maria pecchioli artist

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maria pecchioli artist
J
S.3
Amyl - Il motto della nostra scuola era “faites de votre désire realitè”
trasformate i vostri desideri in realtà
io preferivo la canzone “don’t dream it be it”
A quel tempo ai desideri non era permesso di divenire realtà e furono sostituiti con la fantasia
film libri quadri, la chiamavano ‘arte’
ma quando i sogni si fanno realtà non si ha più bisogno della fantasia o dell’arte.
Ricordavo sempre quel motto,
da bambina la mia eroina era Myra Hindley
ve la ricordate?
Dicevano che i crimini di Myra andavano al di là del credibile
questo perché non avevano alcuna immaginazione
non sapevano come trasformare i sogni in realtà
non erano artisti come Myra.
Ora ci viene da sorridere alle loro ingenuità.
Il giorno del mio 15°compleanno la legge e l’ordine furono aboliti e tutte le statistiche che sostituivano la
realtà scomparirono
il tasso di criminalità scese a zero
chi credeva nelle statistiche? Solo chi era vitale
comunque sia, io cominciai a danzare
volevo sfidare la forza di gravità.
Ormai è tanto che non ballo a nessuno interessa più
la danza classica,
ma la storia mi affascina ancora è cosi poco tangibile
si tessono gli accadimenti a piacere, i buoni possono scambiare i posti
con i cattivi.
Se pensate che Riccardo III fosse cattivo vi sbagliate,
quale è la differenza fra Hitler e Napoleone, o Alessandro Magno?
la portata della distruzione?
o chi è più vicino a noi nel tempo?
Churchill era un eroe? Ha cambiato la storia in meglio?
La mia amica Mad seduta sul divano
è una piromane, pensa di essere una rivoluzionaria che migliorerà il mondo,
io non ne sono molto sicura
Iragazzi a letto sono Sphinx e Angel, sono di deptford e sono fratelli.
Il loro è un rapporto particolare ma sono dei cari ragazzi.
Davanti al lavandino c’è Chaos
la nostra au-pair francese
oggi la vita in Inghilterra è sinonimo di inflazione
ma noi tiriamo avanti
e lottiamo contro il malgoverno e l’idiozia che ci circondano.
Ah, profumo di garofano!
non tutte le cose belle sono scomparse
S.5
Mad - Dal libro di amyl nitrate “la storia per autodidatti”
uno: storia di inghilterra, tutto cominciò con guglielmo il conquistatore che inculò gli anglosassoni a
sangue dividendo il paese il loro e nostro, loro vivevano nei castelli e mangiavano carne,
e i poveri badavano alle vacche e mangiavano porridge, i signori parlavano con arroganti accenti stranieri.
Nel paese c’erano due lingue
Angel - quali due lingue?
M - Cinese e liverpoliano. che ne so?
Il normanno
A - Chi è il normanno
M - Oh ‘fanculo.
C’erano due lingue e i presupposti per la guerra
all’inizio le due fazioni convissero trovandosi solo in battaglia
quando combattevano contro il resto del mondo… che disprezzavano più di ogni altra cosa
quando non ci fu più nessuno contro cui combattere
pensarono che il vero nemico era là e dovevano combattere fra loro, ormai avidi per il bottino rubato al
resto del mondo, decisero di combattere con il denaro, ma i soldi ormai erano di carta e la cosa non aveva
senso. quando scoprirono ciò, cominciarono a combattere con le armi.
Il mondo era sollevato perché si era liberato di loro e riprese a farsi i fatti suoi allora lentamente
l’Inghilterra affondò”
M - Perchè scrivi queste stronzate?
Amyl - Per me è un hobby. quando non faccio la storia la scrivo, cerco di comprimerla, sarebbe magnifico
poter scrivere la storia su un mandrax
Bule Britannia
Oh Britannia, governa! Britannia, Britannia Britannia
quando la gran britannia è prima nelle sfere celesti,
levatasi dai mazzi azzurri, levatasi dai mazzi azzurri ah ah ah
Oh Britannia, doma le onde,
I britannici mai mai saranno schiavi
con noi anche la Germania!
Britannia governa! I britannici mai mai saranno schiavi!
S.7
Mad - Sei fissata con il sesso perché non ti adegui ai tempi, Crabs?
sei antica come questo posto
Viv - Che cartolina è Mad?
M - È New York, ma non l’avrai. l’america aveva i soldi per darla a bere al resto del mondo ma in realtà è morta non è mai stata viva
Mad - Tutte quelle rovine tutto quel cemento mattoni e vetro,
e la gente che li ha costruiti è stata dimenticata,
le nostre prigioni non furono costruite in un solo giorno,
ma non ci vuole tanto per distruggerle.
Bod - Stronza! Esci di qua!
M - Calmati! Guarda qua!
Sphinx - vieni Viv andiamocene
andiamo Angel prima che bruci tutto
Mad - Se vuoi qualcosa devi servirti da solo,
che schifo!
Bod - Cosa vuoi fare? no
M - Se la tua casa è brutta bruciala
se la strada in cui vivi ti deprime, butta giù tutto
se la cuoca non cucina bene ammazzala. giusto?
Ah ah ah!
M - Ti piace?
per un attimo ho pensato che la ammazzavi.
B - È solo la prova generale
S.8
Viv - Meno male che ce siamo andati
ma è pazza
Sphinx - Non c’è da preoccuparsi
V - Ma ha ragione, è questo che mi spaventa
S - Un po’ vuoto qui vero?
Angel - Almeno c’è un letto
S - Cosa fai qui tutto il giorno
V - Sono una pittrice, un artista
S - Magnifico non pensavo che esistessero ancora gli artisti
V - No, la pittura è scomparsa, l’arte no, è solo un’abitudine
ho cominciato a dipingere a otto anni, copiavo i dinosauri da un libro
era una profezia.
S- Io sono vivo
A - Anche io
V - Gli artisti rubano energia al mondo
S - Non li prendono mai?
V - Sempre, diventano donatori di sangue.
Gli prendono il sangue goccia a goccia, finché muoiono,
e chi comanda il mondo rende l’arte inaccessibile, spingendo gli artisti nell’angolo.
È pericoloso. la nostra unica speranza è ricrearci,
come artisti, o magari anarchici se preferite, e liberare energia per tutti.
S - Mio fratello è un artista, un artista di merda
S.13
The Royal Albert Hall
Gluck
Handel
Mozart
Beethoven
Bach
Haydn
S.17
Viv - Ciao Bod
Bod - Ciao
V - Che giardino pazzesco Max
Max - Si ci ho messo il veleno per le erbacce, era un po’ triste e ho piantato quelle petunie di plastica
B - Max mi raccontava le sue avventure di mercenario
dopo aver lasciato l’esercito
M - Era uno schifo, era per risolvere il problema della disoccupazione. hanno rinunciato.
È più facile morire per la loro fiscalità che per una pallottola.
Io vendevo i ragazzi ai clienti del pub vicino alla caserma.
L’esercito oggi combatte solo a letto.
Oh no, dannazione questo garofano ha una malattia,
non potevo uccidere nell’esercito, quindi di sera eliminavo le erbacce.
V - Deve essere frustrante
M - Figurati, abbiamo tanto Megaton da far scoppiare l’alba ad ovest,
e nessuno preme il pulsante.
È uno spreco schifoso pensa a quanto costa! Io pago le tasse
Sphinx - Sono annoiati e non hanno energia.
M - La guerra è così grande che ha perso il contatto con la gente
S - La gente ha reagito e si è messa a fare la guerra per strada
M - i politici ci hanno aiutato, ci hanno demoralizzato parlando di svalutazione, come se fosse la cosa più
importante!
È morta la sterlina e la loro popolarità.
È buffo che a volte provi a fare una cosa e poi ne fai un’altra.
Io preferisco un mondo morto. sarebbe più pulito. la mia idea di un giardino perfetto è il ricordo di un campo di papaveri.
C’è un bruco nei tulipani.
V– hiii!
