali di tipo mafioso delineano una “plurioffensività” di questi reati che trascende l’immediata ed esclusiva lesione patrimoniale. Non è un caso che l’acquisizione probatoria nei reati di cui indicato si rende più difficoltosa per effetto della pressione psicologica cui è sottoposta la vittima e la paura che essa percepisce per l’incolumità propria e della sua famiglia. Da qui la rilevanza anche giuridica della costituzione di parte civile nei processi delle associazioni antiracket e antiusura il cui supporto ancorché psicologico è importante nelle fasi dibattimentali ai fini dell’assunzione di responsabilità da parte della vittima, nonché di estensione della fiducia e tutoraggio nell’intero processo di normalizzazione dell’attività economica e della vita quotidiana per uscire dai danni che l’evento ha procurato9. Occorre partire dal presupposto che con o senza mafia l’estorsione genera un danno. Quando l’estorsione è occasionale e realizzata in un ambito privato (es. il figlio che estorce danaro al padre per una dose di droga) ancorché la violazione di un diritto patrimoniale, si configura una indubbia lesione dell’integrità psicologica della vittima e comunque una lacerazione della sua identità morale. Quando, invece, ci occupiamo di estorsione e usura connessa ai gruppi mafiosi, esse generano danni sociali così plurimi che vanno oltre la relazione diretta rispetto alla 8. Il riferimento è alla legge 23 febbraio 1999, n. 44 “Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura” e alla legge n. 512/1999 che ha istituito il Fondo di Rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso. Importante è anche la nuova norma art. 2, comma 19, legge 15 luglio 2009, n. 94, “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, che interviene colpendo chi, essendo acquiescente, usufruisce di una posizione di vantaggio nell’acquisizione di opere pubbliche rispetto ad altri. La norma ha una funzione di riequilibrio delle posizioni nella concorrenza sul mercato. Colpisce chi grazie alla convivenza distoglie risorse della comunità a vantaggio di organizzazioni mafiose. Chi si aggiudica un appalto, ad esempio per costruire un ospedale, e paga il pizzo, utilizza soldi dei cittadini per finanziare la mafia. 9. t. grasso, Racket e antiracket a Napoli, in g. di gennaro, a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità. Camorra ed estorsioni in Campania, il Mulino, Bologna 2010, pp. 283-332. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 39 vittima e ai suoi familiari, in quanto non solo hanno un carattere silente ma chi le subisce, spesso, non denuncia. Sono tipi di reati che condizionano l’economia, riducono gli investimenti, generano interconnessioni con altre attività illegali lucrose, alterano il senso di sicurezza di un territorio. Il reato estorsivo oltre ad avere una intrinseca natura illegale e un forte carattere sommerso, si nutre di condizioni ove è rilevante l’esito variabile dell’interazione tra i seguenti fattori: a) soggezione della vittima; b) grado di ricattabilità della stessa; c) modalità di consumo dell’evento; d) tipologia di settore economico e mercato del lavoro locale; e) radicamento nel territorio del gruppo criminale e proprio modello organizzativo; f) livello di presenza ed estensione sul territorio di attività economiche illecite, illegali, criminali; g) livello di disgregazione dei tessuti sociali locali; h) efficacia delle politiche di prevenzione, di sicurezza, delle strategie investigative, delle risultanze giudiziario-processuali; i) capacità associativa, organizzativa e di mobilitazione delle vittime e delle comunità locali che come stakeholder sono titolari di diritti lesi e di interessi che attengono anche al comune bene della legalità. Studiare e analizzare il fenomeno estorsivo è complicato: perché, innanzitutto, occorre fondare ogni interpretazione, anche se riguarda la dinamica di particolari reati, su un impianto metodologico rigoroso che fornisca ancorché l’esplicitazione del percorso adottato e la controllabilità del risultato, la base per l’acquisizione sia di informazioni quantitative sia qualitative attraverso fonti ricostruttive diverse. Ciò perché sulla scia dell’insegnamento weberiano, la conoscenza del mondo sociale non può che essere intesa come conoscenza anche del mondo cognitivo dell’attore sociale. Esso è davvero conoscibile solo se si fanno parlare le persone senza imporre loro vincoli di modalità espressiva. Inoltre, perché la difficoltà di costruire un’accurata analisi su un tale accadimento deriva dal fatto che non è possibile affidarsi solo all’informazione statistica, non solo perché, per quanto dettagliate, restano sempre parziali e non scevre di errori. Basti pensare che ancora oggi in Italia manca una banca dati unica corrispondente alla verifica tra l’autorità 40 giacomo di gennaro giudiziaria e l’autorità giudicante. Ma, innanzitutto, perché un adeguato approfondimento che stilizzi la correlazione tra modello organizzativo del gruppo criminale e modalità di richiesta, entità della stessa, tipologia di richiesta, dimensione spaziale dell’influenza territoriale del gruppo, modalità di adescamento e poi adesione della vittima, significato attribuito all’azione delittuosa dal reo, numero di soggetti coinvolti, funzione del delitto. Insomma, questi e altri aspetti correlati al fenomeno estorsivo non sono decifrabili attraverso l’informazione statistica ma necessitano di indagini vittimologiche appropriate fondate su interviste non direttive, nonché approfondimenti su materiali giudiziari. Purtroppo il livello di sinergia anche per soli fini scientifici con la magistratura inquirente è ancora delegato alla sensibilità del singolo magistrato e trova difficoltà a dispiegarsi come attività programmatica per rendere più efficaci i modelli di prevenzione e contrasto a riguardo di alcuni reati. Nonostante i limiti richiamati, l’analisi sul fenomeno delle estorsioni in generale e in Campania in particolare, non parte da zero. Innanzitutto, perché questo lavoro è stato preceduto da un altro che, tra il 2009 e il 2010, pur concentrandosi sulle esclusive aree metropolitane di Napoli e Caserta ha messo in risalto per la prima volta, con una impostazione metodologica quanti/qualitativa, sia la stima del prelievo di risorse realizzate attraverso l’attività estorsiva diretta, sia la descrizione e la classificazione qualitativa di alcuni comportamenti illegali, anzitutto degli appartenenti alle organizzazioni criminali di stampo mafioso, attraverso l’analisi di atti giudiziari, procedimenti giudiziari, sentenze, ordinanze, analisi testuali di intercettazioni telefoniche e ambientali, analisi statistiche dei dati acquisiti, interviste semistrutturate a testimoni privilegiati. In particolare, si possono indicare in quattro sintetiche fasi e relativi risultati i passaggi fondamentali che hanno caratterizzato l’intera ricerca sull’influenza della camorra in Campania e il peso delle estorsioni10. 10. Il riferimento è a g. di gennaro, a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità, cit., pp. 17-40. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 41 Primo passaggio: ricostruzione dei sodalizi criminali campani operanti nelle due aree e analisi delle forme di influenza esercitate attraverso le diverse attività illegali. Sapevamo già molto sulle condotte dei camorristi in relazione ai propri patrimoni e alla proprie eventuali attività imprenditoriali, nonché alle modalità seguite nella manipolazione di appalti. L’attenzione è stata fissata sulle interferenze effettuate da questi nei confronti dell’attività di soggetti che non sono né camorristi né collusi. Ad esempio, le modalità di richiesta, la quantificazione e riscossione del pizzo, l’imposizione di prodotti o fornitori, di assunzioni, commesse, l’acquisizione di prodotti, l’uso gratuito di beni. L’obiettivo è stato quello di costruire condotte tipiche in relazione ai vari aspetti ritenuti rilevanti (come ad esempio dimensioni dell’impresa, settore produttivo, localizzazione, atteggiamento dell’imprenditore nei confronti degli estorsori, comportamento delle altre vittime). Oltre a magistrati e operatori delle forze dell’ordine, sono stati sentiti, mediante interviste in profondità, commercianti vittimizzati, collaboratori di giustizia, imprenditori che avevano già denunciato in modo pubblico l’estorsione (i quali pertanto si possono ritenere ben più attendibili rispetto all’operatore economico medio, possibilmente esposto all’intimidazione e come tale controinteressato a parlarne), subendo di conseguenza costi notevoli a carico delle proprie aziende. Secondo passaggio: creazione di un data-base comprendente i casi di estorsioni tentate e consumate nell’area delle due province campane in un arco temporale che copre circa vent’anni (1990-2009) e che sono emerse dall’analisi del materiale giudiziario. Si tratta di oltre 1.124 atti giudiziari dai quali sono stati depurati i reati di estorsione personale (es. “cavallo di ritorno”) o quelli privi di intercettazioni telefoniche o ambientali, le cui caratteristiche salienti sono state riportate su una scheda di rilevazione. Questo prezioso data-base, la cui costruzione è stata alquanto laboriosa, ha reso possibili le elaborazioni successive. In particolare, è stato indicato l’importo del pizzo che viene richiesto alle imprese ritenute tipiche, distinte per settori di attività, collocazione geografica, dimen42 giacomo di gennaro sioni del fatturato e del numero di addetti, su territori ritenuti anch’essi tipici. Va sottolineato che l’insieme di casi così ottenuto non costituisce un campione probabilistico. Se vi fosse, come in effetti si è avuto, un numero di casi maggiore in una provincia e minore in un’altra, ciò potrebbe dipendere, in parte, dall’intensità e dallo stato di avanzamento delle indagini e della disponibilità dei materiali e non solo dalla maggiore o minore presenza del fenomeno criminale. D’altra parte non è un campione autoselezionato ove è presente il rischio che chi ha deciso di rispondere al questionario o all’intervista sia soltanto o prevalentemente un certo tipo di soggetto (ad esempio un imprenditore che già aderisce a un’associazione antiracket), con corrispondente sottorappresentazione o esclusione di altri segmenti della popolazione. Inoltre, le informazioni apprese si fondano su osservazioni empiriche talmente robuste da non essere scalfite neppure dalle dichiarazioni in senso contrario che talvolta si sono avute da parte di imprenditori reticenti (per paura o altre ragioni), che pure sono stati vittime del pizzo. Il quantum del pizzo, ad esempio, o le modalità della richiesta risultano indicate senza possibilità di vaghezza, sottovalutazione o esagerazione. Si può quindi asserire, viste l’affidabilità dei mezzi di rilevazione e la quantità dei casi, che, allo stato, questa si presenti come la migliore – o meno peggiore – base empirica realizzabile in relazione al fenomeno studiato. Terzo passaggio: ricognizione dei dati ufficiali disponibili relativi alla situazione del tessuto imprenditoriale campano, alle dimensioni e alla contendibilità dei vari mercati, al numero e alle caratteristiche delle imprese ivi operanti, suddivise in gruppi omogenei di dimensioni note. Tale suddivisione in gruppi si è resa necessaria, dal momento che i costi non risultano uguali per i diversi tipi di esercizi economici. Per le imprese, ciò è causato da fattori quali le differenze nella dimensione o nell’ubicazione, la natura del processo di produzione e le diverse soluzioni tecnologiche utilizzate. La suddivisione in gruppi serve a effettuare stime separate dei costi per ciascun gruppo di soggetti (ad esempio: grandi e piccole imprese, o imprese di un certo settore produttivo). come spiegare origine, sviluppo e decadenza 43 Quarto passaggio: produzione di una stima quantitativa (attraverso l’incrocio tra risultanze dell’analisi qualitativa con dati tra cui quelli relativi ai costi per tipi di impresa, al numero di imprese esistenti per settore economico, alle caratteristiche dei mercati, alla dislocazione delle attività sul territorio) dell’impatto economico della criminalità camorristica e di altre forme di illegalità, per tipi di impresa e per settore produttivo. È stato stabilito un percorso di analisi sperimentato su alcuni casi, ambiti e settori produttivi. È stata adottata ogni cautela nella formulazione di stime e cifre, segnalando volta per volta l’iter seguito, i margini di incertezza, la pertinenza delle informazioni. Una strategia analoga si potrebbe seguire per descrivere e quantificare anche altre attività illegali della camorra, come ad esempio il narcotraffico, l’usura, la contraffazione, il gioco d’azzardo e così via. Altre forme di illegalità particolarmente gravi, tali da giustificare l’uso di tecniche investigative così intrusive (come alcune forme di “grande” corruzione), potrebbero anch’esse venir studiate avvalendosi di materiali giudiziari, se questi dovessero essere abbastanza rilevanti e numerosi. È opportuno sottolineare che ragioni di reiterazione dell’impianto metodologico e tecnico, di raffinamento delle tecniche di rilevazione, trattamento e analisi delle informazioni, correttezza della comparazione, rispetto dei confini di un oggetto conoscitivo, vincoli temporali, finanziari, gestionali e strumentali, hanno portato l’intera équipe di ricerca campana e la Fondazione Chinnici che ha sostenuto la ricerca, a indicare fin dall’inizio la necessità di dedicare almeno parte dei contributi e della rilevazione che li ha resi possibili al tema delle estorsioni esistendo l’esigenza di incastrarlo in un’attenta analisi del quadro evolutivo del fenomeno estorsivo in prospettiva comparata essendo già esistente un analogo approccio sperimentato in una precedente ricerca sul caso siciliano11. Tuttavia, rispetto al precedente studio due novità sono state introdotte: a) una quota del materiale giudiziario reperito per 11. a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità. Mafia ed estorsioni in Sicilia, il Mulino, Bologna 2008. 44 giacomo di gennaro lo scopo prima indicato è stata utilizzata metodologicamente, per la prima volta, nel caso di uno studio di carattere anche criminologico, per l’analisi testuale basata sulla selezione di un totale di 2.248 intercettazioni telefoniche e ambientali acquisite da 438 atti giudiziari, con lo scopo di individuare e approfondire temi e relazioni tra significati lessicali che rimandano a determinate azioni (fatte o da intraprendere), gestione di ruoli, appartenenze a clan, riferimenti territoriali, trasmissione di ordini ecc. Si è fatto ricorso a due tipi diversi di software (il T-Lab e il Taltac 2.10)12; b) essendo venuta alla luce una stretta relazione tra l’attività estorsiva dei clan e l’attività usuraria, si è deciso di prestare una certa attenzione anche al fenomeno dell’usura, pur nella consapevolezza che si è trattato solo di un accenno al tema del ricorso al credito illegale. Le conclusioni a cui pervenivamo ne I costi dell’illegalità è che l’estorsione praticata in Campania conserva ancora un carattere parassitario perché da un lato, è praticata su attività ricattabili (in quanto a loro volta esercitate nell’illegalità e facilmente soggette all’osservazione criminale), dall’altro, però è prodotta anche come attività di controllo ed esercizio del potere territoriale, ovvero come protezione. Nel primo caso garantisce una funzione redistributiva nei confronti delle masse marginali e di quanti sono disponibili al reclutamento, nel secondo caso è una necessità funzionale al radicamento territoriale e a determinare il profilo di stabilità del clan. Tant’è che gruppi più consolidati e con una long crime history praticano in forma di subappalto l’estorsione imponendo al gruppo 12. Si tratta di programmi utilizzati nella pratica della ricerca “qualitativa”; ovvero, d’analisi semiautomatica testuali ispirati all’approccio lessicometrico che trovano origine nel lavoro francese di Jean-Paul Bénzécri (id., L’analyse des données, Dunod, Paris 1973) e sviluppati, con l’ausilio di tecniche statistiche e lessicali, per analizzare le parole e le loro relazioni all’interno del testo. Sono softwares particolarmente appropriati per l’analisi sistematica di testi di ampie dimensioni (nel nostro caso le intercettazioni telefoniche) o di domande aperte e permettono l’estrazione di contenuti del discorso e le principali differenze tra le diverse categorie di intervistati, attestando in via indicativa la frequenza e la rilevanza di ciascun tema; vedi g. losito, L’analisi del contenuto nella ricerca sociale, in l. cannavò, l. frudà (a cura di), Ricerca sociale. Tecniche speciali di rilevazione, trattamento e analisi, Carocci, Roma 2007, cap. v, pp. 117-132 e f. della ratta-rinaldi, L’analisi testuale computerizzata, in ivi, pp. 133-152. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 45 affidatario una tassa e riducendo così i rischi e ottimizzando i risultati. La frammentazione dei clan e l’incertezza che l’elevata densità determina conferisce quel carattere specifico di attività violenta che non è parte della storia dell’intera mafia. Il carattere daziario dell’attività estorsiva specie dei clan napoletani è la forma più diretta ed elementare di accumulazione primitiva della ricchezza. L’attività estorsiva, almeno nelle due aree analizzate, si presenta, quindi, con una modalità in cui l’elemento predatorio rispetto alla funzione protettiva incide in misura più elevata rispetto alla Sicilia e tale carattere è maggiore nell’ambito cittadino ancorché in quello provinciale13. A quattro anni dalla pubblicazione di questo lavoro che ha fornito per la prima volta un quadro più compiuto del fenomeno estorsivo in Campania e basando l’intera analisi su un impianto metodologico rigoroso quanto esplicito sul percorso adottato e la controllabilità del risultato, eccoci di nuovo con una ulteriore riflessione che sia per estensione geografica, sia per elaborazione di nuovi obiettivi ci restituisce una declinazione ancora più chiara dell’attività estorsiva che, come si sa, distingue il profilo criminale di un gruppo dedito alle attività illegali più di ogni altro reato o comportamento criminale. La riflessione inevitabilmente ha toccato anche le modificazioni storiche di tale attività, il tema delle forme organizzative dei clan e il rapporto che essi hanno con i territori ove sono insediati. I risultati raggiunti hanno confermato alcune precedenti acquisizioni ma disvelano anche molti aspetti nuovi che non riguardano solo il tema del controllo territoriale, bensì la 13. Il carattere predatorio di cui si parla in questa sede coincide con quello di cui parla Lupsha che distingue in tre i gradi di sviluppo della criminalità organizzata: predatorio, parassitario e simbiotico. Nella fase predatoria la criminalità è essenzialmente una forma di gangsterismo urbano: usa la violenza soprattutto in modo difensivo per eliminare i nemici e per il controllo del territorio. In effetti questo carattere convive, a nostro avviso, con quello più specificamente protettivo descritto da Gambetta. Vedi p.a. lupsha, Organized Crime in the United States, in r. kelly (eds.), Organized Crime: An International Perspective, Rowman and Littlefield, Totowa, nj 1986; id., Transnational Organized Crime versus the Nation State, in «Transnational Organized Crime», vol. ii, 1, 1996, pp. 21-48; p.a. lupsha, s.a. pimentel, The Nexus Between Crime and Politics: Mexico, in «Trends in Organized Crime», 3, 1, 1997, pp. 65-67. 46 giacomo di gennaro stessa entità estorsiva praticata sia sulle attività economiche legali sia sulle attività tipiche dell’economia sommersa o caratterizzate dall’irregolarità e presenza di esclusivo lavoro nero. La tipologia estorsiva così come emerge e la relazione esistente tra forma organizzativa del clan e la pratica estorsiva conferiscono all’analisi del fenomeno aspetti che accertano dimensioni che possono essere molto utili per le azioni sia di prevenzione che di contrasto. 1.2 Da dove partire per spiegare l’origine e lo sviluppo dell’attività estorsiva Prima di addentrarci nell’analisi e comparazione dei dati sul fenomeno delle estorsioni, vi è la necessità di fornire qualche risposta a qualche interrogativo di fondo connesso al fenomeno. Come si spiega l’estorsione come attività specializzata e in che misura essa è all’origine delle organizzazioni mafiose. Come si è sviluppata, consolidata e quali sono i moderni caratteri che va assumendo l’attività estorsiva. Un primo aspetto da cui si può partire e che ha segnato una linea interpretativa elaborata per spiegare l’originaria precondizione che ha favorito la nascita dei gruppi mafiosi attiene l’offerta di protezione. Non pochi autori, sulla scia delle intuizioni di Franchetti prima e Landesco dopo, hanno sostenuto che se c’è una proprietà specifica che si può attribuire alla mafia siciliana, alla ’ndrangheta e alle diverse mafie (quella italo-americana, quella russa, le Triadi di Hong Kong, la Yakuza giapponese) è che esse sono organizzazioni specializzate nella fornitura di protezione14. Ovvero, la protezione offerta dalle organizzazioni 14. Su questo vedi, a. graebner anderson, The Business of Organized Crime. A Cosa Nostra Family, Hoover Institution Press, Stanford, CA 1979; p. reuter, Racketeers as Cartel Organizers, in h. alexander, g. caiden (eds.), Political and Economic Perspectives on Organized Crime, Lexington, Mass. D.C. Heath 1984, pp. 49-65; ora anche in f. varese (eds.), Organized Crime. Critical Concepts in Criminology, Routledge, London and New York, vol. iii, 2010, pp. 153-167; id., Racketeering in Legitimate Industries. A Study in the Economics of Intimidation, The Rand Corporation, Santa Monica, ca 1987; f. sabetti, Village Politics and the Mafia in Sicily, Mc Gill-Queen’s University Press, Montreal e come spiegare origine, sviluppo e decadenza 47 mafiose si presenta come un servizio reso sia in termini di sicurezza, sia per eliminare nei rapporti economici la concorrenza, sia, infine, per regolare i rapporti sociali garantendo il riconoscimento di diritti che vengono elusi da alcuni contro altri15. La protezione, pertanto, si trasforma in un bene che viene offerto nella sfera dei rapporti economici e in quelli sociali. Ci sono condizioni che generano maggiormente l’affermarsi di una iniziale domanda di questo bene, altre, invece, che ne determinano l’iniziale offerta. Tuttavia, le organizzazioni criminali quando si dedicano all’attività estorsiva producono effetti così negativi e perversi da non ricadere esclusivamente e direttamente sulla vittima, ma si estendono su collettività e tessuti socio-economici più ampi perché mediante essa l’attività criminale si evolve e si estende verso una pluralità indeterminata di reati-scopo (commercio stupefacenti; gestione sale da gioco e scommesse; contrabbando Tle; controllo lavori pubblici; usura), ovvero, attività che non solo sono fonte di ingenti proventi che vengono Kingston, London Ithaca 2002 (1a ediz. 1984); c. tilly, War Making and State making as organized crime, in p. evans, d. rueschemeyer, t. skocpol (eds.), Bringing the State Back In, Cambridge University Press, Cambridge 1985, ripubblicato in f. varese (a cura di), Organized Crime, Routledge, London and New York, vol. i, 2010, pp. 334-352; d. gambetta, Fragments of an economic theory of the mafia, in «European Journal of Sociology», vol. 29, 1, 1988, pp. 127-145, ora anche in f. varese (a cura di), Organized Crime, cit. vol. i, pp. 353-69; id., Mafia: i costi della sfiducia, in d. gambetta (eds.), Le strategie della fiducia. Indagini sulla razionalità della cooperazione, Einaudi, Torino 1989; Id., La mafia siciliana. Un’industria della protezione privata, Einaudi, Torino 1992; g. fiandaca, s. costantino (a cura di), La mafia, le mafie. Tra vecchi e nuovi paradigmi, Laterza, RomaBari 1994; y.k. chu, The Triads as Business, Routledge, London e New York 2000; f. varese, Is Sicily the future of Russia? Private protection and the emergence of the Russian mafia, in «Archives Européennes de Sociologie», n. 35, 1994, pp. 224-58; id., The Russian Mafia. Private Protection in a New Market Economy, Oxford University Press, New York 2001; id., How mafias migrate: The case of the ’Ndrangheta in morthern Italy, in «Law and Society Review», xl, 2, 2006, pp. 411-44; id., Mafie in movimento. Come il crimine organizzato conquista nuovi territori, Einaudi, Torino 2011; b. alexander, The Rational Racketeer. Pasta Protection in Depression Era Chicago, in «Journal of Law and Economics», vol. 40, 1, 1997, pp. 175-202; s. skaperdas, The political economy of organized crime: Providing protection when the state does not, in «Economics of Governance» 2, 3, 2001, pp. 173-202; p.b.e. hill, The Japanese Mafia: Yakuza, Law and the State, Oxford University Press, Oxford 2003. 15. f. sabetti, Stationary Bandits. Lessons from the Practice of Research from Sicily, in «Sociologica», 2, 2011, Doi: 10.2383/3587; p. wang, The Chinese mafia: private protection in a socialist market economy, in «Global Crime», vol. 12, 4, 2011, pp. 290-311. 48 giacomo di gennaro investiti in ulteriori attività economiche illecite, nonché nella costituzione di imprese per l’esercizio di attività commerciali su diversi territori (dal locale al nazionale) e talvolta all’estero, ma sono funzionali all’esercizio della sovranità territoriale che intanto si va affermando perché è alimentata da un patrimonio di conoscenze necessarie per agire successivamente da intermediario nel mondo degli affari e della politica. Cerchiamo di vedere da vicino questi aspetti. Un primo punto di partenza può essere la cumulazione analitica che si è sviluppata sull’origine della mafia e di organizzazioni criminali similari in varie parti del mondo. Molti contributi teorici ed empirici sono in linea con quella che è stata denominata la “property-rights theory”16. In sintesi questa prospettiva sostiene che il processo di accumulazione illegale parte dall’attività di protezione privata che, in generale, si origina o per assenza (o debole presenza) di una condizione di tutela dei diritti di proprietà da parte dello Stato il quale si mostra incapace, con la fine del feudalesimo, di risolvere e regolare controversie diverse. A questa tardiva capacità si associa la presenza di un banditismo diffuso e una condizione di sfiducia generalizzata che stimola la formazione di quella che Gambetta ha definito la “nuova industria specializzata in protezione”17. I gruppi mafiosi intercettando la sfiducia delle popolazioni locali si specializzano nell’introdurre nel tessuto sociale dosi calcolate di sfiducia in modo da mantenere viva la domanda di protezione. Essi attenuano l’incertezza che circonda il mercato e il tessuto sociale proprio perché manca l’esternalità della fiducia, ma, ovviamente, hanno interesse ad assicurarsi che tale condizione 16.Vedi f. varese, Mafie in movimento, cit., p. 261; o. bandiera, Private states and the enforcement of property rights: theory and evidence on the origins of Sicilian mafia, in «Journal of Law, Economics and Organization», xix, 1, 2003, pp. 218-244; p. buonanno, r. durante, g. prarolo, p. vanin, On the Historical and Geographic Origins of the Sicilian Mafia, Munich Personal RePEc Archive (mpra), paper No. 37009, posted 29 February 2012 16:29 utc. In effetti questa tesi parte dalle osservazioni di Franchetti e riprese da D. Gambetta il quale spiega l’origine della mafia siciliana tra gli inizi e la metà dell’Ottocento come risposta a una transizione imperfetta e rapida da una economia agricola feudale a una di mercato moderna necessitante sicurezza statale, ordine, rispetto della legge e delle regole del mercato; vedi d. gambetta, La mafia siciliana. Un’industria della protezione privata, Einaudi, Torino 1992, pp. 89-126. 17. d. gambetta, La mafia siciliana, cit. p. 126. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 49 persista perché la sfiducia è esattamente ciò che giustifica il loro intervento18. L’attività che più contraddistingue i gruppi mafiosi, allora, sarebbe la protezione-estorsione, perché attraverso essa viene regolata la «signoria territoriale» della mafia19. La teoria dei diritti di proprietà della mafia è stata estesa ad altri casi, come il Giappone, la Russia postsovietica e la Cina, per spiegare come le mafie possano affermarsi in epoche di transizione rapida ma imperfetta verso l’economia di mercato20. Sulla base di questa impostazione si è prodotta una più generale teoria esplicativa dell’origine della mafia che si compendia nella protezione: è un servizio offerto per eliminare la concorrenza; proteggere lavoratori e sindacati; intimidire gli imprenditori; salvaguardare anche contro l’estorsione, contro i furti, le vessazioni della polizia, per recuperare crediti, regolare e ricomporre una vasta gamma di controversie e conflitti21. Questo percorso interpretativo, ripreso in periodi diversi, si è opposto all’iniziale spiegazione “culturalista” che, invece, ha insistito sul carattere diffuso di una subcultura fondata sulla propensione all’uso della violenza privata, considerando, pertanto, la mafia come un modello organizzato di tale espressione22. Lungo questa scia, che ha rappresentato la prima interpre18. id., Mafia: i costi della sfiducia, cit., pp. 283-305. 19. u. santino, La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995. 20. f. varese, What is the Russian Mafia?, in «Low Intensity Conflict and Law Enforcement», 5, 2, 1996, pp. 129-138; id., The Russian Mafia, cit., pp. 260 e ss.; id. Mafie in movimento, cit., pp. 199-252; p. brown, Central Authority and Local Autonomy in the Formation of Early Modern Japan: The Case of Kaga Domain, Stanford University Press, Stanford ca 1993; c. j. milhaupt, m.d. west, The dark side of private ordering: An institutional and empirical analysis of organized crime, in «University of Chicago Law», lcvii, 1, 2000, pp. 41-98; sul caso della Cina inoltre vedi, p. wang, op. cit., pp. 290-311. 21. Per i diversi aspetti indicati la ricostruzione può essere fatta attraverso la documentazione richiamata anche in p. arlacchi, Uomini del disonore: la mafia siciliana nella vita del grande pentito Antonio Calderone, Mondadori, Milano 1992; d. gambetta, La mafia siciliana, cit., pp. 171-79 e 190-92; y.k. chu, op. cit., pp. 43-53 e 77-80; f. varese, The Russian Mafia, cit., pp. 69-72, 102-105, 110-13 e 119; p. reuter, The Decline of the American mafia, in «The Public Interest», 120, 1995, p. 90. 22. h. hess, Mafia, Laterza Roma-Bari 1973, (1a ed. 1970, Tübingen, j.c.b. mohr); p. pezzino, Una certa reciprocità di favori. Mafia e modernizzazione violenta nella Sicilia postunitaria, FrancoAngeli, Milano 1990. 50 giacomo di gennaro tazione sociologica moderna della mafia, un gruppo di studiosi stranieri focalizzerà l’attenzione sulla dimensione organizzata della mediazione culturale: mafia e mafiosi vengono descritti come patrons, come mediatori culturali violenti che colmano gap di comunicazione tra stato e classi subalterne23. La stagione degli studi sulla mafia in Sicilia proseguirà nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso intrecciando, in effetti, elementi di una prospettiva più economicistica con quelli di traiettorie neoculturaliste, senza tuttavia, trascurare le diverse articolazioni che il tema della protezione presenta: prevalenza della domanda o dell’offerta; protezione attiva o passiva; imposta o ricercata. Gli studi di Arrighi prima, di Arlacchi e Piselli poi e di Catanzaro dopo dispiegheranno i temi delle precondizioni economiche e socioculturali della manifestazione mafiosa nel Mezzogiorno postunitario, sottolineando come il processo di incorporazione di molte aree del Mezzogiorno nel moderno sviluppo capitalistico è avvenuto adattando le forme tradizionali di comportamento e di relazioni sociali (parentela, clientela, aggregazioni residenziali, comunità) alle moderne strutture di mercato, influenzando così in vario modo i mutamenti indotti dallo sviluppo. La mafia in diverse zone della Calabria esercita la protezione regolando i mercati all’ingrosso, le transazioni, stabilendo i prezzi, indicendo aste, offrendo garanzie sulla qualità, «facendo rispettare i patti, imponendo obblighi e perfino proteggendo, apparentemente, i lavoratori dagli abusi e da un eccessivo sfruttamento»24. I tradizionali sistemi socio-economici si integrano e fondono in 23. a. blok, The Mafia of a Sicilian Village, Harper and Row, New York 1974 (tr. it. La mafia di un villaggio siciliano 1860-1960), Einaudi, Torino 1986; j. boissevain, Friends of Friends. Networks, Manipulators and Coalitions, Basil Blackwell, Oxford 1974; j.c. schneider, p.t. schneider, Culture and Political Economy in Western Sicily, Academic Press, New York 1976 (tr. it. Classi sociali, economia e politica in Sicilia, Rubbettino, Soveria Mannelli 1989; a. pizzorno, I mafiosi come classe media violenta, in «Polis», n. 1, 1987, pp. 195-204. 24. Vedi la descrizione che ne da f. piselli, Circuiti politici mafiosi nel secondo dopoguerra, in «Meridiana», n. 2, 1988, pp. 125-66, la quale arricchisce con risultati empirici i tratti populistici e le forme di appoggio ribellistico alle richieste dei contadini presenti anche nelle ’ndrine delle aree tirreniche confutando la tesi esposta nel 1985 dalla Commissione parlamentare antimafia la quale attribuiva questa caratteristica solo ai come spiegare origine, sviluppo e decadenza 51 nuovi sistemi pluralistici di più ampie dimensioni coincidendo con il partito e con lo Stato che diventano i luoghi e le forme di aggregazione ideale per redistribuire redditi ed esercitare il potere25. Questi processi accompagnano una modificazione dei livelli organizzativi della mafia che, per non pochi autori, caratterizzano l’ingresso dei gruppi mafiosi nelle attività imprenditoriali lecite26. Non è un caso che il core delle riflessioni alla fine degli anni Ottanta è dato dal tema dell’impresa mafiosa: vi è un carattere innovatore, secondo la più classica concettualizzazione schumpeteriana, presente nei mafiosi e coincidente con il profilo di agenti dediti all’accumulazione della ricchezza27, la cui best way è la capacità di segnalarsi come imprenditori della protezione-estorsione violenta28, nonché come produttori e regolatori di una domanda di protezione gruppi mafiosi della Calabria Jonica e poco alla mafia siciliana. La citazione è ripresa da d. gambetta, La mafia siciliana, cit., pp. 109-110. 25. g. arrighi, f. piselli, Capitalist Development in Hostile Environments: Feuds, Class Struggles and Migrations in Peripheral Region of Southern Italy, in «Review», 4, 1987; f. piselli, g. arrighi, Parentela, clientela e comunità, in p. bevilacqua (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. La Calabria, Einaudi, Torino 1985; p. arlacchi, Mafia contadini e latifondo nella Calabria tradizionale, il Mulino, Bologna 1980; r. catanzaro, Imprenditori della violenza e mediatori sociali. Un’ipotesi di interpretazione della mafia, in «Polis», I, 2, 1987. pp. 261-282. 26. È quanto è emerso dalla ricerca di Santino e La Fiura la cui base dati deriva da un numero di accertamenti in applicazione della legge antimafia italiana comparandoli con il contesto americano del quale vengono ricostruiti lo sviluppo storico del rapporto tra gruppi criminali e vita economica e sociale, le scelte sociali e gli interventi istituzionali; cfr. u. santino, g. la fiura, L’impresa mafiosa. Dall’Italia agli Stati Uniti, FrancoAngeli, Milano 1990. 27. p. arlacchi, La mafia imprenditrice. L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, il Mulino, Bologna 1983. Secondo l’A. tre processi non colti combinati tra loro delineavano già alla fine degli anni Settanta il profilo moderno della mafia imprenditrice: a) l’acquisizione di una razionalità strumentale nella condotta economica; b) il fatto che le famiglie mafiose siciliane si caratterizzassero come imprese nel sistema mondiale della droga e dell’economia illegale; c) lo sviluppo di una significativa autonomia politica del potere mafioso. 28. r. catanzaro, Il delitto come impresa. Storia sociale della mafia, Liviana, Padova 1988; Id., Il governo violento del mercato. Mafia, imprese e sistema politico, in «Stato e mercato», 23, 1988, pp. 177-212. Sull’impresa mafiosa, si veda il più recente lavoro di n. dalla chiesa, L’impresa mafiosa. Tra capitalismo violento e controllo sociale, Cavallotti University Press, Milano 2012. 52 giacomo di gennaro e garanti della fiducia nelle diverse transazioni economiche in contesti di sfiducia generalizzata29. Questi diversi aspetti entrano e arricchiscono le riflessioni sulla mafia anche se le tesi che si fronteggiano all’interno di questa visione offrono risultati controversi e in alcuni casi elementi di contraddizione analitica risaltati nella posizione di qualche autore30. Tuttavia si comincia a dare più conto della complessità del fenomeno mafioso, tant’è che contemporaneamente altri studi sono indirizzati alle relazioni di potere e alla capacità di inserimento dei gruppi mafiosi nella sfera politica e istituzionale31. Fantò sosterrà che l’impresa mafiosa diventa parte integrante di un rapporto triadico costruito assieme a imprenditori e politici fondato su scambi e favori reciproci e che evolve in direzioni molteplici dando vita a una articolata presenza della mafia sia nell’economia illegale che in quella legale e distinguibile attraverso imprese criminali legali, illegali-legali, legali-illegali delle quali l’impresa a “partecipazione mafiosa” ne è una ulteriore evoluzione utile a esercitare «una “regolazione” complessiva del mercato e un più solido controllo “politico” 29. d. gambetta, La mafia siciliana, cit., pp. 5-31. A partire dall’ambiguità esistente tra estorsione e protezione, già richiamata dal Franchetti nel 1876, sostiene che la violenza è un mezzo, una risorsa utilizzata per affermare un servizio che è la protezione e che si applica a tutte le transazioni (specie quelle instabili generate da assenza di fiducia). È in virtù di questo processo che si crea un mercato della protezione con effetti sia negativi che positivi (le esternalità economiche). Ciò non va confuso con l’estorsione che, sulla scia di Charles Tilly, Gambetta considera un’azione realizzata quale esito di danni procurabili. 30. È quanto sostiene u. santino, Dalla mafia alle mafie. Scienze sociali e crimine organizzato, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, pp. 15-33; l’A. si riferisce particolarmente alla posizione di Arlacchi definita «frutto di frettolose teorizzazioni e scarsamente o per nulla documentata», p. 16. Si veda anche, u. santino, g. la fiura, op. cit., pp. 17-97. 31. f. sabetti, Political Authority in a Sicilian Village, Rutgers University Press, New Brunswick, n.j. 1984; tr. it. Politica e potere in un comune siciliano, Pellegrini Cosenza 1993; u. santino, La mafia come soggetto politico. Ovvero: la produzione mafiosa della politica e la produzione politica della mafia, in g. fiandaca, s. costantino (a cura di), La mafia, le mafie tra vecchi e nuovi paradigmi, Laterza, Roma-Bari 1994, pp. 118-141; m. santoro, La mafia e la protezione. Tre quesiti e una proposta, in «Polis», vol. 9, 2, pp. 285-299. 1995; id., Mafia, cultura e politica, in «Rassegna Italiana di Sociologia», vol. 39, 4, 1998, pp. 441-476; f. armao, Il sistema mafia. Dall’economia-mondo al dominio locale, Bollati Boringhieri, Torino 2000; r. sciarrone, Mafia e potere: processi di legittimazione e costruzione del consenso, in «Stato e mercato», vol. 78, 3, 2006, pp. 369-401. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 53 del territorio»32. Estorsioni e usura sono considerate attività tradizionali utili alla compartecipazione, così come le forme di riciclaggio delle risorse illegali permette la ricapitalizzazione. Il rapporto triadico mafia-imprenditoria-politica evolve dal primario carattere di interazione fondata sullo scambio di benefici di diversa natura a quello di cointeressenza e compartecipazione i cui esiti influenzeranno e distorceranno la modernizzazione del Mezzogiorno. La stagione fortunata degli studi sulla mafia registra, inoltre, contributi sulla dimensione organizzativa. Best e Luckenbill sostengono che la criminalità organizzata non sia altro che un tipo di organizzazione sociale formale caratterizzata da un elevato grado di organizzazione sociale della devianza (numero componenti, sistema di regole, struttura gerarchica) e della criminalità. Ognuno ha un proprio specifico ruolo e la collaborazione tra i membri è orientata al raggiungimento di determinati scopi. Associazione, frequentazione reciproca, divisione elaborata del lavoro, organizzazione estesa, sono, per gli autori, caratteristiche che contraddistinguono le organizzazioni formali, il cui massimo grado di espressione dell’organizzazione sociale è la devianza che si evolve in criminalità organizzata allorquando le organizzazioni pongono in essere costantemente comportamenti delittuosi33. Le stesse teorie delle associazioni differenziali di Sutherland, delle subculture, delle tecniche di neutralizzazione 32. e. fantò, L’impresa a partecipazione mafiosa. Economia legale ed economia criminale, Dedalo, Bari 1999, p. 86. 33. j. best, d.f. luckenbill, The Social Organization of Deviants, in «Social Problems», vol. 28, 1, 1980, pp. 14-31; id., Organizing deviance, Prentice Hall, Englewood Cliffs, New Jersey 1994. Gli autori individuano cinque forme di organizzazione sociale: loners, colleagues, peers, mobs and formal organizations (solitari, colleghi, pari, squadre e organizzazioni formali). I tipi solitari agiscono individualmente e condividono argomenti di comune interesse solo con persone simili che hanno la stessa subcultura; i pari agiscono illegalmente collaborando e facendo gruppo (es. alcune gang giovanili); le squadre hanno una maggiore divisione interna di compiti anche se lavorano in gruppo. Un ulteriore riferimento sulle tipologie di devianti estratte da peculiarità organizzative ma criticate da J. Best e D.F. Luckenbill, è in c. gibbons, Delinquent Behaviour, Prentice Hall, Englewood Cliffs, New Jersey 1970; m.b. clinard, r. quinney, Criminal Behavior Systems: a typology, Rinehart and Winston, Holt, New York 1973; g. miller, Odd Jobs, The World of Deviant Work, Prentice Hall Press, New Jersey 1978. 54 giacomo di gennaro e delle carriere criminali offrono elementi di analisi per spiegare perché un individuo è indotto a entrare in una organizzazione criminale e intraprendervi una carriera. D’altra parte, ben presto la caratteristica e dimensione organizzativa dell’impresa mafiosa si segnalerà innanzitutto proprio per la sua capacità di sviluppare una sorta di intelligence interna all’organizzazione, di proteggere i propri membri attraverso misure di sicurezza fisica e l’elaborazione di un codice di condotta riservato, nonché, successivamente, di interferire sul funzionamento del mercato e condizionare lo sviluppo locale34. Sulla scia degli studi di Mintzberg sul rapporto tra grado di stabilità dell’ambiente, condizioni ambientali e forme diverse di organizzazioni, la mafia viene, inoltre, analizzata come una “organizzazione professionale” che offre protezione in un contesto in cui la legalità è debole in conseguenza della fievole credibilità e del basso rendimento che le politiche pubbliche riscuotono tra i cittadini e gli imprenditori35. La tesi prospettica è che l’assenza di una efficace e trasparente azione regolativa della spesa pubblica edifica la formazione di una vera e propria “borghesia mafiosa” e “camorristica” cointeressata a intercettare le risorse pubbliche e fare affari con le reti illegali che infiltrandosi nelle amministrazioni locali, acquisiscono appalti e servizi, corrompono amministratori e funzionari pubblici, diffondono e favoriscono la cultura dell’illecito36. È il terreno ideale sul quale si sviluppa un mercato politico (con un’autonoma circolazione di scambi occulti, favori e risorse) e un mercato illegale dipendente dall’infiltrazione dei gruppi criminali che prima sono subordinati all’azione politica, poi si affrancano dal ceto politico generando una più diretta e 34. u. santino, g. la fiura, op. cit.; s. zamagni (a cura di), Mercati illegali e mafie. L’economia del crimine organizzato, il Mulino, Bologna 1993; m. centorrino, a. la spina, g. signorino, Il nodo gordiano. Criminalità mafiosa e sviluppo nel Mezzogiorno, Laterza, Roma-Bari 1999. 35. a. la spina, Mafia, legalità debole e sviluppo del Mezzogiorno, il Mulino, Bologna 2005. 36. Sul concetto di borghesia camorristica rimando a g. di gennaro, d. pizzuti (a cura di), Dire camorra oggi. Forme e metamorfosi della criminalità organizzata in Campania, Guida, Napoli 2009, specie pp. 55-65 e 124-35. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 55 autonoma rappresentanza politico-amministrativa. Lo sviluppo economico, l’equilibrio del mercato e il tessuto sociale ne escono alterati e inquinati. Un tale deficit istituzionale indebolisce la produzione di capitale sociale come bene pubblico, senza neanche garantire la sua conservazione e riproduzione semmai venisse generato da ambiti sistemici diversi. Anzi induce gruppi sociali, organizzazioni e singole persone ad agire investendo nell’accumulazione di benefici soggettivi, a privilegiare orientamenti comportamentali particolaristici37. Dall’erosione del capitale sociale positivo – ovvero quello che più alimenta la fiducia sociale estesa, la cooperazione allargata e impersonale tra i diversi attori sociali, che incentiva all’impegno civico, sollecita alla responsabilità sociale e all’impegno morale nei confronti degli altri, instilla una sorta di obbligazione sociale al rispetto delle norme e della legge – ne deriva una conseguente riduzione delle barriere istituzionali e di quelle che si originano dal tessuto delle relazioni sociali i cui effetti proteggono dal formarsi in modalità estese e radicate della devianza e della criminalità38. Accanto a questi studi di teoria dell’organizzazione e analisi degli effetti delle politiche pubbliche si sviluppa una versione sociologica neoculturalista fondata più su un approccio strategico particolarmente attento, con un armamentario concettuale nuovo, alle pratiche sociali e agli schemi cognitivi, ai repertori di logiche di azione, ai simboli condivisi, ai network di significati i cui risultati ripenseranno e rileggeranno la subcultura mafio37. a. la spina, Mafia, legalità debole, op. cit., pp. 190-99. 38. Sugli aspetti di contenimento della devianza e della criminalità si vedano, j. hagan, Crime and Disrepute, Pine Forges Press, London 1994; g. la free, Losing Legitimacy: Street Crime and the Decline of Social Institutions in americana, Westview Press, Boulder (Col.) 1998; r.j. sampson, s.w. raudenbush, f. earls, Neighborhood and Violent Crime: A Multilevel Study of Collective Efficacy, in «Science», vol. 277, 1997, pp. 918-924; b.p. kennedy, i. kawachi, d. prothrow-stith, k. lochner, v. gupta, Social Capital, Income Inequality and Firearm Violent Crime, in «Social Science and Medicine», vol. 1, 1998, pp. 7-17; r. rosenfeld, s.t. messner, e.p. baumer, Social Capital and Homicide, in «Social Forces», vol. 80, n. 1, 2001, pp. 283-310; u. gatti, h.m. schadee, r.e. tramblay, Capitale sociale e reati contro il patrimonio. Il senso civico come fattore di prevenzione dei furti d’auto e delle rapine nelle province italiane, in «Polis», vol. XIV, n. 1, 2002, pp. 57-71; g. di gennaro, t. brancaccio, Il “valore” del Capitale sociale, in «OggiDomaniAnziani», a. XVIII, n. 2, 2005, pp.31-60. 56 giacomo di gennaro sa39. Questi approcci saranno, altresì, accompagnati dalla ripresa di studi di carattere più storico interessati alla genesi e alla estensione in altre regioni meridionali del fenomeno mafioso o di associazioni criminali similari per spiegare le ragioni di una espansione e di un territoriale radicamento40. Ne deriverà una poliedricità analitica che invece di produrre una sintesi fonderà tesi contrapposte. Alcune incentrate sulla correlazione tra taluni caratteri endogeni originari della società siciliana e lo sviluppo del fenomeno mafioso41. Altre basate sulla reiterata idea che la causa primaria risiede nella debole azione dello Stato che in tutte le sue espressioni (amministrazioni centrali e periferiche) mantiene un profilo di inefficienza della pubblica amministrazione essendo infeudata ai partiti. È uno Stato incapace di far valere il suo monopolio legittimo della forza42 e permette, così, ai gruppi mafiosi di «utilizzare la violenza privata in tutte le sue espressioni (…) come strumento di arricchimento e mobilità sociale»43 colonizzando le istituzioni dello Stato, gli enti locali, lo stesso tessuto sociale44. 39. r. siebert, Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994; m. santoro, Mafia, cultura e politica, op. cit. 1998; Id., Mafia, cultura e subculture, in «Polis», vol. 14, 1, 2000, pp. 91-112; id., La voce del padrino. Mafia, cultura e politica, Ombre corte, Verona 2007; a. dino, Vita quotidiana di Cosa Nostra: «normalità» della devianza?, in a. dal lago, r. de biasi (a cura di) Un certo sguardo. Introduzione all’etnografia sociale, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 131-159. 40. s. lupo, r. mangiameli, Mafia di ieri, mafia di oggi, in «Meridiana», 7-8, 1990, pp. 1744; p. pezzino, Una certa reciprocità di favori, FrancoAngeli, Milano, 1990; n. tranfaglia, La mafia come metodo, Laterza, Roma-Bari 1991; id., Il Mezzogiorno e le sue «mafie»: una risposta, in «Meridiana», 15, 1992, pp. 269-277; p. bevilacqua, La mafia e la Spagna, in «Meridiana», 13, 1992, pp. 105-127. 41. Gli antecedenti di questa tesi sono il ruolo svolto dai banditi al servizio dei proprietari terrieri nel sistema feudale e la successiva funzione di strato intermedio tra autorità e delinquenza, cfr. s.f. romano, Storia della mafia, Mondadori, Milano 1966; e.j. hobsbawm, I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale, Einaudi, Torino, 1990. 42. n. tranfaglia, La mafia come metodo nell’Italia contemporanea, Laterza, RomaBari 1991; id., Mafia, politica e affari nell’Italia repubblicana, Laterza, Roma-Bari, 1992; p. bevilacqua, Breve storia dell’Italia Meridionale, Donzelli, Roma 1993, pp. 39-42. 43. n. tranfaglia, La mafia come metodo, op. cit., p. 23. La tesi dell’imposizione per mano militare della mafia considerata altresì dotata di una caratura “politica” è sostenuta anche da p. pezzino, Stato, violenza, società. Nascita e sviluppo del paradigma mafioso, in m. aymard e g. giarrizzo (a cura di), La Sicilia, Einaudi, Torino 1987, pp. 903-82; id., Mafia: industria della violenza, La Nuova Italia, Firenze 1995. 44. id., Mafia, politica e affari 1943-2008, Laterza, Roma-Bari 2008. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 57 La controversia che dispiega il dibattito storico riguarderà i fattori che l’hanno originata, quelli che l’hanno consolidata e lo stesso carattere imprenditoriale la cui effervescenza non si afferma negli anni Settanta del Novecento, come sostenuto da Arlacchi, ma ben prima a partire dagli anni Cinquanta dello stesso secolo su competenze e capacità che per verità erano state acquisite nella gestione dei mercati agricoli e dello zolfo già alla fine dell’Ottanta45. Anche gli sviluppi della mafia, le strategie di contrasto sociale, economico, politico, civile, investigativo, giudiziario, nonché il tema dell’organizzazione della mafia, il tipo di modello che ne sostiene la capacità di radicamento e al contempo di metamorfosi saranno oggetto di dispute. Relativamente al primo aspetto, in sintesi, per alcuni la lotta alla mafia viene configurata come un «destino reversibile»46 (indicatori del quale sono i differenti colpi inferti alla “cupola” con le centinaia di arresti di latitanti, lo smantellamento di diversi mandamenti e di decine e decine di famiglie e clan, le migliaia di beni confiscati, le centinaia di detenuti mafiosi al 41bis, la reazione della società civile); per altri, invece, la mafia ha assunto nel tempo i tratti di una indelebile cifra della storia italiana47. L’argomento ricostruttivo, invece, della matrice organizzativa territoriale della mafia fa i conti con la stagione del pentitismo mafioso e gli esiti delle investigazioni. Si fronteggeranno due tesi: i sostenitori dell’idea che i network mafiosi sono fluidi e instabili (Hess, 45. Sugli esiti delle capacità imprenditoriali e commerciali di imprenditori mafiosi negli anni Cinquanta si veda la ricerca di u. santino, g. la fiura, op. cit., pp. 99-162. Sulla continuità e trasformazione di preesistenti capacità imprenditoriali mafiose già manifestate in non poche occasioni nel controllo di attività commerciali o gestione di attività agricole, cfr. s. lupo, Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri, Donzelli, Roma 1993 e 2004; nonché id., Tra società locale e commercio a lunga distanza: la vicenda degli agrumi siciliani, in «Meridiana», 1, 1987, pp. 81-112. Sulle risposte del Mezzogiorno agricolo alle sollecitazioni del mercato internazionale, vedi p. bevilacqua, Il Mezzogiorno nel mercato internazionale (secoli xviii-xx), in «Meridiana», 1, 1987, pp. 19-45. 46. j.c. schneider, p.t. schneider, Un destino reversibile. Mafia, antimafia e società civile a Palermo, Viella, Roma 2009. 47. s. lupo, Andreotti, la mafia, la storia d’Italia, Donzelli, Roma 1996; n. tranfaglia, Mafia, politica e affari 1943-2008, cit., pp. 5-26 e 260-275. 58 giacomo di gennaro Blok, gli Schneider)48 e i fautori, come per certi versi confermerà proprio il «teorema Buscetta», dell’idea che la mafia coincide con un’unica organizzazione verticisticamente strutturata e con un comando piramidale (“cupola” o “commissione”) che tende a incorporare tutti i mandamenti e le cosche territoriali. Di quest’ultima tesi vi sono riscontri nelle convergenti testimonianze dei “pentiti”49, così come i successi registrati dalle forze dell’ordine nel corso dei due ultimi decenni spingeranno a parlare di un vero e proprio smantellamento di buona parte di Cosa nostra. Tuttavia, proprio l’arresto di Bernardo Provenzano nel 2006 incrinerà la visione univoca della mafia, rinvigorendo la tesi della molteplicità organizzativa. Anzi, proprio la maggiore disponibilità del Provenzano alla mediazione più che all’incisività dell’azione, propria dei Riina e Bagarella, confermerebbe l’ipotesi della riorganizzazione differente da parte dei gruppi mafiosi sia come risposta all’effettività dell’azione di contrasto che come entità aggregata e forma sociale propria di un contesto sociale nel quale la mafia modella forme di scambio con soggetti, istituzioni nel campo della politica, dell’economia, della società50. Come si arguisce un lungo percorso di riflessione che parte dall’Inchiesta del Franchetti sulle condizioni politiche e amministrative della Sicilia, condotta nel 1875 e da qui attraversando l’antropologia, la storia, l’economia, la sociologia, la psicologia e la criminologia giunge alla contemporaneità per dare conto del tipo di criminalità organizzata siciliana. Un lungo percorso che tuttavia, bisogna dirlo, non ha prodotto una teoria generale 48. Per questi la mafia è un reticolo di alleanze fluide e mutevoli, «task-oriented», specifiche, che celano relazioni con pezzi dello Stato, con membri corrotti della classe dirigente, relazioni finalizzate all’accumulo di potere e ricchezza, ma non hanno una forma organizzata stabile, né una struttura organizzativa centrale. 49. l. paoli, The Pentiti’s Contribution to the Conceptualization of the Mafia Phenomenon, in v. ruggiero et al. (a cura di), The New European Criminology, Routledge, London 1998, pp. 264-285; gruppo abele, Dalla mafia allo stato. Pentiti: analisi e storie, ega, Torino 2005. 50. r. catanzaro, m. santoro, Pizzo e pizzini. Organizzazione e cultura nell’analisi della mafia, in r. catanzaro, g. sciortino (a cura di), La fatica di cambiare. Rapporto sulla società italiana, il Mulino, Bologna 2009, pp. 173-174. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 59 della mafia, tant’è che ancora oggi non c’è condivisione assoluta su che cosa sia la mafia, quali forti meccanismi nel tempo l’hanno riprodotta, quali strategie più efficaci ne possono garantire l’espianto. 1.3 L’attività estorsiva nelle acquisizioni teoriche ed empiriche degli economisti Abbiamo sottolineato come l’estorsione sia considerata la matrice originaria di un sodalizio criminale mafioso o camorristico, mentre l’usura ne rappresenti, invece, l’esito espansivo della seconda fase di accumulazione illegale tant’è che, dall’analisi georeferenziata e ricostruita su materiali giudiziari, emerge che sono molti i clan di camorra che associano al racket l’usura sebbene non tutti gli usurai appartengano o siano affiliati a clan di camorra. Mentre la fase di costituzione originaria territoriale dei gruppi criminali mafiosi nel Mezzogiorno è passata attraverso l’attività estorsiva, quella espansiva che si è realizzata dagli anni Settanta del secolo scorso al Nord è stata caratterizzata da un modo più “silenzioso”: mediante l’ingresso e il controllo monopolistico di attività economiche e segmenti di mercato. Non è un caso, infatti, che tutti gli studi più recenti sulle diverse mafie mettono in risalto la capacità di conquista di nuovi territori, la vulnerabilità di qualunque zona e la loro presenza in diverse attività economiche legali ancorché nel controllo di quelle illegali, realizzando quel processo di diversificazione di aree territoriali, investimenti e attività51. 51. Su questo si può vedere, transcrime, Gli investimenti delle mafie. Analisi degli investimenti delle organizzazioni criminali nell’economia legale, Progetto Pon Sicurezza 2007-2013, Programma Operativo Nazionale Sicurezza per lo Sviluppo - Obiettivo Convergenza 2007-2013, Ministero dell’Interno, Roma 2013; vedi anche n. dalla chiesa, m. panzarasa, Buccinasco. La ’ndrangheta al Nord, Einaudi, Torino 2012. Sul processo di diversificazione, vedi p. camapana, Understanding Then Responding to Italian Organized Crime Operations across Territories, in «Policing», doi: 10.1093/police/pat012. Il recente studio di f. varese, Mafie in movimento, cit., per molti aspetti conferma la relativa in- 60 giacomo di gennaro Proprio l’analisi dei meccanismi più profondi che alterano il mercato economico e quello degli effetti distorsivi che l’agire criminale mafioso produce in economia sono al centro della riflessione di molti economisti. Numerosi studi e ricerche empiriche, più internazionali che nostrane per verità, vengono indirizzati nuovamente all’esame dei rapporti tra economia e criminalità52. Infatti, i riferimenti alla formazione dei mercati illegali risalgono agli studi di Schelling elaborati alla fine degli anni Sessanta del dopoguerra. L’autore constatando l’esilità di studi economici sul proibizionismo degli alcolici, il racket e il gambling rilevava come l’attenzione e l’elaborazione di stime più precise sui costi e le perdite dovute alle imprese criminali avrebbe consentito di adeguare le leggi americane e generare programmi di contrasto più adeguati per minimizzarne gli effetti53. I terreni sui quali si sviluppava il crimine organizzato, per il nostro, erano il mercato nero e il racket. Il primo si forma grazie alla produzione e scambio illegale che deriva dalla proibizione di alcuni beni e servizi; il secondo si forma perché l’uso della violenza costituisce una risorsa che genera un tipo di business (l’estorsione) e al contempo permette di generare il monopolio criminale (considerata altra modalità di business). Soffermiamoci per qualche secondo su questo autore perché la sua analisi dell’estorsione è interessante per il nostro lavoro in quanto ci suggerisce alcune riflessioni. Schelling ritiene che esercitare il monopolio criminale attraverso mezzi illegali sia funzionale all’abbattimento della concorrenza e considera l’estorsione un tributo dato dalle vittime ai criminali in quanto ad esse è consentito di operare e al contempo si garantisce l’assenza di concorrenza54. Lungo quest’asse fondatezza delle tesi culturaliste del “civismo” e del “capitale sociale” come antidoto al trapianto mafioso. 52. Un primo esame è in s. zamagni (a cura di), Mercati illegali e mafie, cit., pp. 15-115; a. becchi, g. rey, L’economia criminale, Laterza, Roma-Bari 1994. 53. t.c. schelling, Economics and Criminal Enterprise, Apendix D, Task Force Report: Organized Crime, Washington D.C., The President’s Commission on Law Enforcement and Administration of Justice, 1967, ripubblicato in Choice and Consequence. Perspectives of an errant economist, Harvard University Press, Cambridge-London 1984. 54. L’Autore sostiene che ci siano tre tipi di monopoli: quello acquisito attraverso mezzi legali, quello attraverso mezzi illegali in quanto contrari alle regole sull’antitrust come spiegare origine, sviluppo e decadenza 61 interpretativo l’autore identifica criminalità organizzata con estorsione e con agire monopolistico, tant’è che la distingue dalla criminalità comune (il cui carattere è predatorio). D’altra parte, i mercati che si generano in base al proibizionismo presuppongono che i produttori dei beni (o servizi) vietati non potendo ricorrere alle autorità legali necessitano di protezione contro ogni forma di abuso (legale o illegale) e della limitazione della concorrenza. I mercati neri, quindi, forniscono l’infrastruttura per gli affari dell’underworld55, ovvero per quanti già operano in una condizione illegale ed essi sono le prime vittime. Tuttavia, è solo mediante lo svolgimento dell’azione monopolistica basata sull’intimidazione che si esclude la concorrenza e ciò permette al crimine organizzato di acquisire settori di attività lecite. Per Schelling, quindi, al di là della struttura organizzativa, della divisone del lavoro, della gerarchia e delle specializzazioni presenti in una organizzazione criminale, l’aspetto che più contraddistingue quest’ultima è l’orientamento e l’azione alla distruzione della concorrenza: praticare l’estorsione in modo sistematico e su larga scala significa diventare un’autorità fiscale e specializzarsi nella soppressione dei rivali56. Schelling è, di fatto, consapevole, sulla scia di Donald Cres57 sey , che l’attività economica del crimine organizzato offra opportunità di profitto a rispettabili membri della società (e non si riferisce solo alla polizia) e che, in ogni caso, specializzarsi nell’offerta di protezione consenta di accumulare risorse (che possono poi essere investite in altre attività economiche), ma non coglie due aspetti importanti: a) una cosa è proteggere una merce (o un servizio) altra cosa è il business della protezione; e il terzo mediante mezzi violenti e criminali; t.c. schelling, Choice and Consequence, cit., specie cap. 8, What is the Business of Organized Crime, pp. 179 e ss. 55. Ivi, p. 177. 56. Ivi, pp. 185, 186 e 193. I mercati neri, per Schelling, comportano per i produttori dei costi ma generano anche effetti collaterali perché offrono occasioni di corruzione della polizia; spingono i consumatori di beni proibiti a rivolgersi ad essi; per alcuni beni (es. droghe) le condizioni delle persone ne escono aggravate; configurano opportunità di guadagni per altri soggetti. 57. d. cressey, Theft of the Nation. The Structure and Operation of Organized Crime in America, Harper & Row, New York 1969. 62 giacomo di gennaro b) una cosa è l’azione estorsiva praticata in una condizione di sovranità territoriale (che richiede comunque tempo per essere costruita e riconosciuta), altra cosa è quando in un dato territorio l’offerta protettiva è millantata o mascherata o resa flebile dall’uso concorrenziale della mano violenta da parte di altri gruppi criminali. Aspetto, quest’ultimo, di non poco conto perché rivela, come si vedrà in seguito, che vi è una correlazione forte tra tipo di organizzazione criminale, pratica estorsiva e condizione ambientale. Generalmente l’estorsione è definita nelle scienze sociali un’attività estrattiva di risorse realizzata grazie all’intimidazione per servizi che in realtà sono millantati58. A differenza di altre attività illegali «la sua organizzazione consiste in una rete di relazioni più che in un bagaglio di conoscenze e di tecniche di produzione o commercializzazione, e spesso non necessita di disponibilità finanziarie iniziali»59. Questa definizione in realtà non è accettata da molti studiosi vuoi perché è considerato un servizio reso a fronte di un pagamento eccessivo; vuoi perché è in realtà considerata una semplice imposizione; vuoi, infine, perché non sempre la prestazione risulta efficace60. Sebbene, secondo, Varese queste tre fenomenologie siano tutte presenti nel comportamento dei mafiosi, la distinzione tra protezione reale e fittizia sarebbe infondata61. Questo aspetto, in realtà, è controverso. La modalità di commissione del reato non è solo varia nella sua fenomenologia62, ma assume effetti distinti come già la ricerca del 2010 a Napoli e Caserta di cui si è detto ha mostrato. L’esistenza di una gamma molto vasta di tipologie estorsive, direttamente collegate a una strutturata organizzazione mafiosa, entro un conti58.Vedi f. varese, What is Organized Crime?, in Id. (eds.), Organized Crime: Critical Concenpts in Criminology, cit., pp. 1-33. 59. p. monzini, L’estorsione nei mercati leciti e illeciti, Liuc Papers, in «Storia, impresa e società», 1, settembre 1993, p. 1. 60. Cfr. w. block, g.m. anderson, Blackmail, Extortion and Exchange, in «New York Law School Law Rewiew», vol. 44, 2001, pp. 541-561. 61. f. varese, Mafie in movimento, cit., p. 19, nota 11. 62. Su una primaria classificazione dell’attività estorsiva, vedi p. monzini, L’estorsione nei mercati leciti e illeciti, cit., pp. 1-28. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 63 nuum che tra due poli differenzia l’estorsione seriale da quella saltuaria, impedisce di condividere una tale definizione. Ci sono condizioni nelle quali molte vittime prima di iniziare un’attività commerciale o l’esecuzione di un lavoro richiedono di “mettersi a posto” con l’organizzazione criminale. «A questo meccanismo sfuggono, di solito, le imprese della grande distribuzione, che, quando non hanno radici locali, presentano una più rilevante capacità di impermeabilizzazione alle richieste estorsive, poiché è più difficile e più rischioso per l’organizzazione mafiosa entrare in contatto con i dirigenti di tali imprese, senza correre il rischio di denunce e di conseguenti arresti e condanne»63. In altre condizioni, invece, per esempio le imprese che agiscono nel settore degli appalti pubblici, il fenomeno assume connotazioni del tutto diverse con l’applicazione di principi di proporzionalità e progressività, cosicché in molti casi per le imprese diviene addirittura conveniente accordarsi con l’organizzazione mafiosa. La convenienza è data dal fatto che l’organizzazione mafiosa «si fa garante di un illecito sistema di turnazione nell’aggiudicazione delle gare tra imprenditori, in cambio di una serie di benefici, sia in denaro (generalmente il 3% sull’importo dei lavori) sia di altra natura, quali le forniture o le assunzioni»64. La connivenza impone non solo di «non denunciare, ma anche, in un secondo momento, a estorsione scoperta attraverso le altre prove acquisite, di negare l’esistenza del delitto. Molti dati processuali hanno rivelato che la vittima talvolta versa il pizzo non soltanto per paura, ma perché c’è assuefazione a pagare»65 e a certi livelli e in determinate attività economiche la convenienza è maggiore. Condizioni di monopolio territoriale, poi, possono spingere un clan di camorra a non imporre un pizzo eccessivo poiché potrebbe risultare controproducente, non solo perché si può alzare la probabilità che le vittime si ribellino, ma perché per queste, defezionare dall’attività economica, può risultare 63. m. de lucia, Le tecniche di indagine nei procedimenti in materia di estorsione e usura, in t. grasso (a cura di), Mai più soli. Le vittime di estorsione e d’usura nel procedimento penale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014, p. 65. 64. Ibidem. 65. Ivi, p. 68. 64 giacomo di gennaro più vantaggioso che permanervi. È evidente in questo caso l’effetto disastroso per tutti i giocatori. Una condizione con effetto diverso a quanto prima indicato è quella che si può determinare allorquando la vittima è soggiogata dalla “doppia estorsione”. A Ercolano, un comune della provincia di Napoli famoso per la presenza di scavi archeologici e uno storico radicamento di clan di camorra risalente a trent’anni di attività all’ombra del Vesuvio, nei più recenti anni tra il 2001 e il 2012, si è consumata tra faide, alleanze, agguati e nuovi accordi, la storia criminale di due-tre clan di camorra agguerriti (Iacomino-Birra, Ascione-Papale)66 che si contendevano le lucrose attività economiche illegali realizzate sul territorio (spaccio di stupefacenti, racket delle estorsioni, usura, furti, ecc.). La densità dei clan in un territorio troppo angusto e la capillarità del racket eseguito con una strategia che supera la soglia di equilibrio in quanto intenso e imposto alle vittime sia da un gruppo che dall’altro, hanno prodotto la dissoluzione dei clan e delle intere attività economiche illegali67. Un caso più complesso di quello appena citato conferma come la distinzione fondamentale tra chi produce beni e servizi e chi si occupa di protezione è spesso ambigua. La vicenda risale agli anni tra il 2007 e il 2008 e riguarda il “racket del caro estinto”, un settore economico con elevate barriere all’ingresso e nel quale il titolare di un’agenzia di onoranze funebri con sede principale in Calvizzano, comune a nord di Napoli, e filiali sparse in diversi altri comuni dello stesso hinterland, ancorché ritenu66. Ogni “cartello” in effetti era il coacervo di altre famiglie aderenti: al clan AscionePapale vi aderivano anche le famiglie Montella, Suarino e Nocerino; al clan IacominoBirra le famiglie Durantini, Zeno, Sasso, Viola, Scognamiglio e Savino. 67. Per una ricostruzione della vicenda di Ercolano, vedi n. daniele, a. di florio, t. grasso, La camorra e l’antiracket, Felici, Ghezzano 2012. Non vi è dubbio che l’esito positivo finale dell’intera vicenda lo si deve alla contemporanea efficace azione investigativa, al ruolo attivo del sindaco, dell’associazionismo antiracket e all’incisività dell’azione giudiziaria. Tuttavia la vicenda è sintomatica anche delle richieste troppo esose cui venivano sottoposte le vittime. Nei periodi delle festività natalizie e pasquali, ad esempio, i clan non solo raccoglievano le somme concordate ma costringevano i commercianti a consegnare merci tipiche di tali feste (colombe e uova pasquali, panettoni, bottiglie di vino, ecc.) che poi rivendevano ad altri commercianti imponendone l’acquisto. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 65 to dagli inquirenti vicino al clan Nuvoletta-Polverino, avrebbe acquisito, con il consenso del clan dominante sul territorio, una sorta di monopolio di fatto dell’attività di servizio68. Le ipotesi sollevate dagli inquirenti sulla base della denuncia del titolare di una impresa concorrente e fondate su una investigazione lunga e articolata, condotta mediante intercettazioni telefoniche e ambientali, nonché facendo soprattutto leva sulle dichiarazioni di ben quattro collaboratori di giustizia, erano: estorsione, corruzione e illecita concorrenza con minaccia o violenza aggravate dal metodo mafioso69. L’esito giudiziario il cui iter è durato circa quattro anni ha prodotto l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”: non si tratta, per i giudici, di estorsioni di camorra, tra l’altro aggravate dal metodo mafioso, ma semplici «patti di non concorrenza tra gli impresari funebri», soprattutto tra quelli di lungo corso70. Un caso in cui si combina avidità della richiesta e protezione millantata proviene dalla vicenda che si è consumata a Napoli tra il 2011 e il 2012 e di cui è vittima un imprenditore dello Sri Lan68. Cfr. Tribunale di Napoli, Sezione del Gip n. 333694/07 r.g.n.r., n. 27913/08 r.g.g.i.p., Ordinanza applicativa di misura coercitiva e decreto di sequestro preventivo del 29/6/2009. 69. Si legge nell’ordinanza che le attività investigative confortavano l’assunto secondo il quale «le ditte di pompe funebri gestite da Cesarano Attilio godevano di una sorta di esclusiva sui territori rientranti in diversi comuni del napoletano – storicamente condizionati dalla presenza del “clan Polverino” – evidenziando, altresì, che, in altri comuni (es. Giugliano, il Cesarano partecipava ad una sorta di “cooperativa” tra i diversi operatori presenti sul territorio; che nel comune di Pozzuoli, lo stesso opererebbe unitamente alla ditta “Barca”; che il Cesarano esercitava sistematicamente pressioni di natura illecita sui titolari delle ditte concorrenti, cui veniva sostanzialmente imposto, il divieto di lavorare nei comuni di competenza del prevenuto» (p. 9). Nel caso la ditta risultava estranea al triangolo di comuni targato clan Polverino e insisteva per fare il funerale, doveva allora pagare una tangente tra i 1.500 e i 2 mila euro. Atteso che «il settore commerciale delle pompe funebri, costituisce uno dei settori imprenditoriali di precipuo interesse delle organizzazioni mafiose operanti sul territorio – fonte di facili introiti e potenzialmente idoneo a costituire un canale di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita – e che, per tale motivo, tra le diverse imprese di pompe funebri esistano, di fatto, delle vere e proprie suddivisioni di carattere territoriale» (ivi), «è agevole dedurre che il Cesarano Attilio proprio in quanto in rapporto (se non di cointeressenza quantomeno) preferenziale con il clan camorristico operante sul territorio, ha potuto escogitare e mettere in pratica un sistema tendenzialmente monopolistico, ed in continua espansione, per la gestione delle proprie attività imprenditoriali» (p. 10). 70. Cfr. Tribunale di Napoli, iii sez. penale, sentenza del 18.12.2013 n. 16877/13, p. 19. 66 giacomo di gennaro ka trapiantato nella città71. L’episodio si consuma in una cornice dove due autonomi gruppi criminali operano in due quartieri della città ognuno rivendicandone il controllo ed esercitando il predominio. La richiesta estorsiva è praticata nelle zone con il carattere della periodicità72, ma nei confronti dell’imprenditore cingalese, che gestisce negozi situati nei due diversi quartieri, assume ben presto una fisionomia esosa sia perché doppiamente taglieggiato sia perché esposto alle angherie dei connazionali. D’altra parte gli stessi contrasti interni alla comunità cingalese vengono utilizzati dai clan di camorra della zona per regolare i conflitti, coltivare una reputazione di autorevolezza e legittimare il dominio territoriale. La pratica estorsiva che questa vicenda rimanda conferma che, a differenza di molti casi siciliani o di ’ndranghetisti che evitano richieste eccessive o le stesse sono regolate dagli interventi di capi famiglia73, la densità e frammentazione dei gruppi criminali campani e l’assenza di una struttura piramidale, specie nella città di Napoli, impedisce l’autoregolazione, ovvero alimenta una voracità estrattiva illegale in quanto non sottoposta a disciplina da parte di organi di raccordo o di regole comuni. Millantare pertanto una protezione è più facile e al contempo l’unico modo per renderla credibile è il ricorso immediato e continuo alle minacce o alle diverse forme di intimidazione. Questo non vuol dire che non via siano gruppi, clan o più radicate e storiche famiglie camorriste che non pratichino 71. Cfr. Tribunale di Napoli, n. r.g.n. r. 6968/12; r.g. g.i.p. 30781/12, sentenza n. 2912/12 del 14.12.2012; Corte di Appello, sez. vii, r.g. App. 1134/13. La vicenda riguarda richieste di pizzo a commercianti nei quartieri Sanità e Avvocata sotto il controllo di referenti del clan Lo Russo e del clan Lepre. Le indagini hanno accertato che il giovane cingalese, che si suiciderà alla vigilia del rito abbreviato, era sottoposto a una doppia estorsione perché le attività commerciali di cui era titolare ricadevano nei diversi territori ciascuno dei quali sottoposto al controllo autonomo dell’uno e dall’altro clan. Sebbene, pertanto, veniva esibita la protezione da ciascuno contro i connazionali e i “concorrenti” di fatto il più ampio e reale accordo fra i clan contemplava la doppia estorsione. 72. La periodicità coincide con le festività natalizie, pasquali e di ferragosto. 73. Varese racconta che il «capo della famiglia di San Luca, la quale è considerata la depositaria delle norme e dei valori collettivi di tutta la ’ndrangheta, fu allarmato dalle richieste eccessive che il capo della famiglia di Locri stava imponendo nel suo territorio», al punto che dovette intervenire per riportare a un livello più “accettabile” la raccolta del pizzo; cfr. f. varese, Protezione ed estorsione, Annuario Kainos, 2, Malavita, Mimesis, Milano 2013, p. 49. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 67 l’estorsione a fronte di una reale protezione. Più il clan assume il carattere di organizzazione piramidale ed estesa, maggiore è il livello di esternalizzazione delle attività minori e di quelle che comportano rischi più elevati e utilità relative. Il processo di differenziazione dei profili aggregati criminali nel contesto regionale campano, sul quale ci soffermeremo in seguito, pur conservando un core coincidente con la struttura familiare e la rete parentale, risponde non tanto alla specificità della frantumazione territoriale (che ne è un effetto) quanto alla capacità distinta dei diversi gruppi di svolgere in forma autonoma e con una significativa dose di controllo e sovranità territoriale più attività economiche all’interno della filiera criminale e manifestando abilità nel costruire reti relazionali con esponenti del circuito politico-amministrativo, imprenditoriale, professionale e sociale. I gruppi criminali che agiscono al livello primario – la cui nati-mortalità è alta – restando ancorati alla gestione delle attività predatorie (es. furti, rapine, estorsioni, ecc.) sono destinati o si rassegnano a svolgere funzioni subordinate che, tuttavia, se sono ancorate a fonti redditizie specie se connesse al controllo di piazze di spaccio sono motivo di conflitto perché si orientano ad acquisire una legittimità criminale superiore74. Per ora vale solo la pena indicare che l’alta densità cittadina dei clan rende conto dell’alta conflittualità e dei precari equilibri esistenti nelle relazioni tra i clan75. Viceversa, nella cintura dei comuni metropolitani la gestione delle attività fa più spesso capo a un unico clan o convivono, in un numero molto ristretto, organizzazioni criminali che attraverso accordi (sebbene sem74. Su questo aspetto rimando a g. di gennaro, Mercati illegali e struttura di classe, in g. di gennaro e d. pizzuti (a cura di), op. cit., pp. 81-98. 