il mio miglior amico

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il mio miglior amico
IL MIO MIGLIOR AMICO
anno:
titolo originale:
nazionalità:
durata:
2005
Mon meilleur ami
Francia
94 minuti
scheda tecnica
regia:
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
musiche:
scenografia:
costumi:
effetti:
Patrice Leconte
Patrice Leconte
Jérôme Tonnerre
Jean-Marie Dreujou
Joëlle Hache
Xavier Dermeliac
Ivan Maussion
Annie Périer
Stephane Bidault
AutreChose
interpreti:
Daniel Auteuil (François)
Dany Boon (Bruno)
Julie Gayet (Catherine)
Julie Durand (Louise)
Henri Garcin (Delamotte)
Jacques Mathou (Padre di Bruno)
Marie Pillet (Madre di Bruno)
Elisabeth Bourgine (Julia)
Jacques Spiesser (Letellier)
Marine Laporte (Britney)
Titouan Laporte (Léonardo)
produzione:
Fidélité films, Tf1 Films Production, Exception Wild Bunch, Lucky Red,
Canal +
Lucky Red
distribuzione:
Patrice Leconte
Nasce a Parigi (Francia) il 12 novembre 1947.
Prima ancora di frequentare il prestigioso IDHEC gira, a soli quattordici anni, un corto
d'animazione di dodici minuti intitolato 'Il giro del mondo di Monsieur Jones'. Complessivamente,
fino al 1972, realizza ventisei cortometraggi collaborando, allo stesso tempo, con il giornale 'Pilote'.
Realizza il suo primo film nel 1975, "Il cadavere era già morto", che sarà il capostipite di un genere
che si affermerà sempre più nel cinema francese. Nel 1985 passa all'avventura con "Gli specialisti"
ma è "Tandem" che segna, nel 1987, una svolta nella sua carriera. Due anni dopo attira l'attenzione
della critica con "L'insolito caso di Mr. Hire", presentato al Festival di Cannes. Il regista conferma
la sua vena intimista nel 1990 con "Il marito della parrucchiera". Dopo altri film dalle alterne
fortune, nel 1995 realizza un suo soggetto originale, "I granduchi", ambientato nel mondo dello
spettacolo. Nel 1996 passa al film in costume con "Ridicule", storia ambientata nel '700, presentato
al Festival di Cannes. Il film è un successo e ottiene la nomination all'Oscar come miglior film
straniero, quattro César tra cui miglior film e miglior regia e il David di Donatello per la miglior
regia. Fra gli altri suoi film, "Une chance sur deux" (1997) e "La ragazza sul ponte" (1998).
Filmografia

Il cadavere era già morto [1975] regia, sceneggiatura

Circulez, y a rien a voir [1983] - regia,
sceneggiatura

Confidenze troppo intime [2004] regia, sceneggiatura

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1991]- regia

Dogora [2004] - regia

Felix et Lola [2000] - regia,
sceneggiatura, soggetto

Il marito della parrucchiera [1990] regia, sceneggiatura, soggetto

Il profumo di Yvonne [1994] - regia,
sceneggiatura

L'amore che non muore [2000] - regia

L'insolito caso di Mr. Hire [1989] regia, sceneggiatura

La ragazza sul ponte [1998] - regia

Les bronzes [1978] - regia

Les bronzes font du ski [1979] - regia,
sceneggiatura

Les grands ducs [1996] - regia,
sceneggiatura, soggetto

Les specialistes [1984] - regia

Il mio migliore amico [2005] - rregia,
sceneggiatura

Ridicole [1996] - regia

Rue des plaisirs [2001] - regia,
sceneggiatura, soggetto

Tandem [1987] - regia, sceneggiatura,
soggetto

Tango [1993] - regia, sceneggiatura,
soggetto

Uno dei due [1998] - regia,
sceneggiatura, soggetto

L'uomo del treno [2002] - regia
Daniel Auteuil
Nasce ad Algeri (Algeria) il 24 gennaio 1950.
Attore francese tra i più noti, si è messo in evidenza grazie alla facilità con cui riesce a interpretare i
generi più diversi, dal dramma alla commedia romantica, al thriller. Figlio di cantanti di operetta, ha
speso la sua infanzia dietro le quinte dei teatri, sicuro di seguire in futuro le orme dei genitori. Nel
1967 si trasferisce ad Avignone per studiare canto e recitazione ma la sua vita da studente non dura
a lungo. Quelli sono infatti gli anni della contestazione sessantottina e Daniel viene coinvolto dalle
occupazioni del movimento studentesco. Respinto sia dalla scuola di recitazione che dal
conservatorio, riesce comunque a debuttare in un musical al Teatro Nazionale di Parigi nel 1975.
Nello stesso anno fa la sua prima apparizione al cinema nel film "Appuntamento con l'assassino" di
Gérard Pirès, accanto a Catherine Deneuve e Jean-Louis Trintignant. Fino alla metà degli anni '80 le
sue migliori performances restano legate più al palcoscenico che allo schermo cinematografico
finchè nel 1986, con la sua interpretazione di Ugolin in "Jean de Florette" e il sequel "Manon delle
sorgenti", diretti dal regista Claude Berri, riesce finalmente ad attirare su di sè l'attenzione del
pubblico e della critica, vincendo anche un premio César come miglior attore e un BAFTA come
miglior attore non protagonista. Tra le sue migliori interpretazioni si ricordano: "Un cuore in
inverno" (1992, David di Donatello come miglior attore straniero), "Ma saison préférée" (1993),
"La Regina Margot" (1994), "L'ottavo giorno" (1996, premio come miglior attore al Festival di
Cannes), "La ragazza sul ponte" (1999, secondo César come miglior attore) e "L'amore che non
muore" (2000). E' stato legato sentimentalmente per oltre dieci anni all'attrice Emmanuelle Béart,
dalla quale ha avuto una figlia, Nelly, nata nel 1992. Attualmente vive a Parigi con la sua
compagna, l'attrice Marianne Denicourt (insieme hanno portato sul palcoscenico l'adattamento
teatrale di Schnitzler "The Blue Room"), e le due figlie Nelly e Aurore.
Filmografia