M – stronzate, è ricco di vitamine
Lewisham riot
Traveller
INDICE
Raver
Falklands war
1
Dr. Lawrence Driscoll, The Rose Revived: Derek Jarman and The English Tradition, By Angels Driven The Films
of Derek Jarman, Chris Lippard, 1996
De andre
Crass
Genet
Pasolini
Via Correggio, 18
Virus
Taz
Tondelli
Rivoluzione Gay
Guy Debord, Panegirico, castelvecchi, Roma, 2005, p. 35-36
2
Myra Hindley
Nomadismo
NOTE
3
Ciò che resta dell’Inghilterra, D.Jarman, Padova, Alek. 2007, p. 108
4
Ivi nota 2
5
R. Vaneigem, Trattato del saper vivere, Castelcecchi, Roa, 2006, p. 6
6
Ivi nota 1, p. 44
7
Fabrizio De Andrè, Storia di un impiegato, 1973
8
George Mckay, Atti insensati di bellezza, Shake edizioni, Milano, p. 70
9
Lumi di punk, Marco Philopat, Xbook, Milano, 2006, p. 12
10
Ivi nota 8, pag.73
11
Ian Glasper, Anarkopunk, Shake edizioni, Milano, 2008, p. 15
12
Ivi nota 11, p.10
13
Ivi nota 8, p.75
14
Ivi nota 8, p. 75-76 da “In Which Crass voluntarily” Blow Their Own”
15
Ivi nota 8, p.76
31
Valerio Marchi, La sindome di Andy Capp, NdaPress, Rimini, 2004, p. 8
16
Marco Philopat, Costretti a sanguinare, Einaudi, Torino, p. 77
32
Ivi nota 31, p. 33
33
R. Lowe e W. Shaw, Traveller e raver, Shake Edizioni, 1996, Milano, p. 32
34
Ivi nota 8 p. 49
35
Ivi nota 8 p. 49
17
18
19
Ivi nota 9, p. 110
Da “Nero”, 1981
Per approfondimenti: www.gomma.tv - intervista di Radio Popolare:
http://mp3.gomma.tv/audio/gommatv%20016%20-%20Correggio18.mp3
20
Ivi nota 9, p.15
36
Ivi nota 8 p. 51
21
Articolo tratto da “A rivista anarchica”, numero 120, giugno/luglio, 1984. Nota della redazione Acrataz. http:
37
Ivi nota 8 p. 55
38
Hakim Bey, T.A.Z., Shake edizioni, Milano, 2008, p. 53
//acrataz.oziosi.org
22
Punx- Creatività e Rabbia DVD, Shake edizioni, Milano, 2006.
23
Derek Jarman, A vostro rischio e pericolo, Ubulibri, Milano, 2008, p.73-74
24
Ivi nota 23, p. 73-74
25
Ivi nota 23, p. 85
26
Per approfondimenti: http://www.pasolini.net
27
P.P Pasolini, Corriere della Sera, Milano, 25 maggio 1974
28
LaRepubblica, di Mariapia Fusco, Un caravaggio come l’ avrebbe visto Pasolini, 1984
29
Jean Genet, Palestinesi, A cura di Marco Dotti, Stampa Alternativa, Roma, 2002
30
Dick Hebdige, Sottocultura - il fascino di uno stile innaturale, Costa&Nolan, Milano 2008, p.7/8
Verde è un colore che esiste nelle narrazioni...
ritorna sempre.
L’erba del vicino è sempre più verde
D.J. Chroma
Dieci bottiglie verdi appese al muro,
e se una bottiglia dovesse accidentalmente cadere...
I signori Blind Chavanne e Drago, che insieme pubblicavano nel 1969 un trattato sul diritto di stampa, all’apposito capitolo sul “pericolo delle apologie”, concludevano con un’autorevolezza e un’esperienza che mi fanno ancora sperare
che si debba accordare loro molto credito”. Fare l’apologia di un’azione delittuosa, presentarla come fatto glorioso meritorio o lecito può avere un notevole
potere di persuasione. Gli individui deboli e scarsamente volitivi che leggono
simili apologie si sentiranno non soltanto assolti preventivamente qualora commettessero tali azioni ma vedranno nel fatto stesso di commetterle l’occasione
per diventare dei personaggi. La conoscenza della psicologia criminale mostra
il pericolo delle apologie.1
Nel 1975, in Inghilterra la recessione è all’apice, la disoccupazione investe più del 5 per cento della forza lavoro
del paese.
L’atmosfera che si respira in Gran Bretannia alla metà
degli anni ‘70 è caratterizzata da intolleranza e profondo
individualismo, alimentato dallo sviluppo del liberismo.
In questo contesto si tenta la lotta all’inflazione,
nell’aggravarsi della disoccupazione. Nel 1979 Margaret
Thatcher viene eletta nelle file del partito conservatore
e dà inizio al suo progetto politico-economico che si
risolve in una drastica capitolazione della spesa pubblica: nessun dialogo col sindacato, attaccato duramente,
repressione per le classi lavoratrici e per il diritto allo
sciopero.
La Lady di Ferro in questi anni piega definitivamente il
sistema del Welfare, riduce ad un corpo senza leggi né
regolamentazioni il mondo del lavoro e sottopone alle
leggi di mercato la sfera sociale.
Il governo della Thatcher, per salvaguardare i conti delle
imprese, mette in moto una processo di negazione dei
valori sociali, inasprendo il conflitto e la distanza fra le
classi e legittimando il potere ad esercitarsi senza opposizione. Il processo di smantellamento delle istituzioni,
sollevate da un ruolo attivo e partecipato nelle esperienze
socio-economiche del paese, e l’applicazione di un liberismo anti-socialista, determina l’aggravarsi delle problematiche occupazionali. La disoccupazione arriva alle stelle,
determinando una frattura fra i conti della popolazione
rispetto all’opulenza accumulata nell’alta finanza.
Questa impostazione, seguita negli Stati Uniti da Reagan,
ha portato all’attuale sistema capitalistico mondiale, determinando il passaggio da un capitalismo produttivo ad
un capitalismo finanziario.
Ruskin, William Morris e Oscar Wilde, che, in quanto
eredi del Romanticismo, come ci ricorda Sinfield, “avevano registrato i mali del capitalismo industriale in linea con la tradizione inglese e desideravano, con tutte
le loro forze, evitare quello che era visto come un attacco aperto a bellezza, eleganza e sensibilità”2
La critica di Jarman all‘Inghilterra contemporanea
corrisponde profondamente alla preoccupazione
anti-industriale del Romanticismo, specialmente con
Blake e la prima opposizione di Wordsworth all’industrializzazione del diciannovesimo secolo, periodo in
cui il capitalismo consolida la propria egemonia. Simon
Watney ha affermato che J. è “William Morris Queer
del ‘900”. Detto questo, possiamo tornare al lavoro di
Per Jarman è questo un momento di crisi da cui è necessario emergere prendendo una posizione, una posizione
artistica, una posizione definita che imponga una critica
e un ribaltamento dei valori in gioco. Egli si colloca in
una strada trasversale che si pone come critica al presente
socio-politico, andando a ricercare dei valori universali
che accomunano il vivere civile.
La strategia contro-culturale di Jarman è una strategia
che si lega alla tradizione nella fiducia del progresso dei
diritti civili che affondano le radici nello spirito etico di
una civiltà.
L’immagine di Jarman come controverso filmaker
emerge non tanto perché egli è un iconoclasta dei valori e delle sacre istituzioni inglesi, ma perché ha scelto
di parlare di una tradizione veramente antica posizionando la propria battaglia su valori culturali che sono
innanzitutto estetici e storici. Jarman è considerato un
radicale perché lavora nel dopoguerra momento in cui
la tradizione inglese è stata erosa sia dalla destra che
dalla sinistra.
Sono nato con il lamento delle sirene, la mia infanzia è stata attraversata
dai bombardamenti ho assistito alla militarizzazione del mondo, ho assistito
alla distruzione dell’ecosistema da parte della macchina dell’industria,
ho visto veleni scorrere nei fiumi e foreste morire, l’atmosfera cambiare.