75. È il caso di ricordare che nella sola città di Napoli si contano circa 38 clan più qualche gruppo minore e nella provincia si superano le 40 unità e oltre 10 piccoli aggregati. L’intera regione raccoglie non meno di 130 sodalizi criminali. Si è parlato di mero gangsterismo per distinguerlo da quei gruppi che hanno una forma di criminalità organizzata più strutturata distinta, tuttavia, dall’organizzazione con un profilo tipicamente più mafioso. Negli anni più recenti la formazione di “cartelli” criminali (alleanze create tra clan diversi su obiettivi più strategici) segnala in misura più specifica la performance della criminalità napoletana, il che mostra come il modello del gangsterismo è piuttosto marginale. 68 giacomo di gennaro pre precari e minati da scissioni interne ai gruppi) si dividono il territorio. Discorso diverso, invece, riguarda il territorio casertano nel quale il modello organizzativo e la gestione delle attività economiche illegali fa capo a una esclusiva organizzazione (i casalesi) che – sebbene oggi più disarticolata – presenta una fisionomia aggregativa più vicina a una struttura federata di gruppi ancorati a una leadership storica, oltretutto più pervasiva e presente nel mercato dei servizi amministrativi76. Infine, le tre altre aree provinciali della regione campana. I modelli organizzativi dei clan presenti in esse hanno similarità con quelli dell’hinterland napoletano e casertano, nonché specificità connesse alla fisionomia ambientale. Le prime derivano dal fatto che spesso sono aree interessate (come nel salernitano) dalla presenza di articolazioni criminali collegate a sodalizi più strutturati provenienti dal casertano o dall’avellinese; le seconde correlate a presenze di clan più storici il cui radicamento è minato dall’effervescenza di alternati tentativi di gruppi capeggiati da giovani pregiudicati che tendono a insediarsi utilizzando le disarticolazioni giudiziarie dei clan più strutturati. Un ulteriore caso nel quale, infine, l’inefficace azione dell’amministrazione comunale nel regolare la commercializzazione e gli spazi di un mercato ittico si combina con la capacità di un clan locale di produrre tali e tante vessazioni da generare una domanda di protezione. La vicenda riguarda la gestione del mercato ittico di Pozzuoli, un comune a ovest di Napoli. Nell’area domina tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo secolo il clan camorristico dei Longobardi contrapposto al clan Beneduce per il controllo dell’area77. Il mercato ittico di Pozzuoli finisce sotto il controllo del gruppo dei Longobardi che impongono ai rivenditori operanti nell’area in forme diverse dazi sul pescato, pizzo sull’attività economica, fino a estendere l’attività estorsiva su imprese operanti nell’edilizia e su differenti altre 76. Sulla distribuzione territoriale dei clan si veda, per gentile disponibilità della Dia, le cartine aggiornate allegate al quarto capitolo. 77. Cfr. dia, direzione investigativa antimafia, Relazione del ministro al parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti, i semestre 2007, p. 131. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 69 attività commerciali e imprenditoriali e associando ad essa ulteriori attività illegali78. Questa vicenda mette in luce due aspetti derivanti dall’attività estorsiva: essa nasce imponendosi attraverso un’attività intimidatoria e di assoggettamento che non ha alcun carattere di protezione in nessuna delle sue fasi. Inizia con l’imposizione del pizzo senza alcuna intenzione di offrire alcunché in cambio e si estende e rinvigorisce, grazie ad una reputazione costruita nel tempo, su un ambito commerciale strategico per l’economia dell’area sia estromettendo qualsiasi competitore sia sostituendosi alla governance dell’amministrazione locale il cui esito è di alimentare esternalità negative. Ovvero, coloro che non erano diventati bersaglio delle vessazioni del clan finiscono per chiedere aiuto a componenti del gruppo criminale sottomettendosi così a un protettore vicino o direttamente connesso al clan (contro le vessazioni tra l’altro della polizia locale). L’equilibrio che ne è derivato è Pareto Inferiore esattamente come quello che si produce nella Chicago degli anni Venti nella vicenda narrata da John Landesco di Mr. Becker che consociò Al Capone nella sua azienda: ognuno è spinto a cercarsi un protettore con il risultato che tutti pagano79. Con l’unica differenza che in questo caso l’esternalità negativa è prodotta dalla defezione dell’amministrazione locale incapace di regolare la gestione degli spazi di vendita dei commercianti del pesce e controllare l’esercizio dell’attività economica. Molti economisti concordano nel sottolineare che accanto alla qualità delle istituzioni, al grado di corruzione e all’efficacia delle misure di governance, è il grado di presenza dell’atti78. Cfr. Tribunale di Napoli, sez. g.i.p. Ufficio 30, o.c.c. r.g.n.r. n. 118229/00, r.g. gip. n. 80547/01. L’attività estorsiva praticata dal clan è di tipo multipla: va dall’imposizione del pizzo, al prelievo settimanale di merce, all’ingiunzione di forniture, all’uso gratuito dì beni e servizi di altrui proprietà. Il controllo territoriale si estende e consolida in modo così elevato da interferire nell’attività politica dell’amministrazione locale la quale si mostra incapace di regolare l’esercizio commerciale ittico facilitando così la funzione regolatrice del clan senza inibire la condizione di assoggettamento e omertà che deriva da tale funzione. 79. La vicenda che vede protagonista l’imprenditore indipendente Morris Becker è narrata da j. landesco, Organized Crime in Chicago, University of Chicago Press, Chicago 1929 (19682), p. 158. È stata ripresa da f. varese, Protezione ed estorsione, cit., p. 50. 70 giacomo di gennaro vità criminale a condizionare le decisioni degli imprenditori a defezionare da o investire in determinate aree80. L’intensità e l’estensione dell’attività criminale non solo scoraggia gli investimenti ma rende più fragile l’attività dell’impresa, riduce i rendimenti dell’investimento, spinge alla delocalizzazione, ha effetti di alterazione del credito alle imprese, genera una falsa pacificazione sindacale, foraggia il senso di insicurezza, indebolisce ancora di più il capitale sociale territoriale, degrada il tessuto civile e il senso della legalità, colonizza le performance imprenditoriali perché genera shift operativi fra mercati legali e illegali, crea saldature inquinanti con apparati della pubblica amministrazione nella fornitura di beni e servizi alterando l’allocazione della spesa pubblica81. Su questi effetti economisti e sociologi in particolare dibattono talvolta in modo anche non convenzionale per risaltare le conseguenze negative che la 80. Cfr. p. mauro, Corruption, Country Risk, and Growth, in «Quarterly Journal of Economics», vol. 110, 1995, pp. 681-712; d. kaufman, a.e. kraay, p. zoido-lobaton, Governance Matters, World Bank Policy Research, Working Paper, n. 2196, 1999; d. kaufman, a. kraay, m. mastruzzi, Governance Matters vi: Governance indicators for 1996-2006, «World Bank Policy Research», Working Paper, n. 4280, 2007; inoltre, d. rodrik, a. subramanian, f. trebbi, Institutions Rule: the Primacy of Institutions over Geography and Integration in Economic Development, in «Journal of Economic Growth», 9, 2, 2004, pp. 131-165; t. besley, Property Rights and Investment Incentives: Theory and Evidence from Ghana, in «Journal of Political Economy», vol. 103, 5, 1995, pp. 903-937; t. besley, s. coate, Group Lending, Repayment Incentives and Social Collateral, in «Journal of Development Economics», vol. 46, 1, 1995, pp. 1-18; s. johnson, j. mcmillan, c. woodruff, Property Rights and Finance, in «American Economic Review», vol. 92, 5, 2002, pp. 1335-1356. 81. Sulla correlazione tra presenza dei gruppi criminali e alterazione del credito alle imprese, vedi e. bonaccorsi di patti, Legalità e credito: l’impatto della criminalità sui prestiti alle imprese, in «Mezzogiorno e politiche regionali», Workshops and conference, Banca d’Italia, 2, 2009, pp. 165-189. Per l’A. la differenza nel tasso di interesse tra le province il cui tasso di criminalità si colloca al 25° percentile e quelle al 75° percentile raggiunge i 24 punti base. Si veda anche g. di gennaro, r. marselli, Accesso al credito e tasso di vittimizzazione in una comunità imprenditoriale, paper presentato all’International Interdisciplinary Conference, Issues of Legitimacy: Entrepreneurial Culture, Corporate Responsability and Urban Development, Napoli, 10-14 settembre, 2012, Università di Napoli Federico ii; ora in g. di gennaro, r. marselli, Access to Credit and the Rate of Victimitation in an Entrepreneurial Community, «Sociology Study», vol. 3, 10, 2013, pp. 781-793. Sulla distrazione dei fondi pubblici erogati alle imprese da parte della criminalità organizzata, vedi g. barone, g. narciso, The Effect of Organized Crime on Public Funds, in «Temi di discussione», 916, 2013, Banca d’Italia, pp. 5-34. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 71 presenza delle organizzazioni criminali assume sullo sviluppo produttivo e la crescita economica di un’area. La letteratura internazionale ci offre diverse evidenze empiriche circoscritte, quella nostrana è invece ancora limitata e i dati disponibili non identificano ancora in maniera diretta connessioni causali specifiche82. Tuttavia un problema si pone. Quando parliamo degli effetti suindicati derivanti dalla presenza del crimine organizzato nei territori di quale criminalità parliamo, di quella tradizionale (predatoria) o di quella imprenditoriale? Oppure è ipotizzabile l’esistenza di un equilibrio dinamicamente stabile derivante dalla coesistenza fra i due modelli di criminalità organizzata? Proviamo a capirci. Partiamo da un contributo del 2000 di un economista, Maurizio Pugno, il quale sostiene che la divaricazione nello sviluppo tra le economie regionali meridionali e quelle del Nord, va spiegata in base a una causa poco considerata: al Sud più che al Nord le persone vanno alla ricerca di attività rent-seeking, ovvero di posizioni artificiali di rendita83. Queste sono distinte in due fattispecie: una di tipo legale coincidente con l’occupazione in esubero nel settore pubblico, l’altra di tipo illegale rappresentata dall’attività predatoria (es. rapi82. Su questo punto critico e la produzione di un primo tentativo di stima dei costi economici aggregati della mafia mediante l’analisi delle performance di sviluppo di due regioni meridionali attraverso la costruzione di due campioni di regioni, vedi p. pinotti, The Economic Costs of Organized Crime: Evidence from Southern Italy, in «Temi di Discussione», Banca d’Italia, 868, 2012, pp. 5-37. Una misurazione del costo della criminalità in Italia derivato da un sottoinsieme di reati che coprono circa il 64% dei reati registrati nel Paese nel 2006 il cui valore ammonterebbe a 38 miliardi di Euro, pari al 2,6% del Pil, è in c. detotto e m. vannini, Counting the cost of crime in Italy, «Global Crime», vol. 11, 4, 2010, pp. 421-435. La stessa Svimez ha iniziato a prestare attenzione ai temi della criminalità solo a partire dalla seconda metà degli anni Novanta e solo con il Rapporto 2000 sull’economia del Mezzogiorno registriamo una più articolata e schematica riflessione sulle connessioni tra economia e presenza del crimine organizzato. È dagli anni successivi che nei Rapporti vengono monitorati in modo più puntuale anche se aggregato gli effetti della criminalità sull’economia meridionale, ma senza dare alle evidenze empiriche quello spazio e approfondimento che consentirebbero di rispondere a molti degli interrogativi sui meccanismi riproduttivi e alle connessioni causali. Vedi dal 2001 per i tipi del Mulino le pubblicazioni dei Rapporti. 83. In economia le attività rent seeking sono attività che generano un guadagno mediante l’acquisizione di una rendita economica manipolando o sfruttando altre attività produttive economiche. 72 giacomo di gennaro ne, estorsioni, ecc.) dei gruppi criminali organizzati. Secondo questa tesi la convenienza economica oggettiva che spinge le persone in direzione di attività rent-seeking, sia in modo lecito che illecito, deriva da quello che North ha chiamato l’assetto istituzionale84. Ovvero: le “regole del gioco” della convivenza sociale sono date da ciò che è l’assetto sociale e istituzionale che si costruisce in un determinato contesto. Esso consente, oppure non riesce a contrastare sufficientemente, da un lato l’estensione di un settore come il personale in esubero nel pubblico impiego, dall’altro lo sviluppo della criminalità organizzata su un territorio85. Come si vede il modello interpretativo si regge su due presupposti: intanto si genera una convenienza economica a orientarsi verso attività rent-seeking perché nelle regioni meridionali l’inefficienza dell’amministrazione pubblica è conseguenza di un debole esercizio del controllo della legalità da parte dello Stato. E intanto si sviluppa la ricerca di attività di rent-seeking nell’ambito della sfera illegale perché l’attività criminale è di tipo predatoria ed è fondamentalmente considerata come attività redistributiva, idonea ad assicurare un salario a un numero crescente di rent-seekers. Questa interpretazione ha il limite di argomentare la criminalità organizzata ancora come stilizzata su un modello di diffusa marginalità sociale e di arretratezza, così come si evince dalle stesse riflessioni della Becchi che ancora nel 1993 riteneva i gruppi criminali italiani poco inclini a investire i proventi illeciti in attività produttive86. Più tardi, nel 2009, Raul Caruso, sulla base dell’input che derivava dal Rapporto del Ministero dell’Interno del 2007 sull’infiltrazione della mafia, della camorra e della ’ndrangheta nella vita economica, costruendo un’analisi panel per le 20 regioni italiane nel periodo 1997-2003 sul rapporto tra vita economica e 84. Cfr. d.c. north, Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell’economia, il Mulino, Bologna 1990. 85. m. pugno, Rent Seeking e questione meridionale, in «Politica Economica», a. xvi, 3, 2000, pp. 387-419. 86. a. becchi, La criminalità organizzata come impresa economica in Italia: paradigmi incerti, in Camera dei Deputati, Commissione Parlamentare Antimafia (1993); aa.vv., Economia e criminalità. Come difendere l’economia dalla criminalità organizzata. Analisi del fenomeno, regole di comportamento, Camera dei Deputati, Roma 1993. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 73 criminalità organizzata, rilevava, sulla scia delle teorie economiche del rent-seeking e dei conflitti che esiste: a) una significativa associazione positiva tra investimenti nel settore immobiliare e l’indice di criminalità organizzata; b) una significativa associazione positiva tra investimenti pubblici e l’indice di criminalità organizzata; c) una significativa associazione negativa tra spese per la protezione sociale e l’indice di criminalità organizzata; d) una significativa associazione negativa tra investimenti privati e l’indice di criminalità organizzata87. Da un certo punto di vista, tutte le attività criminali, come ha mostrato Tullock, sono rent seeking, in quanto deprimono il tasso di crescita aggregato dell’economia, ancorché il livello e il tasso di crescita del reddito88. Per i gruppi criminali in genere il processo accumulativo illegale parte dall’attività estorsiva per estendersi in ragione della capacità organizzativa del gruppo ad altre attività e traffici, tant’è che l’accumulazione assume una connotazione illegale ma anche legale (da qui il riciclaggio). L’estorsione ha per eccellenza questa caratteristica dal momento che coniuga la finalità estrattiva (ci si appropria con una pratica illegale di una quota della ricchezza prodotta da altri) e quella monopolistica (attraverso l’offerta di protezione si tende a conquistare il monopolio o quanto meno il controllo delle successive attività economiche – per es. l’usura, le piazze di spaccio – spazialmente ricadenti sull’area controllata). L’attività estorsiva – la cui pratica violenta è tanto più elevata quanto minore è l’autorevolezza del gruppo criminale – si avvantaggia nell’area regionale campana del basso tessuto innovativo delle imprese e, a differenza della Sicilia, non sempre ad essa fa riscontro una contro prestazione (protezione)89. Anzi la presenza 87. Cfr. r. caruso, Spesa pubblica e criminalità organizzata in Italia: evidenza empirica su dati panel nel periodo 1997-2003, in «Economia e Lavoro», 1, 2009, pp. 73-90. 88. g. tullock, Rent seeking, in The New Palgrave. A Dictionary of Economics, vol. 4, 1987, pp. 147-149; m. centorrino, g. signorino (a cura di), Macroeconomia della mafia, Nis, Roma 1997. 89.Vedi g. di gennaro, a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità, cit., pp. 161-84. Dalla ricerca indicata abbiamo registrato, tra l’altro, sei tipi distinti di estorsione praticati lungo l’asse delle due polarità estreme (predatoria/protettiva): a) l’imposizione periodica; b) l’estorsione una tantum; c) la formula multipla (periodica più una tantum); 74 giacomo di gennaro di un carattere predatorio non ristretto a qualche clan scoraggia fortemente l’investimento imprenditoriale confermando la tesi già espressa da Murphy, Shleifer e Vishny secondo i quali il minore tasso di crescita dell’economia in alcuni contesti ove sono diffuse le attività rent seeking si spiega proprio in funzione del flusso delle innovazioni che risente dello spostamento di soggetti dotati di abilità e talenti in direzione proprio di tali attività, considerate più remunerative. Il circolo vizioso che si attiva si caratterizza per maggiore diffusione delle attività rent seeking, minore flusso di innovazioni, riduzione del tasso di crescita economica90. D’altra parte proprio l’attenzione sugli effetti distorsivi in economia delle attività illegali prodotte dal crimine organizzato e l’impatto che queste hanno sul tessuto socio-economico delle realtà locali è cresciuta nel corso degli ultimi anni, anche se si potrebbe sottolineare il ritardo di questa avvertenza rispetto allo sviluppo e al moltiplicarsi delle commistioni fra attività illegali e attività legali. I sodalizi criminali mafiosi hanno manifestato, infatti, non solo una elevata capacità nella moltiplicazione delle attività illegali, ma un’abilità nell’intercettare d) l’imposizione di forniture, prodotti, servizi, maestranze; e) il prelievo sia di danaro che di merce. Se ad essi si associa il c.d. “cavallo di ritorno” (sottrazione di un bene e restituzione dietro pagamento di una quota) e l’uso gratuito di beni di proprietà delle vittime, si evince una tipologia multiforme che, ovviamente, si moltiplica per effetto delle diverse combinazioni. A queste ultime si deve aggiungere il servizio truccato, una forma di estorsione che si basa sulla fornitura di beni e servizi a prezzi nient’affatto vantaggiosi. Le diverse forme risentono del livello di adattabilità al territorio, della densità dei gruppi criminali in esso ricadenti, del ciclo di vita del clan, del grado di radicamento territoriale, della tipologia organizzativa del clan, dell’esclusività o meno dell’attività. 90. È questo il caso, per esempio, della commercializzazione scoperta nel 2001 di falsi trapani Bosch prodotti a Hong Kong e acquistati dal cartello dell’Alleanza di Secondigliano che servendosi di esperti in attività commerciali e riciclaggio, fiscalisti e investitori finanziari e una rete di magliari (venditori ambulanti), nonché imponendone la vendita a commercianti, aveva realizzato una struttura economico-finanziaria che comprendeva la commercializzazione anche di altri brand contraffatti. Cfr., Tribunale di Napoli. Ufficio del g.i.p., o.c.c. 5 luglio 2004, Proc. n. 100839/01. Sull’effetto deprimente delle attività rent seeking per i mercati della concorrenza, vedi k. m. murphy, a. shleifer, r.w. vishny, The Allocation of Talent. Implications for growth, in «Quarterly Journal of Economics», 106, 2, 1991, pp. 503-530; id., Why is Rent-seeking so Costly to Growth?, in «American Economic Review», 83, 2, 1993, pp. 409-414. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 75 risorse economiche pubbliche, distorcere il mercato dei servizi richiesti dalle amministrazioni locali, riciclare quantità enormi di danaro nell’economia legale, entrare anticipatamente rispetto anche all’imprenditoria legittima in nuovi settori economici91, generare nuove attività illegali ad alto valore aggiunto, capaci, cioè, di produrre profitti impensabili, infiltrarsi nella gestione delle imprese, innestarsi nel processo globale di finanziarizzazione dell’economia92. Tant’è che dallo stesso Palazzo Koch nel 2011 si è elevato un grido sulla pericolosità del riciclaggio, vera e propria sfida per il Paese in quanto attività criminale dotata di un’autonoma «capacità di trasformare la liquidità di provenienza illecita in potere d’acquisto effettivo, utilizzabile per scopi di consumo, risparmio o investimento»93. Come le conseguenze della crisi economica hanno impatti differenti sulle aree territoriali e sui mercati del lavoro locali, così è differente nei suoi effetti territoriali il peso e il radicamento delle attività economiche illegali gestite dai gruppi criminali94. Già nel 2010 nelle sue “considerazioni finali”, l’allora Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, sottolineava la stretta connessione tra la densità della criminalità organizza91. Come nel caso dell’energia eolica o del fotovoltaico; cfr. cnel, I rischi di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dell’energia eolica, documenti, 19 luglio 2012, Roma. 92. m. draghi, La mafia a Milano e nel nord: aspetti sociali ed economici, Intervento del governatore della Banca d’Italia all’Università degli Studi di Milano, 2011, pp. 4 e ss. Sulla trasformazione della mafia tradizionale e sul carattere nuovo di mafia finanziaria descritto già dagli anni Ottanta, vedi u. santino, The Financial mafia. The Illegal Accumulation of Wealth and the Financial-Industrial Complex, in «Contemporary Crises», 12, 3, 1988, pp. 203-243. Utile il rapporto del cnel, osservatorio socioeconomico sulla criminalità, L’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia di alcune regioni del nord Italia, Roma 2010. Una ricostruzione dettagliata delle forme e delle figure del riciclaggio è in p. grasso, e. bellavia, Soldi sporchi, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2011. Infine, sulla capacità della mafia siciliana di tessere su scala mondiale traffici e relazioni criminali generando basi strategiche in ogni angolo del mondo, vedi c. sterling, Cosa non solo nostra. La rete mondiale della mafia siciliana, Mondadori, Milano 1990. 93.Vedi a.m. tarantola, Prevenzione e contrasto del riciclaggio: l’azione della Banca d’Italia, Intervento alla Fondazione Centro Nazionale di prevenzione e difesa sociale (cnpds), Milano 2011, p. 3. 94. Cfr. d. vittorio, Organized crime and regional development. A review of the Italian case, MPRA Paper n. 16547, posted 3 August, utc Univerity of Magna Grecia Catanzaro 2009, http://www.mpra.ub.uni-muenchen.de/16547. 76 giacomo di gennaro ta e il livello di sviluppo, sostenendo che «nelle tre regioni del Mezzogiorno in cui si concentra il 75% del crimine organizzato, il valore aggiunto pro capite del settore privato è pari al 45% di quello del centro nord»95. E appena qualche settimana dopo il vice direttore generale dello stesso Istituto alla presentazione del rapporto sull’economia della Campania sottolineava la difficoltà di fare impresa a causa della «diffusa presenza della criminalità organizzata che altera le condizioni di concorrenza, accresce i costi per le imprese e i cittadini, ostacola l’accumulazione di capitale [...] è in grado di frenare significativamente la crescita del prodotto»96. Uno sviluppo, quindi, frenato, un’economia alterata e distorta, mortificata dai suoi assetti strutturali e sociali, ma ai quali si aggiunge in forma specifica il peso dell’illegalità organizzata che influenza fortemente l’assetto territoriale dell’economia il cui processo di contrazione congiunturale, per effetto del lungo periodo di recessione che da oltre cinque anni affligge l’area, fa attestare a consuntivo del 2012 e del 2013 il Pil regionale a un -2,6%: un indice più intenso sia rispetto all’area dell’euro (-0,6% nel 2012), sia rispetto all’Italia (-2,4%)97. Infatti anche il 2013 è stato un anno di recessione per la Campania: il sesto consecutivo, con una diminuzione del Pil del 2,7% e portando così a oltre 13 punti percentuali il calo cumulato dall’inizio della crisi. Nella loro sostanzialità i dati del 2013 e 2014 delineano una attività economica stazionaria in ragione di investimenti ostacolati «dall’incertezza sui tempi e l’intensità della ripresa nonché dal persistere di vincoli finanziari» i cui effetti si riverberano sull’occupazione: nel primo semestre del 2014 il numero di occupati è nuovamente diminuito, mentre sono «oltre un milione i residenti campani che cercano attivamente un’occupazione o 95. m. draghi, Considerazioni finali, Assemblea ordinaria dei Partecipanti, Banca d’Italia, 31 maggio 2010, pp. 12-13. 96. Così a.m. tarantola, Intervento alla presentazione del Rapporto: L’economia della Campania, Napoli, 7 giugno, 2010, cit. pp. 10-11. 97. banca d’italia, Economie regionali. L’economia della Campania, Rapporto, giugno, 2013, n. 16. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 77 sono disponibili a lavorare»98. Uno spaccato severo delle criticità presenti sul territorio campano in specie per quanto attiene il sistema del credito, la cui entità è anche funzione del tessuto del sommerso e della economia criminale. Maggiore criminalità significa, dunque, meno ricchezza, più disuguaglianza, più sviluppo distorto, minore equilibrio nella distribuzione delle risorse, minore cultura civica, maggiore disponibilità fra attori sociali diversi a realizzare scambi occulti. Questi aspetti entrano nelle analisi degli economisti che sulla scia degli studi di Becker ed Ehrlich99 forniscono orientamenti nuovi che influenzano anche i nuovi approcci criminologici e sociologici, sia perché l’assunto di base sarà che il comportamento criminale non può che essere interpretato che entro uno schema di massimizzazione razionale del soggettivo benessere, sia perché entrano in gioco proxies anche di ordine istituzionale precedentemente poco considerate: punizione attesa, livello della disoccupazione, presenza e composizione della popolazione nelle aree urbane, opportunità, intensità del controllo, ciclo economico, ecc. Le stesse carriere criminali, quindi, non sono altro che il risultato di scelte soggettive e di condizioni istituzionali improntate dalla redditività maggiore che le attività illegali forniscono rispetto alla scarsezza e remunerazione delle alternative legali. La criminalità organizzata, essendo qualcosa in più delle semplici scelte aggregate, evidenzia i tratti dell’impresa criminale, ma sul tema della concentrazione mono-oligopolistica di certi settori produttivi illegali non c’è identità di vedute al riguardo. James Buchanan ha sostenuto che le imprese criminali preferiscono agire in regime di monopolio essendo questa opzione anteposta a quella competitiva tipica dell’economia legale in quanto il monopolio evita la riproduzione allargata del crimine, vi corrisponde una limitazione dell’output. Poiché la criminalità organizzata 98. id., Economie regionali. L’economia della Campania. Aggiornamento congiunturale, Napoli, novembre 2014, p. 5. 99. g.s. becker, Crime and Punishment: an Economic Approach, in «Journal of Political Economy», vol. 72, 2, 1968, pp. 169-217; I. ehrlich, Participation in Illegitimate Activities: An Economic Analysis. A Theoretical and Empirical Investigation, in «Journal of Political Economy», vol. 81, 3, 1973, pp. 521-565. 78 giacomo di gennaro agisce come impresa monopolista dell’underworld criminale, in condizioni di elasticità della domanda, quanto maggiore sarà la repressione di beni e servizi illeciti tanto più monopolistico diverrà il mercato e di conseguenza si riduce la vendita della merce proibita. In realtà, come ha già chiarito Rey, i costi da sopportare per l’impresa monopolistica non sono bassi e sono facilmente intercettabili, il che rende vulnerabile l’organizzazione e in ogni caso non è detto che si produca una riduzione dell’offerta100. Le analogie tra mercati legali e illegali sono valide fino a un certo punto considerando, oltretutto, che contrariamente a molte tesi che hanno identificato la fenomenologia criminale con gli strati marginali, più il profitto è ricercato, più l’accumulazione capitalistica estromette dalla distribuzione delle risorse differenti strati sociali, maggiore è il ricorso a crimini che non sono identificabili in quelli che Gordon ha definito i «ghetto crimes»101. Reuter, infatti, contrariamente alle tesi di Buchanan considera la criminalità contemporanea come disorganized crime, ovvero più che di impresa monopolistica occorre parlare di imprese varie che estendono la propria presenza nel mercato legale102. In primo luogo, ci sono incentivi economici perché i mercati illegali sono popolati da molte imprese, sebbene effimere; in secondo luogo nei mercati illegali non ci sono barriere all’entrata né capacità di fissare il prezzo, stando ai principi dell’industrial organization, nessuno dei classici indicatori dei mercati controllati centralmente avrebbe valore. In terzo luogo, come è stato notato, «l’impresa criminale non ha relazioni “normali” né con i dipendenti, né con i fornitori. Le transazioni che instaurano con i vari soggetti, sono diverse dalle transazioni analoghe che intercorrono sui mercati legali: in particolare sono più esposte al rischio e quindi più instabili»103. 100. a. becchi, g. rey, op. cit., pp. 66-67. 101. d.m. gordon, Capitalism, Class and Crime in America, in r. andreano, j.j. siegfried (eds.), The Economics of Crime, Jhon Wiley and Sons, New York 1980. 102. p. reuter, Disorganized Crime. The Economics of the Visible Hande, Mit Press, Cambridge, Mass. 1983. 103. a. becchi, m. turvani, Domanda e offerta nel mercato internazionale dei narcotici: effetti della proibizione, in s. zamagni (a cura di), Mercati illegali e mafie, cit., pp. 297345, cit. p. 314. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 79 Come si evince l’analisi economica della criminalità ruota, sostanzialmente, attorno a quattro aspetti fondamentali: a) gli incentivi che spingono gli individui a privilegiare le scelte dell’agire illegale rispetto a quello legale; b) lo studio del comportamento delle organizzazioni criminali come organizzazioni complesse che operano in mercati non competitivi con alti gradi di specializzazione nelle diverse fasi del ciclo produttivo; c) gli effetti distorsivi, a partire dal costo del “fare impresa”, che l’agire proprio delle organizzazioni criminali di tipo mafioso produce sui mercati legali e illegali; d) il ruolo assunto dalla bassa qualità dell’agire istituzionale e quindi dall’inefficacia delle misure di governance. Quest’ultimo fattore è stato fortemente privilegiato nella fase iniziale della scoperta della mafia da parte degli economisti italiani. Zamagni, per esempio, attribuisce all’incapacità dello Stato l’esercizio delle garanzie nelle transazioni e nell’esigibilità dei diritti di proprietà, cui si aggiunge il fallimento del mercato incapace di sollecitare buone ragioni e orientamenti efficaci alla cooperazione. I mercati della mafia sono monopolistici e si fondano sul ricorso alla violenza e grazie a tale risorsa i mafiosi praticano l’estorsione in cambio della protezione monopolistica e della fiducia selettiva104. Riprendendo una concettualizzazione di Hirsch e traducendo in una prospettiva economica le tesi di Gambetta, Zamagni sostiene che la fiducia fornita dai mafiosi è del genere dei beni posizionali, ovvero di quel tipo di beni (distinti da quelli privati e pubblici) che portano un incremento di utilità per il soggetto aggiudicatario mentre gli altri soggetti consumano il medesimo ammontare negativo. Il desiderio di appropriarsi di un bene posizionale innesca una serie di interazioni tra i soggetti concorrenti, una competizione “a somma zero” poiché non porta a un aumento dei beni disponibili per la collettività105. L’utilità che i beni posizionali conferiscono non è legata al loro uso, quanto al fatto che il loro consumo rappresenta un’etichetta con la quale la persona si posiziona rispetto agli altri. In defini104. s. zamagni, Criminalità organizzata e dilemmi della mutua sfiducia: sulla persistenza dell’equilibrio mafioso, in id., Mercati illegali e mafie, cit. p. 143. 105. Ivi, pp. 143-146. 80 giacomo di gennaro tiva, la mafia vende fiducia come bene posizionale in quanto è «un bene che viene offerto sulla base di una discriminazione che mira a riprodurre il ruolo dei mafiosi. Questa condizione non si realizzerebbe se la fiducia diventasse un bene pubblico offerto a tutti, oppure un bene privato da cui tutti gli altri sono esclusi»106. Questa linea interpretativa, come si arguisce, intreccia il tema della formazione della fiducia interistituzionale, delle connessioni tra essa e la fiducia interpersonale e della cooperazione tra soggetti economici. Ovviamente si pone la questione da dove partire per attivare un circuito virtuoso? Chi deve produrre incentivi per raggiungere obiettivi e risultati di sviluppo sociale? Lo sviluppo più contemporaneo specie dei reati economici per i quali appaiono rilevanti le responsabilità dei colletti bianchi, delle persone “rispettabili”, di appartenenti ai ceti politici, amministrativi, imprenditoriali, già ampiamente denunciate a partire dal 1939 da Sutherland e il grado di illegalità di moltissimi appartenenti a ceti di elevata condizione professionale, occupazionale o attività sociale che soggiace ai reati di corruzione, falso in bilancio, evasione fiscale, insider trading, crimini di impresa, crimini ambientali, ecc. che non solo non appaiono nelle statistiche ufficiali, ma risultano incrementarsi, non incoraggiano la prospettiva che vuole nella palingenesi dell’azione politica l’alternativa risolutrice. Su questi aspetti non è un caso che già Cottino ha sottolineato come si realizza il processo di decriminalizzazione che tende a rendere invisibile determinate condotte rilevando la colposa omissione degli studiosi di criminologia, così come si può aggiungere in parte di quella degli economisti e dei sociologi, derivante dalla sottovalutazione e mancato approfondimento proprio dei meccanismi, delle modalità e condizioni che invece consentono l’enorme produzione dell’illegalità e criminalità economica da parte delle classi e dei ceti dominanti107. E si po106. u. santino, Dalla mafia alle mafie, cit., p. 198, corsivo nostro. 107. a. cottino, Disonesto ma non criminale. La giustizia e i privilegi dei potenti, Carocci, Roma 2005. Sul processo di decriminalizzazione dei colletti bianchi, vedi o. vidoni guidoni, La criminalità, Carocci, Roma 2004, pp. 86-92. come spiegare origine, sviluppo e decadenza 81 trebbe dire, ciò nonostante le ampie e lucide pagine che già Engels nel 1848 e Marx nel 1866 hanno steso sul legame tra potere e immunità, tra potere e crimine108. Sembra quindi evidente che lo sviluppo e il contributo degli studi economici sugli effetti e il peso che i mercati criminali e l’economia illegale assumono sulla crescita e lo sviluppo delle diverse aree geografiche e singoli territori non può che indirizzarsi sulle correlazioni negative che sia la presenza delle mafie produce sui diversi indicatori di sviluppo economico che l’incidenza dei crimini economici dei colletti bianchi i cui effetti di spiazzamento degli investimenti non sono minori sulle prospettive di crescita e sviluppo sostenibile di lungo termine. 108. f. engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 387-388; k. marx, Il Capitale, Libro i, Editori Riuniti, Roma 1974, La giornata lavorativa, pp. 281-291 e L’Inghilterra dal 1846 al 1866, pp. 709-715. 82 giacomo di gennaro 2. Una regolazione sociale violenta Giacomo Di Gennaro 2.1 Caratteri e modalità del fenomeno estorsivo nella camorra tradizionale e contemporanea Gli studi sull’attività criminale, sul radicamento, lo sviluppo, le trasformazioni e i tipi distinti di organizzazione che chiamiamo camorra o se si vuole oggi al plurale camorre per marcarne la diversità territoriale in termini di configurazione aggregativa, non possono vantare quell’armamentario concettuale e analitico che abbiamo rintracciato per la mafia. Né ci si può compiacere di aver studiato e compreso alcune caratteristiche del modus operandi della camorra, il suo stile cognitivo, le ragioni della sua esistenza, il ruolo assunto dalle classi sociali, l’interferenza e condizionamento sulla vita economica e amministrativa, la connessione diretta e indiretta tra il sistema delle azioni illegali e quello delle azioni criminali, l’impegno e il disimpegno della società civile sul fronte del contrasto culturale e sociale, l’interazione tra scambio corrotto e scambio criminale. Anche per tutto ciò occorre ricorrere, anche se in forma comparativa, all’armamentario in possesso per la mafia proprio perché è venuta meno per la criminalità camorristica quella stabile e continua attenzione esistente, invece, a proposito della mafia. Rilevavo già qualche anno addietro che l’attenzione data dagli studiosi della mafia alla criminalità dei potenti nell’interpretazione dei processi d’istituzionalizzazione della mafia e la legittimazione che essa riceve in forme dirette e indirette da ampi settori della “borghesia mafiosa” non ha trovato negli studi sulla camorra neanche una giustificata radicalità e continuità interpretativa di questa distorsione segmentale di classe, nonouna regolazione sociale violenta 83 stante sia stata proprio la camorra prima della mafia1 ad essere artefice di un’asse reticolare che già Monnier nel 1862 richiamava denunciando l’esistenza di rapporti tra “città signorile” e “città plebea”2. Sottolineatura che lo stesso Francesco Mastriani faceva nel 1863 raccontando della “camorra elegante”3, o più ancora Saredo nella famosa Inchiesta allorquando parla dell’«alta camorra costituita dai più scaltri e audaci borghesi» tratteggiando così la permeabilità dei confini tra una città legale e una città illegale4. Un asse reticolare tutt’altro che indebolito e che negli ultimi decenni si è rafforzato incorporando il sistema dei partiti, i notabili politici, le segreterie amministrative, i differenti colletti bianchi e ancora poliziotti e talora magistrati5. La camorra non è una forma sociale organizzata di criminalità che rispetto ad altre forme di crimine organizzato internazionale è un monstrum anomalo che gode di peculiarità esclusive. Sono molti i tratti che la camorra contemporanea condivide con le moderne forme di criminalità organizzata sparse per il mondo. Secondo aspetto: parlare di estorsioni significa parlare della storia della camorra. Non si può comprendere la modificazione storica dei tratti essenziali dell’attività estorsiva o la persistenza degli stessi se non si ricostruisce il modo in cui la camorra si è originata, trasformata, sviluppata. La camorra sta all’estorsione come il territorio sta alla mafia. 1. l. franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, in l. franchetti, s. sonnino (a cura di), Inchiesta in Sicilia, Vallecchi, Firenze 1974; u. santino, La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; id., Borghesia mafiosa, in Dizionario di mafia e di antimafia, in «Narcomafie», 12, 2003; id., Borghesia mafiosa e società contemporanea, Relazione al convegno su “Mafia e potere” di Magistratura Democratica, 18 febbraio, Palermo 2005, disponibile in http://www. centrimpastato.it. 2. m. monnier, La camorra. Notizie storiche raccolte e documentazione, Berisio, Napoli 1965 (I ed. Barvera, Firenze 1862). 3. f. mastriani, I Vermi. Studi storici sulle classi pericolose in Napoli, Miliani, Napoli 1972 (I ed. Gargiulo, Napoli 1863). 4. g. saredo, Relazione sulla amministrazione comunale, 1901, a cura di S. Marotta, Vivarium, Napoli 1998. 5. Su questo vedi g. di gennaro, Mercati illegali e struttura di classe, in g. di gennaro, d. pizzuti (a cura di), op. cit., pp. 55 ss. 84 giacomo di gennaro 2.1.1 Il profilo dell’estorsione della camorra storica Monnier fu tra i primi a descrivere l’attività estorsiva e fu tra i primi anche a cogliere un aspetto che permane nelle sue vesti moderne: l’azione del crimine organizzato della camorra è strutturalmente facilitata da un’ampia illegalità culturale e sociale non esclusivamente radicata nella plebe ma insediata anche nei segmenti della vita borghese. Nei primi si concretizza in attività quotidiane illegali come tratto di sopravvivenza, nei secondi si esprime in termini di collusione, disponibilità alla corruzione, accrescimento dei propri interessi6. La labilità dei confini tra legale e illegale e tra illegale e criminale costituisce da sempre un nodo critico di contesto che ha fortemente influenzato sia l’affermazione di un milieu di corruttele istituzionali, sia quello delle attività criminali. Si tratta di relazioni costruite dalla camorra coi «guanti», per strutturare collaborazioni con esponenti delle classi superiori, borghesi, amministrative, burocratiche, professionali intrecciando interessi, cooptando soggetti su obiettivi di malaffare e attività illegali: la camorra come distributore di benefici che derivano da tutti coloro che, soggetti singoli o gruppi, investono in queste relazioni. Relazioni illegali che oltretutto non difettavano a segnalarsi per l’autonoma e intrinseca debolezza della struttura statale: aspetto dominante della riflessione storica postunitaria. Precondizione documentata dagli scritti di storici e di politici e che spiega per non pochi lo stesso sviluppo iniziale della camorra: la debole struttura dello Stato in tutta la fase postunitaria7. La camorra storica si sviluppa su un terreno criminale (l’estorsione) la cui logica, attività e mezzi criminali sono favoriti 6. Monnier descrive questa continua interferenza su ogni tipo di affare o passaggio di moneta, sottolineando la diffusività dell’attività estorsiva praticata su molti ambiti e che raggiunge dimensioni in pochi anni su larga scala. 7. Ancora agli inizi del nuovo secolo sulla base del lavoro svolto dalla Commissione d’inchiesta presieduta da Saredo emergeva un «degrado politico amministrativo […] che non riguardava solo Napoli ma interessava i rapporti tra Stato e Mezzogiorno, e in particolare le relazioni tra i poteri centrali, le autonomie locali, le amministrazioni periferiche»; f. barbagallo, Storia della camorra, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 74, corsivo nostro. una regolazione sociale violenta 85 da un originario senso di illegalità diffusa nei diversi strati sociali che ha reso da sempre inseparabile la città legale da quella criminale: un elemento di continuità tra passato e presente8. Il senso della legalità, anzi potremmo dire il deficit di legalità9. La retorica dei vincoli che hanno impedito e tutt’oggi impediscono lo sviluppo socio-economico del Mezzogiorno si è servita non poco del tema del basso senso di legalità affermata e praticata dalle popolazioni meridionali. Quasi come se “l’irregolarità” fosse una pratica abitudinaria della vita sociale connessa alla cultura e al costume di tali popolazioni. Questo nodo critico, in realtà, ha un carattere declinabile dall’alto (deficit di statualità, di governance, di efficace applicazione delle norme da parte degli apparati pubblici) e dal basso (dal punto di vista del rispetto delle norme, le regole a volta più elementari anche del vivere civico da parte della popolazione). Se non vi fossero relazioni di scambio corrotto con istituzioni e soggetti nel campo della politica, dell’economia e della società, la mafia o le mafie, la camorra, la ’ndrangheta sarebbero molto più deboli. In ogni caso, per un lungo periodo, salvo poi a scoprire una matrice italica, si è sostenuto che nel Sud vi fosse una estesa e variegata fenomenologia comportamentale coincidente con il basso rispetto delle regole di cui la violazione delle norme penali – massima espressione ne diviene la criminalità mafiosa – ne costituisce solo la punta dell’iceberg10. Da qui la necessità di una «cultura della legalità», «campagne per la legalità», «educazione alla legalità», «patti per la legalità», «assessorati alla legalità», e così via. Insomma, un impegno per la legalità che costituisce l’altra faccia della lotta contro l’illegalità. Un impegno che, per 8. a. pansa, Napoli: criminalità e sviluppo economico, in g. di gennaro e a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità, cit., pp. 63-90. 9. Su questo vedi, a. la spina, Mafia, legalità debole e sviluppo del Mezzogiorno, il Mulino, Bologna 2005; nonché g. di gennaro, a. la spina, Introduction. The Costs of Illegality: a Research Program, in «Global Crime», vol. 19, 2015. 10. Ancora nel 2010 la crisi della legalità è sottolineata come fattore che in Campania rallenta la crescita economica perché altera la concorrenza e si esprime con modalità critiche che investono la “correttezza dei comportamenti” la cui rilevanza è collettiva; cfr. a.m. tarantola, Presentazione del Rapporto, L’economia della Campania, Banca d’Italia, Napoli, 7 giugno 2010, pp. 10-12. 86 giacomo di gennaro non pochi, travalica i confini della ripartizione meridionale, dal momento che la legalità “imperfetta” costituisce il vero nodo che si staglia sullo sfondo della vita pubblica italiana, indice di un itinerario sociale ancora tutto da costruire per superare la lacerante preoccupazione diffusa nell’opinione pubblica circa il dilagare della corruzione, dell’infedeltà dei pubblici amministratori e funzionari, dell’uso strumentale della legge, della bassa interiorizzazione collettiva della legalità come valore11. In realtà ancorché identificabile con la violazione delle norme penali, della norma di diritto amministrativo o tributario o del lavoro, violata è pur sempre la «legge». D’altra parte, violazioni del genere possono essere estremamente rilevanti per i loro effetti socio-economici, il che rende ancor più improprio il loro indulgente ridimensionamento al rango di irregolarità. Sarebbe più corretto dire che sono (letteralmente) illegali tutte le attività che infrangono una legge o altri precetti che dalla legge derivano (ad esempio quelli di un regolamento attuativo), distinguendo poi tra le varie forme di illegalità (o, se si preferisce, antigiuridicità): di volta in volta a rilevanza penale, amministrativa, civile, tributaria, e così via. Anche i comportamenti “irregolari”, quindi, sono in effetti illegali, e vengono favoriti da un insufficiente esercizio del potere coercitivo (quando i responsabili vi rinunciano, ovvero quando lo sforzo c’è, ma è insufficiente a fronteggiare una illegalità di vaste dimensioni). Non si disconosce, quindi, l’esistenza di una vasta cultura illegale che si annida in pratiche sociali, consuetudini, comportamenti, atteggiamenti, funzioni pubbliche. Anzi, si può sostenere che all’illegalità mafiosa si affianca quella generata dallo scambio occulto che si esplica anche nei rapporti diadici ancorché tra funzionari e organizzazioni criminali. Lo scambio occulto dipende da scelte che fanno capo in ultima istanza agli individui, ma vi sono alcune condizioni strutturali che lo ren11. Interessante a riguardo è il volume di g. acocella (a cura di), La legalità ambigua, Giappichelli, Torino 2013, nel quale è analizzata la centralità del tema della legalità nella cultura giuridica moderna, ma in particolare i dilemmi e le ambiguità che l’accompagnano dando vita, così, a una sua imperfetta implementazione nella struttura pubblica e ad una sua ambigua percezione e rappresentazione nella vita delle comunità sociali. una regolazione sociale violenta 87 dono più o meno probabile: esempio, le ampie dimensioni del settore pubblico e in particolare della spesa; l’ampiezza degli spazi di discrezionalità amministrativa, l’assenza di controlli di risultato; il numero dei passaggi amministrativi e dei soggetti coinvolti, e in genere la complessità, l’opacità e la lunghezza delle procedure. A queste due forme o tipi di illegalità si aggiungono, talvolta s’intersecano, quelle forme di violazione di norme che specialmente gli attori economici, ma non solo, guardano con fastidio e ineriscono la regolazione dei rapporti in materia ambientale, previdenziale, lavoristica, commerciale, fiscale, urbanistica, ecc. La violazione delle norme che regolano questi ambiti non dipende da una sorta di inclinazione soggettiva (che per quanto configurabile è la risultante di un habitat culturale che favorisce o non ostacola certi comportamenti), quanto maggiormente dal comportamento tollerante dei soggetti incaricati di vigilare sul rispetto e l’applicazione delle norme. Myrdal considerava il soft State un’espressione dell’incapacità e non volontà sistematiche da parte degli apparati e istituzioni pubbliche di applicare tali norme12. Questo processo non attiva circuiti virtuosi per uscire dal sottosviluppo, anzi irrigidisce la rete comportamentale delle infrazioni tollerate. La legalità è un bene comune, è una risorsa etica che intimamente ci costituisce come famiglia umana perché tesse relazioni orientate alla convivenza civile e funzionalmente (tale risorsa) garantisce una migliore fruizione di ulteriori beni e diritti privati e pubblici. Non è un caso, per es., che la l. 94 del 15 luglio 2009, all’art. 2 comma 19, sanziona l’acquiescenza dell’aggiudicante un appalto o un servizio pubblico non solo perché ha alterato con il suo comportamento il principio della libera concorrenza (si è posto in una condizione di vantaggio rispetto ad altri imprenditori) e ha finanziato l’organizzazione criminale, ma la sua connivenza ha leso il diritto della comunità territoriale di accedere al bene pubblico 12. g. myrdal, The Challenge of World Poverty. A World Anti-Poverty Program in Outline, Pantheon, New York 1970. 88 giacomo di gennaro compromettendo il proprio diritto a fruire di un tessuto di relazioni interpersonali positive a rilevanza pubblica capaci di tutelare e fecondare una qualità etica dei rapporti sociali, valorizzare quelle relazioni che tessono un’etica civile. Ecco perché occorre riflettere costantemente su come tutelare nello spazio pubblico, ancorché privato, in modo determinante la stabilità e la riproduzione del senso e significato della legalità, il cui valore non si racchiude nel pensiero giuridico, ma occorre viverlo come ambito fondante della relazione con gli altri. Tuttavia il deficit di legalità non spiega in modo correlato e diretto l’origine della camorra e la sua estensione. Alcuni storici contemporanei hanno segnalato che il confuso, fragile e indistinto confine tra la città illegale (della massa plebea), la città delinquente (dei ladri, ricettatori, truffatori), la città criminale (della «classe dei Camorristi») e la città della «camorra amministrativa» si combina con quattro fattori importanti ed è da questo mix che si genera una precondizione che favorisce il lento ma inesorabile radicamento dei gruppi e successivamente delle famiglie camorristiche: a. l’elevata densità della popolazione, la presenza di modalità illegali diffuse nel gestire opportunità economiche, una domanda di lavoro proveniente da una massa plebea artigianalmente e lavorativamente non addestrata, senza competenze. Questi tre aspetti si addensano e conferiscono una matrice al carattere urbano napoletano lungo tutto l’Ottocento dentro il quale lo scompenso tra popolazione e risorse facilita la formazione di occasioni redistributive illegali. Le prime figure camorristiche ne assorbono i tratti agendo e muovendosi entro tale confine urbano e al massimo con qualche propaggine in Terra di Lavoro e zone limitrofe con una spiccata cultura violenta e accaparratrice; b. il ruolo dei quartieri di Napoli e delle attività economiche dei mercati che in essi si sviluppano con caratteri, alcuni, di alta ricattabilità proprio per i profili originari intrinseci di illegalità. Su essi si sovrappone una immediata attivazione di una delle attività tipiche della costruzione di un profilo una regolazione sociale violenta 89 criminale: l’estorsione che la “classe dei camorristi” praticava come mestiere; c. la funzione delle carceri. Nel secondo quarto dell’Ottocento, molti profili di “guappi” o capi camorristi fanno del mondo delle carceri e delle colonie penitenziarie che il governo borbonico aveva organizzato nelle isole a partire dalle Tremiti, di fronte al Gargano, il luogo della elaborazione culturale e dell’addestramento camorristico alla tangente. Questo aspetto favorisce la gerarchizzazione nell’area delinquenziale della ca-morra che oltretutto trova nell’esercito borbonico, dove venivano arruolati i criminali detenuti, un luogo ideale di rappresentata legittimazione sociale; d. infine, la debole governance statale13. Per quanto, allora, non si potesse parlare di organizzazione e di gruppi stabili, la prima camorra storica, la Società dell’umirtà, con i suoi riti e le sue regole si era data anche una articolazione interna14, invadendo per via violenta e oligopolistica spazi mercantili attraverso modalità al contempo accaparratrici e redistributive15. La camorra napoletana ha, quindi, espresso sin dalla sua origine una elementare articolazione organizzativa funzionale allo sviluppo delle diverse attività illegali (contrabbando, lotto clandestino, gestione dei “giochi dell’incertezza”16), al centro delle quali vi è stata l’estorsione. Allo sfruttamento dei detenuti si era ben presto aggiunto, all’esterno, una esazione su tutte le attività commerciali realizzate attorno ai mercati, al porto 13. m. marmo, Ordine e disordine: la camorra napoletana nell’Ottocento, in «Meridiana», n. 7-8, 1990, pp. 157-190; id., Il coltello e il mercato. La camorra prima e dopo l’unità d’Italia, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2011; f. barbagallo (a cura di), Camorra e criminalità organizzata in Campania, Liguori, Napoli 1988; id., Dal camorrista plebeo al criminale imprenditore: una modernizzazione riuscita, in «Studi Storici», n. 2, 1988a, pp. 549-555. 14. m. Marmo, La città camorrista e i suoi confini: dall’Unità al processo Cuocolo, in G. Gribaudi, (a cura di), Traffici criminali. Camorra, mafia e reti internazionali dell’illegalità, Bollati Boringhiri, Torino 2009, pp. 33-49. 15. id., Il coltello e il mercato, cit., p. 10. 16. p. macry, I giochi dell’incertezza, l’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2002. 90 giacomo di gennaro e ad ogni forma di transazione monetaria. L’attività estorsiva era facilitata ovviamente da una forza impositiva che derivava dall’uso della violenza ma, altresì, dalla disponibilità di una massa plebea, specie giovanile, vogliosa di mettersi al servizio di qualche Masto, desiderosi di farsi rispettare: giovani lazzaroni vogliosi di usare la forza per intimidire, di far soldi attraverso il malaffare. La camorra offriva in cambio danaro, appartenenza, reputazione sociale, identità e carriera. L’altro aspetto era la coincidenza tra pratiche illegali diffuse tra la massa plebea (working poor crime) e necessità che su di esse non vi fosse l’attenzione dello Stato. Né più né meno di quanto accade oggi, solo che questo carattere si è esteso ai differenti segmenti della stratificazione sociale17. Nel senso che l’attività estorsiva era rivolta innanzitutto alla sfera delle attività illegali e poi a qualche attività economica. Oggi l’attività estorsiva è praticata su tutte le attività illegali, sulle attività legali e su quelle criminali. Ci sono due aspetti tra loro correlati utili per capire l’attività estorsiva: uno è il modello organizzativo del gruppo criminale, l’altro è la configurazione dell’attività estorsiva. Blok ha sostenuto che la mafia ha avuto origine “rurale” e che la funzione di mediazione tra i proprietari e i contadini, l’esercizio 17. In una raccolta di scritti pubblicati nel 2006 Amato Lamberti con lucida e al contempo allarmata profondità analitica ci consegna l’immagine di una città nella quale sembra che il cambiamento abbia lasciato più facilmente il posto alla stagnazione essendo alcuni processi – per es. l’invasività delle bande criminali; la necessità di una classe dirigente meno collusa con criminali e affaristi, e più capace di progettare in modo efficace e risolutivo; la necessità di ridurre l’estensione della massa marginale – presenti quanto se non più di quanto già si registrava nella letteratura politicosociale dell’Ottanta e del primo Novanta. Vedi, a. lamberti, Lazzaroni. Napoli sono anche loro, Graus, Napoli 2006. Questa nota lunga che attraversa la storia della città e che fa da scenario allo sviluppo della camorra, è interessante ripercorrerla e ricostruirla attraverso gli scritti e le denunce di molti meridionalisti e politici locali. La rilevanza di questo scenario è tale che non è richiamato solo da chi per professione fa lo storico ma anche da chi ha esigenze ricostruttive per spiegare il rapporto tra le criticità proprie della vita amministrativa e sociale di Napoli e il diffondersi della camorra; su questo vedi g. acocella, Camorra e politica a Napoli un secolo fa, in «Il Progetto», VII, 40, 1987, pp. 5-10. Essendo il numero della rivista dedicato in tutta la prima parte al tema della criminalità organizzata nelle sue diverse forme aggregate, si vedano, per la conferma di una persistente lettura basata su un modello che ne rappresenta strutturali meccanismi, anche i contributi di A. Lamberti, P. Gelardi, L. Malafarina, G. Priulla, M. Morcellini, A. Signorelli, E.U. Savona, B. Sorge. una regolazione sociale violenta 91 di quell’arte del tessere accordi e insediarsi nei rami dell’attività patrimoniale in contatto e concorrenza con le classi dominanti siciliane è stata, oltre alla capacità di erogare violenza, la cifra che ha prodotto le dinastie mafiose e dentro le quali notabili e grandi proprietari (la «mafia in guanti gialli») sono risultati coinvolti nella medesima rete di complicità18. La mafia, come già indicato, si origina in aree di relativo sviluppo economico ove era presente un’agricoltura intensiva di esportazione. «Zone caratterizzate da relative opportunità di sviluppo, nelle quali si sarebbe poi affermata come risposta a esigenze di regolazione politica, economica e sociale»19. E non sono state poche le testimonianze che già nel secolo xix hanno indicato «nella mafia un’organizzazione criminale gerarchica» ove «ogni comune aveva la propria mafia cioè il proprio “aggregato di mafiosi”, dipendente da uno o più capi, subordinati questi a un capo supremo […] e ogni gruppo mafioso comunale era subordinato a un capo intercomunale o provinciale o anche interprovinciale»20. Nel percorso storico della camorra, a differenza della mafia, tranne gli anni della restaurazione borbonica nei quali la camorra tenta di darsi un’organizzazione stabile attorno a un capo (caposocietà) – tentativi che ritornano in epoche anche recenti21 – non c’è traccia di una storia di clan federati regolati da livelli territoriali superiori fino ad arrivare a una gerarchia unica o centralizzata. La storia della camorra coincide maggiormente 18. a. blok, The Mafia of a Sicilian Village, Harper and Row, New York 1974 (tr. it. La mafia di un villaggio siciliano 1860-1960), Einaudi, Torino 1986. Altri autori, r. catanzaro, Il delitto come impresa. Storia sociale della mafia, Liviana, Padova 1988; s. lupo, Nei giardini della Conca d’oro, in «Italia contemporanea», 156, 1984, pp. 43-53; a. recupero, Ceti medi e «homines novi». Alle origini della mafia, in «Polis», 2, 1987, pp. 307-328, hanno sostenuto che la mafia è un fenomeno insieme rurale e urbano sorto in Sicilia dalle tensioni del latifondo le cui soluzioni erano ricercabili solo nelle città. Per Franchetti, invece, la mafia era un fenomeno tipicamente urbano e questa posizione era condivisa anche da g. alongi, La mafia, Sellerio, Palermo 1886. 19. r. sciarrone, Mafie vecchie. Mafie nuove. Radicamento ed espansione, Donzelli, Roma 1998, p. 24. 20. g.g. lo schiavo, Il reato di associazione per delinquere nelle province siciliane, ora in id., 100 anni di mafia, Bianco, Roma 1962, p. 137. 21. Uno fra tutti il tentativo egemonico di Raffaele Cutolo tra il 1979 e il 1983 con il cartello della Nuova camorra organizzata di centralizzare la camorra napoletana. 92 giacomo di gennaro con storie urbane individuali e storie familiari, è una storia più orizzontale fatta di gruppi (specie famiglie) che attraverso attività economiche illegali si espandono su singoli territori con una densità parcellizzata di aggregazioni che ha in sé un limite evidente sotto il profilo della possibilità coesiva e che al tempo stesso è un fattore che forgia l’attività estorsiva. Se consideriamo l’intero periodo che va dai primi anni postunitari al primo decennio del Novecento, nonostante le funzioni sociali di cui abbiamo detto (ordine, controllo sociale della «città bassa», esazione imposte, ecc.), non possiamo parlare di radicamento territoriale della camorra, essendo stata l’azione di contrasto più volte violenta e gli stessi rapporti tra autorità ufficiali e camorra erano controversi, oscillando tra compromessi, simbiotici interessi e dure repressioni22. Nel caso della camorra storica l’azione estorsiva risponde più all’attuazione di una pratica accumulativa primordiale che alla strategia razionale di una organizzazione stabile. Nella letteratura sulla mafia, come abbiamo visto, molti hanno convenuto sul carattere embedded della mafia che si esprime attraverso il radicato controllo e potere territoriale e alcune posizioni convergono nel considerare l’attività estorsiva come un’offerta di protezione di un gruppo di specialisti (mediatori/imprenditori della violenza) che sfruttano una condizione favorevole determinata: a) dall’assenza di affidabilità tra privati; b) dall’assenza 22. Monzini individua tre sostanziali fasi di evoluzione di tali rapporti: la prima coincide con la camorra organizzata (l’«Onorata Società») che gode di un’ampia tolleranza istituzionale, sviluppa i traffici di contrabbando ed è utilizzata per prevenire manifestazioni di ostilità nei confronti del regime liberale. La seconda fase, tra il 1862 e il 1866, è segnata da una prima azione di contrasto che depotenzia la camorra del carattere oppositivo. Ma deleghe e patteggiamenti con le élites criminali sono ancora praticate anche se gli spazi ridimensionati. La terza è caratterizzata da un disinteresse istituzionale, la camorra è identificata con la classe delinquenziale (la tesi dell’espressione della plebe) e non si avvertono connessioni con l’«alta camorra». Solo l’impegno analitico dei meridionalisti si contrappone all’ipotesi dell’immunità delle istituzioni pubbliche al fenomeno. Occorrerà attendere l’inizio del nuovo secolo e la spinta delle diverse denunce di corruzioni locali perché l’attenzione al tema dei rapporti tra camorra e sfera pubblica riprendesse vigore; vedi p. monzini, Gruppi criminali a Napoli e a Marsiglia. La delinquenza organizzata nella storia delle due città [1820-1990], Donzelli, Roma 1999, pp. 5-10. una regolazione sociale violenta 93 di fiducia nel sistema amministrativo e politico della giustizia; c) dalla funzione di controllo sociale che determinati gruppi svolgono avendo in cambio opportunità di mobilità sociale; d) infine, dalla discrasia tra compiti e sfere di intervento dello Stato e reale ed efficace gestione di tali compiti23. D’altra parte, la variante teorica della protezione proposta da Gambetta sulla fiducia come aspetto di specializzazione dei gruppi mafiosi per mantenere viva la domanda di protezione24, configura proprio l’idea che l’attività primaria della mafia è stato il business della protezione privata con richieste non moderate di (pizzo-estorsione) funzionale alla costante e regolare acquisizione di risorse economiche (obiettivo economico), alla regolazione e attivazione della «signoria territoriale» (obiettivo politico) sostituendosi allo Stato nell’offerta di servizi25. Il carattere impositivo dell’esazione fiscale resta confermato a distanza di decenni, tant’è che nel più recente lavoro della Fondazione Chinnici in Sicilia è stato coniato l’aforisma “pagare poco pagare tutti” per indicare, però, che l’essenza attuativa dell’attività estorsiva così come è praticata oggi dalla famiglie mafiose ha visto trasformare la sua modalità, passando dal carattere selettivo della vittima (scelta tra le imprese e gli esercizi commerciali di una certa consistenza economica) tipico del passato, a quello esteso o c.d. a tappeto della riscossione, che vede coinvolte tutte le attività economiche del territorio, anche le minori sia pure per contributi minimi26. In quest’ottica, l’estorsione è sempre vincolata a un contesto organizzativo e legata al livello locale: «a differenza di altre attività illegali la sua organizzazione consiste in una rete 23. r. catanzaro, Imprenditori della violenza e mediatori sociali. Un’ipotesi di interpretazione della mafia, in «Polis», 2, 1987, p. 262. 24. Le nefaste conseguenze della dominazione spagnola, per Gambetta, hanno avuto effetti di lungo periodo sull’emergere della mafia che si è specializzata nel produrre, promuovere e vendere protezione privata, cfr., d. gambetta, La mafia siciliana, cit., pp. 89-126. 25. u. santino, La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995, pp. 37 ss. 26.Vedi, a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità. Mafia ed estorsioni in Sicilia, il Mulino, Bologna 2008, p. 63. 94 giacomo di gennaro di relazioni più che in un bagaglio di conoscenze e di tecniche di produzione o commercializzazione, e spesso non necessita di disponibilità finanziarie iniziali»27. Entrambe queste posizioni configurano un’autonomia dell’agire e un monopolio della violenza illegittima dell’organizzazione derivante da un insediamento territoriale di cui se ne vuole il controllo. Il fondamento di questa tesi, al di là se prevale l’offerta o la domanda di fiducia, si esplica in quello che Block ha chiamato power syndicate: l’estorsione come attività finalizzata al controllo del territorio che si distingue, inoltre, dall’enterprise syndicate, ossia dal carattere primario di una organizzazione mafiosa interessata a organizzare e realizzare affari e traffici illeciti28. A queste posizioni si contrappone un’altra ipotesi fondata sulla premessa che non necessariamente all’attività estorsiva debba essere collegata una prestazione (per es. la «garanzia di sicurezza» di cui parlava Weber, oppure protezione, amministrazione della giustizia)29. L’offerta coattiva di protezione, specie se ha carattere monopolistico, non ha bisogno di prestazioni, non ha bisogno di rigidità o flessibilità organizzativa, né dovrebbe essere considerata un mezzo per il raggiungimento di altri fini (il controllo e potere territoriale) dal momento che si basa sull’uso arbitrario della violenza. L’estorsione sarebbe, allora, in virtù dell’esercizio illegittimo della violenza (delineata o praticata), solo una esazione parassitaria praticata su attività che più sono ricattabili (perché a loro volta esercitate nell’illegalità) più facilmente sono soggette all’osservazione criminale. Le versioni richiamate oltre a presupporre il radicamento territoriale di cui si è detto, offrono una chiave di lettura per il 27. p. monzini, L’estorsione nei sistemi di criminalità organizzata, in «Quaderni di Sociologia», 11, 1996, p. 134. 28. a. block, East Side-West Side. Organizing Crime in New York 1930-1950, Transactions Books, New Brunswick, N.J. 1983. 29. u. santino, Dalla mafia alle mafie. Scienze sociali e crimine organizzato, riportando passi del libro di Antonino Cutrera o racconti di Libero Grassi, l’imprenditore siciliano ucciso il 29 agosto 1991 per non essersi piegato alle estorsioni mafiose, mostra come l’attività estorsiva da semplice tassazione senza controprestazione si configura poi come primo atto per l’acquisizione dell’attività imprenditoriale o commerciale. Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, pp. 35-41. una regolazione sociale violenta 95 profilo associato stabile, non per quello individuale e originario dell’azione delinquenziale, tanto meno per le estorsioni realizzate in realtà territoriali caratterizzate da una forte instabilità dei gruppi criminali (come è a Napoli) che operano su territori circoscritti, limitati, spesso anche molto ridotti e contigui ad altri nei quali operano i concorrenti. È questa la ragione per la quale gli equilibri fra i clan sono molti flebili, instabili. Basta a volte oltrepassare il “confine” di un quartiere o intromettersi in un affare che salta la pax territoriale. E poiché l’estorsione qualifica il profilo criminale del clan e resta appannaggio esclusivo di questi proprio perché garantisce il controllo del territorio (e non viceversa), mantenere un profilo predatorio è più facile perché non esige contropartite, ovvero non occorre neanche investire risorse per offrire servizi che oltretutto potrebbero alimentare un mercato con più concorrenti. Queste considerazioni non è che hanno valore solo perché c’è differenza tra la genesi della mafia, la sua successiva stabilizzazione e quello della camorra tradizionale rispetto alla moderna. Le deboli radici di alcuni clan e l’incertezza determinata dalla loro elevata densità è un dato specifico della moderna camorra e conferisce all’attività estorsiva una peculiarità che non appartiene alla mafia. Le due sostanziali ipotesi richiamate presuppongono linearità comportamentali non riscontrabili sempre nelle evidenze empiriche30. Se la pratica estorsiva è un atto nella cui sequenza e stabile ricorrenza si configura il potere e la «sovranità piena e totale sul territorio» della organizzazione mafiosa31, quindi, attività di chi esercita un potere e tratto che racchiude l’essenza dell’organizzazione criminale, allora la camorra di cui abbiamo finora parlato non è configurabile come una organizzazione che controllava il territorio in passato, bensì le attività illegali che su di esso si consumavano e produceva30. Le definizioni, sebbene idealtipiche, hanno un carattere dicotomico che impedisce di cogliere condizioni di sovrapposizione ambientale tra i due tipi, così come non è possibile considerare i confini ambigui dell’estorsione/protezione: tra intimidazione e accordo si può generare uno sbilanciamento del discorso verso ciascuno dei due poli. 31. a. dino, Mutazioni. Etnografia del mondo di Cosa Nostra, La Zisa, Palermo 2002, p. 104. 96 giacomo di gennaro no. L’attività estorsiva si delinea più per il carattere daziario e ancora oggi viene praticata perché costituisce la forma più elementare e diretta di accumulazione primitiva della ricchezza allorquando la gang vuole assumere un profilo e svolgere una carriera criminale per impadronirsi di pezzi di territorio (e di ulteriori attività illegali). Ora come «tangente parassitaria», ora come «intermediazione», altre volte come «accaparramento/ protezione», oppure come strategia di autodifesa, o anche come determinante di un «controllo monopolistico» di uno spazio, o infine, come «servizio truccato». L’eterogeneità dei fatti sociali concreti fa venir fuori profili differenti tutti accreditabili e non necessariamente dipendenti dall’esclusiva modalità organizzativa del gruppo o dal ricorso alla violenza32. È questo che, come vedremo, marca la differenza tra l’attività estorsiva praticata a Napoli e quella nel suo hinterland; così come tra queste e le altre aree più interne delle province campane. 2.1.2Il superamento della camorra storica e il ruolo dell’unità di base: i clan familiari nella modernizzazione della Campania Dopo il processo Cuocolo la camorra esaurisce la sua fase aggregativa di delinquenti privi di una qualificata organizzazione criminale ma “vicini” (i «guappi di sciammeria» e i camorristi plebei arricchiti) all’alta società più per il ruolo di garanti extralegali dell’ordine pubblico che di criminali di professione. Nella belle époque sparisce la camorra storica e non si hanno 32. Gli studi della Marmo evocano varie situazioni estorsive: da quella del guappo di quartiere la cui attività serviva oltre che a conseguire profitti a salvaguardare e consolidare la reputazione e credibilità sociale, alla tangente parassitaria, di tipo più predatoria e praticata su qualsivoglia passaggio di denaro. Altra forma era l’intermediazione praticata nei mercati alimentari o sulle attività di contrabbando che si distingueva dalla protezione prodotta nei confronti della forza-lavoro nei servizi di trasporto; o ancora, dall’estorsione delle consorterie dei facchini praticata a difesa del prezzo della manodopera, o di quella realizzata nelle carceri o connessa all’esercizio di un ruolo di giustiziere; m. marmo, La città camorrista e i suoi confini: dall’Unità al processo Cuocolo, cit., pp. 35-42. una regolazione sociale violenta 97 significative tracce fino al periodo compreso tra le due guerre33. Due le ragioni: l’assenza di una estesa rete criminale e la scarsità di risorse da poter scambiare sull’arena politica34. Ciò non vuol dire che scomparvero i guappi o che venne meno la tendenza da parte di persone dedite al malaffare – tipica dei contesti ove la composizione sociale è fortemente dominata da un enorme massa marginale – a insinuarsi in ogni tipo di attività economica o sociale per alterare i caratteri e derivarne un idoneo profitto. Anzi, dal dopoguerra la continuità tra la camorra storica e quella che inizia attorno ai clan familiari (per non pochi aspetti ormai definibile come camorra tradizionale) s’incentra su un comune carattere di marginalità e subalternità che sostanzialmente si arresta alla fine degli anni Cinquanta e va accrescendo la sua discontinuità lungo il decennio successivo. Non è un caso che dal dopoguerra e fino agli inizi degli anni Sessanta si affermeranno in diversi contesti della provincia napoletana e casertana individualità camorristiche e mediatori che collegano i contadini con i mercati urbani ortofrutticoli35. Nell’area urbana, invece, risalteranno profili criminali legati ai traffici illeciti e al mercato nero che sarà realizzato sotto l’impulso dei prodotti di provenienza alleata indirizzati a fronteggiare la grande miseria e le devastazioni prodotte dalla guerra36. Ne deriverà un circuito di 33. m. marmo, Economia e politica della camorra napoletana nel sec. xix, in «Quaderni», II, n. 2, 1988, Istituto Universitario Orientale, Dipartimento di Scienze Sociali, pp. 103-30; id., Ordine e disordine: la camorra napoletana nell’Ottocento, in «Meridiana», n. 7-8, 1990, pp. 157-190. 34. p. monzini, Gruppi criminali a Napoli e a Marsiglia, cit., pp. 76-79. 35. Erano mediatori che s’insinuavano nelle campagne, spadroneggiando, decidendo i prezzi e sfruttando il lavoro contadino, ritagliandosi un ruolo di protettori di contadini e commercianti nella catena che congiungeva i grossisti e i concessionari dei magazzini del mercato ortofrutticolo all’ingrosso; cfr. f. barbagallo, Storia della camorra, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 103 ss. Il modello criminale che si registra già in queste aree provinciali e in Terra di Lavoro ha più di un tratto differente rispetto alla camorra urbana. Non attiene solo il più rigido carattere gerarchico, ma ricomprende in modo più organico e coeso il milieu ambientale in cui onore, omertà, disuguaglianze di genere, autoritarismo patriarcale, lealtà familistica, formale pietà religiosa, sono proprietà che appartengono all’universo cognitivo e simbolico delle popolazioni locali. 36. Si commercializzava di tutto: sigarette, farina, zucchero, caramelle, cioccolata, cibi in scatola, biancheria, benzina, coperte, scarpe, orologi, farmaci, liquori e più tardi elettronica, prodotti sportivi. Tale attività impiegava consistenti masse popolari distri- 98 giacomo di gennaro attività connesse alla borsa nera e negli anni immediatamente successivi si formerà un ampio mercato locale illegale autonomo che si differenzierà, senza alcun efficace contrasto dell’autorità statale, in economia informale o semilegale (con le diverse produzioni e vendite di capi d’abbigliamento e tessuti), in traffici illegali ed economia clandestina (con al centro il contrabbando di sigarette) e in attività criminali (di cui l’estorsione e l’usura ne costituiranno il punto di contatto con la tradizionale e storica camorra)37. Il costituirsi di queste aree economiche e sociali in forma segmentata ma con confini fragili conferisce continuità a quel carattere interstiziale (ambiente/organizzazione) che dall’origine ha marcato la presenza della camorra a Napoli e in Campania38. La schiera di traffici e attività illegali di massa che si svilupperà agli inizi degli anni Sessanta sarà svolta alla luce del sole in un clima di accettazione e declassamento dell’illebuite fra il lavoro dei falsi, le attività di contraffazione, i truffaldini scartiloffi (raggiro e/o imbroglio di merci), la ricettazione, la vendita al dettaglio. È stato il contrabbando di sigarette a generare l’apprezzamento delle prime grandi famiglie camorriste napoletane, come i Giuliano di Forcella, i Nuvoletta di Marano, i fratelli Zaza. La centralità di questa attività non implicava l’assenza di altri traffici: per es. estorsioni, usura, compravendita di oro, traffico di armi; o di altre attività illegali (lotterie popolari, gioco clandestino). 