36 - Quai des Orfèvres
[2004] attore

L'amour violé [1977] - attore

Attenti agli occhi attenti al... [1975] attore

Cento e una notte [1996] - attore

Clara et les chics types [1980] - attore

Le deuxième souffle [2007] - attore

I sottodotati [1980] - attore

Il cavaliere di Lagardere [1998] attore

Il figlio perduto [1998] - attore

In amore c'è posto per tutti [2004] attore

Incontri d'amore [2005] - attore

Jean de Florette [1986] - attore

L'amore che non muore [2000] - attore

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1985]- attore

L'apparenza inganna [2001] - attore

L'arbalete [1984] - attore

L'avversario [2002] - attore

L'ottavo giorno [1996] - attore

L'un reste, l'autre part [2004] - attore

La banchiera [1980] - attore

La ragazza sul ponte [1998] - attore

La regina Margot [1994] - attore

La séparation [1994] - attore

Les voleurs [1996] - attore

Ma saison preferee –la mia stagione
preferita [1993] - attore

Manon delle sorgenti [1986] - attore

Il mio migliore amico [2005] - attore

N Io e Napoleone [2006] - attore

Niente da nascondere - Caché [2005]
- attore

Piccoli tradimenti [2003] - attore

Qualche giorno con me [1988] - attore

Romuald e Juliette [1989] - attore

Sade –s
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2000]- attore

Sostiene Pereira [1995] - attore

Sotto falso nome [2004] - attore

Una top model nel mio letto [2005] attore

Transfert pericoloso [1997] - attore

Un cuore in inverno [1992] - attore

Una donna francese [1994] - attore

Vajont
[2001]
–
attore
Il film raccontato dai protagonisti
Intervista con Patrice Leconte
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Il concept del soggetto: la storia di un tale a cui viene detto che non ha amici, che protesta
violentemente e che, per dimostrare il contrario, si impegna in una specie di scommessa
assurda e astratta: mostrare agli altri questo amico che non ha! Ho pensato subito che fosse
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rispondere. Diversamente dal protagonista, però, questo non mi impedisce di vivere.
Come ha lavorato alla scrittura con Jérôme Tonnerre?
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parla molto, Jérôme prende degli appunti e capisce dove voglio andare a parare. È un vero
camaleonte. Alla fine mi ritrovo a mettere in scena un film che ha scritto lui, dove abbiamo
discusso a due mani, ma che sento molto vicino a me. Riesce a mantenere il senso che voglio
dare alla storia, senza tuttavia dimenticare di dargli il suo tocco personale.
Questo film è una mescolanza di generi, tra commedia e dramma. Questo elemento era presente in
fase di scrittura?
No, quando abbiamo iniziato a scrivere pensavamo di trovarci molto più nella commedia.
Poi, però, non sono riuscito ad accontentarmi della leggerezza su un tema, quello
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che si trasformava completamente. Come un aereo che, in un meeting aereo, decolla
normalmente e si ritrova, dopo una virata, a volare a pancia in su.
Ha scelto Il mio miglior amico dopo un film di tonoc
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miglior amico sarebbe stato il film che avrebbe seguito Les Bronzés. E mi andava bene. Non
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spettacoli e desideravo da tempo lavorare insieme a lui. E poi è stato Daniel a spingermi
ulteriormente in questa direzione, perché lo aveva trovato strepitoso ne La Doublure. Per
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esattamente quello di cui avevo bisogno per il suo personaggio. Si può dire che Dany è
entrato nel personaggio di Bruno come si entra in un bagno con la temperatura ideale!
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Binoche, ed è stato infine così anche per Confidenze troppo intime, avendo lavorato in
precedenza con Sandrine Bonnaire ma non con Fabrice Luchini. Pochi film sfuggono a
questa regola. E quelli che sfuggon
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quindi a organizzare incontri! Non avrei mai potuto scrivere Le chat con Signoret e Gabin
raccontando la storia di due persone che si conoscono da anni! Né potrei raccontare di un
rapporto che si consuma e si sfilaccia perché avrei bisogno di nutrirmi di ciò che è accaduto
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miei film, perché in fondo basta solo osservare il loro comportamento. Serge Frydman un
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ha ragione, se i personaggi sono descritti bene, non resta che seguirli. Come un chimico.
Perché ha scelto Julie Gayet per interpretare la socia del personaggio di Daniel Auteuil?
Anni fa ho girato una pubblicità per France Inter
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schermo.
Per Catherine, che è il personaggio più lucido de Il mio miglior amico, quello che arriva
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sofisticata.