Tutto è stato molto pericoloso. Eppure ho vissuto per quarant’anni anni
dorati anni di dopo-guerra. Senza nessuna vera guerra e distruzione reale, almeno in Europa, al confronto di vivere in paese povero, i nostri,
erano problemi trascurabili. Allo stesso tempo vivevamo a scapito degli
altri e del pianeta stesso e perciò ci pesava addosso un perenne senso di
colpa.”3
Nel tentativo di concedere all’Inghilterra la possibilità
di ristabilire un’idea di comunità e un senso della Storia e della Cultura, Jarman propone una concezione
antica di tradizione, allineandosi sulle posizioni comuni a intellettuali quali Beowulf, Shakespeare e Blake,
Ruskin e Larkin. Jarman ripropone come possibile la
strada della cultura, col fine di scrollare il paese dal
momento di impasse culturale sociale e politico con
cui si confronta.
L’opera di Jarman può essere meglio vista come un
intervento diretto, teso a rivitalizzare la cultura inglese
dando sostentamento a radici ormai secche, concedendo all’Inghilterra di essere ancora una volta la Rosa
Rediviva.
Lo storico Anderson spiega che mentre il tradizionalismo giustifica il presente facendolo derivare dal
passato, l’empirismo imprigiona il futuro fissandolo
al presente. Il risultato è stato un conservatorismo dif-
fuso che ha ricoperto la società con una cappa sia di
conformismo (verso le idee) sia di misticismo (verso
le istituzioni), per il quale l’Inghilterra, giustamente,
si è guadagnata una fama internazionale. Di fronte a
questo ampio conservatorismo, promosso sia da parte
della destra che della sinistra, la posizione di Jarman
come dissidente della middle class, gli ha concesso
uno spazio da cui vedere attraverso la nebbia. Sulla scia
del collasso del consenso del dopoguerra, è emerso
uno scontento generale che ha trovato il suo focus
nella forma della sottocultura punk.
Jarman colloca questa sottocultura in Jubilee, ma non
celebra la posizione anti-establishment del punk né
glorifica la sua tendenza violenta. Il consiglio dei censori richiese diversi tagli alla pellicola e questo film
venne citato in parlamento come esempio di video
orribile. Ma ancora, possiamo considerare come la
posizione di Jarman sia stata fraintesa. La sottocultura
punk interpretava il film come il suo stesso testamento
mentre il governo lo considerava come un attacco alla
decenza. In ogni caso, entrambe le fazioni stavano mal
considerando la posizione di Jarman. Come precisa il
regista: “Per un audience che si aspetta un film punk
musicale, pieno di anarchia e risate in fondo a King’s
Road, questo era duro da ingoiare, loro volevano
azione non analisi”. In contrasto col governo che lo
interpreta come un film crudele, Jarman sottolinea che
tutte le violenze del film sono “viste negativamente”.
Ugualmente chiarisce che Jubilee ha “funzione catarchica”. All’inizio del film Ariel parla dall’Inghilterra
elisabettiana ed esprime con forza che le scene di
nichilismo che ci mostrerà non sono da ammirare
ma sono lo specchio del tempo. Questo siamo noi,
l’audience, che vive nel mondo delle ombre, mentre il
passato è mostrato come un mondo di comprensione,
cultura e ordine. In contrasto con l’ordine dell’era
elisabettiana, il caos e la violenza dell’Inghilterra contemporanea ha prodotto una generazione tagliata fuori
dalla storia. 4
Sta di fatto che dalla scoperta di
nuovi universi psichici e geografici
all’invenzione di nuove forme di socialità, tutto è stato rimesso in discussione, rivisitato, cambiato, ripreso,
oggettivato con l’intenzione di rendere
la vita sempre più ricca, sempre più
sorprendente. S’è trattato di una minoranza certo ma di una minoranza
planetaria alla quale il filo spinato di
una mondializzazione economica cerca oggi di sbarrare definitivamente la
strada.
Senza dimenticare che, nel bene e nel
male, la storia è sempre stata fatta da
minoranze.
Dunque la questione spinosa è, piuttosto, dove sta il bene.5
Agli uomini che non godevano di una così indiscutibile e universale competenza non si è proposto nient’altro che di sottomettersi, senza aggiungere più la
minima osservazione sulla questione del loro senso dei piaceri dell’esistenza,
dal momento che avevano già eletto per tutto il resto i rappresentanti della loro
sottomissione.
“Le monde n’est qu’abusion”, riassumeva Villon in un solo ottonario.
La decadenza generale è un mezzo al servizio dell’impero della servitù. E solo
perché è questo mezzo le è permesso di farsi chiamare progresso.6
Amyl Nitrate... Jordan
Myra Hindley? Amyl la presenta come un’eroina durante la lezione di storia. L’analisi su Myra è una chiara
provocazione di Jarman.
Myra Hindley è stata la prima donna serial killer che la Gran Bretannia abbia conosciuto. Con il compagno si è
macchiata di atroci omicidi scatenandosi su ragazzini minorenni che venivano torturati e sodomizzati.
Amyl definisce privi di immaginazione coloro che non sono capaci di credere alla possibilità di scatenare tanta
brutalità. Nella sua logica realizzare il sogno, l’impensabile è un dovere e se si è capaci di pensare reale l’assurdo si
può anche essere in grado di realizzarlo. Così Myra diviene un’eroina in quanto capace di rendere visibile anche il più
efferato degli omicidi.
La provocazione nasce nella contrapposizione fra coscienza individuale e ambiente sociale. Amyl ci parla di una
società senza legge né ordine che si esplica in una relazione crudele col cittadino, tale da determinarne violenza
illogica e folle. Myra non è che il frutto di una società altrettanto violenta e insensata.
Amyl Nitrate e la sua relazione con la storia sono l’occasione per criticare duramente le manifestazioni del potere. La
Storia è così intangibile che si possono riscrivere e mischiare le carte a piacere: la Storia per autodidatti è un monito
sarcastico e provocatorio che punta il dito in modo lucido e minaccioso su di un pericolo concreto: il desiderio di
revisionismo che riempie salotti di grotteschi cervelli, in cui si rileggono e riscrivono i nomi dei buoni e dei cattivi,
avvalendosi proprio di quella intangibilità che caratterizza la Storia. In qualche modo la storia per autodidatti è nelle
mani di tutti e ciascuno la sfrutta a proprio vantaggio.
Nelle parole di Amyl si registra una condivisione dei valori anarchici classici. Il potere che esiste nella relazione tra
l’uomo e l’ambiente è sistematicamente sopruso; il potere in qualsiasi situazione, a qualsivoglia latitudine o coordinata
nella linea del tempo è manifestazione di violenza. Non esistono poteri buoni.
Nella mia ora di libertà
Di respirare la stessa aria
di un secondino non mi va
perciò ho deciso di rinunciare
alla mia ora di libertà
se c’è qualcosa da spartire
tra un prigioniero e il suo piantone
che non sia l’aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione
che non sia l’aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione.
È cominciata un’ora prima
e un’ora dopo era già finita
ho visto gente venire sola
e poi insieme verso l’uscita
non mi aspettavo un vostro errore
uomini e donne di tribunale
se fossi stato al vostro posto...
ma al vostro posto non ci so stare
se fossi stato al vostro posto...
ma al vostro posto non ci sono stare.
Fuori dell’aula sulla strada
ma in mezzo al fuori anche fuori di là
ho chiesto al meglio della mia faccia
una polemica di dignità
tante le grinte, le ghigne, i musi,
vagli a spiegare che è primavera
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera.
Tante le grinte, le ghigne, i musi,
poche le facce, tra loro lei,
si sta chiedendo tutto in un giorno
si suggerisce, ci giurerei
quel che dirà di me alla gente
quel che dirà ve lo dico io
da un po’ di tempo era un po’
cambiato
ma non nel dirmi amore mio
da un po’ di tempo era un po’
cambiato
ma non nel dirmi amore mio.
Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d’obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta
per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni.
E adesso imparo un sacco di cose
in mezzo agli altri vestiti uguali
tranne qual’è il crimine giusto
per non passare da criminali.
C’hanno insegnato la meraviglia
verso la gente che ruba il pane
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame.
Di respirare la stessa aria
dei secondini non ci va
e abbiamo deciso di imprigionarli
durante l’ora di libertà
venite adesso alla prigione
state a sentire sulla porta
la nostra ultima canzone
che vi ripete un’altra volta
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.
Per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.7
Nove bottiglie verdi appese al muro,
e se una bottiglia dovesse accidentalmente cadere...
Se la storia è “Tempo” come dice di essere, allora la sollevazione è un momento che salta su e fuori dal tempo, viola la Legge della Storia. Se lo Stato è Storia come dice di essere, allora l’insurrezione è il momento proibito, un’iperbole
negazione della dialettica
Hakim Bey
I protagonisti di Jubilee mettono in moto una lotta contro il malgoverno e l’idiozia che si trasforma in una pratica di
violenza inconcludente. Essi manifestano delle contraddizioni che oscillano fra azione e nichilismo dissacrante. E’ una
girandola impazzita che non trova un bersaglio preciso e diviene una battaglia contro se stessi. Sia che l’epilogo sia la
morte o la sottomissione al mercato, in ogni caso, in Jubilee non è prevista redenzione. Jarman ci presenta la sua generazione, una generazione che si sente esclusa dalla propria realtà.
Nella società presto si imporrà l’esigenza di una presa di posizione decisiva da indirizzare ed esprimere attraverso i
mezzi più disparati, dalle forme artistiche, alle modalità di vita e relazionali.
Superata la prima fase del punk commerciale, di esperienze marginalmente impegnate, si ha un cambiamento di atteggiamento e impostazione.
In seguito all’inasprirsi del problema sociale, col fiorire di etichette e fanzine indipendenti, la realtà delle band si radicalizza dando vita ad una crescente azione politica. Le tematiche sociali, la guerra, il nucleare, diventano emergenze
da affrontare e da contrastare anche sul
palco.
Il National Front aveva preso terreno
e acquistato consensi fino a diventare
la terza forza politica nel paese; questo
portò nel 1977 ai durissimi scontri di
Lewisham, un quartiere a sud di Londra;
di lì a poco nacque l’Anti Nazi League e
Rock Against Racism.
Ad aggravare ulteriormente le tensioni
britanniche, arrivò nel 1982 il conflitto
delle Falkland che vide lo scontro tra
l’Argentina e la Gran Bretannia per il possesso delle isole dell’arcipelago omonimo.
La decisione della guerra per un territorio sconosciuto ai più, fu visto come
un tentativo, fra l’altro riuscito, della
Thatcher, di rafforzare il proprio potere in
vista delle elezioni e contribuì a scatenare
una reazione terremoto nell’ambito delle
controculture.
Il pacifismo torna ad essere una delle
tematiche centrali, nell’ambito del punk,
un pacifismo non reso sterile da una passività nella prassi, ma urlato gridato manifestato con forza, una richiesta violenta
di pace.
La scelta politica di schieramento portò
il punk da sottocultura a controcultura,
determinando una chiara strategia di azione, un complesso di produzioni schierate che videro nella band Crass uno degli
esempi più rappresentativi.
L’anarco-punk, scatenato dai concretissimi mali del thatcherismo, della
recessione e della minaccia nucleare,
avvolgenti come un sudario nel Regno
Unito degli anni ’80, ha creato e plasmato la mentalità di una generazione
e fatto compiere notevoli passi avanti
alla lotta per i diritti civili e degli animali.
I Crass erano un collettivo radicale
strategie culturali ispirate ai situazionisti8
anarco-pacifista,
anarco-femminista
e vegetariano. Inoltre l’anarchia a cui
facevano riferimento non era quella dei
Pistols (Anarchy in the UK comincia
con una spaventosa risata gutturale
di Jhonny Rotten e finisce con un “Get
Pistols Destroy!” che sembrava quasi
tratto da un fumetto) ma si presentavano una visione del mondo e uno stile
di vita scaturiti da una miscela di idealismo hippy, resistenza, energia punk
e faccia tosta con l’aggiunta di alcune
tori del “Do it” e di “Play Power”: la
vita in comune, l’attacco frontale alla
società consumistica e dello spettacolo, l’antimilitarismo e, su tutto,
l’autogestione.
Il gruppo politico e musicale dei Crass
rappresenta il più stretto esempio del
legame tra il punk e le controculture
precedenti.
Loro, ma non saranno gli unici, riuscirono a tradurre l’esperienza hippy
con l’attitudine punk, riattivando i mo-
I fili della memoria vengono così riattivati e il punk non sembra più isolato
dai suoi antecedenti. I sentieri non
sono più interrotti e le pratiche radicali, analoghe in ogni controcultura, vengono dunque connesse.9
L’aspetto coinvolgente dei Crass è la commistione di
percorsi da cui traggono la propria originale natura e che
determina l’attivismo del gruppo e la decisiva volontà di
agire verso un cambiamento della realtà.
Nella musica i Crass rifiutano l’idea della sottomissione
alle grandi Major, che imponevano costi spropositati al
pubblico e determinavano un appiattimento di contenuti,
idee e modalità espressive; osteggiano qualunque tipo di
testo musicale che si esprima unicamente in favore delle
droghe o dell’autodistruzione; si oppongono ai media
che trasformano in moda la figura del punk.
I Crass riuscirono a costruire un organismo di controcultura fatto di piccoli tasselli autoprodotti che determinarono un cambiamento decisivo nella cultura punk.
scrittori punk che non vivevano secondo gli standard rigorosi dei Crass10
La critica dei Crass aveva una serie di
bersagli preferiti che spesso, anche
fin troppo, mescolava insieme, in una
sorta di grandiosa teoria della cospirazione ordita dal sistema.
La comune Dial House, messa su da Penny Rimbaud,
era un luogo nato dall’eredità hyppie, ma ben presto si
trasformò in un avamposto della sperimentazione punk,
accomunando e lasciando spazio a figure eterogenee che
la frequentavano.
Stations of the Crass
Penis Envy
How Does it feel (to be a mother of th
thousand Dead?)
Christ: the album
La chiesa, la disoccupazione, il patriarcato, i valori della famiglia, lo stato,
la guerra, le armi nucleari, lo sfruttamento del Terzo Mondo, l’ambiente, il
commercio della carne erano i bersagli preferiti, come pure i gruppi e gli
In questi anni in Inghilterra si sviluppa e si radicalizza
il fenomeno dell’occupazione abusive. Gli Squat, sono
un luogo di frequentazione e aggregazione utile sia per
risolvere il problema pratico di un tetto sotto cui dormire
sia per stabilire relazioni. A Londra si trovavano il 50
per cento delle occupazioni del paese, questo permise
al punk di fiorire e moltiplicarsi nella capitale. Londra
venne incoronata come la culla dello stile e si innescò, di
conseguenza, una diaspora verso la città inglese da parte
di tutti i giovani punks che vivevano in paesi e realtà provinciali.
All’interno di questo spazio di creazione e di interazione,
comincia a fine anni ‘70 l’esperimento “Crass”; la convinta dedizione nella pratica del DYT ha permesso al gruppo di essere considerato fra i primi esempi di autoproduzione impegnata. La comune stessa era un luogo dove
non era ammessa contraddizione fra pratica e teoria.
La nascita della Crass Records, etichetta autoprodotta
dal gruppo, consentì lo svilupparsi di piccole band che
avevano il vantaggio di esprimersi in totale autonomia.
L’idea era quella della partecipazione ad una cultura per
tutti che nascesse da chiunque.