37. A questo processo differenziato di economie extralegali e attività produttive clandestine e informali corrisponderà un parallelo composito universo di profili illegali coincidenti con diverse figure autonome, ma anche con nuclei familiari organizzati (i clan) che genererà una riorganizzazione delle gerarchie illegali territoriali. Molti guappi di provincia assunsero il ruolo di grossisti (detti «carte di tresette») gestendo il lavoro dei magliari (venditori di tessuti e vesti con marchi falsificati); altri camorristi provinciali si diedero al controllo dei mercati ortofrutticoli e del bestiame; nell’underworld cittadino solo alcune famiglie di contrabbandieri tra alleanze, accordi e lotte sopravvissero alla selezione che la guerra per il controllo internazionale del traffico dei Tle e la droga aveva visto contrapposti i mafiosi di Cosa nostra e i marsigliesi. La multiforme economia illegale permetterà ai diversi profili di attestarsi su posizioni di comando quale esito di un processo selettivo che nel frattempo stava già determinando le basi per creare all’interno del crimine ruoli e posizioni distinte, inoltre il formarsi dell’ampio mercato extralegale se è vero che supplirà all’endemica domanda di reddito della pletorica massa debole e marginale dell’area urbana, è pur vero che innerverà nel tessuto sociale ed economico una cultura dell’illegalità e un senso dell’autarchia che non solo avrà effetti deleteri sulla stessa crisi sociale ed economica della città, ma consoliderà ancora di più la contiguità spaziale tra “città illegale” e “città legale”. 38. g. di gennaro, Estorsioni ed usura: l’impatto distorsivo delle attività illegali dei clan di camorra sull’economia regionale campana, in «Rassegna Economica», 1, 2013, pp. 115-126. una regolazione sociale violenta 99 gale a illecito come sfere sostitutive delle legali opportunità lavorative, prodromo di quella criminalizzazione dell’economia che Behan intravede come edificazione di un parallelo “Stato” funzionalmente attento a soddisfare le esigenze della massa marginale39. Ci troviamo di fronte alla reiterazione del clima ideologico ottocentesco che legittima la presenza di un’ampia area di illegalità quale condizione della precarietà o debolezza del mercato del lavoro. È in questo senso che la camorra ha fatto anche la storia della Campania non meno di quanto la Campania abbia fatto anche la storia della camorra. I primi clan familiari cittadini s’impegnano nel contrabbando di sigarette che vede Napoli attestarsi come uno dei principali mercati del Mediterraneo. In provincia, invece, è ancora l’attività d’intermediazione con i mercati cittadini a caratterizzare per un non breve periodo l’attività dei clan40. Se è vero che per ancora un lungo periodo la camorra presidia tutte le attività illegali che la nuova plebe del xx secolo produce (ricettazione, furti, rapine, contrabbando, scommesse, prostituzione, gioco d’azzardo, truffe, usura, lotto clandestino, racket) è anche vero che con lo spostamento ad attività centrale del contrabbando dei Tle – prima in condizione di subalternità ai marsigliesi e alla mafia siciliana negli anni Sessanta e poi acquisendo un ruolo internazionale e di collaborazione paritaria con Cosa nostra negli anni Settanta – si afferma una nuova configurazione organizzativa, di cui l’unità familiare ne è il core, che si espande sui 39. t. behan, The Camorra, Routledge, London and New York 1996; ripubblicato con See Naples and Die. The Camorra and Organised Crime, I.B. Tauris Publishers, LondonNew York 2002. 40. «Sul finire del 1926 – nota Barbagallo – un ispettore generale del ministero dell’Interno documentò con precisione l’espansione di una “camorra a raggiera” che dal Napoletano si espandeva nel Casertano e raggiungeva l’agro sarnese-nocerino nel Salernitano», f. barbagallo, Storia della camorra, cit., 98. In effetti la configurazione storica della camorra più rurale dell’agro aversano e della provincia di Terra di Lavoro (il basso Volturno e la zona dei Mazzoni) ha avuto da sempre un carattere diverso da quello urbano, più disposto all’organizzazione gerarchica ma al contempo più violento. La stessa intermediazione nei mercati agricoli avviene attraverso imposizioni violente anche se la contiguità spazialmente situata con le figure amministrative e politiche locali ha agevolato un intreccio di interessi non governato esclusivamente con l’intimidazione. 100 giacomo di gennaro mercati criminali con una dotazione di capitali e una capacità organizzativa che non è comparabile con la storia precedente. L’unità organizzativa di base del clan è la famiglia camorristica la cui interna solidità conferisce forza verso l’esterno e la strategia di allargamento del clan avviene attraverso relazioni consanguinee e nuove inclusioni parentali (mediante i matrimoni). Questa modificazione è accompagnata da tre contemporanei processi esogeni alla sfera criminale ma che ne influenzeranno il percorso nei decenni successivi e non tratteggiano solo le connessioni con la sfera organizzata criminale della città, ma dell’intero hinterland e della stessa Terra di lavoro: a) l’accrescimento della densità edilizia; b) l’attivazione di un flusso d’investimenti pubblici orientati ad attivare processi di industrializzazione; c) la formazione di un blocco sociale che attorno alle risorse pubbliche e al ruolo dei partiti e delle amministrazioni pubbliche praticherà una strategia di raccolta del consenso fondata sulla redistribuzione e il controllo clientelare delle risorse, sulla funzione di mediazione e protezione politica41. Questi tre processi avranno influenze anche sulla fenomenologia territoriale della camorra, perché con l’aumento della densità edilizia praticata senza un’idea urbana complessiva si metterà in moto un’area di mercato connessa al mattone i cui effetti, prodotti sia dall’edilizia pubblica che da quella privata, genereranno: i) pezzi di città senza identità, regole e gerarchie riconoscibili, accompagnati nel tempo, specie nella periferia, da vere e proprie alienazioni urbanistiche42; ii) la formazione di 41. Per questi aspetti vedi d. pizzuti, Napoli: un futuro possibile, in aa.vv., Chiesa italiana e Mezzogiorno. Messaggi, riflessioni, voci, Ave, Roma 1993, pp. 101-134; nonché, mi permetto il rimando al mio Napoli, profilo di città: l’eterna incompiuta, in l. frudà (a cura di), Le città italiane tra spazio fisico e spazio socio-culturale, FrancoAngeli, Milano 2007, pp. 223 ss. 42. L’edilizia pubblica avrà un peso quantitativo non indifferente ma si dispiegherà senza un ruolo ordinatore, come nel caso del rione Traiano tra la fine degli anni Cinquanta e Sessanta, o della 167 di Secondigliano negli anni Settanta o, nel successivo decennio, con l’alienazione urbanistica di Scampia e dei rioni Taverna del Ferro, Pazzigno, le “Case dei Puffi”, il “Terzo Mondo”. Realtà, alcune, urbanistiche da cui prolifereranno generazioni di giovani incorporati, utilizzati dai clan e spazi territoriali utilizzati come bunker per occultare merci illegali, per l’autodifesa e il nascondimento di latitanti. Oltre al fatto che proprio molti di questi interi rioni sono stati, attraverso l’occupazione pilo- una regolazione sociale violenta 101 un vasto segmento di mercato economico nel quale l’attività estorsiva, l’intimidazione e il ricatto troveranno più facile radicamento per effetto del carattere semilegale e illegale della maggioranza delle imprese43. Nuclei e realtà industriali nell’area metropolitana produrranno una presenza a macchia di leopardo di classe operaia che di fatto in molti quartieri della città funzionerà come fattore di contenimento e controllo sia della marginalità criminale che della stessa camorra. Tuttavia, il blocco sociale che si forma attorno alla gestione delle risorse pubbliche costituirà una così ghiotta occasione di crescita per i diversi clan che si origineranno fitti rapporti di cointeressenza e collusione con differenti segmenti professionali ed esponenti politici e amministrativi locali, al punto che gli anni del post terremoto in Campania del 1980 rappresenteranno il momento in cui si realizzerà per molti clan di camorra un ulteriore salto di qualità determinato dalla capacità di incunearsi nelle pieghe della gestione dell’«economia della catastrofe»44. tata degli alloggi, occasione di un mercato arbitrario di assegnazioni e localizzazione di intere reti parentali legate ai clan. L’edilizia privata sarà, invece, l’attività predominante sulla quale costruirà la propria specializzazione economica gran parte dell’imprenditoria napoletana e campana, specie nel dopoguerra allorquando, in forma rapace e accelerando in maniera violenta il processo di materializzazione degli alloggi, darà vita, senza regole e progetti, a quel disordine urbanistico, alla parcellizzazione di pezzi di città su cui addensare, talora in forma interclassista, talaltra per categoria di reddito, strati di popolazione, singoli ceti, interi gruppi sociali. Una speculazione edilizia che tanto ha aggravato e deteriorato lo scenario paesaggistico e naturale di Napoli. 43. Sulla trasformazione dello spazio urbano, la formazione di quartieri periferici anomici e lo scempio edilizio consumato a Napoli sia nel dopoguerra che nei decenni successivi quale occasione di “trionfo della macchina politico-criminale”, vedi p. allum, Napoli punto e a capo: partiti, politica e clientelismo, L’Ancora, Napoli 2003; dello stesso, id., Il potere a Napoli: fine di un lungo dopoguerra, L’Ancora, Napoli 2001 e l’ormai classico, Potere e società a Napoli nel dopoguerra, Einaudi, Torino 1975. 44. Sugli effetti e le interconnessioni tra trasferimenti di risorse pubbliche e organizzazioni criminali vedi a. becchi collidà (a cura di), Napoli “miliardaria”. Economia e lavoro dopo il terremoto, FrancoAngeli, Milano 1984; a. lamberti, Dall’economia criminale all’economia legale: le linee di tendenza della camorra imprenditrice, in «Osservatorio sulla camorra», Fondazione Colasanto, n. 1, 1987, pp. 19-34; g. di gennaro, Questione morale e questione criminale nel Mezzogiorno, in aa.vv., Chiesa italiana e Mezzogiorno, cit., pp. 135-182; commissione parlamentare antimafia (cpa) Camorra e politica, Laterza, Roma-Bari 1994. 102 giacomo di gennaro In poco più di trent’anni tra il 1950 e il 1980 il crimine organizzato a Napoli compie tre fondamentali salti: il passaggio in città dalla gestione delle attività economiche illegali a basso rendimento (working poor crime) alla gestione, commercializzazione e traffico di una merce a più alto margine di profitto (il contrabbando dei Tle dai primi anni Sessanta e successivamente, un decennio dopo, il traffico degli stupefacenti)45. Questa fase è accompagnata da due evoluzioni strategiche di cui i clan a base familiare ne guidano i processi: una attiene il superamento della dipendenza dalle cosche mafiose siciliane che di fatto non raggiungerà mai la piena autonomia e che oltretutto fu motivo di scontro alla fine degli anni Settanta tra la Nco e la Nuova famiglia46. L’altra è l’effetto della «mafizzazione» della camorra che produrrà la formazione di un vero e proprio apparato militare nei clan. L’incorporazione di affiliati 45. Sul contrabbando dei Tle, si veda m. figuraro, f. marolda, Storia di contrabbando. Napoli 1945-1981, Pironti, Napoli 1981; n. guarino, Sigarette di contrabbando: il traffico illecito di tabacchi a Napoli dal dopoguerra agli anni Novanta, in g. gribaudi (a cura di), op. cit., pp. 90-111. 46. Tra il 1979 e il 1983 Napoli e la Campania furono teatro di uno scontro tra la Nuova camorra organizzata (Nco) di Raffaele Cutolo (che ambiva a formare un’unica organizzazione camorristica indipendente dalle cosche siciliane) e la Nuova famiglia (Nf: evoluzione della Nuova fratellanza) che riuniva i clan cittadini e della provincia (avversi a questo disegno) maggiormente collegati a Cosa nostra. Secondo gli inquirenti solo la Nco disponeva di 2.000 affiliati, saliti poi addirittura a 7.000, cfr. cpa, op. cit., p. 41. Al termine di tale periodo si contarono 900 morti. Questo scontro segue il sopravvento di Cosa nostra sui marsigliesi per il controllo del contrabbando di Tle su Napoli che si consuma tra il 1972 e l’inizio del 1973. A tal seguito la mafia siciliana affilierà come “uomini di onore” esponenti di alcuni dei clan già in vista in quegli anni: Michele e Salvatore Zaza leader della famiglia Mazzarella (che operava a Napoli nei quartieri di S. Lucia fino a S. Giovanni a Teduccio; Angelo e Lorenzo Nuvoletta dominanti a Marano e già in rapporti economici con i corleonesi Liggio, Alberti e Riina; Raffaele Ferrara (boss di Giugliano e Villaricca); Antonio Bardellino (capostipite dei casalesi) che operava in provincia nell’agro aversano. Proprio dalla metà del 1973 inizia il periodo più florido del contrabbando cui farà seguito nel giro di pochi anni il traffico di stupefacenti. Afferma Barbagallo: «a Napoli si contano circa 5.000 contrabbandieri, di cui 4.000 sui motoscafi. Le casse di sigarette sbarcate ogni mese sono circa 60.000. Le persone che operano nell’indotto di questo traffico ammontano a circa 50.000 […]. Nel 1977 solo Michele Zaza gestisce un movimento annuale di 5.000 tonnellate di sigarette per un fatturato di 150 miliardi di lire», f. barbagallo, Storia della camorra, cit., p. 116. una regolazione sociale violenta 103 con esclusivi compiti militari47. Il secondo salto avviene in coincidenza dello sviluppo del traffico degli stupefacenti quando, dalla metà degli anni Settanta, i più intraprendenti clan napoletani e casertani (Ammaturo, Zaza, Nuvoletta Bardellino, Cutolo) mostrano capacità imprenditoriali e organizzative tali da espandere le iniziative economiche sui mercati criminali mondiali e al contempo organizzare in forme più regolate le attività criminali (in primis l’estorsione). Il terzo salto avviene con la trasformazione di molti clan di camorra in collettori di voti, in dispositivi territoriali capaci di intercettare consenso elettorale, sostegno politico ad amministratori o partiti in cambio della gestione degli appalti, dei servizi pubblici, che specialmente dal terremoto dell’Ottanta conferiscono il maggior carattere imprenditoriale a molte organizzazioni criminali perché si accelera ed estende la presenza della camorra nei mercati e nelle attività legali. La periodizzazione e la mutevolezza indicate non devono essere interpretate su un asse dicotomico lineare tradizionalemoderno che in forma unitaria ha investito tutti i clan e le aree territoriali perché sarebbe una rappresentazione inadeguata e deformerebbe la comprensione stessa della camorra, delle sue attività e dei suoi traffici. In realtà ci sono sempre stati clan familiari molto più estesi, più influenti, con un forte controllo del territorio, un’alta reputazione sociale e criminale, più embedded che hanno fatto la storia criminale di interi quartieri o pezzi di città e hanno anticipato, per capacità organizzativa, utilizzo di tecniche, metodologie e strategie di implementazione dei traffici, le stesse organizzazioni economiche presenti sui mercati regolari. Esponenti gerarchici di tali clan non erano (e non sono) tuttavia estranei ad un repertorio di cognizioni, valori, simboli, regole e pratiche sociali che sarebbero ascrivibili a una cultura arcaica e/o tradizionale. A questi si sono contrapposti clan più deboli, piccoli, impegnati su limitate attività economiche illegali, 47. Di «mafizzazione» della camorra ne ha parlato i. sales, La camorra, le camorre, Editori Riuniti, Roma 1988. 104 giacomo di gennaro con ruoli subalterni e satellitari, e sodalizi intermedi attivi su più traffici e su territori più ampi48. C’è, insomma, un grado di autonomia più che una correlazione diretta positiva tra sviluppo delle attività criminali e poi traffici, e debole esercizio della sovranità dello Stato sul territorio. Sostenere che quest’ultimo fattore spieghi l’origine dell’esercizio della violenza e del controllo camorristico del territorio, almeno per il profilo della camorra risulta insufficiente. Il modello estorsivo, infatti, non si esaurisce nella tipologia protezione-estorsione. Questa appartiene più alla fenomenologia mafiosa. L’offerta di protezione, infatti, si basa sulla capacità di esercitare la violenza; da ciò ne discende che violenza e protezione sono inscindibili. In effetti, molte evidenze empiriche sulla camorra raccolte, come indicato, dagli storici, così come i risultati della nostra ricerca ci dicono che non è così. 48. Prendiamo, per es. la famiglia Giuliano di Forcella, «l’aristocrazia della camorra napoletana». La reputazione criminale è di lunga data, risale a Pio Vittorio e alla camorra dei cocchieri ottocenteschi. È stata la prima famiglia a reagire al disegno di Cutolo (con il cartello della Nuova fratellanza) già alla fine degli anni Settanta. Il consolidamento criminale lungo il corso del Novecento avviene nell’immediato dopoguerra attraverso la gestione della borsa nera dei beni contrabbandati, il gioco, il lotto clandestino, l’usura, la compravendita dell’oro e nei primi anni Sessanta con il contrabbando organizzato delle sigarette, fino all’impegno nella droga. Il profilo dell’attività estorsiva cambia nel tempo: essendo un clan embedded (tant’è che il dominio territoriale era accompagnato da una diffusa adesione e partecipazione popolare) il controllo del territorio precede l’attività estorsiva ma non deriva da una tradizione di violenza bensì da un insieme di attività illegali praticate in un lungo arco di tempo che hanno assunto funzioni territoriali occupazionali e di welfare. L’iniziale carattere di esazione era popolarmente legittimato perché inserito in un originario quadro di redistribuzione occupazionale (sebbene di working poor). In una intervista del 2010 rilasciata dal dott. Alfonso D’Avino (dda di Napoli) ai fini della ricerca sulle estorsioni a Napoli, egli afferma: «i Giuliano hanno sempre preferito taglieggiare innanzitutto le grandi imprese commerciali o economiche e poco i piccoli commercianti al dettaglio, la qual cosa garantiva sul territorio un’ampia base di consenso popolare». Questo carattere si mantiene anche con lo sviluppo del contrabbando dei Tle. È quando il dominio territoriale è totale (conseguito anche attraverso faide) che la pratica estorsiva: a) si estende a tutte le attività economiche (legali e illegali); b) coinvolge anche la sfera dei lavori pubblici; c) assume un doppio carattere: è un bene venduto (la protezione) ai clienti e membri della comunità d’appartenenza (i quartieri su cui si esercita il dominio), è un’opportunità di accumulazione dei profitti, di organizzazione di un traffico nei confronti di tutti i soggetti che dall’esterno per qualsiasi ragione devono interagire con lo spazio territoriale controllato (e a questa accezione è correlata anche una modalità attuativa più violenta, fatta di attentati, intimidazioni, violenza fisica, ecc.). una regolazione sociale violenta 105 2.1.3La sfera criminale: differenziazione e modificazione dell’attività estorsiva La Commissione parlamentare antimafia, istituita nel 1962, scopre la camorra solo nel 1993. Mentre la Sicilia e l’Italia venivano scosse dalle stragi di Capaci e di Via d’Amelio, in Campania si erano consumate altre guerre senza che una osservazione istituzionale di alto profilo si adoperasse a capire cosa stava accadendo. Ci riferiamo ovviamente alle guerre tra Nco e Nf; agli scontri rispettivamente tra il clan di Bardellino versus Nuvoletta (1984-’88), e alla guerra tra i casalesi e il gruppo Alfieri (1988’91)49. Si potrebbe dire ancora una volta lo Stato arriva tardi. Ma è solo la conferma di un generale clima di sottovalutazione50. La relazione descrive la fenomenologia criminale organizzata campana mettendo in risalto l’alta densità dei gruppi criminali51 e l’ulteriore salto storico che la camorra compie dopo il 1980 (il quarto): la proposizione diretta come soggetto economico imprenditoriale sul mercato degli appalti, dei subappalti, dei servizi diretti alle imprese «forte di una propria connotazione societaria, organizzazione aziendale, mentalità manageriale; dotata di esperti di marketing, osservatori economici, uffici legali, relazioni politiche»52. Insomma, la Commissione scopre che la camorra ha nel corso del tempo costruito tali e tanti rapporti di scambio, relazioni conniventi, contiguità affaristi49. Sulle guerre di camorra, le diverse faide e le ragioni delle scissioni si rimanda a l. brancaccio, Guerre di camorra: i clan napoletani tra faide e scissioni, in g. gribaudi (a cura di),op. cit., pp. 65-89. 50. Effetto combinato dell’azione più eclatante e visibile della mafia, dell’attacco più diretto a membri dello Stato, della più forte capacità di creare connivenze con esponenti istituzionali e amministrativi, di un discorso politico-culturale (sostenuto anche dal circuito mediatico) che più facilmente entra nella sfera pubblica, e nel quale gioca un ruolo significativo anche l’antimafia della società civile. 51. Si indicano circa 111 clan operanti in regione con oltre 6.700 affiliati e si sostiene che essi hanno un controllo del territorio, dell’economia e delle istituzioni locali così elevato che è incomparabile rispetto alla stessa mafia siciliana e alla ’ndrangheta. Molti clan basano i loro interessi economici e la propria rete di relazioni su uno scenario più internazionale senza rinunciare alla presenza territoriale di provenienza che si è rafforzata in quanto estesa agli interessi politici, cfr. cpa, op. cit., pp. 10-11 e 117 ss. e 182 ss. 52. Ivi, p. 169. 106 giacomo di gennaro che, possiede un tale esercito, è l’unica che ha ucciso parenti di collaboratori di giustizia, da ritenerla una forza pari se non più potente delle consorelle mafia, sacra corona unita e ’ndrangheta. Descrive diverse attività illegali quali fonti di profitti ma non si sofferma sull’estorsione. Ne parla come di un’attività trasversale, sostenendo che il profilo criminale è camorristico se è contemplata l’attività estorsiva. Emerge un quadro più articolato dei gruppi criminali campani e nello stesso tempo s’intravede la preoccupazione per un mutato scenario economico nazionale e internazionale nel quale la soluzione dello sviluppo economico meridionale appare più complicata dal momento che la condizione per la sua affermazione è la creazione di un ambiente più sicuro, una competizione di mercato che non risenta della presenza di quel capitalismo aggressivo tipico delle organizzazioni mafiose che distorcono le regole del mercato per orientarle ai propri fini, e in ultimo, ma enormemente importante, la produzione di un capitale sociale come asset per generare obiettivi comuni di innalzamento della qualità del tessuto sociale e invertire i processi di erosione della fiducia nelle comunità territoriali53. Vi è, d’altra parte, una condizione di ambivalenza nella crescita dell’economia criminale: se da un lato, essa segue la crescita di un territorio (come nel caso della città partenopea negli ultimi anni nuovamente al centro dei traffici e degli scambi internazionali), dall’altro, non vuol dire che interessa in modo omogeneo tutti i gruppi criminali organizzati che su esso interagiscono, né, tanto meno, che tutti acquisiscano un profilo globale. Anzi, mentre alcune organizzazioni hanno coniugato la dimensione globale/locale54, altri clan hanno mantenuto un profilo più bas53. Sulla rilevanza del capitale sociale e dell’uso di questa risorsa come asset operativo, vedi r. leonardi, r.y. nanetti, La sfida di Napoli. Capitale sociale, sviluppo e sicurezza, Guerini e Associati, Milano 2008. 54. Si pensi ad esempio agli accordi relativamente al mercato delle grandi griffes di cui si fecero artefici alla fine degli anni Novanta Pierino Licciardi, Eduardo Contini, Costantino Sarno, Paolo Di Lauro e i fratelli Lo Russo. In pochissimi anni utilizzando il lavoro nero delle centinaia di fabbriche di abbigliamento sparse sul territorio dell’hinterland napoletano e la compiacenza di decine di imprenditori locali, hanno inondato i mercati esteri commercializzando grandi marchi di abbigliamento contraffatti ma di una regolazione sociale violenta 107 so, solo locale, «network di affiliazione»55 cui si sono aggiunti, confermando quella tradizione caotica e anarchica propria della città e riflessa nel crimine nostrano, sodalizi circoscritti a piccoli territori, cellule criminali che lavorano per conto di clan, gruppi associati con rilevanza esclusiva nel quartiere, gang predatorie criminali che aspirano ad essere riconosciute come “di camorra”56. Un processo di differenziazione organizzativa che si staglia lungo un continuum di polarità connotative: aperto/ chiuso, fragile/forte, sicuro/insicuro, locale/globale, verticale/ orizzontale, coeso/instabile, reticolare molteplice/reticolare limitato. Una differenziazione aggregativa che piuttosto che contrarsi si dispiega con una maggiore densità di gruppi, manifestandosi come un limite perché ne depotenzia il peso nel panorama territoriale nazionale e internazionale ed è precondizione per la fragilità delle pax territoriali; oltretutto alta densità e differenziazione organizzativa del crimine condizionano la stessa azione di contrasto57. buona qualità. E sempre i clan di Secondigliano hanno realizzato e protetto la commercializzazione dei trapani col falso marchio Bosch esportando anche negli Usa. 55. p. lupsha, Transnational Organized Crime Versus the Nation-State, in «Transnational Organized Crime», 1, 1996, pp. 21-48. 56. Ancora nel rapporto 2009 la dia fotografava il panorama indicando nella sola città di Napoli 35 clan più 5 clan minori; nella provincia partenopea 41 clan più 14 minori; a Benevento e provincia 6 più 3 clan minori; nell’area avellinese 4 e nel salernitano 13. Infine nella provincia di Caserta è presente 1 cartello c.d. dei casalesi attorno al quale si addensano in forma federata, come i chicchi di uva al raspo del grappolo, vari gruppi. Come si evince un totale di 112 clan più 22 clan minori (senza contare gli aggregati ai casalesi); cfr., dia, Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti, gennaio-giugno, Ministero dell’Interno, Roma 2009, p. 162. 57. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta nell’ambito regionale della Campania vi era un numero più limitato di grandi clan (Maisto, Mallardo di Giugliano, Moccia di Afragola; D’Alessandro a Castellammare di Stabia; Gionta, Contini, Licciardi, Mazzarella, ecc.), ma si erano già moltiplicati sia all’interno della città che nella provincia clan più autonomi alleati su singole attività illegali e specialmente distributori e costituenti la fitta rete regionale di spaccio di droga. Inoltre il fronte dei casertani si era rotto a metà del 1988 con lo scontro tra il clan degli Schiavone, dei De Falco e di Francesco Bidognetti contro Ernesto Bardellino. Con l’estromissione di quest’ultimo in realtà il conflitto si sviluppò tra gli Schiavone e i De Falco e terminerà con la spaccatura del clan dei casalesi che solo alla fine del 1992 si concluderà con il sopravvento della fazione Schiavone e Bidognetti con il controllo dell’intero territorio casertano, il basso Lazio, molti comuni del Sannio e dell’Irpinia. 108 giacomo di gennaro Se quindi il trasferimento delle risorse pubbliche dal centro alla periferia ha innescato processi degenerativi sia nella classe dirigente politica che nell’allargamento delle opportunità espansive della criminalità campana (e napoletana in particolare), il processo di modernizzazione sociale ed economica non ha beneficiato e modificato le sacche di sottoproletariato urbano e metropolitano che caratterizzano spesso il serbatoio della criminalità predatoria e delle bande urbane, anzi ne ha modificato la natura dell’anti-social behavior alzandone aspettative di consumo e di acquisitività, proiettando e identificando così il profilo dell’integrazione sociale soggettiva nel possesso di beni di consumo vistoso (o posizionali). Per alcuni c’è una correlazione diretta tra l’insuccesso di Napoli come metropoli moderna e lo sviluppo del gangsterismo urbano e delle diverse aggregazioni di camorra. Un insuccesso che spiegherebbe non solo la permanenza dei comportamenti criminali ma, data la debolezza del mercato legale in tutta l’area metropolitana, il radicamento dell’uso della violenza come risorsa utilizzata dai malviventi per garantirsi risorse economiche, offrire protezione, aggregare attorno a un repertorio simbolico-culturale e uno stile di vita giovani marginali58. La differenziazione che si sarebbe generata nello spazio criminale urbano e metropolitano ha quindi radici endogene ed esogene ai profili organizzativi delinquenziali. Le prime risiedono nella lunga storia criminale propria dell’area, le seconde coincidono con gli effetti distorsivi della modernizzazione economica e con quella mancata a livello sociale. Una differenziazione che è accompagnata in ogni caso dall’entrata in scena di una nuova generazione di camorristi la cui presenza si avvertirà tra la fine degli anni Novanta e l’ingresso nel nuovo millennio sia per la volontà e capacità di erogare violenza con una semplicità che è impressionante, un cinismo che è sconcertante, sia per le capacità imprenditoriali che irrobustiscono quel carattere transnazionale già espresso qualche decennio addietro. Non è 58. È la lettura che emerge da i. sales, Le strade della violenza. Malviventi e bande di camorra a Napoli, L’Ancora, Napoli 2006. una regolazione sociale violenta 109 un caso che a questa capacità imprenditoriale fa riscontro un aumento del ruolo della camorra nel narco-traffico e, proprio tra le organizzazioni più qualificate, una forte incisività imprenditoriale in aree regionali del centro-nord59. Quali caratteri assume l’attività estorsiva oggi e quale continuità/discontinuità presenta rispetto alla stessa azione praticata dalla camorra storica o da quella tradizionale? Sotto il profilo della continuità, così come i camorristi storici svolgevano «veri e propri compiti di polizia e di controllo sociale nei luoghi tipici della “pericolosità” popolare» sottoponendo tutte le attività delittuose a un prelievo percentuale60, altrettanto oggi la camorra sottopone a prelievi tutte le attività illecite praticate sul territorio dalla malavita comune o dall’underworld (parcheggio abusivo, contrabbando, gioco d’azzardo, prostituzione, spaccio stupefacenti, falsi, ricettazione, rapine, usura, ecc.). L’estorsione è praticata quasi sempre in maniera diretta dal clan ed eseguita da affiliati al clan, ma non è disdegnato il subappalto di cui si è detto per il quale si stabiliscono precise royalties. Inoltre, secondo diversi magistrati, non sono pochi i gruppi criminali (minori) che piuttosto che correre i rischi connessi all’attività estorsiva, preferiscono i più lauti vantaggi della gestione delle piazze di spaccio date in concessione dai clan superiori a fronte anche in questo caso di dazi pagati sulle quantità e sulle aree utilizzate61. 59. dia, Relazione del Ministro, cit., pp. 11 e 185 ss. 60. p. monzini, Gruppi criminali a Napoli e a Marsiglia, cit., p. 4. 61. È questa la ragione per la quale in qualche quartiere della città la pratica estorsiva non è a “tappeto” specialmente se sono state registrate presenze dell’associazionismo antiracket. È interessante notare secondo le risultanze investigative più immediate e le considerazioni svolte nella Relazione del Procuratore Nazionale Antimafia, nel periodo compreso tra il 1° luglio 2012 e il 30 giugno 2013 i dati elaborati dalla dda di Napoli accertano che vi è una «limitata coincidenza tra coloro che sono iscritti per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. e quelli che rispondono del delitto associativo ex art. 74, d.P.R. n. 309/1990 (332 persone)». Ciò vuol dire che «i clan camorristici solo qualche volta si occupano direttamente delle attività correlate al traffico di stupefacenti, preferendo svolgere una funzione di supervisione esterna alle varie fasi di tali traffici, gestiti da organizzazioni criminali specializzate, che comunque fanno capo agli stessi clan»; cfr. procura nazionale antimafia, Relazione Annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale antimafia e dalla Direzione nazionale antimafia, nonché sulle dinamiche e stra- 110 giacomo di gennaro Altro elemento di continuità è l’uso della violenza. È un ingrediente presente da lunga data, anche se la camorra della fine degli anni Cinquanta del Novecento e lungo il decennio dei Sessanta pratica un comportamento più mite, meno aggressivo più funzionale alla mobilitazione e organizzazione delle proprie risorse per alzare il rendimento delle attività illecite; quella moderna, invece, ricorre in maniera più intensa, decisiva e imprevedibile all’azione violenta. Anzi, spesso ne fa un tratto esclusivo. Se guardiamo al profilo della discontinuità, la prima cosa riguarda l’estensione dell’attività estorsiva dall’area delle attività illegali all’area delle attività economiche legali ricadenti sul territorio di competenza del clan. In alcuni comuni della provincia napoletana, in tutto il casertano e in molti quartieri della stessa città non c’è attività economica, impresa, ditta, bancarella, cantiere edile, spazio in cui girano soldi che non subisca una qualche forma di estorsione. È una tassa dovuta quale riconoscimento dell’autorità dell’organizzazione sul territorio. È in genere quella forma di estorsione che assume il carattere di un bene venduto: la protezione. La sua forma è connessa al dominio monopolistico o oligopolistico del/dei clan. Piuttosto che farsi la guerra si dividono il territorio e su questo sviluppano le altre attività e gli altri traffici: piazze di spaccio; usura; contrabbando di sigarette; lotto clandestino; contraffazione; controllo della prostituzione, delle aste pubbliche, delle attività delle bande criminali, della microcriminalità, fino ad arrivare al controllo amministrativo ed elettorale funzionale a intercettare risorse pubbliche. Un altro elemento di discontinuità è dato dalla presenza, spesso, della doppia estorsione. Ovvero, l’imprenditore o commerciante paga due volte perché da distinti clan subisce l’estorsione. E poiché l’estorsione non ha più solo il carattere del prelievo stabile, della percentuale o dell’una tantum, ecco l’altra discontinuità: a queste forme si associa l’imposizione di forniture, di prodotti, servizi, e anche personale, nonché l’uso di tegie della criminalità organizzata di tipo mafioso, periodo 1° luglio 2012-30 giugno 2013, Roma, gennaio 2014, p. 711. una regolazione sociale violenta 111 beni o servizi appartenenti alla vittima62. Un’ulteriore distinzione è l’estorcere merce che poi viene rivenduta e imposta ad altri negozianti. Queste diverse forme non si escludono ma in molti casi convivono. Da qui un tartassamento, una vittimizzazione degli operatori economici che rende il contesto impraticabile a una economia pulita, sana, liberamente concorrenziale. All’attività estorsiva, spesso, si associa anche quella usuraia che aggrava il carattere di mortificazione, di violenza che molto tessuto sociale in questa regione subisce. Spesso la sua finalità è l’appropriazione dell’attività economica, imprenditoriale o comunque mantenerne il controllo. Un’altra forma estorsiva discende dalla fragilità e fluidità di molti clan che tendono ad assumere un alto profilo criminale ma non ne hanno forza e tempo rendendo il quadro discontinuo rispetto al passato, ma anche più complesso: la presenza di una quota di estorsioni che ha un carattere disordinato o addirittura predatorio. Disordinato perché il ciclo breve di vita/ morte di clan minori genera il fenomeno della doppia estorsione; predatorio perché, in genere l’estorsione può servire a un gruppo criminale per costruirsi il profilo criminale, rendere visibile sul territorio la propria presenza, accreditarsi pur senza una progettualità, senza che l’attività sia inserita in un time-table criminale: il comportamento estorsivo di questo tipo non reciproca nulla. Altro che protezione privata offerta in concorrenza allo Stato: essa assume solo il carattere di un prelievo forzato, una imposizione senza controprestazione. Anzi è millantata una protezione che si sa non essere ancora capaci di garantire. 62. Il caso prima illustrato del clan Ascione-Papale e Birra-Iacomino di Ercolano è sintomatico. La casistica giudiziaria ci mostra che non sono mancate estorsioni che si sono espresse nell’imposizione di una tangente “una tantum” o nella dazione gratuita di merce o nell’effettuazione di servizi senza ricevere alcun corrispettivo. Nel corso delle indagini ad Ercolano è emerso che l’assenza di un accordo di spartizione tra i due clan del territorio negozianti, imprenditori e gestori di attività economiche varie pagavano all’uno e all’altro clan con cifre che si aggiravano dai 100 euro ai 2000 euro a volte mensili, quadrimestrali o “una tantum” a secondo dell’esercizio o dell’attività economica e della capacità contributiva. Un vero e proprio elenco contenente oltre 100 esercizi commerciali è stato ritrovato da agenti della polizia in casa di uno degli affiliati con l’indicazione della cifra pagata. 112 giacomo di gennaro Questa forma criminale la si registra spesso nella città di Napoli ed è una conseguenza della densità dei gruppi criminali, della detenzione prolungata di capi clan, dell’arresto e immediato indebolimento delle ali militari di un clan, delle nuove alleanze che rafforzano un gruppo ma indeboliscono un altro. Su territori contigui, spesso, agiscono più famiglie, spesso tra loro legate anche in forza di vincoli parentali, ma anche più bande che spontaneamente tentano la scalata criminale. Cercano di imporsi nella gestione delle piazze di spaccio (molto più redditizie), ma per farlo necessariamente devono imporsi sul territorio. È da qui che nasce l’esigenza di appropriarsi del mercato dell’estorsione. La sua riuscita significa l’elevata probabilità di imporsi sugli altri traffici. È questa dinamica che conferisce, in un orizzonte temporale che è considerato di breve durata, allo scenario cittadino criminale un elevato tasso di conflittualità investendolo di una proprietà violenta e intensa che, al di là dei costanti “regolamenti di conti” che segnano l’agenda mensile del crime time, esplode con le faide, o le guerre di camorra generate o da scissioni, o da tentativi di predominio nell’ambito della geografia criminale, o da assestamenti nel panorama delle cooperazioni momentanee63. 63. È da sottolineare che pur in un allarmante scenario di generale assuefazione dell’opinione pubblica alla presenza della camorra considerata a Napoli come un fatto “endemico”, una fenomeno strutturale della vita sociale, ciò che lascia sgomenti è la lunga scia di morti innocenti conseguenti appunto alle guerre e faide, o ad azioni non pianificate che certamente non sono tipiche dei consorzi associativi mafiosi che controllano con autorevolezza il territorio. Le forme di angusta ferocia che sprigionano gli eventi omicidiari segnano spesso l’atroce destino della vita innocente di molte donne, giovani, ragazze, uomini, anziani, bambini che incrociano per solo un attimo fatale l’immediatezza della barbarie assassina. È così lungo l’elenco che solo per dare sostanzialità alle affermazioni richiamiamo per l’area metropolitana napoletana le tragiche esperienze vissute della morte di persone del tutto estranee ai contesti criminali entro cui erano state programmate le spedizioni omicidiarie: l’omicidio di Silvia Ruotolo, al Vomero, nel 1997; l’omicidio di Paolo Castaldi e Luigi Sequino, a Pianura, nel 2000; l’omicidio della piccola Valentina Terracciano, a Pollena Trocchia, ancora nel 2000; l’omicidio di Dario Scherillo a Casavatore, nel 2004; l’omicidio di Attilio Romanò, nel 2005, a Scampia; l’omicidio di Gelsomina Verde, nel 2004, nel corso della prima tragica e lunga faida di Scampia; l’omicidio di Domenico Noviello nel 2008, di Nicola Nappo nel 2009, di Vincenzo Liguori nel 2011, di Pasquale Romano nel 2012, di Vincenzo Ferrante nel 2014. una regolazione sociale violenta 113 Discorso diverso vale per le province di nuovo insediamento o nelle quali si ambisce a creare radicamenti. Le province di Avellino, Benevento e Salerno presentano panorami diversi dovuti o a influenze esterne, come nel caso del Beneventano i cui territori più confinanti con l’area casertana risentono dell’estensione dei clan afferenti alla federazione dei casalesi che, dopo un momento di sconvolgimento dovuto alla cattura di Michele Zagaria – avvenuta nel cuore del suo feudo a Casapesenna (Ce) il 7 dicembre 2011 – dopo appena un anno dall’arresto di Antonio Iovine (altra figura apicale del cartello dei casalesi), stanno riorganizzando con una più accentuata autonomia operativa e in forme più mimetiche il ferreo controllo del territorio, ritornando alla rigida applicazione dell’attività estorsiva un tempo non necessariamente imposta sia a tutti che in tutti i territori e alla più lucrosa attività di riciclaggio, specie nel privilegiato settore dell’edilizia, dei cospicui profitti delittuosi. Oppure il panorama è caratterizzato dalla presenza di clan più “storici”, che hanno un radicamento territoriale e una storia criminale più datata, come gli Sperandeo a Benevento, alleati con il clan Pagnozzi, o il clan Cava di Quindici (Av) antagonista storico dei Graziano presenti non solo nello stesso territorio ma con influenze e propaggini nei comuni di Bracigliano e Mercato S. Severino della provincia di Salerno. In quest’ultima città la ripresa egemonica dei clan Panella-D’Agostino conferisce un carattere più monopolistico alla gestione dei traffici e delle attività criminali, così come assume analogo profilo a Nocera Inferiore e Superiore, sempre nel salernitano, l’azione dello storico clan dei Mariniello e a Battipaglia il dominio del clan De Feo. In queste realtà territoriali la pratica estorsiva è generalmente estesa e assume il carattere di controprestazione per un “servizio offerto”: la protezione. E infatti è molto sovente il caso di commercianti, imprenditori, affaristi che in tali aree siano essi stessi a ricercare la copertura del clan per entrare o restare in un determinato affare (spesso nelle gare di appalto; oppure nelle costruzioni, ecc.). L’estorsione è «uno dei banchi di prova per misurare la supremazia del clan sul territorio, testare la fedeltà 114 giacomo di gennaro di esattori e cassieri, valutare l’efficienza di nuove leve tratte sovente dai ranghi della microcriminalità in incombenze di minore complessità quali il pattugliamento del territorio, il recapito delle richieste di denaro, l’esecuzione di rappresaglie»64. 2.2 La dimensione quantitativa del fenomeno: tentativi di stime È difficile dare conto in genere della dimensione quantitativa dell’estorsione: un reato ove è presente in modo rilevante il numero oscuro. Ancor più difficile stimare quanto i gruppi criminali ricavino da essa, nonostante negli ultimi anni si sia prodotta in Italia una gara fra enti, osservatori, centri di ricerca a realizzare il rapporto più attendibile e suadente. Molte sono le stime rese sul costo economico sostenuto dalle imprese la cui attendibilità, tuttavia, è fortemente discussa sia perché è oscurata la metodologia adottata, sia perché si contemplano tipologie molto limitate, sia perché, infine, hanno un carattere quasi esclusivo di analisi vittimologica65. Se 64. Cfr. direzione investigativa antimafia (dia), Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Dia, i semestre 2014, Roma, p. 232. 65. Da anni il rapporto della Confesercenti, “sos Impresa”, fornisce dati a riguardo dando conto dell’oscillazione che il fenomeno manifesta nel Paese, senza tuttavia fornire elementi di controllo della metodologia adottata. Secondo il Rapporto 2011, il prelievo ha raggiunto i 9 miliardi di euro di cui 5,5 mld dal solo settore del commercio, nel quale sono colpiti 160 mila esercenti (40 mila nella sola regione Campania cui si aggiungono altre 10mila imprese di altri settori che fa salire la contribuzione coatta complessiva regionale a 4,5mld di euro); cfr. Id., Le mani della criminalità sulle imprese. xiii Rapporto 2011, Alberti, Reggio Emilia 2011; e dello stesso, Focus Campania (2012). Il xiii Rapporto (Confesercenti 2011), ad esempio, stima che il ricavo lordo della “Mafia Spa” sia intorno ai 140 miliardi di euro, con un profitto netto intorno ai 100 miliardi. L’indagine di vittimizzazione di Transcrime (2012) di cui si è già detto, per esempio, registra in Campania sul totale delle imprese campionate una percentuale di imprese vittimizzate dall’estorsione pari all’85,3% (p. 10), ma l’intera indagine non offre alcun elemento né stima i ricavi che derivano dall’estorsione. Cosa che, invece, si può evincere dallo studio già citato e realizzato per il Ministero dell’Interno (Pon Sicurezza 2007-2013, I beni sequestrati e confiscati alle organizzazioni criminali nelle regioni dell’Obiettivo Convergenza), Transcrime (2013), Gli investimenti delle mafie, dal quale emerge: a) l’attività estorsiva nel Paese costituisce la seconda fonte (4,7mld di €) di una regolazione sociale violenta 115 davvero si vuole contribuire a illuminare tali fenomeni e a non destare infondati allarmi, sarebbe il caso che le pubblicazioni e le ricerche fondassero su una rigorosa, esplicita, visibile e giudicabile metodologia scientifica le proprie stime e la costruzione degli indici di misura. Ciò perché l’allarme alimenta il senso di insicurezza, ma spesso il primo rischia di essere valutato anche come orientato strumentalmente e facilmente confutabile se non basato su dati verificabili. D’altra parte, se sulle estorsioni è accertato che il numero oscuro è elevato, basti osservare lo scarto tra le denunce ufficiali pervenute ogni anno all’autorità giudiziaria e i dati assoluti degli esercenti o imprenditori “stimati” nei diversi rapporti, vuol dire che: a) o la fiducia nelle forze dell’ordine e nella stessa autorità giudiziaria è talmente bassa che la denuncia è considerata più una esposizione a un rischio piuttosto che una ribellione e affidamento protettivo nelle mani dello Stato66; oppure b) la raccolta delle informazioni da parte di molti organismi di ricerca si basa su strumenti che sovrastimano i dati, senza per giunta orientare verso un percorso di emersione legale (e legittima) la domanda di intervento dello Stato; o, terza considerazione c) ma sarebbe molto grave, il clima di impudenza nel nostro Paese è tale che la convenienza a non denunciare è superiore, per un numero molto vasto di assoggettati, alla ribellione. In un modo o nell’altro questo operare, al di là delle pur comprensibili reticenze degli operatori economici, non ricavi illegali; b) in Campania è stimato un ricavo pari a 1,4 mld circa di € all’anno (quasi il 30% dell’ammontare delle estorsioni dell’intero territorio nazionale; c) Campania e Calabria presentano una incidenza nei valori medi dei mercati illegali sul Pil regionale (media 2007-2010) più alta: rispettivamente 3,5% e 3,3%; d) l’incidenza dell’attività estorsiva sul totale dei ricavi illegali regionali è pari in Campania al 40%, in Calabria al 50%, in Sicilia al 32% e in Puglia al 26%; e) la Camorra fa registrare la percentuale più alta di ricavi tra tutte le attività illegali che sono state stimate: da un minimo di 2,9 mld di € a un massimo di 4,5 mld €. 66. Per es. dal Rapporto Confesercenti pubblicato nel 2011 si riporta che sono 160 mila i commercianti colpiti dal racket. Nello stesso periodo in Italia si registrano appena, secondo fonte sdi, 4.956 delitti commessi e 6.099 denunce raccolte con un numero di persone denunciate o arrestate che raggiunge gli 8.592 e un rapporto tra questi e le denunce pari a 1,4 per lo stesso periodo. Vedi il capitolo 3 in questo lavoro curato da Maria Di Pascale. 116 giacomo di gennaro incrina il clima spesso di omertà che attanaglia le vittime, né contribuisce a rompere il circuito vizioso intimidazione-pauraestorsione-controllo del territorio che è proprio ciò sul quale si basa la forza delle diverse organizzazioni criminali. E qui veniamo a un punto fondamentale. Oggi chi vuole approfondire e studiare le condotte dei criminali può realizzarlo in modo sempre più esteso e approfondito. In passato le mafie erano organizzazioni segretissime, delle quali si sapeva pochissimo, vista l’omertà imperante. Oggi dei mafiosi si sa non soltanto quanto hanno rivelato e vanno rivelando i singoli collaboratori di giustizia, ma anche tutto ciò che emerge da indagini patrimoniali e bancarie, perquisizioni, ritrovamenti in occasione della cattura di latitanti (come i “pizzini” e i “libri mastri”), intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali, appostamenti, pedinamenti, perlustrazioni, videocamere, tabulati telefonici, posizione nello spazio e nel tempo dei segnali provenienti dai cellulari, incroci di transazioni, analisi di laboratorio tramite tecnologie sempre più avveniristiche, e così via. Oltretutto le reti criminali, le famiglie, le cosche e i clan mafiosi non sono impenetrabili come una volta, per lo meno non tutte. Prendiamo un momento in considerazione le brecce che si sono determinate per effetto dei collaboratori di giustizia. Intanto è da sottolineare che tra le diverse mafie nostrane i clan di camorra appaiono quelli che manifestano una maggiore esposizione alla defezione dei propri adepti. Il più alto numero di collaboratori di giustizia (l. 15 marzo 1991 n. 82, c.d. “pentiti”), infatti, si registra fra la camorra, mentre tra i testimoni di giustizia (modifiche alla legge del 1991; l. 13 febbraio 2001, n. 45) prevalgono gli aderenti alla ’ndrangheta. I collaboratori di giustizia che provengono dalle fila dei clan di camorra costituiscono oggi il 43,8%, a fronte degli omologhi provenienti dalla famiglie mafiose che rappresentano il 25,8% del totale. Nel grafico sottostante e nella tabella B21 in appendice i dati aggiornati al dicembre del 201367. Come si vede, dopo il 67. Innanzitutto, a partire dal 1995, dopo l’immediatezza del primo biennio che fa registrare qualche punta avanzata, l’adesione a tale posizione è scelta da un numero una regolazione sociale violenta 117 2003 vi è una riduzione di adesioni al piano alternativo previsto dalla legge sui collaboratori di giustizia e dura fino al 2006 per poi risalire fino a oggi. Grafico 1 - Collaboratori di giustizia e testimoni dal 31/12/1995 al 31/12/2013 Fonte: Ministero dell’Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza In sintesi tutto il primo decennio (1995-2005) – coincidente con la più intensa e dura fase di contrasto realizzata dallo Stato nei confronti della Mafia all’indomani delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, nonché degli attentati a Milano, Firenze e Roma – fa registrare una maggiore defezione tra le fila proprio delle cosche mafiose, mentre il numero degli aderenti più o meno stabile di persone che, specialmente fra le fila delle famiglie mafiose, costituiscono la parte preponderante. Tra i collaboratori di giustizia provenienti dalla mafia per un decennio si registra una defezione dalle cosche pari a poco più di 1/3 del totale; cfr. Relazione al Parlamento sulle speciali misure di protezione sulla loro efficacia e sulle modalità generali di applicazione, Roma 2013. Alla fine del 2013 risultavano censiti complessivamente 1.224 titolari di programma di protezione, ripartiti in 1.144 collaboratori e 80 testimoni; i familiari sono 4.617 (di cui 267 per i testimoni e 4350 per i collaboratoti), che costituiscono nel loro insieme una popolazione protetta ammontante a 5841 unità, con un incremento rispetto al semestre precedente (gennaio-luglio 2013) pari a 318 unità (n. 44 collaboratori o testimoni e n. 274 familiari (p. 1). 118 giacomo di gennaro ai diversi clan di Camorra non raggiunge mai le adesioni dei mafiosi ma, a differenza di questi, è in sostanziale costante aumento68. Viceversa, tra le organizzazioni straniere la quota dei collaboratori in tutto il primo periodo (dal 1995 al 2002) è, in proporzione, più elevata perfino dei componenti il gruppo proveniente dai clan di camorra, per poi costantemente contrarsi fino a raggiungere percentuali inferiori a tutte le altre componenti criminali. Questa performance, tuttavia, contrasta con le più recenti analisi provenienti dall’intelligence investigativa che sottolinea, viceversa, l’aumento della presenza nei traffici illegali e nella criminalità specie negli ultimi anni nel territorio nazionale delle aggregazioni di matrice estera, e ciò indipendentemente dai più recenti allarmi connessi al terrorismo, tant’è che tra le diverse matrici estere la criminalità albanese ha acquisito una posizione di primo piano nello scenario delinquenziale nazionale, sia per effetto dei collegamenti con le organizzazioni mafiose nostrane che per le sinergie con organizzazioni dell’Europa dell’Est e le consorterie maghrebine69. 68. Sintomo di una non condivisione della strategia militare-stragista all’interno delle diverse famiglie e dei mandamenti aderenti a Cosa Nostra. La percentuale, invece, delle adesioni alla collaborazione tra le cosche ‘ndranghetiste è sempre bassa sin dall’inizio della serie, a conferma della forza dei legami di sangue che costituisce l’ossatura su cui si basano le ‘ndrine, dal momento che un collaboratore di giustizia quasi sicuramente sarebbe (ed è stato) costretto a chiamare in causa membri della famiglia e parenti più prossimi. La diffusività contenuta della Sacra Corona Unita, così come delle altre organizzazioni allogene nel Paese, è alla base dei dati relativi che si osservano tra i collaboratori di giustizia i quali, tra le due distinte configurazioni aggregative, ciononostante, fanno registrare trends diversi: una sostanziale defezione più o meno costante fino al 2003 fra gli aderenti ai gruppi pugliesi, con una lieve ascesa delle collaborazioni a partire dall’anno successivo che stabilmente si mantiene tale fino ad oggi; vedi tab. B21 in appendice. 69. In particolare emerge che i sodalizi cinesi e albanesi appaiono acquisire connotazioni assimilabili a quelle dei tradizionali raggruppamenti mafiosi e in particolare aspetti che attengono: «elevato grado di coesione interna; compartimentazione dei ruoli; spiccata capacità di intimidazione violenta; omertà delle vittime; proiezione internazionale delle attività criminali; disponibilità di armi; capacità di stringere alleanze ad hoc, limitate a determinati progetti criminali»; cfr. Dia, Relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento, I semestre 2014, op. cit. p. 169. una regolazione sociale violenta 119 Figura 1 - Aree criminali di provenienza dei collaboratori di giustizia. Anno 2013 Fonte: Ministero dell’Interno. Relazione sulle speciali misure di protezione. Ultime due considerazioni: a partire dagli ultimi anni, a conferma del peso che le defezioni dai clan di camorra fanno registrare, la Commissione Centrale70 ha ricevuto il maggior numero di richieste dei piani di protezione dalla Procura e dda di Napoli; relativamente, poi, alle organizzazioni criminali straniere è interessante sottolineare che al 31 dicembre 2013 nel sistema tutorio italiano «sono inseriti 62 cittadini stranieri di cui 12 beneficiano delle misure destinate ai testimoni e 15 sono di sesso femminile. La maggior parte di essi, 22 unità, proviene dalla criminalità comune, 16 sono affiliati alla camorra, 8 alla ’ndrangheta, 6 alla mafia, 3 al terrorismo eversivo, 2 alla sacra corona unita ed infine i rimanenti 5 appartengono ad altre organizzazioni»71. Come si nota se escludiamo la provenienza delle unità il cui programma di protezione è determinato dal 70. Istituita presso l’Ufficio Coordinamento e Pianificazione delle Forze di Polizia del Ministero dell’Interno con il compito di definire e applicare le speciali misure di protezione, ex art. 10 L. 82/1991. 71. Cfr. ministero dell’interno, Relazione al Parlamento sulle speciali misure di protezione, cit. p. 14. In prevalenza si tratta di cittadini provenienti dai Paesi dell’Est europeo e dall’Africa. 120 giacomo di gennaro consumo di reati propri di criminalità comune, la quota più elevata di collaboratori stranieri si registra tra quanti sono affiliati alla camorra, segnale di alleanze legate al traffico e spaccio di stupefacenti, nonché di integrazioni criminali straniere o incrocio di personale straniero nelle reti relazionali criminali, utili nella filiera di attività finalizzate allo sfruttamento della prostituzione, all’organizzazione di truffe e nelle falsificazioni. Si tratta di una dimensione relazionale che più che delinearsi come affiliazione che genera comportamenti e azioni realizzate esclusivamente sotto “l’ombrello protettivo” di qualche clan ai fini del controllo del territorio (nel senso del power syndicate così come inteso da Block), assume il contenuto di un coinvolgimento esterno al vincolo associativo generato dall’elemento connettivo che è l’interesse per la conduzione di traffici e affari illeciti (connotandosi quindi come enterprise syndicate) che costituiscono l’opportunità per dare prova di capacità relazionali e saperi criminali72. Queste considerazioni sul ruolo dei collaboratori di giustizia sono importanti perché oltre ad essere persone che hanno dato, in base a un passato di appartenenza a una organizzazione criminale o mafiosa, un contributo informativo importante per scardinare le strutture organizzative e fare luce su obiettivi e rapporti di connivenza e collusione, costituiscono anche un indicatore della maggiore o minore chiusura e impermeabilità di un ambiente mafioso. La capacità di preservare un clima di omertà e assoggettamento al vincolo associativo costituisce un elemento discriminante il profilo dell’organizzazione criminale 72. Emblematica è stata l’operazione investigativa «Money & Drugs» condotta dai carabinieri per oltre un anno dal 2012 e che ha portato nel maggio 2014 all’arresto di 27 tra ghanesi, nigeriani, tanzanesi e italiani ai quali è stato contestato il reato di traffico e spaccio di stupefacenti; o.c.c. Tribunale di Napoli; cfr. dia, Relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento, i semestre 2014, cit., p. 176. Nella Relazione della dna del 2012 nella parte relativa alle “attività di collegamento investigativo con riferimento ai Distretti delle Corti di Appello: napoli”, si legge: «Il numero di soggetti di nazionalità estera scritti per i delitti ex art. 51, comma 3 bis c.p.p. (sono) 180 persone, la cui fetta maggiore ricomprende cittadini nigeriani, a dimostrazione dell’ormai consolidata presenza criminale di soggetti di tale nazionalità in terra campana, ove si occupano prevalentemente di traffico di stupefacenti e di sfruttamento della prostituzione», cit., p. 644. una regolazione sociale violenta 121 di stampo mafioso. Non è un caso che fra tutte le nostrane le ’ndrine calabresi producono un numero di collaboratori di giustizia basso, anche se il contributo dei testimoni è leggermente più alto. Ma come si sa il contributo dei testimoni è connesso alla testimonianza relativamente all’accadimento di un fatto delittuoso e spesso le informazioni su beni illecitamente accumulati dalla cosca, su strategie adottate, obiettivi perseguiti, su logistiche di protezione di importanti boss, sui meccanismi che regolano le forme di investimento, risultano scarse. Ecco perché per studiare e capire l’impatto sull’economia dei sodalizi criminali di stampo mafioso, ovvero il loro condizionamento negativo sui processi di sviluppo occorre affrontarlo con metodologie rigorose e limitate a gruppi di variabili, mediante indicatori e indici sintetici, che siano replicabili, osservabili, e del cui impatto sia possibile rintracciare e misurare il “peso” ancorché la correlazione tra fenomeni. Chi già fa impresa nelle aree in ritardo di sviluppo ha vita stentata, e, soprattutto, chi potrebbe farvi impresa vi rinuncia, dirigendosi altrove. Per converso, come è stato a più riprese evidenziato tra gli altri dalla World Bank73, i migliori tassi di crescita e attrazione di investimenti si riscontrano in nazioni o aree in cui le istituzioni pubbliche vengono ritenute più credibili dalle comunità degli uomini d’affari. Con ciò si intende che esse vengono percepite come intenzionate a, e capaci di, mantenere ferme e condurre a compimento le politiche intraprese, nonché come dotate di comportamenti amministrativi e giudiziari prevedibili e competenti, livelli di criminalità accettabili, corruzione non elevata. Da qui la necessità di individuare con precisione e con cautele maggiori di quanto non sia stato fatto finora, e attraverso percorsi metodologici controllabili, sia le caratteristiche e le dimensioni quantitative dei fenomeni illegali, sia le loro conseguenze economiche dirette e indirette. Ciò non soltanto in omaggio ad un ideale (che non è soltanto un’aspirazione 73. world bank, The State in a Changing World, Oxford University Press, Oxford 1997; id., World Development Report 2002: Building Institutions for Markets, Oxford University Press, Oxford 2002. 122 giacomo di gennaro astratta) di rigore conoscitivo, ma anche perché analizzare i fenomeni il meno possibile approssimativo ci aiuta anche a combatterli meglio e a evitare allarmismi o autoflagellazioni che non servono alla causa. Il ricorso, ad esempio, al materiale giudiziario (ordinanze di custodia cautelare e relative sentenze, intercettazioni telefoniche e ambientali) è di fondamentale importanza ai fini della ricostruzione di molti aspetti che i dati statistici non ci offrono in quanto la singola estorsione viene letteralmente fotografata o quanto meno fonoregistrata, per cui è ricavabile una dimensione quantitativa più attendibile e sulla quale è possibile costruire stime più rigorose; così come si comprende meglio la trasformazione della modalità attuativa della pratica, oppure la correlazione tra tipologia di gruppo criminale e tipologia delle attività illegali; dimensione spaziale delle stesse, profilo delle vittime, circostanze che rendono più esposte categorie particolari al rischio di vittimizzazione, ecc. È questo un punto sul quale, in futuro, occorrerà lavorare molto e meglio per costruire sinergie virtuose tra strutture di ricerca e ambiti giudiziari in modo da porre le premesse per nuovi e articolati programmi di ricerca così come avvenuto per altri reati sui quali il contributo della criminologia si è reso più efficace, nella consapevolezza che lo sviluppo di tali programmi non può che apportare reciproci vantaggi con ricadute significative sia per la comprensione dei soggetti altamente vulnerabili rispetto allo specifico reato, sia per lo sviluppo delle indagini con inevitabili ricadute sul piano della prevenzione e del contrasto. D’altra parte, oggetto di indagine sono i fatti del passato che sono ricostruiti in base alle tracce rimaste nel presente (c.d. metodo abduttivo), dove si procede “a ritroso” dal conseguente verso l’antecedente per il tramite di generalizzazioni tratte dalla scienza e dall’esperienza corrente. Ciò che può essere efficace per il contrasto all’attività estorsiva è rendere meno “passato” nelle indagini preliminari ciò che può essere affrontato sul nascere, a partire ovvero dalla fase dell’“aggancio” della vittima. Il che presuppone, ovviamente, la possibilità di costruire un modello di prevenzione (e di indagine) che basandosi innanzitutto su una strategia di incentivazione, accumulazione e sviluppo una regolazione sociale violenta 123 della fiducia nei diversi apparati dello Stato (prioritariamente forze di polizia e magistratura) da parte di quelle che in questo caso sono “vittime collettive” – in quanto appartenenti a un particolare gruppo di soggetti, legati da speciali rapporti, circostanze, interessi – attivi un circuito virtuoso che rompa la tendenza primaria delle vittime di privatizzare la soluzione del problema nell’illusoria credenza di venirne fuori o, peggio ancora, considerare il racket una componente “normale” della vita regionale. Nessun peggiore impatto devastante per l’integrità delle comunità locali, per l’economia del territorio e lo scollamento del tessuto sociale potrebbe generarsi se si consolidasse questa idea. Ecco perché, allora, è importante sostenere e sviluppare l’associazionismo antiracket, perché costituisce l’espressione di una parte importante degli attori in gioco: è un modo di sottoscrivere la condivisione di norme di legalità, di collegare la forma di capitale sociale bonding (che come self-help si sviluppa tra le vittime creando la base per un secondo tipo di relazioni) a quella bridging (la rete delle relazioni orizzontali fra le diverse associazioni e soggetti istituzionali che contrastano o sono interessati a combattere ogni forma di estorsione) e quest’ultima tradursi in relazioni di “azione” e aggancio (capitale sociale linking) con le istituzioni politiche, le stesse forze di polizia, la magistratura per aumentare quella che Sampson e Raudenbusch hanno chiamato «efficacia collettiva»74, ovve74. Sul concetto di “efficacia collettiva” si veda, r.j. sampson, s.w. raudenbush, f. earls, Neighborhood and Violent Crime: A Multilivel Study of Collective Efficacy, «Science», vol. 227, n. 5328, pp. 918-924; r.j. sampson, j.d. morenoff, f. earls, Beyond Social Capital: Spatial Dynamics of Collective Efficacy for Children, «American Sociological Review», vol. 64, 1999, pp. 633-660; j.d. morenoff, r.j. sampson, s.w. raudenbush, Neighborhood Inequality,Collective Efficacy, and Spatial Dynamics of Urban Violence, «Criminology», vol. 39, 3, 2001, pp. 517-560. Più recentemente Sampson dopo un ventennale periodo di studi e ricerche sulle dinamiche intra e inter-quartiere e i comportamenti etero-interessati, ha approfondito l’associazione tra dati individuali e dati di quartiere in un ambizioso lavoro frutto del Project of Human Development on Chicago Neighborhood (phdcn), partito nei primi anni Novanta, fondando – su una corposa analisi longitudinale e l’uso molteplice di tecniche e metodologie – la tesi che meccanismi e relazioni di quartiere sono a monte dei problemi di criminalità e disagio, così come degli indicatori di benessere e progresso; cfr. r. sampson, Great American City. Chicago and the Enduring Neighborhood Effect, University of Chicago Press, Chicago 2011. 124 giacomo di gennaro ro un “anticorpo” nel supporto del controllo sociale a livello di quartiere che coincide con la capacità di mobilitazione di una comunità territoriale su questioni di mutuo interesse, per ottenere risultati di sicurezza, di libertà, di controllo sociale, risposte di policy. Il controllo sociale in un quartiere, in questo caso, non deve essere inteso come esclusivo dispiegamento delle forze endogene delle comunità che passa attraverso i singoli individui o i loro legami più o meno stretti, ma portato della sinergia, del collegamento costante, interattivo tra la particolare comunità territoriale e i diversi segmenti della società i quali elaborano una strategia condivisa e articolata di lungo periodo programmata secondo fasi distinte di informazionepartecipazione-condivisione-denuncia-controllo sì da generare un effetto moltiplicatore di una cittadinanza più responsabile e di un migliore rendimento dell’azione delle istituzioni. È lo snodarsi di queste interazioni che crea precondizioni virtuose per lo sviluppo di opportunità economiche e sociali. Noi sappiamo, ed è ormai acquisito, che la presenza nelle aree territoriali della criminalità organizzata, così come una diffusa corruzione, o una incerta se non debole applicazione delle norme amministrative utili alla gestione dell’economia costituiscono un disincentivo per potenziali investitori esterni. oecd, imf, wto, World Bank, così come le agenzie di rating parlano al riguardo di business climate o di business environment, un concetto che è diventato sempre più importante via via che si sono aperte le economie nazionali, si sono globalizzati i mercati, e si sono affacciati ad essi Paesi come quelli dell’Europa dell’est e di recente Cina, India, Brasile. Gli investitori, sia locali, sia soprattutto stranieri, cercano un business climate favorevole. Quest’ultimo dipende anche da aspetti quali la pressione fiscale, il sistema di regolazione dell’attività d’impresa75, la dotazione infrastrutturale e di servizi, la presenza di vantaggi o svantaggi competitivi in relazione a materie prime, costo del 75. oecd, Regulatory Policies in OeCd Countries. From Interventionism to Regulatory Governance, Paris 2002; id., Review of Regulatory Governance in South East Europe, Paris 2003. una regolazione sociale violenta 125 lavoro, disponibilità di capitali, aiuti pubblici, perifericità, possibili connessioni con altre attività produttive, distretti, saperi locali, e ancora dotazione di un “capitale sociale” immateriale rappresentato dal senso civico e dal livello di qualità della vita. E come si sa molti di questi aspetti, anche se non tutti, dipendono dalle caratteristiche dell’intervento pubblico. D’altra parte, com’è intuibile, il business climate è condizionato anche, dal rilievo che concretamente assumono le diverse forme di illegalità di cui si detto in precedenza, che a loro volta possono incidere su alcuni degli aspetti appena menzionati. L’indicazione che ricaviamo da molti studi di matrice economica che stimano gli effetti della presenza del crimine organizzato sia su determinati settori di attività economica che su produttività, minori investimenti dall’estero, riduzione dei margini di profitto e di attività, alterazione della concorrenza sui mercati, rischiosità e costo del credito superiore, e altro ancora, sono tutti aspetti che ci offrono la misura discriminante del peso della criminalità organizzata76. È in questa prospettiva, quindi, 76. Cfr., m. centorrino, f. ofria, L’impatto criminale sulla produttività del settore privato dell’economia. Un’analisi regionale, Giuffrè, Milano 2001; id., Criminalità organizzata e produttività del lavoro nel Mezzogiorno: un’applicazione del modello “Kaldor-Verdoorn”, «Rivista Economica del Mezzogiorno», n. 1, 2008, pp. 163-189; m. centorrino, m. limosani, f. ofria, Il pedaggio dello sviluppo: come la criminalità organizzata taglieggia il profitto nelle regioni meridionali, Palomar, Bari 2003; v. daniele, u. marani, Criminalità e investimenti esteri. Un’analisi per le province italiane, «Rivista Economica del Mezzogiorno», n. 1, 2008, pp. 189-218; v. daniele, Organized crime and regional development. A review of the Italian case, in «Trends in Organized Crime», 12, 2009, pp. 211-234; a.m. lavezzi, Economic Structure and Vulnerability to Organized Crime: Evidence from Sicily, «Global Crime», Vol. 9, n. 3, 2008, pp. 198-220; g. ciaccio, La criminalità organizzata nelle regioni meridionali: effetti sullo sviluppo economico e sul costo dei servizi pubblici locali, «Economia Pubblica», vol. 39, n. 1-2, 2009, pp. 91-114; e. bonaccorsi di patti, Weak institutions and credit availability: the impact of crime on bank loans, Bank of Italy, Occasional Papers, 52, July 2009; s. busso, l. storti, I contesti ad alta densità mafiosa: un quadro socio-economico, in r. sciarrone (a cura di), Alleanze nell’ombra. Mafie ed economie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno, Donzelli, Roma 2011, pp. 67-94; p. pinotti, The economic costs of organized crime: evidence from Southern Italy, Banca d’Italia, working papers, n. 868, april 2012; m. arnone, e f. ofria, Criminalità e rischiosità dei crediti: un’analisi per le banche di credito cooperativo, «StrumentiRES», v, 5, 2013 http:// www.strumentires.com/attachments/article/482/Arnone-Ofria_credito_cooperativo. pdf; g. barone, g. narciso, The effect of organized crime on public funds, in «Temi di discussione», 916, 2013, Banca d’Italia, pp. 5-34. 126 giacomo di gennaro che va considerato il peso dell’attività estorsiva e dello stesso ricorso all’attività usuraia che, sebbene non faccia capo in maniera sistematica, costante e pervasiva in Campania ai clan, è pur vero che quando questi la consentono sul territorio che dominano – premesso che sul gruppo che la pratica ne impongono royalties – permette di investire i proventi illeciti di altre attività criminali, utilizzando intermediari che svolgono la vera e propria attività usuraria e senza contatti diretti con la vittima dell’usura. Il carattere redditizio di tale attività evidenzia un interesse sempre più penetrante dei clan verso tale attività. I prestiti usurari o non vengono mai erogati direttamente dagli appartenenti all’organizzazione, oppure questi si avvalgono di terze persone, delle quali essi rappresentano di fatto gli effettivi soci finanziatori. «In questa logica operativa il modulo operativo che si riscontra nelle vicende ordinarie di usura, ovvero l’appropriazione dei beni della vittima insolvente da parte dell’usuraio si inserisce in una dinamica più ampia che vede l’organizzazione mafiosa arricchirsi e penetrare l’economia legale attraverso una appropriazione non più legata al singolo usuraio, ma rientrante nelle strategie economiche dell’intera organizzazione mafiosa o di tipo mafioso»77. Ecco perché è importante nella costruzione di una politica seria di contrasto il coinvolgimento delle banche perché la politica del credito agli imprenditori, specie in territori e ambienti contaminati dalla presenza del crimine organizzato, non è scevra da effetti perversi, al punto da esporre gli uomini di affari, come è ormai acquisito, al credito usuraio78. I tentativi, come abbiamo detto, di stimare i costi delle attività illegali e il loro peso sull’economia dei singoli territori o delle ripartizioni territoriali più ampie è un esercizio che da un po’ di anni si va 77. Cfr. m. de lucia, Le attività della Sezione contrasto patrimoniale alla criminalità organizzata: Racket e usura, in direzione nazionale antimafia, Relazione annuale, Roma 2012, cit. p. 304. 78. Cfr. g. di gennaro, r. marselli, op. cit., pp. 789-793; nonché, m. arnone, f. ofria, Gli effetti della crisi e della criminalità organizzata sui profili gestionali delle banche locali italiane: un’analisi comparata Nord Centro e Sud, xxxiv, Conferenza Scientifica Annuale dell’aisre, Palermo, 2-3 settembre 2013; m. arnone, f. ofria, Criminalità e rischiosità dei crediti: un’analisi per le banche di credito cooperativo, cit., pp. 5-13. una regolazione sociale violenta 127 estendendo anche in Italia79. “sos impresa”, per esempio, stima da diversi anni, tra l’altro, l’ammontare dei flussi di denaro destinati al pagamento del pizzo, il numero dei soggetti colpiti, le differenze di intensità dell’estorsione da una regione all’altra. Secondo questa importante fonte in Sicilia il 70% dei commercianti ha pagato il pizzo, talora con picchi dell’80% o più, in province quali Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta, Catania, Messina. In Campania sarebbero 40.000 i commercianti coinvolti (il 40% del totale) con una intensità forte (“zone rosse”) a Napoli, Caserta e Salerno e una minore (“zone gialle”) ad Avellino e Benevento. In Calabria la percentuale dei commercianti coinvolti sarebbe maggiore (50%) con una più estesa diversificazione dell’intensità80 Si tratta di un contributo che per un verso sintetizza alcune delle conoscenze che abbiamo sul fenomeno (ricavate anche dalle indagini giudiziarie e dalle operazioni delle forze dell’ordine) e per altro è finalizzato ad accrescere la sensibilità degli stessi commercianti alle tematiche in questione, sollecitandoli a una resistenza contro il racket e l’usura. Tuttavia, se ci soffermiamo su quei risultati più connessi alla quantificazione dei costi dell’attività estorsiva, non si evince quale sia il percorso seguito, per cui anche le stime al netto dei profitti appaiono arbitrarie. Altra fonte l’Eurispes: nel 2003 ha indicato in 100 miliardi di ricavi l’ammontare dei profitti realizzati dalle quattro maggiori organizzazioni mafiose (Cosa nostra, camorra, ’ndrangheta e 79. I due approcci base che nella letteratura economica stimano i costi illegali si distinguono per due metodi detti “bottom up” o “top down” e stimano costi c.d. diretti/ indiretti, tangibili/intangibili. I costi diretti sono quelli sostenuti dalle vittime, quelli indiretti sono le perdite a carico della comunità in generale; i costi tangibili coincidono con la spesa pubblica per la sicurezza, la perdita di salario, i danni alle proprietà. Infine, i costi intangibili si riferiscono alla paura, alla sofferenza, al dolore e al calo della qualità della vita; su questi aspetti vedi, m.a. cohen, Pain, Suffering and Jury Awards: a Study of the Cost of Crime to Victims, «Law and Society Review», 22, 1988, pp. 537-555; id, Measuring the costs and benefits of crime and justice, in Measurement and Analysis of Crime and Justice, Criminal Justice 2000, vol. 4, Office of Justice Programs, Department of Justice, Washington dc (usa), 2000, pp. 263-315; s. brand, r. price, The Economic and Social Costs of Crime, «Home Office Research Study», n. 217, Home Office, London 2000; d.a. anderson, The Aggregate Burden of Crime, «Journal of Law and Economics», 42, 1999, pp. 611-642. 80. Cfr. sos impresa, Le mani della criminalità sulle imprese. xiii Rapporto di Sos Impresa, Aliberti, Reggio Emilia 2011, p. 62. 