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Per Daniel uno sguardo o un sorriso sono più importanti di mille parole. Non fa parte di
quella schiera di attori che si nutrono di psicologia. E meno male! Perché io non sono uno di
quei registi che amano spiegare agli attori da dove vengono i poro personaggi, o dove devono
andare. A me interessa fare delle cose, sentirle. Se una sceneggiatura è scritta bene, gli attori
ci entrano naturalmente. Daniel è così. Prima delle riprese, ci siamo visti una volta per la
prova dei vestiti e ci siamo sentiti al telefono due o tre vol
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a cui si vuol bene che però si perde di vista!
E rispetto a questa vostra complicità, si è concentrato maggiormente sui nuovi arrivati –Dany Boon
e Julie per primi –per integrarli al vostro universo?
È tutto un equilibrio. Un giorno ho fatto una grande stupidaggine. Ne La Ragazza sul Ponte
giravo per la prima volta con Daniel mentre avevo appena finito di dirigere Vanessa Paradis
in Uno dei Due. Il primo giorno avevo concentrato tutta la mia attenzione su Daniel in quanto
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stessa mi ha fatto capire che il fatto di aver lavorato insieme in un film non mi autorizzava a
metterla da parte. Mi ha spiegato che aveva bisogno di me tanto quanto la prima volta. Ho
capito il mio errore. Mi è servito da lezione. Da allora, durante i primi giorni di riprese ho
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noal gioco radiofonico Le jeu des 1000 Francs in Tandem, ecco qui un
altro gioco –questa volta televisivo –citato ne Il Mio miglior amico: Qui Veut Gagner des Millions
con Jean-Pierre Foucault che interpreta se stesso1. Perché questa scelta?
È molto semplice. Mentre costruivamo la sceneggiatura con Jérôme Tonnerre, sapevamo che
il personaggio di Bruno a un certo punto doveva partecipare a una trasmissione di gioco. Un
bel giorno, abbiamo avuto la rivelazione: uno dei jolly per i concorrenti di Qui Veut Gagner
des Millions è la telefonata ad un amico! A partire da quel momento abbiamo temuto che la
produzione di Qui Veut Gagner des Millions ci dicesse di no! Non volevo immaginare un
gioco finto! Bisognava che fosse in presa diretta con la vita, che la gente avesse i suoi punti
di riferimento. Ho trovato che fosse sensazionale riprendere in scope Jean-Pierre Foucault nel
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tuttavia, devo ammettere con vergogna che non mi sono posto alcuna domanda. Avevo una
tale fiducia nella sceneggiatura e nei personaggi da non dovermi preoccupare. Ho quindi
messo in scena questo film gi
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salvo quello che non mi abbandona mai: gli attori e i loro personaggi. Volevo un film che
avesse tutte le apparenze del naturalismo, in cui cose scomode, bizzarre e stridenti ci
arrivassero addosso senza che ce ne rendessimo conto. Non volevo che la mia regia fosse
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La sua musica, a volte al limite della fanfara, ha qualcosa di molto gioioso. Le sue sonorità
possono essere molto esuberanti nonostante abbiamo degli accenti molto tristi. Questa
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che ci si sposa perfettamente.
Si dice spesso che un film si riscrive in fase di montaggio. È anche il caso di Il mio miglior amico?
In effetti questo film è stato riscritto in fase di montaggio, ma in maniera inaspettata. In tutti i
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stima della durata della prima versione era di 2h05. Jérôme Tonnerre e io avevamo
comunicato ai produttori che avremmo fatto dei tagli prima delle riprese. Ma –lusso
incredibile perché costa molto - questi ci hanno chiesto di girare la versione completa e di
vedere in fase di montaggio ciò che sarebbe stato meglio fare. Ho accettato le regole del
gioco. Effettivamente il mio primo montaggio del film durava 2h05. Da quel momento, con
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stato molto divertente.
Abbiamo letto qua e là che presto smetterà di fare cinema. Questo film le ha fatto venire voglia di
continuare?
Questa decisione non nasce dalla delusione per un film piuttosto che per un altro. Non è
quindi perché le riprese de Il mio miglior amico mi hanno entusiasmato che rivedrò la mia
scelta. Non ho perso il gusto del cinema. Amo sempre molto fare film. Vorrei solo fermarmi
prima di perdere freschezza. In un certo senso mi comporto come Anna Galiena ne Il Marito
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pubblicità; cerco semmai di convincere definitivamente me stesso a rispettare la parola. Di
farlo veramente, senza per questo però fare come Anna Galiena gettandomi nella chiusa.
Intervista incrociata con Dany Boon e Daniel Auteuil
Scoperta del film
Daniel Auteuil:
Dany Boon:
