E. BEDINI, Introduzione alla determinazione dei reperti
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E. BEDINI, Introduzione alla determinazione dei reperti
INTRODUZIONE ALLA DETERMINAZIONE DEI REPERTI FAUNISTICI Il riconoscimento e lo studio dei reperti faunistici rinvenuti negli scavi archeologici rappresenta un settore di indagine estremamente specialistico. Per quanto riguarda la semplice identificazione (o "determinazione") delle specie presenti in un campione faunistico, primo e fondamentale passo dello studio archeozoologico, bisogna infatti tener conto che gli scavi possono restituire una grandissima varietà di resti animali: gusci di molluschi marini e terrestri, ossa di pesci marini e di acqua dolce, di anfibi, di rettili, di avifauna domestica e selvatica, stanziale e di passo, di mammiferi di piccola e grande taglia, domestici e selvatici; in particolari contesti, inoltre, si possono rinvenire ossa umane ed animali mischiate insieme. Solo eccezionalmente i reperti si presentano inoltre completi e ben conservati; nella maggior parte dei casi essi, al contrario, risultano più o meno frammentari, per cui una parte talvolta anche notevole di essi non risulta determinabile a livello generico e/o specifico. La determinazione dei reperti faunistici richiede quindi una notevole esperienza, ed un'ottima conoscenza dell'anatomia comparata, che si acquisisce soprattutto avendo la possibilità di esaminare una vasta collezione di ossa di confronto, dissociate, appartenenti alle varie specie animali (gli scheletri montati risultano meno utili, perché non consentono la completa osservazione delle superfici articolari delle varie ossa). Gli atlanti osteologici ed i trattati di anatomia comparata, anche se ottimamente illustrati, riescono soltanto a dare al non esperto nel settore un'idea, più o meno vaga, delle reali caratteristiche delle ossa, che è necessario maneggiare ed osservare il più possibile direttamente, per riuscire a riconoscere speditamente quei particolari che ne consentono la determinazione sicura. Anche limitandosi a considerare, quindi, soltanto i problemi legati alla semplice determinazione dei resti faunistici, che costituiscono solo una parte del completo studio archeozoologico, si comprende che è necessario affidare il loro studio agli specialisti del settore, gli archeozoologi. Tutta via anche l'archeologo non specializzato in archeozoologia può riuscire a farsi un'idea degli animali presenti nel sito che sta scavando. Infatti, anche se, come già detto, nei campioni faunistici può essere presente una vasta gamma di specie (ed il riconoscimento di ciascuna di esse risulta impossibile al non specialista) quelle che in genere appaiono particolarmente frequenti sono relativamente poche. Nella maggior parte dei casi si tratta dei principali mammiferi domestici, cioè i suini, gli ovicaprini ed i bovini, alle quali possono accompagnarsi, in quantità variabile, i carnivori (essenzialmente il cane ed il gatto), gli equini (cavallo, asino) ed i cervidi (cervo, capriolo, daino). Sarà quindi sufficiente che l'archeologo sia in grado di riconoscere, a grandi linee, i resti di questi animali. Nelle pagine seguenti, dopo aver brevemente accennato ai problemi della collaborazione tra l'archeologo e l'archeozoologo, saranno ricordati alcuni semplici accorgimenti che l'archeologo può osservare per facilitare il lavoro dell'archeozoologo e saranno passate in rassegna le caratteristiche dei reperti fannistici che possono consentire, al non esperto in archeozoologia, il riconoscimento delle principali specie di mammiferi domestici. Per semplicità saranno presi in considerazione soltanto i gruppi fondamentali: i carnivori (prendendo come esempio il cane), i suini, i ruminanti (i bovini e gl~ ovicaprini, questi ultimi considerati come un unico gruppo) e gli equini (senza distinguere tra il cavallo e l'asino). Saranno in primo luogo esaminate le caratteristiche della dentatura; i denti, infatti, sia se ancora infissi negli alveoli delle ossa mascellari, sia se liberi, sono molto frequenti nei campioni archeologici perché molto più robusti delle ossa. Poiché inoltre presentano significative differenze nei vari gruppi animali, possono essere generalmente determinabili, anche se incompleti, dal non specialista. Successivamente verranno esposte le ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale caratteristiche delle principali ossa dello scheletro postcraniale, delle quali la fig. 1 illustra lo schema generale e la nomenclatura. Nel caso di questi reperti l'attribuzione alle diverse specie animali appare al non specialista notevolmente più difficile di quella dei denti, per cui sarà sufficiente che egli sia in grado di riconoscere il tipo dell'osso, e di distinguere così i resti delle specie di grande taglia (bovini, equini) da quelli di media (suini, ovicaprini, cane) e piccola (leporidi, insettivori ecc.) taglia. Non saranno illustrate le caratteristiche dei crani completi in quanto il loro ritrovamento tra i materiali di scavo è del tutto eccezionale, ed i piccoli frammenti di essi risultano difficilmente identificabili dal non specialista, ad eccezione di quelli che portano i denti. Dal momento che il presente contributo si rivolge a studiosi generalmente non esperti degli argomenti trattati, e prevalentemente di preparazione di tipo umanistico, le descrizioni sono state semplificate al massimo, omettendo quando più possibile la terminologia anatomica ed i termini "tecnici", per non appesantire il testo, e lasciando largo spazio alle illustrazioni, in ogni caso molto più efficaci di qualsiasi descrizione. Per la redazione del testo è stato ampiamente seguito il trattato di anatomia comparata dei mammiferi domestici di BARONE 1980, dal quale sono state tratte anche tutte le illustrazioni che lo accompagnano. La collaborazione tra l'archeologo e l'archeozoologo Nella situazione ideale, l'archeozoologo è costantemente presente sul cantiere di scavo e segue personalmente il recupero ed il trattamento preliminare dei reperti faunistici; provvede a separare quelli non determinabili da quelli determinabili, a suddividere questi ultimi specie per specie, ed eventualmente al loro restauro e/o consolidamento preliminare. In questo modo egli paò subito rendersi conto, in linea di massima, delle caratteristiche del materiale osteologico e degli eventuali problemi che può presentare. Nella realtà le cose si svolgono in un modo ben diverso. Troppo spesso, ancora, l'archeozoologo viene contattato dall'archeologo a scavo avanzato o ultimato; talvolta egli non visita mai il cantiere, ma riceve direttamente nel suo laboratorio il materiale da studiare. Operando in questo modo egli, che nella maggior parte dei casi possiede per di più una preparazione non di tipo archeologico, ma naturalistica o paleontologica, non riesce a rendersi conto delle varie problematiche relative in generale all'archeologia ed in particolare allo scavo di cui si sta occupando, e può finire con il trattare i reperti fannistici come un materiale a se stante, avulso dal contesto dello scavo stesso, disperdendo cosi una quantità delle informazioni che potevano essere ottenute. Barker osserva giustamente che “ I rapporti tra scavatori ed esperti scientifici sono spesso stati tormentati per le difficoltà che sorgevano dalla mancanza di reciproca comprensione dei rispettivi problemi e dalla natura essenzialmente occasionale di gran parte della collaborazione scientifica alla risoluzione dei problemi archeologici (. . .) ”. (BARKER 1981, p. 257). Per questi motivi è preferibile contattare l'archeozoologo prima dell'inizio dello scavo stesso, in modo che egli possa, in un certo senso, acquisire una mentalità di tipo 'archeologico', che oltre a consentirgli di 'entrare' nei suoi specifici problemi, gli permetterà di raccogliere documentazione e bibliografia e di programmare in anticipo i tempi del suo intervento. Egli cioè, citando ancora Barker, come “ (. . .) ogni scienziato che sia ansioso di dare il massimo contributo a uno scavo dovrebbe apprendere le possibilità e i limiti delle tecniche archeologiche (. . .) ”. (BARKER 1981, p. 257). Quasi mai, tuttavia, per svariati motivi, l'archeozoologo potrà essere costantemente presente sul cantiere di scavo; sarà però necessario che egli lo visiti periodicamente, e si mantenga in contatto con il direttore di scavo ed i suoi più stretti collaboratori, per essere al corrente delle sue problematiche e caratteristiche. Per lo scavo ed il trattamento dei reperti osteologici l'archeologo potrà adottare, in linea generale, gli stessi criteri che comunemente segue per tutte le altre classi di materiali. È tuttavia utile tener presente che: —devono essere