128 giacomo di gennaro Sacra corona unita). In particolare, il narcotraffico genererebbe da solo più di 59 miliardi di euro. Sempre Eurispes, nel 2008, ha affermato che il volume d’affari annuale della sola ’ndrangheta sarebbe pari a 44 miliardi di euro. Più di metà di tale cifra deriverebbe dal settore degli stupefacenti. “Soltanto” cinque miliardi di euro annui deriverebbero dall’estorsione. È in effetti plausibile che nel caso della ’ndrangheta il traffico di droga generi introiti assai cospicui. Ma come si è arrivati a ritenere corretta proprio quella cifra? L’istituto di ricerca parla di un “indice di penetrazione mafiosa”, ma non è chiara la relazione tra questo e le stime suddette81. Vi sono poi indagini come quella svolta da Fondazione bnc e Censis (2003), intesa a stimare, dopo la somministrazione di questionari a un campione di imprenditori, la percezione della diffusione di fenomeni quali l’estorsione e l’usura, il sentimento di insicurezza, gli atteggiamenti relativi all’associazionismo antiracket. Il tipo di rilevazione effettuata e la natura dei fenomeni e degli atteggiamenti degli imprenditori (necessariamente cauti, vista la temibilità e la forza intimidatoria delle organizzazioni mafiose) fanno sì che i dati ottenuti non siano particolarmente attendibili come misure dell’illegalità. Infatti, soltanto il 14,3% degli intervistati ritenevano che l’estorsione fosse “molto diffusa”. Circa la metà degli intervistati, invece, ritiene che sarebbe “poco diffusa”, mentre per il 35,1% sarebbe “inesistente”. È evidente come tali dati siano in contrasto non solo con le stime – sia pure discutibili – di sos impresa, ma soprattutto con le risultanze delle indagini giudiziarie. Per altro verso, il 65,5% degli intervistati nel Mezzogiorno ha affermato – contraddittoriamente con quanto sembrano indicare i dati prima riportati relativi alle loro stesse risposte – di non poter svolgere liberamente la propria attività per via di condizionamenti esterni, e più di un quarto ha dichiarato di sentirsi spinto a considerare di ritirarsi dall’attività. Il 42,5% degli imprenditori inclusi nel campione ha altresì detto che, pur potendo aumentare il proprio 81. Cfr. a. la spina, a. scaglione, I costi dell’illegalità, in «Nuova informazione bibliografica», 1, 2011, pp. 79-99. una regolazione sociale violenta 129 fatturato, non lo fa perché non sente di operare in un ambiente sicuro. Sulla base di tali dati, il Censis stima che le organizzazioni criminali drenino circa 7,5 miliardi di euro all’anno, il che rappresenterebbe una mancata crescita del Pil meridionale del 2,5%, e giustifica il divario tra il Sud e il Centro-Nord del Paese. Si tratta di una conclusione rilevante, che tuttavia si fonda su dati inattendibili, ed è pertanto inattendibile essa stessa. Altri studi del genere non hanno dato migliori risultati. Nel 2006 il Censis ha svolto una seconda rilevazione (pubblicata nel 2009) con un questionario a risposte chiuse somministrato a 800 imprenditori siciliani, campani, calabresi e pugliesi. Solo il 30,9% di essi ha dichiarato di avvertire una limitazione apprezzabile o rilevante della propria libertà d’impresa da parte della criminalità organizzata. Una larga parte dei rispondenti siciliani (54,4%) e calabresi (49,4%) ha ritenuto il proprio contesto abbastanza o molto sicuro, mentre solo per l’8,5% in Calabria per il 7,8% in Sicilia si verificano minacce frequenti alla sicurezza. Gfk-Eurisko per Confcommercio (2007) ha inviato ben 60.000 questionari a commercianti, di cui solo 3.750 sono rientrati, quindi con un tasso di risposta del solo 6,3% (ma del 2,3% in Sicilia, del 2,4% in Campania e del 3,3% in Puglia, Basilicata e Calabria). Un campione auto-selezionato del genere difficilmente dà risultati plausibili. Infatti, solo il 15% degli operatori siciliani avrebbe ricevuto minacce o intimidazioni per finalità di estorsione. Se è così, o è falsa l’idea comunemente accettata secondo cui in alcune province siciliane il racket del pizzo copre quasi a tappeto gran parte delle attività economiche; o una grandissima parte degli operatori paga spontaneamente, senza che si arrivi a intimidazioni e minacce; o – cosa più probabile – il dato è comunque scorretto, vista l’improprietà del percorso seguito per costruirlo. Va ricordata, infine, l’indagine di vittimizzazione effettuata per il Ministero dell’Interno nel 2008 da Transcrime. Anche in tal caso è stato somministrato un questionario, stavolta a un campione di 83.136 aziende indicate dall’Istat (l’Istituto nazionale di statistica italiano). Circa il 14% del campione (11.447 soggetti) 130 giacomo di gennaro ha risposto. Si tratta del più vasto studio di vittimizzazione finora svolto su aziende in Italia. 4 su 10 dei rispondenti hanno dichiarato che la loro impresa era stata vittima di un reato nei 12 mesi precedenti la somministrazione, il che evidenzia un tasso di vittimizzazione sette volte superiore a quello registrato dall’Istat per le persone fisiche (che è pari al 5,7%;)82. I risultati della rilevazione mostrano che i reati potenzialmente collegati alla criminalità mafiosa (minacce e intimidazioni, estorsione e corruzione) sarebbero localizzati soprattutto nell’Italia del Sud (8,1%), con un tasso che è più del doppio rispetto a quello riscontrato nel Centro-Nord. Il 25,9% degli operatori che hanno subito intimidazioni e 77,5% di quelli che hanno subito estorsioni (soprattutto hotel e ristoranti, esercizi commerciali, imprese di costruzione) hanno ricollegato tali reati a gruppi mafiosi locali. Dalla rilevazione emerge per un verso una certa presenza delle mafie al Centro-Nord d’Italia, il che è interessante. Ma emerge anche un’incidenza del fenomeno mafioso al Sud assai inferiore alla copertura a tappeto di cui parlano le inchieste delle forze dell’ordine e della magistratura o fonti come sos Impresa. Ciò perché il gruppo di rispondenti apparentemente robusto (11.447) si è comunque auto-selezionato, e ancor più perché, come rilevato prima, quando si tratta di mafia gli operatori intimiditi e a maggior ragione quelli collusi tendono a non dare risposte attendibili. Ciò conferma che gli studi di vittimizzazione non sono una via sempre appropriata quando si intende analizzare la criminalità mafiosa. Il successivo rapporto Transcrime sul volume d’affari e sugli investimenti delle mafie propone stime per importi assai più contenuti rispetto ai 150 miliardi o giù di lì citati prima: l’1,7% del Pil, e in particolare, per il 2012, 25,7 miliardi di euro come importo di tutte le attività illegali (valore centrale entro un intervallo che va dai 17,7 ai 33,7 miliardi), mentre il giro d’affari delle mafie complessivamente considerate oscillerebbe tra gli 8,3 e i 13 miliardi di euro. Si tratta dell’analisi più vasta e articolata 82. Cfr. transcrime, Le imprese vittime di criminalità in Italia, g. mugellini (a cura di), Report n. 16, 2012. una regolazione sociale violenta 131 finora svolta (nell’ambito del pon sicurezza)83. Questa, peraltro, espone con riguardo ai diversi settori di attività delle varie organizzazioni mafiose, i vari passaggi metodologici e operativi compiuti. Oltre a calmierare certe cifre possibilmente esagerate, il rapporto, che riguarda anche la presenza delle mafie nelle regioni italiane del Centro-Nord, i loro investimenti immobiliari, le loro attività imprenditoriali, dà anche un contributo a sfatare la raffigurazione corrente delle mafie come entità non solo dotate di risorse sterminate, ma anche capaci di moltiplicarle facilmente, insieme alla loro influenza sui politici, l’economia e le istituzioni, grazie a modernissime e lungimiranti strategie di investimento e camuffamento. Relativamente all’attività estorsiva Transcrime stima per la Campania, un fatturato di oltre 1,3 miliardi di euro, cioè quasi il 30% dell’ammontare delle estorsioni dell’intero territorio nazionale (4,7 miliardi di euro). Seguono la Sicilia con quasi 700 milioni, la Calabria con 564 milioni e la Puglia con 454 milioni di euro84. L’analisi sociologica svolta mostra, però, che le politiche di investimento mafioso sono poco remunerative, in genere tradizionaliste, nel complesso inefficienti. Il che non significa che i mafiosi non siano tuttora potenti e non abbiano fruttuosi rapporti con alcuni “colletti bianchi”, anche dentro il settore pubblico. Ma non bisogna mitizzarli. Anche perché, così facendo, in effetti li si rafforza. Tuttavia, l’analisi di Transcrime va in direzione leggermente opposta da quanto si ricava dallo stesso Rapporto Europol (2013) per il quale a fronte dei 3.600 clan criminali esistenti in Europa, le organizzazioni mafiose italiane rappresentano ancora la più grave minaccia per i Paesi dell’Unione essendo fortemente presenti nel traffico degli stupefacenti su larga scala, nel riciclaggio del denaro, nella contraffazione e nei crimini ambientali85. 83. Cfr. transcrime, Gli investimenti della mafie, www.transcrime.it/pubblicazioni/ progetto-pon-sicurezza-2007-2013, pp. 2-3. 84. Ivi, p. 63. Nello specifico per la Campania si indica un ricavo da estorsioni periodiche pari a € 1.088,54 milioni all’anno, da estorsioni una tantum € 124,33 milioni, dal settore delle costruzioni € 170,82, per un totale di € 1.383,68 milioni per il 2011. 85. europol socta 2013, european police office, eu Serious and Organised Crime Threat Assessment, Van Deventer, Netherlands 2013. 132 giacomo di gennaro Una volta esplicitata la sintonia con queste coordinate generali86, e fermo restando che in questa sede non è possibile discutere tutti gli aspetti rilevanti dei diversi rapporti87, ci soffermeremo solo su alcuni punti problematici del rapporto Transcrime 2013. In esso, uno dei passaggi salienti consiste nella formulazione dell’Indice di Presenza Mafiosa (ipm) che dovrebbe appunto segnalare l’intensità di tale presenza nelle aree a tradizionale radicamento, così come in quelle verso cui si è verificata una espansione. Un passaggio determinante rispetto a tutti quelli successivi. Bisogna anzitutto far riferimento, al riguardo, al significativo articolo di Calderoni che prefigura in buona parte le scelte del team di ricerca del rapporto Transcrime del 2013, di cui lui stesso ha fatto parte88. Calderoni, dopo aver illustrato e persuasivamente criticato altri indici analoghi rilevabili in letteratura (tra i quali quelli di Eurispes, Censis, e Istat89), fa riferimento alle statistiche criminali ufficiali e costruisce l’ipm sulla base di quattro dati-indicatori: a) omicidi di stampo mafioso; b) denunce di associazione mafiosa; c) comuni e pubbliche amministrazioni sciolte per infiltrazione mafiosa; d) beni confiscati alla criminalità organizzata. Solo questi quattro vengono inclusi, motivando ciò sulla base della 86. Peraltro scontata, visto che da tempo è già stata sottolineata la distanza tra certe rappresentazioni mediatiche del fenomeno mafioso, da un lato, e le sue trasformazioni effettive, anche a seguito dei successi dell’azione di contrasto, dall’altro; cfr. m. centorrino, a. la spina, g. signorino, Il nodo gordiano. Criminalità̀ mafiosa e sviluppo nel Mezzogiorno, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 117 e ss.; a. la spina, The Paradox of Effectiveness: Growth, Institutionalization and Evaluation of Anti-Mafia Policies in Italy, in c. fijnaut, l. paoli (eds.) Organised Crime in Europe: Conceptions, Patterns, and Policies in the European Union and beyond, Springer, Dordrecht 2004, pp. 641-675. 87. Nel quadro dei continui tentativi di misurare l’economia illegale si inserisce anche un ultimo paper pubblicato per opera delle Unioncamere - Camere di Commercio d’Italia che richiamando alcune “voci” utilizzate da altri rapporti o ricerche e studi per la stessa ragione cerca di dare conto, ma senza alcuna elaborazione autonoma della dimensione delle risorse che si producono dai diversi traffici illegali; vedi La misurazione dell’economia illegale, Roma 2013. 88. f. calderoni, Where is the mafia in Italy? Measuring the presence of the mafias across Italian provinces, «Global Crime», vol. 12, 1, 2011, pp. 41-69. 89. istat, Informazione statistica territoriale e settoriale per le politiche strutturali 2001-2008, www.istat.it/ambiente/contesto/infoterr.xls, 2009; id, Indicatori di contesto chiave e variabili di rottura, September, http://www.istat.it/ambiente/contesto/infoterr/ azioneB.html#tema, 2010. una regolazione sociale violenta 133 disponibilità di lunghe serie storiche di dati e della stretta pertinenza degli stessi al fenomeno, diretta e univoca, ad avviso dell’autore. Altri dati-indicatori rilevanti (come ad esempio gli attentati incendiari e dinamitardi) non vengono invece usati per l’ipm “ristretto”, giacché essi potrebbero frequentemente riferirsi ad attività estranee ai sodalizi mafiosi. Tuttavia, Calderoni non vi rinuncia del tutto, perché costruisce anche un ipm “esteso”, che tiene conto tanto dei primi quattro indicatori quanto anche degli altri. A suo avviso, se si osserva la situazione delle diverse province italiane alla luce dell’ipm “ristretto” e di quello “esteso” i risultati sarebbero sostanzialmente i medesimi. Il che confermerebbe che il più maneggevole IPM ristretto rispecchia adeguatamente la realtà ed è sufficiente, sicché si può fare a meno dell’ipm allargato. Una mossa metodologica prima facie ben argomentata. Andiamo tuttavia a vedere nel dettaglio alcuni dei numeri. Nelle tabelle riassuntive90 troviamo che Reggio Calabria è la prima provincia quanto a intensità, con un tasso di occorrenza degli eventi pari all’80,58 applicando l’ipm ristretto. A seguire Napoli con il 47,28, Caserta con il 35,33, Caltanissetta con il 42,20, Palermo con il 50,37, e poi, tra le altre, Catania con il 32,12, Crotone con il 34,11, Trapani con il 29,42, Latina con il 4,30, Roma con il 2,92, Milano con il 2,53, Torino con l’1,71, Rimini con l’1,67, Prato con lo 0,15, e così via. Con l’ipm esteso, invece, Reggio Calabria risultava sempre prima con il 75,29. Napoli andava al settimo posto, con 38,70, seguita da Caserta (31,19), Trapani (29,69), Agrigento (25,24), Palermo (34,99) e da varie altre province meridionali. Poi, però, troviamo ad esempio Latina (con 17,36), Rimini (21,80), Prato (16,41), Roma (12,52), Torino (10,76), Milano (9,65). Pertanto, tra Rimini e Trapani o ancor più tra Rimini e Ragusa (25,46) adesso vi è una minima distanza. Tra Rimini e Palermo non ve n’è molta. E stavolta (diversamente da quanto si verifica con l’ipm ristretto) vi è assai meno distanza tra Milano e Palermo di quanta se ne riscontri tra Palermo e Reggio Calabria. Il che a nostro avviso per un verso suggerisce 90. f. calderoni, Where is the mafia in Italy?, cit., pp. 60, 62. 134 giacomo di gennaro che l’ipm esteso (o qualcosa di simile) non vada affatto scartato, perché segnala situazioni meritevoli di attenzione, e per altro verso che c’è qualcosa che non va nell’ipm così come è stato costruito, perché certi punteggi non sono congruenti con ciò che sappiamo sulle presenze mafiose. Nel successivo rapporto Transcrime (2013), invece, non si trova alcun riferimento all’ipm esteso, mentre l’ipm ristretto (ora definito appunto semplicemente ipm) risulta integrato con la considerazione dei tentati omicidi di stampo mafioso nonché (cosa che appare assai opportuna) dei gruppi criminali attivi indicati nelle relazioni della Direzione nazionale antimafia (dna) e della Direzione investigativa antimafia (dia), considerando peraltro lassi temporali più brevi rispetto al contributo del 201191. I punteggi ne hanno risentito non poco. Adesso la prima provincia quanto a intensità di presenza mafiosa è di gran lunga Napoli (101,57). Reggio Calabria (80,25) va al secondo posto, Palermo (58,20) al quarto. Roma ha uno score di 21,61 (quasi come la provincia di Trapani, patria di Messina Denaro, che riceve 22,58), ma Torino di 10,47, Latina di 8,46, Milano di 8,15, Prato di 3,67, Rimini di 1,52. Oscillazioni siffatte ci dicono già da sole che il meritorio lavoro volto alla costruzione di un affidabile ipm sia da ritenere ancora in progress. Da qui alcuni elementi sostantivi che si dovrebbero tenere in conto in futuro92. Anzitutto va detto che nell’ultimo ventennio (indicando come punto di svolta l’intensificazione dell’azione di contrasto successiva alle stragi del 1992) le mafie sono cambiate profondamente. Cosa nostra per prima. Ma gli strumenti repressivi sempre più efficaci che sono 91. Ibidem riferimenti Dia-Dna periodo 2004-2011, per omicidi e tentati omicidi e persone denunciate per associazione mafiosa (mentre Calderoni parla di “mafia-type associations”); dal 2000 ad agosto 2012 per i comuni disciolti, 2000-2011 per i beni confiscati, 2000-2011 per le relazioni dna e dia, pp. 9-10. 92. Si veda anche i suggerimenti in r. sciarrone, j. dagnes, Geografia degli insediamenti mafiosi. Fattori di contesto, strategie criminali e azione antimafia, in r. sciarrone (a cura di), Mafie del Nord. Strategie criminali e contesti locali, Donzelli, Roma 2014, pp. 39-86, i quali evidenziano come a seconda del concetto di organizzazione mafiosa che si utilizza (power o enterprise syndicate) e corrispondentemente del tipo di attività criminali usate come indicatori, la mappa delle presenze mafiose muta assai sensibilmente. una regolazione sociale violenta 135 stati via via introdotti valgono anche per le altre. In genere (con l’eccezione del napoletano, ove comunque si è avuto un calo) gli omicidi commessi o tentati sono ormai estremamente rari. Pertanto, una mafia potrebbe essere significativamente presente in un dato territorio (di tradizionale o anche di non tradizionale insediamento) e astenersi accuratamente da un reato che dà tanto nell’occhio93. Il numero dei beni e aziende sotto confisca e dei soggetti denunciati per associazione mafiosa deriva almeno in parte dall’intensità della pressione investigativa e giudiziaria, che a sua volta tende a correlarsi con la dimensione e la gravità del fenomeno criminale, ma non coincide con esse94. Lo scioglimento di comuni risente anche di contingenze politiche. In un dato territorio potremmo riscontrare pochissime denunce o nessuna o perché i sodalizi mafiosi sono assenti, o al contrario perché questi sono presenti, potenti e molto temuti. D’altro canto, una neo-cellula criminale operante al Nord e non ancora indicata dalle agenzie repressive nelle relazioni potrebbe ben applicare il metodo mafioso senza che l’ipm (ristretto, oppure nella versione del rapporto Transcrime 2013) possa darne conto. Ma se la neocellula talora lancia (come è presumibile, vista la necessità di crearsi una reputazione in un territorio e presso segmenti economici non avvezzi alla presenza mafiosa) alcuni avvertimenti nella forma di attentati incendiari o dinamitardi o comunque di danneggiamenti, ecco che un ipm sufficientemente arricchito di tali indicatori potrà registrare il segnale. Vero è che non tutti gli attentati del genere sono ascrivibili a mafiosi. Moltissimi però lo sono (in parte anche alle c.d. mafie straniere). E comunque lo stesso problema esiste per la gran parte dei settori di attività 93. r. abbate, a.p.m. mirto, Le statistiche giudiziarie sulla criminalità organizzata, in r. sciarrone (a cura di), Alleanze nell’ombra, cit., pp. 95-124; nonché, a. la spina, Giustizia, criminalità, sicurezza, in svimez, Nord e Sud a 150 anni dall’unità d’Italia, Svimez, Roma 2012, pp. 447-458. 94. Andrebbe peraltro considerato anche il loro valore. Inoltre, come sottolineato dallo stesso rapporto Transcrime, il fatto che ve ne sia un’elevata concentrazione in una città come Roma (talora prescelta in base a considerazioni non strumentali all’attività criminale tipica) non è detto che sia connessa a un altrettanto intensa presenza mafiosa. 136 giacomo di gennaro considerati dal rapporto Transcrime 2013 (come il narcotraffico, il contrabbando, l’usura e così via). Si tratta di stabilire una quota di attentati “indicante” il fenomeno e una quota da ritenere ad esso estranea. Inoltre, il dato sugli attentati ha il pregio di essere hard. Esso prescinde, cioè, dalle dichiarazioni degli operatori economici (e da loro eventuali comprensibili reticenze). Come già mostrano i numeri riportati dallo stesso Calderoni, in talune province salienti del Centro-Nord, e non soltanto, l’ipm allargato che lui stesso ha ritenuto di calcolare dà risultati alquanto differenti dall’ipm ristretto. Anche gli omicidi sono un dato “duro”, ma visto che le mafie odierne tendono ad astenersene (con qualche eccezione), a maggior ragione non dovremmo lasciarci sfuggire le intimidazioni esercitate tramite danneggiamenti e attentati. Il rapporto Transcrime avanza poi, avvalendosi di metodiche desunte dalla letteratura internazionale, una serie di stime sul volume di alcuni settori di attività: prostituzione, narcotraffico, usura, traffico illegale di armi da fuoco, traffico illegale di tabacco, traffico di merci contraffatte, gestione illegale dei rifiuti, estorsioni. Eccettuato quest’ultimo settore (interamente ricondotto alle mafie), per ciascuno degli altri viene scomputata una parte del volume di affari cui si ritengono estranei i sodalizi mafiosi. Non vengono considerati i proventi derivanti direttamente dal settore pubblico (vale a dire quote incamerate dai mafiosi dei flussi finanziari riguardanti opere, forniture, aiuti alle imprese e così via). Sommando gli importi di ciascun settore, si perviene così a quella forchetta tra gli 8,3 e i 13 miliardi di euro citata prima. Non è questa la sede per entrare nel dettaglio di ciascuna di tali stime, e ciò è comunque ovviamente al di là delle nostre intenzioni. Vi sono settori (come il traffico di droga o il contrabbando di sigarette) in cui si fa riferimento sia ai quantitativi sequestrati, che in effetti dipendono anch’essi dall’intensificazione e dall’affinamento dell’azione di contrasto, sia anche ad altri indicatori. Ci limitiamo qui a quattro sole considerazioni. La prima, scontata, è che in qualche modo si dovrebbe dar conto anche di quanto le varie organizzazioni mafiose trattengono dai flussi una regolazione sociale violenta 137 di danaro (nazionali ed europei) gestiti dalle pubbliche amministrazioni (sui sussidi di cui alla legge 488/1992)95. La seconda, più generale, riguarda le conseguenze dell’ipm. Il rapporto Transcrime 2013 sottolinea a più riprese come le sue risultanze evidenzino una rimarchevole presenza delle varie mafie al Centro-Nord. In ragione di tale presenza sui vari territori, a esse verrà attribuita, nelle stime, una quota maggiore o minore del volume d’affari della criminalità. Se in alcune province (di tradizionale radicamento e non) la presenza mafiosa fosse più elevata di quanto registrato dall’ipm Transcrime 2013 (come suggerito prima), la stima del volume d’affari a essa riferito andrebbe di conseguenza ritoccata al rialzo. In terzo luogo, con specifico riguardo alle estorsioni, il rapporto Transcrime 2013 per un verso evidenzia che nel settore delle costruzioni queste tendono ad avvenire una tantum nella forma della “messa a posto”, per una percentuale del 3% dell’importo dei lavori (il che in effetti è spesso vero, anche se non sempre, e porta a rivedere un po’ al ribasso alcune stime delle ricerche della Fondazione Chinnici). Per altro verso, volendo quantificare la quota di imprenditori che pagano il pizzo, Transcrime 2013 si rifà alle varie inchieste di vittimizzazione citate prima (svolte da soggetti quali bnc, Censis, gfk) e in particolare a Transcrime (2012). Stanti i limiti di tale approccio già evidenziati e in particolare il netto sottodimensionamento che questo tende a effettuare del numero oscuro del pizzo, anche per questa ragione è plausibile che la quantificazione degli importi relativi all’estorsione possa essere stata a propria volta sottodimensionata più del dovuto. In quarto luogo, infine, il rapporto dell’Unità di informazione finanziaria (uif) della Banca d’Italia (2014) evidenzia un aumento delle segnalazioni di operazioni sospette (che è per lo più dovuto all’introduzione di normative più esigenti). Dalle circa 12.500 del 2007 si è passati alle circa 65.000 avutesi tanto nel 2012 che nel 2013. Nel solo 2013 le segnalazioni hanno 95. Cfr. g. barone, g. narciso, The effect of organized crime on public funds, Banca d’Italia, working papers, n. 916, June 2013. 138 giacomo di gennaro riguardato un importo complessivo di circa 84 miliardi di euro. Occorre tenere presente che sempre nel 2013 l’uif ha archiviato circa l’8% delle segnalazioni, e per altro verso ha attribuito una valutazione di rischio medio o elevato a oltre metà delle segnalazioni esaminate. Oltre la metà delle segnalazioni trasmesse alle autorità competenti viene in genere considerata suscettibile di accertamenti investigativi96. Si può dunque immaginare, in prima approssimazione, che si tratti di circa 40 miliardi di euro (tale somma potrebbe essere maggiore, se le operazioni oggetto di approfondimento fossero per lo più quelle di maggiore importo, cosa che però non sempre è, visto che sono ritenute anomale anche quelle di piccoli importi, ma frequentemente ripetute). Gli accertamenti troveranno poi che una certa parte di tali operazioni non corrisponde a reati, mentre la parte restante sarà materia di sanzioni penali o di altra natura. Comunque le segnalazioni riguardano anche i proventi di evasione fiscale, corruzione e altri illeciti, diversi da quelli trattati nel rapporto Transcrime 2013. D’altro canto, la gran parte degli affari delle mafie viene regolata in contanti, senza passare attraverso il sistema bancario. Fermo restando che occorrono ulteriori informazioni al riguardo (ad esempio servirebbe sapere quali delle indagini connesse alle segnalazioni dell’uif girate alla dia e al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza riguardano sodalizi mafiosi e per quali importi), in prima battuta anche questi dati suggeriscono di chiedersi se la forchetta tra gli 8,3 e i 13 miliardi non sia forse più stretta del dovuto97. 96. banca d’italia, eurosistema, Unità di informazione finanziaria per l’Italia, Rapporto Annuale dell’Unità di Informazione Finanziaria, Rapporto 2013, Roma, maggio 2014, pp. 11-12 e ss. 97. L’Ufficio Studi dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre Cgia (http:// www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2014/08/RICICLAGGIO-AGO-2014.pdf) ha ritenuto, a partire dai dati dell’uif, che “l’economia criminale vale 170 miliardi di euro”, rilevando anche il boom delle segnalazioni sospette (a suo avviso derivante da una crescita delle attività illegali, ma in realtà, come già detto, dovuto a modifiche della normativa). Non è stato chiarito il percorso attraverso il quale si perviene alla sensazionale cifra suddetta. La stessa fonte sottolinea anche che le regioni in cui tali segnalazioni sono più frequenti (per quasi il 60% del totale) sono la Lombardia (11.575), il Lazio (9.188), la Campania (7.174), il Veneto (4.959) e l’Emilia Romagna (4.947). Ma si tratta anche di regioni molto popolose (che sommate danno più della metà della una regolazione sociale violenta 139 Le considerazioni fatte sin qui, pertanto, suggeriscono molta cautela sia nella produzione di stime che nell’assunzione delle stesse da parte degli organi di stampa. Il grado di attendibilità delle informazioni che circolano sul fenomeno delle estorsioni (così come di altre attività illegali) è molto basso e in più manca in genere un’integrazione fra modelli teorici e applicazioni pratiche, e i risultati conseguiti spesso non sono collocati in una più ampia prospettiva teorica capace di descrivere e spiegare meccanismi di riproduzione, connessioni ed effetti sul tessuto sociale. 2.3 Poco più di un decennio di estorsioni Nelle pagine successive daremo conto di ciò che emerge dall’analisi dei dati. Come abbiamo anticipato in precedenza per la Campania abbiamo un riscontro empirico fatto per le sole province di Napoli e Caserta nel 2010 e da tale studio emerge un prelievo estorsivo annuale che oscilla in un intervallo tra i 780 mln e i 1.120 mln di euro circa, con un tasso di vittimizzazione registrato maggiormente nei settori del commercio al dettaglio e delle costruzioni98. Sebbene il rischio di vittimizzazione estorsiva sia molto elevato in questi settori economici è pur vero che, come una ricerca su un campione di associati a Confindustria Campania ha mostrato nel 2007, più le imprese hanno dimensioni piccole indipendentemente dalla categoria economica cui appartengono maggiore è il rischio di essere vittimizzati99. Un altro dato interessante che emerge sempre dalla stessa ricerca popolazione nazionale) e per lo più caratterizzate da un’alta concentrazione di attività economicamente rilevanti. Tale comunicato è stato divulgato acriticamente e a tappeto dagli organi di informazione, anche tra i più autorevoli. 98. Cfr. m. lisciandra, Camorra ed estorsioni: una stima del costo per le imprese, in g. di gennaro e a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità, op. cit. pp. 161-84. 99. È quanto emerso da uno studio condotto nel 2006 su un campione di imprese associate a Confindustria Campania distribuite su tutte le province; cfr. Confindustria Campania e Osservatorio della camorra e sull’illegalità (2007), L’impresa e l’aggressione criminale in Campania, Napoli 2007; ora in g. di gennaro, r. marselli, Access to Credit, op. cit., p. 788. 140 giacomo di gennaro è che sebbene circa l’87% degli imprenditori sia stato vittima di una qualche azione delittuosa non ha denunciato all’autorità di polizia l’accaduto100. L’analisi statistica della delittuosità è in genere utile specie se effettuata a dimensioni quanto più piccole di scala e se correlate a dinamiche particolari i cui esiti attraverso particolari indicatori ci danno conto che hanno funzionato come incentivi alla denuncia (es. presenza associazionismo antiracket; pressione delle forze di polizia nell’esercizio del controllo sul territorio; esiti positivi di processi nei confronti di clan, aumento investigazioni, ecc.) e quindi al contrasto del fenomeno, o ci fanno capire, viceversa, quali indicatori contraggono la spinta. Gli indici di occultamento dei reati, pertanto, non sono l’esito esclusivo del controllo sociale esercitato dagli organi di polizia e dalla giustizia, ma dipendono anche dal comportamento delle vittime. Abbiamo riportato nella tabella 2 che segue i dati sulla delittuosità estorsiva denunciata per il periodo 1998-2010. Si tratta di una serie consolidata che si riferisce a poco più di un decennio e sebbene ci offra informazioni parziali qualche riflessione di partenza è possibile101. La stessa serie, poi, è stata stilizzata attraverso tre grafici per rendere più efficaci le differenze fra le regioni sulla base di elaborazioni distinte. Come si nota dalla tabella un prima informazione riguarda il volume dei delitti di estorsione denunciati nelle diverse regioni. La Campania per tutto il periodo esaminato fa registrare una performance che la colloca al primo posto fra le regioni con una cifra totale di 10.531 denunce per tale reato pari al 16,6% del totale dell’intera serie, con una media di 810 de100. Ibidem. 101. Sono opportune alcune avvertenze: non vi sono precise statistiche sul reato di estorsione che rilevano le diverse forme (pizzo, forniture prodotti o servizi, manodopera ecc.) e distinguono tra estorsione semplice e aggravata dall’art. 7. Per quest’ultima occorre ricorrere ai dati in possesso della DNA che allo stato attuale non fa elaborazioni di questo tipo. Le fonti non sono sovrapponibili. Il Ministero dell’Interno fornisce dati attraverso lo SDI coincidenti con i reati denunciati dalle forze di polizia all’AG e il livello di disaggregazione e trattamento da parte di enti di ricerca, per ragioni di sensibilità dei dati, si ferma alla dimensione delle province o macro aggregazioni comunali. una regolazione sociale violenta 141 nunce l’anno. Seguono rispettivamente la Sicilia (12,5% con una media di 608,8), la Lombardia (11,3% con una media di denunce annuali pari a 551,2) e la Puglia (10,5% e una media pari a 511,8). Valori più contenuti li fanno registrare a seguire il Lazio e il Piemonte, e poi via via le altre regioni. Lo scarto tra i valori registrati nelle denunce in Campania e la Sicilia è di ben 4 punti e aumenta ovviamente al discendere comparativo con i valori delle altre regioni. Se assumiamo che le denunce sono un indicatore della pressione estorsiva, nonostante il rapporto tra le denunce registrate e i reati estorsivi commessi abbia un indice di occultamento alto, si evincerà di conseguenza che la Campania è l’area territoriale che fa registrare per tutta la serie storica la pressione più alta. E ovviamente se assumiamo che tale valore è relativamente rappresentativo rispetto a quello reale, ne deriverà la logica conseguenza che il fenomeno è sottorappresentato. Tuttavia, per ora non sappiamo lo scarto esistente tra i due “valori”: quello che emerge dai dati e quello reale. Se, invece, si assume, per pura congettura analitica, che i valori riportati sono quelli “reali” ne deriva in ogni caso che la Campania resta, rispetto alle altre regioni quella con la pressione estorsiva maggiore, con una conferma delle altre regioni meridionali e l’ingresso – ma non per gli addetti ai lavori – della Lombardia nel ranking. Le quattro regioni meridionali (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia), inoltre, fanno registrare il 45,6% del totale delle denunce per estorsione nell’intero periodo102. 102. Un andamento regionale simile si rileva se si tiene in considerazione anche il dato relativo alle persone denunciate, e/o arrestate, per il reato ex art. 629 c.p. Il più alto numero di persone segnalate per estorsione si registra ancora una volta in Campania. Qui tra il 1998 ed il 2008, 13.612 soggetti sono stati denunciati per tale reato, con un peso espresso in percentuale sul totale di periodo storico pari al 19,5. Segue la Sicilia con il 13,4%, la Puglia con il 10,6%, la Lombardia con il 9,3%, il Lazio con il 7,3%, la Calabria con il 6,6% ed il Piemonte con il 6,5% (tab. B6 in appendice). Percentuali al di sotto dei cinque punti, invece, per le restanti regioni italiane. Va altresì specificato che tutte le regioni chiudono il periodo con un segno positivo, il che equivale a dire che nel decennio considerato, il numero delle persone denunciate è aumentato e, talvolta, anche con variazioni in rialzo di ben oltre i duecento punti (tab. B7 in appendice). 142 giacomo di gennaro una regolazione sociale violenta 143 63 374 55 12 Abruzzo Molise 17 Umbria Lazio 143 Marche 158 Emilia-Romagna Toscana 131 Veneto 35 66 Trentino-Alto Adige 88 259 Lombardia Liguria 7 Valle d’Aosta Friuli-Venezia Giulia 274 1998 Piemonte Regioni 21 73 319 71 51 148 160 93 66 138 47 369 2 262 1999 25 60 265 70 27 162 192 60 42 110 32 331 3 286 2000 23 85 372 72 43 168 213 76 52 121 21 316 4 275 2001 27 66 361 73 30 212 198 63 52 156 28 333 5 307 2002 24 94 283 81 42 205 208 79 66 143 26 468 4 312 2003 38 126 410 111 74 272 286 115 66 240 44 608 5 392 2004 Anni 36 155 374 102 55 303 317 93 57 232 52 642 11 374 29 128 349 87 58 246 250 101 61 231 40 653 4 352 2005 2006 Tabella 1 - Totale dei delitti di estorsione denunciati per regione. Anni 1998-2010 42 140 349 139 55 315 326 128 74 301 51 771 9 449 2007 22 156 585 165 75 308 423 152 53 330 66 813 9 434 35 148 447 138 66 315 395 135 65 273 38 805 9 416 2008 2009 27 163 517 123 65 317 290 154 63 273 50 797 3 409 2010 0,6 2,3 7,9 2,0 1,0 4,9 5,4 2,1 1,2 4,2 0,9 11,3 0,1 7,2 % regionale su totale del periodo 1998-2010 144 giacomo di gennaro 247 599 45 239 591 124 Basilicata Calabria Sicilia Sardegna 101 517 223 51 374 511 2000 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd 125 44 390 378 Puglia 480 1999 475 1998 Campania Regioni 75 526 263 35 533 476 2001 86 493 255 34 332 517 2002 74 458 257 32 330 565 2003 123 629 305 40 622 905 2004 Anni 98 669 352 56 635 955 119 585 393 41 571 1.101 2005 2006 2008 2009 2010 134 811 374 56 667 134 697 343 62 618 120 689 279 80 638 143 650 311 51 565 1.227 1.200 1.098 1.021 2007 2,3 12,5 6,1 1,0 10,5 16,6 % regionale su totale del periodo 1998-2010 Grafico 2 - Andamento dei delitti di estorsione denunciati per regione. Anni 1998-2010 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd Grafico 3 - Estorsioni medie denunciate negli anni 1998-2010, differenziate per regione Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd una regolazione sociale violenta 145 Lungo la serie storica, inoltre, si può notare che i valori assoluti delle denunce in Campania dal 1998 al 2007 crescono costantemente per poi contrarsi fino al 2010, mentre la Sicilia per lo stesso periodo fa registrare un andamento più ondulatorio con una riduzione nei successivi anni. Lombardia e Puglia fanno registrare una performance opposta: la prima si segnala per un primo quinquennio (1998-2002) più o meno stabile e con valori che non raggiungono mai le 400 denunce annue. A partire dall’anno successivo e fino al 2010 l’incremento è costante e significativamente superiore al quinquennio precedente, tant’è che i valori della media mobile risultano superiori a partire proprio dal 2002-2004 (469,7), effetto dell’espansione delle mafie al nord, dell’aumento delle denunce e delle investigazioni. La Puglia, invece, fa registrare un andamento più ondulatorio con incrementi e decrementi annui sebbene i valori assoluti crescano significativamente dopo il 2004. La serie relativa al Lazio presenta innanzitutto valori medi più bassi (385 denunce) e in ogni caso gli incrementi annui lì ove registrati sono molto più contenuti. Analoga performance possiamo descriverla per il Piemonte la cui media storica è inferiore (349,4 denunce per la serie) e con una media mobile più contenuta lungo l’intero periodo. Può destare ovviamente stupore che regioni meridionali notoriamente iscritte nel ranking della presenza storica di organizzazioni mafiose (per es. la Calabria) facciano registrare non solo medie storiche basse (295,5 denunce), ma presentino valori inferiori alla stessa Lombardia, al Piemonte e leggermente superiore all’Emilia-Romagna (262,8 è il valore medio e la percentuale regionale sul totale per l’intero periodo è pari al 5,4% vs 6,1%). Tuttavia, è proprio in queste differenti performance che risiede l’ambivalenza descrittiva dei dati: infatti, si potrebbe affermare che i valori dell’Emilia-Romagna riflettano un territorio nel quale la presenza delle mafie, essendo un fenomeno più recente perché generato da processi estensivi e nuovi insediamenti, presenta inevitabilmente un’attività estorsiva in fase di take-off, specialmente se si considera, tra l’altro, l’intenso tessuto di piccole e medie imprese che caratterizza la 146 giacomo di gennaro regione. In più, riprendendo le tesi della civicness di Putnam, potremmo essere spinti a sostenere che il tasso di occultamento è inferiore rispetto alla Calabria, proprio perché l’impegno civico spinge le vittime a denunciare immediatamente. La Calabria, viceversa, regione di antico insediamento e radicamento della ‘ndrangheta, presenta valori leggermente superiori rispetto a quelli dell’Emilia-Romagna ma non perché il fenomeno sia più diffuso, ma semplicemente perché il tasso di presenza delle imprese commerciali o manifatturiere è più basso. Oppure, interpretazione di segno completamente opposto, la contenuta delittuosità estorsiva denunciata deriva dalla diffusa omertà, dal minore senso di civicness che caratterizza le vittime e pertanto l’indice di occultamento è superiore. Quale delle due tesi è più fondata? È esattamente questo il dilemma che sta dietro all’analisi dei dati che, come si comprenderà, va intrecciata con l’ausilio di altre fonti e l’incrocio di materiale diverso non esclusivamente quantitativo. D’altra parte, se valesse, allora, l’ipotesi della correlazione diretta tra civicness e valori alti di denuncia ne deriverebbe che la Campania è la regione con il più alto grado di civicness e quindi di impegno delle vittime e di conseguenza con un indice di occultamento basso. E così via, all’incontrario, per le altre singole regioni. Per questo motivo abbiamo provato ad approfondire con valori statistici differenti i dati della serie storica e verificare gli esiti. Abbiamo calcolato sull’intera serie la percentuale annua per ogni singola regione delle estorsioni denunciate per cogliere, rispetto ai valori assoluti, il campo di variazione tra le regioni lungo l’intera serie. Innanzitutto, è emerso che tra il 1998 e il 2001 Sicilia in primis e Campania a seguire fanno registrare per questo quadriennio i rapporti più alti rispetto a tutte le altre regioni, con una percentuale media del 15,5% in Sicilia e del 13,5% in Campania. Seguono la Puglia (11,6%), il Lazio (9,2%), la Lombardia (8,8%), il Piemonte (7,6%), la Calabria (6,7%), l’EmiliaRomagna (5%). Si noterà che lo scarto tra i valori medi in percentuale registrati in Sicilia e Campania rispetto a tutte le successive regioni è significativo e, anche in questo caso, la Calabria va a una regolazione sociale violenta 147 collocarsi all’ultimo posto tra le regioni con un ranking medio superiore al 5%. Mentre i valori di partenza della delittuosità per tale reato denunciato in Sicilia sono superiori a quelli della Campania e agli omologhi delle altre regioni, osservando la serie dopo il 2001 si nota una variazione significativa tra le performance nell’andamento regionale delle denunce che pone interessanti interrogativi. Infatti, sulla base della variazione percentuale media calcolata sull’intera serie storica le posizioni risultano invertite: al termine del periodo la Campania fa registrare una percentuale pari al 16,6% seguita dalla Sicilia (12,5%), dalla Lombardia (11,3%), dalla Puglia (10,5%), dal Lazio (7,9%), dal Piemonte (7,2%), dalla Calabria (6,1%), dall’EmiliaRomagna (5,4%). È evidente che ciò riflette alcune condizioni specifiche di contesto e al contempo alcuni aspetti più generali. L’analisi dei valori ci informa che, innanzitutto, è la regione Campania l’area nella quale in tutto il periodo la delittuosità denunciata è alta e dal 2001 s’impenna la curva fino a raggiungere i valori più alti tra il 2006 e il 2007 (20,4%; 19,1%), per poi registrare una riduzione nei due anni successivi. La Calabria e la Puglia, invece, sono le regioni tra le indicate che fanno registrare valori medi senza forti oscillazioni, in modo stabile, con una contrazione nell’ultimo periodo, ma la Puglia esibisce percentuali molto più elevate lungo l’intera serie. La Sicilia presenta un andamento completamente opposto con una tendenza alla contrazione in modo costante e significativo dal 2002, fino ad arrivare a 6 punti in meno nel 2010. Il Lazio manifesta una performance analoga alla Puglia ma con una variazione interna più sostenuta e una media per l’intera serie più contenuta. Discorso diverso vale per le tre regioni del centro-nord: Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna. La prima fa registrare dopo i primi anni del 2000 una impennata nella crescita delle denunce che è costante e raggiunge nel 2010 il valore più alto (13,3%); la seconda mantiene un rapporto stabile lungo l’intero periodo ma con un carattere lievemente ascendente, coincidente con la performance dell’Emilia-Romagna, ma a differenza della prima quest’ultima fa registrare una tendenza al rialzo dal 2007. 148 giacomo di gennaro Se osserviamo alla luce di un indice di variabilità calcolato con le medie mobili l’andamento dei valori sin qui analizzati, stilizzando le performance regionali attraverso un grafico, si noterà che il movimento delle curve sugli assi rende ancora più evidente ed efficace quanto anticipato. Il grafico 4, infatti, evidenzia due sostanziali tendenze: in generale tutte le regioni, tranne la Sicilia e la Sardegna, presentano un andamento iniziale che lievita o è stabile fino ai primi anni del 2000. Puglia, Lombardia ed Emilia-Romagna presentano una curva con una traiettoria iniziale ascendente superiore alle altre regioni, mentre la Campania vede i propri valori salire con una più modesta progressione. Dopo i primi anni del 2000 le curve relative alle denunce nelle regioni della Lombardia, Campania, Sicilia, Puglia subiscono una impennata che, sebbene con margini di partenza più contenuti, interessa anche Veneto, Toscana, Piemonte. In sintesi, allora, mentre nella prima fase quasi tutte le regioni sono interessate da una iniziale progressione delle denunce, la Sicilia va nella direzione opposta. E tra le regioni meridionali solo la Puglia risulta con un movimento simile a quello lombardo per almeno il primo triennio. Tracciando una linea retta verticale in coincidenza del 2001 si nota che da questa fase, corrispondente con molta probabilità agli effetti delle legge 44/1999 Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura, nonché a quelli della legge 512/1999 istitutiva del Fondo di rotazione per la solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, si avvia una fase crescente delle denunce di estorsione con una rappresentazione logistica della curva a delineare da un lato, una presenza diffusa della criminalità organizzata di stampo mafioso che non risparmia le principali regioni del nord (confutando quanto veniva negato in quegli anni - e ancora oggi - da larga parte del mondo politico ed economico103) ed è un indicatore del fatto che tale presenza non ha più il carattere di infiltrazione ma di vera e propria occupazione prodotta da alleanze criminali, da 103. Cfr. f. dalla chiesa, Le mafie al nord. La fine dei luoghi comuni, «Narcomafie», anno XVIII, dicembre 2011. una regolazione sociale violenta 149 interazioni con il mondo imprenditoriale, da forniture di servizi, assistenza e protezione104. La probabilità che l’ipotesi dell’incentivo rappresentato dalle due leggi e la funzione positiva dell’associazionismo antiracket sorto nel 1990 a Capo d’Orlando siano compatibili con l’andamento delle denunce, ci viene proprio dalla lettura di ciò che scrive Tano Grasso all’indomani (alla fine del 2001) dell’istituzione a Napoli da parte del Comune della città partenopea di una delega assessoriale per la «tutela del cittadino dal racket e dall’usura»105. L’impulso che venne - scrive Grasso - dalla «promozione dell’attività associativa antiracket fu che si registrarono in pochi anni in città un aumento di denunce passando da 71 del 2001 a 276 nel 2002, a 305 nel 2003, a 533 nel 2004, a 614 nel 2005, a 734 nel 2006» cui fece seguito una «vivace attività giudiziaria che ha visto l’instaurarsi di 102 procedimenti penali contro 839 imputati nel periodo novembre 2004-novembre 2009 con la costituzione di parte civile delle associazioni antiracket in ben 80 processi»106. Dall’altro, l’impennata della traiettoria della curva si spinge fino al periodo tra il 2006 e il 2007 poco prima dei due provvedimenti legislativi noti come “pacchetto sicurezza”107 i cui effetti 104. Secondo l’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli Studi di Milano (Cross), la presenza delle diverse consorterie di derivazione mafiosa, ovvero specialmente della ‘ndrangheta, della mafia e della camorra costituiscono ormai un elemento strutturale della vita sociale di molte regioni, province e comuni del nord. Nel Primo rapporto trimestrale si legge: «la diffusione del fenomeno mafioso avviene soprattutto attraverso il fittissimo reticolo dei comuni di dimensioni minori, che vanno considerati nel loro insieme come il vero patrimonio attuale dei gruppi e degli interessi mafiosi. È soprattutto nei piccoli comuni che si costruisce una capacità di controllo del territorio, di condizionamento delle pubbliche amministrazioni locali, di conseguimento di posizioni di monopolio nei settori basilari dell’economia mafiosa, a partire dal movimento terra. È nei piccoli comuni che è possibile costruire, grazie ai movimenti migratori, estese e solide reti di lealtà fondate sul vincolo di corregionalità, o meglio di compaesanità, specie se rafforzato da vincoli di parentela di vario grado e natura»; cfr. Cross, Primo rapporto trimestrale sulle aree Settentrionali, per la Presidenza della Commissione Parlamentare di Inchiesta sul fenomeno mafioso, 29 settembre 2014, cit., p.10. 105. t. grasso, Prima relazione del Consulente antiracket, 17 aprile 2002, p. 1; ora in www.antiracket.it. 106. id, Racket e antiracket a Napoli, in g. di gennaro, a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità, op. cit., pp. 285-286. 107. Vedi D.L. n. 82 convertito nella legge n. 125 del 24.7.2008 e D. L. n. 187 del 12 novembre 2010 coordinato con la legge di conversione n. 217 del 17 dicembre 150 giacomo di gennaro con una fondata probabilità - specie il primo - si riverberano sulla crescita delle denunce, ma negli anni successivi. È evidente che per un settennio, nel cuore del periodo 2001-2007, l’impennata delle denunce si deve all’effetto moltiplicatore della presenza dell’associazionismo antiracket che specialmente in Sicilia e in Campania (regioni originarie del take-off associativo), e poi Lombardia, Lazio e Veneto hanno visto moltiplicare il numero delle associazioni presenti sui territori. Non è da sottovalutare, inoltre, proprio dalla fine degli anni Novanta il maggior impegno e gli esiti efficaci di molte operazioni investigative che non solo hanno portato alla detenzione molti capi storici delle organizzazioni di camorra e mafiose nei diversi territori locali, ma assicurato con i processi le conclusioni di molte indagini di polizia giudiziaria generando la disarticolazione, frantumazione e in taluni casi il vero e proprio annientamento di molti gruppi organizzati di stampo mafioso. Questa tendenza, inoltre, si conferma negli anni successivi al 2010 in coincidenza, tra l’altro, nel 2012 delle convenzioni siglate nell’ambito del Programma Operativo Nazionale Sicurezza per lo sviluppo - Obiettivo Convergenza 2007-2013, finanziato dall’Unione Europea, tra il Ministero dell’Interno e alcune delle associazioni antiracket più rappresentative. 2010. In particolare, l’articolo 7-bis del decreto legge 92/2008, ha permesso la realizzazione del “Piano per l’impiego del personale delle Forze Armate nel controllo del territorio” con il quale, a partire dal 4 agosto 2008, furono impiegati uomini dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica Militare e dell’Arma dei Carabinieri in compiti di vigilanza di siti istituzionali e obiettivi sensibili e nel presidio del territorio. Dopo la strage del 18 settembre 2008 a Castel Volturno nella quale furono uccisi sei immigrati per mano dell’ala militare del gruppo dei casalesi di Setola, furono inviati in Campania quattrocento uomini delle forze dell’ordine e a questi si aggiunsero, successivamente, cinquecento paracadutisti della Folgore, in virtù del D.L. 2 ottobre 2008, n. 151, convertito poi con legge 28 novembre 2008, n. 186. Non è difficile ipotizzare che l’impulso derivante da un controllo territoriale più particolareggiato che si ebbe per effetto della proroga per altri due semestri dell’impiego delle unità di personale militare abbia nelle province italiane interessate dal provvedimento generato maggiore senso di sicurezza e spinto nella direzione di un aumento delle denunce, tant’è, vedi il successivo capitolo 3 di Maria Di Pascale, l’effetto si osserva a partire dal 2010 al 2013. una regolazione sociale violenta 151 Grafico 4 - Medie mobili triennali Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd Tabella 2 - Variazioni assolute e relative calcolate sulle medie mobili triennali 1998-2010 Anni 1998/2000 2001/2003 Regioni Anni 2001/2003 2006/2008 Variazione assoluta Variazione relativa (%) Variazione assoluta Variazione relativa (%) Anni 2006/2008 2008/2010 Variazione assoluta Variazione relativa (%) Piemonte 24,0 8,8 113,7 38,1 8,0 1,9% Valle d’Aosta 0,3 8,3 3,0 69,2 -0,3 -4,5% Lombardia 52,7 16,5 373,3 100,3 59,3 8,0% Trentino-Alto Adige -23,3 -48,3 27,3 109,3 -1,0 -1,9% Veneto 13,7 10,8 147,3 105,2 4,7 1,6% Friuli-Venezia Giulia 9,0 18,9 6,0 10,6 -2,3 -3,7% Liguria -7,7 -9,5 54,3 74,8 20,0 15,7% Emilia-Romagna 36,3 21,4 126,7 61,4 36,3 10,9% Toscana 44,0 29,1 94,7 48,5 23,7 8,2% Umbria 6,7 21,1 24,3 63,5 6,0 9,6% 152 giacomo di gennaro Anni 1998/2000 2001/2003 Anni 2001/2003 2006/2008 Anni 2006/2008 2008/2010 Variazione assoluta Variazione relativa (%) Variazione assoluta Variazione relativa (%) 10,8 55,0 73,0 11,7 9,0% 6,1 89,0 26,3 88,7 20,7% 19,0 30,3 59,7 73,1 14,3 10,1% Molise 5,3 27,6 6,3 25,7 -3,0 -9,7% Campania 30,7 6,3 656,7 126,4 -69,7 -5,9% Variazione assoluta Variazione relativa (%) Marche 7,3 Lazio 19,3 Abruzzo Regioni Puglia 17,7 4,6 220,3 55,3 -11,7 -1,9% Basilicata -13,0 -27,9 19,3 57,4 11,3 21,4% Calabria 22,0 9,3 111,7 43,2 -59,0 -15,9% Sicilia -76,7 -13,5 205,3 41,7 -19,0 -2,7% Sardegna -38,3 -32,9 50,7 64,7 3,3 2,6% Totale regionale annuo 149,0 4,2 2444,7 65,9 -4,2 1,1 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd Una ulteriore elaborazione che consente alcune considerazioni riguarda il tasso di denunce per estorsioni calcolato sulla popolazione racchiusa nella coorte di età 14-80 anni. Abbiamo scelto di elaborare i tassi in base a questa coorte di età poiché si è ritenuto che le ali che precedono e seguono quest’ampia coorte restano poco significative e rappresentative di eventuali profili di vittime (nel senso che la popolazione 14-80 è definibile da un punto di vista di scelta metodologica, come popolazione d’interesse che è maggiormente protagonista di una denuncia, ancorché come vittima)108, con il vantaggio che i tassi appaiono più realistici. Se consideriamo, innanzitutto, per l’intera serie storica le variazioni tra i tassi annuali e il tasso medio dell’intero periodo, alcune differenze su quanto detto fin qui emergono. 108. Per gli aspetti specifici che chiariscono le ragioni di questa scelta metodologica si rimanda all’appendice. una regolazione sociale violenta 153 In primo luogo, la regione che fa registrare il tasso medio più alto è la Calabria (18,1), cui segue la Campania (17,5), la Puglia (15,5) e la Sicilia (15,1). Dopo questo primo range di regioni meridionali storicamente interessate dal fenomeno, ritroviamo a distanza di diversi punti il Molise (10,6) e l’Abruzzo (10,5). Seguono il Piemonte (9,8), il Lazio (8,8), Sardegna, Toscana e Marche con un tasso pari all’8,1 e infine Liguria, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia rispettivamente al 7,8; 7,7; 7,2; 7,1 (tab. B4 in appendice). Osservando all’interno dell’intero periodo i tassi delle singole regioni emerge che tra il 2007 e il 2008 si registrano le punte più alte fra la maggior parte delle regioni, con la Campania che esibisce il tasso in generale più elevato nell’intera serie (26,5) e nel triennio 2006-2008 la più alta media tra i tassi tra tutte le regioni e rispetto all’intero periodo. Tra l’altro appare, in tutta la sua evidenza, vista a posteriori ma considerevolmente prevedibile, l’ascesa dei tassi nella regione abruzzese colpita nel 2009 dal terremoto dell’Aquila e interessata alla ricostruzione nei successivi anni. Essendo proprio il settore dell’edilizia uno dei segmenti economici maggiormente colpiti dalle estorsioni, si può notare come proprio dal 2010 crescono le denunce registrate nella regione. Un aspetto che non si può considerare sulla base dei dati disponibili riguarda il peso della crisi economica. Ovvero, in che misura a partire dal 2008-2009 in Italia si avverte l’effetto dell’onda della crisi la cui origine finanziaria è nel 2007 negli Usa e si sviluppa ed estende a livello mondiale riducendo innanzitutto il credito alle famiglie e alle imprese, con conseguenti contrazioni dei consumi e del volume dell’attività edilizia. La recessione “lunga e intensa” che vi ha fatto seguito nel triennio 2008-2010 ha colpito l’Italia (-5,2%) in conseguenza della riduzione della domanda estera e degli irrisolti problemi strutturali che interessano il nostro sistema industriale, generando così una inevitabile contrazione dell’occupazione e un aumento della disoccupazione109. Il processo di contaminazione dell’econo109. Secondo l’Istat dal 2007 al 2013 l’Italia ha perso il 25% del prodotto industriale; cfr. istat, Rapporto annuale 2014, L’evoluzione dell’economia italiana. Aspetti macroeconomici, Roma, pp. 1-40. 154 giacomo di gennaro mia reale ha reso, quindi, più fragile il mercato del lavoro e il sistema delle imprese. Il punto nodale della questione è se la pressione estorsiva sulle imprese commerciali specie al dettaglio e su quelle industriali medio-piccole si sia attenuata, sia rimasta invariata oppure utilizzando proprio la lunga scia della crisi, combinando questa con l’attività usuraia, i clan non abbiano – attraverso processi di mimetizzazione – contribuito alla mortalità di molte imprese o ne abbiano acquisito il controllo. A riguardo abbiamo stimato un modello panel per le regioni italiane sull’intera serie storica disponibile (1998-2013), ovvero un modello di regressione per ogni unità e dati temporali, considerando come variabile dipendente le denunce di estorsione regionale per 10.000 abitanti. Come variabili esplicative sono state considerate: il tasso di turnover delle imprese (Tover), ottenuto come differenza tra tasso di natalità e mortalità delle imprese come pubblicato dall’Istat, anni 1999-2012110 che utilizzato come proxy dell’andamento dell’economia regionale; il tasso di variazione annuale del numero dei permessi a costruire nuovi fabbricati non residenziali anni 2001-2012 (Nresn), come calcolata dall’ISTAT111, una variabile dummy (D) che assume valore 1 nel periodo 2003-2008 evidenziato dai grafici precedenti e che termina con l’inizio della crisi economica e l’apertura del fondo di solidarietà; infine viene considerato un trend temporale che tenga conto dell’andamento generale della variabile dipendente (cioè il tasso di estorsione calcolato per 10.000 abitanti)112 e di tutti gli altri effetti che in qualche modo han110. istat, Demografia d’Impresa 2012. 111. istat, Indicatori permessi di costruire, Superficie della nuova edilizia non residenziale, 2015, dati.istat.it. 112. È evidente che la serie storica è fin troppo corta per ottenere risultati altamente significativi, tuttavia nonostante tale limitazione gli esiti sono interessanti come indicazione di ulteriori approfondimenti. Questo modello panel usa effetti “fissi”, ovvero le differenze tra le vare regioni si scaricano su “costanti regionali” che per evitare inutili appesantimenti abbiamo evitato di riportare. Si consideri che il tasso di denunce regionali è stato calcolato per 10.000 abitanti sull’intera popolazione per considerarla come costante. Il tasso di turnover delle imprese (tover) è dato dal saldo tra tasso di natalità e tasso di mortalità delle imprese nella regione; il tasso di variazione (nresn) è dato dal numero dei permessi a livello nazionale di nuove costruzioni non residenziali inteso come indicatore del ciclo economico del Paese, ma anche come una misura della una regolazione sociale violenta 155 no contribuito all’andamento generalmente crescente della variabile dipendente che non siamo in grado di spiegare con altre variabili per carenze dei dataset consultati. È ragionevole attendersi che le diverse regioni abbiamo delle caratteristiche peculiari che ne differenziano il comportamento rispetto al tasso del reato denunciato, pertanto un modello ad effetti casuali sembra essere il più opportuno. Nella tabella 4 sono riportati i principali risultati dell’applicazione. Come si può osservare tutti i parametri sono statisticamente significativi presentando un p-value decisamente inferiore all’usuale soglia del 5%. I coefficienti risultano peraltro tutti positivi, quindi il modello suggerisce che all’aumentare delle variabili esplicative aumenti il valore della variabile dipendente. Ad esempio, il settore delle costruzioni altamente esposto all’intimidazione estorsiva, allo sviluppo di questo si correla positivamente uno sviluppo delle segnalazioni di estorsione. L’analisi dei residui, come indicato anche dagli indicatori riportati in calce alla Tabella 4, sembra non evidenziare particolare problemi nella specificazione del modello. Nel grafico 5 sono riportati i valori osservati del tasso di delitti denunciati e quelli previsti per la stessa variabile dal modello. Tabella 3 - Modello panel, valori stimati Const Coefficient Std. Error T-ratio P-value 0.352792 0.0450249 7.835 2.10e-013 Tover 0.0429781 0.0161359 2.664 0.0083 Nresn 0.00273784 0.00105928 2.585 0.0104 0.116443 0.0255294 4.561 8.52e-06 0.0507886 0.00459219 11.06 8.04e-023 D Time lsdv R-squared 0.827123 lsdv F (23,216) 44.93247 rho 0.177022 Within R-squared 0.421029 P-value (F) 2.13e-69 Durdin-Watson 1.355927 variazione delle “possibilità” di poter compiere il reato, dal momento che nei cantieri edili si consuma un elevato numero di estorsioni; infine, la variabile dummy (D) vale 1 dal 2003 al 2008. 156 giacomo di gennaro Grafico 5 - Modello Panel valori osservati e valori previsti Altro aspetto rilevante e controverso attiene la configurazione dell’attività estorsiva in terre di nuovo insediamento. Infatti, che le diverse mafie non siano solo un fenomeno specifico del Sud dell’Italia è un dato certo e acquisito da moltissimi anni. L’aspetto da chiarire è come si configura, rispetto agli ambienti di provenienza, l’attività estorsiva non essendo connessa alla sua funzione primaria di accumulazione delle risorse e quella necessitata dal dominio territoriale. Mentre il successo delle ulteriori attività illegali in terre meridionali, infatti, è molto dipeso dalla capacità di imporre innanzitutto la protezione-estorsione o l’estorsione come regolazione sociale violenta, nelle aree di nuovo insediamento, essendo aree di investimento dei profitti in attività legali, terre di riciclaggio di denaro, di penetrazione nelle amministrazioni locali per intercettare gare, appalti, offrire servizi, svolgere transazioni, collocarsi insomma con il volto pulito nei mercati legali locali e regionali per sviluppare maggiori e più intense cointeressenze con le imprenditorie locali e con esponenti politici, il modello di azione mafiosa si è imposto con modalità distinte non essendo necessariamente dipendente una regolazione sociale violenta 157 dalla riuscita dell’attività estorsiva. Il traffico dei rifiuti dal Nord Italia verso il Sud docet! Sono stati molti gli autori che hanno sostenuto l’impraticabilità delle mafie di aprire succursali in altre parti del mondo. L’aspetto della stanzialità è stato teorizzato e dibattuto per poi essere falsificato dai fatti. Reuter, per esempio, ha sostenuto il carattere “locale” delle organizzazioni illegali113 e sulla stessa scia anche Gambetta sostenendo che la mafia siciliana non sarebbe andata oltre la Sicilia occidentale e ritenendo che gli ostacoli sarebbero derivati dalla difficoltà di controllare da lontano gli ordini impartiti agli affiliati. Così come altro intralcio verrebbe dalla raccolta delle informazioni «precise e affidabili su persone ed eventi» e, infine, la problematicità connessa alla costruzione di una reputazione legata all’uso della violenza e non solo dalla millantata minaccia114. Allo stesso modo Yiu Kong Chu ha ritenuto che le triadi di Hong Kong abbiano un raggio di azione più locale. Il fatto di essere coinvolte in traffici internazionali non vuol dire, per l’autore, che siano «i principali organizzatori»115. E ancora Peter Hill nello studio sulla mafia giapponese sostiene che la Yakuza «non è mai riuscita ad estendere la propria attività di protezione al di fuori del mercato giapponese»116. Queste posizioni, richiamate criticamente anche da Varese, sono state contraddette dalla capacità espressa da molte organizzazioni mafiose di trapiantarsi al Centro-Nord dell’Italia e in altre parti del mondo, come d’altra parte centinaia di investigazioni confermate da sentenze hanno mostrato. Il punto, però della questione, al di là della reale espansione è se esse si servano o meno dell’attività estorsiva e se questa avvenga nelle forme predatorie che conosciamo, come nel contesto cittadino partenopeo. Federico Varese, ad esempio, sostiene che anche se le organizzazioni criminali svolgono diverse funzioni nei diversi 113. p. reuter, The Organization of Illegal Markets: An Economic Analysis, National Institute of Justice, New York U.S. 1985, p. 21. 114. d. gambetta, La mafia siciliana, op. cit., p. 351 e ss. 115. Cfr. y.k. chu, The Triads as Business, Routledge, London e New York 2000, p. 130. 116. p.b.e. hill, Tokio: la rete di Yakuza, in «Lettera Internazionale», anno XVIII, 71, 2002, p. 53; nonché id., The Changing face of the Yakuza, «Global Crime», a. VI, 1, pp. 97-116. 158 giacomo di gennaro mercati legali e in quelli illegali, resta il fatto che esse perpetuano l’ottica estorsiva perché garantiscono in forme diverse la protezione. Indipendentemente dal carattere estrattivo forzato di risorse economiche per servizi che sono promessi ma mai corrisposti, l’estorsione resta un’attività centrale se anche in nuove terre non si vuole svolgere una semplice presenza migratoria, o sfruttare particolari opportunità commerciali, oppure dedicarsi al monitoraggio degli investimenti realizzati. Tuttavia, essendo l’estorsione funzione essenziale del trapianto perché quest’ultimo si affermi sono necessarie alcune condizioni: la presenza di mercati illegali, perché le mafie organizzano i traffici, facilitano gli scambi illegittimi e riducono l’incertezza; la domanda di servizi che esse possono offrire a prezzi decisamente più vantaggiosi; la disponibilità di manodopera disposta a e in grado di usare la violenza; l’esistenza di una domanda di protezione privata determinata dalla incapacità dello Stato di proteggere e tutelare i diritti di proprietà; infine, la disponibilità di imprenditori ad entrare nella sfera dell’illegalità cercando di vendere merci legali ricorrendo a forme sleali di concorrenza o organizzando accordi di cartello con l’appoggio della mafia117. Ma a quali condizioni, allora, sarebbe possibile la presenza di una mafia senza estorsione? Ovvero, di una mafia che si dedichi ai traffici illegali, agli investimenti sui mercati legali, alle operazioni finanziarie, persino all’offerta di servizi a costi più vantaggiosi senza che questa debba essere imposta con la forza, magari solo ricorrendo a qualche bustarella? È possibile immaginare condizioni operative di organizzazioni mafiose indipendenti da processi di vittimizzazione diretta? Ipotizzare strategie di colonizzazione dei territori senza la mano arbitraria della violenza? In un contributo risalente ai primi anni novanta Marrelli e collaboratori hanno sostenuto che se un Governo è intenzionato a perseguire con successo l’obiettivo di impedire la formazione di accordi collusivi tra imprese operanti nel settore 117. f. varese, Mafie in movimento. Come il crimine organizzato conquista nuovi territori, Einaudi, Torino 2011, pp. 21- 45 e 253-270. una regolazione sociale violenta 159 criminale (assumendo per es. che in un settore economico – diciamo la droga – la crescita dei profitti criminali sia funzione di accordi collusivi fra imprese criminali) è necessario che si orienti a implementare un comportamento “strategico” finalizzato alla rottura di accordi di cartello in modo da minimizzare la somma dei profitti delle imprese criminali. Gli esiti di tale lotta dell’attore pubblico «garantirebbe una diminuzione degli incentivi individuali all’appartenenza a queste organizzazioni così da determinare una limitazione all’espansione dei settori economici criminali»118. La modalità per ottenere tale risultato, nell’ottica degli autori, è sviluppare politiche concentrate di punizione (un intenso e particolare sforzo di smantellamento della l’organizzazione A – per es. ciò che è capitato nella lotta contro Cosa Nostra -) nei confronti di quell’impresa criminale che ha subìto la defezione dall’accordo di collusione da parte della rivale. La conseguenza sarebbe la maggiore onerosità dei profitti attesi al punto da rendere non credibili le minacce di rappresaglia da parte dell’organizzazione nei confronti della rivale e quindi, in ultima analisi, non sostenibile un equilibrio di collusione. Ora, il modello proposto da Marrelli e collaboratori ha la sua rilevanza nell’assunzione di imprese criminali impegnate in traffici che richiedono accordi collusivi (es. tratta di esseri umani, droga, prostituzione, gioco clandestino ecc.), ovvero di imprese del tipo enterprise syndacate impegnate, cioè nella gestione di affari e traffici illegali. Premesso che se c’è un aspetto che caratterizza molte organizzazioni criminali è l’ormai profilo di ibridazione criminale organizzativa derivante dalla dimensione glocale delle stesse, il problema è che la lotta repressiva da parte dell’attore pubblico nei confronti dell’impresa A non garantisce affatto la minimizzazione dei profitti dell’impresa criminale B per effetto dell’elevata probabilità che quest’ul118. m. celentani, m. marrelli, r. martina, La rottura di accordi collusivi nel settore criminale, in s. zamagni (a cura di), Mercati illegali e mafie, op. cit., pp. 153-164; cit. p. 163. Inoltre, si veda id., Regulating the Organized Crime Sector, in s. peltzman, g. fiorentini (eds.), The Economics of Organized Crime, Cambridge University Press, Cambridge (GB) 1995. 160 giacomo di gennaro tima diriga la sua primaria o ulteriore attenzione su un altro settore di attività economica. Inoltre, una politica di contrasto concentrata nei confronti di una organizzazione – come negli ultimi decenni la lotta a Cosa Nostra ha mostrato – rafforza inevitabilmente un’altra organizzazione – come la penetrazione e il consolidamento della ‘Ndrangheta ha evidenziato proprio lungo lo stesso periodo – indebolendo gli esiti di successo delle politiche di contrasto al crimine organizzato. Una uscita, allora, dal dilemma potrebbe essere proprio la concentrazione del contrasto all’attività genesi dell’impresa criminale, ovvero proprio all’attività estorsiva che, almeno in buona parte delle regioni meridionali, costituisce l’attività primaria il successo della quale consente l’accesso alle altre attività. Nelle altre realtà del Paese, invece, è l’attività che segue i traffici e gli affari, in conseguenza del carattere espansivo che l’organizzazione mira sempre ad acquisire e dell’orientamento al radicamento connesso. Si possono condividere, allora, gli assunti su richiamati secondo cui condizioni particolari dal lato dell’“offerta” (per es. presenza di delinquenti in migrazioni di popolazione; soggiorno obbligato o trasferimento forzato di mafiosi intenzionati a sfuggire a faide interne o all’arresto; contesti finanziari più dinamici e redditizi) non necessariamente determinino il trapianto delle mafie in contesti new comers, ma è, in verità, dal lato della “domanda” che diventa più difficile trovare un accordo di partenza. Infatti, condizioni economiche e sociali nelle quali non si sovrappongano presenze di mercati illegali ed agenti interessati a scambi criminali è difficile, se non impossibile, che se ne possa vantare l’esistenza. Ci saranno sempre segmenti di popolazione interessati a trarre benefici e vantaggi dalla protezione mafiosa per il solo fatto che operano con profili in base ai quali non potranno mai fare ricorso alla polizia o ai servizi di controllo legali. Basti pensare ai mercati della prostituzione, dell’alcool, del gioco d’azzardo, delle scommesse, della ricettazione, del falso, del traffico di beni culturali etc. Se pensiamo, poi, ai paradossi del mercato legale, della sostenibilità della democrazia, della farraginosità della macchina burocratico-amministrativa, della enfatizzazione di un ideale criminale e al tempo stesso una regolazione sociale violenta 161 romantico che i media rifrangono, allora tutto sembra una pura utopia. Nel senso che ad ogni attività economica legale la mafia ha la capacità di contrapporvi la sua soluzione illegale. Transcrime ha recentemente analizzato il fenomeno dei furti di medicinali dagli ospedali italiani, cui è correlata la diffusione di farmaci contraffatti inefficaci con il conseguente rischio di monetizzare al dettaglio la salute delle persone119. È presumibile che i prodotti rubati siano reimmessi sul mercato illegale, a livello nazionale ma anche all’estero, in Paesi caratterizzati da un sistema sanitario più debole o da difficoltà di accesso ai canali legali (Est Europa e Grecia). La geografia dei furti, prevalentemente nel Sud Italia, la tipologia dei farmaci sottratti e le modalità di ricettazione confermano l’ipotesi che in questa attività illecita possa essere coinvolta la Camorra o la Mafia. Proprio il carattere transnazionale della criminalità è in qualche modo facilitato, ancorché esso stesso determinato, dai processi di globalizzazione e finanziarizzazione dell’economia perché trova in essi nuove occasioni e vantaggi per celare gli illeciti120. In conseguenza di ciò ad ogni forma di gestione di un’attività illegale è molto elevato il rischio che si concretizzi un desiderio di colonizzazione di nuovi territori e proprio il riciclaggio ne costituisce la condizione essenziale, ma perché si traduca in un radicamento non può che avverarsi attraverso l’attività estorsiva.119. transcrime, The Theft of Medicines from Italian Hospitals, m. riccardi, m. dugato, m. polizzotti, (a cura di), Milano 2014; ora anche in, http://www.transcrime.it/wpcontent/uploads/ 2014/03/Pharma-Theft-Report.pdf. Emerge che tra il 2006 e il 2013 un ospedale italiano su dieci ha subìto un furto di farmaci, con un “bottino” medico che arriva a 330 mila euro, in leggero calo rispetto allo scorso anno, con 250 mila. Secondo lo studio il trend dei furti è in aumento e si stanno analizzando anche altre tipologie di sottrazione illegale, come ad esempio quelle ai camion che trasportano i medicinali. A far gola alla criminalità sono gli antitumorali, gli immunosoppressori, gli antireumatici, i biologici e in alcuni episodi le pillole per il trattamento della disfunzione erettile. Campania e Puglia sono le regioni nelle quali si è registrato il 45% dei furti, come già nel 2013. Al Centro e al Nord le Regioni più colpite sono Lazio, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia. 120. Su questo vedi, l. larivera, La globalizzazione del crimine organizzato, «La Civiltà Cattolica», 3925, anno 165, I, 4 gennaio 2014, pp. 58-70; nonché id., Sovranità statale e criminalità organizzata, «La Civiltà Cattolica», 3926, anno 165, I, 18 gennaio 2014, pp. 130-141. 162 giacomo di gennaro 3. Tendenze estorsive: l’andamento del fenomeno nel quadriennio 2010-2013 Maria Di Pascale Premessa Sviluppare un’analisi capace di stimare il volume della delittuosità estorsiva presente in Italia non è di semplice attuazione. È noto, infatti, che la particolare natura della fattispecie in questione, di per sé incidente sulla psiche della vittima al punto da determinarne una obnubilazione della capacità di comprendere e volere1, influisce sicuramente sulla propensione della stessa a denunciare l’illecito. Come in un feedback perverso tanto più la vittima si rassegna nel subire anziché nel denunciare, tanto più l’estortore è tutelato nella ripetizione delle proprie azioni delinquenziali. L’effetto di tale retroazione rende pienamente condivisibile l’affermazione secondo la quale il fenomeno estorsivo sommerso è presente ed è rilevante2. Basti pensare che ne Le imprese vittime di criminalità in Italia, ove si riporta un’indagine di vittimizzazione compiuta nel 2008 su 11.477 imprese italiane, si legge che il reato di estorsione è tra quelli che presentano i valori più alti di non-denuncia. Solo il 6,6% delle imprese che ha subìto estorsione nei dodici mesi analizzati ha segnalato il fatto alle Forze dell’Ordine3. Se ci appropriassimo di tale dato, 1. m. pinto, I delitti contro il patrimonio mediante violenza alle persone, utet, Torino 2009, pp. 115 ss. 2. g. di gennaro, Estorsioni ed usura: l’impatto distorsivo delle attività illegali dei clan di camorra sull’economia regionale campana, in «Rassegna Economica», n. 1, 2013, pp. 109 ss. 3. Stante all’indagine richiamata nel testo, tra i principali motivi della non-denuncia dichiarati dalle imprese si annoverano: a) timore e paura di rappresaglie (34,1%); b) le Forze dell’Ordine non avrebbero comunque fatto nulla (31,7%); c) precedenti esperienze negative (31,1%); d) assenza di prove (28,2%); e) fatto non abbastanza grave (19,7%); f) tendenze estorsive 163 pur consapevoli di tutti i limiti che caratterizzano le indagini di questo tipo, potremmo affermare che per avere un’idea che sia lontanamente coincidente con la realtà dovremmo giungere quasi a decuplicare le cifre delle statistiche pubbliche. È chiaro, dunque, che esiste uno iato sostanziale tra ciò che ufficialmente si osserva e ciò che realmente è. Viepiù: il parlare di vicende estorsive rimanda sovente alla presenza delle mafie. La linearità eziologica rintracciata tra “sintomo e malattia” non è certo aleatoria giacché la storia, specie quella ricostruita attraverso migliaia di atti giudiziari, insegna che laddove c’è la mafia c’è la pratica dell’estorsione nelle sue diverse configurazioni. Al c.d. racket del pizzo, si accompagna l’imposizione di forniture, di prodotti, di servizi, o anche l’obbligo di assunzione4, e sicuramente nessuna di queste formule gode del carattere della mutua escludibilità, cagionando un vero e proprio «tartassamento degli operatori economici»5. Ciò detto, va tuttavia specificato che purtroppo non esistono statistiche che ci consentano una chiara scissione tra le estorsioni praticate non si voleva esser condotti in situazioni di giustizia (17,3%). s. caneppele, g. mugellini, Le imprese vittime di criminalità in Italia, e.u. savona (coordinamento scientifico), Transcrime - Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Università degli Studi di Trento, 2012, pp. 47 ss. 4. Sul tema si possono assumere ad esempio alcune ordinanze emblematiche riportate nella relazione luglio-dicembre 2012 della Direzione Investigativa Antimafia, quali: a Messina, nell’ambito dell’operazione “Supermarket”, sono state tratte in arresto cinque persone con l’accusa di estorsione ai danni di un’azienda della grande distribuzione alimentare. L’indagine ha accertato che un esponente del clan Mangialupi risultava essere gestore fittizio di due supermercati che si rifornivano presso la citata azienda, costretta a consegnare ingenti forniture senza ricevere pagamenti ovvero in cambio di assegni postdatati (o.c.c.c. n. 2869/12 rgnr e n. 4654/rggip del Tribunale di Messina); in provincia di Caserta, sono stati tratti in arresto dodici affiliati al clan dei Casalesi, ritenuti responsabili dei reati di associazione mafiosa, estorsione, porto e detenzione illegale di armi e altro, che imponevano a ristoranti, organizzatori di feste patronali ed emittenti locali, l’ingaggio di cantanti per spettacoli trattenendo parte del compenso per il sodalizio (o.c.c.c. n. 706/12 del Tribunale di Napoli); a Reggio Calabria, sono stati tratti in arresto dodici affiliati alle cosche Rosmini-Carindi con l’accusa di associazione mafiosa, estorsioni e intestazione fittizia di beni. Il sodalizio aveva imposto a taluni rivenditori del luogo la vendita di buste e materiale cartaceo (proc. n. 458/11 rgnr-dda proc. n. 4879/11 rggip n. 72/12 rocc del Tribunale di Reggio Calabria). 5. g. di gennaro, Realtà e rappresentazione delle estorsioni in Campania. Un’analisi del fenomeno alla luce delle trasformazioni della camorra e della percezione dei diversi attori, in g. di gennaro, a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità. cit., p. 125. 164 maria di pascale dalla criminalità mafiosa rispetto a quelle che desistono dall’appartenere a tale categoria come, ad esempio, organizzazioni di tipo comune ed estorsioni praticate individualmente (si pensi al caso del figlio tossicodipendente nei confronti del genitore). Date queste premesse, è sicuramente pacifico che l’indagine che si intende compiere non si veste della presunzione di inquadrare il fenomeno nella sua interezza così come nella sua multiformità. Il tentativo resta quello di produrre una riflessione per così dire “allo stato degli atti”, pur sempre utile a richiamare l’attenzione verso eventi pervasivi che caratterizzano la società. 