Non è per sminuire la sceneggiatura, ma non ho bisogno di leggerla per dire di
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stata presentata come una commedia, ma già dalla prima lettura, ho trovato
che aveva molte similitudini con la commedia italiana. Si sfiora infatti
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una specie di ammirazione reciproca. Si da il caso che Jean-Marie Dreujou,
responsabile delle luci nel mio film La Maison di Bonheur, sia un collaboratore
regolare di Patrice. È lui che mi ha avvertito della chiamata di Patrice. Al telefono ha
iniziato a spiegarmi il contenuto del film, questa rifle
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subito detto che Daniel, che non avevo neanche mai incrociato sul set de La Doublure,
avrebbe fatto parte della squadra. Inutile dire che la prospettiva di essere diretto da
Patrice Leconte e lavorare con Daniel Auteuil mi è bastata per accettare la sua
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cui mi aveva parlato. Il mio miglior amico è un film sconvolgente: parla di cose vere e
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è che un pretesto; quello che mi è piaciuto di più è ciò che questo film propone: il
confronto tra due solitudini. Un uomo solo perché non si rende conto che le sue
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o–che interpreto io –
che solo apparentemente è estroverso e amico di tutti.
Il suo personaggio
Daniel Auteuil:
Dany Boon:
È una persona che non ha avuto tempo. Qualcuno che credeva di vivere, di
essere dalla parte del giusto e che si è sbagliato ma se ne rende conto tardi,
quando finalmente raggiunge il distacco necessario. Nonostante questo, come
sempre con Patrice, alla fine realizza una sorta di miracolo poiché il mio
personaggio ha la fortuna di vedersi offrire la possibilità di un incontro
amichevole. Al di là della situazione in sè, una cosa è certa: François non è
una persona simpatica e non ho cercato di salvarlo. Bisognava però andare
sino in fondo per rendere possibile la sua redenzione.
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È qualcuno che si è sempre sforzato di sembrare amico di tutti ma che in realtà non lo
è di nessuno. Bruno ha una ferita nascosta. Non è stato difficile mettermi nei suoi
panni, Patrice mi ha aiutato benissimo. Quando siamo andati insieme a scegliere i
vestiti del mio personaggio prima delle riprese, le sue certezze mi hanno permesso di
comprendere precisamente chi era Bruno. Ad esempio è stato lui a scegliere il
canadese blu che indosso per tutto il film, io sarei stato totalmente incapace di
decidere da solo in quel momento. Questo ha immediatamente dato un contorno al
personaggio.
La preparazione
Daniel Auteuil:
Dany Boon:
Mi preparo sempre per una cosa sola: farmi sorprendere. In questo film, non
ho dovuto fare altro che lasciarmi trasportare. Mi sono adattato al regista
entrando in osmosi con i miei partner. È vero che con un regista che non si
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sue aspettative e il modo in cui si comporta. Nel caso di Patrice non serve.
Anche quando abbiamo fatto il primo film insieme, La Ragazza sul Ponte, il
periodo di osservazione è stato molto breve. Leconte racconta le sue storie con
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fronte. La sua cinepresa ci segue e diventa presto una compagna. Si entra
subito in confidenza.
Il lavoro a monte è ovviamente molto importante. Quando si arriva sul set, però, è
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nove: per quanto uno abbia lavorato in precedenza, non si ha nessuna idea precisa di
quello che verrà fuori. Ne Il mio miglior amico ognuno è arrivato con la sua visione.
Da parte mia, ho subito sentito questo personaggio molto vicino a me: un uomo
semplice, conviviale, commovente, buffo. Non era un ruolo di composizione. Vi
assicuro che nella vita non sono un mascalzone!
Lavorare con Patrice Le conte
Daniel Auteuil:
Mi piace moltissimo lavorare con Patrice. Per la bellezza dello sguardo che
posa sulle persone e la precisione dei suoi sentimenti. Sa contenere le sue
emozioni e liberarle al momento giusto. Noi due abbiamo iniziato con un film
molto forte, La Ragazza sul Ponte, poi abbiamo proseguito il nostro cammino
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identificarsi. Come attore è entusiasmante!
Dany Boon: Sul set Patrice era talmente felice ed euforico che non ha mai smesso di farci i
complimenti. Si viene letteralmente trascinati dal suo entusiasmo travolgente, che non
è mai venuto meno per tutto il corso delle riprese. Lo scambio è sempre possibile con
lui. Non ci ha mai impedito di cambiare delle cose se non ci sentivamo a nostro agio.
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sosta di decompressione, come ho fatto io, non è per niente facile! Francis fa un
numero di ciak incredibile, Patrice pochissimi. Questo avrebbe potuto rendermi