raccolti tutti i frammenti di ossa, anche se una parte di essi ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale risulterà poi non determinabile. L'archeologo non specialista non è naturalmente in grado di operare una scelta in questo senso, che sarà successivamente compito dell'archeozoologo; —le ossa in connessione anatomica e gli eventuali scheletri completi devono rimanere associati; l'archeozoologo dovrà essere informato del rinvenimento di questo genere di reperti, perché la loro interpretazione sarà diversa da quella delle ossa dissociate. Gli elementi scheletrici saranno quindi riuniti in uno stesso contenitore, con un apposito cartellino; —nei contenitori (cassette, sacchetti di nylon) nei quali si conservano i reperti deve essere posto un cartellino indelebile con l'indicazione della loro US di provenienza (i reperti faunistici privi di cartellino, o con cartellino illeggibile non sono assolutamente utilizzabili perché non possono essere datati in nessun modo); —se è opportuno procedere sul cantiere ad un consolidamento preliminare dei reperti fannistici, è preferibile usare Caparol; al consolidamento definitivo, così come al restauro, provvederà comunque l'archeozoologo in laboratorio; —le ossa devono essere lavate sotto acqua corrente a debole getto. Se tuttavia esse appaiono particolarmente friabili, e si ritiene che l'azione dell'acqua possa disgregarle, è opportuno pulirle a secco con spazzole e/o spazzolini. Dopo il lavaggio le ossa devono essiccare all'ombra. Se si usano come contenitori i sacchetti di nylon, esse possono esservi chiuse solo quando perfettamente asciutte (per evitare la formazione di muffe, che possono anche rendere illeggibile il cartellino con la sigla); — la siglatura delle ossa, eseguita usando inchiostro di china, può essere fatta in un secondo momento, dopo che l'archeozoologo ha separato i frammenti determinabili da quelli non determinabili. I primi dovranno essere siglati singolarmente, mentre per i secondi potrà essere sufficiente, per evitare perdite di tempo, inserire nel contenitore nel quale sono conservati un cartellino indelebile con l'indicazione della sigla; quando si inviano i reperti allo specialista che dovrà studiarli, e soprattutto quando questo avviene in più soluzioni, essi devono essere imballati tenendo uniti tutti quelli pertinenti ad ogni US. In questo modo il lavoro dello specialista sarà semplificato, perché egli non sarà costretto a correggere o rifare ex novo le schede di lavoro ed i vari conteggi, come avviene nel caso che reperti pertinenti alla stessa US siano inviati in tempi diversi; —al momento in cui la cronologia delle US è abbastanza definita, dovranno essere consegnati all'archeozoologo il matrix dello scavo, completo della cronologia delle US e della periodizzazione stabilita; le piante del sito; l'elenco delle US individuate e delle loro caratteristiche (buche, strati di vita o di abbandono, ecc.). È inoltre necessario fornire tutte le informazioni che potranno rivelarsi utili per la migliore comprensione del sito, come ad esempio il tipo di frequentazione di esso, le eventuali differenze tra le varie aree di scavo, ecc. Si deve inoltre ricordare di avvertire tempestivamente l'archeozoologo di tutte le variazioni dell'interpretazione e soprattutto della cronologia delle diverse US, in modo che egli possa continuamente aggiornare i dati in suo possesso e rivederne l'interpretazione. Operando in questo modo sarà stato fatto tutto il possibile per stabilire una continua e fattiva collaborazione tra l'archeologo e l'archeozoologo, che consentirà di ottenere anche dallo studio dei resti faunistici il massimo delle informazioni, a vantaggio di entrambi gli studiosi e soprattutto ai fini della comprensione delle caratteristiche globali del sito in esame. In sintesi, “ (. . .) la collaborazione fra archeologo e specialista deve configurarsi come una serie di incontri di esperienze (. . .) uno scavo è tanto più riuscito quanto più si costruisce come gruppo di ricerca in cui le diverse capacità più che sommarsi si fondono (non confondono) l'una nell'altra X”. (CARANDINI 1981, P. 149). ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Caratteristiche dei denti dei principali gruppi di mammiferi Il dente comprende una o più radici, infisse nell'alveolo, e la corona, che sporge all'interno della bocca. È costituito da una sostanza mineralizzata, la dentina, bianca o bianco-giallastra, di composizione analoga a quella dell'osso, tipicamente rivestita dallo smalto (una sostanza durissima, traslucida, bianco-madreperlacea) sulla corona e dal cemento (una sostanza opaca di colore grigio-giallastro, simile al tessuto osseo) sulla radice ed anche sulla corona dei denti degli erbivori. All'interno del dente si trova una cavità delimitata dalla dentina, contenente la polpa, i nervi ed i vasi sanguigni, che è molto ampia nel dente appena erotto ed in seguito si riduce progressivamente, fino a quasi scomparire, perché nel suo interno si depongono concentricamente altri strati di dentina. Denti del cane (Figg. 2-4) Gli incisivi sono piccoli, con corona appiattita, spessa alla base ed appuntita. La radice è robusta, conica o cilindrica; rispetto alla corona è più allungata ma più stretta. Nei denti usurati l'apice della corona si smussa e viene sostituito da una superficie (faccia di occlusione) sulla quale affiora la dentina. I canini sono molto sviluppati, conici, appiattiti ed incurvati, con radice più allungata della corona. Quest'ultima termina in un apice appuntito, e non presenta mai una faccia di occlusione. Nei premolari e nei molari la corona presenta una faccia di occlusione costituita da alcuni rilievi (cuspidi), in genere 3, ciascuno dei quali termina in una punta (apice). La corona è appiattita trasversalmente, appuntita e tagliente, più larga nei denti superiori che in quelli inferiori. Denti dei suini (Figg. 5-7) Il primo ed il secondo incisivo inferiori sono infissi quasi orizzontalmente nell'osso mandibolare; hanno corona allungata ed appiattita, radice molto sviluppata. Il primo ed il secondo incisivo superiori presentano corona e radice nettamente incurvate e meno sviluppate. Il terzo incisivo, sia nel mascellare che nella mandibola, è molto più piccolo del primo e del secondo e presenta radice e corona brevi. I denti canini, molto sviluppati, particolarmente nel maschio, sono costituiti dalla sola corona, profondamente infissa nell'osso. L'estremità libera termina in una faccia di occlusione obliqua; quella infissa è completamente aperta. Il canino inferiore del maschio è particolarmente lungo ed ha sezione triangolare; quello della femmina è appiattito Il canino superiore è più spesso, a sezione quadrangolare nel maschio, più breve, esile e piatto, nella femmina. I premolari ed i molari presentano cuspidi basse e larghe. I premolari inferiori sono appiattiti, con corona quasi tagliente; quelli superiori più spessi. I molari, particolarmente quelli superiori, hanno superficie di occlusione larga, con cuspidi suddivise in lobi minori (tubercoli). Nei denti usurati la faccia di occlusione si spiana, mettendo a nudo la dentina, dapprima circondata da pieghe di smalto, che con il progredire di essa finiscono per scomparire. Denti dei ruminanti (Figg. 8-12) Gli incisivi, presenti soltanto nella mandibola, presentano corona appiattita e radice più o meno cilindrica. L'usura smussa il margine della corona, determinando la comparsa di una faccia di occlusione, la cui forma varia con il progredire di essa. Negli ovicaprini la corona degli incisivi è proporzionalmente più lunga e più stretta che nei bovini. I premolari ed i molari sono formati da cuspidi (2 nei premolari, 4 nei molari) molto alte, incurvate a mezzaluna, unite soltanto ai margini, ed accollate per tutta la loro ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale lunghezza. Esse nel dente non usurato delimitano una (premolari) o due (molari) cavità (infundiboli) il cui fondo è rivestito dal cemento. Nel dente usurato gli apici delle cuspidi vengono erosi, e la faccia di occlusione presenta un disegno complesso, nel quale compaiono smalto, dentina e cemento. I premolari ed i molari superiori sono più lunghi degli inferiori; in particolare i primi hanno sezione quadrata, i secondi rettangolare. I denti degli ovicaprini, oltre ad essere naturalmente più piccoli di quelli dei bovini, presentano un disegno più semplice della faccia di occlusione, e sono privi delle formazioni di smalto (colonnette) caratteristiche dei bovini. Denti degli equini (Figg. 13-16) Gli incisivi sono costituiti in massima parte dalla corona. Essa è regolarmente incurvata, con spessore crescente e larghezza decrescente verso la radice. L'estremità