3.1 Il volume della delittuosità estorsiva denunciata in Italia: un confronto tra macro-aree Le statistiche pubbliche della delittuosità estorsiva denunciata in Italia mostrano i tratti di un crimine costantemente in crescita. Solamente nel quadriennio 2010-2013 si registra un incremento nelle denunce di quasi 15 punti percentuali. Tuttavia, l’aumento rilevato non per forza deve intendersi come aumento effettivo dei fatti estorsivi commessi. Ossia, è pur verosimile che questo fenomeno sia oggettivamente cresciuto negli anni, ma non deve escludersi che fattori contingenti, come ad esempio il progressivo sviluppo dell’associazionismo antiracket sul territorio, o l’incisività delle investigazioni delle Forze dell’Ordine, abbiano incentivato l’emersione di realtà sommerse e, di conseguenza, questo abbia fatto lievitare il numero della c.d. criminalità manifesta a discapito di quello oscuro. In più si può asserire che pure la quota di persone denunciate e/o arrestate per il reato ex art. 629 c.p. è aumentata anche se il rapporto tra “estortori e fatti estorsivi” resta alquanto costante nel tempo (tab. 1). Pur essendo un crimine prevalentemente commesso da italiani, oltre il 77% per l’intero periodo osservato (graf. 1), gli aumenti più consistenti si registrano a carico della compagine allogena. Più specificatamente si rileva una variazione in positivo del 19% per gli stranieri, con un picco del 42% per quelli provenienti dalla stessa Comunità europea (tab. 2). tendenze estorsive 165 Tabella 1 - Rapporto tra persone denunciate/arrestate delle forze di polizia e denunce per fatti estorsivi ex art. 629 c.p. Valori assoluti e variazione relativa. Anni 2010-2013 Anni Persone denunciate/ arrestate* Estorsioni Rapporto Variazione annua del fenomeno estorsivo 2010 8.342 5.992 1,4 -3,2 2011 8.592 6.099 1,4 1,8 2012 8.174 6.478 1,3 6,2 2013 8.977 6.884 1,3 6,3 Totale 34.085 25.453 1,3 - Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd * Dati estratti dalle relazioni semestrali della dia (2010-2013). Tabella 2 - Totale delle persone denunciate/arrestate per ex art. 629 c.p. differenziati secondo la nazionalità. Anni 2010-2013 Anni Italiani Variazioni annue Comunitario Variazioni annue Extracomunitario Variazioni annue 2010 6.658 n.d. 494 n.d. 1.190 n.d. 2011 6.493 -2,5 795 60,9 1.304 9,6 2012 6.303 -2,9 639 -19,6 1.232 -5,5 2013 6.847 8,6 703 10,0 1.299 5,4 Totale e variazione storica 26.301 2,8 2.631 42,3 5.025 9,2 Fonte: ns. elaborazione su dati relazioni semestrali della dia (2010-2013) 166 maria di pascale Grafico 1 - Persone denunciate/arrestate per ex art. 629 c.p. differenziati secondo la nazionalità. Valori percentuali. Anni 2010-2013 Fonte: ns. elaborazione su dati relazioni semestrali della dia (2010-2013) In aggiunta, stante ai dati pubblicati nelle relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia per il periodo 2010-2013, il principale obiettivo degli estortori è il privato cittadino, infatti, l’incidenza rilevata va ben oltre il 68%. Seguono i commercianti, gli imprenditori, i titolari di cantiere e i liberi professionisti, rispettivamente con il 13%, il 6%, il 5% e il 4% (tab. 3 - graf. 2). Specificando che non si possiedono informazioni ulteriori che consentano una maggiore caratterizzazione circa il contesto in cui il reato stesso si è consumato, pare evidente che, particolarmente negli ultimi casi, l’attività estorsiva sia connessa all’attività lavorativa della vittima. A questo punto, la “solvibilità” dell’estorto è garantita dalla sua maggiore vulnerabilità che, se è possibile, appare qui doppiamente evidente poiché non soltanto connessa a timori relativi alla minaccia della incolumità personale, propria o dei propri cari, ma anche alla necessità di salvaguardare la propria attività professionale, o esercizio commerciale, fonte di reddito, nonché humus d’edificazione della propria identità sociale. È anzitutto in questa occasione che, come accennato in premessa, il dato andrebbe almeno decuplicato per potersi considerare vagamente convergente con la realtà. tendenze estorsive 167 Tabella 3 - Vittime di estorsione differenziate secondo alcune informazioni note. Anni 2010-2013 TitoImlare prendicantietore re Libero professionista Privato cittadino Commerciante 2010 3.676 789 327 315 253 204 5.564 2011 4.039 841 349 301 300 269 6.099 Anni Altro Totale 2012 4.475 812 330 278 267 316 6.478 2013 4.094 632 323 223 217 237 5.726 % sul totale 68,2% 12,9% 5,6% 4,7% 4,3% 4,3% 23.867 Fonte: ns. elaborazione su dati relazioni semestrali della dia (2010-2013) Grafico 2 - Vittime di estorsione differenziate secondo alcune informazioni note. Anni 2010-2013 Fonte: ns. elaborazione su dati relazioni semestrali della dia (2010-2013) Se poi focalizziamo ulteriormente l’attenzione e osserviamo da vicino le tendenze estorsive per macro-aree (nord-ovest, nordest, centro e sud-insulari), le dinamiche emergenti suggeriscono ulteriori interessanti considerazioni. Innanzitutto, dall’analisi del dato assoluto, in sintonia con quanto rilevato da altre indagini condotte sul tema ma riferite 168 maria di pascale a periodi storici differenti6, ciò che si deriva è che nelle regioni sud-insulari continua a concentrarsi il maggior numero di fatti denunciati: oltre il 47% del totale delle segnalazioni censite tra il 2010 e il 2013 (tab. 4). Qui in media sono stati denunciati 2.995 eventi estorsivi all’anno, a fronte dei 1.439 del nord-ovest, dei 1.159 del centro e dei 764 del nord-est (graf. 3). È chiaro che, in riferimento a questi territori, ritorna prepotente alla mente il sillogismo esistente tra estorsioni e mafie poiché se è vero, come si è detto, che può esserci estorsione senza che vi sia mafia, è sicuro che non possa dirsi il contrario, «[…] non c’è mafia che non eserciti l’estorsione come propria attività originaria e ordinaria»7. Dunque, è proprio rispetto a questi luoghi, innegabilmente caratterizzati da una presenza strutturata di criminalità organizzata, che diviene più forte la convinzione che le attività estorsive siano un derivato dell’affermazione del potere delle associazioni criminali esistenti sul territorio. Tabella 4 - Totale dei delitti di estorsione denunciati nelle differenti macro-ripartizioni. Rapporto di composizione sul totale annuo di estorsioni. Anni 2010-2013 Anni NordOvest % NordEst % Centro % SudInsulari % 2010 1.363 22,7 676 11,3 1.022 17,1 2.931 48,9 2011 1.359 22,3 646 10,6 1.164 19,1 2.930 48,0 2012 1.431 22,1 845 13,0 1.180 18,2 3.022 46,7 2013 1.602 23,4 890 13,0 1.271 18,5 3.096 45,1 Totale 5.755 22,6 3.057 12,0 4.637 18,2 11.979 47,1 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd 6. g. di gennaro, a. la spina, I costi dell’illegalità, cit. 7. t. grasso, a. varano, U pizzu. L’Italia del racket e dell’usura, Baldini & Castoldi, Milano 2002, p. 69. tendenze estorsive 169 Grafico 3 - Estorsioni medie denunciate negli anni 2010-2013, differenziate per macro-ripartizione Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd In questa stessa direzione anche il c.d. tasso d’incidenza estorsiva il quale consente di mettere in relazione due variabili – tempo e spazio – restituendo al lettore una visione dinamica del fenomeno. Nel caso di specie, tenuto conto dell’ampiezza e delle variazioni demografiche delle diverse macro-aree oggetto d’indagine, si è provveduto al calcolo del tasso d’incidenza moltiplicando il rapporto tra denunce di estorsione e popolazione d’interesse (soggetti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni), residente nelle singole ripartizioni, per un N. fisso pari a 100.0008. In questo modo si è evitata l’influenza distorsiva che il diverso ammontare della popolazione può avere circa la percezione del fenomeno se osservato solo in termini di valori assoluti9. 8. Per quanto il tasso sia un indice che fornisce informazioni maggiormente specifiche rispetto a quelle ricavate dalla lettura del solo dato assoluto, anche questa misura presenta dei limiti. Innanzitutto esso viene calcolato unicamente sulla base del dato noto, non tenendo in conto, dunque, che una larga parte del fenomeno resta non denunciato. Inoltre, con riferimento alla popolazione d’interesse individuata, va specificato che questa include unicamente i soggetti residenti legalmente in un certo territorio non anche la quota di quanti, pur vivendo in un luogo, vi risiedono clandestinamente, sfuggendo ad ogni forma di censimento possibile. In realtà, un’analisi che abbia più ampi margini di attendibilità andrebbe effettuata sul totale della popolazione effettivamente presente, ivi compresi quei soggetti non ufficialmente registrati. 9. m. giacalone, Manuale di statistica giudiziaria, Bel-Ami, Roma 2009, p. 251. 170 maria di pascale Nell’area sud-insulare, rispetto al quadriennio considerato, si registra un tasso medio uguale a 17,8, il valore più alto se posto a confronto con il 12,2 del centro, l’11,2 del nord-ovest e l’8,1 del nord-est (tab. 5). Per di più, analizzando nel dettaglio i singoli anni del periodo, è possibile notare che il tasso dell’area sud-insulare è sempre superiore non solo rispetto alle singole ripartizioni considerate, ma più in generale, rispetto allo stesso tasso d’incidenza estorsiva nazionale (graf. 4). Tabella 5 - Tasso d’incidenza estorsiva su 100.000 residenti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Anni 2010-2013 Anni NordOvest NordEst Centro SudInsulari 2010 2011 10,6 7,3 10,8 17,4 10,6 7,0 12,3 17,4 2012 11,1 9,1 12,5 18,0 2013 12,4 9,5 13,4 18,4 Tasso medio per macro-ripartizione 11,2 8,1 12,2 17,8 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd Grafico 4 - Tasso d’incidenza estorsiva differenziato secondo la macro-ripartizione a confronto con il tasso nazionale. Anni 2010-2013 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd tendenze estorsive 171 Tuttavia, v’è da aggiungere che mentre nelle regioni sud-insulari le denunce per il reato ex art. 629 c.p. appaiono alquanto stabilizzate nel tempo, subendo soltanto lievi oscillazioni che chiudono il periodo con una variazione di poco superiore ai 5 punti percentuali, gli andamenti censiti per le restanti macro-aree risultano maggiormente addentellati e in aumento (graf. 5). Premettendo che il quadriennio si chiude sempre con una variazione positiva (+17,5% per il nord-ovest; +31,7% per il nordest; +24,4% per il centro), il trend dell’area del nord-est è quello maggiormente incostante. Qui nel 2012 si è registrato un picco in rialzo di quasi 31 punti percentuali, e tale orientamento è stato confermato l’anno successivo, quando si è rilevato un ulteriore aumento di oltre 5 punti (tab. 6). Ora, ribadendo ulteriormente che, visti i dati in nostro possesso, non si è in grado di distinguere tra estorsione comune ed estorsione praticata dalla criminalità organizzata, pare certo un’infausta coincidenza il fatto che siano così notevolmente aumentate negli anni sia le denunce per questo reato, sia il tasso d’incidenza estorsiva in generale in tutta l’area del nord d’Italia, in associazione alla, per così dire, “scoperta” della «delocalizzazione»10 della criminalità mafiosa proprio in alcune regioni settentrionali. 10. Nel corso dell’audizione del Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia, dr. Roberto Pennisi, tenuta il 17 aprile 2012 dinanzi alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, il Procuratore spiega, guardando in modo particolare ai territori del Veneto, il perché dell’utilizzo del termine “delocalizzazione”. Nelle parole del procuratore «per comprendere il significato di questa terminologia basta riferirsi al significato che il termine delocalizzazione ha nel mondo dell’economia globalizzata, cioè l’impresa che decide di insediarsi in un altro territorio mantenendo la sede centrale nel luogo di origine». 172 maria di pascale Tabella 6 - Variazione annua e variazione storica delle denunce di estorsione differenziate secondo la macro-ripartizione. Anni 2010-2013 Anni NordOvest NordEst Centro SudInsulari 2010 n.d. n.d. n.d. n.d. 2011 -0,3 -4,4 13,9 -0,0 2012 5,3 30,8 1,4 3,1 2013 11,9 5,3 7,7 2,5 Variazione storica per macro-area 17,5 31,7 24,4 5,6 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd Grafico 5 - Andamento della variazione annua delle denunce di estorsione differenziato secondo la secondo la macro-ripartizione. Anni 2010-2013 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd 3.2 Le trasformazioni del fenomeno estorsivo nelle regioni italiane L’attuale distribuzione territoriale dei fatti estorsivi denunciati conferma l’esistenza di una svolta nella tradizionale concezione del fenomeno come problema relegato unicamente a specifiche regioni del Mezzogiorno d’Italia. Se negli anni Novanta i dati tendenze estorsive 173 continuano a far sostenere che la “questione” interessa principalmente la Campania, la Puglia, la Sicilia e la Calabria, le c.d. regioni a rischio mafia11, con gli sviluppi dell’ultimo quindicennio si è compreso che la situazione in realtà è ben più complessa. Tra i principali motivi che inducono a una ridefinizione della geografia estorsiva del Paese, incisiva tanto al sud quanto in alcune regioni del centro-nord, vi è di certo lo spostamento degli interessi delle mafie verso il settentrione12. In riferimento agli anni 2010-2013, le cinque regioni che fanno censire il più alto numero di delitti di estorsione denunciati sono (tab. 7 - graf. 6): I. la Campania, con una media di 1.036,5 denunce annuali e un peso pari al 16,3% sul totale di periodo; II. la Lombardia, con 874,8 e una percentuale di periodo del 13,7; III. la Sicilia, con 663,3 e una percentuale di periodo del 10,4; IV. la Puglia, con 621,3 e una percentuale di periodo del 9,8; V. e infine il Lazio, con 609,5 e una percentuale di periodo del 9,6. 11. Solo in queste regioni si concentra, tra il 1991 e il 1997, il 52% delle attività estorsive denunciate nel Paese. t. grasso, Antiracket. Le associazioni, le denunce, i processi 1990/97, in «Quaderni», anno 4 - n. 3, Edizioni Commercio, Roma 1997; se poi osserviamo le tendenze registrate per il periodo che va dal 1998 al 2009, notiamo che il fenomeno persiste nel concentrarsi nelle regioni summenzionate, occupando una quota sul totale del 46%. Tuttavia in questi anni, anche in altri territorio, come Lombardia e Lazio, il fenomeno comincia ad acquisire un peso significativamente in rialzo. Per un’analisi della serie storica 1998-2010 si rimanda al capitolo 2 del presente lavoro. 12. Per rispondere all’esigenza di implementare la conoscenza e le informazioni sull’estensione del fenomeno mafioso nel nord d’Italia, ultimo, in senso cronologico, è il Primo Rapporto trimestrale sulle aree settentrionali, per la presidenza della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso, pubblicato nel settembre del 2014, a cura dell’Osservatorio sulla Criminalità organizzata dell’Università degli Studi di Milano. La tesi di fondo sostenuta dall’équipe di ricerca diretta dal Prof. Fernando dalla Chiesa, è quella secondo cui sono soprattutto i piccoli comuni a giocare un ruolo cruciale nell’espansione e nel radicamento delle organizzazioni mafiose nelle regioni settentrionali. Rispetto ad essi, la capacità di controllo del territorio e delle amministrazioni pubbliche locali, è decisamente più forte di quella eventualmente esercitabile su una grande metropoli. 174 maria di pascale Solamente in questi luoghi si concentra quasi il 60% del totale delle denunce per il reato ex art. 629 c.p. Se, dunque, da un lato Campania, Sicilia e Puglia si confermano tra le regioni italiane maggiormente afflitte, dall’altro lato Lombardia e Lazio si inseriscono a pieno titolo in questa immaginata top five. Tabella 7 - Totale dei delitti di estorsione denunciati per regione. Anni 2010-2013 2010 2011 2012 2013 % regionale sul totale 409 352 403 457 6,4 3 6 15 25 0,2 Lombardia 797 873 857 972 13,7 Trentino-Alto Adige 50 43 66 48 0,8 Veneto 273 252 312 317 4,5 Regioni Piemonte Valle d’Aosta Anni Friuli-Venezia Giulia 63 57 76 84 1,1 Liguria 154 128 156 156 2,3 Emilia-Romagna 290 294 391 446 5,6 Toscana 317 327 302 372 5,2 Umbria 65 76 92 90 1,3 Marche 123 133 137 167 2,2 Lazio 517 628 649 644 9,6 Abruzzo 163 158 180 141 2,5 Molise 27 41 42 35 0,6 Campania 1.021 1.070 1.050 1.005 16,3 Puglia 565 611 671 638 9,8 Basilicata 51 71 46 82 1,0 Calabria 311 268 275 302 4,5 Sicilia 650 616 651 736 10,4 Sardegna 143 95 107 167 2,0 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd tendenze estorsive 175 Grafico 6 - Estorsioni medie denunciate negli anni 2010-2013, differenziate per regione Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd Bypassando il dibattito specifico sulle tendenze campane, meglio affrontato nei capitoli che seguono13, l’osservazione dei dati nella loro dimensione di valori assoluti, induce sicuramente a una riflessione sulla particolare dinamica registrata in Lombardia. È risaputo, infatti, che questa regione sin dalla fine degli anni Ottanta è stata bersaglio sia di Cosa nostra sia della ’ndrangheta ma, mentre la prima ha subìto un arretramento cagionato dall’incisività dell’azione delle forze di polizia a seguito delle stragi dei primi anni Novanta, la seconda si è insediata indiscussa, e poco disturbata, su tutto il territorio lombardo14. Solo nei decenni avvenire le indagini condurranno all’assunzione di decine di ordinanze d’arresto per associazione mafiosa di stampo ’ndranghetista nelle quali, tra i reati ascritti, spiccano le 13. Si vedano i capitoli 4 e 5 di questo lavoro. 14. d. bettera, l. peviani, Benvenuti al nord. La mafia in Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna e Veneto. Fra passato e presente, dal soggiorno obbligato al controllo del territorio alla collusione con la politica locale, in «Paginauno», n. 28, 2012; nonché, d. corrado, La ’ndrangheta in Lombardia, dal dopoguerra all’Expo 2015, in «Paginauno», n. 31, 2013; ancora, f. dalla chiesa (a cura di), Primo Rapporto trimestrale sulle aree settentrionali, cit. 176 maria di pascale imputazioni per centinaia di condotte estorsive15. Pare, dunque, abbastanza chiaro che in questa regione i reticolati estorsivi esistenti siano, almeno in parte, legittimati e governati dalla presenza di una pervasiva forza mafiosa che ha «colonizzato» il territorio16. La ’ndrangheta, quindi, sembra agire tanto in Lombardia quanto in Calabria. Eppure il fenomeno delle estorsioni, nel corso dell’ultima decade, è emerso maggiormente nella regione settentrionale, dove tra l’altro appare in aumento, piuttosto che in quella meridionale, ove si evidenziano orientamenti contrari. Se il modus operandi resta lo stesso, allora perché si registra questa inversa tendenza? Sicuramente il fatto che la Lombardia sia tra le regioni più ricche d’Italia e che sia un eccellente destinatario di investimenti, pubblici o privati, non da ultimo l’organizzazione dell’Expo 2015, fa di questo luogo tra i più attraenti per i gruppi malavitosi. Tuttavia, ci si domanda se la differente ricchezza di un territorio possa incidere sulla stessa realizzazione di fatti estorsivi. Probabilmente si, pro15. Emblematica è l’inchiesta Infinito del luglio 2010. Con ordinanza di applicazione di misura coercitiva (n. 43733/06 r.g.n.r - n. 8265/06), il Tribunale di Milano ordina alla polizia l’arresto di oltre un centinaio di oblati alla ’ndrangheta. Solo in questa ordinanza si riportano più di dieci casi di estorsione ai danni di differenti vittime (pp. 132 ss.). Successivamente, con sentenza n. 13255/12, dell’omonimo tribunale, molti degli imputati saranno condannati a diversi anni di carcere; o ancora, l’indagine Insubria che, nata negli ultimi mesi del 2012, lo scorso 18 novembre 2014 ha condotto all’arresto di 40 presunti ’ndranghetisti su richiesta della dda milanese. 16. Nella Relazione della Direzione Nazionale Antimafia del gennaio 2014, riferita al periodo 1° luglio 2012-30 giugno 2013, si legge che la ’ndrangheta, in riferimento al territorio lombardo e piemontese, ha attuato un vero processo di «colonizzazione», e dunque non di semplice delocalizzazione (così come sostenuto in nota n. 11, in riferimento ai territori del Triveneto), vale a dire, si è avuta «l’espansione di una certa ’ndrina su di un nuovo territorio nel quale, sul modello della “casa madre”, viene similmente organizzato ed esercitato un controllo stringente ed opprimente (con attentati, intimidazioni, richieste estorsive, accaparramento di appalti e sub-appalti, contiguità con il mondo politico ed amministrativo) e nel quale vengono gestite le attività delittuose ed il reinvestimento dei relativi profitti, determinandosi, così, la formazione di uno stabile insediamento mafioso che prende, infine la forma del “locale” di ’ndrangheta, locale la cui apertura viene, naturalmente, autorizzata in Calabria. Qui, dunque, la ’ndrangheta ha “messo radici”, divenendo, ad un tempo, un’associazione dotata di autonomia (non diversamente dai “locali” calabresi) ma che, comunque, continua ad intrattenere rapporti molto stretti con la “Provincia” dalla quale dipende per le più importanti scelte strategiche. tendenze estorsive 177 babilmente il fatto che, secondo il Rapporto svimez 2014 sull’economia del Mezzogiorno, la Calabria nell’ultimo sessennio si sia progressivamente impoverita, rientrando tra le regioni meno abbienti d’Italia, ha indotto le ’ndrine a cercare fonti di denaro altrove. Ciononostante, recuperando un orientamento di matrice putnamiana17, non è da sottovalutare anche l’ipotesi secondo la quale in Calabria la proverbiale e strutturale debolezza della civicness meridionale, connotata tra l’altro da una radicata sfiducia nelle performance istituzionali, nonché da una forma mentis maggiormente esposta al pensiero omertoso, diminuisca la capacità di denuncia nelle vittime, lasciando il fenomeno nell’ombra. È verosimile, infatti, che in Lombardia la popolazione-bersaglio essendo meno avvezza al vivere mafioso, semplicemente perché interessata da minor tempo, sia meno acquiescente. Dentro questa cornice, l’introduzione del tasso d’incidenza estorsiva regionale, calcolato sulla popolazione residente di età compresa tra i 14 e gli 80 anni, in riferimento agli anni 20102013, consente aggiuntive riflessioni e specificazioni (tab. 8). Come già accennato nel corso del paragrafo precedente, il tasso d’incidenza medio delle regioni sud-insulari è decisamente più alto di quello calcolato per le restanti ripartizioni italiane. Se osserviamo la figura 1, infatti, notiamo che i valori più elevati corrispondono proprio alla Campania con un tasso medio di 22,2, alla Puglia con 18,7, alla Calabria con 18, e con valori di poco inferiori, alla Sicilia con 16,3 e all’Abruzzo con 14,9. Queste regioni riportano, in generale, tassi superiori rispetto alla stessa media nazionale (graf. 7). Viceversa, la maggior parte delle regioni del centro-nord fanno censire tassi medi d’estorsione di gran lunga inferiori ai 12 punti, ivi compresa la Lombardia il cui valore è di 11,1 (fig. 1). 17. r. putnam, La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, Milano 1993. 178 maria di pascale Tabella 8 - Tasso d’incidenza estorsiva su 100.000 residenti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Anni 2010-2013 Regioni Anni 2010 2011 2012 2013 Variazione storica Piemonte 11,4 9,8 11,3 12,8 12,4 Valle d’Aosta 2,9 5,8 14,6 24,1 733,1 Lombardia 10,1 11,1 10,8 12,2 20,4 Trentino-Alto Adige 6,1 5,2 8,0 5,8 -6,1 Veneto 6,9 6,4 7,9 8,0 15,6 Friuli-Venezia Giulia 6,3 5,7 7,6 8,4 34,0 Liguria 11,9 10,0 12,2 12,3 3,0 Emilia-Romagna 8,3 8,4 11,1 12,6 52,4 Toscana 10,6 10,9 10,1 12,4 17,0 Umbria 9,1 10,6 12,9 12,6 38,5 Marche 9,8 10,6 11,0 13,4 36,2 Lazio 11,5 13,9 14,4 14,2 23,0 Abruzzo 15,2 14,7 16,9 13,2 -13,3 Molise 10,4 15,9 16,4 13,6 31,1 Campania 21,9 22,9 22,5 21,5 -1,9 Puglia 17,1 18,4 20,3 19,3 12,9 Basilicata 10,7 14,9 9,7 17,4 62,7 Calabria 19,3 16,7 17,2 18,9 -2,2 Sicilia 16,0 15,1 16,0 18,1 13,3 Sardegna 10,4 6,9 7,8 12,2 17,5 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd tendenze estorsive 179 Grafico 7 - Tasso d’incidenza estorsiva medio regionale a confronto con il tasso medio italiano. Anni 2010-2013 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd Ciò detto, va ulteriormente precisato che proprio alcune delle regioni con il tasso medio più alto fanno registrare, per gli anni osservati, un trend in flessione. Tale flessione è da riferirsi sia ai fatti denunciati (tab. 9), sia allo stesso tasso d’incidenza estorsiva (tab. 8). In particolare, l’Abruzzo chiude il periodo con un calo delle denunce del 13,5% e con una variazione del tasso di -13,3 punti. Medesimo orientamento per la Calabria e la Campania, rispettivamente -2,9 e -1,6 per le denunce, e -2,2 e -1,9 per la variazione del tasso. Al contrario, le variazioni storiche positive più rilevanti si annotano principalmente per la Valle d’Aosta (+733,3 per le denunce, +733,1 per il tasso)18, per la Basilicata 18. Seppur ai dati va riconosciuto il pregio d’esser carichi di una loro significatività oggettiva, con riguardo alla Valle d’Aosta, non è il caso che questi indici in rialzo vengano oltremodo drammatizzati poiché calcolati in riferimento a valori assoluti relativamente molto bassi. Si è passati, infatti, dalle 3 denunce per estorsione del 2010, alle 25 del 2013. Ciò specificato, è pur vero che proprio in questi anni, in questa regione, che sino ad ora si era creduta libera da ogni forma d’infiltrazione mafiosa, numerose iniziative hanno lasciato intendere il contrario. Basti pensare che nel 2012, il Consiglio regionale valdostano ha ritenuto di dover costituire un organismo ad hoc, vale a dire la Commissione consiliare speciale per l’esame del fenomeno delle infiltrazioni mafiose, in risposta all’estensione della criminalità organizzata di stampo mafioso nelle regioni del nord 180 maria di pascale (+60,8 per le denunce, +62,7 per il tasso), per l’Emilia-Romagna (+53,8 per le denunce, +52,4 per il tasso). L’analisi dei fatti estorsivi denunciati sul territorio italiano sembra, dunque, suggerire alcune interessanti conclusioni: se le tendenze osservate, da un lato, prestano il fianco a vecchie conferme, dall’altro ci consentono di tracciare le possibili nuove geografie estorsive che caratterizzano il Paese. Quello che emerge, è che le regioni del Mezzogiorno d’Italia continuano ad essere maggiormente colpite e, tra di esse, è la Campania a detenere l’infelice primato di località in cui si registrano i valori e i tassi d’incidenza estorsiva più elevati. Allo stesso tempo, però, la “questione” pare investire anche nuovi luoghi, territori finora considerati estranei a manifestazioni di questo tipo. Il racket delle estorsioni attraversa attualmente l’intera penisola passando dal Lazio, dall’Emilia-Romagna, dalla Toscana sino a raggiungere il profondo settentrione. Anzi è proprio qui che negli ultimi anni è cresciuto più velocemente facendo registrare variazioni in costante rialzo. d’Italia. Infatti, nel verbale sommario della riunione n. 15 dell’11/10/2012 dell’omonima Commissione, si legge che «sebbene possa dirsi che in Valle non ci sia una presenza strutturata di organizzazioni criminali, risulta però evidente l’influenza di grandi famiglie della ’ndrangheta che si è manifestata nel corso degli anni con episodi di riciclaggio di denaro, di traffico di stupefacenti e di estorsioni». tendenze estorsive 181 Tabella 9 - Variazione annua e variazione storica delle denunce di estorsione differenziate per regione. Anni 2010-2013 Regioni Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna 2010 -1,7 -66,7 -1,0 2011 -13,9 100,0 9,5 Anni 2012 14,5 150,0 -1,8 2103 13,4 66,7 13,4 Variazione storica 11,7 733,3 22,0 31,6 -14,0 53,5 -27,3 -4,0 0,0 -7,7 23,8 1,6 16,1 -3,1 -9,5 33,3 10,5 33,3 14,1 -26,6 0,6 -1,5 -10,9 15,7 10,1 -22,9 -7,0 -11,4 -36,3 11,5 -5,7 19,2 -16,9 1,4 3,2 16,9 8,1 21,5 -3,1 51,9 4,8 8,1 39,2 -13,8 -5,2 -33,6 21,9 33,0 -7,6 21,1 3,0 3,3 13,9 2,4 -1,9 9,8 -35,2 2,6 5,7 12,6 0,0 14,1 23,2 -2,2 21,9 -0,8 -21,7 -16,7 -4,3 -4,9 78,3 9,8 13,1 56,1 1,3 53,8 17,4 38,5 35,8 24,6 -13,5 29,6 -1,6 12,9 60,8 -2,9 13,2 16,8 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd 182 maria di pascale Figura 1 - Tasso d’incidenza estorsiva medio regionale. Anni 2010-2013 tendenze estorsive 183 Parte seconda 4. Le estorsioni in Campania: una interpretazione della dinamica nelle diverse province Giacomo Di Gennaro Premessa Questo capitolo è dedicato a un approfondimento della dinamica estorsiva in Campania. Nella prima parte i dati sono analizzati con riferimento al contesto regionale e con comparazioni tra questo e le altre regioni del Paese. Nei paragrafi successivi vengono approfondite le condizioni delle singole province sviluppando comparazioni tra le diverse province e tra Napoli e il suo hinterland. A partire dai risultati raggiunti dalle precedenti ricerche sul fenomeno e già richiamate, abbiamo ritenuto di mettere a verifica l’ipotesi circa la capacità produttiva dei clan relativamente alle estorsioni nei diversi territori e ritenendo che essa non solo è quantitativamente differente ma lo è anche qualitativamente. La dimensione dei clan non è, infatti, omogenea e non lo è nemmeno il radicamento nei singoli territori. L’area regionale campana presenta un livello così differenziato di gruppi criminali che se è vero che le cosche mafiose siciliane (almeno quelle aderenti a Cosa Nostra) e calabresi sono state caratterizzate per un lungo tempo da una configurazione più verticale e gerarchica, non fortemente compartimentata e regolate da organismi unitari, quelle che comunemente chiamiamo camorra, contrariamente a quanto sostenuto da sempre, non sono caratterizzate solo da una fisionomia di tipo reticolare orizzontale ma, al contempo, anche, e specie nelle aree della provincia napoletana e in altre interne della regione, da una monoliticità organizzativa addensata attorno ad un core familiare-parentale di tipo gerarchico che conferisce al clan una vicinanza configurativa più al modello mafioso che a quello cittadino partenopeo. Ciò è determinato: a) innanzitutto, dalla minore densità dei clan presenti nei singoli terrile estorsioni in campania 187 tori che conferisce al clan una minore esposizione alla concorrenza territoriale e una maggiore coesione interna; b) da una più lunga e radicata storia di clan che consente di costruire una osmosi con il contesto locale; c) da una più tipica configurazione e gestione delle relazioni e della struttura familiare e parentale ancorate tuttora a forti identità e modelli simbolico-culturali tradizionali; d) da un uso più marginale della intimidazione violenta e crudele in conseguenza della lunga e autorevole reputazione illegale non sempre esibita e percepita nei contesti come criminale; e) dal maggior carattere di protezione che assume l’attività estorsiva piuttosto che di violenta e indiscriminata estrazione predatoria; f) infine, dal controllo più efficace esercitato dai capi all’interno dell’organizzazione strutturata in modo più gerarchico, funzionale alla limitazione del trasferimento da un clan ad un altro di affiliati, seguaci o fiancheggiatori. 4.1 L’andamento della delittuosità estorsiva in Campania Come più volte detto, ci siamo serviti di differenti fonti per delineare l’andamento del reato di estorsione in Campania, ciò nella presupposizione che i dati reali, ovvero l’insieme delle estorsioni commesse ogni giorno nelle diverse aree comunali della regione, non vengono mai acquisiti del tutto. Nella letteratura criminologica, si sa, vengono indicati in genere tre livelli di analisi: quello reale, l’ufficiale o registrato, quello non conosciuto1. Ad ognuno dei livelli vi corrisponde una quantità 1. La criminalità reale coincide con tutti i reati che vengono commessi in un luogo indipendentemente dal fatto se siano o meno denunciati o diventino oggetto dell’indagine da parte delle forze dell’ordine o ricevano una condanna; la criminalità ufficiale (derivata dalle statistiche sulla delittuosità e sulla criminalità) corrisponde alle condotte criminali registrate dalle diverse forze dell’ordine, dalla magistratura e dal sistema penitenziario. Molte denunce non corrispondenti a fatti reali (per es. furti denunciati per incassare premi assicurativi) entrano anche in questo livello. La criminalità nascosta, infine, è costituita da tutti quei reati che non sono registrati, denunciati (c.d. numero oscuro) e che varia in ragione del tipo di reato (per es. si pensi alla corruzione, all’usura, all’estorsione). Su questi aspetti si vedano, r. marselli, m. vannini, Economia della criminalità, utet, Torino 1999; l. berzano, f. prina, Sociologia della devianza, Carocci, Roma 1995; t. bandini, u. gatti, b. gualco, d. malfatti, m.i. marugo, a. verde, Criminologia, Giuffrè, Milano 1991. 188 giacomo di gennaro diversa che pone dilemmi interpretativi di non poco conto. Inoltre, per quanto la regione sia caratterizzata da una tipologia estorsiva fortemente connotata dal profilo mafioso, ovvero quella regolata dall’ex art. 629 c.p. aggravato dall’art. 7 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (convertito nella legge n. 203/1991), i dati ufficiali non distinguono il reato di estorsione semplice da quello tipico delle organizzazioni criminali che è aggravato da tale profilo, né ci offrono informazioni sul numero di episodi estorsivi di cui è destinataria una vittima. Per avere dati netti di quest’ultimo tipo – sempre subordinati a ciò che viene denunciato e poi accertato prima dalle forze di polizia e poi da una condanna giudiziaria – occorrerebbero conferme dalla lettura degli atti giudiziari incrociate con le statistiche processuali penali il materiale giudiziario delle quali o le banche dati della Procura nazionale antimafia ci informano sui procedimenti che diventano al contempo unità di rilevazione del rendimento di un Ufficio o Tribunale (indicatori di efficienza e produttività) e di differenza fra tipologie interne allo stesso reato. Purtroppo i processi di informatizzazione di queste informazioni sono ancora fin troppo recenti per essere attendibili e generare una serie storica, in più non sono molto veloci nella riproduzione delle informazioni e non sempre si registra presso le diverse procure una condivisione della necessità di tali informazioni ai fini di una descrizione e interpretazione più attendibile dei fenomeni criminali. Questa precisazione si rende necessaria perché si potrebbe obiettare che il dato ufficiale (sia esso Istat o dello SDI) riferendosi ad ogni forma di estorsione (per es. il figlio che estorce alla madre una somma per l’acquisto di una dose) non offre l’idea precisa del fenomeno. L’obiezione sarebbe di per sé fondata dal momento che effettivamente in un paesino sperduto del beneventano, dell’avellinese o del salernitano è molto più verosimile che una denuncia per estorsione abbia un tale significato piuttosto che la predizione di un reato di tipo mafioso. Tuttavia, proprio perché le statistiche possono essere interpretate da diversi punti di vista è il confronto con le altre banche dati che riduce il rischio di confutazione. Tant’è che tutti gli addetti ai lavori sanno che la stragrande maggioranza dei le estorsioni in campania 189 dati che si riferiscono a questo reato hanno la connotazione del reato mafioso. Detto ciò veniamo all’esame dei dati. Un primo aspetto da cui partire attiene la dimensione delle estorsioni registrate in Campania nel quadriennio che l’Obiettivo convergenza, Obiettivo operativo 2.4 prevedeva per questo lavoro: il periodo tra il 2010 e il 2013. Per poter fare considerazioni più fondate sulla base di dati facilmente disponibili, in alcuni casi siamo partiti dagli ultimi sette anni. Per cui la prima considerazione riguarda l’entità delle denunce per estorsioni registrate nel periodo dal 2007 al 2013. Come si vede dalla tabella sottostante, in Campania si registra un totale di 7.671 denunce nel settennio in esame (pari al 17,2% del totale registrato nel Paese), con una media di 1.096 denunce all’anno (6.386 in Italia). Tra l’anno di inizio della serie e quello finale si registra una contrazione pari al 18,1% che scende all’1,6% se consideriamo solo il quadriennio prescelto per questo lavoro. Se le denunce calano ciò non vuol dire che la pressione estorsiva si riduce, ma al contrario, essa può o salire o stabilizzarsi a fronte di denunce che non vengono prodotte dalle vittime. Tabella 1 - Totale dei delitti di estorsione denunciati per la regione Campania. Anni 2007-2013 Anno Delitti di estorsione % di estorsione sul totale periodo Variazione % annua 2007 1.227 16,0 - 2008 1.200 15,6 -2,2 2009 1.098 14,3 -8,5 2010 1.021 13,3 -7,0 2011 1.070 13,9 4,8 2012 1.050 13,7 -1,9 2013 1.005 13,1 -4,3 Totale 7.671 100,0 - Italia 44.705 - - Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat e sdi/ssd 190 giacomo di gennaro Il dato regionale l’abbiamo comparato con quello delle altre regioni e come si vede dalla tabella 2 la quota di denunce registrate in Campania è di poco inferiore – tra le regioni meridionali – al totale di Puglia, Calabria e Sardegna. Se i valori della Campania li rapportiamo alle regioni del Centro-Nord occorre sommare le denunce registrate in Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Toscana e Lazio per raggiungere la quota campana. La contrazione nell’intero periodo interessa 6 regioni su 20 (1/3) e se escludiamo il Molise le restanti appartengono al Sud. Questa è una ulteriore conferma del segnale preoccupante della riduzione delle denunce perché, contrariamente a quanto si può immaginare, non vi corrisponde una contrazione della pressione estorsiva ma solo una diffusione del timore di ritorsioni, di sporgere denuncia avendo fiducia nell’azione repressiva dello Stato, o di rendere visibile l’essere stati assoggettati al crimine organizzato, o, ancora più grave, di far emergere la corresponsabilità generata dalla collusione con il crimine organizzato. L’incremento più sostenuto, invece, si registra in Valle d’Aosta (177,8%), cui fa seguito il Lazio (84,5%), l’Umbria (63,6%), la Basilicata (46,4%), l’Emilia-Romagna (36,8%). Alle più classiche regioni del Nord (Lombardia, Piemonte, Veneto) ove il fenomeno è di più lunga datazione si vanno aggiungendo nuove aree territoriali che specie nel Centro del Paese vedono nella Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna le nuove direttrici di espansione dei gruppi criminali sia perché aree di investimento che territori caratterizzati da una moltitudine di comuni medio-piccoli ideali per ogni forma di mimetizzazione. L’aspetto interessante che le informazioni rimandano inerisce, allora, non solo la dimensione quantitativa dell’attività estorsiva ma quella qualitativa. Ovvero, come viene esercitata la pressione estorsiva nelle realtà territoriale di nuova espansione. Ancorché nei confronti di settori altamente vulnerabili (es. edilizia, commercio al dettaglio, attività illegali), su quali ambiti economici nuovi o diversi da quelli delle aree di provenienza viene esercitata l’attività estorsiva? Con quale frequenza? Assume maggiormente un carattere predatorio o è una imposizione, scambio di servizi, prestazioni? Cercheremo di seguito di fornire delle risposte a queste domande. Ma ritorniamo ai dati. le estorsioni in campania 191 192 giacomo di gennaro 449 9 771 51 301 74 128 326 315 55 139 349 140 42 1.227 667 56 374 811 134 6.418 Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni 434 9 813 66 330 53 152 423 308 75 165 585 156 22 1.200 618 62 343 697 134 6.645 2008 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd 2007 Regioni 416 9 805 38 273 65 135 395 315 66 138 447 148 35 1.098 638 80 279 689 120 6.189 2009 409 3 797 50 273 63 154 290 317 65 123 517 163 27 1.021 565 51 311 650 143 5.992 2010 352 6 873 43 252 57 128 294 327 76 133 628 158 41 1.070 611 71 268 616 95 6.099 2011 403 15 857 66 312 76 156 391 302 92 137 649 180 42 1.050 671 46 275 651 107 6.478 2012 Tabella 2 - Totale dei delitti di estorsione denunciati per regione. Anni 2007-2013 457 25 972 48 317 84 156 446 372 90 167 644 141 35 1.005 638 82 302 736 167 6.884 2013 Totale regione 2.920 76 5.888 362 2.058 472 1.009 2.565 2.256 519 1.002 3.819 1.086 244 7.671 4.408 448 2.152 4.850 900 44.705 Valori medi 417,1 10,9 841,1 51,7 294,0 67,4 144,1 366,4 322,3 74,1 143,1 545,6 155,1 34,9 1095,9 629,7 64,0 307,4 692,9 128,6 6386,4 Var. storica n.d. 177,8 26,1 -5,9 5,3 13,5 21,9 36,8 18,1 63,6 20,1 84,5 0,7 -16,7 -18,1 -4,3 46,4 -19,3 -9,2 24,6 7,3 Per analizzare la dimensione quantitativa del fenomeno a livello delle regioni abbiamo operato una ulteriore elaborazione sulla base del rapporto tra numero di vittime del reato analizzato ed estorsioni denunciate (indicatore di vittimizzazione), in un intervallo di tempo più ridotto connesso alla disponibilità delle informazioni. Rinviando all’appendice per una lettura analitica dei risultati, si vuole in questa sede solo richiamare sinteticamente quanto emerge: il Trentino Alto Adige è la regione che fa registrare la media più sostenuta fra le regioni d’Italia (1,12). Ossia, considerando questo rapporto di derivazione vuol dire che una vittima subisce poco meno di un reato di estorsione. Sostanzialmente 1 vittima 1 reato. Mentre tale rapporto calcolato in relazione alla Valle d’Aosta, vede la propria media abbassarsi (0,91), cioè ogni vittima può subire più di una estorsione. È evidente che questo rapporto ci dice poco perché va correlato con la base dati di riferimento. Inoltre, se consideriamo l’elevato numero oscuro intrinsecamente presente in questa tipologia di reato si comprende come il valore medio di vittimizzazione si abbassa. Un altro elemento ci viene dal fatto che questo rapporto non ci dice nulla sulla vittimizzazione reiterata, cioè quella fondata su un numero ripetuto di episodi nell’arco per esempio di un anno, tanto meno sui diversi tipi di estorsione subìta. Se infatti consideriamo i dati del Trentino Alto-Adige per tutto il periodo, si contabilizzano appena 282 vittime e 248 denunce, e addirittura irrisorio può apparire il dato della Valle d’Aosta. Se si osservano i valori medi delle vittime rispetto agli stessi delle denunce si noterà che in alcune regioni (Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino AltoAdige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna) i primi sono superiori ai secondi, in altre (Campania e Sicilia) è il contrario, in altre ancora (Valle d’Aosta, Umbria, Marche, Abruzzo,) è pari o quasi. Si noterà, inoltre, che la base dati sulla quale si sviluppa la media è molto diversa: da un minimo di 7 vittime all’anno in Valle d’Aosta ad un massimo di 1.078 in Campania. Tuttavia, per l’arco temporale considerato si può derivare che in Italia – il cui dato medio è di 6.249 vittime di estorsione a le estorsioni in campania 193 fronte di 6.269 denunce – nonostante la disomogeneità dei valori assoluti il rapporto di derivazione risulta essere compreso tra 0,91 e 1,12, ovvero fin troppo prossimo per confermare una più alta differenza nelle dinamiche estorsive nelle singole regioni (tab. B20 in appendice). Se l’elaborazione la sviluppiamo aggregando le regioni per macro ripartizioni territoriali, come dalla tabella, l’area del nordest fa registrare la media leggermente superiore rispetto alle altre, mentre è il versante delle Isole che ci consegna il valore inferiore (0,96). Quali informazioni ci rimandano i risultati sin qui discussi? Tabella 3 - Andamento rapporto di derivazione, in Italia, nelle macroaree e in Campania, in relazione al delitto di estorsione. Anni 2007-2011 Aree di riferimento 2007 2008 2009 2010 2011 Media Nord ovest 1,03 1,04 0,99 0,97 1,00 1,00 Nord est 1,08 1,02 1,02 0,97 1,01 1,02 Centro 1,04 1,02 1,00 0,96 0,97 1,00 Sud 1,01 0,98 1,01 0,93 1,00 0,99 Campania 0,98 0,94 1,16 0,92 0,94 0,99 Isole 0,99 1,03 0,98 0,88 0,93 0,96 Italia 1,02 1,01 1,00 0,94 0,99 0,99 Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd In primo luogo, nel Paese vi è un rapporto medio quasi uguale tra il numero delle denunce (6.269) e quello delle vittime (6.249); in secondo luogo, il totale dei delitti di estorsione denunciati ha una generale tendenza alla crescita, ma non nel Mezzogiorno; in terzo luogo, i risultati del rapporto di derivazione nelle Isole è leggermente superiore a quello nazionale e alle altre ripartizioni, quello della Campania si attesta sui valori del Sud; infine, l’attività estorsiva mediamente nelle aree del centro-nord miete un numero inferiore di vittime, nelle aree meridionali è più consistente. Cosa si potrebbe 194 giacomo di gennaro ipotizzare a riguardo? Se avessimo informazioni sull’intensità (cioè la frequenza degli episodi realizzati nei confronti della vittima) e dati più attendibili sull’ampiezza delle stesse (cioè il numero delle persone colpite da un episodio di estorsione), si potrebbe costruire un parametro che misuri l’intensità estorsiva (vittimizzazione reiterata) ancorché la dimensione quantitativa delle vittime. Il soggetto A che sporge denuncia di estorsione e narra più episodi estorsivi viene conteggiato nelle statistiche ufficiali una sola volta (anche se gli episodi si riferiscono ad anni diversi). Così come se A denuncia Tizio, Caio e Sempronio la scheda di registrazione del reato non computa sempre gli autori per una vittima. È evidente, quindi, che nelle statistiche ufficiali si perdono informazioni. Dall’analisi del materiale giudiziario esaminato nella ricerca sulle estorsioni in Campania del 2010 è emersa una ampia gamma di tipologie estorsive e fra queste quella periodica (cadenzata a Natale, Pasqua, Ferragosto, con o senza qualche altra occasione, per es. festa patronale). Spesso oltre a questo tipo di estorsione la vittima subisce anche un’altra forma che aggrava e rende più insopportabile il sopruso2. La vittimizzazione multipla, in letteratura, indica quando una vittima subisce diversi tipi di reati, in questo caso non solo il reato è lo stesso ma è ripetuto nel tempo e si consuma in forme diverse. Ora ciò che si ipotizza, alla luce delle considerazioni fatte e dei dati discussi, è che nelle regioni centro-settentrionali l’effetto espansione dei gruppi mafiosi e/o di nuovo insediamento genera, probabilmente, una organizzazione dell’attività estorsiva in forme meno aggressive e con maggiori connotazioni di protezione. In più sembrerebbe ipotizzabile una minore intensità della stessa attività ancorché una minore ampiezza. Cosa che non avviene in Campania e ancor meno nella città di Napoli. Come vedremo nelle pagine successive, all’interno di una polarità 2. Per esempio i commercianti vittimizzati di Ercolano non solo erano costretti a pagare il pizzo secondo la formula periodica, ma in occasioni proprio delle festività natalizie o pasquali venivano indotti a consegnare merce tipica di tali periodi che veniva ricollocata dai clan presso altri commercianti imponendone l’acquisto. le estorsioni in campania 195 predazione-protezione si va articolando e differenziando un mix di forme e operatività estorsive che in termini di corrispettivo comportamentale da parte della vittima si declina su un continuum che va dall’assoggettamento puro al consenso puro. Una ulteriore osservazione possiamo farla sulla base del grafico 1. Esso ci rappresenta la variazione nel quinquennio in esame del rapporto di derivazione. Come si vede la Campania e la ripartizione del Sud disegnano una traiettoria, che descrive una tendenza che decresce dopo il 2009. Questa traiettoria, anche se in modo meno accentuato, manifesta una performance che interessa in modo analogo tutte le ripartizioni e la stessa Italia, per le quali si registra, però, nel 2011 un andamento crescente. Grafico 1 - Andamento rapporto di derivazione nelle macro-aree italiane e nella regione Campania. Anni 2007-2011 Fonte: ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd Dall’analisi della distribuzione delle vittime per ripartizione regionale emerge, poi, che la Campania registra in media il valore più elevato, nel periodo 2007-2011, che è pari al 17,2% del totale nazionale, seguita dalla Lombardia (13%) e dalla Sicilia (10,4%). Se aggreghiamo i valori sulla base delle macro 196 giacomo di gennaro ripartizioni, emerge che la metà delle vittime (49%) appartiene alle regioni del Mezzogiorno. Tra le regioni settentrionali del Paese è il Nord-ovest che ha un andamento crescente in quasi tutto il periodo. Grafico 2 - Distribuzione vittime di estorsione per macro-aree anni 2007-2011 Fonte: ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd Se invece osserviamo i risultati del tasso medio di vittimizzazione connesso al reato calcolato sulla popolazione regionale ristretta però alla coorte 14-80 anni, emerge che la Campania risulta sempre al primo posto con 23,0 seguita questa volta dalla Calabria (19,3) e dalla Puglia (19,0). La Sicilia si colloca nella posizione successiva seguita dall’Abruzzo e dalla Basilicata (rispettivamente 14,1 e 13,5). Tra le regioni del Nord è il Piemonte che fa registrare il valore superiore (11,6). È interessante osservare l’andamento dei valori della Sicilia che a partire dal 2007 si presenta con una tendenza decrescente. Ciò delinea che a fronte della stabilità dei valori della popolazione si riduce il numero delle vittime. Questo è un segnale non tanto della riduzione della pressione estorsiva quanto della contrazione delle denunce. le estorsioni in campania 197 Grafico 3 - Tasso medio di vittime sulla popolazione 14-80 nelle regioni. Anni 2007-2011 Fonte: ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd Se invece il tasso medio di vittimizzazione, che nel Paese è pari al 12,9, lo rapportiamo alle macro aree emerge: a) il tasso medio delle regioni meridionali continentali è pari al 19,9; b) quello delle Isole raggiunge il 14,4; c) le regioni del centro fanno registrare un valore pari all’11,2; d) la ripartizione settentrionale ci segnala un tasso per il nord-ovest pari a 10,7 e per il nord-est pari a 8,2. Ovviamente si noterà che tutte le regioni del Sud fanno registrare valori superiori alla media. C’è una ulteriore elaborazione che è stata prodotta e attiene la distribuzione regionale degli autori di estorsione. Anche da essa emerge che la Campania è la prima regione italiana in quanto a soggetti che si sono resi responsabili dell’attività estorsiva. Il suo valore è pari quasi al 22%. Come nel ranking precedente a riguardo delle vittime, anche in questo caso seguono, ma con posizioni invertite, Sicilia e Lombardia (rispettivamente 12,6% e 10,5%). In questo caso, addirittura, il Mezzogiorno assorbe il 56,1% degli autori di tale reato, di cui il 42% è circoscritto alle regioni continentali e il 14,1% alle Isole. Sempre il Nord-ovest costituisce la ripartizione nella quale il valore medio della percentuale è superiore all’intera ripartizione (18,4%). 198 giacomo di gennaro Grafico 4 - Distribuzione autori di estorsione per macro aree anni 2007-2011 Fonte: ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd Un’ultima elaborazione riguarda il tasso medio degli autori di estorsione calcolato sulla popolazione 14-80 anni. Anche in questo caso la Campania si attesta nella prima posizione con un tasso medio pari a 39,9 seguita dalla Calabria (31,2) e dalla Sicilia (26,3), ed è il Piemonte, tra le regioni settentrionali, ad esibire il tasso più alto (13,7). Se lo stesso tasso lo rappresentiamo per macro aree territoriali, emerge che il Mezzogiorno fa registrare il valore più elevato pari a 31,3, seguito dalle Isole (22,0) e dal Centro (13,7). Sempre la ripartizione del Nordovest prevale sull’intera area con un valore di 12,1 a fronte del 9,5 del Nord-est. le estorsioni in campania 199 Grafico 5 - Tasso medio autori sulla popolazione 14-80 nelle regioni. Anni 2007-2011 Fonte: ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd Soffermarsi sul rapporto tra autori di estorsione ed episodi estorsivi non è di poco conto. Occorre distinguere tra una situazione in cui una organizzazione opera in condizione monopolistica o oligopolistica, vantando inoltre una significativa reputazione criminale, ed una in cui la concorrenza è elevata e la nati-mortalità dei gruppi è sostenuta. Nel primo caso è molto probabile che l’attività estorsiva sia funzione di un’azione protettiva (indipendentemente se domandata o offerta) grazie alla configurazione organizzativa più unitaria e gerarchica, nonché ad una prolungata presenza gestionale del territorio. In questo caso non è necessario destinare un numero elevato di “scagnozzi” per attuare le estorsioni e con molta probabilità esse non si avvarranno neanche di un elevato profilo violento. Siffatte estorsioni saranno solo una delle diverse modalità attraverso cui si afferma il potere dell’organizzazione. Non è un caso che in queste condizioni i costi di transazione si riducono. Se, come nel caso dell’area metropolitana napoletana e cittadina in particolare, la densità dei gruppi criminali è alta, la concorrenza elevata, il modello organizzativo fondato su un nucleo ristretto (il core familiare-parentale) a cui si connet200 giacomo di gennaro tono relazioni affiliative e affaristico-criminali che danno vita ad un network autorganizzato con una reputazione criminale differenziata, la necessità di ricorrere ad un numero maggiore di “militari” è più avvertita. In questo caso maggiori saranno i costi di transazione e l’attività estorsiva assume un più elevato carattere predatorio. Indicatori che possono confermare queste distinte proprietà derivano dall’ampia gamma della tipologia estorsiva registrata a Napoli e meno a Caserta e dal rapporto differenziato esistente in contesti locali diversi tra numero di persone indirizzate all’estorsione e numero di reati di questo tipo. Partiamo, innanzitutto, da alcuni dati generali di contesto attinenti il numero dei procedimenti iscritti nel registro ex art. 335 c.p.p. e quello delle persone iscritte nel registro degli indagati nel Distretto della Procura di Napoli per il delitto di estorsione ex art. 629 cod. pen. aggravato dall’art. 7 della legge n. 203/19913. In tutte le relazioni della DNA esaminate, le iscrizioni per delitto di estorsione aggravata rappresentano, in media, poco più del 30% del totale delle iscrizioni, e presentano un andamento crescente, con una variazione sul periodo, pari al 24,0%, contro il 22,2% di media registrata per i delitti di associazione mafiosa, i quali a partire dal 2° semestre 2012 dopo una contrazione pari al 15,1%, manifestano un andamento crescente. Il numero di persone indagate per delitti di estorsione aggravata subisce un calo, passando da 1.017 del periodo luglio 2010-giugno 2011, a 947 dato rilevato per il periodo luglio 2012-giugno 2013, salvo poi subire un incremento nel periodo successivo. 3. I dati sono stati estratti ed elaborati sulla base delle Relazioni semestrali del Procuratore Nazionale Antimafia, e si riferiscono all’attività svolta dalla Procura Distrettuale Antimafia di Napoli per gli anni 2011-2014, e delle Relazioni DIA sulle attività e sui risultati conseguiti dalla Direzione investigativa antimafia per gli anni 2010-2014. Si riferiscono ai territori compresi nei circondari dei Tribunali di Napoli, Napoli Nord, Torre Annunziata, Santa Maria Capua Vetere, Nola, Avellino, Benevento. L’assenza di analoghi dati del Tribunale di Salerno impedisce di computarne il valore. Si consideri che in riferimento alla Procura distrettuale partenopea vengono segnalati solo i procedimenti noti. Per l’intero periodo risultano indagate 19.814 persone con un incremento del 14,7% a fronte di 3.380 procedimenti noti con un incremento del 5,5%. le estorsioni in campania 201 La tabella e i rispettivi grafici sottostanti offrono un quadro di sintesi delle elaborazioni effettuate. Si può notare che i procedimenti noti per estorsione aggravata passano dal 28% del secondo semestre del 2010 e corrispettivo 2011, al 30,3% dell’ultimo periodo di rilevazione, mentre il numero degli indagati subisce una insignificante contrazione (-1%), con una media indagati per l’intero periodo di 980 persone e una stima della percentuale di procedimenti noti su delitti denunciati che per il periodo considerato si attesta, come indicato nella tabella 5, in media al 31,1% e aumenta in maniera costante passando dal 25% al 35,9%, nell’arco di tempo considerato4. Inoltre il rapporto tra procedimenti e persone indagate per reato di estorsione è mediamente del 3,9 per l’intero periodo, mentre è di 6,1 per quello relativo al reato associativo mafioso. 4. Siamo ben consapevoli della differenza temporale che intercorre tra il momento della denuncia e l’iscrizione del procedimento nel registro ex art. 335 c.p.p., si è tentato comunque di stimare la percentuale di procedimenti noti su delitti denunciati e considerare i dati per verificare la fondatezza dell’ipotesi circoscritta al differente carattere che l’estorsione assume in ragione della configurazione organizzativa del clan. È evidente che questa ipotesi necessita di ulteriori e più circoscritti dati territoriali e oltretutto va perseguita in chiave comparativa tra contesti e gruppi. 202 giacomo di gennaro le estorsioni in campania 203 5,6 Totale 4,5 6,4 Ass. mafiosa Estorsione agg. 4.484 Totale 1.017 Estorsione agg. 1.227 804 Totale Ass. mafiosa 192 225 Ass. mafiosa Estorsione agg. Fonte: ns. elaborazione dati dna I/P I P - - - 100,0 27,4 22,7 100,0 23,9 28,0 5,4 5,3 3,7 4.446 871 948 823 163 254 - - - 100,0 19,6 21,3 100,0 19,8 30,9 % N N % 2° sem. 2011 1° sem. 2012 2° sem. 2010 1° sem.2011 6,3 6,4 3,6 5.743 1.248 947 905 194 266 N - - - 100,0 21,7 16,5 100,0 21,4 29,4 % 2° sem. 2012 1° sem. 2013 6,1 6,3 3,6 5.141 1.271 1.008 848 201 279 N - - - 100,0 24,7 19,6 100,0 23,7 32,9 % 2° sem. 2013 1° sem. 2014 - - - 4954 1154 980 845 188 256 N 22,2 30,3 % - - - 100,0 23,4 20,0 100,0 Media Tabella 4 - Procedimenti(P) e persone indagate (I) per delitti di estorsione aggravata (ex art. 629 c.p. e art. 7, l.n. 203/1991), associazione per delinquere (art. 416 c.p.) e totale. Periodo 2° sem. 2010-1° sem. 2014 Grafico 6 - Procedimenti noti per delitti di estorsione aggravata e associazione mafiosa. Periodo 2° semestre 2010-1° semestre 2014 Fonte: ns. elaborazione dati dna Tabella 5 - Procedimenti noti per delitti di estorsione aggravata (Procedimenti), delitti di estorsione denunciati (Delitti), rapporto percentuale Procedimenti/Delitti. Periodo 2° semestre 2010 -1° semestre 2014 Procedimenti noti Delitti denunciati Procedimenti/ Delitti N N % 2° semestre 2010 1° semestre 2011 225 901 25,0 2° semestre 2011 1° semestre 2012 254 835 30,4 2° semestre 2012 1° semestre 2013 266 809 32,9 2° semestre 2013 1° semestre 2014 279 778 35,9 Periodi di riferimento Fonte: ns. elaborazione dati dia e dna 204 giacomo di gennaro Grafico 7 - Confronto tra procedimenti noti per delitti di estorsione aggravata (Procedimenti noti), delitti di estorsione denunciati (Delitti denunciati). Periodo 2° semestre 2010 - 1° semestre 2014 Fonte: ns. elaborazione dati dia e dna * I dati sdi/ssd relativi al 1° semestre 2014 non sono consolidati. È evidente che il numero maggiore degli indagati è quello correlato alle iscrizioni per il delitto di estorsione aggravata da metodo mafioso e che, come scrive Beatrice, «attraverso la pressione estorsiva si manifesta nel modo più evidente il controllo criminale da parte delle organizzazioni camorristiche: la circostanza che il numero delle iscrizioni per il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso (871) sia quasi coincidente con quello delle iscrizioni per il reato ex artt. 629 c.p. e 7 legge n. 203/1991 (948) costituisce (almeno per il periodo di riferimento) una conferma di tale assunto». le estorsioni in campania 205 4.2Effetti diversi della densità dei clan Se si osserva la georeferenziazione territoriale dei clan che secondo l’ultima Relazione della Dia (2014) ne censisce 141 presenti nell’intera regione senza contare i sottogruppi o le bande, emerge, in primo luogo, una stridente differenza tra l’addensamento che si registra nella provincia di Benevento, Avellino (notoriamente meno influenzate da storie endogene di criminalità organizzata) e Salerno, rispetto a quella, casertana e napoletana in particolare . Basti pensare che nella sola città di Napoli si contano 39 clan affermati e circa una decina di sottogruppi o bande che operano come satelliti dei primi il cui ammontare è superiore all’intera aggregazione dei clan che popolano le province di Salerno, Avellino e Benevento. Se aggiungiamo la provincia casertana all’aggregazione indicata e compariamo il risultato con l’addensamento della sola area provinciale napoletana il numero dei clan presenti in quest’area è nettamente superiore (44 vs 59). Il che denota una fondamentale questione: lo spazio territoriale occupato e perimetrato da ciascun gruppo criminale. 206 giacomo di gennaro Figura 1 - Clan presenti nella città di Napoli Fonte: dia 1° semestre 2014 le estorsioni in campania 207 Figura 2 - Clan presenti nella provincia di Napoli - versante occidentale Fonte: dia 1° semestre 2014 208 giacomo di gennaro Figura 3 - Clan presenti nella provincia di Napoli - versante orientale Fonte: dia 1° semestre 2014 le estorsioni in campania 209 Figura 4 - Clan presenti nella provincia di Caserta Fonte: dia 1° semestre 2014 210 giacomo di gennaro Figura 5 - Clan presenti nella provincia di Salerno Fonte: dia 1° semestre 2014 le estorsioni in campania 211 Figura 6 - Clan presenti nella città di BeneventoFonte: dia 1° semestre 2014 212 giacomo di gennaro Figura 7 - Clan presenti nella città di Avellino Fonte: dia 1° semestre 2014 le estorsioni in campania 213 Tradotto in rapporto alla superficie territoriale vuol dire che a Napoli, la cui superficie comunale è pari a 117,27 kmq, è presente in media ogni 3,0 kmq un clan che tende a dominare tale spazio urbano, su esso vi sviluppa i propri traffici, affari, influenze e contende ad un altro l’eventuale espansione territoriale. Questa elementare considerazione sviluppata sull’intero territorio generale produce questi rapporti: l’area provinciale napoletana che è costituita da 1.171,13 kmq è abitata ogni 19 kmq da un clan, considerando solo i clan censiti nella provincia. Sommando il numero dei clan cittadini il perimetro si riduce a 11,9 kmq. Il rapporto calcolato per l’area provinciale casertana ci dice che vi è un clan ogni 114 kmq; per quella salernitana uno ogni 381 kmq; quella beneventana ogni 517,8 kmq; infine, per l’avellinese ogni 707,9 kmq. Le misure per costruire rapporti possono estendersi alla popolazione, alle imprese economiche (distinguendo attività commerciali, aziende ecc.), alla quantità di merce, di armi sequestrate, al numero di particolari reati e così via. Se ipotizziamo che la capacità produttiva di un clan differisce in misura dell’entità e della tipologia dei traffici – del numero dei componenti l’organizzazione, della superficie occupata, del tempo di vita di un clan, senza contare (ma ciò vale per organizzazioni che si sviluppano con modelli federati e con reti nelle quali i nodi sono riconducibili sempre a specifiche famiglie o consorterie o organismi unitari) i profitti derivati da investimenti in altre realtà del Paese o all’estero – della capacità produttiva di realizzare traffici transnazionali, forme di riciclaggio, ecc, forse è più possibile iniziare a modellare parametri che ci diano una idea più precisa della quantità e qualità dei profitti, nonché delle differenti facce della criminalità organizzata campana. Le due cartine che seguono ci offrono una rappresentazione georeferenziata dell’incidenza media delle denunce per estorsione nel periodo 2010-2013 nell’intera regione e la successiva dell’incidenza media dei denunciati nello stesso periodo. Come si nota la gradazione differente dei colori ci dà una idea delle denunce che mediamente si registrano nei diversi territori della regione, sebbene vada considerato che, rispetto alle aspettative, alcune province – come per esempio Napoli – fanno risultare in questo caso una gradazione meno intensa per effetto di una minore incidenza di qualche comune rispetto all’insieme della provincia. 214 giacomo di gennaro Figura 6 - Media delle denunce di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Regione Campania, anni 2010-2013 le estorsioni in campania 215 Figura 7 - Media dei denunciati peri estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Regione Campania, anni 2010-2013 216 giacomo di gennaro Tabella 6 - Tasso d’incidenza estorsiva. Anni 2010-2013 2010 2011 2012 2013 Media Avellino Province 12,8 17,1 17,7 16,9 16,1 Benevento 15,9 19,8 7,8 6,1 12,4 Caserta 25,4 24,2 24,4 24,8 24,7 Napoli 25,1 23,9 23,6 22,5 23,8 Salerno 15,0 21,8 23,1 20,8 20,2 Campania 21,8 22,8 22,4 21,3 22,1 Fonte: ns. elaborazione su dati sdi/ssd L’andamento interno alle singole province si presenta con caratteri diversi. La provincia beneventana fa registrare una riduzione marcata del tasso a partire dal 2012, quella avellinese cresce dal 2011 e poi si stabilizza, le altre proprio da tale periodo disegnano curve distinte: l’area casertana spicca su tutte le altre (25,6 nel 2010) ma presenta valori costanti; quella napoletana registra una leggera flessione, infine la salernitana fa registrare una tendenza crescente, che decresce nel 2013. Grafico 8 - Andamento del tasso d’incidenza estorsiva. Anni 2010-2013 Fonte: ns. elaborazione su dati sdi/ssd le estorsioni in campania 217 Un altro risultato che ne quantifica la dimensione proviene dal confronto tra numero di persone che hanno subito almeno una estorsione (vittime) e numero di estorsioni denunciate. Questo rapporto è stato calcolato su un periodo più lungo (2007-2013) e come si può osservare si presenta per l’intera regione con un andamento quasi stabile con una flessione a partire dal 2010 e una media per il periodo pari allo 0,95. Tabella 7 - Vittime (V) e delitti di estorsione denunciati (D) in Campania. Anni 2007-2013. Anni Delitti denunciati Vittime V/D 2007 1.227 1.202 0,98 2008 1.200 1.122 0,94 2009 1.098 1.115 1,02 2010 1.021 994 0,97 2011 1.070 1.007 0,94 2012 1.050 952 0,91 2013 1.005 876 0,87 Media 1.096 1.038 0,95 Fonte: ns. elaborazione dati SDI/SSD Istat Grafico 9 - Rapporto tra vittime e delitti di estorsione in Campania. Anni 2007-2013 Fonte: ns. elaborazione su dati sdi/ssd 218 giacomo di gennaro Come anticipato tale rapporto di derivazione ci dice per ogni anno quante vittime di estorsione sono state registrate e rispetto a esse quanti delitti di estorsione sono stati denunciati. Questo vuol dire, se si osserva la Sez. B in appendice, che: a) quasi mai il numero dei delitti e il numero delle vittime coincidono nello stesso anno (o perché è maggiore il primo o è maggiore il secondo); b) ci sono variazioni interne alla serie; c) ci sono variazioni significative tra le ripartizioni territoriali. In ragione di ciò tale rapporto può essere considerato un indicatore della vittimizzazione che se fosse calcolato su un numero maggiore di reati ci direbbe quante volte le vittime hanno subito un reato, ovvero, trasformandosi in un indicatore di vittimizzazione multipla ci direbbe il numero di individui o famiglie che nel periodo esaminato sono state soggette a più di un reato. In questo caso il rapporto ci dice che in Campania si registra poco meno di 1 vittima per reato, mentre in altre parti del Paese questo rapporto, ovviamente sulla base dei delitti denunciati, cresce ed è leggermente superiore raggiungendo un valore pari a 1 vittima per reato nelle aree del Centro-nord. In sostanza nella regione campana una vittima subisce più di una estorsione. Il riferimento a questo rapporto è rilevante perché se lo associamo anche alla modalità attuativa dell’episodio è possibile ipotizzare una variazione in ragione del contesto e del tipo di clan. Un’impronta ab initio violenta dell’estorsione necessita che siano indirizzate un numero maggiore di persone rispetto ad un altro profilo (per es. l’estorsione con carattere di protezione o quella gestita in un contesto territoriale monopolistico o anche oligopolistico) che, viceversa, non necessariamente richiede un elevato numero di persone. Questo aspetto, ovviamente, non ha nulla a che vedere con il numero degli episodi che subisce una vittima. Il problema, infatti, già sollevato da Block con la differenza tra “entreprise syndicate” e “power syndicate” sta nel connotare i tipi prevalenti cui apparterrebbe la criminalità campana e le logiche che sono alla base di tali tipi. La distinzione formulata da Block risponde ad una logica di specializzazione sia di attività che di profili del crimine organizzato tant’è che in base le estorsioni in campania 219 alla prevalenza dell’attività illegale (es. se dedita al traffico di droga, al lotto clandestino, alla contraffazione, al contrabbando di sigarette) potremmo derivare che il clan sarebbe del tipo enterprise syndacate, oppure, se è concentrato maggiormente sull’esercizio del controllo territoriale attraverso l’estorsione, l’offerta di usura, la protezione e regolazione di diritti, ciò ne farebbe un power syndicate. È infatti su questa scia, come abbiamo notato nelle pagine precedenti, che molti autori hanno sostenuto che alla mafia è attribuibile il carattere prevalentemente del tipo power syndicate consistendo l’attività estorsiva dei power brokers un servizio in cambio di protezione5. In realtà questa distinzione analitica non contempla che all’attività estorsiva potrebbe non essere collegata alcuna prestazione, specie se le condizioni della sua affermazione sono di carattere monopolistico e per ciò stesso svincolate dalla necessità di generare, quasi in una logica di scambio, una reciprocazione. Il vantaggio di specializzarsi nella regolazione sociale violenta non è solo quello di selezionare chi è in grado di pagare di più, ma di far pagare di più anche chiunque. Inoltre, come già anticipato, molti clan sia cittadini che in provincia sono presenti, ormai, sia su veri e propri mercati criminali caratterizzati da traffici (esempio la droga), che su ambiti territoriali sui quali esercitano (o tendono ad esercitare) una sovranità funzionale all’esercizio di ulteriori attività (per esempio usura, gestione appalti, investimenti su attività legali). Ma torniamo al punto della densità. L’intensità della presenza di un clan su un dato territorio e la sua maggiore o minore contiguità spaziale costituiscono due fattori molto importanti per la comprensione delle forme e modalità attuative dell’attività estorsiva. La prima descrive la, ed è data dalla, temporalità e spazialità della presenza: un clan può avere una durata breve o lunga e ciò ne condiziona la sua storia, reputazione, specializzazione, identità, attività. Se risaliamo la storia criminale di alcuni gruppi (es. i Casalesi; Contini; Licciardi; Lo Russo; Mazzarella; 5. r. catanzaro, La regolazione sociale violenta. Il ruolo della criminalità organizzata nell’Italia meridionale, in «Quaderni di Sociologia», vol. 37, n. 4, 1993, pp. 79-89. 220 giacomo di gennaro Sarno; Di Lauro; Giuliano; Gionta; Nuvoletta, D’Alessandro; Mallardo; Amato-Pagano; Moccia; Cesarano; Fabrocini; Genovese; Graziano; De Feo; Pagnozzi; Sperandeo, per citarne solo alcuni) senza partire dai tentativi cutoliani di costruzione di un organismo unitario (la Nuova camorra organizzata) all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso e la successiva guerra con la Nuova famiglia che lastricò tra il 1978 e il 1983 le strade dell’intera provincia napoletana di 1500 morti6, nonostante le fibrillazioni interne, le fratture con alleati, le decimazioni, le elastiche espansioni e contrazioni territoriali, ci ritroviamo ancora oggi con clan che si sono susseguiti per generazioni. Alcuni di questi hanno sviluppato capacità imprenditoriali investendo in altre regioni d’Italia e all’estero, oppure hanno esteso su altre aree del Paese la propria capacità produttiva illegale7. Una lunga storia e una intensa presenza, quindi, che ha influito sull’occupazione del territorio e ne ha modellato la reputazione. Non è un caso che proprio la contiguità spaziale diventa un fattore che accresce la tensione e il conflitto perché bastano piccole alterazioni dei patti, regole non rispettate, invadenze di attività illegali o aspirazioni che si accrescono su obiettivi che ampliano il peso, l’influenza del clan, il suo potere, la capacità produttiva, che esplode la guerra. Non va dimenticato, quale effetto delle tensioni permanenti, che la Campania conta 335 vittime innocenti uccise dalla violenza criminale dei clan, la maggioranza delle quali ricade nell’area metropolitana. E questo, ovviamente, è 6. Cfr. f. barbagallo, Storia della camorra, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 119 e ss. 7. Come l’inchiesta “mafia capitale” più recente ha mostrato e dalla quale emergono figure di collegamento tra esponenti del crimine romano, clan di camorra e cosche calabresi coagulate attorno ad interessi finalizzati al controllo degli appalti e dei finanziamenti pubblici. Dalla relazione semestrale della DIA (gennaio-giugno 2013) si sottolinea che nell’ambito di una operazione investigativa “Fiordaliso” che ha prodotto una emissione di provvedimento giudiziario (O.C.C.C. n. 35522/06 RGNR, n. 33768/07 RGIP emessa il 15/01/13 dal G.I.P. del Tribunale di Napoli), è stata smantellata una struttura transnazionale (clan Bastone aderente al cartello Amato-Pagano) che era riuscito a stringere un accordo con produttori del cartello latino-americano, avvalendosi del supporto in Spagna di esponenti del gruppo Amato-Pagano, per la commercializzazione della droga; cfr. Dia, Relazione del Ministro al Parlamento sull’attività svolta, op. cit., p. 108. le estorsioni in campania 221 anche l’esito dell’assenza di un “direttorio centrale”8. La grande differenza, quindi, esistente tra l’area cittadina partenopea e gli altri territori consiste già nella strutturale tensione che deriva dall’essere nello spazio a distanze geometriche lievemente variabili la cui condizione strutturale per la modificazione è solo quella di mettere in discussione i delicati equilibri territoriali. Ecco perché i casi della doppia estorsione, oppure quelli di alleanze strategiche. Questa condizione conferisce un carattere predatorio all’attività estorsiva che non è esclusiva solo della fase di take-off del clan ma dura nel tempo. Nella fase di avvio, infatti, l’estorsione è l’attività che meglio etichetta la struttura di potere del clan ed è funzionale alla massimizzazione estrattiva delle risorse iniziali che garantiscono l’accumulazione primaria conferendo al clan la reputazione criminale idonea ad affermare la sovranità territoriale. Ecco perché l’estorsione è un tipico reato-mezzo perché permette l’immediata accumulazione, rende visibile l’identità criminale (attraverso la minaccia dell’uso della violenza o la pratica della stessa) e consente di edificare nel tempo la sovranità territoriale. Il carattere esclusivamente predatorio in condizioni di alta densità di gruppi criminali, come nel caso di Napoli, è destinato a permanere in modo pregnante nel tempo per effetto dell’elevata concorrenza esistente nel mercato criminale e illegale abitato da un numero troppo alto in rapporto alla sostenibilità delle vittime ricadenti nel perimetro. Da qui l’inevitabilità degli scontri e, al contempo, la necessità di espandersi su altre regioni o ripartizioni territoriali. Questa condizione di partenza in realtà ove si riduce la densità abitativa dei clan e dove si sviluppa un modello organizzativo più verticistico9 condiziona non tanto la fase di take-off ma 8. Alleanze strategiche subordinate al coordinamento di traffici o gestione di affari comuni sono realizzate. Un esempio proviene proprio dalle recenti investigazioni della Dia che hanno confermato, con l’operazione “Lilium 2” del marzo 2013, la formazione di un’alleanza tra i clan Mallardo, Licciardi e Bidognetti che avevano dato vita ad un c.d. “gruppo misto” con un direttorio integrato «finalizzato al coordinamento delle attività estorsive e di altre attività illecite nel litorale domitio»; Ibidem, pp. 127-28. 9. Un esempio di organizzazione strutturata con un modello gerarchico forte è il clan Polverino che ha sostituito i Nuvoletta e la cui capacità imprenditoriale e strate- 222 giacomo di gennaro quella di lunga durata dell’attività estorsiva caratterizzata da una maggiore differenziazione interna della modalità estorsiva (non si limita all’esclusivo “pizzo” ma anzi tende a imprenditorializzare l’offerta con l’imposizione di prodotti, servizi, personale ecc.) e da una modificazione esterna in quanto esibita e praticata con il ricorso ad una minore – direbbe Dahrendorf – violenza e intensità del conflitto. Ovvero, non vi è necessità di ricorrere alle armi o ad atti violenti di intimidazione perché è la reputazione del clan e la sua long criminal history che di per sé sul territorio e nei confronti delle vittime evoca sufficientemente l’opportunità della sottomissione. In più, questa condizione di partenza permette un risparmio di energia e un grado di partecipazione conflittuale minore tra le parti (estorsore/estorto) dal momento che per tale attività vi si può orientare un numero inferiore di luogotenenti e di “soldati” sapendo che la vittima è già “informata” di come si agisce sul territorio, dedicando ad altre attività illegali, invece, i membri della compagine o redistribuendo più compiti interni sapendo che sono eseguiti in alcuni casi con minore energia. Così come da parte della vittima – come accade con “la messa a posto” – l’orientamento a disporsi in maniera conforme alle “regole” illegali del clan la colloca nella condizione di ritenersi “tranquilla”. È quest’ultimo processo che dà vita a quella “negazione implicita” e “interpretativa” di cui parla Cohen per la quale pur non essendo occultato da parte della vittima il significato convenzionale assegnato al fatto, ne viene minimizzata, giustificata la portata elaborando oltretutto un’autoassoluzione circa l’implicazione morale e psicologica di ciò che è avvenuto10. Infine, vi è la dimensione del consenso. gica è sottolineata da molti investigatori e nelle stesse risultanze della Dia. Con base originaria in Marano si è esteso nei comuni di Quarto, Qualiano, Pozzuoli, Calvizzano e nella stessa parte collinare della città di Napoli con interessi, investimenti e presenze di subordinati in Toscana, Puglia, Sicilia e Calabria. Investimenti risultano inoltre realizzati in Spagna, da Barcellona ad Alicante e Malaga fino a Marbella. Nella relazione prima richiamata si legge: «il gruppo non tollera che alcuno si sottragga alle regole del clan poiché nelle logiche del clan il parametro dell’affidabilità dei quadri non trova eccezioni neanche nei rapporti di parentela», cit. p. 127. 