fragile, ma non è stato così. Patrice infatti agisce a ragion veduta: vuole cogliere delle
cose al volo! Alla fine, per quanto divergenti, i loro due modi di lavorare portano al
medesimo risultato. Quando si fa e si rifà una scena con Francis, si arriva ad una
concentrazione estrema in cui ogni gesto è pensato. Eppure la concentrazione è
altrettanto forte con Patrice, perché sapere che si ha un numero limitato di ciak per
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Dany per Daniel, Daniel per Dany
Daniel Auteuil:
Dany Boon:
Ne La Doublure ci siamo incrociati appena. Non abbiamo recitato insieme.
Quindi è la prima volta che lavoriamo veramente insieme. Ed è stata una
rivelazione. Dany Boon conduce il film. È la solitudine fatta persona,
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far ridere, fa ridere, e quando bisogna far piangere, fa piangere!
Abbiamo cominciato con una scena al telefono, quella di Qui Veut Gagner des
Millions. È la prima volta che abbiamo veramente parlato. Ovviamente, provo grande
ammirazione per Daniel. Conosco la sua carriera, la sua reputazione. Sapevo che sul
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ascolto di qualcuno come me, un comico abituato a recitare da solo in scena. E invece
no. Ci siamo subito resi conto che entrambi eravamo molto generosi e tra di noi tutto
si è svolto nella maniera più naturale. Scherzavamo molto. E soprattutto avevamo
sentito entrambi che questo film era più profondo di quanto sembrasse. Eravamo sulla
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Un film in tandem
Daniel Auteuil:
Non provo un piacere particolare a fare un film in tandem. Il mio unico piacere
è fare un buon film! Quello che mi interessava in questo caso, era il fatto di
andare al di là della situazione classica dei due eroi, dalle mille difficoltà,
impegnati in molteplici avventure. Ne Il mio miglior amico ognuno ha la sua
vita, le sue preoccupazi
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si potrebbe aspettare dalla carta.
Il rischio era che la salsa non legasse. Non è stato così perché tra noi accade
veramente qualcosa. Patrice avrebbe addirittura potuto continuare a girare dopo le
riprese, fuori dal set: il nostro rapporto non variava di una virgola. Siamo diventati
veramente amici con questo film.
Reazione alla visione del film
Daniel Auteuil:
Dany Boon:
Ho visto una di quelle opere che adoro perché alle risate succedono sempre dei
momenti di forte emozione. Nel vedere Il mio miglior amico per la prima
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Non sarà né Bourvil né qualcun altro. Solo lui. Ha un enorme potenziale, non
ancora del tutto sfruttato. Può recitare assolutamente tutto.
Mi piace tantissimo la scena in cui arrivo nella galleria di Daniel, quando gli dico che
mi sembra che il suo negozio non vada poi tanto bene e lui mi spiega che non è un
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film è alla fine.
Le recensioni
Massimo Bertarelli (Il Giornale)
Chi trova un amico trova un tesoro, si sa. E chi non riesce a trovarlo? Sono cavoli amari. Come
scopre, a sue spese, il protagonista dell'arguta commedia di Patrice Leconte, Il mio miglior amico,
uscito in Italia sorprendentemente con due settimane di anticipo sulla Francia. Che però non vale il
suo precedente Confidenze troppo intime, scritto anche quello insieme con lo spiritoso Jérôme
Tonnerre.
A Parigi il maturo antiquario divorziato François (Daniel Auteuil), che vive con la trascurata figlia
Louise, prontissima a ricambiare l'indifferenza, si accende alla provocazione della bionda socia
Catherine (Julie Gayet) e degli altri commensali dall'aria improvvisamente poco tenera. Come
sarebbe che al mio funerale non ci sarà nessuno? Ah, io non ho amici? Adesso vi faccio vedere
l'agenda, ho quindici appuntamenti al giorno. Guardate qui, se non mi credete. Insomma, come
tanti, l'eremita suo malgrado prende lucciole (amici) per lanterne (conoscenti). Scommetto il vaso
greco del quinto secolo, appena preso all'asta per duecentomila euro, che entro fine mese ti
presenterò il mio migliore amico.
Più facile dirlo che farlo. Colleghi e affini, perfino un antico compagno di scuola, lo mandano a
quel paese: sei l'essere più antipatico che abbia mai conosciuto, è il coro degli interpellati. Tutto
preso dall'ostinata ricerca, trascura gli affari, ampliando il già consistente rosso in banca, finché si
accorge che l'unico che gli si è affezionato è il tassista chiacchierone sempre allegro Bruno (Dany
Boon), appassionatissimo di telequiz, con cui sta girando la città e i dintorni all'ormai disperata
ricerca dell'anima (maschile) gemella. Che sia lui l'uomo della provvidenza?
Il film, spietato sotto la scorza buffa, è più godibile nella prima parte, poi perde qualche colpo,
scivolando verso un finale semideludente. Il bravo Daniel Auteuil rende bene i tormenti del suo