di occlusione nel dente non usurato è allungata trasversalmente e presenta un infundibolo, riempito in parte dal cemento. Nel dente usurato si forma una faccia di occlusione, nella quale variano continuamente, con il progredire di essa, sia la forma che il disegno. I canini, in genere presenti solo nel maschio, sono appiattiti e fusiformi, privi di smalto sulla faccia rivolta verso l'interno della bocca. I premolari ed i molari hanno corpo prismatico a 4 facce (escluso P2 e M3, a 3 facce), corona molto sviluppata e radice ridotta. Le cuspidi, molte alte, sono unite per tutta la loro lunghezza sia per accollamento diretto (come avviene nei ruminanti) che tramite pareti secondarie dentellate, e delimitano gli infundiboli, riempiti di cemento. Nel dente usurato la faccia di occlusione presenta un disegno molto complesso, nel quale compaiono lo smalto, che forma molte piccole pieghe, il cemento e la dentina. L'infundibolo non scompare quasi mai con l'avanzare dell'usura. I premolari ed i molari superiori sono molto più larghi degli inferiori, mostrando rispettivamente (ad eccezione di P2 e M3, a sezione triangolare) sezione quadrata e rettangolare. Caratteristiche delle principali ossa dello scheletro postcraniale Scapola (Fig. 17) La scapola è un osso piatto e triangolare. La sua faccia laterale (= esterna) è divisa in due parti da un rilievo (spina), che in alcune specie si solleva in un rilievo più (ruminanti) o meno (suini) pronunciato. La parte più stretta (collo) presenta una superficie più o meno ellittica, concava (cavità glenoide) nella quale si articola l'omero. Coxale (Fig. 18) L'osso coxale è piatto e di forma irregolare, avvolto ad elica. Presenta, al centro, una larga cavità rotonda (acetabolo) che accoglie la testa del femore. La parte dorsale si allarga nell'ala dell'ileo; quella ventrale presenta un'ampia apertura (foro ovale). Omero (Fig. 19) La diafisi ( = parte allungata) dell'omero mostra una apparente torsione su se stessa, evidenziata da una doccia di torsione. L'estremità prossimale ( = più vicina alla radice dell'arto) presenta una superficie emisferica (testa) delimitata da due rilievi (trochine e trochitere). L'estremità distale ( = più lontana dalla radice dell'arto) porta una superficie larga e convessa; posteriormente presenta una vasta cavità (fossa olecranica), delimitata da due rilievi. Radio (Fig. 20) ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale La diafisi del radio è diritta; la sua faccia dorsale ( = anteriore) è liscia e convessa; quella ventrale (= posteriore) è piana, e presenta una cresta (cane) o una superficie rugosa (ruminanti) lungo la quale l'ulna si salda ad essa. L'estremità prossimale negli ungolati è larga e presenta tre gole parallele; nel cane è più o meno circolare. L'estremità distale è larga ed ha forma più irregolare. Ulna (Fig. 20) La diafisi dell'ulna è molto ridotta nei ruminanti e negli equini, ben sviluppata nel cane e nei suini. L'estremità prossimale è molto sviluppata, con un forte rilievo (olecrano), appiattito lateralmente, ed una superficie articolare semicircolare per 1’omero (grande incisura sigmoidea) sormontata da un rilievo (becco dell'olecrano). L'estremità distale è ridottissima; manca addirittura negli equini, nei quali la diafisi si esaurisce saldandosi al radio. Femore (Fig. 21) La diafisi del femore è cilindrica e presenta una fossa, più o meno marcata nelle diverse specie. L'estremità prossimale porta la testa, semicircolare, e due rilievi (grande e piccolo trocantere) visibili sulla faccia ventrale, che delimitano una fossa triangolare (fossa trocanterica). L'estremità distale porta la superficie articolare per la tibia, convessa, con una depressione al centro. Tibia (Fig. 22) La tibia ha diafisi di sezione triangolare nella metà prossimale, più cilindrica ed appiattita in quella distale. L'estremità prossimale mostra una ,superficie articolare pianeggiante, di forma triangolare. L'estremità distale presenta due gole parallele, più o meno profonde, separate da una cresta più o meno pronunciata ed obliqua. Fibula (Fig. 22) La fibula, nelle specie in cui è ben sviluppata (cane, suini) ha diafisi allungata ma piuttosto esile, estremità prossimale a forma di spatola; l'estremità distale è sporgente e forma una protuberanza detta malleolo laterale. Negli erbivori la fibula è ridotta, saldata alla