10. s. cohen, Stati di negazione, Carocci, Roma 2002. L’autore in realtà descrive le tecniche di neutralizzazione, sulla scia degli studi di fine anni Cinquanta di G. Sykes e le estorsioni in campania 223 Ovvero, è proprio il beneficio che la vittima riceve dagli accordi collusivi derivanti (tipico spesso degli imprenditori) che genera un consenso nei confronti dell’esercizio dell’attività estorsiva trasformandosi in capitale sociale utilizzato dal clan per estendere la sovranità sul territorio, salvo a trasformare – per effetto della propria voracità – la propria strategia in un’acquisizione costante delle attività imprenditoriali, commerciali e depredare le vittime11. Infine, un ultimo aspetto. Tra le province campane il radicamento dei clan di camorra non è omogeneo e, tra l’altro, anche la regione è interessata da processi di colonizzazione criminale. Ovvero, non solo province come Benevento, Avellino e Salerno sono state interessate nei decenni addietro dalla autonoma formazione in loco di clan di camorra ma dall’espansione di quelli originari insediati nel casertano (es. i casalesi) e nel napoletano (es. clan Gallo di Torre Annunziata; Polverino di Marano di Napoli, ecc.). La conseguenza è che sono molte le zone D. Matza, riferendosi a chi commette i crimini e in particolare ai colletti bianchi che provano (o si tende a realizzare nei loro confronti) processi di decriminalizzazione delle violazioni legali o delle vere e proprie illegalità. Le tecniche di neutralizzazione sono un insieme di strategie cognitive messe in atto (sia dal reo che dalla vittima) per risolvere problemi di “dissonanza cognitiva” e superare sensi di colpa, vergogna, conflitti con la morale pubblica o sociale. 11. La ricostruzione di una storia napoletana di 11 anni di estorsioni subite è emblematica del comportamento di alcuni clan (in questo caso è il clan Contini) che millantano protezione ma in realtà tendono a indebolire l’attività economica per impadronirsene. L’imprenditore che parla è titolare con il padre di una società di servizi di supporto alle ditte che noleggiano auto. Egli afferma: «ogni anno eravamo costretti a pagare 25 mila euro di estorsione e sempre a metà dicembre, in prossimità delle feste natalizie. All’inizio vennero a ritirare il denaro direttamente in azienda poi siamo stati noi a portarli in una salumeria nei pressi dell’ospedale San Giovanni Bosco. Abbiamo pagato dal 2003 al 2012 e quando eravamo in crisi ed impossibilitati a sostenere le richieste, abbiamo accettato un prestito di circa 50mila euro a fronte del quale abbiamo pagato 1500 euro al mese come tasso di interesse del 3% sull’intera cifra (…). Con tutti i soldi che abbiamo versato come “pizzo” la nostra azienda non è riuscita a crescere. Non c’è stato lo sviluppo che avremmo voluto perché dovevamo ogni volta far fronte ad un esborso notevole». In un momento di difficoltà economica le vittime avevano chiesto di poter avere uno sconto ma come risposta ottennero solo la possibilità di dilazionare la rata, con una parte a dicembre e la seconda a febbraio. Il clan intimando alle vittime di non offrire i loro servizi ad altre aziende e di non cercare altri clienti, avevano di fatto agevolato altre società gestite da un parente di un affiliato; cfr. http://www.antiracket. info/archivio /mario-mango-in-tribunale-rovinati-dalle-estorsioni-e-dalla-paura/# 224 giacomo di gennaro di tali province che rappresentano terre di nuova conquista e per ciò stesso esse richiedono che la reputazione del clan sia rappresentata ed esibita con efficace risoluzione. Questo vuol dire che il ricorso ad atti intimidatori bruschi ed efficaci se da un lato è necessitata – in condizioni di alta densità criminale – dalla sostenibilità nel tempo dell’attività estorsiva12, dall’altro non deve meravigliare se tale modalità viene utilizzata anche nella fase di espansione essendo necessitata dall’accreditamento territoriale. C’è un primo indicatore, allora, che abbiamo utilizzato per verificare quanto siano fondate queste ipotesi: il numero delle persone che sono utilizzate per attuare l’estorsione. Se la violenza costituisce la risorsa su cui si fonda la legittimità della richiesta e ne modella anche la forma, in tal caso per effetto della densità abitativa dei clan in un dato territorio si richiederà un numero maggiore di “militari” pronti ad entrare in azione. Viceversa, se l’attività estorsiva è offerta in ragione di un servizio che si intende prestare (o è domandato) e nel tempo più tale 12. Un recente accertamento della DDA di Napoli ha ricostruito il contrasto tra l’efferatezza e il senso di solidarietà interno espresso da alcuni clan del napoletano (in questo caso si tratta di gruppi afferenti alla galassia del clan Moccia di Afragola) i quali geograficamente si erano divisi il territorio tra due comuni dell’hinterland napoletano e le competenze criminali. Le necessità interne al gruppo connesse al mantenimento dei detenuti e i loro familiari e al pagamento delle spese legali, venivano soddisfatte attraverso una rete di solidarietà welfaristica interna che contemplava una tabella stipendiale distinta tra i più anziani del clan, con uno stipendio oscillante tra i cinquemila e i seimila euro al mese, e gli altri affiliati il cui compenso mensile variava tra i 1.500 e i 2.000 euro, a seconda dell’anzianità di affiliazione. Nella ricostruzione operata dagli investigatori è emerso che la necessità di acquisire ogni mese tali risorse ha reso a tal punto cruenti le modalità attuative delle estorsioni che, come hanno raccontato alcuni imprenditori di Casoria, la vittima che si rifiutava veniva condotta in un garage e costretta a soggiacere ad umilianti prevaricazioni e intimidazioni. «Chi aveva detto no, oltre ad accettare l’imposizione del pizzo (rate tra i cinquemila e settemila euro) doveva sborsare anche qualche centinaio di euro in più come tassa per il rifiuto. E chi non ce la faceva a pagare, veniva portato dagli amici usurai con il portafoglio pieno, che piazzavano un euro di prestito a trenta per la restituzione. E quei centomila euro al mese erano già in cassa dopo i primi dieci giorni. Nulla sfuggiva agli esattori del clan: dai lavori pubblici o privati, alle aziende che facevano manutenzione stradale e nei cimiteri, fino ai venditori ambulanti di frittelle e crocché che pagavano una tassa alla camorra di cento euro a settimana. Persino i contrabbandieri di sigarette agli angoli delle strade, erano costretti all’obolo tra i cinque e i dieci euro al giorno»; da “Il Mattino”, 21 gennaio 2015. le estorsioni in campania 225 servizio è stato riconosciuto dalle vittime come reciprocazione risolutiva di una gamma sempre più ampia di diritti esibiti, maggiore sarà la probabilità che – stante una bassa densità di gruppi ovvero di un carattere oligopolistico se non monopolistico nella gestione delle attività sul territorio – la violenza non costituisca il profilo forgiante l’estorsione con la conseguenza che non vi sarà necessità di dedicarvi un numero maggiore di “soldati”. Ma andiamo per gradi. Nelle tabelle sottostanti innanzitutto abbiamo riportato il risultato di due elaborazioni sviluppate per verificare prima facie secondo il “principio dell’esclusione” l’attendibilità delle ipotesi su discusse. La prima, sintetizzata nella tabella di seguito, rende ragione del calcolo della media dei tassi su centomila abitanti per la coorte di età prescelta sul periodo 2010-2013 tra il numero dei delitti denunciati per estorsione e il numero delle persone denunciate e arrestate per lo stesso reato secondo la ripartizione territoriale comunale e provinciale. La seconda, invece, ricostruisce il rapporto tra le denunce di estorsione e le persone denunciate per lo stesso reato sempre nel periodo 2010-2013 nelle diverse province campane. Come si può notare nella prima tabella la provincia di Napoli (che conta 92 comuni) fa registrare la media più alta (20,4) nel tasso dei delitti denunciati ma quella più bassa nel rapporto persone denunciate su delitti (1,25). Viceversa la provincia di Caserta (che ne conta 104) fa registrare il tasso più elevato tra le persone denunciate e arrestate (30,5) e un rapporto leggermente superiore tra queste e il tasso delle estorsioni denunciate (1,57). Tra le province è Benevento (con il minor numero di comuni costituenti la provincia) che pur con un tasso di delittuosità medio inferiore (11,3) e uno di persone denunciate pari a 20,7, fa registrare un rapporto pari a 1,81 e che ad Avellino scende a 1,71 e a Salerno a 1,30 (che raggruppa per la provincia il numero maggiore di comuni). Poiché il risultato della deviazione standard ci indica un ammontare della dispersione presente nella distribuzione considerata sensibilmente superiore al valore medio, possiamo derivare – considerati i risultati del valore massimo (max nella tab.) registrati in tutte le province 226 giacomo di gennaro e con scarti molti differenti – che questa elaborazione non è indicativa delle considerazioni ipotetiche sviluppate e pertanto nel rigettare l’ipotesi formulata è necessario ricorrere ad altro esame approfondito con diversa elaborazione. Tabella 8 - Reati estorsioni secondo le province (medie tassi popolazione 14-80 anni periodo 2010-2013) e deviazione standard reati e persone Obs (comuni di provincia) Media Dev. stand. Min Max Caserta Reati 104 19,2 18,9 0 110,2 Persone 104 30,5 47,7 0 375,7 Benevento Reati 78 11,3 19,5 0 108,2 Persone 78 20,7 33,9 0 154,4 Reati 92 20,4 13,8 0 90,2 Persone 92 25,9 20,9 0 123,2 Reati 119 14,1 24,0 0 201,2 Persone 199 24,8 51,8 0 416,7 Reati 158 10,2 14,5 0 76,6 Persone 158 13,4 21,1 0 121,1 Napoli Avellino Salerno Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd La successiva tabella, come indicato, restituisce i risultati dell’elaborazione denunce/denunciati e, come si vede, la media registrata nella provincia di Napoli è, sebbene leggermente, la più alta: 1,00, rispetto alla omologa di Caserta (0,81), di Salerno (0,76), di Avellino (0,74) e di Benevento (0,54) che risultata la più bassa. Questi risultati apparentemente sembrerebbero aiutarci a sostenere l’ipotesi formulata essendo la deviaziole estorsioni in campania 227 ne standard decisamente più bassa delle precedenti e quindi rappresentativa di una dispersione meno forte nella distribuzione che analizziamo. Tuttavia, anch’essa non è attendibile in maniera significativa dal momento che sia per il numero delle osservazioni che riduce la considerazione dei comuni di ogni provincia che per i gradi di dispersione risultanti superiori ai valori medi l’asimmetria che ne proviene impedisce di acquisirla a conferma dell’ipotesi operativa. Tabella 9 - Rapporto reati di estorsione denunciati e persone denunciate/arrestate. Anni 2010-2013 Obs* Rapporto Dev. stand. Min Max 78 0,8 0,5 0 3 37 0,5 0,4 0 1 84 1,0 0,5 0,3 4 61 0,7 0,5 0 2 70 0,8 0,4 0 2 Caserta Reati/Persone Benevento Reati/Persone Napoli Reati/Persone Avellino Reati/Persone Salerno Reati/Persone Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd * La riduzione delle osservazioni (obs) dipende dal fatto che in alcuni comuni, specie di piccole dimensioni, in uno o più anni del periodo indicato il rapporto tra denunce e denunciati risulta indeterminato. Si è reso necessario, allora, esperire una nuova strada ed abbiamo elaborato un indice che abbiamo chiamato di partecipazione al reato basato sul rapporto tra persone denunciate o arrestate e numero di reati dal momento che questo rapporto indica in media quante persone sono necessarie per commettere un reato di estorsione. Successivamente è stato costruito l’indice medio di partecipazione comparato tra i comuni capoluogo e le proprie province, nonché tra le province. 228 giacomo di gennaro L’indice è stato costruito considerando un periodo più lungo (2007-2013) e acquisendo il dato annuale in modo da consentire l’elaborazione delle medie e rendere la comparazione tra i rapporti (capoluogo e sua provincia; rapporto tra province; province prive del dato del capoluogo) soddisfacente ai fini dell’accettazione/rifiuto della ipotesi. Rimandando all’appendice per l’esame distinto e progressivo delle elaborazioni, di seguito diamo conto del risultato finale. La tabella sottostante restituisce l’elaborazione e come si può notare in primo luogo, i valori medi nelle città di Avellino e Benevento nel 2012 l’una e nel 2010 e 2013 l’altra subiscono una impennata rispetto all’andamento dell’intera serie. La punta apicale, inoltre, interessa più la provincia beneventana l’anno precedente e meno la città tant’è che nel 2012 il valore della provincia sale a 3,89. Segno di una pressione che si dirige più verso la provincia che la città e che di conseguenza registra una mobilitazione più sostenuta sia in termini di denunce che di soggetti che vi si dedicano che è maggiore. Va anche detto che i dati possono riflettere contemporaneamente un aumento delle investigazioni e quindi una ascesa delle risultanze che si riverberano positivamente sui due fronti: quello delle vittime che denunciano e quello degli autori del reato che sono scoperte. Una riprova della dinamicità più dell’area provinciale viene dal dato del 2012 della provincia che è scorporato dalla città di Benevento (5,60). L’intera serie, invece, se osserviamo l’andamento dei valori nelle province di Caserta, Napoli e Salerno, si presenta con variazioni molto più contenute quasi a delineare una performance stabile sia sotto il profilo della temporalità che della spazialità. Cosa vuol dire ciò e quali ulteriori elementi possiamo ricavare? le estorsioni in campania 229 2008 2009 2010 2011 2012 2013 Benevento Caserta Napoli Salerno 2007 Avellino Tabella 10 - Rapporto persone denunciate e arrestate per estorsione nel periodo 2007-2013 nei comuni capoluoghi e nelle province campane Comune 0,67 0,82 1,89 1,39 1,84 Provincia 1,45 1,28 1,90 1,48 1,31 Provincia 2* 1,71 1,55 1,90 1,54 1,24 Comune 1,40 1,78 1,08 1,48 1,62 Provincia 1,83 1,77 1,71 1,64 1,75 Provincia 2 1,92 1,77 1,79 1,75 1,78 Comune 1,08 1,25 0,89 1,49 1,23 Provincia 1,35 2,10 2,23 1,52 1,44 Provincia 2 1,42 2,63 2,29 1,53 1,45 Comune 1,20 3,71 0,92 1,94 0,87 Provincia 1,80 2,27 1,53 1,63 1,46 Provincia 2 1,88 1,93 1,58 1,44 1,53 Comune 0,77 0,58 0,92 1,59 2,97 Provincia 1,63 2,09 2,47 1,52 1,65 Provincia 2 1,87 2,62 2,58 1,49 1,42 Comune 2,54 1,75 1,30 1,58 1,50 Provincia 1,68 3,89 1,78 1,58 1,48 Provincia 2 1,45 5,60 1,81 1,58 1,47 Comune 0,73 2,50 0,85 1,82 1,96 Provincia 1,10 2,00 1,74 1,63 1,72 Provincia 2 1,19 1,92 1,81 1,51 1,68 Fonte: ns. elaborazione su dati sdi/ssd * Provincia 2 indica il dato provinciale scorporato di quello comunale. L’esame del grafico sottostante forse rende meglio l’idea. Si nota che, nel caso della provincia di Napoli e Salerno il rapporto persone/reati è più elevato – anche se di poco – nel comune piuttosto che nel resto della provincia, questo andreb230 giacomo di gennaro be in accordo con l’ipotesi che abbiamo sviluppato: ovvero, una maggiore competizione tra clan cittadini obbliga i clan ad orientare un maggior numero di persone alla realizzazione del reato. Mentre a Napoli la media del rapporto è di 1,61 e nel resto della provincia scende a 1,55 depurato del valore cittadino e a Salerno è 1,71 contro 1,51, l’evidenza opposta si riscontra nelle restanti tre province, in particolare per Caserta dove il dato comunale è sensibilmente più basso dell’omologo degli altri capoluoghi. Ovvero, osservando la media dei rapporti e la deviazione standard si riscontrano risultati molto più lineari con una bassa dispersione nella distribuzione, e differenze tra le medie delle province, tranne per Benevento, più contenute. Grafico 10 - Confronto tra la media dei rapporti di persone/delitti. Anni 2007-2013 Fonte: ns. elaborazione su dati sdi/ssd Perché l’ipotesi a priori regga, è necessario ora affermare che nella città di Caserta ci sia una minore frammentazione dei clan di quanto non accada nel resto della provincia. In realtà l’effetto spiazzamento determinatosi all’indomani degli arresti di Michele Zagaria (nel 2011) e Antonio Iovine nel 2010 (entrambi all’apice del clan dei casalesi) sono ancora troppo vicini per poter sostenere una forte parcellizzazione della federazione le estorsioni in campania 231 dei casalesi. Infatti, tra le diverse organizzazioni di camorra presenti nel territorio regionale campano, quello dei casalesi da sempre si è performato con identità organizzative più vicine alla mafia che alla camorra napoletana. Ancora nelle due relazioni Dia del 2013 e in quella del primo semestre del 2014 si sottolinea che gli assetti del crimine organizzato nell’intera area casertana restano ancora influenzati dai legami di questi con le famiglie Schiavone, Bidognetti, Iovine e Zagaria le cui propaggini insediative arrivano, grazie agli investimenti realizzati, nelle regioni della Toscana, dell’Emilia-Romagna, del Lazio, Umbria ed Abruzzo. La transizione che i clan un tempo federati attorno alla struttura centrale del vecchio direttorio stanno attraversando non impedisce, quindi, la continuità dei traffici (stupefacenti e rifiuti), la cura degli investimenti realizzati nelle regioni indicate e il consolidamento di relazioni intrecciate di carattere strategico o alleanze finalizzate a particolari attività illegali con altri sodalizi criminali campani o di altre parti del Paese13. Nonostante, quindi, gli arresti e lo smantellamento che l’efficace attività di contrasto ha prodotto negli ultimi anni sradicando dal territorio capi, reggenti e fiancheggiatori, la fase di rimodulazione e mimetizzazione non impedisce il prosieguo delle attività estorsive che più in provincia che nella città di Caserta risente del reclutamento di nuove leve e della forza criminale dei gruppi non federati nel cartello dei casalesi14. 13. Nella relazione I semestre 2013 la Dia riporta gli esiti di una investigazione denominata “American Laundry” che ha svelato l’esistenza di rapporti tra esponenti del clan Bidognetti e omologhi dei gruppi partenopei Misso e Lepre. In base all’emissione di una O.C.C. il 14 febbraio 2013 sono state disposte dodici misure cautelari per il reato di estorsione perpetrato tra il 2001 e il 2008 in danno ad una lavanderia industriale sita in un comune della provincia di Napoli. L’indagine ha fatto emergere il caso di una doppia estorsione dal momento che i proprietari versavano al clan napoletano tra gli otto e i dodicimila Euro mensili «cui si aggiungevano somme al gruppo di Bidognetti»; cfr. dia, Relazione, op. cit., I semestre 2013, pp. 134-35; Ibidem, II semestre 2013, pp. 108-09. 14. Nell’ultima relazione della Dia si legge: «si sta verificando una rimodulazione del modus operandi, conseguenza dell’incisiva aggressione ai patrimoni illeciti, dell’edilizia ferma e delle numerose operazioni sul traffico illecito di rifiuti. Tali fattori hanno indotto i gruppi locali a privilegiare attività quali il traffico e lo spaccio di stupefacenti, sistema veloce e remunerativo per sopravvivere, gestito in concorso con trafficanti di altri paesi (Albania, Macedonia, Turchia, Colombia), e con organizzazioni alleate della vicina provincia di Napoli. Le estorsioni continuano a rappresentare un ambito 232 giacomo di gennaro L’addensamento dei clan nelle città giocoforza produce un effetto rialzo del numero delle persone che si dedicano all’estorsione. Questo si può notare a Napoli e Salerno ove gli scostamenti nel periodo trattato in ragione della differenza città/ provincia fanno registrare, sebbene con leggere diversità tra esse, un rapporto persone/reati più alto. Interpretiamo, però, la lieve differenza fra i due capoluoghi come dovuta maggiormente al fattore investigativo territoriale. Salerno e la sua provincia a partire dalla fine del 2009 hanno visto intensificare l’attività investigativa e il numero delle denunce per estorsione è cresciuto così come quello dei denunciati e arrestati. L’aspetto più interessante è lo scostamento generale nel rapporto tra il dato del singolo capoluogo e quello dell’area provinciale depurato del dato cittadino. Mentre i comuni di Salerno e Napoli fanno registrare un rapporto tra il numero di persone denunciate/arrestate e delitti denunciati superiore a quello riscontrato nel resto della provincia (1,71 e 1,51; 1,61 e 1,55), a Caserta, Benevento e Avellino è l’inverso: il valore medio della provincia è più alto nel rapporto (graf.10). Soffermandoci sui dati del capoluogo di regione, dunque, si evince che, assumendo che il reato è fortemente connotato a Napoli dal carattere organizzato dei clan, per effetto dell’elevata densità degli stessi presenti nel territorio cittadino, il numero delle persone sul numero dei delitti è più alto. Ovvero, vi è una necessità di ricorrere a più persone modellando dall’inizio con una forte impronta violenta la fase intimidatoria dell’espletamento del reato. È come dire, nell’ottica di Dahrendorf, che ab initio essendovi necessità di dare immediata autorevolezza alla richiesta, il tipo di “armi” prescelto non può che essere un atteggiamento intimidatorio basato sulla minaccia o sulla violenza espressa, modellando dall’inizio la postura, l’atteggiamento e la perentorietà della richiesta e delegando ad essa un numero più alto di persone in modo da rendere credibile da subito l’evento. dell’illecito di significativo interesse per i clan in quanto, oltre a procurare immediata liquidità, sono funzionali per affermare la presenza del sodalizio sul territorio»; dia, Relazione, I semestre 2014, op. cit., pp. 116-17. le estorsioni in campania 233 Questa specificità deriverebbe proprio dall’elevata concorrenza esistente sul mercato del racket e dalla durata non tanto lunga del clan rispetto, invece, alle altre province ove la maggiore stabilità dei gruppi criminali su un territorio o il minore turnover tra essi permetterebbe di destinare un numero inferiore di persone per ogni evento estorsivo. Uno studio più approfondito su una base consistente di materiale giudiziario potrebbe permettere di verificare non solo questa ipotesi sulle diverse province dell’intera regione, ma verificare al contempo la differenza eventuale tra clan di lunga durata (che hanno maturato una forte reputazione criminale) e clan di breve durata per verificare quanto sia attendibile questa ipotesi non solo in rapporto alla diversità del territorio ma del radicamento del gruppo criminale. Inoltre, clan che si dedicano a più traffici e attività economiche e clan che dominano particolari settori economici illegali. Ciò permetterebbe di capire oltretutto la dimensione dell’attività che realmente verrebbe reciprocata in termini di protezione o altri benefici e quella che, viceversa, ha un puro carattere di promessa, millantata come protezione-estorsione ma di fatto retta come pura attività estrattiva. 4.3Incidenza e prevalenza delle estorsioni nelle singole province Un primo aspetto da cui partire riguarda la variazione tendenziale dei tassi di estorsione in Campania rispetto all’andamento del tasso totale di delittuosità nazionale e alla variazione che a livello locale (singole province) si registra nel periodo tra il 2010 e il 2012. Adoperando la Shift and Share Analysis, metodo di scomposizione settoriale – territoriale molto impiegato nell’analisi economica, abbiamo scomposto in tre componenti la variazione dei tassi della delittuosità: tendenziale (ovvero è la variazione che ci si dovrebbe aspettare in base alla tendenza nazionale del tasso di delittuosità calcolato su tutti i reati); strutturale (la variazione che si attende in base alla tendenza 234 giacomo di gennaro nazionale del tasso di estorsione); locale (la differenza tra la variazione tra il tasso di delittuosità estorsiva campano rispetto alla variazione dello stesso tasso nazionale). La tabella sottostante riporta sinteticamente i risultati dell’elaborazione. Come si può notare in Campania il tasso di delittuosità delle estorsioni è aumentato di 0,47 tra il 2010 e 2012. Tabella 11 - Componenti di scomposizione dei tassi di estorsione Var. 2010-12 Tendenziale Strutturale Locale Campania 0,47 1,18 0,10 -0,81 Avellino 4,03 0,74 -0,46 3,76 Benevento -6,57 0,91 -0,57 -6,91 Caserta -0,83 1,45 -0,91 -1,37 Napoli -1,19 1,43 -0,89 -1,72 Salerno 6,55 0,87 -0,54 6,22 Napoli Comune 0,48 1,60 -3,02 1,89 Fonte: ns. elaborazione su dati SDI/SSD Se i reati di estorsione in Campania fossero variati in proporzione al totale dei reati in Italia, avremmo dovuto osservare una crescita ben maggiore, ovvero pari a 1,18. Ciò vuol dire che sul totale della delittuosità l’estorsione ha una incidenza inferiore. Se consideriamo la componente strutturale, il tasso atteso è pari a 0,10: ciò delinea che a livello campano le estorsioni hanno avuto, per il periodo in esame, un incremento maggiore rispetto all’andamento nazionale. Infine, la componente locale è pari a -0,81: ciò significa che l’attività estorsiva, rispetto all’intera produzione delittuosa, nonostante le pressioni che abbiamo discusso anche in precedenza, subisce nel periodo una tendenza negativa e quindi costituisce un reato che rispetto all’insieme è tra i meno denunciati. Se la riflessione la indirizziamo alle singole province e prendiamo come riferimento tendenziale i valori regionali, si evidenzia che la provincia di Salerno fa registrare una variazione pari a 6,55, di molto superiore a quella regionale (0,47): in Campania, le estorsioni in campania 235 infatti, la componente tendenziale ci fornisce un valore atteso di 0,87 e quella strutturale di -0,54 delineando che il peso locale delle estorsioni è molto più elevato che nelle restanti province. Questa performance, anche se con lievi differenze, è osservabile anche nella provincia di Avellino. Tendenza completamente opposta la osserviamo nella provincia di Benevento. La variazione registrata nel periodo è pari a -6,57. Sulla base dell’andamento della delittuosità in Campania ci saremmo dovuti attendere un aumento dello 0,91 e in base all’andamento del reato a livello regionale ci saremmo dovuti attendere una riduzione più contenuta pari a -0.57 che è molto più bassa di quella osservata, mentre quella locale pari a -6,91 ci informa che il reato rispetto al totale della delittuosità ha una incidenza ancora più bassa. Relativamente a Napoli e Caserta registriamo due variazioni negative (-1,19 e meno 0,83). Sulla base della componente tendenziale ci saremmo dovuti attendere un leggero aumento (1,43 e 1,45) in tutte e due le aree. La componente strutturale fa registrare una leggera differenza fra le due province (-0,89 e -0,91) delineando che in quella napoletana il calo è leggermente superiore a quello atteso, mentre nella provincia casertana è leggermente inferiore. In entrambe le province, inoltre, nella componente locale registriamo valori negativi (-1,72 e -1,37) il che ci dice che il peso del reato estorsivo sull’insieme della delittuosità è inferiore rispetto al quadro regionale. Essendo l’analisi sperimentata basata su un periodo ristretto da un lato, non bisogna meravigliarsi se le province di Salerno e Avellino fanno registrare valori positivi tendenziali alti dal momento che le province sono oggetto di osservazioni estorsive più recenti. Dall’altro emerge che, essendo quantitativamente limitato l’apporto fornito dal reato di estorsione alla determinazione del tasso di delittuosità totale, la componente tendenziale poco influisce sulla variazione dei tassi di estorsione osservati. Inoltre, dal rilievo dei dati delle componenti strutturali e locali si può segnalare che le variazioni sono determinate pesantemente dall’andamento 236 giacomo di gennaro della componente locale. Ovvero, i fattori locali avrebbero un peso maggiore rispetto a fattori di carattere più esogeno coincidenti con la dimensione regionale. Ciò vale per i casi di Avellino e Salerno relativamente all’aumento della variazione triennale, la quale rispecchia quasi fedelmente il valore della componente locale. Nel caso, invece, di Benevento, registriamo un andamento opposto in quanto vi è una riduzione del tasso. Per cui i fattori locali la determinerebbero sebbene essa è di poco inferiore. Le ipotesi più compatibili che possono formularsi a spiegazione dei fattori locali in queste tre province sono: a) nel salernitano a partire dal 2009 si registra un forte impulso nell’attività investigativa coordinata dalla procura salernitana. L’esito è stato un aumento delle denunce e dei casi di estorsione scoperti; b) nel caso avellinese potrebbe essere collegato sia ad un aumento delle investigazioni e quindi di casi venuti allo scoperto che ad una contemporanea espansione della pressione estorsiva che ha trovato nelle vittime, però, un terreno meno favorevole all’accoglienza; c) infine, il beneventano costituisce il caso più anomalo, perché ad un maggior dinamismo economico registrato negli ultimi tempi, non corrisponderebbe – data la prossimità territoriale con i casalesi – una crescita delle denunce. Tanto meno delle segnalazioni estorsive15. Infine, nei casi di Napoli e Caserta, che sono le province nelle quali si registra il maggior numero di reati 15. Il clan storicamente più longevo operante nella città di Benevento e in alcuni comuni limitrofi è quello degli Sperandeo nella cui orbita operano alcuni clan minori: Spina, Nizza, Taddeo, Piscopo. Questo piccolo cartello si contrappone al clan Pagnozzi, egemone nel comune di S. Agata dei Goti e zone limitrofe e gode dell’appoggio di gruppi afferenti ai Casalesi. Nella zona di Montesarchio agiscono le famiglie IadanzaPannella, alleati con i Pagnozzi. Il comune di Foglianise e la zona del Taburno restano sotto l’influenza del clan Lombardi, mentre nella Valle Telesina agisce il clan Esposito. Questi assetti sono abbastanza consolidati per cui l’attività estorsiva, la gestione del mercato della droga e l’attività usuraia si sviluppa con modalità tali che non generano conflitto fra i clan, anzi alleanze strumentali vengono registrate anche fra i “classici” contendenti (Sperandeo/Pagnozzi). I dati omicidiari, che costituiscono un indicatore della tensione fra i gruppi, tra il 2010 e il 2013 non fanno registrare casi. Mentre un indicatore spia del moltiplicarsi dell’attività estorsiva (ed usuraia) proviene dall’aumento degli atti intimidatori (incendi, danneggiamenti e questi seguiti da incendi) che nello stesso periodo nell’intera provincia sono aumentati in media del 112%; cfr. dia, Relazioni semestrali, anni 2010-2013, op. cit. Sempre computando i dati di fonte Dia nel periodo le estorsioni in campania 237 di estorsione, la variazione osservata del tasso di estorsione è maggiormente condizionata dalla componente strutturale, ovvero gli andamenti locali sarebbero in linea con l’andamento del tasso di estorsione regionale. Questo è interpretabile nei termini di un peso assoluto che le due province hanno sul totale della delittuosità estorsiva regionale. L’ipotesi che si può formulare è che un’applicazione di questo metodo di scomposizione settoriale-territoriale su un periodo più ampio e osservabile nell’immediato futuro, potrebbe suggerirci sia la variazione determinatasi nel passato sia il grado di esposizione delle singole province al rischio di incremento della delittuosità estorsiva in quanto ci permette di “pesare” l’apporto differenziato dei diversi fattori endogeni ed esogeni. Veniamo, ora, all’analisi di un altro indicatore elaborato per la comprensione dell’incidenza e della prevalenza nelle singole province dell’attività estorsiva. In genere l’attività estorsiva è praticata attraverso modalità di “aggancio” della vittima che, sebbene fondate su un immediato linguaggio intimidatorio, non necessariamente si esplica con l’azione violenta. L’intimidazione è strategicamente attuata con una “prassi” evolutiva che tiene conto della reazione della vittima, della notorietà e reputazione del clan e del contesto ambientale se è già sottoposto o meno ad attività estorsiva, della debolezza della vittima. Il ricorso a danneggiamenti e atti ulteriori avviene in itinere o al termine del processo selettivo e ovviamente tiene conto dell’esito dell’aggancio. Abbiamo incrociato, pertanto, il tasso di estorsioni calcolato su base provinciale con quello relativo ad una serie di reatispia che connotano la pressione intimidatoria esistente in un determinato ambiente. In un certo senso la presenza di un elevato tasso di tali reati costituisce anche un indice che misura la violenza dei clan di camorra rispetto ad altri macrofenomeni criminali. Reati quali danneggiamenti (ex art. 635 c.p.), lesioni indicato, emerge che sono stati registrati complessivamente 108 episodi di estorsione nell’intera provincia beneventana. 238 giacomo di gennaro dolose, incendi (ex art. 423 c.p.)16, danneggiamenti seguiti da incendio (ex art. 424 c.p.), attentati, rapine, sono inquadrabili sotto un profilo criminologico come vettori di ulteriori azioni o attività illegali segnatamente finalizzate al raggiungimento di un obiettivo. Si pensi, per esempio alle rapine. Queste, in genere, sono costitutive (art. 628 c.p.) di una criminalità cosiddetta predatoria, ovvero della delinquenza comune, di bande o gang criminali che si impossessano di cose, beni mobili altrui con l’uso della violenza e/o della minaccia a persone17. Si può sostenere che sia un reato molto indipendente, per ragioni socio-demografiche, economiche, migratorie, dalla criminalità organizzata e che, anzi, quest’ultima proprio perché interessata a offrire protezione scoraggi in un determinato territorio, zona o quartiere la turbolenza che tale crimine produce. Oppure si può sostenere il contrario: che le rapine siano tollerate dal crimine organizzato proprio per incentivare una domanda di protezione e al tempo stesso selezionare, dall’interno dei profili delinquenziali, quei soggetti più adatti a perseguire una vera o propria carriera criminale, ben sapendo che sono molti i giovani che aspirano a far parte di un clan. Secondo una interpretazione della Dia, in Campania le reti criminali 16. Con la legge 21.11.2000, n. 353 Capo I del titolo VI del codice penale, il legislatore ha introdotto l’art. 423-bis che prevede il reato di incendio boschivo, selve e foreste di natura dolosa che spesso è perpetrato dalla criminalità organizzata per declassare una zona verde e potervi successivamente realizzare una speculazione edilizia. Tra le novità che riguardano il problema dei roghi di rifiuti vi è la legge 6/2014 che ha convertito il D.L. 136/2013 e introdotto nel Codice dell’ambiente l’art. 256-bis che prevede il delitto di combustione illecita di rifiuti. 17. L’art. 628 del c.p. comprende due figure criminose: una contempla la violenza come mezzo per impadronirsi di qualcosa (“rapina propria”); l’altra la violenza per difendere il possesso della cosa sottratta (“rapina impropria”). La sottrazione diretta di un bene alla vittima definisce la rapina o il furto con strappo (cd. scippo); la consegna sotto costrizione si avvicina al delitto affine dell’estorsione. Teorie diverse spiegano la diffusione delle rapine, insistendo o sull’impersonalizzazione della vittima (nonpersonal money) tipica del “professional robber”; o come esito di azioni giovanili (“opportunistic robber”) perpetrate a danno di soggetti più deboli (street crime o mugging); o l’effetto moltiplicatore dell’uso di sostanze stupefacenti (addict robber) e alcoliche (alcoholic robber), o infine, quale risultato dell’incremento delle opportunità e disponibilità di beni (Barbagli). Su questi aspetti, vedi s. ciappi, Le rapine, in M. Barbagli (a cura di), Rapporto sulla criminalità in Italia, il Mulino, Bologna 2003, pp. 65 e ss. le estorsioni in campania 239 altamente specializzate spesso generano «joint-ventures con la criminalità comune. Tali intese, generalmente, si realizzano tra i vertici dei sodalizi camorristici ed elementi esterni, ai quali viene corrisposta una quota degli utili che derivano dalla commissione di un vasto spettro di delitti, tra i quali il contrabbando di Tle, la ricettazione, lo spaccio di droghe e le rapine. (…) In tale contesto, sia a Napoli, sia nell’hinterland, è stato più volte acclarato che le bande di rapinatori entrano in azione dopo aver ottenuto il consenso da parte dei clan di zona che, abitualmente, forniscono la loro autorizzazione in cambio di una quota degli utili, calcolato proporzionalmente al ricavato della rapina stessa. Appare evidente, quindi, come i rapinatori, attraverso le specifiche condotte, vadano ad alimentare il “Sistema camorristico”, nel quale aspirano ad entrare a pieno titolo e del quale faranno parte solo dopo essersi guadagnati la fiducia di un’organizzazione»18. I dati sottostanti offrono l’opportunità di fare alcune considerazioni derivabili da questo rapporto. Come si vede abbiamo calcolato il tasso estorsivo nelle province campane nel periodo di riferimento della ricerca (2010-2013) e il tasso totale dei reati spia. 18. Cfr. dia, Relazione del Ministro al Parlamento, op. cit., II sem. 2010, pp. 221-22. 240 giacomo di gennaro le estorsioni in campania 241 25,4 25,1 15,0 Caserta Napoli Salerno 756,2 539,2 546,8 756,8 725,9 Tasso reati spia 2011 21,8 23,9 24,2 19,8 17,1 Tasso estorsivo Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd 12,8 15,9 Benevento Tasso estorsivo Avellino Province 2010 780,1 553,1 509,5 714,1 736,8 Tasso reati spia 23,1 23,6 24,4 7,8 17,7 Tasso estorsivo 2012 791,0 562,9 567,3 687,2 720,2 Tasso reati spia 20,8 22,5 24,8 6,1 16,9 Tasso estorsivo 2013 779,0 563,5 539,1 564,0 700,4 Tasso reati spia Tabella 12 - Tasso reati di estorsione e tasso reati spia nelle province campane. Anni 2010-2013 20,2 23,8 24,7 12,4 16,1 Tasso estorsivo 776,6 554,7 540,7 680,5 720,8 Tasso reati spia Tasso medio Se osserviamo direttamente i valori medi del periodo si noterà che la provincia di Caserta e quella partenopea fanno registrare i valori più alti, rispettivamente 25,0 e 23,8 estorsioni ogni 100.000 abitanti, a fronte dell’area beneventana che riporta il valore più basso (12,4) e quella salernitana che ci segnala il valore intermedio (20,0). Tuttavia, se osserviamo il tasso totale medio dei reati spia la provincia di Caserta e quella di Napoli riportano i valori più bassi (rispettivamente 540,7 e 554,7 atti intimidatori ogni 100.000 abitanti), a fronte del salernitano che fa registrare il valore più alto (776,6). Poiché la gamma dei reati spia ascrivibili all’attività intimidatoria connessa alle estorsioni è generalmente circoscritta ai danneggiamenti, agli incendi di beni di proprietà delle vittime (auto, mezzi ad uso lavorativo, case, ecc.) e a danneggiamenti seguiti da incendio, abbiamo ristretto l’elaborazione a questi tre atti (e reati). Come si vede dalla tabella sottostante ovviamente i valori cambiano: è la provincia di Salerno che fa registrare il valore medio dei reati spia più alto: 611,7 eventi intimidatori per 100.000 abitanti. Seguono rispettivamente la provincia di Avellino e Benevento (586,2 e 567,2) e poi quella casertana e napoletana con i valori più bassi. 242 giacomo di gennaro le estorsioni in campania 243 25,1 15,0 Napoli Salerno 601,3 407,8 436,6 2011 21,8 23,9 24,2 19,8 17,1 Tasso estorsivo Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd 25,4 Caserta 638,0 584,9 12,8 15,9 Avellino Tasso estorsivo Benevento Province Tasso reati spia 2010 621,0 417,2 408,8 611,9 605,5 Tasso reati spia 23,1 23,6 24,4 7,8 17,7 Tasso estorsivo 2012 617,0 423,1 444,0 554,5 590,0 Tasso reati spia 20,8 22,5 24,8 6,1 16,9 Tasso estorsivo 2013 607,3 424,4 422,1 464,3 564,3 Tasso reati spia 20,2 23,8 24,7 12,4 16,1 Tasso estorsivo 611,7 418,1 427,9 567,2 586,2 Tasso reati spia Tasso medio Tabella 13 - Tasso reati di estorsione e tasso reati spia (sottratto del valore delle lesioni dolose) nelle province campane. Anni 2010-2013 Si noterà che vi è un rapporto completamente rovesciato: le province notoriamente più interessate da una maggiore pressione estorsiva (Caserta e Napoli) fanno registrare una minore presenza di eventi intimidatori. Quelle ove notoriamente, come abbiamo visto, sia i valori connessi alle denunce, agli autori e alle vittime risultano mediamente inferiori, riportano, invece, eventi intimidatori maggiori. Tra l’altro, sia nel caso di una elaborazione del tasso dei reati spia più “allargata” che in quest’ultima ristretta si può notare che nel periodo in esame tranne la provincia napoletana che mostra una leggera tendenza al rialzo e quella beneventana la cui performance è diametralmente opposta, in tutte le altre la variazione dei valori medi ha un andamento ondulatorio la cui rappresentazione è più sinusoidale. Confrontando, d’altra parte, questi risultati con i valori assoluti registrati a livello regionale ed elaborati dalla Dia, emerge che nello stesso periodo a livello regionale si è passati dai 6.148 danneggiamenti del primo semestre 2010 ai 6.910 del primo del 2011 con un incremento del 12,4%, per poi ridursi dell’1,3% nel successivo primo 2012 fino a raggiungere i 6.130 eventi nel secondo semestre 2013 che riportano i valori quasi al dato di partenza. La tabella sottostante rende conto delle segnalazioni SDI inerenti i reati spia registrati in tutta la regione Campania. Si noterà che il volume dei danneggiamenti non solo è il più alto (52.199) per l’intero periodo con un tasso medio di segnalazioni nella regione pari a 111 atti ogni 100.000 abitanti, ma i valori assoluti del II semestre 2013 ritornano quasi analoghi ai primi del 2010. L’incremento più sostenuto si registra negli atti incendiari (57,3%) con un andamento fortemente oscillante e i cui valori assoluti sarebbero più consistenti se si sommassero gli incendi regolati dalla nuova normativa del 423-bis. La violenza intimidatrice dei clan, in realtà, non si esprime attraverso eventi eclatanti, come potrebbero essere gli attentati, piuttosto mediante danneggiamenti e/o incendi di beni in possesso della vittima o di sua proprietà tali da generare danni, paura, senso di insicurezza, proiezione all’assoggettamento. 244 giacomo di gennaro le estorsioni in campania 245 216 338 35 Danneggiamenti e incendi ex art. 424 Incendi ex art. 423 Attentati 30 310* 292 6.893 38 513 326 6.910 14 1550 319 6.994 ii sem. 2011 i sem. Fonte: ns. elaborazione su dati dia * In tale periodo vengono segnalati anche 444 incendi boschivi. 6.148 ii sem. 2010 i sem. Danneggiamenti ex art. 635 Reati spia 48 686 344 6.846 i sem. 38 1146 382 6.368 ii sem. 2012 48 320 253 5.910 i sem. 22 531 288 6.130 ii sem. 2013 Tabella 14 - Segnalazioni atti di intimidazione registrati in Campania. Anni 2010-2013 -36,3 57,3 33,2 -0,2 Var.ne 34,1 674,2 302,5 6524,8 Media 4,65 91,9 41,2 889,2 Tasso Una elaborazione più dettagliata localizzata solo sui capoluoghi di provincia rende ancora di più l’idea dei diversi addensamenti della pressione estorsiva e di quella intimidatrice. Infatti, riportando i dati delle cinque città campane emerge che i capoluoghi più interessati da una maggiore pressione intimidatrice sono quelli che hanno una minore presenza di clan e una più circoscritta storia criminale. Ovvero, si può segnalare l’avvio di un processo di espansione da aree originarie di clan (per es. i casalesi) verso altre province e il trasferimento di interessi economici (per es. l’aggiudicazione di pubblici appalti) in tessuti imprenditoriali e commerciali coincidenti con queste nuove zone. La tabella sottostante ci offre elementi di riflessione su questi aspetti. 246 giacomo di gennaro le estorsioni in campania 247 13,6 Salerno 981,6 611,4 681,5 26,4 26,6 19,2 23,4 28,9 1.055,3 590,2 670,1 1.177,3 1.102,1 Tasso reati spia 2011 Tasso estorsivo Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd 18,5 29,9 Caserta Napoli 1411,3 877,9 11,1 13,7 Avellino Tasso reati spia Benevento Città Tasso estorsivo 2010 32,9 30,4 16,0 15,8 29,0 Tasso estorsivo 925,6 561,5 704,2 997,3 920,7 Tasso reati spia 2012 25,8 28,8 21,0 4,0 24,4 Tasso estorsivo 851,9 590,6 612,6 786,7 887,9 Tasso reati spia 2013 Tabella 15 - Tasso reati di estorsione e tasso reati spia nelle città campane. Anni 2010-2013 24,7 28,9 18,7 14,2 23,4 953,6 588,4 667,1 1.093,2 947,2 Tasso reati spia Tasso medio Tasso estorsivo Come si vede mentre Napoli mantiene il tasso medio estorsivo più alto (28,9) tra i capoluoghi campani, mostra il più basso tasso medio dei reati spia (588,4); viceversa sono Benevento e Salerno a far registrare un tasso più elevato (rispettivamente 1093,2 e 953,6) di atti intimidatori, sebbene a Benevento si registri il tasso medio estorsivo più basso (14,2), mentre a Salerno quello successivo al capoluogo regionale (24,6). Come si arguisce c’è un evidente contrasto tra un basso tasso estorsivo e un alto indice di violenza intimidatoria che, per esempio in città come Benevento, delinea l’affermazione di una strategia di assoggettamento in atto cui tendono in zone nuove clan dell’area i cui assetti organizzativi sono stati ridefiniti da nuove alleanze (per es. clan Pagnozzi in sinergia con il clan Saturnino-Bisesto) e dalla formazione di nuovi sodalizi minori con i quali si sviluppano alleanze strumentali con clan provenienti dall’esterno. Non è un caso che proprio il beneventano e il salernitano sono aree oggetto di nuove attenzioni da un lato, di gruppi casertani funzionalmente in relazione di interessi con il cartello federato dei casalesi; dall’altro, dalla «formazione di stabili collegamenti e collaborazioni con consorterie camorristiche della provincia di Napoli, con una ripresa, inoltre, dell’egemonia a Salerno del clan Panella-D’Agostino»19. Mentre, quindi, in quei capoluoghi ove si è sedimentata una più consolidata storia estorsiva appare quasi superfluo il ricorso ad atti intimidatori da parte dei diversi clan, la strategia di convincimento risulta più violenta, invece, in quelle città ove questa analoga storia risulta più recente o addirittura da innervare. Non è un caso, infatti, che a Caserta, il tasso estorsivo cittadino risulta pari a 18,7 estorsioni su 100.000 abitanti con un tasso totale di reati spia pari a 667,1. Tali valori comparati con quelli della sua provincia denotano un accrescimento del tasso estorsivo (24,7) e una riduzione di quello intimidatorio (427,9). Quali ipotesi sono compatibili con questi dati? Probabilmente, da un lato, può essere verosimile che a fronte di una pressione estorsiva il silenzio delle vittime sia perseguito in 19. dia, Relazione semestrale al Parlamento, op. cit., I semestre 2014, p. 120 (corsivo nostro). 248 giacomo di gennaro misura maggiore rispetto alla ribellione che la denuncia delinea. Ma questa ipotesi contrasterebbe con l’aumento delle denunce registrate in provincia. È più verosimile, dall’altro, che il forte carattere imprenditoriale del cartello dei casalesi – i cui clan sono impegnati, per es. il gruppo Zagaria, nella gestione di servizi pubblici, di appalti, corruzione di rappresentanti delle istituzioni anche in altre regioni ancorché nelle amministrazioni locali dei comuni dell’area, nella grande distribuzione, nell’edilizia e nel commercio – abbia spinto diversi clan a orientarsi verso tali attività e gestione di traffici più redditizi (si pensi al traffico dei rifiuti) piuttosto che permanere nell’attività estorsiva praticata maggiormente in provincia ove le attività economiche restano maggiormente assoggettate al radicamento in molti comuni del gruppo Schiavone, della fazione Bidognetti, del sodalizio facente capo ad Antonio Iovine, del clan Papa, Belforte, Piccolo. Ciò nonostante i colpi inferti alla federazione conseguenti alla cattura non solo dei capi del direttorio ma all’incisiva aggressione dell’attività di contrasto praticata anche attraverso il sequestro e la confisca dei patrimoni illecitamente acquisiti. 4.4Napoli: le estorsioni tra violenza e consenso Come abbiamo visto dall’insieme dei dati fin qui e dalle considerazioni sull’origine dell’attività estorsiva, a Napoli le estorsioni sono un male ben radicato, un’alterazione che ha inquinato il tessuto sociale ed economico da lungo tempo. Dire che nel contesto partenopeo si concentra il volume più elevato di attività estorsiva sembra ormai un’affermazione che non contiene originalità. Non c’è relazione di intelligence nostrana, di commissione di inchiesta, di centro di ricerca che non sottolinei il carattere condizionante che il fenomeno assume nell’area napoletana e i modi e le ragioni che ne hanno determinato le radici. Tuttavia per quanto ascrivibile siano i fattori connessi ad una illegalità diffusa che in realtà non è inferiore a quella di altri contesti e per quanto possa esservi un iato o un conflitto tra norme legali e norme sociali al punto che direttrici di azione individuale o collettiva collidono le estorsioni in campania 249 con le aspettative delle norme giuridiche20, oppure per quanto il radicamento dei clan di camorra abbia ingenerato una insicurezza collettiva al punto da spiegare l’adesione di molte vittime al clima di assoggettamento creato nel tempo, apparirebbe del tutto infondato sostenere che è solo grazie alla violenta capacità regolatrice dei clan che si deve la significativa ragione dell’affondamento delle radici dell’attività estorsiva. In realtà ciò che è definito legale e illegale soffre di sfumature e gradazioni tali per cui spesso prescrizioni giuridiche e sociali non solo non concordano ma ciò che in una determinata situazione un comportamento per uno è definito in termini assoluti e non negoziabili, per un altro è oggetto di soggettiva interpretazione o giustificazione. È così che quel carattere apparentemente univoco delle norme si scolorisce ed assume quella caratteristica che Gaymard ha definito di “condizionalità”, ovvero variazioni che si presentano sul piano fattuale, concreto e rendono possibili particolari comportamenti in quanto giustificati, sebbene contrari alle norme legali, in nome del contesto, delle pratiche diffuse, delle convenienze di turno21. Ed è così che l’attività estorsiva non è più solo il risultato di una imposizione, di una estrazione predatoria di risorse ma è capace di trovare anche consenso in vittime che più che adattarsi alle circostanze le trasformano in vantaggi personali. Sarebbe lunga la casistica da riportare di imprenditori vicini a clan o espressione di questi che si avvantaggiano dell’imposizione monopolistica di servizi, beni, forniture i cui proventi vengono poi reinvestiti in acquisizioni di immobili, in attività commerciali ed economiche fuori dalla regione o in altre città della stessa22. 20. Le norme legali sono disposizioni di legge che dettano prescrizioni di comportamento che se disattese generano sanzioni; le norme sociali sono regole che nascono dalla istituzionalizzazione di comportamenti che se ritenuti appropriati sono condivisi da una collettività. Su questo, vedi C. Bicchieri, The Grammar of Society: the Nature and Dynamics of Social Norms, Cambridge University Press, New York 2006. 21. Cfr. s. gaymard, The Theory of Conditionality: An Illustration of the Place of Norms in the Field of Social Thinking, “Journal for the Theory of Social Behaviour”, vol. 44, 2, 2014, pp. 229-247. 22. Nell’ambito di una investigazione sul clan Moccia la Dia di Napoli ha accertato una gestione monopolistica di servizi di onoranze funebri che ha prodotto il 14 febbraio 2014 un decreto di sequestro e confisca di beni emesso dal Tribunale di Napoli e riconducibili ad un imprenditore legato al clan che avvantaggiandosi dell’azione 250 giacomo di gennaro Abbiamo visto che a Napoli la pressione dei clan è elevata al punto che lo spazio fisico, quartiere, zona, piazza, circoscrizione, municipalità condiviso da un nucleo familiare orientato ad uno stile di vita illegale è molto circoscritto essendovi un addensato numero di gruppi criminali, bande e clan dediti alle attività illegali (39 affermati e circa una decina tra sottogruppi e bande). Uno spazio sociale nel quale l’impronta non è solo al maschile ma anche al femminile. Napoli costituisce l’ambito nel quale per primo le donne hanno assunto un ruolo visibile e significativo nell’ambito anche della storia criminale. Si è osservato che esiste anche nelle del sodalizio ne condivideva i profitti reinvestendoli in Abruzzo. Spesso le estorsioni vengono camuffate con l’offerta di forniture che in realtà sono maggiorate: è il caso emergente, nell’ambito di una operazione dei carabinieri che ha portato all’arresto di un esponente del gruppo Schiavone, dall’O.C.C. 126/2014 emessa il 6 marzo 2014 dal Tribunale di Napoli nei confronti di sei indagati per estorsione che imponevano a commercianti nella provincia di Caserta l’acquisto di materiale di cancelleria e pubblicitario a prezzi sensibilmente maggiorati rispetto a quelli di mercato. Un caso di sistematica attività estorsiva realizzata con l’acquisizione di tangenti e combinata con un’azione intimidatoria finalizzata a impadronirsi nelle aste di beni immobili, emerge nell’ambito dell’”Operazione Fulcro” condotta in diverse città della penisola nelle quali esponenti di spicco del clan Fabbrocino egemone nell’area vesuviana del napoletano ma con legami con i Licciardi di Secondigliano, i c.d. “scissionisti” Amato-Pagano presenti in alcuni comuni dell’hinterland, le famiglie Mazzarella di S. Giovanni a Teduccio e Russo di Nola, sono stati colpiti da ordinanza di custodia cautelare emessa il 18 dicembre 2012 a seguito di una indagine svolta tra il 2008 e il 2011 dalla quale si è documentata la relazione sistematica con una famiglia di imprenditori che nell’arco di un decennio ha creato un impero economico attraverso investimenti anche all’estero e acquistando aziende, apparati produttivi e società commerciali. «Fidati professionisti non estranei alle logiche affaristico-criminali sono risultati impegnati nel garantire buoni rendimenti di capitali loro affidati dal clan, commettendo evasione fiscale, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, truffe ai danni dello Stato, falsificazioni contabili, bancarotta fraudolenta, esportazione illecita di capitali, strumentalizzazione di benefici tributari quali il condono fiscale del 2002 ed erogazioni statali ottenute per investimenti produttivi, sottratte alla loro destinazione legale». La poliedricità degli interessi del sodalizio estesi in varie regioni d’Italia con investimenti in aziende agricole, supermercati alimentari, fabbriche tessili, negozi si reggeva, inoltre, su una sistematica richiesta di tangenti su tutte le attività imprenditoriali, sugli appalti pubblici relativi alla raccolta di rifiuti e sulla realizzazione di tratti della S.S. 268, in relazione ai quali venivano versate dalle ditte aggiudicatrici tangenti tra il 3 e il 5% dell’importo dei lavori. Cfr. o.c.c. 776/12 emessa il 10 dicembre 2012 dal Gip del Tribunale di Napoli nell’ambito del proc. pen. r.r. 20194/10 RGNR in ordine ai reati ex art. 416 bis, 629 c.p., 644 c.p., 12/quinqies L. 356/1992 aggravati dall’art. 7 D.L. 152/1991; nonché l’o.c.c.c. del 13.3.2012 n. 48015/08 RGNR, n. 12934/09 RGIP. le estorsioni in campania 251 organizzazioni mafiose una questione di gender nel senso non solo di donne vittime perché usate come merce di scambio nelle strategie e alleanze “matrimoniali” fra clan, ma perché da lungo tempo e nella camorra prima delle altre storiche organizzazioni criminali vi è stata, e oggi vi è in una misura più forte e diversa, un’influenza esercitata dalle donne sul modo in cui si produce e riproduce la devianza e la cultura criminale, la difesa del nucleo familiare, la riproduzione delle pratiche sociali, culturali e religiose che modellano l’universo cognitivo subculturale deviante dei clan23. Le donne non solo depositarie di tradizione, silenzi, storie dei mariti, delle famiglie, dei legami parentali, di impegni credibili, di cooperazione e condivisione di informazioni su atti violenti. Le donne garanti della reputazione maschile, operatrici di commissioni per mariti, fidanzati, amanti, destinatarie degli “stipendi” del familiare detenuto. Ma le donne anche come fomentatrici e interpreti di omicidi, vendette, esecuzioni. Insomma, le donne esercenti un potere interno a diversi clan e famiglie di camorra quale esito di un’autonoma e progressiva crescita culturale, carismatica, criminale, imprenditoriale, «in grado di gestire anche grossi traffici illeciti». Un esempio non esclusivo si può trarre dall’operazione conclusa il 27 maggio 2009 nei confronti dell’organizzazione dei Sarno e gruppi alleati, operanti nell’hinterland napoletano. «Tra le sessantaquattro persone arrestate, infatti, ci furono dieci donne che ricoprivano ruoli di vertice in seno ai sodalizi Arlistico, Terracciano e Orefice, attivi nei comuni di Pollena Trocchia, 23. La letteratura sociologica e antropologica sul ruolo femminile nelle organizzazioni criminali è ormai ampia, per cui si indicano solo alcuni lavori dai quali sono poi possibili nuovi approfondimenti. Cfr. r. siebert, Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994, e id. (a cura di), Relazioni pericolose. Criminalità e sviluppo nel Mezzogiorno, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; g. fiandaca (a cura di), Donne e mafia. Il ruolo delle donne nelle organizzazioni criminali, Università degli Studi di Palermo, Dipartimento di Scienze Penalistiche e Criminologiche, Palermo 2003; o. ingrascì, Donne d’onore. Storie di mafia al femminile, Mondadori, 2007; aa.vv., Donne di mafia, in «Meridiana», 67, 2010; a. iaccarino, Dinamiche di genere nel fenomeno mafioso e camorristico, Aracne, Roma 2010; a. zaccaria, Donne di camorra, in g. gribaudi (a cura di), Traffici criminali, op. cit, pp. 280-309; a. dino, Il ruolo delle donne all’interno delle organizzazioni criminali mafiose, in a. civita e p. massaro (a cura di), Devianza e disuguaglianza di genere, FrancoAngeli, Milano 2011. 252 giacomo di gennaro Massa di Somma, Sant’Anastasia e San Sebastiano al Vesuvio»24. Ruoli sempre più diversi che vanno dalla custodia delle armi alla vigilanza esterna, dall’assistenza ai latitanti, all’acquisizione e circolazione delle informazioni, dal ruolo di corrieri di stupefacenti, a quello di venditrici di droga, a regolatrici di estorsioni. Ma veniamo ai dati. Le estorsioni scoperte nella città sono state 234 nel 2010, nel 2011 scese a 208, risalite nel 2012 a 237 e nel 2013 registrate 224. Si può dire che sostanzialmente il dato è stabile e che l’oscillazione dipenda dalla collaborazione delle vittime e dall’intensità investigativa. Tuttavia, presupposto che, dato il carattere strutturale del fenomeno, quest’ultima non si riduce, è più fondato attribuire alla ridotta determinazione delle vittime il calo delle denunce. Qui, ovviamente si porrebbe la domanda: perché? Se osserviamo i dati relativi alle persone denunciate e/o arrestate emerge che si è passati dalle 454 del 2010 alle 330 del 2011, fino a raggiungere le 374 del 2012 e le 407 del 2013, con un rapporto persone/reato che varia dall’1,94 del 2010 all’1,59 del 2011, all’1,82 del 2013. Come si vede una crescita leggera nell’ultimo anno nel rapporto tra autore del reato e atto estorsivo. Un rapporto che, data l’alta densità dei clan nella città, conferma la presenza di un numero maggiore di persone dedite alla consumazione dell’evento rispetto alla provincia in ragione proprio della necessità di affermare un dominio territoriale, sebbene limitato, altamente conteso. Nell’intera provincia si è passati, invece, dalle 619 segnalazioni per estorsione del 2010 alle 589 del 2011, fino alle 583 del 2012 e 557 del 2013. La riduzione delle segnalazioni non necessariamente è un segnale della contrazione reale ma più verosimilmente della minore disponibilità delle vittime a denunciare e collaborare con le forze di polizia e con la magistratura. In ogni caso il valore medio della provincia è pari al 56,6% del totale regionale. Il rapporto tra persone denunciate e/o arrestate e reato di estorsione passa da 1,63 del 2010 all’1,52 del 2011 all’1,63 del 2013. Ma se tale rapporto lo calcoliamo estraendo i valori della 24. Cfr. dia, Relazione del Ministro dell’Interno, I semestre 2009, op. cit. p. 137. le estorsioni in campania 253 città partenopea, essi calano leggermente: 1,44 nel 2010, 1,58 nel 2012, 1,51 nel 2013, con una media che si attesta all’1,57 per la provincia e 1,61 per la città. Sia il maggior carattere predatorio che l’alta densità dei clan spiegherebbero, a nostro avviso, una maggiore presenza di autori dediti all’attività estorsiva. Una presenza che si spiega peraltro con la elevata disponibilità, specie nei quartieri più emarginati, di giovani gregari desiderosi di mettersi in mostra ed entrare a far parte di specifici clan. La possibilità di reclutare costantemente e disporre di una riserva di manovalanza rende più facile il processo sostitutivo e riduce l’esposizione dei capi. Che oltretutto a Napoli sia datata la pratica estorsiva è emerso più volte, il che vuol dire che sia sulla dimensione spaziale (ovvero quantità di spazio fisico condiviso da persone orientate al crimine) che su quella temporale (ovvero il tempo che tali persone trascorrono gli uni accanto agli altri) cadenzata dalla circolazione delle conoscenze, dei valori subculturali devianti, dei modelli di comportamento e definizioni della realtà, delle pratiche sociali comuni, si sviluppa una condivisione prolungata e spazialmente vicina di relazioni sociali che quando veicolate strategicamente su precise attività illegali inevitabilmente si capisce per quale ragione finiscono per imbrigliare un numero elevato di vittime che, in questo caso, piuttosto che reagire, finiscono per assuefarsi alla situazione. È forse questa la ragione che spiega perché a fronte del più alto numero medio di denunce per estorsione (226) si registra il più basso rapporto con i reati spia: 20,3. La radicata pratica dell’attività estorsiva non necessita di fare un ricorso costante ad atti intimidatori eclatanti, che oltretutto richiamerebbero l’attenzione degli investigatori, ma il suo grado di variazione della violenza è correlato ad una serie di fattori (reputazione del clan; ampiezza del gruppo; radicamento temporale; tipologia di vittima; controllo territoriale) che forniscono indicazioni sulle circostanze in cui la violenza si presenta. A volte è sufficiente un avvertimento, un “passaggio” presso il negozio, l’impresa o la “convocazione” del responsabile per addivenire subito a miti consigli. Essendo questa prassi, oltretutto, anche ricercata attraverso la “mes254 giacomo di gennaro sa a posto” da parte di imprenditori e responsabili di attività economiche, si crea un clima ambientale, una condizionalità relazionale sociale che riduce il fatto estorsivo ad una categoria di “regolarità ambientale”, di “costo collettivo ineludibile”. È questo un limite espresso dalle stesse vittime le quali, inconsapevolmente, rafforzano la debolezza situazionale e ambientale nelle quali sono precipitate, la rendono più vulnerabile. La violenza, quindi, non è esercitata, contrariamente a quanto si è portati a credere, in forma cruenta sulla vittima, ma sui rivali, sui nemici dell’altro clan, sui concorrenti che minano il territorio, lo spazio fisico sul quale è stato costruito il dominio e dal quale si drenano le risorse funzionali all’individuazione di chi è “il sovrano” di turno. È, infatti, più la lotta fra i clan, le faide continue, gli scontri e conflitti fra le diverse famiglie, la rottura degli equilibri camorristici o la successione ai vertici di una organizzazione a mietere più vittime. Una tensione che è determinata dalla stessa elevata contiguità spaziale fra famiglie, clan e gruppi criminali i quali proprio perché addensati su spazi limitati accrescono la tensione per effetto della moltiplicazione dei motivi che danno luogo a contrasti e conflitti. Non è un caso che negli ultimi anni piuttosto che contrarsi è aumentata la parcellizzazione fra i clan proprio perché il numero delle famiglie che cercano un predominio territoriale, sebbene limitato, si va accrescendo. L’ideologia della violenza che è sottesa alla vita aggregata di un clan, ma non è la matrice centrale, è veicolata in forme e modalità efficaci verso l’avversario (gregario o affiliato di altro clan) o il reggente del clan nemico, ed è per questa ragione che in alcuni momenti piazze, strade, locali diventano teatro dei sanguinosi scontri. Mutuando il linguaggio interattivo che fa da sfondo alla teoria della violenza micro-situazionale elaborata da Collins sull’esistenza di diversi tipi di violenza, si potrebbe sostenere che questa assurge a forme così estreme, come l’omicidio, perché risponde ad una precisa logica situazionale nella quale specifiche strategie relazionali modellano un flusso di emozioni (rabbia, eccitazione, aggressività), di paure (perdita del potere; del controllo di attività; minaccia) e di azioni che rendono le estorsioni in campania 255 le persone attori (interpreti) di un confronto antagonista nel quale le traiettorie della violenza circumnavigano quelle che Collins ha chiamato «le barriere della tensione e della paura» che si presentano ogni qualvolta una situazione di tensione si trasforma in uno scontro25. Questa traiettoria violenta è oggi oltretutto più esposta all’imprevedibilità perché sono molti i killer di giovane età che senza un adeguato addestramento strategico si prestano a compiere delitti al fine di esibire un’affidabilità propedeutica all’ingresso in più stabili e radicati clan. 4.5Caserta: il modello mafioso in Campania Dire Caserta e la sua provincia significa, nel contesto del nostro ragionamento, dire Casalesi, ovvero un modello organizzativo criminale e affaristico vicino al modello mafioso incorporata in un contesto sociale e i cui caratteri fondamentali immutati per un lungo tempo sono: «la struttura piramidale dell’organizzazione con al vertice un capo da tutti riconosciuto, ed una sorta di “cupola” che prendeva le principali decisioni strategiche da un punto di vista criminale e la particolare propensione al controllo di interi comparti economici e la collusione con la politica»26. Se, infatti, la progressiva frantumazione caratterizza le interazioni organizzativo-criminali dei fluidi clan metropolitani partenopei per effetto delle costanti scissioni all’interno dei clan, rendendo, per ciò stesso più difficile e complessa la strategia di contrasto, dal contenuto delle stesse propalazioni dei collaboratori di giustizia emerge un quadro conoscitivo della criminalità casertana che è invece rappresentabile con una architettura organizzativa più gerarchica, caratterizzata da un modello decisionale centralizzato, coesa in misura superiore rispetto ai clan napoletani e con una struttura reticolare federata di tipo 25. r. collins, Violenza. Un’’analisi sociologica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014, pp. 18-19 e 37 e ss. 26. Cfr. dna, Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale antimafia e dalla Direzione nazionale antimafia nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso, 1 luglio 2013-30 giugno 2014, Roma gennaio 2015, p. 113. 256 giacomo di gennaro frattale, identificabile con la simbologia del cavolfiore o dell’immagine dell’uva, ancorata alle decisioni della “cupola” o del “gruppo dirigente”. Per cui i capi-zona o referenti affiliati alle diverse componenti o fazioni del cartello avevano competenze territoriali specifiche e limitati gradi di autonomia, sufficienti ad evitare frizioni interne, tant’è che da essi andavano rimessi tutti i proventi delle attività illegali «mensilmente» alla cassa comune dell’organizzazione per poi essere ripartiti «fra i vari capi e capi-zona affinché pagassero gli stipendi agli affiliati che da loro dipendevano direttamente»27. Non c’è dubbio che l’arresto del ghota del cartello dei casalesi (Bidognetti, famiglia Schiavone, De Falco, De Simone, Diana, Setola, La Torre, Caterino, Zagaria, Iovine) e l’esito nel tempo delle interne fratture e scissioni può indulgere molti all’entusiastica idea che il clan dei casalesi sia stato dopo oltre venticinque anni talmente indebolito da potersi considerare debellato28. E invece il capillare controllo dei territori, i radicati complessi intrecci di interessi con esponenti dell’imprenditoria 27. Il riferimento al frattale appare più idoneo alla raffigurazione anche geometrica del clan dei casalesi perché la proprietà riproduttiva dei gruppi sull’ampio territorio casertano, e non solo, appare dotata di omotetia interna, ovvero la forma organizzata si ripete allo stesso modo (autosimilarità o autosomiglianza) indipendentemente dalla dilatazione o contrazione dei gruppi i quali conservano l’impronta originale. Un esempio può derivarsi dal cavolfiore i cui peduncoli fiorali hanno dimensioni diverse ma simili anche se la colorazione è varia e sono tutti ancorati; oppure l’immagine dell’uva i cui numerosi acini sono aggrappati al graspo che dà vita al grappolo. Sulle modalità di gestione delle risorse vedi, dna, Relazione annuale, 2015, op. cit., pp. 116-117. 28. Il primo indubbio grande colpo il cartello lo riceve in maniera definitiva con la sentenza pronunciata il 15.09.2005 dalla 2° Corte di Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che in oltre tremila pagine di motivazione (processo Spartacus I) e ricostruendo un quindicennio di storia criminale casertana (1982-1996), comminava pene per un totale di circa 70 ergastoli e oltre 900 anni di detenzione. Il 19 giugno 2008 si è concluso il processo d’appello svolto presso la I sezione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli la cui sentenza di secondo grado ha confermato sostanzialmente il quadro accusatorio delineato dai magistrati di primo grado, condannando al carcere a vita tutti i boss del clan dei casalesi. Il 15 gennaio 2010 la Cassazione ha confermato tutti gli ergastoli e le diverse condanne respingendo tutti i ricorsi presentati dagli imputati e chiudendo in maniera definitiva questo iter giudiziario. Sulla vicenda dei Casalesi esistono ormai diverse pubblicazioni che ricostruiscono fatti con narrazioni fondate sui materiali giudiziari indicati; comunque si possono vedere, m. anselmo e m. braucci, Questa corte condanna. Spartacus, il processo al clan dei casalesi, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2008; r. capacchione, L’oro della camorra, Bur Rizzoli, Milano 2008. le estorsioni in campania 257 regionale e della politica locale, il forte carattere imprenditoriale mantenuto nel tempo e garantito attraverso forme diverse di reinvestimento dei profitti illeciti, l’abilità nel saper mimetizzare ogni diretta presenza utilizzando la rete relazionale costituita da professionisti, commercianti, imprenditori, persone affidabili e capaci, per infiltrarsi nelle amministrazioni locali, intercettare risorse pubbliche, alterare le competizioni elettorali, acquisire beni aziendali, investire in nuove attività economiche, tutto questo impedisce di approdare a note ottimistiche. Non è un caso che nell’ultima relazione del Procuratore nazionale antimafia si legge: «il clan casalese, se da un punto di vista militare, appare, attualmente, meno aggressivo e compatto di un tempo, rimane tuttavia, da un punto di vista economico e della sua struttura (capillarmente diffusa su di una intera – ed estesa – provincia) come uno fra i sodalizi più stabili, radicati e potenti della Campania»29. La ragione sostanziale di tale potere criminale, in questa fase di transizione, risiede nella forte connotazione economico-imprenditoriale del cartello impegnato sia su attività più locali (estorsioni, usura, controllo degli appalti, smaltimento illecito dei rifiuti, traffico di stupefacenti, gestione delle scommesse clandestine) che su operazioni di riciclaggio e investimento dei capitali illeciti realizzati sull’intero territorio nazionale e all’estero grazie alla quale attrae spregiudicati imprenditori e broker finanziari che operano come fiancheggiatori, fiduciari, prestanome, intermediari cooperando in forme diverse, nonché reclutando, con un carattere di successione dinastica, nuove leve chiamate ad assumere ruoli e svolgere funzioni strategiche30. Sulla metamorfosi delle mafie e la ragnatela dei casalesi, vedi, r. cantone, I Gattopardi, Mondadori, Milano 2010. 29. Cfr. dna, Relazione annuale, 2015, op. cit. p. 112. 30. Un esempio della modalità operativo-imprenditoriale viene dall’operazione della Dia di Napoli e dei Carabinieri di Caserta, coordinata dalla Procura e DDA di Napoli, denominata “il Principe e la Ballerina” che portò all’arresto il 06/12/2011 di oltre cinquanta tra personaggi del mondo bancario ed imprenditoriale operanti oltre che in Campania, nel Lazio, in Toscana, nell’Emilia Romagna, in Lombardia e Veneto ed esponenti del clan dei casalesi (in particolare le componenti di Schiavone e Bidognetti), ai quali si aggiunse la richiesta di arresto per Nicola Cosentino (ex sottosegretario all’economia) e 258 giacomo di gennaro L’attività estorsiva del cartello è ancora rilevante e si attua sia sotto forma di richiesta di “pizzo” a imprenditori e commercianti31 che – in misura maggiore – con modalità di offerta di servizi (macchine per movimento terra, calcestruzzo, mano d’opera, slot machine, videopoker, ecc.) che a tappeto interessa i territori dell’agro-aversano e dell’alto casertano32. I profitti derivanti dall’attività estorsiva costituiscono la base per pagare gli stipendi ai numerosissimi affiliati detenuti e solo una parte di essa viene riciclata in attività economiche legali. L’indebolimento di alcune fazioni (per es. la componente bidognettiana), così come la riduzione dell’ala militare del gruppo di Setola e la contrazione della componente Iovine, sta offrendo l’occasione a molti affiliati di ridisegnare le proprie aggregazioni o a clan egemoni in alcuni comuni (per es. i Belforte a Marcianise; i Venosa ad Aversa; il gruppo Fragnoli-Gagliardo-Boccolato sul litorale l’estensione delle indagini a carico del Presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro. L’indagine chiusa nel 2012 (n. 2528/10/21) ruotava intorno alla costruzione di un centro commerciale a Casal di Principe in cui le famiglie Russo-Schiavone, attraverso una rete di imprenditori “presta-nome” intendevano reinvestire i loro capitali e con la compiacenza di politici acquisire le autorizzazioni in cambio di assunzioni che si sarebbero tradotte in voti (elezioni amministrative e provinciali nel 2007 e 2010). L’indagine ha prodotto la condanna, in sede di rito abbreviato, di quasi tutti gli imputati, che rispondevano di associazione mafiosa, reimpiego di capitali e 416 ter c.p. La ricostruzione dei fatti ha dato conto, come scriveva il Gip nell’O.C.C., «di un’osmosi con effetti patologici nei settori più rilevanti della vita sociale e politica della provincia casertana: quello elettorale, quello economico e quello istituzionale». Si delinea in questa maniera come la difesa e rappresentanza degli interessi del clan non avviene attraverso affiliati o capi-zona, ma mediante collusi imprenditori e politici locali e non «che violando regole urbanistiche e bancarie, si adoperavano, chi in cambio di voti e consenso, chi per soldi, per il perseguimento delle finalità ultime dell’organizzazione». 31. Emblematica, per esempio, l’indagine coordinata dalla Procura e DDA di Napoli, i carabinieri del nucleo operativo della compagnia di Casal di Principe e della stazione di San Cipriano d’Aversa che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, con la misura coercitiva del carcere, emessa dall’Ufficio del Gip presso il Tribunale di Napoli che ha portato il 20/01/2014 all’arresto di alcuni esponenti del clan di Zagaria che tra il 2004 e il 2012 si sono resi responsabili di attività estorsiva nei confronti di diversi imprenditori della provincia di Caserta ai quali richiedevano in forma rateizzata il pizzo per importi che variavano dai 2000 ai 20.000 euro sugli appalti pubblici e i lavori privati eseguiti anche fuori provincia. 32. Nell’ambito dell’operazione “Rischiatutto” è stata emessa l’O.C.C. nr. 45702/12 RGNR, nr.12979/13 RGIP e nr. 351/13 O.C.C. del 31/05/13 del G.I.P. di Napoli nei confronti di cinquantasei persone legate al clan Schiavone responsabili della gestione illegale di alcune sale di scommesse e di una rete online. le estorsioni in campania 259 domitio; La Torre a Mondragone) di costruire nuove alleanze ed espansioni verso nuovi territori33. È questa ricomposizione che appare più compatibile con le ragioni che sottendono al diverso tasso estorsivo medio tra la città di Caserta, che nel periodo 2010-2013 è più contenuto, rispetto a quello della provincia nella cui area, però, si registra un minore tasso di reati spia e un rapporto medio più basso tra estorsioni e reati spia. Questo potrebbe essere compatibile con l’ipotesi che l’esercizio del controllo territoriale nei comuni della provincia è più forte e minore è il ricorso alle intimidazioni violente o maggiore è il consenso e l’adesione alla pratica estorsiva da parte delle vittime. E ciò avrebbe senso sempre se si parte dal presupposto che intanto un potere criminale si edifica e funziona se ogni forma di relazione ad essa funzionale si rende possibile nell’interazione con il contesto. In ogni caso gli equilibri complessivi nella geografia dei clan del territorio è ovvio che hanno risentito dell’azione investigativo-giudiziaria di questi ultimi anni e ne consegue una inevitabile ricollocazione di vecchie e nuove famiglie. La collaborazione di Antonio Iovine con la magistratura, iniziata nel maggio del 2014 e ancora al vaglio degli inquirenti per verificarne l’attendibilità, costituisce rispetto al territorio casertano e non solo, il fatto più interessante per l’analisi della dinamica criminale dell’area, dal momento che le sue dichiarazioni e i suoi riscontri permetteranno di ricostruire e fare luce su quasi trent’anni di storia criminale regionale in considerazione del ruolo ricoperto, a partire dall’assalto alla tenuta dei 33. Il gruppo Belforte è stato oggetto di diverse indagini dalle quali sono emerse radicate capacità organizzative dell’attività estorsiva. Nel corso di una investigazione condotta congiuntamente dai carabinieri del comando provinciale, dalla squadra mobile e dalla GdF di Caserta è stato rinvenuto il 24 aprile del 2012 un libro contabile su cui erano trascritte ben 350 imprese attive in diversi settori economici tra Caserta e comuni limitrofi sottoposte alla pressione estorsiva dal sodalizio. L’O.C.C. n. 31215/07 RGNR e n. 53619/07 RGIP, emessa dal Gip del Tribunale di Napoli, ha ricostruito sulla base di due anni circa di investigazioni, l’organigramma e le attività del gruppo al quale sono stati sequestrati beni per 10 milioni di euro e nel quale hanno assunto un ruolo determinante le mogli dei capiclan dirigendo l’organizzazione, impartendo ordini e gestendo la cassa. 260 giacomo di gennaro Nuvoletta di Vallesana, fino ai più recenti omicidi. Ma più ancora saranno significative se contribuiranno in modo chiaro a illuminare ancora di più i sotterranei meccanismi, intrecci e relazioni sui quali gli interessi tra imprese, ambienti criminali organizzati e mondo della politica trovano unitaria soluzione e permettono al potere criminale di radicarsi nei contesti. 