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La cattura di Nkunda e il pendolo delle alleanze nei Grandi Laghi
Marco Cochi
06/02/2009
La recente cattura in Ruanda del ex-generale Laurent Nkunda è il risultato
di un complesso mutamento di alleanze politiche nello scacchiere
congolese. Solo tre mesi fa, mentre i suoi uomini mettevano a ferro e fuoco
l’est del Congo causando 250.000 sfollati e un numero imprecisato di
vittime, Nkunda, leader del Congresso nazionale per la difesa del popolo
(Cndp), un raggruppamento politico congolese a dominante tutsi, appariva
come una delle figure-chiave della politica regionale.
Ad ottobre, all’apice del suo potere, il generale dissidente ha guidato diverse migliaia di ribelli del
Cndp contro il governo di Kinshasa, accusandolo di discriminare la minoranza tutsi. E, dopo aver
lanciato un appello al popolo congolese affinché si “opponesse” al governo nazionale, ha spinto le
sue forze contro l’esercito regolare e le milizie locali alleate fino alle porte della capitale provinciale
Goma, capoluogo della provincia del Kivu Nord. Poi lo scorso novembre, dopo aver sbaragliato le
truppe governative conquistando buona parte della regione, ha costretto il presidente della
Repubblica democratica del Congo (RdC), Joseph Kabila, a intavolare negoziati, mentre lui
riceveva emissari internazionali nella sua base di montagna a Kachanga, nel Congo orientale.
Il governo congolese ha dovuto prendere atto che senza l’aiuto del Ruanda non sarebbe riuscito a
riprendere in mano la situazione nel Kivu. E paradossalmente è stata proprio la disponibilità
dell’ex-generale a trattare con il governo a segnare il suo declino, dando il via a una serie di conflitti
interni al suo movimento, rimasti fino ad allora latenti.
Così, all’inizio di gennaio, alcune fonti del suo gruppo hanno fatto sapere che Nkunda aveva subito
un forte indebolimento all’interno del Cndp e che il rischio di una scissione era ormai incombente.
La conferma è arrivata lo scorso 17 gennaio, quando, il suo luogotenente, Jean Bosco Ntanganda,
super-ricercato dalla Corte penale internazionale (Cpi) per le atrocità commesse tra il 2002 e il 2003
nell’Ituri, una provincia nordorientale del Congo, ha annunciato, insieme ad altri otto comandanti
del Cndp, la firma di una tregua con l’esercito regolare congolese.
Mentre l’ex-generale perdeva potere, il governo del Congo e quello del Ruanda siglavano un patto
ufficiale per disarmare le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr, che dispone di
un’ala armata di 8mila effettivi nota come Esercito di Gesù che raggruppa soldati di etnia hutu delle
ex forze armate ruandese ed ex miliziani Interahmwe implicati nel genocidio del 1994). Solo poche
settimane prima un simile patto sarebbe stato impensabile. Invece, il governo ruandese ha deciso di
sganciarsi da Nkunda e di contribuire a neutralizzarlo.
La nuova unità di intenti trovata dai due governi nel combattere i ribelli hutu nel Kivu ha in effetti
ulteriormente indebolito l’ex-generale, che di colpo si è trovato a essere d’intralcio ai disegni di
Congo e Ruanda. Nkunda era ormai diventato un soggetto troppo ingombrante per il governo
ruandese, più preoccupato di disarmare i ribelli dell’Fdlr che di assecondare la sua politica
egemonica. È anche vero che il presidente del Ruanda, Kagame, non aveva scelta: per evitare che
gli investitori internazionali gli voltassero le spalle doveva smettere di sostenere Nkunda.. D’altra
parte, una RdC instabile rappresentava una continua minaccia anche per il Ruanda. La
normalizzazione dei rapporti con il Congo era necessaria per stabilizzare la martoriata regione.
L’azione congiunta del governo congolese e di quello ruandese ha costituito un’esperienza di
collaborazione senza precedenti nei Grandi Laghi. E adesso, pur tra molte incognite, potrebbe
aprirsi una nuova fase: l’operazione contro le Fdlr potrebbe segnare la fine non solo del conflitto tra
l’esercito congolese e gli uomini di Nkunda, ma anche di quello tra il Ruanda e la Rdc.
Questi eventi lasciano però aperti una serie di interrogativi. Per alcuni versi la situazione sembra
paradossale: nell’arco di neanche una settimana Nkunda da “affidabile” interlocutore politico è
diventato un fuorilegge. L’ex-uomo forte del Kivu non era ovviamente la persona giusta per
negoziare la pace nella regione, considerati i numerosi interessi strategici ed economici degli attori
stranieri, attirati dall’enorme ricchezza mineraria della regione.
E non si può dimenticare che Nkunda aveva più volte chiesto al presidente Kabila di stracciare i
contratti minerari firmati con Pechino. Quando avanzava tale richiesta non si riferiva solamente al
Nord Kivu, ma a tutto il paese, contestando il fatto che tali accordi, per un valore stimato intorno ai
10 miliardi di dollari nei prossimi 30 anni, concedevano alle corporation cinesi un’ampia fetta di
diritti minerari nella RdC, ma non portavano nessuna ricchezza alla popolazione. Senza contare che
durante il governo di transizione in Congo (2003-2006), altri contratti minerari erano già stati
firmati con gli investitori occidentali. Contratti che dovevano essere in seguito rivalutati e
rinegoziati, per un bilanciamento degli interessi delle parti, dopo che agli investitori era stata
concessa la fetta maggioritaria dei profitti.
C’è infine da chiedersi cosa accadrà adesso all’interno del Cndp, dove si potrebbe aprire una lotta
interna che metterebbe ancora più a rischio la popolazione civile. L’ala del movimento che fa capo
a Ntaganda ha promesso di deporre le armi e di volersi integrare nell’esercito congolese, ma i circa
2.000 uomini rimasti fedeli a Nkunda non si sono ancora mossi, probabilmente perché attendono di
sapere la sorte del loro leader. Che, stando a quanto riferito alle agenzie di stampa da un portavoce
rimastogli fedele, Bertrand Bisimwa, sarebbe stato catturato mentre si stava recando a parlare con le
autorità ruandesi, e non durante un tentativo di fuga, come inizialmente reso noto.
In qualunque modo siano andate le cose, l’ex-generale potrebbe avere ancora qualche asso nella
manica se la nuova alleanza tra il governo del Ruanda e quello del Congo non dovesse funzionare.
In tal caso, Nkunda potrebbe ancora tornare utile ai leader ruandesi.