complicato personaggio, troppo egoista per rendersi conto che basta un sorriso per conquistare il
mondo. Almeno al cinema.
Tullio Kezich (Il Corriere della Sera)
Quando posso vedo volentieri la trasmissione francese «Qui veut gagner des millions?» condotta
dallo sfingeo Jean-Pierre Foucault che ora ritrovo nel pieno delle sue funzioni in Il mio migliore
amico. In questo film il regista Patrice Leconte fa convergere abilmente la suspense del racconto
con quella del quiz televisivo nel momento in cui il candidato dovendo rispondere alla domanda
milionaria (Manet o Monet?) può ricorrere all' aiuto telefonico di un amico. Domanda: messi in
questa situazione, vi verrebbe subito in mente a chi telefonare? Ovvero intorno a voi c' è qualcuno
che ritenete il vostro migliore amico? Ne dubita, nel corso di una cena comitale al ristorante, l'
antiquaria Catherine (Julie Gayet) polemizzando con il socio François (Daniel Auteuil), da lei
stigmatizzato come incapace di rapporti umani. Molto risentito, l' uomo si accalora fino a
scommettere che entro dieci giorni sarà in grado di presentarle un vero amico del cuore. La posta in
gioco? Un antico vaso greco, recentemente acquistato a un' asta da François sulla suggestione della
leggenda che lo accompagna: quella di essere stato utilizzato per raccogliere le lacrime del primo
proprietario in lutto (guarda caso) per la morte di un amico. Il fatto che il vaso sia fragilissimo è il
primo campanello d' allarme sugli aspetti prevedibili di una trama per altri aspetti originale. Anche
se l' incidente avrà una coda a sorpresa, si intuisce da subito che il vaso finirà a pezzi. Altra facile
previsione: pur inciampando in una teoria di bizzarri incidenti di percorso, François troverà la
persona che cerca. Terza aspettativa da mettere in conto: il taxista Bruno (Dany Boon), che da anni
è si candida come partecipante a tutti i quiz e viene regolarmente respinto, arriverà alla fine in TV
di fronte all' implacabile Foucault. Che tipo sia François lo abbiamo capito fin dalla scena di
apertura, quando presenziando a un funerale non rinuncia a telefonare e di infilare, al momento
delle condoglianze, la proposta di acquistare un comò del defunto. Anche Bruno ha un difetto per
cui lo chiamano «l' uomo che sapeva troppo»: assilla infatti i clienti del taxi con una valanga di
notizie storiche sulle strade e le piazze che attraversa. Sulle prime impaziente di fronte a queste
chiacchiere erudite, l' antiquario si convince poco a poco che il loquace giovanotto è il tipo da
utilizzare per vincere la scommessa. La scarsa presenza femminile (François non mostra grande
trasporto per la sua amante, Bruno vive ancora all' ombra dei genitori e la scommettitrice Catherine
è lesbica) farebbe perfino sospettare una sottaciuta implicazione omosessuale. Ma non è il caso.
Siamo invece in un minimalismo naïf alla Zavattini, memore forse delle disavventure di Aldo
Fabrizi in Prima comunione. Il primo personaggio al quale François si rivolge per ottenere un'
attestazione di amicizia è un antiquario, che rifiuta di considerarsi sodale di un concorrente che gli
ruba i clienti. Un altro è un antico compagno di scuola che detesta il protagonista da quando,
undicenne, già lo considerava spaccone e rompipalle. A niente servono i manuali su come
conquistare gli amici, le conferenze e, almeno sulle prime, le lezioni di simpatia sollecitate al
malcapitato Bruno. L' educazione sentimentale dell' uomo sprovvisto di amicizie procede
stentatamente fra gli spalti della partita domenicale e le cene in famiglia dai genitori del tassinaro
per ingraziarsi i quali gli compera un vecchio tavolo tirato giù dalla soffitta. Esaurito lo sprint
iniziale, il film procede con sviluppi non sempre plausibili. Per fortuna, accanto a Dany Boon che
assicura il valore aggiunto di una freschezza di cabarettista, Daniel Auteuil si conferma un eclettico
miniaturista di caratteri, capace di trascorrere dall' autorevole Napoleone di Virzì a questo
compassionevole ometto senza qualità.
Roberto Nepoti (La Repubblica)
Il tema-tormentone dei film di Patrice Leconte (L'uomo del treno, Confidenze troppo intime) è
l'incontro tra due persone apparentemente opposte in tutto. Il mio migliore amico, partendo da una
considerazione amara approda all'ottimismo, mentre la direzione di Leconte si cancella
elegantemente dietro situazioni e personaggi per lasciare a essi tutto lo spazio necessario.
L'antiquario François, accusato dalla sua socia in affari Catherine di egocentrismo, scommette (la
posta è un simbolico vaso lacrimatorio greco da 200 mila euro) che, entro dieci giorni, le presenterà
il suo migliore amico. Ma chi? Poiché François non ne ha effettivamente alcuno, la suspense
s'installa su tre domande: come troverà un candidato? come se lo farà amico? come reagirà costui
apprendendo di essere oggetto di una scommessa?