La Dial House era un posto dove potevano metterci piede tutti; se eri un poeta e
passavi di lì potevi guadagnarti un letto per una notte recitando, per esempio, le
tue poesie. Allora c’erano tante Dial House nel paese. Così da lì passava tanta
gente che non era di estrazione proletaria, di solito erano fotografi, cineasti e
Pen era tutto contento che all’arrivo si trovasse di fronte il sottoscritto, questo
buzzurro pedicelloso dai capelli da punk, perché allora i punk facevano ancora
paura.11
I punk caos e anarchia ripetevano a
ogni piè sospinto che a loro non gliene
fregava un cazzo di nulla, invece ai
punk pace e anarchia importava eccome12
“Quando, nel 1976, il vomito punk
schizzò per la prima volta sulle pagine
dei giornali col messaggio do it yourself (“fatelo da soli”) noi, che in diversi
modi e per diversi anni non avevamo
fatto che quello, abbiamo creduto ingenuamente che i vari signori Johnny
Rotten, Joe Strummer e compagni intendessero lo stesso. Finalmente non
eravamo più soli”.
Ben presto ( I Crass) si resero conto
che “…i nostri colleghi punk, i vari Pistols, Clash e così via, non erano altro
che dei fantocci: a loro faceva piacere
illudersi di derubare le grosse case
discografiche, ma nella realtà era la
gente a essere derubata. Non aiutavano altri se non se stessi, dando vita
a un’altra moda facile”.13
Riguardo l’azione diretta, di disturbo politico, ci furono due occasioni in cui i Crass sono riusciti a creare
un vero caso mediatico, attraverso i tradizionali mezzi
d’informazione.
Nel primo caso incisero una parodia di “Our Wedding”,
un brano commerciale, una smelenza canzone d’amore
in voga in quel periodo, e riuscirono a farlo distribuire
come inserto da una rivista per ragazzine. Lo pseudonimo Creative Recording and Sound Service, nonostante
l’acronimo corrispondesse al vero nome del gruppo,
permise alla band di raggirare la rivista. Lo “scherzo” fu
scoperto solo dopo che il disco si trovava, per diverse
Si trattava di un nastro veramente ben realizzato, studiato in forma di conversazione tra Reagan e la Thatcher, durante la quale veniva ammessa la sua responsabilità diretta nell’affondamento della Belgrado, argomento sul quale la Thatcher
aveva imposto il no-comment e la conseguente conferma del bombardamento
della Sheffield da parte dell’Invincibile, notizia tenuta fino a quel momento segreta.
E, visto che c’eravamo, abbiamo inserito una dichiarazione di Reagan nella quale
veniva presa in considerazione l’idea di un conflitto nucleare in Europa nel caso
fosse messa in pericolo la sicurezza degli Stati Uniti. Un’ipotesi che probabilmente non è poi così assurda.
Crass
migliaia di copie, nel giradischi di adolescenti agitate.
Il secondo falso, ebbe un’importanza ben più storica e
rappresenta uno dei casi di disturbo meglio riusciti nella
pratiche controculturali.
In risposta alla guerra delle Falkland e in pieno clima da
Guerra Fredda, i Crass progettarono una registrazione
con un falso dialogo fra Reagan e Margaret Thatcher,
Thatchergate tapes.
Utilizzando informazioni fornite loro da un reduce
di guerra, i Crass crearono una registrazione in cui la
Thatcher faceva pesanti dichiarazioni sulla guerra e
Reagan a sua volta rincarava la dose: il primo ministro
inglese si assumeva la responsabilità dell’affondamento
della nave argentina Belgrano e affermava di aver colpito la nave Sheffield, della stessa Marina inglese, per
salvaguardare la vita del principe Andrea imbarcato su
una portaerei vicina. Da parte sua, Reagan, si dichiarava
pronto all’utilizzo di armi nucleari in territorio Europeo a
difesa degli Stati Uniti.
THATCHERGATE
Tape of Thatcher - Reagan Telephone Conversation. Made During Falklands War.
You must have too, and not let them know. What do you hope to gain?
T. What I said before -”Andrew”- ...As “cruise” go in, I want incentives at all levels...
R. There’s a deal... a third more submarine ballistic missiles, and you will see that the United States forces
remain deployed. The intermediate range missiles are U.S. defence. You proposed building them in Europe.
Build up the economy. They don’t work, they’re social programmes... The United Kingdom is a... er... little nation...
T. You still need those nations, and you’re given long term international markets.
R. We are supported by our allies, whether they want, or not.
T. I, I don’t understand you...
R. In conflict, we will launch missiles on allies for effective limitation of the Soviet Union.
T. ...own business!
R. I urge restraint. It’s absolutely essential or the area ‘be “through the roof”.
T. ‘mean over Germany?
T. Look, our objectives are fundamentally different. Al Haig...
R. Mrs Thatcher, if any country of ours endangered the position, we might bomb the “problem area”, and correct the imbalance.
R. ...Secretary Haig...
T. See, my...
T. ...doesn’t seem to be able to find a solution.
R. It will convince the Soviets to listen. We demonstate our strength... The Soviets have little incentive to
launch an attack.
R. Why eliminate “Belgrano”? You directed this. The Argentinians were then going... Secretary Haig reached
an agreement.
T. Our British people...
T. Argentina was the invader! Force has been used. It’s been used now, punishing them as quickly as possible.
R. Oh, God, it’s not right! You caused the “Sheffield” to have been hit. Those missiles we followed on screens.
R. London! ...
T. I think...
R. Let that be understood...
Il nastro fu spedito alle maggiori testate inglesi generando
interesse riguardo le sue origini e i suoi creatori. La paranoia generale portò il Sunday Times a chimare in causa il
KGB che fu ritenuto il responsabile dell’operazione fino al
momento in cui, un giornalista, riuscì a far risalire l’opera ai
Crass.
Quando l’“Observer” parlò del coinvolgimento dei Crass, “i media di tutto il
mondo si avventarono sulla notizia eccitati del fatto che un branco di punk
avesse fatto passare per idioti quelli del
dipartimento di Stato”.14
L’accusa verso la strategia belliche e politiche della Thatcher
venne replicata in due titoli: prima “In sheep farming in the
falklands” e in seguito in “How does it fell (to be the mother
of thousand dead)”, ma il clima che si era creato, sopratutto
attraverso la stampa patriottica, portò il gruppo alle interrogazioni parlamentari sulla loro attività musicali e politiche.
“How does it feel” fu descritto dal parlamentare conservatore Timoty Eggar,
che pretendeva fosse perseguito a
termini di legge per oscenità, come un
attacco scurrile e immorale al primo
ministro e al governo… “le autorità
costituite devono porre dei limiti”. Le
strategie dei Crass si proponevano, per
l’appunto, di porre in discussione i limiti
dell’autorità.15
1984, ispirati nella data dal libro omonimo di George
Orwell, i Crass, interrompono la loro esperienza musicale,
che si chiude con un concerto in sostegno dei minatori di
Alberdale.
L’idea di collage e ricollocazione dei significati culturali
promossa dal gruppo, determinò percorsi linguistici e sviluppi di narrazione fuori dai canoni e impose nuovi modelli
comunicativi.
I Crass rifiutarono una politica di slogan appariscente ma
vuota nei contenuti, promuovendo un’idea di azione radicata nel qui e ora. La visione anarchica proposta dal gruppo
si esprimeva non solo nei precetti della vita comunitaria,
ma nella considerazione del singolo come autore ed elemento indispensabile alla costruzione di un bene comune.
L’autonomia del singolo e la vita sociale trovavano un equilibrio stabile che permise la costante coerenza nelle scelte
politiche.
C’è da notare come I Crass rimangono ai margini del dibattito sulla cultura punk e della critica musicale.
Il fatto stesso di essere così radicalmente attivi e coerenti ha
determinato un isolamento e un processo di auto-esclusione
che ha permesso al gruppo di essere letto nella sua integrità.
Ma se Orwell ha sbagliato solo di un decennio nel prevedere l’occhio tecnologico del potere aperto sul controllo
del sistema urbano e sociale, sicuramente il 1984 è stato un
anno di stravolgimenti e importanti avvenimenti nel mondo
del punk italiano.