4.6L’appetibilità dei nuovi territori: il caso del salernitano La provincia salernitana si caratterizza nel territorio regionale per il fatto di essere la superficie più estesa (4.918 kmq) e di essere costituita dal più alto numero di comuni (158). I confini a nord-ovest con la città metropolitana partenopea esibiscono due scenari contrapposti: da un lato, in molti comuni più prossimi al capoluogo regionale, ove si staglia l’Agro NocerinoSarnese e la valle del Sarno, si rintracciano similari dinamiche socio-economiche sostanziate da alta densità abitativa (la più alta della provincia), alto addensamento di comuni conurbati tra il capoluogo regionale e quello provinciale e presenza cospicua da lungo tempo di clan di camorra. Dall’altro, a questa propaggine di comuni si contrappone con stridente combinazione di fattori socio-ecologici un altrettanto vicino territorio alla città di Napoli che si sviluppa sulla costa con una morfologia territoriale estremamente varia: la frastagliata, aspra ma unica per panorama Costiera Amalfitana (parte meridionale della penisola sorrentina). Al discendere verso sud-est il territorio salernitano si caratterizza per la presenza di una più vasta area che si perde prima tra la piana del Sele e l’area archeologica di Paestum e poi lungo le montuose e verdeggianti valli del Cilento, Vallo di Diano, del Sele e Calore abitate da comunità montane che sebbene di difficile accessibilità sono ricche di storia le quali si alternano, lungo la costiera cilentana, ai più popolati centri marini estesi lungo le ampie, piatte e sabbiose spiagge che si prolungano fino al golfo di Policastro. La vastità del territorio e la sua contemporanea varietà attraversata anche da eccellenze ambientali riconosciute le estorsioni in campania 261 dall’Unesco quali Patrimonio dell’Umanità e da straordinari siti archeologici e impreziosite testimonianze architettoniche e storiche in diversi comuni, hanno reso la provincia di Salerno una interessante area caratterizzata nell’ultimo decennio dallo sviluppo dell’agroindustria, del terziario e del turismo. Gli investimenti per l’ammodernamento infrastrutturale, il recupero dei centri storici, delle più significative tradizioni folkloriche locali ed le esperienze più innovative di imprenditorialità nel turismo, hanno reso più dinamiche le economie locali generando per non pochi aspetti convenienze di investimento in molte realtà della provincia. Ed è proprio questa dinamicità che attrae sia nuova imprenditorialità sia nuove dinamiche illegali che da un lato vedono attivi, attorno a figure “storiche” della originaria criminalità salernitana, giovani gang e bande che si proiettano nella scena criminale per legittimarsi, sebbene in condizioni di subalternità alle più strutturate organizzazioni criminali napoletane, e dall’altro, una «”migrazione” verso tale area di interessi economici e finanziari direttamente o indirettamente riconducibili ai contesti più strutturati e pericolosi della camorra napoletana. A questa strategia non appare estraneo l’apporto di soggetti legati al mondo delle professioni. Si delinea, in buona sostanza, il rischio di colonizzazione del tessuto economico da parte di una imprenditoria direttamente o indirettamente riferibile alla grande criminalità di importazione, di origine essenzialmente napoletana»34. Allo sviluppo, infatti, della zootecnia, dell’agricoltura e dell’industria alimentare specie nella piana del Sele, si accompagna la crescita di nuovi settori e segmenti economici, di rischi speculativi nell’edilizia e ciò delinea l’elevato rischio di penetrazione degli interessi criminali a seguito dell’incremento degli appalti pubblici. L’attività estorsiva, come abbiamo visto, presenta dati assoluti che appaiono irrilevanti se considerati in ragione sia degli elementi socio-economici indicati che se comparati con quelli di altre province. Così come apparirebbero insignificanti 34. dna, Relazione annuale, op. cit., gennaio 2015, p. 129. 262 giacomo di gennaro i 13 clan georeferenziati dalla Dia nella prima relazione semestrale del 2014, anche perché sostanzialmente concentrati tra la città di Salerno, la Piana del Sele e l’Agro nocerino-sarnese. Il recente scioglimento del comune di Battipaglia per infiltrazioni camorristiche operate da gruppi dei casalesi sono un segnale dell’appetibilità delle risorse pubbliche, dei rischi di infiltrazione ingenerati dagli investimenti per i lavori dell’ammodernamento dell’autostrada A3 e quelli afferenti alla realizzazione del “Campus” universitario di Fisciano. D’altra parte, un aumento delle investigazioni dal 2009 agli anni più recenti con relativa ascesa delle denunce mostrano come sia l’area provinciale di Salerno che la città siano interessate da una crescita del fenomeno estorsivo: dal 2010 al 2013 il tasso di estorsione provinciale passa dal 15,0 al 20,8 sulla popolazione da noi determinata 14-80 anni, a fronte di quello cittadino che risulta del 13,6 nel 2010 e del 25,8 nel 2013; con un tasso medio che nella provincia si attesta al 19,4 e in città al 24,7. Salerno è la città che fa registrare, dopo Napoli, il più alto volume di atti intimidatori (4.594) e se consideriamo il dato provinciale esso si accresce (6.996). Proprio la maggiore attività di infiltrazione nelle nuove aree della provincia potrebbe spiegare il ricorso a strategie di convincimento poste in essere da clan di altre province interessati ad inserirsi negli appalti pubblici attraverso imprese collegate con articolazioni criminali territoriali. Inoltre, l’attenzione da parte dei gruppi locali al mercato degli stupefacenti è fortemente cresciuta, facilitata da accordi strategici con altri sodalizi criminali campani e alimentata dal crescente flusso turistico che rende, le diverse località della costa, luoghi ideali per soddisfare una domanda sempre più sostenuta35. La disponibilità di ingenti liquidità consente la promozione di ulteriori attività (in primis l’usura), di traffici legati 35. Dall’analisi degli atti relativi all’o.c.c. emessa il 23/10/2013 dal Gip del Tribunale di Salerno n. 3454/2010 RGNR n. 6812/2011 RGGIP, si ricostruisce un investigazione sfociata con un provvedimento che ha interessato 42 persone ritenute affiliate ad una organizzazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacenti operante tra Eboli e la Valle dell’Irno condotta con il coinvolgimento di esponenti del clan GALLO di Torre Annunziata (Napoli). le estorsioni in campania 263 allo smaltimento dei rifiuti e, attraverso lo scambio corrotto, l’intercettazione di enormi flussi di spesa pubblica connessi alla riqualificazione urbana, portuale e costiera. È per le ragioni indicate, pertanto, che un accentuarsi dell’attività investigativa specialmente in quelle zone ove il radicamento e l’infiltrazione non sono ancora sostenuti, può scoraggiare che economie locali siano plasmate dalla sociabilità dell’interazione criminale mafiosa. 4.7Benevento e Avellino: altro che aree immuni! In base all’ultimo aggiornamento dei dati della DNA e della DIA emerge che la provincia di Avellino è abitata da quattro importanti clan, ognuno dominante su una estesa ma limitata zona: originario del comune di Quindici il clan Cava storicamente contrapposto al gruppo dei Graziano. Il radicamento del primo è datato e non poche volte è uscito vincente nelle contrapposizioni con il gruppo di Graziano36. La volontà di espansione è permanente e attualmente le mire di diffusione territoriale attraverso «l’azione di gruppi satelliti, quali il clan Giugliano e Sangermano»37 si orientano verso il nolano. Il clan Pagnozzi e quello Genovese sono più presenti, il primo nell’area del capoluogo irpino e la prossimità della corona dei comuni limitrofi, il secondo nella Valle Caudina con operatività verso il casertano e il beneventano. L’indebolimento investigativo-giudiziario ha frantumato e disarticolato il clan dei Galdieri un tempo operante nella città di Avellino, ma gli investigatori segnalano dei tentativi di riorganizzazione della compagine. Questa la mappatura che appare aggiornata della presenza dei clan in terra irpina. In genere sia la provincia di Benevento che quella avellinese sono risultate ai margini dei fenomeni di criminalità organizzata 36. Per un’analisi più specifica del clan Cava secondo la modellistica applicativa della network analysis, si rimanda a a. scaglione, Reti mafiose. Cosa Nostra e Camorra: organizzazioni criminali a confronto, FrancoAngeli, Milano 2011, pp. 155-198. 37. dia, Relazione semestrale al Parlamento, I semestre 2014, op. cit., p. 125. 264 giacomo di gennaro sebbene, dopo il terremoto del 1980 che ha colpito soprattutto il cuore dell’Irpinia, l’enorme flusso di danaro pubblico connesso alla ricostruzione ha alimentato la voracità dei clan inseritisi negli appalti pubblici, intercettando i servizi di base nel campo dell’edilizia e gestendo, addirittura in prima persona attraverso imprese create ad hoc, la costruzione di uffici e siti pubblici38. Da tale periodo bande locali e clan più attrezzati, tra cooperazioni, alleanze e rotture con i più strutturati clan napoletani e casertani, hanno acquisito competenze affermandosi sui propri contesti locali e sviluppando in autonomia transazioni e relazioni economiche, traffici e attività illegali. L’attività estorsiva è sostanzialmente cresciuta nel periodo in esame raggiungendo valori molto alti in città piuttosto che in provincia. Il tasso estor38. Un minuto e venti secondi sono bastati per uccidere 2.735 persone e per ferirne 8.848. Dopo undici anni e i lavori di una Commissione parlamentare d’inchiesta, presieduta da Oscar Luigi Scalfaro, il quadro di quello che successe dopo, fu più chiaro. Si è parlato di Terremotopoli e di un buco nero dove sono finiti miliardi e miliardi di vecchie lire. Per la ricostruzione, per gli investimenti pubblici, gli aiuti alle imprese furono stanziati oltre 60mila miliardi. Sul fronte della ricostruzione abitativa i 542 comuni della Campania hanno ricevuto finanziamenti per 14mila miliardi di lire; 6459 mila quelli per i 119 comuni dell’Irpinia, che registrarono la distruzione del patrimonio edilizio superiore all’80%; 1475 miliardi al Beneventano (78 comuni); 2095 alla provincia di Napoli (86 comuni); 3567 a quella di Salerno (157 comuni). Ricostruzione che ha superato l’80%. Ma, spesso, in un modo distorto. La Corte dei Conti lo disse chiaramente: costi lievitati fino a 27 volte; il 48,52% dei progetti finanziati mai portati a termine; irregolari gli interventi per le imprese. La criminalità organizzata ha fatto il resto, con le mani sugli appalti. Scrisse la Commissione parlamentare antimafia nel ’93: «L’attività che si è svolta intorno all’utilizzo del fondi stanziata è stata condizionata dalle organizzazioni camorristiche». In Basilicata – sul territorio lucano il terremoto causò 140 morti – la ricostruzione del patrimonio edilizio abitativo ha raggiunto l’80 per cento circa, con la ‘’punta’’ del cento per cento a Balvano (Potenza), uno dei Comuni più colpiti dal sisma (dove morirono 77 persone), e la consegna di tutte le abitazioni agli sfollati o a chi aveva perso l’unica abitazione di proprietà. Secondo i dati forniti dalla Regione, quindi, la ricostruzione è terminata per tutti quei lucani costretti a lasciare le loro case per i danni del terremoto del 23 novembre 1980 (che causò anche circa 300 feriti e oltre 40 mila senzatetto, su una popolazione inferiore ai 600 mila abitanti), e in un terzo dei nove comuni dichiarati ‘’disastrati’’, dove le scosse resero inagibile il 60 per cento del patrimonio abitativo; otto case su dieci sono state invece ricostruite nei centri “gravemente danneggiati’”. Solo dopo trentadue anni, il 31 dicembre 2013 il governo Monti con l’art. 49 della legge per lo Sviluppo decreterà la fine entro l’anno successivo del Commissariato per la ricostruzione. Per una riflessione sulle politiche di ricostruzione e l’attuazione degli interventi, si veda, svimez, Rapporto 1988 (e Rapporto 1989) sull’economia del Mezzogiorno, il Mulino, Bologna 1988 e 1989. le estorsioni in campania 265 sivo per la provincia passa da 12,8 segnalazioni nel 2010 a 16,9 nel 2013 con una media per il periodo pari a 17,1 denunce ogni 100.000 abitanti sulla corte da noi definita. Ad Avellino l’andamento analizzato sulla base degli stessi riferimenti registra un tasso che va dall’11,1 del 2010 al 24,4 del 2013, con una media del 23,3. Tra tutti i valori delle province campane sono quelli che presentano scarti nel periodo più sostenuti. Se passiamo all’area beneventana, invece, il tasso estorsivo della provincia si attesta al 15,9 nel 2010 per raggiungere il 6,1 nel 2013, con una media provinciale pari al 12,4 (il più basso della regione). La città di Benevento presenta iniziali valori alti (13,7), per poi attestarsi al 4,0 nel 2013, con un tasso medio estorsivo che per l’intero periodo raggiunge il 14,2 (leggermente superiore rispetto all’area provinciale). Se consideriamo i reati spia ad Avellino il tasso totale medio, per il periodo 2010-2013, è pari a 947,2 per l’intero periodo, con una punta superiore nel 2011 che raggiunge 1.102,1 atti intimidatori, a fronte di un tasso estorsivo pari al 28,9. Il confronto con i valori dell’anno successivo (29,0 estorsioni e 920,7 reati intimidatori denunciati) fanno propendere per una interpretazione di una contrazione della quota di atti intimidatori resasi non necessaria a fronte di una quota di vittime che inizia ad “accettare” l’evento estorsivo. In provincia il tasso totale medio dei reati spia si attesta a 720,8 atti intimidatori denunciati e sempre nel 2011 si registra la punta più alta (736,8 e un tasso estorsivo pari al 15,6). Per l’area di Benevento i valori relativi all’analogo rapporto si presentano con un andamento più marcato tra città e provincia: nella città il tasso medio dei reati spia raggiunge per il periodo in esame 1.093,0 atti intimidatori (il più alto tra i capoluoghi di provincia della regione), con una punta nel 2010 (di 1.411,3 eventi), mentre quello dell’area provinciale fa registrare un tasso medio di eventi intimidatori pari a 680,5 e anche in questo caso la punta più alta è nel 2010 con 756,8 segnalazioni intimidatorie. Che l’area provinciale di Benevento e la città abbiano subìto per il recente passato una maggiore attenzione da parte della criminalità organizzata (preminenza del clan Sperandeo) e le diverse e prospere attività economiche 266 giacomo di gennaro siano attualmente nel mirino dei clan locali ma specialmente casertani e avellinesi è confermato anche dalle recenti relazioni investigative. Il clan Sperandeo manifesta una struttura organizzativa molto gerarchica, quasi di tipo mafioso, con una pratica dell’attività estorsiva a “tappeto” in danno a imprenditori e commercianti e si avvale di contatti e cooperazioni strategiche con i confinanti gruppi dei casalesi e napoletani per il rifornimento dell’attività di spaccio, costruendo sinergie di compartecipazione alle attività illegali e ai traffici con i locali clan Pagnozzi (originario di S. Martino Valle Caudina, della provincia avellinese) operanti nel territorio di Montesarchio, Airola e zone contigue, il clan Saturnino-Bisesto (di S.Agata dei Goti, nella provincia di Benevento), il gruppo di bande che fanno capo alle famiglie Iadanzara-Panella che operano su un più ampio territorio che va dalle falde del monte Taburno ai comuni più confinanti con l’area nolana della provincia di Napoli. Un territorio ricco di filiere agroturistiche, agroalimentari (la cd. Area Gal del Taburno) e zootecnia, interessate alla valorizzazione di prodotti tradizionali e tipici con l’implementazione di innovative metodologie produttive sia a riguardo della lavorazione che del prodotto. L’infiltrazione negli appalti pubblici, la pratica dell’attività usuraia e il ricatto estorsivo costituiscono le vie attraverso le quali i clan tendono ad impadronirsi della dinamicità economica di molti imprenditori locali interagendo non forzatamente attraverso parabole violenti ma favorendo liquidità nelle fasi critiche dell’economia e compartecipando agli investimenti, tramite presta nomi, e alle transazioni economiche. le estorsioni in campania 267 5. La dinamica interna dei fenomeni estorsivi in Campania: un focus sull’area di competenza territoriale dei Tribunali Andrea Procaccini Premessa In questo capitolo l’analisi della delittuosità estorsiva in Campania sarà illustrata avvalendosi di una classificazione territoriale differente: non la classica suddivisione provinciale, ma l’area territoriale di competenza dei singoli tribunali. La scelta di tale configurazione spaziale risponde a una pluralità di motivazioni di ordine conoscitivo e pratico. In primo luogo, l’aggregazione delle denunce di estorsione per area di competenza dei tribunali consente di poter stimare il carico di lavoro che, annualmente, va a gravare su di questi e di soppesarlo in rapporto al totale complessivo delle informazioni di reato che ricade nella competenza dei diversi tribunali. In seconda istanza, questa modalità di aggregazione dei dati risulta conveniente per individuare le dinamiche del fenomeno, allorquando la comparazione dei dati avviene a un livello di disaggregazione territoriale più circoscritta. A tal proposito, giova rimarcare che in questo tipo di suddivisione i comuni sono raccolti in aggregati territoriali più ridotti, spazialmente più contigui ed omogenei sia per il tessuto socio-economico, sia per il livello di penetrazione delle organizzazioni criminali, a differenza di quanto avviene quando le comparazioni avvengono all’interno di raggruppamenti di carattere provinciale. Quanto appena scritto è maggiormente veritiero per le province di Caserta, Napoli e Salerno nei cui territori ricade la competenza di più tribunali, mentre nel caso delle province di Avellino e Benevento è minima la differenza tra l’area dei comuni che rientrano nella competenza territoriale dei tribunali, rispettivamente Avellino e Benevento, e quella amministrativa delle province. la dinamica interna dei fenomeni 269 Pertanto, nei primi paragrafi l’analisi e la comparazione dei dati avverrà mantenendo come unità di analisi l’area di competenza territoriale dei tribunali, nei paragrafi finali, invece il ragionamento verterà sulle dinamiche interne ai contesti esaminati, raffrontando i dati su base comunale. 5.1 La nuova geografia giudiziaria campana La geografia giudiziaria campana è stata modificata con l’approvazione della riforma contenuta nella Legge n. 148 del 2011 e nei relativi decreti attuativi n. 155 e n. 156 del 2012. La riforma, pur mantenendo invariato l’assetto dei distretti di Corte di appello (Napoli e Salerno), ha portato a una ridefinizione degli assetti interni ai singoli distretti con la soppressione dei Tribunali ordinari di Ariano Irpino, Sala Consilina e Sant’Angelo dei Lombardi (fig. 1)1. 1. La ridefinizione campana ha comportato l’accorpamento di Ariano Irpino con il Tribunale di Benevento, di Sant’Angelo dei Lombardi con Avellino e di Sala Consilina con Lagonegro. 270 andrea procaccini Figura 1 - Aree di competenza territoriale dei Tribunali campani la dinamica interna dei fenomeni 271 Tale decisone è arrivata a conclusione dei lavori di un gruppo di studio ministeriale. Il gruppo, al fine di individuare i tribunali da sopprimere nell’intero territorio nazionale, ha preso come riferimento, per una serie di parametri, i valori medi raggiunti dai tribunali che hanno sede nei 103 capoluoghi di provincia italiani. I parametri considerati riguardano: la popolazione media; le sopravvenienze totali medie; la dotazione organica di magistrati e il carico di lavoro annuo. I tribunali che nel periodo 2006-2010 si sono trovati con un valore inferiore alle medie elaborate sono stati considerati come passibili di soppressione2. Osservando, adesso, la nuova configurazione territoriale della Campania, possiamo appurare che la competenza sui comuni della provincia di Napoli è suddivisa tra quattro tribunali: a. il Tribunale di Napoli ha la competenza su 17 comuni: ovviamente oltre che sul capoluogo, ha competenza sui comuni delle isole di Capri, Ischia e Procida, sui più popolosi comuni dell’area flegrea (Pozzuoli, Quarto) e sui comuni di Ercolano e San Giorgio a Cremano; b. il nuovo Tribunale di Napoli Nord3 raggruppa 38 comuni dislocati tra l’area settentrionale della provincia di Napoli (ad esempio Afragola, Marano, Giugliano, Frattamaggiore, Villaricca) e i comuni collocati nella fascia limitrofa della provincia di Caserta (ad esempio Aversa, Lusciano, Gricignano di Aversa, Casal di Principe, Villa Literno); c. il Tribunale di Nola ha competenza su 34 comuni collocati tra l’area interna del vesuviano e fra i comuni dell’area nolana che confinano con la provincia avellinese (ad esempio 2. Selezionati i tribunali che non rispettavano almeno uno dei parametri sopraindicati, si è aggiunto un ulteriore parametro concernente l’estensione territoriale media. Al termine di tale lavoro è stata stabilita la soppressione di 31 Tribunali ordinari e delle relative procure della repubblica. Sono stati “salvati” alcuni tribunali collocati in territori dove è particolarmente marcata la presenza della criminalità organizzata (Caltagirone, Cassino, Castrovillari, Lamezia Terme, Paola e Sciacca). Cfr. r. ippoliti, Efficienza tecnica e geografia giudiziaria, in «Polis WorkingPapers», 217, novembre 2014. 3. Il Tribunale di Napoli Nord in parte è stato attivato sull’impronta del Tribunale di Giugliano che fu istituito ma mai concretamente fatto partire e in altra parte ha assorbito il territorio che rientrava nella competenza della sezione distaccata di Aversa (circondario del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere). Cfr.http://www.magistraturademocratica.it/mdem/specialeufficiinbilico.php?pag=CSM_circolare-3luglio. 272 andrea procaccini Pomigliano d’Arco, San Giuseppe Vesuviano, San Gennaro Vesuviano, Ottaviano, Palma Campania, Saviano e Volla); d. il Tribunale di Torre Annunziata che riunisce 22 comuni compresi nella fascia costiera della provincia napoletana (da Torre del Greco ai comuni della penisola sorrentina) e alcuni comuni interni (ad esempio Boscoreale, Boscotrecase e Gragnano). I comuni della provincia di Caserta che non sono stati assegnati al nuovo Tribunale di Napoli Nord restano nella competenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, pertanto il suddetto tribunale amministra la giustizia in 80 comuni del casertano. Invece, la competenza territoriale sull’estesa provincia di Salerno è ora ripartita fra tre Tribunali: a. il Tribunale di Salerno amministra la giustizia in 60 comuni della provincia, dal capoluogo ai comuni della costiera amalfitana e ad alcuni grandi centri della provincia (ad esempio Eboli, Battipaglia, Giffoni); b. il Tribunale di Nocera Inferiore che ha competenza su 19 comuni dell’agro nocerino-sarnese (ad esempio Angri, Nocera Inferiore, Pagani, Sarno, Cava dei Tirreni); c. il Tribunale di Vallo della Lucania su cui ricadono i comuni che vanno dell’area cilentana fino ad arrivare ai confini con la Basilicata4. Infine, il Tribunale di Benevento ha competenza sui comuni dell’intera provincia e sui comuni irpini del soppresso Tribunale di Ariano Irpino, mentre i restanti comuni della provincia di Avellino ricadono tutti sul tribunale del capoluogo. 4. In fase di elaborazione dei dati abbiamo aggregato al Tribunale di Vallo della Lucania anche i comuni che ricadevano nel soppresso Tribunale di Sala Consilina. Con la riforma la competenza su tali comuni è passata al Tribunale lucano di Lagonegro in Basilicata. Pertanto, questa aggregazione è stata effettuata per mantenere intatto il parallelo con il dato complessivo provinciale. la dinamica interna dei fenomeni 273 5.2 L’andamento del fenomeno estorsivo in Campania: un’analisi sulla base dell’area di competenza dei Tribunali Sebbene l’utilizzo di una serie storica a cadenza annuale di un fenomeno per un periodo limitato a soli quattro anni imponga al ricercatore una cautela nella presentazione dei risultati5, in questo paragrafo sarà verificata e sperimentata la valenza esplicativa dell’utilizzo di un’aggregazione territoriale giudiziaria per interpretare l’andamento e le dinamiche dei fenomeni estorsivi in Campania. Prima di analizzare l’andamento del fenomeno estorsivo nei territori amministrati dai tribunali campani, è opportuno dare uno sguardo al complessivo andamento della delittuosità in Campania negli anni 2010-2013 (tab. 1). Partendo dall’analisi delle denunce si osserva che queste sono sensibilmente aumentate in quasi tutti i territori presi in esame, nell’area del Tribunale di Napoli si ha un incremento del 5,3%, passando dalle 71.885 del 2010 alle 74.987 del 2013. Le variazioni più consistenti, comunque, si registrano a Nocera Inferiore e Torre Annunziata, rispettivamente del 35,9% e del 22,5%, seguite da Vallo della Lucania e Napoli Nord con il 14,8% e il 15,7%. In controtendenza vanno Benevento e Santa Maria Capua Vetere, dove invece si assiste a un calo delle denunce, rispettivamente del 9,6% e del 4,2%. Ulteriori informazioni si possono ricavare dalla voce persone denunciate. Il numero delle persone denunciate di norma tende ad essere sempre notevolmente inferiore al numero complessivo delle denunce effettuate, la cui buona parte re5. Una cautela che ha ancora maggior rilievo nel momento in cui si presentano dati relativi alla delittuosità e criminalità. Senza addentrarci nelle complesse disamine che attengono all’uso, alle interpretazioni e alle generalizzazioni che si compiono con le statistiche criminali, è sufficiente rimarcare che variazioni annue, anche vistose, di uno o due reati possono dipendere da una molteplicità di fattori come: l’andamento di altri reati, la propensione alla denuncia delle vittime, dalle attività delle forze investigative. Cfr. m. maneri, Si fa presto a dire sicurezza. Analisi di un oggetto culturale, in «Etnografia e Ricerca Sociale», n. 2, 2013, pp. 169-182. 274 andrea procaccini sta contro ignoti6. Il numero di persone denunciate, tra il 2010 e il 2013, nell’area del Tribunale di Napoli subisce un lieve calo del 7,2%, passando da 28.408 a 26.368. Un decremento ben più consistente, di circa un terzo, si osserva a Nola, dove i soggetti denunciati calano dai 9.088 del 2010 ai 6.042 del 2013, e a Santa Maria Capua Vetere, dove sfiora il 10%. Nei territori degli altri tribunali, invece, il numero dei denunciati aumenta, l’incremento più imponente si osserva, anche in questo caso, a Nocera Inferiore (48,6%), seguita da Vallo Della Lucania (37%), Torre Annunziata (26,4%) e Avellino (22,2%). 6. Ovviamente l’andamento del rapporto tra denunce contro autori noti e denunce contro ignoti varia da reato a reato, ad esempio per un semplice furto è ricorrente che il denunciante non abbia idea di chi possa aver commesso il reato e le autorità investigative non hanno le risorse umane e temporali da dedicare al caso, pertanto nella maggioranza dei casi la denuncia rimane contro ignoti. Come si vedrà nel caso delle estorsioni la dinamica è differente, tendenzialmente la vittima o le forze investigative hanno un’idea di chi possa essere l’offender. la dinamica interna dei fenomeni 275 276 andrea procaccini 5.417 3.718 71.185 32.890 16.771 19.506 21.601 11.579 9.266 5.570 Napoli Napoli Nord Nola Salerno Santa Maria C.V. Torre Annunziata Nocera Inferiore Vallo Della Lucania 4.747 9.074 5.779 9.295 12.332 21.644 22.106 17.499 35.572 74.820 9.455 9.843 Reati 2011 3.713 4.620 5.940 10.014 7.826 6.817 11.830 27.416 6.036 4.743 Pers. den. 6.164 11.541 13.138 21.045 2.628 18.009 38.643 72.680 8.958 9.490 Reati 2012 4.210 5.353 6.788 9.812 8.016 7.288 12.201 24.941 6.174 5.290 Pers. den. 6.392 12.590 14.181 20.694 21.957 17.218 38.058 74.987 8.199 9.239 Reati 5.814 5.800 Pers. den. 5.230 5.524 6.848 8.761 8.028 6.042 12.230 26.368 2013 14,8 35,9 22,5 -4,2 12,6 2,7 15,7 5,3 -9,6 4,4 Reati 37,0 48,6 26,4 -9,9 3,0 -33,5 8,8 -7,2 7,1 22,2 Per. den. Variazione storica 7. In questa e nelle successive tabelle con Avellino si intenderà Avellino e Sant’Angelo dei Lombardi, Benevento è da leggersi Benevento e Ariano Irpino e infine Vallo della Lucania come Vallo della Lucania e Sala Consilina. Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd 3.818 9.719 7.793 9.088 11.241 28.408 5.429 8.848 Pers. den. Benevento Reati 2010 Avellino Tribunale Tabella 1 - Totale dei delitti denunciati e delle persone denunciate alle Forze di polizia in Campania per area di competenza territoriale dei Tribunali7. Anni 2010-2013 la dinamica interna dei fenomeni 277 321 180 99 60 117 75 57 17 Napoli Napoli Nord Nola Salerno Santa Maria C.V. Torre Annunziata Nocera Inferiore Vallo Della Lucania 2010 19 103 108 150 55 135 223 551 87 61 Pers. den. Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd 36 46 Benevento Reati Avellino Tribunale 21 73 72 119 100 103 183 276 54 50 Reati 2011 19 122 104 207 175 179 313 414 80 74 Pers. den. 15 83 87 123 107 93 143 312 26 53 Reati 2012 17 138 143 165 132 132 283 454 74 86 Pers. den. 20 65 78 117 87 75 170 285 21 50 Reati 2013 34 98 155 180 173 98 226 475 52 62 Pers. den. 17,6 14,0 4,0 0,0 45,0 -24,2 -5,6 -11,2 -54,3 38,9 Reati 78,9 -4,9 43,5 20,0 214,5 -27,4 1,3 -13,8 -40,2 1,6 Per. den. Variazione storica Tabella 2 - Totale dei delitti denunciati e delle persone denunciate alle forze di polizia per estorsione per area di competenza territoriale dei Tribunali della Campania. Anni 2010-2013 Il numero delle denunce per estorsione nel quadriennio esaminato fa registrare, complessivamente, un leggero calo (tab. 2). In particolar modo nel territorio del Tribunale di Napoli il calo è di circa l’11%, poiché le segnalazioni passano dalle 321 del 2010 alle 285 del 2013. In termini percentuali decrementi ancora più consistenti si osservano nel territorio di Benevento (-54,3%) e Nola (-24,2%), invece nell’area di Napoli Nord si verifica un calo più contenuto, pari al 5,6%. Il numero delle denunce per estorsione aumenta nei territori dei restanti tribunali, specialmente nella provincia di Salerno. Nel Tribunale del capoluogo l’aumento è del 45%, nell’area di Nocera Inferiore è del 14% e in quella di Vallo Della Lucania è del 17,6%. È da rimarcare anche la variazione del 38,9% che si osserva nel territorio del Tribunale di Avellino, mentre più contenuto è l’incremento di Torre Annunziata (4%). Per quanto attiene il dato sulle persone denunciate per il reato di estorsione balza all’occhio l’incremento di Salerno, dove in quattro anni si passa dai 55 del 2010 ai 173 del 2013, con una variazione del 214,5%. Variazioni positive, seppur di portata più ridotta, si osservano anche a Vallo Della Lucania (78,6%), Torre Annunziata (43,5%), Santa Maria Capua Vetere (20%). Invece il totale dei denunciati diminuisce nei territori di Benevento (-40,2%), Nola (-27,2%), Napoli (-13,8%) e Nocera Inferiore (-4,9%). In definitiva, da una prima analisi dei dati si può constatare che: in diversi territori aumentano sia le denunce, sia i soggetti denunciati (Avellino, Salerno, Santa Maria Capua Vetere, Torre Annunziata, Vallo della Lucania); in altri, viceversa, si registra un calo di entrambe le voci (Benevento, Napoli e Nola), mentre nei territori di Napoli Nord e Nocera Inferiore l’andamento delle variabili esaminate è discordante. 278 andrea procaccini Tabella 3 - Rapporto tra delitti denunciati e persone denunciate alle Forze di polizia per estorsione per area di competenza territoriale dei Tribunali della Campania. Anni 2010-2013 Tribunale Avellino 2010 2011 2012 2013 Valore medio 0,6 0,7 0,6 0,8 0,7 Benevento 0,5 0,7 0,4 0,4 0,5 Napoli 0,6 0,7 0,7 0,6 0,6 Napoli Nord 0,8 0,6 0,5 0,8 0,6 Nola 0,7 0,6 0,7 0,8 0,7 Salerno 1,1 0,6 0,8 0,5 0,7 Santa Maria C.V. 0,8 0,6 0,7 0,7 0,7 Torre Annunziata 0,7 0,7 0,6 0,5 0,6 Nocera Inferiore 0,6 0,6 0,6 0,7 0,6 Vallo Della Lucania 0,9 1,1 0,9 0,6 0,8 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd Per meglio comprendere l’andamento e le dinamiche del fenomeno estorsivo è opportuno analizzare il rapporto tra il numero delle denunce e il numero di soggetti denunciati8. Come era preventivabile il numero dei denunciati è quasi sempre maggiore del numero delle denunce, prendendo i valori medi del quadriennio (2010-2013) si osserva che i rapporti più bassi si registrano a Benevento (0,5), Napoli (0,6), Napoli Nord (0,6), Torre Annunziata (0,6) e Nocera Inferiore (0,6), ovvero in questi territori lo scarto tra totale delle denunce e totale dei denunciati è maggiore. In altri territori della regione, tale scarto assume dimensioni più ridotte, oscillando tra lo 0,7 e lo 0,8 come nei 8. In letteratura è ormai riconosciuto che il reato di estorsione ha una natura associativa, pertanto si registra uno scarto numerico tra denunce e persone denunciate. Cfr. g. di gennaro, Realtà e rappresentazione delle estorsioni in Campania. Un’analisi del fenomeno alla luce delle trasformazioni della camorra e della percezione dei diversi attori, in g. di gennaro, a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità. cit. Si consideri, però, che le informazioni in nostro possesso (dati sdi/ssd e Istat) non contemplano solo le estorsioni effettuate in una cornice associativa, ovvero aggravate dall’associazione mafiosa (art. 7), ma anche le estorsioni semplici, la cui configurazione organizzativa è molto più elementare. la dinamica interna dei fenomeni 279 casi di Avellino, Nola, Santa Maria Capua Vetere, Salerno e Vallo Della Lucania (tab. 3). A livello deduttivo si può avanzare l’ipotesi che nella prima serie di territori sia necessaria una quota maggiore di persone per compiere una singola estorsione, oppure che i singoli estorsori compiono una quantità di estorsioni maggiori. Per approfondire tale questione, è necessario analizzare il livello di penetrazione delle organizzazioni criminali nei singoli territori. Tabella 4 - Tasso di denunciati per estorsione ogni 100 soggetti denunciati per area di competenza territoriale dei Tribunali della Campania. Anni 2010-2013 Variazione assoluta 2010 2011 2012 2013 Valore medio Avellino 1,3 1,6 1,6 1,1 1,4 -0,2 Benevento 1,6 1,3 1,2 0,9 1,2 -0,7 Tribunale Napoli 1,9 1,5 1,8 1,8 1,7 -0,1 Napoli Nord 2,0 2,6 2,3 1,8 2,2 -0,2 Nola 1,5 2,6 1,8 1,6 1,9 0,1 Salerno 0,7 2,2 1,6 2,2 1,7 1,5 Santa Maria C.V. 1,5 2,1 1,7 2,1 1,9 0,6 Torre Annunziata 2,0 1,8 2,1 2,3 2 0,3 Nocera Inferiore 2,8 2,6 2,6 1,8 2,4 -1 Vallo Della Lucania 0,9 1,6 0,9 1,1 1,1 0,2 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd Nella tabella 4 è stato elaborato il tasso di denunciati per estorsione ogni 100 denunciati per le differenti aree territoriali, la quota di persone denunciate per estorsione sul totale si attesta tendenzialmente su valori bassi, non superando mai le due unità. Nel territorio del Tribunale di Napoli la quota di denunciati per estorsione resta pressoché invariata, passando da un valore di 1,9 del 2010 a uno di 1,8 del 2013. Gli scostamenti più 280 andrea procaccini significativi si verificano nell’area di Salerno, dove il dato passa dallo 0,7 del 2010 al 2,2 del 2013, e nell’area di Nocera Inferiore dove, nel quadriennio in esame, il tasso cala dal 2,8 del 2010 a 1,8 del 2013. Ragionando sulle medie della serie storica si osserva che i valori più alti non si raggiungono nel Tribunale di Napoli ma nei Tribunali di: Nocera Inferiore (2,4), Napoli Nord (2,2) e Torre Annunziata (2). I territori dei Tribunali di Nola e Santa Maria Capua Vetere, allo stesso modo, hanno una media (1,9) che è superiore a quella rilevata nel Tribunale del capoluogo di regione. Su valori inferiori a quelli di Napoli si attestano solo Avellino, Benevento e Vallo della Lucania. 5.3 Alcune evidenze sulla presenza delle organizzazioni criminali e l’andamento del fenomeno estorsivo La natura e la storia delle organizzazioni criminali in Campania rende difficoltosa un’operazione di mappatura territoriale del fenomeno che sia stabile nel tempo a differenza di quanto si può fare, con minori difficoltà, con la mafia in Sicilia9. Per questi motivi di seguito si prenderà in considerazione l’ultima relazione presentata al Parlamento10 dalla dia, che con i suoi report monitora semestralmente la presenza dei clan nelle diverse province campane, dando conto delle fluttuazioni, alleanze e scomposizioni che caratterizzano il mondo criminale campano. Dall’ultima rilevazione emerge che complessivamente sono presenti 140 clan, così ripartiti: 97 nella provincia di Napoli (39 nel solo capoluogo); 22 nella provincia di Caserta; 13 nella provincia di Salerno; 4 nella provincia di Avellino e 4 nella provincia di Benevento. 9. g. di gennaro, Estorsioni ed usura: l’impatto distorsivo delle attività illegali dei clan di camorra sull’economia regionale campana, in «Rassegna Economica», n. 1, 2013, pp. 109 ss. 10. Le relazioni semestrali della dia al Parlamento sono consultabili on line a partire da quelle prodotte nel 1998. Cfr. http://www1.interno.gov.it/dip_ps/dia/page/relazioni_semestrali.html. la dinamica interna dei fenomeni 281 Tabella 5 - Presenza dei clan in Campania per area di suddivisione dei Tribunali Tribunale Avellino Clan Tasso Media rapporto Media den. 4 1,2 0,7 1,4 Benevento 5 1,4 0,5 1,2 Napoli 46 3,4 0,6 1,7 Napoli Nord 27 2,8 0,6 2,2 Nola 24 4,4 0,7 1,9 Salerno 4 0,8 0,7 1,7 Santa Maria C.V. 15 2,4 0,7 1,9 Torre Annunziata 18 3,9 0,6 2,0 Nocera Inferiore 10 2,5 0,6 2,4 / 0,0 0,8 1,1 Vallo Della Lucania Fonte: ns. elaborazione su dati dia e Istat Nella tabella 5 le organizzazioni censite dalla dia sono state ripartite per area di competenza territoriale dei singoli Tribunali campani11, e come preventivato la maggiore concentrazione di clan si riscontra tra i Tribunali della provincia di Napoli (46 a Napoli, 27 a Napoli Nord, 24 a Nola e 18 a Torre Annunziata). Tra i comuni del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, invece, sono attivi 15 clan e nell’area di competenza del Tribunale di Nocera Inferiore sono stati censiti 10 clan. Una presenza meno invasiva dei clan è rilevata nei territori di Benevento (5), Avellino (4) e Salerno (4). Da queste prime indicazioni empiriche si può intuire come la distribuzione dei clan sul territorio regionale sia fortemente disomogenea, infatti le province di Napoli e Caserta sono coperte a tappeto e solo alcuni comuni dell’alto 11. È stato conteggiato il numero dei clan che compiono attività illecite in un determinato territorio. Il totale delle organizzazioni per area di competenza territoriale dei Tribunali risulta essere superiore al totale su base provinciale per un semplice motivo: sovente un’organizzazione può operare in più comuni e tali comuni possono ricadere nella competenza di Tribunali differenti. Ad esempio, il clan Amato-Pagano ha base nel quartiere di Secondigliano della città di Napoli, ma estende la sua influenza ai comuni di Arzano e Mugnano che fanno parte del Tribunale di Napoli Nord. 282 andrea procaccini casertano e delle isole sembrano essere non toccati dal fenomeno. Viceversa nelle restanti province la presenza dei clan è a macchia di leopardo e interessa solo un numero limitato di comuni. Addirittura in larghi tratti della provincia meridionale di Salerno non è rilevata alcuna presenza stabile di clan12. Al fine di stimare la diffusione e il diverso livello di incidenza dei clan nei differenti territori è stato elaborato un tasso di presenza ogni 100.000 abitanti. Il valore maggiore è stato raggiunto dal territorio del Tribunale di Nola con 4,4 seguito poi da: Torre Annunziata con 3,9; Napoli con 3,4; Napoli Nord con 2,8; Nocera Inferiore con 2,5; Santa Maria Capua Vetere con 2,4; Benevento con 1,4; Avellino con 1,2 e infine Salerno con 0,8. Relazionando il tasso di presenza dei clan con il rapporto tra denunce e soggetti denunciati per estorsioni (media rapp.) appena illustrato, non emerge una stringente correlazione tra le variabili, però si può intravedere una tendenza comune per la gran parte dei territori presi in esame. Infatti, se si eccettuano i casi di Nola, dove una forte presenza di clan (4,4) si associa a un rapporto tra denunce per estorsione e persone denunciate che è pari a 0,7, e di Benevento, dove invece a un bassa presenza di clan si accompagna a un rapporto pari a 0,5, i territori dove è minore o assente la presenza dei clan (Vallo della Lucania, Avellino, Santa Maria Capua Vetere) fanno registrare un rapporto che oscilla tra lo 0,7 e lo 0,8, mentre nei territori dove la presenza dei clan è più marcata (Nocera Inferiore, Napoli Nord, Napoli e Torre Annunziata) il rapporto si attesta sullo 0,6. Confrontando l’andamento del tasso di presenza dei clan con il tasso di denunciati per estorsione sul totale dei denunciati (Media den.) si deduce che fino a una determinata soglia (il 2,4 di Santa Maria Capua Vetere), tendenzialmente i territori con i valori inferiori di presenza dei clan tendono ad avere anche una Media den. che è inferiore al valore di 2. Al contrario, laddove il livello di presenza dei clan è maggiore tende ad aumentare anche il valore della Media den., ma anche in questo caso la 12. Per una rappresentazione grafica su base provinciale si vedano le cartine presenti nell’ultima Relazione della dia. la dinamica interna dei fenomeni 283 corrispondenza non avviene in maniera lineare: ad esempio Nola, pur con il livello di presenza delle organizzazioni criminali più alto, ha una Media den. che è pari a 1,9. Tabella 6 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla popolazione 14-80 per area di competenza dei Tribunali. Anni 2010-2013 2010 2011 2012 2013 Media Variazione assoluta Avellino 21,8 26,4 30,8 22,1 25,3 0,3 Benevento 28,5 31 24,5 17,2 25,3 -11,3 Napoli 49,6 37,3 41 43 42,7 -6,6 Napoli Nord 29,4 41 36,9 29,2 34,1 -0,2 Nola 30,7 40,6 29,9 22,1 30,8 -8,6 Tribunale Salerno 13,9 44 33,2 43,6 33,7 29,7 Santa Maria C.V. 32,6 40,1 32 34,9 34,9 2,3 Torre Annunziata 29,1 28 38,5 41,7 34,3 12,6 Nocera Inferiore 32,1 37,8 42,6 30,2 35,7 -1,9 Vallo Della Lucania 10,9 11 9,9 19,7 12,9 8,8 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd In questa sezione del lavoro, come per le altre sono stati elaborati i tassi di incidenza dei denunciati per estorsione ogni 100.000 abitanti, compresi nella fascia di età 14-80 anni, anche per le aree territoriali di competenza dei tribunali della Campania. Nel periodo preso in esame, nel territorio di Napoli il tasso cala di oltre 6 punti, passando dal 49,6 del 2010 al 43 del 2013. Tuttavia verificando l’andamento annuo si nota che la diminuzione più brusca si registra nel 2011 e che dal 2012 il tasso ha ripreso a salire. Nell’area di Napoli Nord, invece, la variazione tra il 2010 e il 2013 è minima (-0,2), mentre l’andamento annuale è molto altalenante: il tasso nel 2011 impenna al 41 per poi ridiscendere negli anni successivi, al 36,9 nel 2012 e al 29,2 nel 2013. Nel territorio di Nola la quota dei denunciati per estorsio284 andrea procaccini ne scende di circa 8 punti tra il 2010 e il 2013, passando da 30,7 a 22,1, anche in questo caso si registra un aumento considerevole tra il 2010 e il 2011 (40,6), per poi osservare una tendenza decrescente negli anni successivi. Un trend crescente, invece, è osservabile tra i comuni del Tribunale di Torre Annunziata, il cui tasso aumenta complessivamente di 12,6 punti, dal 29,1 del 2010 al 41,7 del 2013. Su valori simili si attesta il territorio di Salerno, nel quale si registra la variazione più robusta del tasso dei denunciati che, nel giro di pochi anni, risulta più che triplicato, dal 13,9 del 2010 al 43,6 del 2013. A Nocera Inferiore, invece, il trend è crescente dal 2010 al 2012 (+10,5), per poi calare vistosamente nel 2013 quando si attesta sul valore di 35,7. Il territorio di Santa Maria Capua Vetere fa registrare complessivamente un leggero aumento del tasso dei denunciati nel quadriennio (+2,3), aumento che era stato più consistente nei primi anni della serie, toccando quota 40,1 nel 2011. Dall’osservazione delle medie del tasso di incidenza dei denunciati per estorsione si ricava chiaramente che il territorio di Napoli, con una media di 42,7, si colloca su valori che sono superiori a quelli delle altre aree territoriali campane. Più ravvicinati sono le medie tra gli altri territori campani: Nocera Inferiore ha una media del 35,7; Santa Maria Capua raggiunge una media 34,9 e su valori leggermente più bassi si trovano Torre Annunziata (34,3) e Napoli Nord (34,1); Salerno fa registrare una media di 33,7 e Nola sul 30,8 e infine su valori inferiori le medie di Avellino e Benevento, entrambe con il 25,3, e Vallo della Lucania con il 12,9. la dinamica interna dei fenomeni 285 Figura 2 - Tasso medio di persone denunciate per estorsione, differenziato per area di competenza dei Tribunali campani. Anni 2010-2013 286 andrea procaccini 5.4Uno sguardo sui territori Fino a questo punto, l’analisi comparativa del fenomeno estorsivo si è mantenuta a un livello di aggregazione dell’area di competenza territoriale dei tribunali. In questo paragrafo finale, invece, i dati sono stati disaggregati a livello comunale, così da rilevare gli andamenti e le tendenze che si riscontrano all’interno delle singoli territori, facendo riferimento al tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla popolazione 14-80 anni13. 5.4.1Tribunale di Napoli Con l’eccezione dei piccoli comuni ischitani di Serrara Fontana e Barano d’Ischia, tutti i comuni dell’area di competenza di questo tribunale registrano la presenza di denunciati per estorsione in più anni dell’arco temporale esaminato. A differenza di quanto avviene in altri territori, l’andamento del fenomeno è abbastanza costante negli anni, ma non raggiunge picchi elevati e non subisce forti oscillazioni negli anni, l’unica eccezione è rappresentata da Procida dove solo nel 2010 si rileva un valore pari a 58,4 mentre negli altri anni il fenomeno è assente o presente su valori nettamente inferiori. Il comune di Napoli fa registrare una leggera diminuzione del tasso dei denunciati, passando dal 57,9 del 2010 al 52,3 del 2013, rimanendo comunque il comune con la media dei denunciati più alta. Osservando i valori medi, i restanti comuni si attestano su valori decisamente inferiori e vanno incontro a oscillazioni contenute nell’arco degli anni: a Portici il tasso ha un andamento discontinuo, nel 2011 raggiunge il 50,5 e poi nei due anni seguenti discende fino al 26,8; Pozzuoli parimenti fa registrare una tendenza discendente da quota 45,7 nel 2010 a quota 25,6 nel 2012; a Ercolano il tasso dei denunciati ha una variazione limitata negli anni, oscillando tra il 27,3 13. In base a una serie di considerazioni, al livello di aggregazione comunale si è preferito adoperare esclusivamente i tassi di incidenza ogni 100.000 abitanti. Fondamentalmente, si ritiene che l’andamento in valori assoluti risenta fisiologicamente della numerosità differente delle popolazioni e quindi renderebbe poco indicativa una comparazione tra comuni con una popolosità molto dissimile, non permetterebbe di cogliere alcune peculiarità o picchi che possono riscontrarsi in comuni di dimensioni medio - piccole. la dinamica interna dei fenomeni 287 e il 38,8; a Quarto e San Giorgio a Cremano il tasso dei denunciati è regolare negli anni e non supera mai quota 30. Nella città di Napoli la quota delle denunce è inferiore alla quota dei denunciati per tutti gli anni della serie, con un rapporto medio che è pari allo 0,6. La medesima dinamica è osservabile solo nei comuni di Ercolano (eccetto il 2012) e Portici (eccetto il 2010). Pozzuoli, invece, è l’unico comune ove si riscontra quasi costantemente un totale di denunciati per estorsione inferiore a quello delle denunce (eccetto il 2013), negli altri comuni non si rileva una costanza negli anni nei rapporti tra il numero denunce e denunciati per estorsione. I rapporti medi più bassi si osservano a Napoli e Portici, comuni in cui si riscontrano i tassi di denunciati maggiori, a tal riguardo si può supporre che la maggiore frammentazione e instabilità del mondo criminale urbano comporti la necessità per le organizzazioni criminali di coinvolgere più persone per la realizzazione di un singolo atto estorsivo, a differenza di quanto accade nei centri della provincia dove gli equilibri criminali sono relativamente più stabili. Tabella 7 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla popolazione 14-80 per i principali comuni del Tribunale di Napoli. Anni 2010-2013 2010 2011 2012 2013 Media Media rapporto Napoli 57,9 42,2 48,0 52,3 50,1 0,6 Portici 24,0 50,5 42,0 26,8 35,8 0,7 Pozzuoli 45,7 25,8 36,4 25,6 33,4 1 Ercolano 27,3 38,8 27,7 34,8 32,2 0,8 Comuni Lacco Ameno 26,3 26,2 0,0 51,7 26,0 0,5 Ischia 39,7 33,0 13,2 13,2 24,8 0,9 Bacoli 49,5 27,0 9,0 4,5 22,5 0,9 Quarto 16,0 19,1 28,4 18,7 20,5 0,9 San Giorgio a Cremano 20,9 15,9 24,0 18,9 19,9 0,9 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd 288 andrea procaccini 5.4.2Tribunale di Napoli Nord Il nuovo Tribunale di Napoli Nord, come evidenziato precedentemente ha competenza sui comuni dell’area nord di Napoli e su una fetta della provincia casertana. Nella gran parte dei comuni la presenza di un tasso di persone denunciate per il reato di estorsione è rilevabile in più anni della serie storica, con l’eccezione del solo comune di Calvizzano. In questo contesto territoriale, il fenomeno si manifesta con caratteristiche differenti da quelle evidenziate nel paragrafo precedente, infatti in molti comuni il tasso dei denunciati ha un andamento altalenante negli anni e, soprattutto raggiunge dei valori notevolmente alti, specie tra quelli della provincia casertana. A tal proposito, si possono rimarcare i comuni che hanno fatto rilevare i valori più eclatanti del tasso di incidenza dei denunciati per estorsione: Villa Literno (215,5 nel 2010, 269,7 nel 2011 e 34,0 nel 2013); Parete (204,7 nel 2010, 917 nel 2011, 224,6 nel 2012 e 156,3 nel 2013); San Marcellino (161,3 nel 2011 e 87,2 nel 2012); Carinaro (36,0 nel 2011, 178,5 nel 2012 e 69,5 nel 2013); Casal di Principe dove si evidenzia un trend crescente fino al 2012 (dal 43,0 al 157,9 per poi attestarsi sul 102,0 del 2013). Per questi motivi si delinea una profonda discordanza tra l’area casertana e l’area napoletana di questo contesto territoriale, tale discordanza è resa nitidamente dalla graduatoria delle medie dei denunciati, dove ritroviamo nelle prime posizioni esclusivamente comuni della provincia casertana. Infatti, i comuni della periferia settentrionale napoletana fanno osservare dei valori decisamente inferiori e più contigui a quelli della città di Napoli e degli altri centri dell’area flegrea. Il dato del rapporto tra denunce per estorsione e persone denunciate in tale contesto territoriale si presenta come estremamente variegato, si va da un valore minimo di 0,1 osservato a Casal di Principe, a un valore massimo di 1,5 di Afragola. Quindi, prendendo in considerazione solo quei comuni che mantengono una connotazione univoca del rapporto negli anni esaminati, emerge che in alcuni casi (San Marcellino, Villa Literno, Arzano, Qualiano, Parete, Grumo Nevano, Casal di Principe, la dinamica interna dei fenomeni 289 Aversa, Giugliano in Campania) è sempre maggiore il numero dei denunciati, in altri (Lusciano, Sant’Antimo, Melito di Napoli, Cardito) invece si riscontra una prevalenza delle denunce nella quasi totalità degli anni. Tabella 8 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla popolazione 14-80 per i principali comuni del Tribunale di Napoli Nord. Anni 2010-2013 2010 2011 2012 2013 Media Media rapporto Parete 204,7 917,0 224,6 156,3 375,7 0,2 Villa Literno 215,5 269,7 80,4 34,0 149,9 0,4 San Marcellino 61,8 161,3 109,3 87,2 104,9 0,5 Casal di Principe 43,0 79,0 157,9 102,0 95,5 0,1 Casapesenna 38,3 113,4 37,7 168,3 89,4 0,7 Comuni Carinaro 0,0 36,0 178,5 69,5 71,0 0,7 Frignano 43,4 100,3 56,5 13,9 53,5 0,6 TrentolaDucenta 21,8 95,7 49,8 28,1 48,9 0,9 Qualiano 10,0 25,3 105,9 25,0 41,6 0,4 Sant’Antimo 51,9 73,5 29,2 3,6 39,6 1,3 Grumo Nevano 68,0 61,2 6,8 20,3 39,1 0,4 Caivano 50,8 40,4 40,2 20,2 37,9 1,1 Villa di Briano 21,6 0,0 20,7 93,2 33,9 0,1 Casoria 37,5 32,8 31,3 28,2 32,5 1,0 Aversa 30,2 34,7 37,1 25,4 31,9 0,5 Giugliano in Campania 20,1 17,4 59,1 30,8 31,8 0,6 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd 290 andrea procaccini 5.4.3Tribunale di Nola Il fenomeno estorsivo nel territorio nolano si presenta in maniera diffusa e pervade la stragrande maggioranza dei comuni, facendo registrare, in taluni casi, variazioni notevoli tra un anno e l’altro. Inoltre, il tasso d’incidenza dei denunciati per estorsione, in numerosi comuni, raggiunge valori ragguardevoli in più anni della serie storica, valori che sono di molto superiori a quelli registrati nel capoluogo di provincia. In ogni caso, nei principali comuni si osserva un trend decrescente: Cercola (dal 154,7 del 2010 a 88,0 del 2013), San Paolo Belsito (dal 180,4 del 2011 al 34,6 del 2013); Tufino (dal 167,3 del 2011 al 66,3 del 2013); Cimitile (dal 102,1 del 2011 al 34,0 del 2013); San Sebastiano al Vesuvio (dal 92,8 del 2011 al 40,1 del 2013); Nola (da 86,1 del 2011 al 36,0 del 2013); Pomigliano d’Arco (dal 60,6 del 2011 al 18,2 del 2013). In altri comuni, specialmente se piccoli, il tasso raggiunge valori considerevoli solo in singoli anni della serie storica e quindi si può supporre che ciò dipenda da episodi contingenti (Liveri 143,7 nel 2012 e Cicciano 95,7 nel 2012). In quest’ambito territoriale tendenzialmente l’ammontare dei soggetti denunciati per estorsione è maggiore del totale delle denunce, da un raffronto dettagliato si verifica che quanto appena affermato è verificabile: a) in tutti gli anni della serie storica nei casi di Acerra, Cercola, Marigliano, Nola, San Paolo Belsito; b) in tre anni nei casi di Palma Campania, San Giuseppe Vesuviano e Tufino. Al contrario, un numero maggiore di denunce è riscontrabile nei casi di: Cicciano (eccetto il 2012), San Gennaro Vesuviano (eccetto il 2013) e San Sebastiano al Vesuvio (eccetto il 2011) e Terzigno. la dinamica interna dei fenomeni 291 Tabella 9 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla popolazione 14-80 per i principali comuni del Tribunale di Nola. Anni 2010-2013 Comuni Cercola 2010 2011 2012 2013 Media Media rapporto 154,7 127,8 122,1 88,0 123,2 0,4 San Paolo Bel Sito 0,0 180,4 107,8 34,6 80,7 0,7 Tufino 0,0 167,3 66,5 66,3 75,0 0,3 Cimitile 85,2 102,1 68,8 34,0 72,5 0,5 Castello di Cisterna 0,0 67,8 99,9 65,5 58,3 0,5 San Sebastiano al Vesuvio 52,8 92,8 26,7 40,1 53,1 1,2 Nola 43,1 86,1 46,6 36,0 53,0 0,6 San Vitaliano 102,8 61,4 0,0 39,4 50,9 0,6 Carbonara di Nola 56,1 54,5 54,9 0,0 41,4 0,5 San Giuseppe Vesuviano 18,4 50,2 31,6 62,9 40,8 0,8 Saviano 119,9 23,8 0,0 7,9 37,9 0,7 Pomigliano d’Arco 24,2 60,6 42,3 18,2 36,3 0,9 Acerra 32,4 34,4 36,5 36,1 34,8 0,6 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd 5.4.4Tribunale di Torre Annunziata Nell’area territoriale del Tribunale di Torre Annunziata la presenza del fenomeno estorsivo resta diffusa negli anni, ma, a differenza degli altri contesti territoriali finora esaminati, aumenta il numero dei comuni nei quali il reato è assente o lo si riscontra solo in un anno isolato del quadriennio. Alcuni comuni, anche di notevoli dimensioni, fanno registrare degli sbalzi considerevoli negli anni, ad esempio osservando l’andamento annuale in quei comuni che hanno fatto rilevare la media maggiore si evince che il tasso di incidenza delle estorsioni: a Torre del Greco aumenta dal 51,6 del 2010 al 111,5 del 2013; a Pompei passa dal 24,9 del 2010 al 120,7 del 2012 per poi assottigliarsi al 33,9 nell’anno successivo; a Sorrento si balza dal 14,9 del 2010 al 104,3 del 2012; a Poggiomarino, invece, 292 andrea procaccini il tasso scende dal 79,2 del 2010 al 29,4 del 2013. In alcuni comuni, invece, l’andamento del tasso di incidenza dei denunciati è simile a quello osservato in altre aree della provincia napoletana, ovvero si attesta su valori più bassi e gli scostamenti tra gli anni sono di entità ridotta. A tal riguardo, si prenda in esame il caso di Torre Annunziata dove il tasso, se si eccettua il 17,3 del 2011, oscilla in maniera ridotta tra il 45,9 del 2010 e il 40,9 del 2012; lo stesso dicasi per l’importante centro di Castellamare di Stabia, dove il valore del tasso aumenta dal 19,0 del 2010 al 30,2 del 2013. Nella gran parte dei casi non si rileva una tendenza univoca nel rapporto tra il totale delle denunce per estorsione e il dato complessivo delle persone denunciate. Una prevalenza della quota dei denunciati è possibile rilevarla nei comuni di: Castellamare di Stabia, Massa Lubrense (eccetto il 2013), Poggiomarino (eccetto il 2012), Sorrento (eccetto il 2010), Torre Annunziata, Torre del Greco. Un rapporto di tipo inverso tra denunce e denunciati si riscontra solo nei comuni di: Boscoreale (eccetto il 2011), Meta e Gragnano. Tabella 10 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla popolazione 14-80 per i principali comuni del Tribunale di Torre Annunziata. Anni 2010-2013 Comuni 2010 2011 2012 2013 Media Media rapporto Torre del Greco 51,6 86,3 70,6 111,5 80,0 0,5 Pompei 24,0 9,6 120,7 33,9 47,1 1,7 Sorrento 14,9 14,9 104,3 52,2 46,6 0,7 Poggiomarino 79,2 36,2 11,9 29,4 39,2 0,7 Agerola 17,2 34,2 17,1 83,8 38,1 0,8 Torre Annunziata 45,9 17,3 40,3 43,2 36,7 0,4 Vico Equense 17,9 23,9 47,7 17,9 26,8 1,1 Massa Lubrense 53,8 17,9 35,4 0,0 26,8 0,4 Sant’Antonio Abate 39,4 6,5 26,0 32,3 26,1 0,7 Castellammare di Stabia 19,0 17,1 20,9 30,2 21,8 0,7 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd la dinamica interna dei fenomeni 293 5.4.5Tribunale Salerno Nell’area del territorio del Tribunale di Salerno il fenomeno estorsivo mostra delle caratteristiche proprie che lo differenziano dalle dinamiche riscontrate nei contesti precedentemente analizzati. Dall’analisi dei dati aggregati, già nella prima parte del capitolo, era apparso in maniera abbastanza evidente come il territorio di Salerno negli ultimi anni abbia fatto registrate un aumento dell’incidenza dei reati estorsivi. Tale trend ascendente, però, non è uniforme e omogeneo all’intero territorio, ma si concentra in una quota ristretta di comuni, nei quali i valori considerati sono non molto lontani da quelli osservati in ampie zone della provincia napoletana. Come si può dedurre dall’analisi delle medie comunali, il tasso dei denunciati raggiunge valori rilevanti specialmente nel capoluogo di provincia e in alcuni comuni limitrofi, in alcuni casi è individuabile un andamento similare: si registra un balzo considerevole tra il 2010 e il 2011, seguito da un assestamento verso il basso nei due anni successivi, comunque su valori di riferimento superiori a quelli del 201014. Si veda ad esempio il caso di Salerno, il tasso tra il 2010 e il 2011 passa da 11,8 a 78,3 per poi consolidarsi al 50,7 del 2013; oppure l’esperienza di Eboli dove tra il 2010 e il 2011 si verifica un aumento considerevole del tasso dei denunciati, dal 48,3 al 124,4 che poi si va ad assottigliare fino all’84,5 del 2013. Pur se su dimensioni più contenute la medesima dinamica è osservabile anche nel comune di Battipaglia (dal 28,7 del 2010 al 50,1 del 2011, per poi arrivare al 45,3 del 2013) e nel caso di Giffoni sei Casali (dall’assenza del fenomeno nel 2010, al balzo in un solo anno al 71,7 per attestarsi infine al 23,9 del 2013). In altre situazioni, invece, è possibile osservare un trend ascendente del fenomeno estorsivo per l’intero quadriennio preso in esame: si consideri il caso di Pontecagnano - Faiano (dalla non rilevazione del 2010 al 19,6 del 2010 per poi arrivare al 154,1 del 2013), o anche il comune di Olevano sul Tusciano dove nel giro di soli 4 anni si passa da una quota di denunciati pari a zero al 125,4. 14. Dalla tabella sono stati espunti i comuni di Conca dei Marini e Sicignano degli Alburni che hanno registrato un valore alto solo per un anno della serie storica. 294 andrea procaccini Nel rapporto tra il dato complessivo delle denunce e il numero di persone denunciate, nei casi precedentemente menzionati, quasi ovunque si osservano dei valori che indicano una leggera prevalenza delle persone denunciate sul numero delle denunce, infatti il valore del rapporto è pari: a 0,9 ad Eboli; a 0,8 ad Olevano sul Tusciano; a 0,7 a Salerno e Battipaglia. Al contrario, è minore nel caso di Pontecagnano - Faiano (0,4), palesando una situazione in cui mediamente il numero dei soggetti coinvolti per ogni atto estorsivo è maggiore. Tabella 11 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla popolazione 14-80 per i principali comuni del Tribunale di Salerno. Anni 2010-2013 Comuni Eboli 2010 2011 2012 2013 Media Media rapporto 48,3 124,4 76,5 88,8 84,5 0,9 Pontecagnano Faiano 0,0 19,6 63,1 154,1 59,2 0,4 Salerno 11,8 78,3 49,3 50,7 47,5 0,7 Olevano sul Tusciano 0,0 17,9 35,7 125,4 44,8 0,8 Battipaglia 28,7 50,1 26,3 45,3 37,6 0,7 Altavilla Silentina 0,0 52,5 17,5 69,7 34,9 0,6 Capaccio 5,7 33,2 5,5 92,0 34,1 0,8 Montecorvino Rovella 30,1 9,9 39,1 28,8 27,0 0,2 Campagna 30,8 15,4 53,7 0,0 25,0 0,9 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd 5.4.6Tribunale di Nocera Inferiore In questa area territoriale il fenomeno estorsivo è rilevato annualmente nella quasi totalità dei comuni, l’unica eccezione è rappresentata dal comune di Calvanico che non raccoglie denunce per alcun anno della serie storica. Da un’analisi del dettaglio comunale risalta anche che numerosi sono i comuni che fanno registrare tassi annuali e tassi medi significativi. la dinamica interna dei fenomeni 295 Prescindendo dal caso di Bracigliano, dove si osservano dei forti scostamenti nell’andamento dei tassi annuali e il valore del tasso medio è influenzato dal 298,9 del 2010, sono molteplici i comuni che per l’intera serie storica fanno registrare tassi sempre considerevoli, pur in un quadro di scostamenti annuali. Tuttavia, non è individuabile una tendenza condivisa del fenomeno, di carattere ascendente o discente, che sia estendibile alle diverse realtà comunali. Ad esempio, Baronissi vede il suo tasso di incidenza dei denunciati accrescersi notevolmente, passando dal 21,9 del 2010 al 116,3 dell’anno successivo, per poi raggiungere il 72,4 del 2013; allo stesso modo a Pagani si riscontra una crescita del tasso nel primo anno (dal 75 al 100,7), seguita da un calo vistoso che termina con il 14,4 del 2013; Sant’Egidio di Monte Albino (128,2 del 2010); a Castel San Giorgio il valore del tasso resta pressoché invariato tra il 2010 e il 2013 (dal 37 al 36), ma registra forti oscillazioni nelle annualità intermedie, ad esempio con il 73,1 nel 2011. In altri comuni importanti di questo territorio i tassi si attestano su valori inferiori, con un campo di variazione più ridotto. A tal proposito, si consideri Nocera Inferiore dove vi è un’oscillazione positiva nel quadriennio ma su valori contenuti, dal 23,6 al 57,3 o per una variazione di segno opposto, il caso di Sarno che raggiunge il massimo nel 2011 con il 43,7 e nel 2013 cala al 27,7 Il rapporto tra il dato complessivo delle denunce e il totale delle persone denunciate per il reato di estorsione vede una prevalenza delle seconde delle seconde sulle prime in maniera quasi omogenea a livello comunale. Questo aspetto è riscontrabile in più annualità della serie storica: superiore al numero delle denunce nel caso dei comuni di: Angri, Baronissi (eccetto il 2010); Castel san Giorgio (eccetto il 2010); Cava de Tirreni (eccetto il 2013); Mercato San Severino; Nocera Inferiore (eccetto il 2012); Pagani (eccetto il 2013); Sarno. 296 andrea procaccini Tabella 12 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla popolazione 14-80 per i principali comuni del Tribunale di Nola. Anni 2010-2013 Comuni Bracigliano 2010 2011 2012 2013 Media Media rapporto 298,9 0,0 92,6 93,0 121,1 0,3 Baronissi 21,9 116,3 109,3 72,4 80,0 0,6 Pagani 75,7 100,7 85,9 14,4 69,2 0,6 Castel San Giorgio 37,0 73,2 73,1 36,0 54,8 0,8 San Marzano sul Sarno 12,4 73,4 72,6 60,1 54,6 0,7 Mercato San Severino 39,3 11,1 50,1 88,6 47,3 0,6 San Valentino Torio 0,0 24,0 94,6 34,9 38,4 0,8 Nocera Inferiore 23,6 31,4 36,3 57,3 37,1 0,8 Sarno 39,8 43,7 35,7 27,7 36,7 0,8 Sant’Egidio del Monte Albino 128,2 14,2 0,0 0,0 35,6 0,3 Angri 27,3 26,8 22,8 45,5 30,6 0,6 Roccapiemonte 26,7 13,5 40,3 40,2 30,2 0,9 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd 5.4.7Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Nel territorio di Santa Maria Capua Vetere è osservabile una presenza estesa del fenomeno estorsivo, infatti la schiera di comuni nei quali non si annoverano notizie di reato è composta da piccoli centri collocati, perlopiù, nell’alto casertano, al contempo è consistente il numero di comuni che riportano dei tassi significativi per l’intero quadriennio analizzato, specie nelle aree maggiormente popolate e confinati con il territorio di Napoli Nord. Così come avviene in altre aree di competenza territoriale, nella maggioranza dei casi la persistenza del fenomeno si accompagna a una forte oscillazione dei tassi elaborati e nel raggiungimento di picchi considerevoli. Laddove non si riscontrano tali dinamiche, comunque gli atti estorsivi si connotano come un elemento regolare nelle risultanze investigative e giudiziarie di quei comuni. la dinamica interna dei fenomeni 297 In taluni comuni, come detto, il tasso dei denunciati ha raggiunto vette considerevoli, specie in alcune annualità: Castel Volturno nel 2011 tocca quota 305,2 e si attesta a 161,5 nel 2013; Falciano del Marsico nei primi anni varia tra il 32,6 e il 66,1 poi nel 2013 balza al 262,5; a Cellole nel 2011 giunge a 109,7 per poi ridiscendere al 62,6 nel 2013; Santa Maria Capua a Vetere nel 2011 raggiunge quota 108,4 e negli altri anni staziona tra il 34,3 e il 43,8; Santa Maria la Fossa (136,9 nel 2011 e 186,0 nel 2012); Casagiove (42,3 nel 2010 e 103,1 nel 2013); Mondragone dove il tasso nell’ultimo anno giunge a quota 144,3. In altri centri della provincia il fenomeno estorsivo, pur non toccando picchi clamorosi, si presenta agli osservatori come costante negli anni, ad esempio: Pignataro Maggiore dove il tasso dei denunciati oscilla tra il 19,3 del 2011 e il 77,9 del 2013; Marcianise che raggiunge il proprio valore massimo nel 2011 con il 52,6; San Marco Evangelista dove il dato tra il 2010 e il 2012 è pari a circa 40; Caserta, infine, che registra un’oscillazione minima tra un minimo di 16,9 del 2010 e un massimo di 20,8 del 2013. Tabella 13 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla popolazione 14-80 per i principali comuni del Tribunale di Nola. Anni 2010-2013 Comuni 2010 2011 2012 2013 Media Media rapporto Castel Volturno 192,8 305,2 167,8 161,5 206,8 0,5 Falciano del Massico 65,1 32,6 66,1 262,5 106,6 0,4 Santa Maria la Fossa 0,0 136,9 186,0 0,0 80,7 0,1 Cancello ed Arnone 69,8 91,3 0,0 135,5 74,2 0,2 Cellole 63,0 109,7 47,1 62,6 70,6 0,7 Mondragone 32,8 32,3 59,2 144,3 67,1 0,6 Vairano Patenora 0,0 203,3 0,0 55,2 64,6 0,1 Casagiove 42,3 34,2 69,2 103,1 62,2 0,9 Santa Maria Capua Vetere 34,3 108,4 44,6 44,8 58,0 0,7 298 andrea procaccini Comuni 2010 2011 2012 2013 Media Media rapporto Caianello 0,0 0,0 135,2 68,1 50,8 0,3 Piana di Monte Verna 0,0 0,0 101,2 101,5 50,7 0,4 Pignataro Maggiore 38,4 19,3 77,9 38,9 43,7 0,6 Portico di Caserta 16,1 16,3 65,7 65,2 40,8 0,3 Recale 48,9 80,7 32,3 0,0 40,5 0,5 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd In sintesi In questo capitolo le informazioni relative alla delittuosità estorsiva sono state elaborate adoperando il criterio di aggregazione territoriale della competenza dei tribunali. La sperimentazione di tale configurazione spaziale appare opportuna in quanto permette una comparazione tra realtà territoriali meno estese e più omogenee rispetto a quelle provinciali e, in secondo luogo, valorizza maggiormente i tassi e gli indicatori elaborati a livello comunale. Nel periodo storico preso in esame, complessivamente le statistiche sul fenomeno estorsivo registrano una lieve diminuzione, calo però che si distribuisce diversamente all’interno della regione. Sulla base del tasso di incidenza dei denunciati si può dedurre che: nel Tribunale di Napoli il calo è di oltre 6 punti, passando dal 49,6 del 2010 al 43 del 2013; nel territorio di Nola la diminuzione è più marcata, di circa 8 punti; nell’area di Napoli Nord, invece, il valore del tasso rimane pressoché invariato, diminuendo di appena lo 0,2; un trend crescente, invece, è osservabile tra i comuni del Tribunale di Torre Annunziata, dove aumenta complessivamente di 12,6 punti, dal 29,1 del 2010 al 41,7 del 2013 e in maniera più evidente nel territorio del Tribunale di Salerno che, nel giro di pochi anni, vede triplicare l’ammontare del tasso, dal 13,9 del 2010 al 43,6 del 2013. Sulla scorta della rappresentazione cartografica del fenomeno la dinamica interna dei fenomeni 299 si può giungere ad una serie di conclusioni: nel territorio del Tribunale di Napoli il fenomeno estorsivo ha ancora un’incidenza maggiore rispetto a quella delle altre aree territoriali campane; c’è una seconda area (Nocera Inferiore, Santa Maria Capua Vetere, Torre Annunziata, Nola, Salerno) che si pone al di sotto di quella del capoluogo di regione e che fa registrare dei valori contigui al suo interno, infine, l’area irpina e sannita che, pur con eccezioni di singoli comuni, ottiene dei tassi di incidenza nettamente inferiori. L’andamento del fenomeno, però è diversificato all’interno dei singoli contesti territoriali, in alcuni aumentano sia le denunce, sia le persone denunciate (Avellino, Salerno, Santa Maria Capua Vetere, Torre Annunziata, Vallo della Lucania); in altri, viceversa, si registra un calo di entrambe le voci (Benevento, Napoli e Nola), nei territori di Napoli Nord e Nocera Inferiore, invece, l’andamento delle variabili esaminate è discordante. Viepiù, ci sono aree dove, sulla base della disaggregazione dei dati a livello comunale, si può chiaramente sostenere che il fenomeno sia esteso alla quasi totalità dei comuni, con delle variazioni annue contenute, in altri territori, invece, l’incidenza del fenomeno è fortemente concentrata in alcuni centri, o gruppi di comuni, il caso più eclatante è offerto da Salerno, e le oscillazioni negli anni sono più vistose. 300 andrea procaccini Conclusioni È da decenni, ormai, che l’attenzione di molteplici economisti e scienziati sociali è incentrata su una ridefinizione e costruzione di traiettorie diverse dell’idea di sviluppo disancorato sempre più dalla mera crescita economica e dal parziale e menzognero prodotto interno lordo. Una visione dello sviluppo che non si basa più su esclusivi parametri economici ma coniuga l’idea di progresso con quella di benessere misurato attraverso idonei strumenti che intercettino dimensioni fondamentali sociali come l’istruzione, la formazione, la salute, la sicurezza, il paesaggio e il patrimonio culturale, l’ambiente, la qualità dei servizi, l’attenzione alla persona, l’equità, la reciprocità. Dimensioni, insomma, che misurino il benessere di una società e delle persone attraverso elementi sostantivi capaci di dare conto non solo della qualità della vita sociale e personale ma del modo in cui essa sia sostenibile e possano espandersi le possibilità reali che sia goduta da parte delle persone in modo pienamente umano la vita1. Dentro questo dibattito internazionale s’inquadra da qualche anno in Italia il decollato progetto di misurare e valutare il progresso della nostra società alla luce di indicatori idonei a rilevare un “benessere equo e sostenibile”. Avviato su circoscritta scala provinciale2, il progetto si è esteso a scala na- 1. Su questo vedi, a. k. sen, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Mondadori, Milano 2000. 2. istat, Bes delle province. Analisi e ricerche per la valutazione del benessere equo e sostenibile delle province, Roma 2013; nonché, Istat-Cnel, Rapporto Urbes 2013. Il benessere equo e sostenibile nelle città, Roma 2013. conclusioni 301 zionale3 migliorando nel tempo la rete dei comuni partecipanti e includendo le città metropolitane4. Tra le dodici dimensioni considerate per l’elaborazione e rappresentazione di questo modo diverso di intendere lo sviluppo vi è la sicurezza, sia nel senso di percezione soggettiva che di condizione oggettiva, in quanto presupposto cardine del benessere individuale e delle collettività. Si legge, infatti, «la sicurezza personale è un elemento fondativo del benessere degli individui. Essere vittima di un crimine può comportare una perdita economica, un danno fisico e/o un danno psicologico dovuto al trauma subito. L’impatto più importante della criminalità sul benessere delle persone è il senso di vulnerabilità che determina. La paura di essere vittima di atti criminali può influenzare molto le proprie libertà personali, la propria qualità della vita e lo sviluppo dei territori»5. La sicurezza, quindi, è entrata a pieno diritto tra i fattori che determinano lo sviluppo; come diritto soggettivo e come risorsa strategica per la convivenza, per il benessere di una collettività, perché senza sicurezza non si può pensare e fare esperienza della libertà e non può esserci sviluppo, progettualità. È una dimensione che precede ed è interconnessa alla giustizia, all’economia e alla finanza. Ma la sicurezza non è una risorsa che può essere garantita dall’esclusiva azione degli apparati dell’ordine pubblico, del controllo sociale, del territorio. Né può essere circoscritta all’attività di prevenzione e contrasto operata dalle forze dell’ordine. Se è vero che la sicurezza va esigita come riconoscimento di un diritto civile e sociale da parte di chiunque, è pur vero che essa va integrata con l’esercizio dei doveri da parte dello stesso cittadino assicurando la comunità (ancorché se stesso) dal rischio di rendersi vulnerabili, specialmente in quelle realtà ove lo strapotere delle organizzazioni criminali spinge molti imprenditori, commercianti, professionisti, politici 3. istat-cnel, Rapporto Bes, Il benessere equo e sostenibile in Italia, Roma 2013 e 2014. 4. istat-cnel, Raporto UrBes 2015. Il benessere equo e sostenibile nelle città, Roma 2015. 5. Rapporto Bes, 2014, op. cit. p. 153. 