tibia o addirittura scomparsa. La maggior parte della diafisi è di natura fibrosa, e per questo motivo non si conserva sull'osso scheletrizzato. Negli equini l'estremità prossimale resta libera e forma un breve prolungamento, mentre quella distale è inglobata nella tibia. Nei ruminanti l'estremità prossimale si salda alla tibia, mentre quella distale resta libera, e forma il piccolo osso malleolare. Ossa metacarpali e metatarsali (Fig. 23, 24) Le ossa metacarpali e metatarsali (ossa metapodiali), come tutte le altre ossa della mano e del piede, mostrano importanti variazioni nelle varie specie di mammiferi domestici. La mano ed il piede del cane sono formati da 5 dita, ugualmente sviluppate ad eccezione del primo, rudimentale. Nei suini portano 4 dita, delle quali 2 (il III ed il IV) più sviluppate e 2 (il II e il V) regredite (non prendono contatto con il terreno). Nei ruminanti si assiste ad una ulteriore riduzione del numero delle dita: ne rimangono infatti 2 (il III ed il IV), ed i corrispondenti metacarpali e metatarsali si saldano in un unico elemento (osso cannone). Negli equini la riduzione è ancora più spinta, ed in pratica esiste solo un dito, il III, con metapodiale enormemente sviluppato. Le ossa metapodiali hanno diafisi cilindrica, più o meno appiattita, con faccia dorsale liscia e convessa e faccia ventrale pianeggiante negli ungulati, stretta nel cane. L'estremità ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale prossimale è piatta negli equini e nei ruminanti, più o meno convessa nei suini e nel cane. L'estremità distale è fortemente convessa e presenta, al centro, un rilievo più o meno sviluppato. Nel cane le ossa metapodiali sono piccole e di dimensioni praticamente uguali tra loro; nei suini due (III e IV) sono più sviluppate delle altre (II e V), la cui diafisi è inoltre più appiattita, ma sono ancora piccole rispetto alle altre ossa degli arti. Nei ruminanti (nei quali i metapodiali III e IV sono saldati nell'unico osso cannone) e nel cavallo i metapodiali sono enormemente sviluppati, di dimensioni paragonabili a quelle delle altre ossa degli arti. In ogni specie i metacarpali in linea di massima sono più larghi, meno spessi e più corti dei metatarsali. Le ossa dei soggetti giovani (Fig. 25) Nelle ossa dei giovani soggetti diafisi ed epifisi sono separate da sottili zone cartilaginee, a forma di disco, con superficie irregolare per la presenza di molte piccole asperità ingranate con il tessuto osseo adiacente ed aderenti ad esso. La cartilagine ha la funzione di permettere l'accrescimento dell'osso, mantenendosi fino al termine di quest'ultimo, quando è raggiunta la grandezza definitiva. A questo momento viene invasa dall'ossificazione e scompare. Si dice allora che l'epifisi si è saldata. I resti scheletrici dei soggetti giovani (rappresentati dalle sole diafisi e dalle epifisi staccate) oltre a presentare le superfici irregolari ad aspetto granulare prima descritte hanno spesso una forma più rotondeggiante delle corrispondenti ossa degli adulti ed una superficie porosa. ELENA BEDINI (*) (*) Cooperativa Etnoantropologica e Paletnologica “ Anthropos ”—Pisa. Bibliografia P. BARKER, 1981, Tecniche dello scavo archeologico, Milano. R BARONE, 1980, Anatomia comparata dei mammiferi domestici, vol. I, Osteologia, vol. III, Splancnologia, Bologna. J. BOESSNECK, H. H. MULLER, M. TEICHERT, 1963, O s t e o l o g i s c h e Unterschiedungsmerkmale zwischen Schaf (Ovis aries Linnè) und Ziege (Capra hircus Linnè), “ Kuhn Archiv ”, 78, 1/2, pp. 1-129. A. CARANDINI, 1981, Storie dalla terra, Bari. J. CHALINE, H. BAUDVIN, D. JAMMOT, M. C. SAINT GIRONS 1974, Les projes des Rapaces. Petits Mammiferes et leur environnement, Paris. S. PAYNE, 1972, On the Interpretation of Bone Samples from Archaeological Sites, in Higgs E.S. (ed.), Papers in Economic Prehistory, pp. 65-81. T. POULAIN, 1976, L'etude des ossements animaux et son apport a l'archeologie, Publ. Centre de Kecherches sur les Techniques greco-romaines Univ. Dijon, 6, 1-131. W. PRUMMEL, H. J. FRISCH 1986, A Guide for the Distinction of Species, Sex and Body Side in Bones of Sheep and Goat, “Journ. of Arch. Sci. ”, 13, 567-577. I. A. SILVER, 1969, The Ageing of Domestic Animals, in Brothwell D.R. Higgs E.S. (eds.), Science in Archaeology, London, pp. 250-268. A. 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