Personaggi e interpreti sono scelti bene. Da una parte Daniel Auteuil, esperto in caratteri di malato
affettivo (uno degli sceneggiatori è lo stesso di "Un cuore in inverno") e di freddo calcolatore;
dall'altra, il più giovane Dany Boon in quella del tassista Bruno, ossessionato dai giochi televisivi a
premi nonché possessore di conoscenze enciclopediche, quanto superficiali.
In realtà i due uomini hanno molti tratti in comune: sono divorziati, solitari, senza amici. Certo, la
strada per conquistare l'amicizia è più irta di ostacoli di un videogame con Lara Croft. Leconte ne
risparmia ben pochi ai suoi protagonisti, giocando sapientemente con le attese dello spettatore.
Eppure questa volta sceglie la leggerezza. Lo fa adottando una chiave di rappresentazione tutt'altro
che nuova, ma applicata in maniera inedita. Nello sviluppo delle situazioni si riconoscerà facilmente
il repertorio della commedia sentimentale codificata fino dai tempi della commedia classica
hollywoodiana. Salvo che l'equivalenza dei codici è esportata dall'amore all'amicizia, con un
trapianto famigliare e originale. Mentre l'assodata eterosessualità dei componenti della strana
coppia consente al film di non deviare dal tema centrale: la fragilità dei rapporti amicali,
l'indispensabile bisogno che ciascuno di noi ne ha.
Alessandra Levantesi (La Stampa)
Un film come Il mio migliore amico suscita reazioni contrastanti: da una parte si apprezza ancora
una volta quella leggerezza di tocco della quale il cinema francese ha ormai l'esclusiva, dall'altra si
avverte il disagio dell'inconsistenza. Per dire che la trama ideata dal regista Patrice Leconte si regge
su un pretesto alquanto fragile.
Sfidato dalla socia Catherine a dimostrare di avere almeno un amico al mondo, François, un
agguerrito antiquario parigino che ama ben di più gli oggetti d'arte che gli esseri umani, si lascia
trascinare in una scommessa. Se entro dieci giorni non sarà in grado di produrre la persona in
questione, dovrà cedere a Catherine un vaso greco antico e prezioso. Dallo spunto si diparte tutta
una serie di eventi grandi e piccoli (incomprensioni, mosse false, rifiuti) nei quali l'arido François
regolarmente inciampa, finché decide che la vittoria potrebbe dipendere dal taxista Bruno, un
loquace onnisciente perpetuamente alla ricerca di accedere come candidato a un telequiz.
Scopriremo che la trasmissione alla quale soprattutto l'uomo ambisce è il «format» che ha appena
ripreso a condurre su Canale 5 Gerry Scotti con il titolo Chi vuol essere milionario? Qui ovviamente
la recuperiamo nella fortunatissima versione originale francese, animata dal sornione Jean-Pierre
Foucault, presente nella pellicola nella parte di se stesso; ed è facile immaginare quale numero
formerà Bruno quando, di fronte a una domanda molto difficile, avrà la possibilità di telefonare per
aiuto a un amico.
Famoso per le sue aspre polemiche con la critica francese più sofisticata, che lo tratta dall'alto in
basso, Patrice Leconte ha il «savoir faire» necessario per servire al pubblico un piatto gradevole.
Un tipo di operazione che naturalmente può funzionare soltanto se si dispone degli ingredienti
adatti: e qui Dany Boon, pescato dal cabaret, ha la freschezza necessaria per rendere simpatico il
tassinaro sapiente. Ma il successo del film è soprattutto affidato all'interpretazione di Daniel
Auteuil, che ha la finezza, la fantasia, la sapienza (le ha tutte...) per dominare la scena da cima a
fondo.
Roberto Escobar (Il Sole-24 Ore)
È dolceamaro, il gusto di Il mio migliore amico (Mon meilleur ami, Francia, 2006, 94?). Dopo
Confidenze troppo intime (2004), commedia raffinata sulle strategie tortuose del desiderio, Patrice
Leconte e il cosceneggiatore Jérôme Tonnerre raccontano una storia d'amicizia che ha la struttura di
un apologo, e anzi proprio di una fiaba. Del primo, il film ha l'evidente tono didascalico. Della
seconda ha la dolcezza, appunto, ma anche l'improbabilità.
Tratto da un soggetto di Olivier Dazat, Il mio migliore amico comincia dalla fine, o almeno da una
fine possibile. Al funerale di un suo cliente, François (Daniel Auteuil) conta gli amici del defunto:
sette, compresa la vedova.
E nessuno sembra particolarmente scosso, in primo luogo la vedova, Non è (ancora) lui il
protagonista della cerimonia, ma lo sarà di certo, più in là nel tempo. La circostanza lo inquieta. Lo
inquieta a tal punto, da suggerirgli di parlarne ai suoi, di amici, riuniti qualche ora dopo attorno a un
tavolo.
Qual è il senso di una vita, di una storia di vita, se la sua conclusione non è coronata dalle lacrime
calde e dal sincero dolore di chi resta? Così s'interroga François, e così hanno l'aria di pensare i suoi
commensali. Molte sequenze più tardi, Bruno (Dany Boon) confuterà alla radice questa prospettiva,
e lo farà proprio da quella (improbabile) del morto, di qualsiasi morto. Tanti o pochi che siano gli