L’eredità degli squat e delle realtà occupate inglesi era
sbarcata da qualche anno anche in Italia e Milano fu una
piazza di sperimentazione nella condivisione e occupazione degli spazi. C’era una forza, un’energia, un desiderio di
sentirsi parte di una realtà diversa da quella promossa dalla
cultura ufficiale che dette la spinta per cercare di creare
un’alternativa di spazi e di modi per la condivisione.
Otto bottiglie verdi appese al muro,
e se una bottiglia dovesse accidentalmente cadere...
Domenica - Piove – dentro il bar sono
tutti sconvolti - mi sono stufato anche di
ascoltare Daniele Hcnn ubriaco - Cristina
Danilo e Claudino giocano da una vita a
space invaders - perciò con Gnocco e due
tipi di Quartoggiaro andiamo fuori a fare
un giro - fa un freddo tosto – andiamo
nell’unico posto che conosciamo - la
casa occupata di via Correggio 18 – è una
specie di fabbrica - stupenda - nel primo
cortile ci sono le abitazioni su tre piani
- in alto sembra ci siano due straordinari
terrazzi completamente avvolti da un
glicine gigantesco - nel secondo cortile
si ha l’accesso a tre capannoni enormi
uno dei quali di cinque piani – a parte
qualche porta chiusa il resto sembra
abbandonato – siamo affascinati dal
materiale di archeologia industriale
– quanto spazio da poter utilizzare- “ecco
- qui potremmo metterci il palco” – “ ci
farei anche un baretto” – fantastichiamo
sulla trasformazione di un capannone
in sala concerti tipo Londra – ma fa un
freddo stramaledetto anche qui dentro
– troviamo alcune sedie di legno scasciate
– dentro il capannone più grosso accendiamo un fuoco per riscaldarci16
Parliamo di Milano dove non c’era
tanto da fare - a menarsela all’infinito
sulle panchine di giardini saturi di depressione, o la sera nelle poche birrerie, limitandosi a consumare, tanto
quei discorsi politici che ormai si
origliavano diventavano indecifrabili…
non avevamo nemmeno cantine dove
provare: anche per questo ci avvicinammo alle occupazioni.
Questa è stata la scintilla. Quello che
è accaduto da lì in poi è stata tutta
una grande storia. Una storia di divertimento infinito di musica a go-go
ma anche di incontri con le aree del
movimento, soprattutto gli anarchici e
i libertari che potevano comprendere
meglio la nostra attitudine, la nostra
voglia di utilizzare lo strumento-arte
come forma di ribellione.17
La casa occupata Via Correggio 18 nasce nel 1975,
l’azione venne organizzata dalle forze studentesche e dal
comitato di quartiere in comune con alcuni nuclei familiari. L’area occupata era lo stabile dell’azienda Mellin trasferita fuori Milano, di proprietà degli eredi Mantovani.
Il quartiere Fiera in cui si trovava lo stabile era caratterizzato da un’alta percentuale di proletariato e veniva
considerata un’area popolare della città. Questo tipo di
contesto permise al progetto di occupazione di essere in
una prima fase supportato e sostenuto dalla cittadinanza
locale, mentre, d’altra parte gli Eredi Mantovani non
potevano riconvertire lo spazio che il Comune aveva
indirizzato per un impiego di utilità sociale. In seguito
alla legge contro il degrado degli edifici nelle aree urbane,
alla fine degli anni ’70, furono diversi i casi di occupazione che si inserirono nella vita dei quartieri in stretto
contatto con le esigenze della popolazione e furono di
conseguenza caratterizzati dal coinvolgimento attivo e
partecipato dei cittadini.
Lo spazio, gestito inizialmente con finalità principalmente abitative, permise ad una parte di immigrati e di
famiglie di trovare un alloggio all’interno di una struttura
che, per sua architettura intrinseca, costringeva alla vita
comune e alla condivisione degli spazi e delle energie
necessarie per gestirli. Grazie alla difficoltà pratica nella
fruizione delle archeologie industriali, lo spirito di
coesione e solidarietà legava i fruitori dello spazio anche
là dove le esigenze erano diverse. La partecipazione è
sempre stata considerata una delle maggiori caratteristiche nello sviluppo dei centri sociali che per sopravvivere necessitano di creare una rete di relazioni ampia e
resistente. La collaborazione di realtà anche distanti e il
superamento di specifici bisogni hanno portato ad una
condivisione di beni volta, innanzi tutto, alla sopravvivenza dello spazio. Per realtà a cui il sistema negava non
solo un luogo fisico ma anche la possibilità di immaginarne l’esistenza, lo spazio occupato, diveniva il simbolo
totemico del proprio essere nel mondo.
A partire dagli anni ottanta il quartiere Fiera subisce
un sostanziale cambiamento, dimenticata la natura
proletaria, la cittadinanza si ritrova imborghesita e con
insofferenze sempre più conservatrici. L’individualismo
capitalistico prende il sopravvento e impone di dedicarsi
solo ed unicamente al proprio piccolo e insignificante
nucleo familiare determinando il conseguente voltafaccia nei confronti del movimento di occupazione dell’area
Correggio 18.
La distanza politica e le modalità occupazionali creano
una spaccatura sempre più profonda nel quartiere che
si aggrava negli anni e culmina con l’arrivo della rivista
anarchica “Nero“ e il conseguente insediamento dei punx
all’interno dell’area di via Correggio che chiamano il loro
spazio VIRUS.
Sette bottiglie verdi appese al muro, e se una bottiglia
dovesse accidentalmente cadere...
Il vento iniziale è del ’77, con la sua carica d’ironia e satira unite alla volontà
di autovalorizzare la diversità, l’individuo, l’emarginazione. Senz’altro sono
tutte un insieme di proposte valide che da un lato hanno dato uno scossone al
sistema, ma dall’altro hanno offerto il fianco a operazioni commerciali di mercificazione, soprattutto nel campo musicale.
Nel fenomeno punk esistono spazi e persone realmente impegnati nel sociale,
operanti un tentativo di sintesi tra musica e impegno politico; dove non c’è posto per il qualunquismo, per il perbenismo, per le istituzioni, né per il ribellismo
irrazionale.18
Il Virus nasce dalle ceneri di un altro locale Vidicon, che aveva trovato spazio nel capannone interno a via Correggio
18: il Vidicon era un luogo autogestito da giovani studenti dell’Accademia di Belle Arti che avevano avuto il merito
di creare in Italia una realtà indipendente e multimediale concettualmente ed esteticamente vicina agli spazi occupati
delle metropoli europee e, sopratutto, aperta alla collaborazione. E’ proprio al Vidicon che i punk organizzano un
primo concerto contro l’eroina.
Poco dopo il locale fu chiuso dagli stessi gestori e i punk che avevano cominciato a frequentarlo, in accordo con
l’occupazione, vi aprirono il proprio spazio di aggregazione.
Il Virus, divenne un luogo di incontro e relazioni che vedeva nella musica un motivo di ribellione e comunione. I punk
che lo autogestivano cominciarono a farsi chiamare punX Per prendere le distanze dai circuiti punk modaioli e commerciali che andavano sviluppandosi in alcuni contesti milanesi. I punx rivendicavano una netta presa di coscienza
politica e l’impegno a rendere il punk una modalità di vita rivoluzionaria.