302 a utilizzare i servigi illegali offerti dalla criminalità piuttosto che denunciarli. La sicurezza è un bene comune che viene alterato e contraddetto nella misura in cui una quota di coloro che ne godono piuttosto che partecipare al suo consolidamento ne minano le basi con comportamenti di assuefazione o addirittura assoggettamento all’azione criminale. È questo il clima che ormai in tanti contesti del nostro Paese si va affermando: da un lato chi contribuisce all’insicurezza oggettiva e dall’altro chi si batte perché sicurezza e legalità siano ripristinate. Questa contrapposizione in alcune realtà è più marcata perché resa più esplicita dai caratteri che il fenomeno criminale assume. In Campania e a Napoli che ne è l’area centrale da anni si combatte una quotidiana lotta tra chi, consapevole che contrastare l’attività estorsiva significa sul nascere contrastare le organizzazioni criminali, cerca di aprire finestre di speranza e nuove vie per rendere visibile ciò che altrimenti pare non esistere. In contrapposizione a chi, invece, non solo cede alle lusinghe delle sirene del crimine organizzato ma si accompagna a quanti ritenendo immutabile una condizione finiscono per rafforzarla mediante la propria fuga dalla responsabilità civica. Questa contrapposizione, d’altra parte, trova nelle condizioni di larghi strati marginali e ampie fasce sociali escluse dai più elementari diritti di cittadinanza un terreno fecondo per sbilanciare l’asse verso quelle posizioni, pratiche sociali e quei comportamenti più idonei ad accogliere le opportunità illegali, conferendo a queste un riconoscimento e una legittimità che si esplicita in un repertorio culturale e un’adesione simbolica che sul registro della quotidianità si traduce da parte di molti giovani in una disponibilità a condividere percorsi illegali. Queste traiettorie di vita sono utilizzate strumentalmente e selettivamente proprio dai clan per reclutare nuove leve. Ecco perché preoccupa e desta allarme l’arretramento degli interventi di welfare verso i minori e le famiglie disagiate, l’indebolimento degli interventi educativi e di recupero scolastico e sociale di tantissimi giovani che vivono nelle periferie e le cui aspettative di felicità maturano solo dentro lo sviluppo di una subcultura deviante e delinquenziale. conclusioni 303 Può apparire inadeguata questa correlazione tra un fenomeno specifico (l’estorsione) e le diverse condizioni di degrado ambientale e sociale entro le quali maturano i destini di tanti minori le cui vite sono condizionate da un ambiente sociale fragile al quale sembra impossibile sfuggire. In realtà, come direbbe Goffman, l’«esposizione contaminante» all’agire del crimine organizzato è fonte di rilevante preoccupazione perché non è circoscritta a limitati nuclei familiari o spazi urbani, ma imbriglia attraverso meccanismi riproduttivi diretti di socializzazione (le lusinghe del successo sociale mediante il crimine; l’idea del facile guadagno; la legittimità dell’uso della violenza; una distorta idea di rispetto sociale e senso di appartenenza al gruppo; l’irrilevanza attribuita alle molteplici trasgressioni occasionali; un’offerta rassicuratrice e mistificante di tutela alle scelte individuali) interi segmenti di underclass. Questa esposizione contaminante tende a “normalizzare” le condotte devianti evolvendole, nel tempo, in direzione di un connotato più delinquenziale e criminale. È ambivalente il rapporto tra microdelinquenza e crimine organizzato adulto: da un lato, entro una certa soglia, a livello territoriale i gruppi criminali organizzati consentono la pratica illegale minorile, la tollerano e in non pochi casi la favoriscono (sebbene limitatamente alle aree esterne al quartiere e per particolari tipi di reato). Oltre una certa soglia, pena lo “sgarro” le attività minorili sono considerate un elemento di disturbo per lo svolgimento dei traffici ben più lucrativi poiché richiamano l’attenzione e l’attivismo delle forze di polizia. Ma la contrapposizione tra chi contribuisce all’insicurezza oggettiva e chi si batte perché sicurezza e legalità siano ripristinate è ancora più minacciosa perché lo sviluppo degli affari criminali ha contaminato la middle class, anzi ha esteso e ricevuto presso segmenti professionali della classe borghese, politici, amministratori e funzionari pubblici, un accreditamento sociale diretto e indiretto grazie all’offerta di servizi e occasioni di guadagno. È questo un punto nodale che dovrebbe ancor di più destare allarme e preoccupazione sociale e che se ristretto allo specifico dell’attività estorsiva rende visibile le ragioni della 304 particolare attenzione che il fenomeno dovrebbe meritare dal momento che la sua estensione nel produrre effetti deleteri sui tessuti sociali ed economici, sulla sicurezza e libertà dei territori impedisce di ridurre a condizioni marginali il peso e l’influenza del crimine organizzato. Il processo di differenziazione dell’attività estorsiva che come si è compreso da mera pratica estrattiva sempre più si configura come attività illegale con contenuti “imprenditoriali” maschera – con l’offerta e l’imposizione di beni, servizi, personale, o la combinazione spesso dell’uso di servizi, attrezzature, beni della vittima, o l’acquisizione di merci non pagate o scoraggiando la partecipazione ad una gara, ad un appalto di concorrenti – il suo carattere violento. Queste modalità, oltretutto, si prestano in misura maggiore ad intercettare negli interstizi operativi il consenso e l’utilità da parte della vittima. Ecco perché la cooperazione tra queste e gli apparati della magistratura e delle forze dell’ordine è difficile. E si spiega anche perché è interesse dei clan evitare di “stressare” la vittima. L’affermazione dell’estorsione a carattere più predatorio e violento è figlia ancora di quei gruppi criminali che o hanno la necessità di impossessarsi del territorio o abitano uno spazio urbano densamente alloggiato da altri clan o cosche. Quei gruppi che sono consolidati, che agiscono in regime di monopolio o oligopolio vantando una forte reputazione criminale hanno cambiato strategia sia perché il controllo del territorio permette ad essi lo sviluppo di altri traffici ben più remunerativi, sia perché hanno l’interesse a dispiegare un’aurea di tranquillità, ordine e redistribuzione di vantaggi idonea a legittimare lo status quo. Ed ecco perché la paura è spesso un alibi che nasconde o condizioni considerate “accettabili” dalle vittime e quindi non favoriscono le denunce, o vissute come generatrici di veri e propri vantaggi (come nel caso degli smaltimenti dei rifiuti aziendali e talora tossici realizzati dalle imprese sia del Nord che della regione). Va maturando, allora, nel Paese un paradosso: da un lato, vi è una maggiore consapevolezza espressa da studiosi, giornalisti, vittime del movimento antiracket, magistrati, esponenti conclusioni 305 delle forze dell’ordine, degli organismi di rappresentanza del mondo economico e politico, di spezzoni della società civile circa la maggiore espansione, articolazione, trasformazione e dannosità del fenomeno criminale organizzato. Questa consapevolezza sta attraversando l’opinione pubblica rendendola ogni giorno più sensibile e cosciente dei rischi che corriamo. Ed effetto di questa maggiore cognizione è la produzione di un fronte unico, di un movimento d’opinione non frantumato che con azioni più efficaci e una comunicazione non stucchevole esprime interesse a generare innanzitutto coesione sul fronte dell’antiracket, alimentare una più costante e incisiva mobilitazione collettiva idonea a originare una nuova cultura della legalità e della cittadinanza responsabile, della sicurezza partecipata. Insomma, una più potente azione partecipata di contrasto al crimine organizzato innanzitutto ancorata ad una effettiva strategia di demolizione del muro di silenzio e dei luoghi comuni che impediscono di uscire allo scoperto. Dall’altro, però, la mimetizzazione effettuata da molte organizzazioni criminali, la scelta di operare nelle forme più latenti e profonde che animano l’economia e la finanza, di agire colonizzando le amministrazioni locali, intercettando le risorse pubbliche e reclutando anche se con modalità d’azione esterne al core del network criminale personale strategicamente inserito nel sistema economico, politico, finanziario, commerciale e persino della giustizia, rende più difficile e complessa l’identificazione del profilo criminale. Vi è il rischio, quindi, che la forte invisibilità e il marcato mascheramento che l’attività estorsiva va assumendo nel Paese declassi l’atto nella percezione collettiva al rango di semplice evento illegale, se non addirittura di fatto immorale, piuttosto che criminale e comunque violento, abbassando inevitabilmente la reazione sociale. Non è un caso che la strategia intimidatoria fondata su atti eclatanti contro le vittime riottose tende a ridursi. In Campania, come abbiamo visto, osservare i reati “spia” rende ragione delle dimensioni dell’attività estorsiva fino a un certo punto. Tranne Napoli, infatti, che vede incrementare quasi del 5% il volume degli atti intimidatori denunciati nel 306 periodo 2010-2013 (la cui media nel periodo è pari al 48% del totale regionale) e Salerno del 3%, le altre tre province o fanno registrare percentuali stabili o in decremento lungo lo stesso periodo, tanto che l’incremento medio per il periodo nella regione è di appena l’1%. E si badi bene che stiamo parlando di un tasso medio di vittimizzazione calcolato sulla popolazione (14-80 anni) per il periodo 2010-2013 che nell’intera regione è pari al 19,1. Occorrerà spostare l’attenzione, ancorché ai reati “spia” alle attività economiche “spia” (come i compro oro; i centri scommesse; alcune tipologie commerciali della ristorazione). L’elevata disponibilità di ingenti e immediate risorse economiche, infatti, pone quelle organizzazioni criminali che si evolvono in holding dedite al riciclaggio e all’investimento dei lauti guadagni provenienti dalle attività illegali territoriali nella condizione di costruire efficaci reti nazionali (e transnazionali) basate proprio sul contributo professionale di quelle competenze diverse (bancarie, commerciali, finanziarie, politiche, imprenditoriali, giuridiche) idonee a contaminare i mercati legali e le economie e attività finanziarie. In molte realtà del Paese la penetrazione nei mercati legali non avviene attraverso strategie intimidatorie (la violenza è nel retroscena) ma mediante una lenta, oculata, selettiva ed efficace azione di avvicinamento alla “preda” (aziende, imprenditori, banche, finanziarie, commercianti, distributori) funzionale all’utilizzo diversificato rispetto agli obiettivi dell’organizzazione: utilizzare il network aziendale nazionale ed estero per riciclare danaro o entrare nei mercati esteri; sostenere economicamente l’imprenditore per poi impadronirsi dell’impresa; compartecipare all’attività di impresa per investimenti finanziari; utilizzare le finanziarie come nodi di riciclaggio; acquisire le attività commerciali per entrare nei mercati locali e riciclare danaro. È questa, in sintesi, la colonizzazione illegale dell’economia: curvare i mercati della produzione e quelli della finanza agli interessi delle organizzazioni criminali. La capitalizzazione delle liquidità avviene attraverso un diversificato modo di investire e riciclare le risorse provenienti dai traffici e dalle attività illegali che investe il mercato e vede, conclusioni 307 al contempo, la sfera pubblica dell’azione amministrativa come ulteriore terreno di caccia. Enti locali, Asl, ospedali, partecipate pubbliche, società miste, consorzi, strutture sociosanitarie sono tutti ambiti dai quali diparte la spesa e l’offerta di servizi pubblici, gare, appalti, concessioni e costituiscono per i clan più organizzati e radicati sui territori opportunità per intercettare risorse pubbliche infiltrandosi con modalità mimetiche, silenziose e talvolta forzate. Infatti, nella relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali approvata nel febbraio scorso6, si mette in risalto il carattere “plurioffensivo” e la natura “polimorfica” del fenomeno, dovuti alla eterogeneità delle motivazioni e della modalità attuativa dell’intimidazione. Quest’ultima, oltretutto, tende a manifestarsi oltre le forme tradizionali connesse ad atti più o meno violenti per affermarsi, specie se è inscenata da organizzazioni criminali, proprio attraverso strategie di condizionamento più latenti, intese a conseguire finalità illecite mediante il controllo dei flussi di spesa pubblica ripartita nei vari settori e riguardante gli appalti di servizi e forniture, i lavori pubblici, la realizzazione delle opere infrastrutturali locali, la gestione del territorio. Pur essendo un fenomeno territorialmente diffuso a livello nazionale non c’è uniformità, anzi l’articolazione delle situazioni di contesto rende il fenomeno intimidatorio composto tra i poli dell’esercizio diretto e arbitrario delle proprie ragioni figlio della sistematica volontaria esclusione del ricorso alla legge e il manifesto esercizio arrogante della sovranità territoriale da parte del crimine organizzato di stampo mafioso. Nella relazione si rimarca la maggiore incidenza del fenomeno nelle realtà locali del Mezzogiorno (61,7% tra il 2013 e il primo quadrimestre del 2014: di cui il 34,2% nel Sud e il 27,5% nelle Isole)7 e tra le motivazioni sottese ai diversi episodi registrati si richiamano le condizioni di degrado e di malessere 6. 7. 308 Cfr. Senato della Repubblica, XVII Legislatura, doc. XXII-bis, n. 1 Ibidem, p. 42. sociale (di cui per es. le proteste per il diritto alla casa; le tensioni legate all’abusivismo edilizio, alle demolizioni di immobili già abitati o destinati ad attività produttive; quelle collegate ai lavori socialmente utili, o alle scelte di sostegno al reddito), così come non circoscritti episodi risultano a carico e in pregiudizio di amministratori la cui matrice ricade al di fuori della carica istituzionale e del profilo pubblico espresso. Tuttavia, si sottolinea che la parte più significativa è determinata e riferita al crimine organizzato e alle diverse forme perseguite per infiltrarsi nel tessuto amministrativo e attraverso esso in quello economico alterando le regole del mercato e della stessa vita politica e istituzionale. Il meccanismo che ha reso e rende possibile questa pervasiva, capillare e subdola penetrazione istituzionale si fonda sull’esercizio del controllo della rete delle relazioni sociali, economiche e istituzionali e sulla capacità di intercettare le tensioni sociali, alimentarle strumentalmente e proporre soluzioni perniciose idonee solo a consolidare il circuito perverso del profitto illegale. Non è un caso che il potere regolativo attribuito ai Comuni sull’attività e gestione urbanistica del territorio e sull’edilizia, la gestione dei servizi connessi alla raccolta e smaltimento dei rifiuti, l’ambito estrattivo con la connessa gestione delle cave costituiscono settori sui quali si avverte in forte misura l’influenza esercitata dalla criminalità organizzata la cui azione si dispiega alimentando l’espansione edilizia abusiva, realizzando l’attività di escavazione abusiva, infiltrando la complessa filiera che governa la materia dei rifiuti, alterando l’attribuzione degli appalti attraverso la proposizione di ribassi consistenti, di affidamenti in subappalto, o di prassi corruttele, o elusive degli obblighi normativi o procedurali8. Una variegata azione facilitata spesso dall’inerzia degli amministratori locali, dalla fallacia e incapacità di governare i territori locali, o dall’assenza di ogni minimo controllo e vigilanza 8. È il caso degli appalti c.d. “sotto soglia” (previsti per impegni di spesa tra i 40 mila e gli 80 mila euro) per i quali le amministrazioni comunali possono decidere in modo ampiamente discrezionale ricorrendo a elenchi di imprese “di fiducia”, e degli appalti “sopra soglia” per i quali molti comuni ricorrono all’espediente di frammentare i servizi o i lavori da assegnare in modo da poter ricorrere all’affidamento diretto dell’appalto. conclusioni 309 sulle attività, fino addirittura all’acquiescenza o alla compromissione. È esattamente questo lo sfondo che si coglie nelle affermazioni, in audizione, del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli: «quasi tutti gli scioglimenti dei consigli comunali delle amministrazioni locali si verificano per un giro d’affari legato agli appalti o all’espansione edilizia (…) interi quartieri sono stati costruiti dalla criminalità organizzata senza alcun permesso di costruire e senza alcun intervento locale (producendo) una enorme lottizzazione abusiva»9. Una spirale, quindi, che alimentata dalla cementificazione abusiva nutre il controllo del mercato e della filiera edilizia, dell’attività estrattiva abusiva e della trasformazione delle cave in discariche da parte dei gruppi criminali organizzati che, oltretutto, per legittimarsi sostengono anche le proteste contro le demolizioni di immobili abusivi, sottoponendo, nel frattempo le imprese in edilizia ad ogni forma di estorsione. Non è difficile la riconoscibilità del connubio di interessi criminali e imprenditoriali in un segmento di attività economiche ove ormai da decenni la camorra che fa capo ai casalesi ha imposto il proprio dominio trasformando il pizzo in una più redditizia attività di forniture e servizi a clan e imprese compiacenti. Si capisce allora perché, per esempio, la provincia di Caserta, è stata interessata da una imponente crescita del parco edilizio che tra il 1991 e il 2000 si estende del 400% a fronte di una popolazione residente lievitata tra il 1971 e il 2001 appena del 25,8%. Simili interconnessioni finiscono per rafforzare i poteri di controllo, intermediazione e gestione delle attività economiche riconnesse all’ampia attività delle amministrazioni locali costituendo un terreno ideale per i clan locali su cui sviluppare pratiche corruttive, attività estorsive, forme sottili e invisibili di condizionamento. È una spirale che non è necessariamente una sorta di indicatore di vulnerabilità all’ingresso del fenomeno estorsivo, ma certamente ne predetermina la sua espansione. Da qui l’obbligo della vigilanza, della denuncia, del controllo da parte di amministratori, pubblici ufficiali e incaricati di pubblico 9. 310 Cfr. Senato della Repubblica, op. cit., p. 114. servizio. Un obbligo che deriva innanzitutto dalla necessità di alimentare il capitale civile nei contesti locali e rafforzare la rete di fiducia tra le diverse componenti istituzionali per arginare e contrastare gli interessi della criminalità organizzata. Non è certo sufficiente, ma occorre insistere. Insistere nel motivare chiunque si trovi di fronte a tentativi di soggezione o condizionamento a denunciare. La strada dell’incentivazione alla denuncia prende diverse traiettorie: nel settembre 2014, ad esempio, la giunta comunale di Napoli ha adottato un provvedimento amministrativo che tende a compattare istituzioni, categorie economiche, cittadinanza, associazionismo. Una norma che prevede per tre anni l’esenzione del pagamento di tutti i tributi e le tasse comunali da parte di chiunque denunci una condizione di esposizione ascrivibile ai reati di estorsione o usura verificatisi sul territorio comunale10. È evidente che il senso dell’iniziativa è duplice: sostenere come istituzione amministrativa locale la scelta della denuncia (orientamento praticato ormai da diversi comuni), erodere la ritrosia delle vittime a rendere pubblica una condizione di sudditanza, paura o disagio economico originato da scelte sbagliate e al contempo lanciare un segnale in direzione del dialogo istituzionale, della mobilitazione e della sinergia fra i diversi soggetti che contrastano questi reati. È presto per dire se sarà un atto idoneo a frantumare il muro del silenzio, tuttavia occorre fare breccia nell’assuefazione delle vittime. L’analisi che si è sviluppata nelle pagine precedenti ha posto in risalto quanto siano diverse le posizioni delle vittime, quanto l’estorsione sia modulata sulla base del profilo della vittima e come le posizioni non siano riconducibili all’esclusivo paradigma dell’imposizione mafiosa tant’è che la pluralità di contiguità (da quella “soggiacente” a quella “compiacente”) alla criminalità organizzata campana lascia spazio a situazioni 10. Il testo prevede che l’esenzione per tre anni è attribuita al denunciante «dal momento in cui viene emessa una sentenza di condanna in primo grado nei confronti dei denunciati, riconosciuti responsabili dei reati per cui siano stati chiamati in giudizio anche sulla base della denuncia effettuata e della testimonianza resa in sede processuale dal soggetto che avanzi al Comune la richiesta di esenzione». conclusioni 311 di interrelazione con il tessuto economico e sociale tali da rendere ancora più complicato il già articolato dibattito dottrinario sulla discussa ammissibilità del concorso esterno. D’altra parte il profilo variegato della vittima è in qualche misura speculare a quello del suo carnefice. Tant’è che è apparso chiaro quanto modalità attuative dell’estorsione, tipologia di relazione che si stabilisce tra estorto ed estorsore, funzione e tipo di estorsione siano connesse e dipendano dalla configurazione e struttura organizzativa dei gruppi campani, dal contesto di azione e dai legami forti o deboli interni alle reti di relazioni che sottostanno alla trama su cui si regge l’impianto degli interessi e dell’operatività dei clan campani. Alcune rilevanze empiriche sulla differenziazione territoriale del fenomeno estorsivo in Campania hanno dato conto di quanto esso sia cambiato, di come si stia diffondendo anche in territori un tempo considerati immuni e come il superiore carattere imprenditoriale mascherando il profondo motivo violento dell’imposizione risponda, seppure in contesti diversi, alla primaria esigenza di coniugare rendimento economico e controllo territoriale. Le politiche di contrasto al racket, allora, dovranno tenere conto di queste trasformazioni e considerare la stagione che ha visto l’affermazione delle leggi 44 e 512 nel 1999 come propedeutica alla ricerca di nuovi strumenti giuridici capaci di aumentare la partecipazione responsabile dei cittadini all’attuazione di una più efficace sicurezza che se non coniuga in un nuovo senso la prevenzione – il cui atto originario è la denuncia inteso come evento partecipativo responsabile alla costruzione della sicurezza – e il contrasto, mediante lo strumento associativo, la costituzione di parte civile nei processi, la sottrazione e confisca dei beni accumulati da parte di tutti i sodali che costituiscono e integrano la rete criminale, vi è il reale rischio di vanificare ogni sforzo investigativo e ogni azione da parte della magistratura inquirente. Da qui, allora, l’esigenza di riformare la normativa in direzione di una maggiore premialità per chi assume in senso più responsabile il significato della cittadinanza partecipativa civile e un sanzionamento negativo più duro per quanti invece 312 trovano nelle forme di assuefazione e assoggettamento un modo per ritagliarsi vantaggi di qualsiasi tipo. Il territorio regionale campano presenta ancora ingenti risorse (culturali, ambientali, umane, naturali, sociali) idonee a generare itinerari di sviluppo sostenibile e migliorare le condizioni che oggi appaiono ancora molto fragili sul piano sociale ed economico. Tuttavia, per capitalizzare tali risorse è condizione necessaria edificare sicurezza e legalità senza le quali permarrà nella regione l’apicale rischio, rispetto ad altre parti del Paese, che le attività economiche, le amministrazioni locali e le persone restino in una strutturale condizione di incertezza ambientale marcata fortemente dall’influenza e presenza del crimine organizzato i cui effetti innalzeranno ulteriormente i costi sociali. conclusioni 313 Allegato metodologico debora amelia elce Al fine di delineare un quadro complessivo del fenomeno estorsivo in Campania, dopo un’approfondita ricognizione della letteratura scientifica esistente, si è passati all’analisi dell’andamento della delittuosità estorsiva, a livello nazionale, macroripartizionale, regionale, provinciale e comunale campano. L’analisi quantitativa del fenomeno estorsivo è avvenuta mediante la raccolta, prima, e l’elaborazione, poi, dei dati statistici relativi: –– ai collaboratori di giustizia, a livello nazionale e regionale, per il periodo 1995-2013, fonte Ministero dell’Interno - Dipartimento di Pubblica Sicurezza; –– ai delitti di estorsione denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria, a livello nazionale e regionale, per il periodo 1998-20131, a livello provinciale e comunale campano, per il periodo 2007-2013, fonte Istat - sdi/ssd; –– alle persone denunciate dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria, a livello nazionale e regionale per il periodo 1998-2013, e a livello provinciale e comunale campano per il periodo 2007-2013, fonte Istat - sdi/ssd; –– agli autori2 e alle vittime di delitto, a livello nazionale e regionale per il periodo 2007-2011, a livello provinciale campano per il periodo 2007-2013, fonte Istat - sdi/ssd; 1. Risulta necessario, a tal proposito, precisare che i dati sulla delittuosità in Italia sono stati raccolti, sino al 2003, utilizzando il mod. cartaceo 165, mentre, è stato solo a partire dal 2004 che sono stati trasmessi nella banca dati sdi (Sistema d’Indagine) attiva presso il ced interforze, il che rende le due serie di dati non direttamente comparabili, in quanto occorre tenere presente che: a) lo sdi viene alimentato da tutte le forze di Polizia e dagli Uffici di P.G., compresa la Polizia penitenziaria, la Direzione Investigativa Antimafia, il Corpo forestale dello Stato, le Capitanerie di porto e, indirettamente, i corpi di polizia locali, mentre il modello 165 era compilato solo da Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza; b) esistono rilevanti differenze relative alle categorie e sottocategorie di reato considerate, che solo parzialmente coincidono; c) se il mod. 165 era consolidato mensilmente, lo SDI consente agli operatori di aggiornare i dati inseriti fino alla fase di consolidamento. 2. Si è ritenuto opportuno procedere nell’elaborazione dei dati tenendo distinti: a) i dati relativi alle caratteristiche degli autori segnalati per il delitto di estorsione; b) dai dati relativi alle persone denunciate/arrestate dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria per il delitto di estorsione, in quanto i dati sulle caratteristiche socio demografiche degli autori possono non coincidere con il dato sulle segnalazioni a causa della diversa tempistica di estrazione dagli archivi delle Forze di Polizia. 316 debora amelia elce –– alla popolazione residente al 1° gennaio, di età compresa tra i 14 e gli 80 anni3, a livello nazionale e regionale, per il periodo 1998-2013, su scala provinciale e comunale (per la regione Campania), per il periodo 2007-2013, fonte Istat. I dati esaminati sono stati elaborati al fine di consentire uno studio statico e dinamico del fenomeno criminale estorsivo. L’obiettivo che l’équipe ha inteso perseguire è stata la stima dell’andamento e della distribuzione del numero di delitti denunciati, delle persone denunciate/arrestate, degli autori e delle vittime di reati estorsivi. In tal modo, è stato possibile evidenziare le trasformazioni che hanno interessato il fenomeno estorsivo in Italia e che sono tutt’ora in corso, nonché le differenze esistenti tra le macro-ripartizioni territoriali, tra le regioni, e, in particolare, per la regione Campania, tra le province campane e i capoluoghi di provincia in riferimento alle dinamiche legate ai delitti di estorsione. Per questo motivo, in primo luogo si è proceduto per i delitti, le persone denunciate e arrestate, per gli autori e per le vittime, al calcolo: a. delle medie mobili, su intervalli di tre anni; b. delle variazioni percentuali annue e storiche4; c. dei rapporti di composizione: 3. La popolazione definita di riferimento appartiene alla coorte 14-80, poiché si ritiene che per il reato in oggetto le ali che precedono e superano quest’ampia coorte restano poco significative e rappresentative di eventuali profili di vittime, nonché, di autori. Tale coorte sul totale della popolazione a livello nazionale rappresenta, inoltre, per l’intero arco di tempo considerato, in media, più dell’80% dell’intera popolazione. x x 4. Nel caso specifico della variazione storica (Variazione 1x0 0 % ) si è inteso considerare con x1 il valore registrato nell’ultimo anno della serie considerata, e con x0 il valore a un momento iniziale. allegato metodologico 317 Rapporto di composizione 1 = N. eventi A per macro-ripartizione (al tempo t1 ) % N. eventi A a livello nazionale (al tempo t1 ) Rapporto di composizione 2 = N. eventi A per regione (al tempo t1 ) % N. eventi A a livello nazionale (al tempo t1 ) Rapporto di composizione 3 = N. eventi A per provincia (al tempo t1 ) % N. eventi A a livello regionale (al tempo t1 ) Successivamente, sono stati elaborati tassi specifici di criminalità estorsiva, tassi medi e variazioni storiche dei tassi considerando: –– il numero di delitti denunciati, le persone denunciate, le vittime e gli autori, a livello nazionale, macro-ripartizionale, regionale, provinciale e comunale campano; –– la popolazione specifica d’interesse: Tasso di criminalità estorsiva= N. eventi (al t empo t1 ) *10 5 Popolazione 14-80 anni (al tempo t 1 ) Infine, per comprendere le diverse dinamiche che rientrano nella delittuosità estorsiva, sono stati elaborati rapporti di derivazione, in relazione al numero di persone denunciate e al numero di vittime di estorsione sui delitti denunciati: Rapporto di derivazione 1 = N. persone denunciate/arrestate Delitti denunciati Rapporto di derivazione 2 = N. vittime di delitto Delitti denunc iati 318 debora amelia elce Sezione A Livello macro-ripartizionale 320 debora amelia elce 1999 726 411 589 1.255 724 3.705 1998 628 390 597 1.204 715 3.534 680 376 524 1.244 618 3.442 2000 671 407 655 1.415 601 3.749 2001 708 434 676 1.231 579 3.628 2002 863 443 611 1.302 532 3.751 2003 1.120 636 867 2.039 751 5.413 2004 1.112 658 834 2.189 766 5.559 2005 1.110 582 740 2.264 704 5.400 2006 1.359 752 980 2.509 945 6.545 2007 1.408 872 1.133 2.402 831 6.646 2008 1.365 771 966 2.278 809 6.189 2009 1999 % 15,6 5,4 -1,3 4,2 1,3 4,8 1998 % - Fonte: ns. elaborazione su dati Istat Nord ovest Nord est Centro Sud Isole Totale Italia Macroripartizioni % -6,3 -8,5 -11,0 -0,9 -14,6 -7,1 2000 % -1,3 8,2 25,0 13,7 -2,8 8,9 2001 % 5,5 6,6 3,2 -13,0 -3,7 -3,2 2002 % 21,9 2,1 -9,6 5,8 -8,1 3,4 2003 % 29,8 43,6 41,9 56,6 41,2 44,3 2004 % -0,7 3,5 -3,8 7,4 2,0 2,7 2005 % -0,2 -11,6 -11,3 3,4 -8,1 -2,9 2006 % 22,4 29,2 32,4 10,8 34,2 21,2 2007 % 3,6 16,0 15,6 -4,3 -12,1 1,5 2008 VM 979 561 764 1.778 715 4.797 % -3,1 -11,6 -14,7 -5,2 -2,6 -6,9 2009 Tabella A2 - Delitti di estorsione denunciati, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 1998-2009 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat Macroripartizioni Nord ovest Nord est Centro Sud Isole Totale Italia VS % 117,4 97,7 61,8 89,2 13,1 75,1 11.750 6.732 9.172 21.332 8.575 57.561 Totale Tabella A1 - Delitti di estorsione denunciati, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 1998-2009 allegato metodologico 321 1999 5,8 4,7 6,4 11,1 13,4 7,8 1998 5,0 4,4 6,5 10,7 13,3 7,5 5,4 4,2 5,7 11,0 11,4 7,3 2000 5,3 4,6 7,1 12,5 11,1 7,9 2001 5,6 4,9 7,4 10,9 10,7 7,7 2002 6,9 5,0 6,7 11,5 9,9 7,9 2003 8,8 7,1 9,4 18,0 13,9 11,4 2004 8,7 7,3 9,0 19,2 14,1 11,6 2005 8,7 6,4 8,0 19,9 13,0 11,3 2006 10,7 8,2 10,6 22,1 17,4 13,7 2007 11,0 9,5 12,1 21,1 15,3 13,8 2008 10,6 8,3 10,3 20,0 14,9 12,8 2009 7,4 6,0 8,1 15,0 13,0 9,7 TM 1999 % 19,6 11,1 15,9 33,9 19,5 100 1998 % 17,8 11,0 16,9 34,1 20,2 100 % 19,8 10,9 15,2 36,1 18,0 100 2000 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat Nord ovest Nord est Centro Sud Isole Totale Italia Macroripartizioni % 17,9 10,9 17,5 37,7 16,0 100 2001 % 19,5 12,0 18,6 33,9 16,0 100 2002 % 23,0 11,8 16,3 34,7 14,2 100 2003 % 20,7 11,7 16,0 37,7 13,9 100 2004 % 20,0 11,8 15,0 39,4 13,8 100 2005 % 20,6 10,8 13,7 41,9 13,0 100 2006 % 20,8 11,5 15,0 38,3 14,4 100 2007 % 21,2 13,1 17,0 36,1 12,5 100 2008 % 22,1 12,5 15,6 36,8 13,1 100 2009 Tabella A4 - Delitti di estorsione denunciati, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 1998-2009 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat Macroripartizioni Nord Ovest Nord Est Centro Sud Isole Totale Italia RCM % 20,2 11,6 16,0 36,7 15,2 100 112,8 87,9 57,3 87,2 11,8 70,9 V S% Tabella A3 - Delitti di estorsione denunciati, tasso annuo di estorsione su popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso medio (TM), variazione storica percentuale (VS%). Anni 1998-2009 322 debora amelia elce 2008 1.649 978 1.301 3.701 1.245 8.874 2007 1.402 809 1.127 3.686 1.245 8.269 1.521 955 1.179 3.340 1.146 8.141 2009 1.543 833 1.301 3.392 1.182 8.251 2010 1.677 809 1.526 3.692 1.161 8.865 2011 2008 % 17,6 20,9 15,4 0,4 0,0 7,3 2007 % - Fonte: ns. elaborazione dati Istat Nord ovest Nord est Centro Sud Isole Totale Italia Macroripartizioni % -7,8 -2,4 -9,4 -9,8 -8,0 -8,3 2009 % 1,4 -12,8 10,3 1,6 3,1 1,4 2010 VM 1.558 877 1.287 3.562 1.196 8.480 % 8,7 -2,9 17,3 8,8 -1,8 7,4 2011 Tabella A6 - Autori di estorsione, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 2007-2011 Fonte: ns. elaborazione dati Istat Macroripartizioni Nord ovest Nord est Centro Sud Isole Totale Italia Tabella A5 - Autori di estorsione, valore assoluto e medio, totale del periodo (Totale). Anni 2007-2011 VS % 19,6 0,0 35,4 0,2 -6,7 7,2 7.792 4.384 6.434 17.811 5.979 42.400 Totale allegato metodologico 323 2008 12,9 10,6 13,9 32,5 22,9 18,4 2007 11,0 8,9 12,2 32,4 23,0 17,3 11,8 10,3 12,5 29,3 21,0 16,8 2009 12,0 9,0 13,8 29,7 21,7 17,0 2010 13,0 8,7 16,1 32,4 21,3 18,3 2011 12,1 9,5 13,7 31,3 22,0 17,6 TM 15,1 100 Sud Isole Totale Italia Fonte: ns. elaborazione dati Istat 41,7 44,6 Centro 100 14,0 11,0 14,7 9,8 13,6 Nord est 18,6 % % 17,0 2008 2007 Nord ovest Macroripartizioni 100 14,1 41,0 14,5 11,7 18,7 % 2009 100 14,3 41,1 15,8 10,1 18,7 % 2010 100 13,1 41,6 17,2 9,1 18,9 % 2011 Tabella A8 - Autori di estorsione, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 2007-2011 Fonte: ns. elaborazione dati Istat Macroripartizioni Nord ovest Nord est Centro Sud Isole Totale Italia 100 14,1 42,1 15,1 10,3 18,4 % RCM 18,5 -1,8 32,5 -0,2 -7,3 5,9 V S% Tabella A7 - Autori di estorsione, tasso di estorsione popolazione 14-80 per 100.000 ab, tasso medio (TM), variazione storica percentuale (VS%). Anni 2007-2011 324 debora amelia elce 2008 1.468 886 1.152 2.345 860 6.711 2007 1.396 814 1.019 2.532 938 6.699 1.348 788 964 2.303 792 6.195 2009 1.320 654 983 1.984 699 5.640 2010 1.356 650 1.133 2.228 662 6.029 2011 1.378 758 1.050 2.278 790 6.255 VM - - - - Centro Sud Isole Totale Italia Fonte: ns. elaborazione dati Istat - Nord est 0,2 -8,3 -7,4 13,1 8,8 5,2 % % - 2008 2007 Nord ovest Macro ripartizioni -7,7 -7,9 -1,8 -16,3 -11,1 -8,2 % 2009 -9,0 -11,7 -13,9 2,0 -17,0 -2,1 % 2010 6,9 -5,3 12,3 15,3 -0,6 2,7 % 2011 Tabella A10 - Vittime di estorsione, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 2007-2011 Fonte: ns. elaborazione dati Istat Macro ripartizioni Nord ovest Nord est Centro Sud Isole Totale Italia Tabella A9 - Vittime di estorsione, valore assoluto e medio (VM) totale del periodo (Totale). Anni 2007-2011 -10,0 -29,4 -12,0 11,2 -20,1 -2,9 VS % 6.888 3.792 5.251 11.392 3.951 31.274 Totale allegato metodologico 325 11,0 8,9 11,0 22,3 17,3 14,0 11,5 9,6 12,3 20,6 15,8 13,9 2008 10,5 8,5 10,2 20,2 14,5 12,8 2009 10,3 7,1 10,4 17,4 12,8 11,6 2010 10,5 7,0 12,0 19,5 12,1 12,4 2011 TM 10,7 8,2 11,2 19,9 14,4 12,9 2008 % 21,9 13,2 17,2 34,9 12,8 100 2007 % 20,8 12,2 15,2 37,8 14,0 100 Fonte: ns. elaborazione dati Istat Nord ovest Nord est Centro Sud Isole Totale Italia Macro ripartizioni % 21,8 12,7 15,6 37,2 12,8 100 2009 % 23,4 11,6 17,4 35,2 12,4 100 2010 % 22,5 10,8 18,8 37,0 11,0 100 2011 Tabella A12 - Vittime di estorsione, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 2007-2011 Fonte: ns. elaborazione dati Istat 2007 Macro ripartizioni Nord ovest Nord est Centro Sud Isole Totale Italia RCM % 22,1 12,1 16,8 36,4 12,6 100 V S% -3,8 -21,6 8,8 -12,3 -29,8 -11,1 Tabella A11 - Vittime di estorsione, tasso di estorsione popolazione 14-80 per 100.000 ab, tasso medio (TM), variazione storica percentuale (VS%). Anni 2007-2011 Sezione B Livello regionale allegato metodologico 327 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 VM Totale 274 262 286 275 307 312 392 374 352 449 434 416 409 349 4.542 7 2 3 4 5 4 5 11 4 9 9 9 3 6 75 259 369 331 316 333 468 608 642 653 771 813 805 797 551 7.165 66 47 32 21 28 26 44 52 40 51 66 38 50 43 561 131 138 110 121 156 143 240 232 231 301 330 273 273 206 2.679 35 66 42 52 52 66 66 57 61 74 53 65 63 58 752 88 93 60 76 63 79 115 93 101 128 152 135 154 103 1.337 158 160 192 213 198 208 286 317 250 326 423 395 290 263 3.416 143 148 162 168 212 205 272 303 246 315 308 315 317 240 3.114 17 51 27 43 30 42 74 55 58 55 75 66 65 51 658 63 71 70 72 73 81 111 102 87 139 165 138 123 100 1.295 374 319 265 372 361 283 410 374 349 349 585 447 517 385 5.005 55 73 60 85 66 94 126 155 128 140 156 148 163 111 1.449 12 21 25 23 27 24 38 36 29 42 22 35 27 28 361 475 480 511 476 517 565 905 955 1.101 1.227 1.200 1.098 1.021 810 10.531 378 390 374 533 332 330 622 635 571 667 618 638 565 512 6.653 45 44 51 35 34 32 40 56 41 56 62 80 51 48 627 239 247 223 263 255 257 305 352 393 374 343 279 311 295 3.841 591 599 517 526 493 458 629 669 585 811 697 689 650 609 7.914 124 125 101 75 86 74 123 98 119 134 134 120 143 112 1.456 3.534 3.705 3.442 3.749 3.628 3.751 5.411 5.568 5.399 6.418 6.645 6.189 5.992 4.879 63.431 1998 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd * La somma dei delitti, delle persone, degli autori e delle vittime, distinti per regioni può non coincidere con il totale Italia a causa della mancata precisazione, per alcuni delitti, del luogo ove sono stati commessi Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni* Regioni Tabella B1 - Delitti di estorsione denunciati, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 1998-2010 328 debora amelia elce 1998/ 2000 274,0 4,0 319,7 48,3 126,3 47,7 80,3 170,0 151,0 31,7 68,0 319,3 62,7 19,3 488,7 380,7 46,7 236,3 569,0 116,7 3.560,3 1999/ 2001 274,3 3,0 338,7 33,3 123,0 53,3 76,3 188,3 159,3 40,3 71,0 318,7 72,7 23,0 489,0 432,3 43,3 244,3 547,3 100,3 3.632,0 2000/ 2002 289,3 4,0 326,7 27,0 129,0 48,7 66,3 201,0 180,7 33,3 71,7 332,7 70,3 25,0 501,3 413,0 40,0 247,0 512,0 87,3 3.606,3 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni Regioni 2001/ 2003 298,0 4,3 372,3 25,0 140,0 56,7 72,7 206,3 195,0 38,3 75,3 338,7 81,7 24,7 519,3 398,3 33,7 258,3 492,3 78,3 3.709,3 2002/ 2004 337,0 4,7 469,7 32,7 179,7 61,3 85,7 230,7 229,7 48,7 88,3 351,3 95,3 29,7 662,3 428,0 35,3 272,3 526,7 94,3 4.263,3 2003/ 2005 359,3 6,7 572,7 40,7 205,0 63,0 95,7 270,3 260,0 57,0 98,0 355,7 125,0 32,7 808,3 529,0 42,7 304,7 585,3 98,3 4.910,0 2004/ 2006 372,7 6,7 634,3 45,3 234,3 61,3 103,0 284,3 273,7 62,3 100,0 377,7 136,3 34,3 987,0 609,3 45,7 350,0 627,7 113,3 5.459,3 2005/ 2007 391,7 8,0 688,7 47,7 254,7 64,0 107,3 297,7 288,0 56,0 109,3 357,3 141,0 35,7 1.094,3 624,3 51,0 373,0 688,3 117,0 5.795,0 2006/ 2008 411,7 7,3 745,7 52,3 287,3 62,7 127,0 333,0 289,7 62,7 130,3 427,7 141,3 31,0 1.176,0 618,7 53,0 370,0 697,7 129,0 6.154,0 Tabella B2 - Delitti di estorsione denunciati, medie mobili, intervallo di 3 anni. Anni 1998-2010 2007/ 2009 433,0 9,0 796,3 51,7 301,3 64,0 138,3 381,3 312,7 65,3 147,3 460,3 148,0 33,0 1.175,0 641,0 66,0 332,0 732,3 129,3 433,0 2008/ 2010 419,7 7,0 805,0 51,3 292,0 60,3 147,0 369,3 313,3 68,7 142,0 516,3 155,7 28,0 1.106,3 607,0 64,3 311,0 678,7 132,3 419,7 allegato metodologico 329 Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria EmiliaRomagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Regioni 1999 % -4,4 -71,4 42,5 -28,8 5,3 88,6 5,7 1,3 3,5 200,0 12,7 -14,7 32,7 75,0 1,1 3,2 1998 % - - - 9,5 -47,1 -1,4 -16,9 -17,8 19,0 6,5 -4,1 20,0 % 9,2 50,0 -10,3 -31,9 -20,3 -36,4 -35,5 2000 3,7 59,3 2,9 40,4 41,7 -8,0 -6,8 42,5 10,9 % -3,8 33,3 -4,5 -34,4 10,0 23,8 26,7 2001 26,2 -30,2 1,4 -3,0 -22,4 17,4 8,6 -37,7 -7,0 % 11,6 25,0 5,4 33,3 28,9 0,0 -17,1 2002 -3,3 40,0 11,0 -21,6 42,4 -11,1 9,3 -0,6 5,1 % 1,6 -20,0 40,5 -7,1 -8,3 26,9 25,4 2003 32,7 76,2 37,0 44,9 34,0 58,3 60,2 88,5 37,5 % 25,6 25,0 29,9 69,2 67,8 0,0 45,6 2004 11,4 -25,7 -8,1 -8,8 23,0 -5,3 5,5 2,1 10,8 % -4,6 120,0 5,6 18,2 -3,3 -13,6 -19,1 2005 -18,8 5,5 -14,7 -6,7 -17,4 -19,4 15,3 -10,1 -21,1 % -5,9 -63,6 1,7 -23,1 -0,4 7,0 8,6 2006 28,0 -5,2 59,8 0,0 9,4 44,8 11,4 16,8 30,4 % 27,6 125,0 18,1 27,5 30,3 21,3 26,7 2007 -2,2 36,4 18,7 67,6 11,4 -47,6 -2,2 -7,3 29,8 % -3,3 0,0 5,4 29,4 9,6 -28,4 18,8 2008 2,3 -12,0 -16,4 -23,6 -5,1 59,1 -8,5 3,2 -6,6 % -4,1 0,0 -1,0 -42,4 -17,3 22,6 -11,2 2009 Tabella B3 - Delitti di estorsione denunciati, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 1998-2010 0,6 -1,5 -10,9 15,7 10,1 -22,9 -7,0 -11,4 -26,6 % -1,7 -66,7 -1,0 31,6 0,0 -3,1 14,1 2010 121,7 282,4 95,2 38,2 196,4 125,0 114,9 49,5 83,5 VS % 49,3 -57,1 207,7 -24,2 108,4 80,0 75,0 330 debora amelia elce 1999 % -2,2 3,3 1,4 0,8 4,8 1998 % - % 15,9 -9,7 -13,7 -19,2 -7,1 2000 % -31,4 17,9 1,7 -25,7 8,9 2001 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni Regioni % -2,9 -3,0 -6,3 14,7 -3,2 2002 % -5,9 0,8 -7,1 -14,0 3,4 2003 % 25,0 18,7 37,3 66,2 44,3 2004 % 40,0 15,4 6,4 -20,3 2,9 2005 % -26,8 11,6 -12,6 21,4 -3,0 2006 % 36,6 -4,8 38,6 12,6 18,9 2007 % 10,7 -8,3 -14,1 0,0 3,5 2008 % 29,0 -18,7 -1,1 -10,4 -6,9 2009 % -36,3 11,5 -5,7 19,2 -3,2 2010 VS % 13,3 30,1 10,0 15,3 69,6 allegato metodologico 331 2000 8,0 3,0 4,4 4,2 2,9 4,2 4,5 5,7 5,5 3,9 5,7 6,2 5,7 9,4 11,1 11,4 10,3 13,6 12,8 7,4 7,3 1999 7,3 2,0 4,9 6,2 3,7 6,6 6,9 4,8 5,0 7,4 5,9 7,4 7,0 7,9 10,5 11,9 8,9 15,0 14,9 9,1 7,8 5,7 6,4 5,7 6,2 5,9 8,7 8,1 8,7 10,4 16,2 7,1 16,0 13,1 5,5 7,9 5,2 3,2 2,7 2001 7,7 4,0 4,2 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd Regioni 1998 Piemonte 7,6 Valle d’Aosta 7,0 Lombardia 3,4 Trentino-Alto 8,8 Adige Veneto 3,5 Friuli-Venezia 3,5 Giulia Liguria 6,5 Emilia-Romagna 4,8 Toscana 4,9 Umbria 2,5 Marche 5,2 Lazio 8,7 Abruzzo 5,3 Molise 4,5 Campania 10,4 Puglia 11,5 Basilicata 9,1 Calabria 14,5 Sicilia 14,7 Sardegna 9,1 Totale regioni 7,5 4,8 5,9 7,2 4,3 6,0 8,4 6,3 10,2 11,3 10,1 6,9 15,6 12,3 6,3 7,7 5,2 4,1 3,7 2002 8,6 5,0 4,4 6,0 6,2 7,0 6,1 6,7 6,6 9,0 9,1 12,3 10,1 6,5 15,8 11,4 5,4 7,9 6,6 3,8 3,4 2003 8,8 4,0 6,1 8,7 8,4 9,2 10,6 9,1 9,5 12,0 14,4 19,7 18,9 8,2 18,6 15,6 8,9 11,4 6,6 6,2 5,7 2004 11,0 4,9 7,9 7,1 9,3 10,2 7,8 8,3 8,6 14,6 13,7 20,6 19,3 11,5 21,5 16,5 7,1 11,6 5,7 6,0 6,6 2005 10,5 2,9 8,3 7,7 7,3 8,3 8,2 7,1 8,0 12,1 11,0 23,7 17,3 8,4 24,2 14,5 8,6 11,3 6,1 5,9 5,1 2006 9,9 3,9 8,4 9,8 9,5 10,7 7,8 11,3 10,8 13,2 16,1 26,5 20,2 11,6 23,2 20,1 9,7 13,4 7,4 7,7 6,4 2007 12,6 10,7 9,9 11,7 12,2 10,4 10,6 13,3 13,2 14,6 8,4 25,8 18,7 12,9 21,2 17,2 9,7 13,8 5,3 8,4 8,2 2008 12,1 8,7 10,4 10,4 11,3 10,6 9,2 11,0 10,0 13,8 13,4 23,6 19,3 16,7 17,3 17,0 8,7 12,8 6,5 6,9 4,7 2009 11,6 8,7 10,3 11,9 8,3 10,6 9,1 9,8 11,5 15,2 10,4 21,9 17,1 10,7 19,3 16,0 10,4 12,4 6,3 6,9 6,1 2010 11,4 2,9 10,1 7,5 7,4 7,8 6,7 7,7 8,7 9,9 10,1 16,3 15,0 9,6 17,8 14,9 8,0 9,9 5,7 5,0 5,2 TM 9,6 5,0 6,6 84,5 73,8 118,7 266,5 88,2 32,7 186,7 130,4 110,0 47,9 16,7 32,8 8,4 14,4 65,3 79,1 96,9 -30,4 V S% 49,0 -58,7 194,7 Tabella B4 - Delitti di estorsione denunciati, tasso annuo di estorsione su popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso medio (TM), variazione storica percentuale(VS%). Anni 1998-2010 332 debora amelia elce 1998 % 7,8 0,2 7,3 1,9 3,7 1,0 2,5 4,5 4,0 0,5 1,8 10,6 1,6 0,3 13,4 10,7 1,3 6,8 16,7 3,5 100 1999 2000 % % 7,1 8,3 0,1 0,1 10,0 9,6 1,3 0,9 3,7 3,2 1,8 1,2 2,5 1,7 4,3 5,6 4,0 4,7 1,4 0,8 1,9 2,0 8,6 7,7 2,0 1,7 0,6 0,7 13,0 14,8 10,5 10,9 1,2 1,5 6,7 6,5 16,2 15,0 3,4 2,9 100 100 2001 % 7,3 0,1 8,4 0,6 3,2 1,4 2,0 5,7 4,5 1,1 1,9 9,9 2,3 0,6 12,7 14,2 0,9 7,0 14,0 2,0 100 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni Regioni 2002 % 8,5 0,1 9,2 0,8 4,3 1,4 1,7 5,5 5,8 0,8 2,0 10,0 1,8 0,7 14,3 9,2 0,9 7,0 13,6 2,4 100 2003 % 8,3 0,1 12,5 0,7 3,8 1,8 2,1 5,5 5,5 1,1 2,2 7,5 2,5 0,6 15,1 8,8 0,9 6,9 12,2 2,0 100 2004 % 7,2 0,1 11,2 0,8 4,4 1,2 2,1 5,3 5,0 1,4 2,1 7,6 2,3 0,7 16,7 11,5 0,7 5,6 11,6 2,3 100 2005 % 6,7 0,2 11,5 0,9 4,2 1,0 1,7 5,7 5,4 1,0 1,8 6,7 2,8 0,6 17,2 11,4 1,0 6,3 12,0 1,8 100 2006 % 6,5 0,1 12,1 0,7 4,3 1,1 1,9 4,6 4,6 1,1 1,6 6,5 2,4 0,5 20,4 10,6 0,8 7,3 10,8 2,2 100 2007 % 7,0 0,1 12,0 0,8 4,7 1,2 2,0 5,1 4,9 0,9 2,2 5,4 2,2 0,7 19,1 10,4 0,9 5,8 12,6 2,1 100 2008 % 6,5 0,1 12,2 1,0 5,0 0,8 2,3 6,4 4,6 1,1 2,5 8,8 2,3 0,3 18,1 9,3 0,9 5,2 10,5 2,0 100 2009 % 6,7 0,1 13,0 0,6 4,4 1,1 2,2 6,4 5,1 1,1 2,2 7,2 2,4 0,6 17,7 10,3 1,3 4,5 11,1 1,9 100 2010 % 6,8 0,1 13,3 0,8 4,6 1,1 2,6 4,8 5,3 1,1 2,1 8,6 2,7 0,5 17,0 9,4 0,9 5,2 10,8 2,4 100 Tabella B5 - Delitti di estorsione denunciati, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 1998-2010 RCM % 7,3 0,1 10,8 0,9 4,1 1,2 2,1 5,3 4,9 1,0 2,0 8,0 2,2 0,6 15,9 10,5 1,0 6,2 12,7 2,3 100 allegato metodologico 333 Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Regioni 1998 332 7 325 66 138 39 110 174 214 22 77 395 72 28 578 482 1999 331 2 427 55 170 53 121 163 200 46 91 388 84 27 581 449 2000 298 7 367 34 137 46 68 219 203 42 78 334 90 30 667 468 2001 302 3 374 33 151 64 78 228 273 77 80 469 109 33 618 767 2002 375 6 396 34 192 65 86 278 307 26 83 436 107 52 672 456 Anni 2003 340 5 548 35 199 100 115 265 268 50 114 327 121 29 938 431 2004 495 3 799 54 380 92 150 333 410 129 159 628 158 48 1.672 899 2005 493 8 782 60 308 89 168 385 464 88 185 560 213 54 2.051 912 2006 449 31 755 54 270 82 142 326 377 68 150 501 240 52 1.974 852 2007 503 10 802 56 334 92 153 358 446 69 178 476 183 79 1.849 895 2008 584 7 942 99 370 80 186 475 408 84 204 716 280 37 2.012 795 409 8 592 53 241 73 125 291 325 64 127 475 151 43 1.237 673 VM 4.502 89 6.517 580 2.649 802 1.377 3.204 3.570 701 1.399 5.230 1.657 469 13.612 7.406 Totale Tabella B6 - Persone denunciate/arrestate per delitti di estorsione, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 1998-2008 334 debora amelia elce 1998 81 242 669 112 4.163 1999 96 307 592 188 4.371 Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni Regioni 2000 73 308 850 98 4.417 2001 42 412 580 68 4.761 2002 52 269 547 85 4.524 Anni 2003 45 208 544 70 4.752 2004 66 569 1.191 140 8.375 2005 100 530 1.219 124 8.793 2006 65 651 904 145 8.088 2007 92 545 1.094 112 8.326 2008 94 537 1.129 155 9.194 Totale 73 806 416 4.578 847 9.319 118 1.297 6.342 69.764 VM allegato metodologico 335 1999/2001 310 4 389 41 153 54 89 203 225 55 83 397 94 30 622 561 70 342 674 118 4.516 Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd Regioni 1998/2000 Piemonte 320 Valle d’Aosta 5 Lombardia 373 Trentino-A. A. 52 Veneto 148 Friuli-V. G. 46 Liguria 100 Emilia-Romagna 185 Toscana 206 Umbria 37 Marche 82 Lazio 372 Abruzzo 82 Molise 28 Campania 609 Puglia 466 Basilicata 83 Calabria 286 Sicilia 704 Sardegna 133 Totale regioni 4.317 2000/2002 325 5 379 34 160 58 77 242 261 48 80 413 102 38 652 564 56 330 659 84 4.567 2001/2003 339 5 439 34 181 76 93 257 283 51 92 411 112 38 743 551 46 296 557 74 4.679 2002/2004 2003/2005 2004/2006 2005/2007 2006/2008 403 443 247 482 476 5 5 396 16 21 581 710 417 780 779 41 50 188 57 55 257 296 204 304 302 86 94 121 88 87 117 144 251 154 148 292 328 383 356 342 328 381 256 429 412 68 89 130 75 69 119 153 364 171 164 464 505 383 512 489 129 164 128 212 212 43 44 975 62 66 1.094 1.554 1.393 1.958 1.912 595 747 482 886 874 54 70 330 86 79 349 436 844 575 598 761 985 621 1072 999 98 111 136 127 129 5.884 7.307 8.419 8.402 8.207 Tabella B7 - Persone denunciate/arrestate per delitti di estorsione, medie mobili, intervallo di 3 anni. Anni 1998-2008 336 debora amelia elce 1998 % - 1999 % -0,3 -71,4 31,4 -16,7 23,2 35,9 10,0 -6,3 -6,5 109,1 18,2 -1,8 16,7 -3,6 0,5 -6,8 18,5 26,9 -11,5 67,9 5,0 Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni Regioni 2000 % -10,0 250,0 -14,1 -38,2 -19,4 -13,2 -43,8 34,4 1,5 -8,7 -14,3 -13,9 7,1 11,1 14,8 4,2 -24,0 0,3 43,6 -47,9 1,1 2001 % 1,3 -57,1 1,9 -2,9 10,2 39,1 14,7 4,1 34,5 83,3 2,6 40,4 21,1 10,0 -7,3 63,9 -42,5 33,8 -31,8 -30,6 7,8 2002 % 24,2 100,0 5,9 3,0 27,2 1,6 10,3 21,9 12,5 -66,2 3,8 -7,0 -1,8 57,6 8,7 -40,5 23,8 -34,7 -5,7 25,0 -5,0 2003 % -9,3 -16,7 38,4 2,9 3,6 53,8 33,7 -4,7 -12,7 92,3 37,3 -25,0 13,1 -44,2 39,6 -5,5 -13,5 -22,7 -0,5 -17,6 5,0 2004 % 45,6 -40,0 45,8 54,3 91,0 -8,0 30,4 25,7 53,0 158,0 39,5 92,0 30,6 65,5 78,3 108,6 46,7 173,6 118,9 21,4 -11,6 2005 % -0,4 166,7 -2,1 11,1 -18,9 -3,3 12,0 15,6 13,2 -31,8 16,4 -10,8 34,8 12,5 22,7 1,4 51,5 -6,9 2,4 -18,8 0,4 2006 % -8,9 287,5 -3,5 -10,0 -12,3 -7,9 -15,5 -15,3 -18,8 -22,7 -18,9 -10,5 12,7 -3,7 -3,8 -6,6 -35,0 22,8 -25,8 10,1 -8,9 2007 % 12,0 -67,7 6,2 3,7 23,7 12,2 7,7 9,8 18,3 1,5 18,7 -5,0 -23,8 51,9 -6,3 5,0 41,5 -16,3 21,0 -10,5 7,9 2008 % 16,1 -30,0 17,5 76,8 10,8 -13,0 21,6 32,7 -8,5 21,7 14,6 50,4 53,0 -53,2 8,8 -11,2 2,2 -1,5 3,2 32,4 11,1 VS % 75,9 0,0 189,9 50,0 168,1 105,1 69,1 173,0 90,7 281,8 164,9 81,3 288,9 32,1 248,1 64,9 16,0 121,9 68,8 38,4 120,9 Tabella B8 - Persone denunciate/arrestate per delitti di estorsione, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 1998-2008 allegato metodologico 337 1998 9,3 7,0 4,3 8,8 3,7 3,9 8,1 5,2 7,3 3,2 6,4 9,2 6,9 10,5 12,7 14,7 16,5 14,7 16,7 8,2 8,8 1999 9,2 2,0 5,6 7,3 4,5 5,3 8,9 4,9 6,8 6,7 7,5 9,0 8,1 10,2 12,7 13,7 19,5 18,7 14,7 13,7 9,2 2000 8,3 7,0 4,8 4,5 3,6 4,6 5,1 6,6 6,9 6,1 6,4 7,8 8,6 11,3 14,6 14,2 14,8 18,7 21,1 7,1 9,3 Fonte: ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd Regioni Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni 2001 8,5 3,0 4,9 4,3 4,0 6,4 5,8 6,8 9,2 11,1 6,5 10,9 10,4 12,4 13,5 23,3 8,5 25,1 14,4 5,0 10,0 2002 10,5 6,0 5,2 4,4 5,1 6,5 6,5 8,3 10,4 3,8 6,9 10,2 10,2 19,7 14,7 13,9 10,6 16,5 13,6 6,2 9,6 2003 9,6 5,0 7,2 4,5 5,2 10,0 8,7 7,9 9,1 7,2 9,4 7,6 11,6 11,0 20,4 13,1 9,2 12,7 13,5 5,1 10,0 2004 13,9 3,0 10,4 7,0 9,9 9,2 11,4 9,8 13,9 18,4 13,0 14,6 15,0 18,2 36,2 27,3 13,5 34,8 29,5 10,2 17,6 2005 13,8 7,8 10,1 7,7 8,0 8,9 12,8 11,3 15,7 12,5 15,0 12,9 20,1 20,5 44,2 27,7 20,5 32,5 30,2 9,0 18,4 2006 12,6 30,1 9,7 6,8 7,0 8,2 10,9 9,5 12,7 9,7 12,2 11,5 22,6 19,8 42,5 25,8 13,4 40,1 22,4 10,5 16,9 2007 14,1 9,7 10,3 7,0 8,6 9,2 11,8 10,4 15,1 9,8 14,4 10,9 17,3 30,2 39,8 27,1 19,0 33,8 27,1 8,1 17,4 2008 16,3 6,8 12,1 12,3 9,4 8,0 14,3 13,7 13,7 11,8 16,4 16,2 26,2 14,1 43,2 24,0 19,5 33,1 27,8 11,2 19,1 TM 11,2 6,0 7,2 6,4 5,9 7,0 9,0 8,2 10,5 8,1 9,7 10,7 13,0 15,2 23,3 19,5 14,4 23,8 20,0 8,2 12,7 V S% 75,6 -3,7 179,5 39,9 154,9 104,3 77,4 161,8 89,0 269,5 157,0 76,5 277,7 34,1 240,8 63,3 18,4 125,4 66,9 37,0 116,3 Tabella B9 - Persone denunciate/arrestate per delitti di estorsione, tasso di estorsione popolazione 14-80 per 100.000 ab, tasso medio (TM), variazione storica percentuale (VS%). Anni 1998-2008 338 debora amelia elce 1998 % 8,0 0,2 7,8 1,6 3,3 0,9 2,6 4,2 5,1 0,5 1,8 9,5 1,7 0,7 13,9 11,6 1,9 5,8 16,1 2,7 100 1999 % 7,6 0,0 9,8 1,3 3,9 1,2 2,8 3,7 4,6 1,1 2,1 8,9 1,9 0,6 13,3 10,3 2,2 7,0 13,5 4,3 100 Fonte: ns. elaborazione dati SDI/SSD. Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni Regioni 2000 % 6,7 0,2 8,3 0,8 3,1 1,0 1,5 5,0 4,6 1,0 1,8 7,6 2,0 0,7 15,1 10,6 1,7 7,0 19,2 2,2 100 2001 % 6,3 0,1 7,9 0,7 3,2 1,3 1,6 4,8 5,7 1,6 1,7 9,9 2,3 0,7 13,0 16,1 0,9 8,7 12,2 1,4 100 2002 % 8,3 0,1 8,8 0,8 4,2 1,4 1,9 6,1 6,8 0,6 1,8 9,6 2,4 1,1 14,9 10,1 1,1 5,9 12,1 1,9 100 2003 % 7,2 0,1 11,5 0,7 4,2 2,1 2,4 5,6 5,6 1,1 2,4 6,9 2,5 0,6 19,7 9,1 0,9 4,4 11,4 1,5 100 2004 % 5,9 0,0 9,5 0,6 4,5 1,1 1,8 4,0 4,9 1,5 1,9 7,5 1,9 0,6 20,0 10,7 0,8 6,8 14,2 1,7 100 2005 % 5,6 0,1 8,9 0,7 3,5 1,0 1,9 4,4 5,3 1,0 2,1 6,4 2,4 0,6 23,3 10,4 1,1 6,0 13,9 1,4 100 2006 % 5,6 0,4 9,3 0,7 3,3 1,0 1,8 4,0 4,7 0,8 1,9 6,2 3,0 0,6 24,4 10,5 0,8 8,0 11,2 1,8 100 2007 % 6,0 0,1 9,6 0,7 4,0 1,1 1,8 4,3 5,4 0,8 2,1 5,7 2,2 0,9 22,2 10,7 1,1 6,5 13,1 1,3 100 2008 % 6,4 0,1 10,2 1,1 4,0 0,9 2,0 5,2 4,4 0,9 2,2 7,8 3,0 0,4 21,9 8,6 1,0 5,8 12,3 1,7 100 RCM % 6,6 0,1 9,2 0,8 3,7 1,2 2,0 4,6 5,2 0,9 2,0 7,7 2,3 0,7 17,8 10,7 1,2 6,5 13,4 1,9 100 Tabella B10 - Persone denunciate/arrestate per delitti di estorsione, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 1998-2008 allegato metodologico 339 1998 P/D 1,21 1,00 1,25 1,00 1,05 1,11 1,25 1,10 1,50 1,29 1,22 1,06 1,31 2,33 1,22 1,28 1,80 1,01 1,13 0,90 1,18 Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni Regioni 1999 P/D 1,26 1,00 1,16 1,17 1,23 0,80 1,30 1,02 1,35 0,90 1,28 1,22 1,15 1,29 1,21 1,15 2,18 1,24 0,99 1,50 1,18 2000 P/D 1,04 2,33 1,11 1,06 1,25 1,10 1,13 1,14 1,25 1,56 1,11 1,26 1,50 1,20 1,31 1,25 1,43 1,38 1,64 0,97 1,28 2001 P/D 1,10 0,75 1,18 1,57 1,25 1,23 1,03 1,07 1,63 1,79 1,11 1,26 1,28 1,43 1,30 1,44 1,20 1,57 1,10 0,91 1,27 2002 P/D 1,22 1,20 1,19 1,21 1,23 1,25 1,37 1,40 1,45 0,87 1,14 1,21 1,62 1,93 1,30 1,37 1,53 1,05 1,11 0,99 1,25 2003 P/D 1,09 1,25 1,17 1,35 1,39 1,52 1,46 1,27 1,31 1,19 1,41 1,16 1,29 1,21 1,66 1,31 1,41 0,81 1,19 0,95 1,27 2004 P/D 1,26 0,60 1,31 1,23 1,58 1,39 1,30 1,16 1,51 1,74 1,43 1,53 1,25 1,26 1,85 1,45 1,65 1,87 1,89 1,14 1,55 2005 P/D 1,32 0,73 1,22 1,15 1,33 1,56 1,81 1,21 1,53 1,60 1,81 1,50 1,37 1,50 2,15 1,44 1,79 1,51 1,82 1,27 1,58 2006 P/D 1,28 7,75 1,16 1,35 1,17 1,34 1,41 1,30 1,53 1,17 1,72 1,44 1,88 1,79 1,79 1,49 1,59 1,66 1,55 1,22 1,50 2007 P/D 1,12 1,11 1,04 1,10 1,11 1,24 1,20 1,10 1,42 1,25 1,28 1,36 1,31 1,88 1,51 1,34 1,64 1,46 1,35 0,84 1,30 2008 P/D 1,35 0,78 1,16 1,50 1,12 1,51 1,22 1,12 1,32 1,12 1,24 1,22 1,79 1,68 1,68 1,29 1,52 1,57 1,62 1,16 1,38 1,20 1,68 1,18 1,24 1,25 1,28 1,32 1,17 1,44 1,32 1,34 1,29 1,43 1,59 1,54 1,35 1,61 1,37 1,40 1,08 1,34 RDM Tabella B11 - Persone denunciate (P)/delitti di estorsione(D), rapporto di derivazione annuo e medio (RDM). Anni 1998-2008 340 debora amelia elce 2007 470 10 775 52 317 89 147 351 422 68 165 472 176 74 1.921 889 88 538 1.126 109 8.259 Fonte: ns. elaborazione dati Istat Regioni Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni 2008 546 7 917 92 357 81 179 448 383 83 192 643 258 38 2.031 778 79 517 1.094 149 8.872 2009 449 10 923 72 366 56 139 461 395 78 162 544 202 32 1.803 748 111 444 1.017 128 8.140 2010 475 4 905 64 318 80 159 371 456 61 206 578 212 53 1.669 828 83 547 1.056 125 8.250 2011 520 12 952 44 319 85 193 361 477 107 222 720 225 63 1.885 946 91 482 1.046 106 8.856 VM 492 9 894 65 335 78 163 398 427 79 189 591 215 52 1.862 838 90 506 1.068 123 8.475 Tabella B12 - Autori di estorsione, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 2007-2011 Totale 2.460 43 4.472 324 1.677 391 817 1.992 2.133 397 947 2.957 1.073 260 9.309 4.189 452 2.528 5.339 617 42.377 allegato metodologico 341 Fonte: ns. elaborazione dati Istat Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni Regioni 2007 % - 2008 % 16,2 -30,0 18,3 76,9 12,6 -9,0 21,8 27,6 -9,2 22,1 16,4 36,2 46,6 -48,6 5,7 -12,5 -10,2 -3,9 -2,8 36,7 7,4 2009 % -17,8 42,9 0,7 -21,7 2,5 -30,9 -22,3 2,9 3,1 -6,0 -15,6 -15,4 -21,7 -15,8 -11,2 -3,9 40,5 -14,1 -7,0 -14,1 -8,3 2010 % 5,8 -60,0 -2,0 -11,1 -13,1 42,9 14,4 -19,5 15,4 -21,8 27,2 6,3 5,0 65,6 -7,4 10,7 -25,2 23,2 3,8 -2,3 1,4 2011 % 9,5 200,0 5,2 -31,3 0,3 6,3 21,4 -2,7 4,6 75,4 7,8 24,6 6,1 18,9 12,9 14,3 9,6 -11,9 -0,9 -15,2 7,3 Tabella B13 - Autori di estorsione, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 2007-2011 VS % 10,6 20,0 22,8 -15,4 0,6 -4,5 31,3 2,8 13,0 57,4 34,5 52,5 27,8 -14,9 -1,9 6,4 3,4 -10,4 -7,1 -2,8 7,2 342 debora amelia elce 9,7 10,0 6,5 8,1 8,9 11,3 10,2 14,3 9,7 13,4 10,8 16,6 28,3 41,4 26,9 18,2 33,3 27,9 7,9 17,2 Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni Fonte: ns. elaborazione dati Istat 13,2 2007 Piemonte Regioni 6,8 11,7 11,5 9,1 8,1 13,8 13,0 12,9 11,7 15,4 14,6 24,1 14,5 43,6 23,5 16,4 31,9 27,0 10,8 18,4 15,2 2008 9,6 11,8 8,9 9,3 5,6 10,7 13,2 13,2 10,9 12,9 12,2 18,8 12,3 38,7 22,6 23,1 27,5 25,0 9,3 16,8 12,5 2009 3,9 11,5 7,8 8,0 8,0 12,3 10,6 15,3 8,5 16,5 12,9 19,8 20,4 35,8 25,0 17,4 33,9 26,0 9,1 17,0 13,2 2010 11,6 12,1 5,4 8,1 8,5 15,0 10,3 16,0 14,9 17,8 16,0 21,0 24,4 40,3 28,5 19,1 30,0 25,7 7,7 18,3 14,5 2011 7,8 11,4 7,8 8,5 7,7 12,5 11,4 14,3 10,9 15,1 13,2 19,9 19,1 39,9 25,2 18,7 31,2 26,3 8,9 17,5 TM 13,7 19,8 21,0 -18,1 -0,9 -4,6 32,9 0,5 11,7 54,2 32,7 48,0 26,4 -13,7 -2,6 5,9 5,0 -10,1 -7,9 -2,6 6,0 V S% 10,0 Tabella B14 - Autori di estorsione, tasso annuo di estorsione su popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso medio (TM), variazione storica percentuale (VS%). Anni 2007-2011 allegato metodologico 343 Fonte: ns. elaborazione dati Istat Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni Regioni 2007 % 5,7 0,1 9,4 0,6 3,8 1,1 1,8 4,2 5,1 0,8 2,0 5,7 2,1 0,9 23,3 10,8 1,1 6,5 13,6 1,3 8.259 2008 % 6,2 0,1 10,3 1,0 4,0 0,9 2,0 5,0 4,3 0,9 2,2 7,2 2,9 0,4 22,9 8,8 0,9 5,8 12,3 1,7 8.872 2009 % 5,5 0,1 11,3 0,9 4,5 0,7 1,7 5,7 4,9 1,0 2,0 6,7 2,5 0,4 22,1 9,2 1,4 5,5 12,5 1,6 8.140 2010 % 5,8 0,0 11,0 0,8 3,9 1,0 1,9 4,5 5,5 0,7 2,5 7,0 2,6 0,6 20,2 10,0 1,0 6,6 12,8 1,5 8.250 2011 % 5,9 0,1 10,7 0,5 3,6 1,0 2,2 4,1 5,4 1,2 2,5 8,1 2,5 0,7 21,3 10,7 1,0 5,4 11,8 1,2 8.856 Tabella B15 - Autori di estorsione, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 2007-2011 RCM % 5,8 10,5 0,7 3,9 0,9 1,9 4,7 5,0 0,9 2,2 6,9 2,5 0,6 21,9 9,9 1,1 5,9 12,6 1,4 8.475 344 debora amelia elce 2007 470 10 783 82 310 79 133 343 335 63 141 480 135 45 1.202 703 55 392 791 136 6.699 Fonte: ns. elaborazione dati Istat Regioni Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni 2008 435 8 863 66 329 51 162 440 327 72 172 581 162 27 1.122 624 80 330 711 141 6.711 2009 411 10 790 41 280 61 137 406 323 66 137 438 143 34 1.115 663 77 271 667 126 6.195 2010 409 2 758 51 263 63 151 277 318 55 121 489 157 26 944 542 47 268 558 137 5.640 2011 361 5 858 42 245 72 132 291 336 72 125 600 161 49 1.007 625 72 314 555 98 6.029 VM 417 7 810 56 285 65 143 351 328 66 139 518 152 36 1.031 631 66 315 656 128 6.255 Totale 2.086 35 4.052 282 1.427 326 715 1.757 1.639 328 696 2.588 758 181 7.218 3.157 331 1.575 3.282 638 31.274 Tabella B16 - Vittime di estorsione, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 2007-2011 allegato metodologico 345 2007 % - Fonte: ns. elaborazione dati Istat Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni Regioni 2008 % -7,4 -20,0 10,2 -19,5 6,1 -35,4 21,8 28,3 -2,4 14,3 22,0 21,0 20,0 -40,0 -6,7 -11,2 45,5 -15,8 -10,1 3,7 0,2 2009 % -5,5 25,0 -8,5 -37,9 -14,9 19,6 -15,4 -7,7 -1,2 -8,3 -20,3 -24,6 -11,7 25,9 -0,6 6,3 -3,8 -17,9 -6,2 -10,6 -7,7 2010 % -0,5 -80,0 -4,1 24,4 -6,1 3,3 10,2 -31,8 -1,5 -16,7 -11,7 11,6 9,8 -23,5 -15,3 -18,3 -39,0 -1,1 -16,3 8,7 -9,0 2011 % -11,7 150,0 13,2 -17,6 -6,8 14,3 -12,6 5,1 5,7 30,9 3,3 22,7 2,5 88,5 6,7 15,3 53,2 17,2 -0,5 -28,5 6,9 Tabella B17 - Vittime di estorsione, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 2007-2011 VS % -23,2 -50,0 9,6 -48,8 -21,0 -8,9 -0,8 -15,2 0,3 14,3 -11,3 25,0 19,3 8,9 -16,2 -11,1 30,9 -19,9 -29,8 -27,9 -10,0 346 debora amelia elce 2007 13,2 9,7 10,1 10,3 8,0 7,9 10,2 10,0 11,3 9,0 11,4 11,0 12,7 17,2 25,9 21,3 11,4 24,3 19,6 9,9 14,0 Fonte: ns. elaborazione dati Istat Regioni Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni 2008 12,1 7,7 11,0 8,2 8,4 5,1 12,5 12,7 11,0 10,1 13,8 13,1 15,2 10,3 24,1 18,9 16,6 20,4 17,5 10,2 13,9 2009 11,4 9,6 10,1 5,1 7,1 6,1 10,6 11,6 10,8 9,2 10,9 9,8 13,3 13,0 23,9 20,0 16,0 16,8 16,4 9,1 12,8 2010 11,4 1,9 9,6 6,3 6,7 6,3 11,7 7,9 10,6 7,7 9,7 10,9 14,6 10,0 20,2 16,4 9,8 16,6 13,7 9,9 11,6 2011 10,1 4,8 10,9 5,1 6,2 7,2 10,3 8,3 11,2 10,0 10,0 13,3 15,0 19,0 21,5 18,8 15,1 19,5 13,6 7,1 12,4 TM 11,6 5,8 10,3 6,7 7,2 6,4 11,0 9,9 11,0 9,2 11,1 11,6 14,1 13,5 23,0 19,0 13,5 19,3 16,0 9,2 12,9 V S% -23,6 -50,1 7,9 -50,4 -22,2 -9,0 0,5 -17,1 -0,9 12,0 -12,5 21,3 17,9 10,4 -16,8 -11,5 33,0 -19,6 -30,4 -27,8 -11,0 Tabella B18 - Vittime di estorsione, tasso annuo di estorsione su popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso medio(TM), variazione storica percentuale (VS%). Anni 2007-2011 allegato metodologico 347 Fonte: ns. elaborazione dati Istat Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni Regioni 2007 % 7,0 0,1 11,7 1,2 4,6 1,2 2,0 5,1 5,0 0,9 2,1 7,2 2,0 0,7 18,0 10,5 0,8 5,9 11,8 2,0 100 2008 % 6,5 0,1 12,9 1,0 4,9 0,8 2,4 6,6 4,9 1,1 2,6 8,7 2,4 0,4 16,7 9,3 1,2 4,9 10,6 2,1 100 2009 % 6,6 0,2 12,8 0,7 4,5 1,0 2,2 6,6 5,2 1,1 2,2 7,1 2,3 0,5 18,0 10,7 1,2 4,4 10,8 2,0 100 2010 % 7,3 0,0 13,4 0,9 4,7 1,1 2,7 4,9 5,6 1,0 2,1 8,7 2,8 0,5 16,7 9,6 0,8 4,8 9,9 2,4 100 2011 % 6,0 0,1 14,3 0,7 4,1 1,2 2,2 4,8 5,6 1,2 2,1 10,0 2,7 0,8 16,7 10,4 1,2 5,2 9,2 1,6 100 Tabella B19 - Vittime di estorsione, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 2007-2011 RCM % 6,7 13,0 0,9 4,6 1,0 2,3 5,5 5,3 1,1 2,3 8,3 2,4 0,6 17,2 10,1 1,0 5,0 10,4 2,0 100 348 debora amelia elce Fonte: ns. elaborazione dati Istat Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino-A. A. Veneto Friuli-V. G. Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale regioni Regioni 2007 V/D 1,05 1,11 1,02 1,61 1,03 1,07 1,04 1,05 1,06 1,15 1,01 1,38 0,96 1,07 0,98 1,05 0,98 1,05 0,98 1,01 1,05 2008 V/D 1,00 0,89 1,04 1,00 1,00 0,96 1,07 1,02 1,06 0,96 1,04 0,99 1,04 1,23 0,94 1,01 1,29 0,96 1,02 1,05 1,00 2009 V/D 0,99 1,11 0,98 1,08 1,03 0,94 1,01 1,03 1,03 1,00 0,99 0,98 0,97 0,97 1,02 1,04 0,96 0,97 0,97 1,05 0,99 2010 V/D 1,00 0,67 0,95 1,02 0,96 1,00 0,98 0,96 1,00 0,85 0,98 0,95 0,96 0,96 0,92 0,96 0,92 0,86 0,86 0,96 1,00 2011 V/D 1,03 0,83 0,98 0,98 0,97 1,26 1,03 0,99 1,03 0,95 0,94 0,96 1,02 1,20 0,94 1,02 1,01 1,17 0,90 1,03 1,03 1,01 0,91 0,99 1,12 1,00 1,04 1,03 1,01 1,04 0,98 0,99 1,04 0,99 1,08 0,96 1,02 1,02 1,00 0,94 1,02 1,01 RDM Tabella B20 - Vittime di delitto (V)/delitti denunciati (D), rapporto di derivazione annuo e medio (RDM). Anni 2007-2011 allegato metodologico 349 381 428 363 371 400 402 391 386 401 313 290 250 237 239 266 284 303 279 295 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 36,2 35,3 35,3 34,8 36,4 36,2 35,4 35,2 35,8 32,3 32,5 31,6 30,0 28,7 28,5 27,7 27,7 26,3 25,8 % 192 226 179 209 222 238 237 242 253 259 254 245 260 294 366 426 452 456 501 Camorra 18,3 18,6 17,4 19,6 20,2 21,4 21,5 22,0 22,6 26,8 28,4 31,0 32,9 35,3 39,2 41,5 41,4 43,1 43,8 % 133 159 164 159 156 145 149 157 155 124 119 99 101 101 104 114 123 126 136 ‘Ndrangheta 12,6 13,1 16,0 14,9 14,2 13,1 13,5 14,3 13,9 12,8 13,3 12,5 12,8 12,1 11,1 11,1 11,3 11,9 11,9 % Sacra Corona Unita 85 100 93 95 82 89 91 96 100 94 87 82 83 95 95 100 106 102 112 Fonte: ns. elaborazione, Ministero dell’Interno. Relazione sulle speciali misure di protezione Cosa Nostra Anno 8,1 8,2 9,0 8,9 7,5 8,0 8,2 8,7 8,9 9,7 9,7 10,4 10,5 11,4 10,2 9,7 9,7 9,6 9,8 % 261 301 229 233 240 236 236 217 210 178 143 114 110 104 102 103 109 96 100 Altre org. 24,8 24,8 22,3 21,8 21,8 21,3 21,4 19,8 18,8 18,4 16,0 14,4 13,9 12,5 10,9 10,0 10,0 9,1 8,7 % Tabella B21 - Aree criminali di provenienza dei collaboratori di giustizia. Anni 1995 - 2013 (al 31 dicembre) 1.052 1.214 1.028 1.067 1.100 1.110 1.104 1.098 1.119 968 893 790 791 833 933 1.027 1.093 1.059 1.144 Totale Sezione C Livello provinciale Campano allegato metodologico 351 73 46 253 689 166 1.227 Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale province* 58 44 232 698 168 1.200 2008 68 31 204 629 163 1.095 2009 45 37 184 619 134 1.019 2010 60 46 177 589 195 1.067 2011 62 18 179 583 206 1.048 2012 59 14 183 557 186 999 2013 VM 61 34 202 623 174 1.094 425 236 1.412 4.364 1.218 7.655 Totale 2008 % -20,5 -4,3 -8,3 1,3 1,2 -2,2 2007 % - Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale province Province % 17,2 -29,5 -12,1 -9,9 -3,0 -8,8 2009 % -33,8 19,4 -9,8 -1,6 -17,8 -6,9 2010 % 33,3 24,3 -3,8 -4,8 45,5 4,7 2011 % 3,3 -60,9 1,1 -1,0 5,6 -1,8 2012 % -4,8 -22,2 2,2 -4,5 -9,7 -4,7 2013 Tabella C2 - Delitti di estorsione denunciati, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 2007-2013 VS % -19,2 -69,6 -27,7 -19,2 12,0 -18,6 Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd * La somma dei delitti, delle persone, degli autori e delle vittime, distinti per provincia (Totale province) può non coincidere con il totale della regione, a causa della mancata precisazione, per alcuni delitti, della provincia ove sono stati commessi. 2007 Province Tabella C1 - Delitti di estorsione denunciati, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 2007-2013 352 debora amelia elce 32,4 28,3 35,6 28,0 18,8 26,4 Caserta Napoli Salerno Totale province 16,4 19,7 23,5 18,3 25,6 28,3 13,3 19,2 2009 21,8 15,0 25,1 25,4 15,9 12,8 2010 22,8 21,8 23,9 24,2 19,8 17,1 2011 22,4 23,1 23,6 24,4 7,8 17,7 2012 21,3 20,8 22,5 24,8 6,1 16,9 2013 2008 % 4,8 3,7 19,3 58,2 14,0 100 2007 % 5,9 3,7 20,6 56,2 13,5 100 Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale province Province % 6,2 2,8 18,6 57,4 14,9 100 2009 % 4,4 3,6 18,1 60,7 13,2 100 2010 % 5,6 4,3 16,6 55,2 18,3 100 2011 % 5,9 1,7 17,1 55,6 19,7 100 2012 % 5,9 1,4 18,3 55,8 18,6 100 2013 Tabella C4 - Delitti di estorsione denunciati, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 2007-2013 Fonte: ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd 25,8 18,9 18,8 20,7 2008 Benevento 2007 Avellino Province -18,5 RCM % 5,6 3,0 18,4 57,0 16,0 100 -19,3 11,0 -19,5 -30,2 -69,2 V S% Tabella C3 - Delitti di estorsione denunciati, tasso annuo di estorsione su popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso medio (TM), variazione storica percentuale (VS%). Anni 2007-2013 allegato metodologico 353 81 84 282 1.009 195 1.651 2010 98 96 437 896 321 1.848 2011 104 70 319 921 304 1.718 2012 65 28 319 909 320 1.641 2013 VM 87 70 339 934 285 1.715 348 278 1.357 3.735 1.140 6.858 Totale 2011 % 21,0 14,3 55,0 -11,2 64,6 11,9 2010 % - Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale province Province % 6,1 -27,1 -27,0 2,8 -5,3 -7,0 2012 % -37,5 -60,0 0,0 -1,3 5,3 -4,5 2013 VS % -19,8 -66,7 13,1 -9,9 64,1 -0,6 Tabella C6 - Persone denunciate/arrestate per delitti di estorsione, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 2010-2013 Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale province Province Tabella C5 - Persone denunciate/arrestate per delitti di estorsione, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 2010-2013 354 debora amelia elce 23,0 36,0 38,9 40,9 21,9 35,4 2010 27,9 41,3 59,8 36,3 35,9 39,5 2011 29,7 30,3 43,5 37,3 34,1 36,7 2012 18,6 12,1 43,3 36,8 35,8 35,0 2013 TM 24,4 27,2 45,7 37,8 31,3 36,6 105 58 456 986 210 1.815 Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale province Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd 2007 Province 106 75 383 1.136 284 1.984 2008 88 65 424 932 234 1.743 2009 74 78 267 974 191 1.584 2010 81 90 394 856 308 1.729 2011 98 68 293 896 295 1.650 2012 62 26 293 881 311 1.573 2013 VM 88 66 359 952 262 1.725 Tabella C8 - Autori di estorsione, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 2010-2013 Fonte: Ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale province Province 614 460 2.510 6.661 1.833 12.078 Totale V S% -19,1 -66,4 11,3 -10,0 63,5 -1,1 Tabella C7 - Persone denunciate per delitto di estorsione, tasso di estorsione popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso medio (TM), variazione storica percentuale (VS%). Anni 2010-2013 allegato metodologico 355 2008 % 1,0 29,3 -16,0 15,2 35,2 9,3 2007 % - % -17,0 -13,3 10,7 -18,0 -17,6 -12,1 2009 % -15,9 20,0 -37,0 4,5 -18,4 -9,1 2010 % 9,5 15,4 47,6 -12,1 61,3 9,2 2011 % 21,0 -24,4 -25,6 4,7 -4,2 -4,6 2012 % -36,7 -61,8 0,0 -1,7 5,4 -4,7 2013 VS % -41,0 -55,2 -35,7 -10,6 48,1 -13,3 64,1 40,1 23,7 Caserta Napoli Salerno 42,6 31,9 46,1 53,5 32,1 30,0 2008 Fonte: Ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd 39,1 24,8 Benevento Totale province 29,7 2007 Avellino Province 37,4 26,2 37,9 58,8 27,8 24,9 2009 33,9 21,4 39,5 36,8 33,5 21,0 2010 37,0 34,5 34,7 53,9 38,7 23,0 2011 35,3 33,0 36,3 39,9 29,4 28,0 2012 33,6 34,8 35,7 39,7 11,3 17,7 2013 36,9 28,9 38,4 48,5 26,6 TM 24,5 -14,0 46,8 -11,0 -38,0 -54,6 V S% -40,4 Tabella C10 - Autori di estorsione, tasso annuo di estorsione su popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso medio (TM), variazione storica percentuale (VS%). Anni 2010-2013 Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale province Province Tabella C9 - Autori di estorsione, variazione percentuale annua e variazione storica (VS). Anni 2010-2013 356 debora amelia elce 2008 % 5,3 3,8 19,3 57,3 14,3 100 2007 % 5,8 3,2 25,1 54,3 11,6 100 % 5,0 3,7 24,3 53,5 13,4 100 2009 % 4,7 4,9 16,9 61,5 12,1 100 2010 % 4,7 5,2 22,8 49,5 17,8 100 2011 % 5,9 4,1 17,8 54,3 17,9 100 2012 % 3,9 1,7 18,6 56,0 19,8 100 2013 155 1.135 Salerno Totale province Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd 228 620 Napoli 65 Benevento Caserta 67 2007 Avellino Province 1.069 154 619 185 47 64 2008 1.032 166 596 182 25 63 2009 872 125 534 145 31 37 2010 926 168 536 134 41 47 2011 925 180 520 149 17 59 2012 847 166 482 136 14 49 2013 972 159 558 166 34 55 VM RCM % 5,0 3,6 20,5 55,1 15,0 100 6.806 1.114 3.907 1.159 240 386 Totale Tabella C12 - Vittime di estorsione, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 2007-2013 Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale province Province Tabella C11 - Autori di estorsione, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 2010-2013 allegato metodologico 357 2008 % -4,5 -27,7 -18,9 -0,2 -0,6 -5,8 2007 % - % -1,6 -46,8 -1,6 -3,7 7,8 -3,5 2009 % -41,3 24,0 -20,3 -10,4 -24,7 -15,5 2010 % 27,0 32,3 -7,6 0,4 34,4 6,2 2011 % 25,5 -58,5 11,2 -3,0 7,1 -0,1 2012 % -16,9 -17,6 -8,7 -7,3 -7,8 -8,4 2013 VS % -26,9 -78,5 -40,4 -22,3 7,1 -25,4 17,5 Salerno 23,0 17,3 25,1 25,8 20,1 18,1 2008 Fonte: Ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd 24,4 25,2 Napoli Totale province 27,8 32,0 Benevento Caserta 19,0 2007 Avellino Province 22,1 18,6 24,2 25,2 10,7 17,8 2009 18,7 14,0 21,7 20,0 13,3 10,5 2010 19,8 18,8 21,7 18,3 17,6 13,4 2011 19,8 20,2 21,1 20,3 7,3 16,9 2012 18,1 18,6 19,5 18,4 6,1 14,0 2013 20,7 17,8 22,5 22,4 13,0 Tm 15,4 -26,0 6,1 -22,6 -42,5 -78,2 V S% -26,2 Tabella C14 - Vittime di estorsione, tasso annuo di estorsione su popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso medio (TM), variazione storica percentuale. Anni 2007-2013 Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale province Province Tabella C13 - Vittime di estorsione, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 2007-2013 358 debora amelia elce 13,7 100 Salerno Totale province 100 14,4 57,9 17,3 4,4 6,0 100 16,1 57,8 17,6 2,4 6,1 % 2009 100 14,3 61,2 16,6 3,6 4,2 % 2010 100 18,1 57,9 14,5 4,4 5,1 % 2011 100 19,5 56,2 16,1 1,8 6,4 % 2012 100 19,6 56,9 16,1 1,7 5,8 % 2013 100 16,4 57,5 16,8 3,1 5,6 % RCM 0,89 0,90 0,93 Napoli Salerno Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd 0,80 0,90 Caserta 1,10 1,41 0,92 1,07 0,92 V/D V/D Benevento 2008 2007 Avellino Province 1,02 0,95 0,89 0,81 0,93 V/D 2009 0,93 0,86 0,79 0,84 0,82 V/D 2010 0,86 0,91 0,76 0,89 0,78 V/D 2011 0,87 0,89 0,83 0,94 0,95 V/D 2012 0,89 0,87 0,74 1,00 0,83 V/D 2013 0,92 0,90 0,81 0,98 0,90 RDM Tabella C16 - Vittime di delitto (V)/delitti denunciati (D), rapporto di derivazione annuo e medio (RDM) Anni 2007-2013 Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd 20,1 54,6 Napoli 5,7 Caserta 5,9 % % Benevento 2008 2007 Avellino Province Tabella C15 - Vittime di estorsione, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 2007-2013 Sezione D Livello comunale e rielaborazione province 360 debora amelia elce 17 29 234 418 147 Benevento Napoli Salerno 55 Avellino Caserta 19 139 415 206 35 48 29 283 271 Napoli Salerno 9 26 19 Caserta Benevento 10 2008 150 374 195 19 55 13 255 9 12 13 2009 119 385 172 30 40 15 234 12 7 5 2010 166 381 165 34 47 29 208 12 12 13 2011 170 346 169 10 49 36 237 10 8 13 2012 158 333 170 12 48 28 224 13 2 11 2013 Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd * Con il termine “Province1” s’intende il valore del dato provinciale privo del valore del comune capoluogo. Province1* Comuni 18 Avellino 2007 150 379 187 24 49 24 245 14 10 12 VM 1.049 2.652 1.311 169 342 169 1.712 101 67 83 Totale Tabella D1 - Delitti di estorsione denunciati, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 2010-2013 allegato metodologico 361 14 35 94 45 Avellino Benevento 726 642 182 Salerno 218 574 447 50 78 16 381 8 15 14 2010 182 555 271 58 75 13 454 11 26 6 2011 235 566 426 89 88 86 330 11 7 10 2012 250 547 306 56 71 54 374 13 14 33 2013 265 502 308 23 57 55 407 11 5 8 VM Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd * Con il termine “Province1” s’intende il valore del dato provinciale privo del valore del comune capoluogo. 247 368 445 62 92 47 420 377 Napoli Salerno 16 28 36 Caserta Benevento 14 2009 Province1* Caserta Napoli Comuni 12 2008 Avellino 2007 226 587 367 55 79 44 392 17 14 14 Totale 1.397 3.470 2.126 338 461 306 2.743 118 97 97 Tabella D2 - Persone denunciate per delitto di estorsione, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 2010-2013 Allegato cartografico carlo de luca Figura 1 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Regione Campania, anno 2010 allegato cartografico 363 Figura 2 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Regione Campania, anno 2011 364 carlo de luca Figura 3 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Regione Campania, anno 2012 allegato cartografico 365 Figura 4 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Regione Campania, anno 2013 366 carlo de luca Figura 5 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Avellino, anno 2010 allegato cartografico 367 Figura 6 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Benevento, anno 2010 368 carlo de luca Figura 7 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Caserta, anno 2010 allegato cartografico 369 Figura 8 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Napoli, anno 2010 370 carlo de luca Figura 9 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Salerno, anno 2010 allegato cartografico 371 Figura 10 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Avellino, anno 2011 372 carlo de luca Figura 11 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Benevento, anno 2011 allegato cartografico 373 Figura 12 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Caserta, anno 2011 374 carlo de luca Figura 13 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Napoli, anno 2011 allegato cartografico 375 Figura 14 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Salerno, anno 2011 376 carlo de luca Figura 15 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Avellino, anno 2012 allegato cartografico 377 Figura 16 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Benevento, anno 2012 378 carlo de luca Figura 17 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Caserta, anno 2012 allegato cartografico 379 Figura 18 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Napoli, anno 2012 380 carlo de luca Figura 19 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Salerno, anno 2012 allegato cartografico 381 Figura 20 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Avellino, anno 2013 382 carlo de luca Figura 21 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Benevento, anno 2013 allegato cartografico 383 Figura 22 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Caserta, anno 2013 384 carlo de luca Figura 23 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Napoli, anno 2013 allegato cartografico 385 Figura 24 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Salerno, anno 2013 386 carlo de luca Bibliografia aa.vv., Economia e criminalità. Come difendere l’economia dalla criminalità organizzata. 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Si è occupato di processi culturali e di sviluppo economico e ha orientato i suoi più recenti studi ai temi del welfare penale, della sicurezza urbana, devianza minorile e criminalità organizzata. Ha all’attivo numerose pubblicazioni, tra cui le più recenti si ricordano, insieme a D. Pizzuti, Dire camorra oggi (2009); con A. La Spina (2010), I costi dell’illegalità. Camorra ed estorsioni in Campania; Estorsioni ed usura: l’impatto distorsivo delle attività illegali dei clan di camorra sull’economia regionale campana (2013). È di prossima pubblicazione (2015) il numero monografico di “Global Crime” curato con A. La Spina, The Costs of Illegality: a Research Program. carlo de luca, dottore di ricerca presso l’Università del Sannio, è consulente esperto in Sistemi Informativi Territoriali. Per il Lupt è responsabile della struttura “G.I.S. Factory” e docente dal 2009 dei corsi di Progettazione e implementazione sistemi Gis. Attualmente funzionario tecnico scientifico di supporto alla ricerca presso il Dipartimento di Scienze Politiche della Federico II di Napoli. maria di pascale, è laureata magistrale in Servizio sociale e Politiche sociali e ricercatrice junior presso la cattedra di Sociogli autori 407 logia del Dipartimento di Scienze Politiche. Ha pubblicato «La sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato: l’esperienza del distretto di Napoli tra esiti, evoluzioni e involuzioni» (2015). debora amelia elce, laureata in Servizio Sociale, è ricercatrice junior presso la cattedra di Sociologia del Dipartimento di Scienze Politiche. Ha collaborato all’indagine “I costi del sistema penale minorile in Campania: il caso della sospensione del processo con messa alla prova”, nonché alla ricerca per conto della FAI (Federazione Antiracket Italiana) sul fenomeno dell’usura in Campania. andrea procaccini, PhD presso l’Università Federico II di Napoli in Sociologia e Ricerca sociale. Ha pubblicato numerosi articoli sui temi delle politiche sociali e del welfare penale, tra i quali si segnala «Le trasformazioni del welfare italiano nell’area penale: uno studio di caso sulle revoche dell’affidamento in prova al servizio sociale» (2008). 408 Indice Prefazione di Franco Roberti7 Introduzione di Giacomo Di Gennaro13 Parte prima 1. Come spiegare origine, sviluppo e decadenzadel fenomeno estorsivo 31 Giacomo Di Gennaro Premessa31 1.1 L’attività estorsiva: una forma illegale di primaria accumulazione37 1.2 Da dove partire per spiegare l’origine e lo sviluppo dell’attività estorsiva47 1.3 L’attività estorsiva nelle acquisizioni teoriche ed empiriche degli economisti60 2. Una regolazione sociale violenta 83 Giacomo Di Gennaro 2.1 Caratteri e modalità del fenomeno estorsivo nella camorra tradizionale e contemporanea83 2.1.1 Il profilo dell’estorsione della camorra storica 85 2.1.2 Il superamento della camorra storica e il ruolo dell’unità di base: i clan familiari nella modernizzazione della Campania 97 2.1.3 La sfera criminale: differenziazione e modificazione dell’attività estorsiva 106 2.2 La dimensione quantitativa del fenomeno: tentativi di stime115 2.3 Poco più di un decennio di estorsioni140 3. Tendenze estorsive: l’andamento del fenomeno nel quadriennio 2010-2013 163 Maria Di Pascale Premessa163 3.1 Il volume della delittuosità estorsiva denunciata in Italia: un confronto tra macro-aree165 3.2 Le trasformazioni del fenomeno estorsivo nelle regioni italiane173 Parte seconda 4. Le estorsioni in Campania: una interpretazione della dinamica nelle diverse province 187 Giacomo Di Gennaro Premessa187 4.1 L’andamento della delittuosità estorsiva in Campania188 4.2Effetti diversi della densità dei clan206 4.3Incidenza e prevalenza delle estorsioni nelle singole province234 4.4Napoli: le estorsioni tra violenza e consenso249 4.5Caserta: il modello mafioso in Campania256 4.6L’appetibilità dei nuovi territori: il caso del salernitano261 4.7Benevento e Avellino: altro che aree immuni!264 5. La dinamica interna dei fenomeniestorsivi in Campania: un focus sull’area di competenza territoriale dei Tribunali 269 Andrea Procaccini Premessa269 5.1 La nuova geografia giudiziaria campana270 5.2 L’andamento del fenomeno estorsivo in Campania: un’analisi sulla base dell’area di competenza dei Tribunali274 5.3 Alcune evidenze sulla presenza delle organizzazioni criminali e l’andamento del fenomeno estorsivo281 5.4Uno sguardo sui territori287 5.4.1 Tribunale di Napoli 287 5.4.2 Tribunale di Napoli Nord 289 5.4.3Tribunale di Nola 291 5.4.4Tribunale di Torre Annunziata 292 5.4.5Tribunale Salerno 294 5.4.6Tribunale di Nocera Inferiore 295 5.4.7 Tribunale di Santa Maria Capua Vetere 297 In sintesi299 Conclusioni 301 Allegato metodologico debora amelia elce 315 Allegato cartografico carlo de luca 362 Bibliografia 387 Gli autori 407 Collana Arcipelago diretta da Tano Grasso 1. Mai più soli. Le vittime d’estorsione e d’usura nel procedimento penale, a cura di Tano Grasso 2. Enzo Ciconte, Tra convenienza e sottomissione. Estorsioni in Calabria 3. Le estorsioni in Campania. Il controllo dello spazio sociale tra violenza e consenso, a cura di Giacomo Di Gennaro Stampato in Italia nel mese di luglio 2015 da Rubbettino print per conto di Rubbettino Editore srl 88049 Soveria Mannelli (Catanzaro) www.rubbettinoprint.it Con contributi di: Giacomo Di Gennaro • Franco Roberti • Maria Di Pascale Andrea Procaccini • Carlo De Luca • Amelia Debora Elce VOLUME DISTRIBUITO GRATUITAMENTE 3 ARCIPELAGO mafie • economia • impresa LE ESTORSIONI IN CAMPANIA volume pubblicato nell’ambito del pon sicurezza per lo sviluppo - obiettivo convergenza 2007-2013 - obiettivo operativo 2.4 3 GIACOMO DI GENNARO (A CURA DI) La ricerca sul fenomeno estorsivo in Campania è la prima a interessare l’intera area regionale. Basata su fonti statistiche e giudiziarie descrive i principali caratteri del fenomeno e le ragioni del suo differenziato modo di affermarsi in contesti locali diversi della regione. Il volume costituisce una nuova tappa di analisi dell’attività estorsiva che fa capo ai clan di camorra per entrare in profondità sulle ragioni che ne determinano la persistenza, lo sviluppo e la sua trasformazione, approdando a considerazioni che riguardano il ruolo delle vittime e delle istituzioni sociali e civili. La valutazione che emerge sulla diffusione del fenomeno implica la consapevolezza che se si ostacola questa primaria forma di accumulazione illegale che permette di esercitare il dominio in uno spazio sociale, si contrasta sul nascere non solo una modalità acquisitiva violenta di risorse economiche basilare per lo sviluppo di ulteriori attività e traffici criminali, ma si restituisce alle comunità locali quel diritto alla sicurezza che è condizione fondamentale e imprescindibile per l’esercizio della libertà economica e degli ulteriori diritti civili e sociali. LE ESTORSIONI IN CAMPANIA IL CONTROLLO DELLO SPAZIO SOCIALE TRA VIOLENZA E CONSENSO a cura di Giacomo Di Gennaro prefazione di Franco Roberti