amici in lutto, certo il diretto interessato non ha mai modo di dolersene,e tanto meno di gioirne.
La sceneggiatura questo fa dire, su per giù, a Bruno. Ma poi la questione non è più ripresa. D'altra
parte, stando alla vicenda, in fatto d'amicizia Bruno è il più affidabile ed esperto. E così ci par lecito
supporre che Leconte e Totmerre ne condividano l'opinione: non è in vista del proprio funerale che
un uomo o una donna possono interrogarsi sul senso e sul valore dell'avere amici. Anzi, così più
d'una volta suggerisce il film, la domanda decisiva è quale verbo sia più consono al sostantivo
amico: avere o essere?
Per François, ma forse anche per i suoi commensali, non ci sono dubbi: gli amici si hanno o non si
hanno. Insomma, rientrano in una sorta di contabilità delle relazioni umane, di economia biografica,
E forse li si accumula e li si investe, come si fa con gli oggetti e con il denaro. Solo così prende
senso la scommessa che sta al centro del film. Riuscirà o non riuscirà Francois a dar conto, a breve,
di un "migliore amico" attendibile e garantito?
È un apologo e una fiaba, Il mio migliore amico. Se non lo fosse, non avrebbe via d'uscita narrativa
dalla contraddizione in cui la sceneggiatura si infila da sè. Posta nell'ambito dell'avere, l'amicizia è
esclusa per definizione. Allo stesso modo, è esclusa per definizione quella che François e gli altri
accettano come prova d'amicizia, appunto. Che cosa è pronto a fare per noi un amico? Questo
sarebbe il metro adatto a misurarne l'autenticità, come se si trattasse del vaso greco che François e
Catherine (Julie Gayet) si disputano con la loro scommessa.
Dietro all'apologo e alla fiaba, sullo sfondo dell'umanità che la percorre, c'è una solitudine diffusa e
sistematica, una solitudine che è il cuore non detto del racconto. Basta pensare all'incontro di
François con un amico compagno di scuola, il momento più tristemente comico del film. È una
smentita crudele della sua memoria e di quanto resta del suo narcisismo, quello che François se ne
sente dire. Ma a i nostri occhi di spettatori è ancor più crudele il piccolo disastro umano che
Leconte e Tonnerre riescono a raccontare in poche inquadrature. Chiunque fosse tanti anni fa, oggi
di quel ragazzino non resta che un ornino distrutto, incattivito, oppresso e intristito da una moglie
che lui stesso opprime e intristisce.
Sono soli, appunto, molti dei personaggi di Il mio migliore amico. Forse è questa solitudine che
l'apologo vuole illuminare, ancor prima della miseria d'affetti del protagonista. Sola è Gayet (Julie
Durand), la sua figlia ventenne, e sola è la sua compagna. Solo è anche Bruno, anzi soprattutto
Bruno, chiuso tutto il giorno nel suo taxi, alle prese con la sua disperata cultura da parole crociate.
Lo è nonostante la sua cordialità e la sua disponibilità. Soli, infine, sono gli spettatori della versione
francese di "Chi vuol essere milionario", che in massa si sentono "amici" di uno sconosciuto tanto
indifeso da suscitare la loro pena, e da gratificare la loro illusione d'umanità.
Ha un lieto fine, Il mio migliore amico. François e Bruno scoprono insieme di non avere amici, ma
di esserlo l'uno per l'altro. In platea se ne condivide la scoperta, soddisfatti. Così vuole la fiaba, per
quanto improbabile sia.
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francese meglio attrezzata a rimasticare differenti percorsi di genere e annesse mitografie. Leconte
in questo è sempre stato maestro. Sua la capacità di asciugare ogni sceneggiatura, mettendo a nudo
attraverso battute fulminanti e personaggi fortemente tipizzati il sostrato archetipico che si cela
nelle situazioni più convenzionali, come anche nei voli pindarici di un immaginario sovreccitato.
Questa attitudine dà poi luogo ad intrecci estremamente godibili, caratterizzati da dialoghi il cui
fondamento ludico recepisce bene innesti romantici ed occasionali spunti di riflessione, senza che
però ci si allontani troppo dai ritmi del vaudeville. Comunque, rispetto alle prove immediatamente
precedenti Il mio migliore amico appare più un divertissement condotto con stile, che un film
pienamente sentito.
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loro idee in materia di amicizia. Tutto ciò si rispecchia in monologhi e scambi di battute
simpaticamente sopra le righe, che suonano buffi ma anche profondamente umani quando a farsene
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Con la versatilità e il talento di Daniel Auteuil che non smettono mai di sorprendere, di film in film,
mentre Dany Boon, importanti esperienze teatrali alle spalle, può giustamente essere considerato
una rivelazione. Il mio migliore amico non sfrutta fino in fondo le potenzialità di un tema che
poteva suggerire punti di vista più complessi, ma continua ad ammiccare con gusto fino ad un finale
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