Il Virus è stato anche l’occasione per un buon numero di punk di abbandonare la via nichilista della strada e delle piazze, verso una prospettiva in cui realizzare almeno in parte i propri sogni.19
In questo alveo si situa il rapporto tra il punk e le esperienze anarco-libertarie
e quei gruppi autonomi più inclini a far sì che la creatività si coniugasse con
la prassi. L’agire degli uni e degli altri ha sperimentato “la politica del gioco”
che tanto aveva attratto Richard Neville già prima del suo arrivo a Londra negli
anni ’60. Un gioco che è continuato con le generazioni successive e che ha
stimolato il pensiero di coloro che non ritenevano possibile l’accettazione di
un’esistente illusorio e non erano assoggettabili alla sua riproduzione…
Il punk italiano degli anni ‘80 appare oggi come l’unica presenza antagonista
che riuscì ad essere conflittuale, e non poco, con i bui panorami di una società
all’alba della globalizzazione. Una società che si stava riempiendo di stereotipi
modaioli che tentavano di banalizzare il vissuto, di recuperare l’immagine, assumendo, sempre e soltanto, gli aspetti esteriori o alcune sue caratterizzazioni
musicali20
Lo sgombero del Virus arriva nel 1984 dopo una lotta sempre più aspra da parte degli abitanti del quartiere e della
stampa ufficiale. L’era d’oro del conformismo aveva vinto e i punk tornavano per strada, venivano dispersi.
I politici e i padroni che vogliono Milano città europea sono gli unici responsabili dello sgombero di via Correggio 18 e del Virus.
Martedì 15 maggio, alle 6,30 di mattina, le forze dell’ordine hanno eseguito lo sgombero degli occupanti di via
Correggio 18 a Milano. L’area era occupata da nove anni: vi abitavano alcune decine di persone (immigrati, anziani, punk, etc.) ma soprattutto era la sede dei punk anarchici, che avevano dato vita -negli ultimi tre anni- al
centro sociale Virus.
Assemblee, concerti (quasi tutti i sabati sera), un servizio-libreria con vendita diretta e per corrispondenza (il
Virus Diffusioni), manifestazioni ed iniziative varie: il collettivo punk di via Correggio 18 aveva creato una esperienza di autogestione e di aggregazione giovanile di chiaro segno libertario, in antagonismo con le grigie logiche
di rassegnazione e di apatia.
Nelle settimane precedenti allo sgombero, in particolare, i punk avevano intensificato l’impegno per la conquista
di nuovi spazi e l’allargamento delle esperienze di autogestione: ai primi di aprile c’era stata la clamorosa contestazione della settimana sulle “bande giovanili” organizzata dal Comune, poi l’occupazione del teatro Miele, la
“partecipazione” alla riunione del Consiglio comunale, etc..
Per il potere, dunque, la misura era colma. Non è per caso che si sia reso operativo in quel momento uno sfratto
che giaceva nel cassetto da vari anni.
Lo sgombero è stato effettuato con perfetta “efficienza”. In poche ore, fuori tutti: gli abitanti sbattuti in strada con
le loro masserizie, una squadra di muratori subito all’opera (protetti dalle forze dell’ordine) e l’entrata dello stabile in mattinata era già murata: qualsiasi possibilità di rientro era già preclusa.
In via Correggio 18 si ritrovavano anche collettivi politici (i precari, la redazione di Wobbly, etc.), di lavoro (falegnameria, restauro di mobili) ed artistici (il gruppo teatrale “Il Cortile”).
Contro questa operazione poliziesca ci si è subito mobilitati. Sabato pomeriggio 19 maggio oltre un migliaio di
persone (in maggioranza punk) hanno attraversato in corteo Milano.
Nel corso di alcune assemblee cittadine (affollate come non si vedeva ormai da tempo) si è ribadito l’impegno a
ribadire la lotta.21
Il film-documentario “VIRUS-IL FILM” realizzato fra il 1981 e il 1983 dal laboratorio pratico di cinematografia
dell’Albedo e “Milano 1984: tra repressione e ribellione” realizzato con la collaborazione di Betty23, Gomma e Philopat, protagonisti della scena di quegli anni, sono due esempi di registrazione poetica e familiare nonché lineare e
diretta dell’ambiente di questi anni.22
I due lavori sono il risultato della diretta partecipazione degli autori ai fatti raccontati, arricchiti di una naturalità e di
una poesia comune, caratteristica solo del vissuto in prima persona. C’è un’energia dirompente in queste immagini
che sono direttamente avvicinabili all’esperienza dello studio di Bankside, testimoniato da Jarman grazie al lavoro in
super8. Il film Glitterbug del 1994, raccoglie in forma di ricordi, pellicole girate dal 1971 all 1986, comprese anche
scene dal backstage di Jubilee. Il film si compone di una serie di frammenti che sono il repertorio intimo e privato
dell’autore. Le immagini sono montate in modo da sfumare l’una nell’altra seguendo il tappeto sonoro di Brian
Eno. Il risultato è un film profondamente intriso dello
spirito collettivo che animava lo studio di Bankside fino
a trasformarlo in una specie di comune autonoma, di
natura prevalentemente punk-gay. Glitterbug è caratterizzato da un forte impatto emotivo, raccoglie come un
sogno di innocenza e vitalità perduta l’ esperienza di una
generazione.
Queste tre produzioni trasmettono l’amara consapevolezza della propria transitorietà, di una giovinezza che
sfuma nello scorrere irreversibile del tempo, e, nonostante questo, esprimono la commovente volontà di affermare se stessi in un’azione che possa congelare il tempo
per un attimo e così fissare un frammento di storia di cui
fare parte.
È evidente che il senso di soffusa malinconia che genera
oggi la visione dei tre lavori, sia frutto della distanza che
ormai si è interposta fra l’evento e la sua fruizione, di quel
senso di pietas che spontaneamente e ineluttabilmente
nasce davanti alla percezione del vissuto e, più in generale, davanti alle immagini prodotte dalla memoria, che in
essa trovano il loro luogo. Ma è importante anche notare
che, solo grazie al desiderio di chi opera un cambiamento
per quanto minimo in una rigida realtà, eventi di per sé
insignificanti assumono un valore eroico e si trasformano
in imprese.
È la passione che anima l’azione, che permette ad
un’immagine sbiadita di toccare ancora il cuore.
Non si tratta quindi di quella nostalgia che prevede sempre un desiderio di ritorno e un certo grado di rimpianto.
Il sentimento che si genera è quello della incondizionata
partecipazione fuori dal tempo ad un innamoramento
condiviso verso la vita.
Viv
In Jubilee è Viv la figura che trasmette passione ed è, in un certo modo, destinata al riscatto. Viv capisce qual’è la
strada verso una reale emancipazione e riconosce i mali del proprio tempo, sente il pericolo nascosto nella violenza
schizofrenica. Viv è simbolo di liberazione ed emancipazione, ma sopratutto è la coscienza di quella parte di artisti che
rivendicano il proprio ruolo sociale come energia per il mondo. Rappresenta la consapevolezza che la realtà piagata
debba essere rivitalizzata attraverso l’arte ed esprime il desiderio di partecipazione con la concretezza dell’essere
anarchico. L’artista come essere libero si assume la responsabilità di agire e intervenire sul mondo per trasformare
l’orrore in poesia e per dare un senso al ridicolo.
Viv esprime una forza concreta che si colloca al di fuori delle modalità convenzionali, è la strada verso un
cambiamento relazionale e politico.
Questa figura consente a Jarman di presentare l’artista come ultimo baluardo per un possibile riscatto civile.
L’investitura che Viv sostiene, attribuendo questo potere salvifico agli artisti, è l’occasione per Jarman di richiamare la
loro attenzione verso un impegno pubblico; Viv è la portavoce di un appello chiaro che si indirizza in modo pungente
verso una realtà artistica sempre più vincolata dal mercato.
Viv è anche la chiave per una possibile rilettura delle relazioni private, il suo amore semplice e genuino per Angel
e Sphinx si esprime nell’assenza di sovrastrutture comportamentali standardizzate da norme sociali impregnate di
moralismo.
Sei bottiglie verdi appese al muro,
e se una bottiglia dovesse accidentalmente cadere...
S.15
My love is like a red red rose,
Angel - (Canta) Oh, il mio amore è una rosa rossa rossa
che è sbocciata in giugno.
Il mio amore è una melodia che suona leggera.
Tu così cara mia graziosa ragazza,
così profondo il mio amore e sempre ti amerò mio tesoro
finché il mare sarà prosciugato.
Sphinx - Bene Viv, ora tocca a voi,
noi ci facciamo da parte.
Noi uomini siamo stati importanti per 5000 anni
A - Grande!
Ti dà il mondo quando sta per finire, Quando non c’è speranza
Io questa la chiamo amicizia!
Viv – Beh, è inevitabile che ci sia una fine.
Prima o Poi succede.
È ciò che rende il presente così vitale.
S - Invitate i vostri compagni all’ultimo walzer.
A - Ti amo.
S - E io amo te, Angel.
V - Io amo voi. Tutti e due,
Sembra che abbiate risolto ogni problema.
S - Perché dovremmo desiderare altro
La vita è troppo breve
S - Perché ignorare quello che hai per paura di perdere qualcosa di meglio?
A - (Canta)“ Tornerò, tesoro mio,
fossi pure distante 10.000 miglia.
S - Mio fratello è un grande, vero?
V - Perfetto
V - È una bella giornata usciamo.
S – Vaffanculo.
La relazione che unisce i tre soggetti è fuori dalla logica della gelosia, della struttura familiare, del rapporto di coppia
classico, si pone piuttosto come una prospettiva di amore incondizionato. Sebbene la rivoluzione sessuale fosse una
delle peculiarità degli anni ‘70, non vi è nessun accenno di rivendicazione nell’amore che li unisce, piuttosto Jarman
rende visibile una prospettiva di scambio d’affetto liberata dagli stereotipi catto-conservatori che impongono una chiusura verso l’altro e che da sempre hanno determinato sentimenti aggressivi, individualisti nelle relazioni amorose.
Viv rappresenta, nella complessità del suo personaggio, la prospettiva per la trasformazione e si armonizza
nell’ambiente anche nel dolore per la perdita dei suoi amici-amanti. Non chiede vendetta, chiede creazione, non si
abbandona al vuoto della perdita in atti di guerriglia urbana come le altre protagoniste, ma lascia che le sue lacrime
vadano ad alimentare una migliore fonte di vita.
L’opera di Jarman è imprescindibile dall’idea dei rapporti intimi, sessuali e amorosi, e si relaziona in modo diretto con
la realtà queer di Londra.
Il regista si impegna su due fronti: da una parte la coscienza politica si indirizza verso le problematiche relative allo
stato sociale, affiancando le classi proletarie in una lotta al consumismo, dall’altra si orienta verso i diritti civili e la politica di liberazione promossi dal movimento Gay
mondo.
La mia rivolta contro l’autorità
fu istintiva. Non potevo essere un
diplomatico sottile; avrei preferito speronare la flotta reale piuttosto che speronare un battello. Ma
pensavo che urlando troppo mi sarei
potuto rendere ridicolo e io non
volevo apparire ridicolo.
E adesso siamo tutti Gay!
Il Gay Liberation Front venne formato nell’autunno del 1970, dieci
anni dopo il mio arrivo a Londra.
Era stato preceduto da altri gruppi, tra i quali, quello che ottenne
più successo, era stato il CHE, i
cui membri non erano giovani studenti di arte e per noi rappresentavano un mondo diverso. Passai gli
anni sessanta a ballare ma non lo
consideravo edonismo; fu un GESTO
RIVOLUZIONARIO - Avreste dovuto vedere come reagivano gli altri studenti a vedere due uomini che si
baciavano in pubblico. Io credevo
fosse possibile produrre un cambiamento con azioni individuali, senza
legarsi ad un progetto politico
convenzionale. Una persona isolata
in una stanza poteva cambiare il
Sono tutt’ora convinto che non
c’è liberazione sessuale che non
sia personale. Lotta per scoprire
chi sei. Non è una buona cosa far
parte di un gruppo e fare discorsi
su quello che si vuole essere, la
vita esiste prima per essere vissuta e poi per fare proseliti. Ero
talmente in rivolta contro la vita
condotta dalla maggior parte dei
miei concittadini. Non riuscivo a
sopportarli non potevo vedere nulla
che avesse valore nell’etero società, nel matrimonio, nelle ipoteche
o nella famiglia.23
La vita omosessuale nella Londra degli anni ‘70 si sviluppa attraverso rivendicazioni politiche con azioni collettive volte a disturbare e a innescare una diversa considerazione della realtà gay. Questo portò ad azioni concrete
come il blitz a Bradford durante un convegno di medici
che discutevano di problemi psico-sessuali. L’ambito
medico interpretava l’omosessualità come una patologia
che doveva essere curata ed estirpata, la somministrazione di estrogeni e farmaci venivano visti come la soluzione al problema fino ad arrivare all’ipotesi di interventi
chirurgici al cervello.
La sala congressi del raduno medico fu invasa dai partecipanti al GLF che vi rimasero fino all’interruzione del
congresso. L’azione determinò un grande interessamento
della stampa che rilevò la invasiva intromissione degli
ambienti medico-psichiatrici nelle relazioni omosessuali.
La pratica politica viene affiancata con un’azione sessuale
definita da Jarman: Abbandono Gay.
ni lo scoparono, e a lui piacque.24
Scopare diventò l’attività di svago a tempo pieno. Gli uomini scoprirono la propria sessualità.
L’orgia dionisiaca si scatenò nei
parchi, nelle saune e nelle dark.
Jhonny si lanciò come un balleri-
no in mezzo ai corpi, nudo tranne
una giacca di pelle con borchie
d’argento. Aveva solo ventuno anni.
Quella notte celebrò la sua maggiore età. Quella notte non rifiutò
nessuno. Uno dopo l’altro gli uomi-
La vita notturna, i festini, lo svago erotico sono presentati
in Jubilee nell’orgia presso la Westminster Chatedral.
Jarman costruisce un percorso visivo che va degenerando
con l’arrivo di Borgia Ginz.
Angel guida la protesta contro i valori ironicamente
definiti religiosi del “Cardinale” Borgia Ginz. Egli proclama ”salvate le vostre anime, benvenuti nel palazzo dei
piaceri celesti” invitando i presenti ad entrare nella Cattedrale. All’interno assistiamo ad una danza mistico-erotica
condotta da Gesù e i 12 apostoli, il sottofondo musicale
è la composizione realizzata da Hubert Parry sul testo
“Jerusalem” di Blake, riarrangiata in chiave disco. “Jerusalem” aveva funzionato come un inno non ufficiale per la
classe lavorativa inglese, impegnata nella ricostruzione di
una Jerusalemme idillica.
Per Jarman, Blake costituisce uno dei riferimenti artistici per la radicalità della sua visione, espressione di
un’autentica alternativa al destino della nazione, basato
sull’emancipazione sessuale e individuale.
La scena del ballo fornisce un’interpretazione in chiave
queer del tradizionale messaggio di Gesù: Lui e i suoi
apostoli hanno creato una comunità alternativa gay che
predica tanto il godimento quanto la carità e la tolleranza
verso gli altri.
Borgia Ginz porta abbrutimento trasformando
l’atmosfera in un luogo di scambi erotici e aggressività.
Al ballo iniziale si sostituisce un’orgia compulsiva in cui
partecipano nuovi arrivati, personaggi ben vestiti dell’alta
società insieme con poliziotti, motociclisti e punks,
“Jerusalem” viene sostituita con il brano “Orgasm in Pornotopia” e l’atmofera si carica di quel vuoto e di quella
strafottenza di cui Borgia Ginz è fautore.
In Jubilee il romanticismo di Jarman sembra esprimersi
solo attraverso un senso di perdita, come nella scena finale in cui Elisabetta I e Jhon Dee sono sulla scogliera del
Dorset e rientrano nella propria realtà senza speranze nel
futuro.
Così il senso di perdita si manifesta anche nelle riprese in
Super8 del candido ballo di Jordan sulle note di un violino malinconico, mentre intorno bruciano libri.
Jarman sembra condividere con il movimento punk, il
sospetto che la liberazione sessuale messa in moto dagli
anni ’60 abbia fallito nel progetto di emancipazione, avendo generato la società della Pornotopia invece che la
Nuova Gerusalemme annunciata da Blake. Per Jarman le
cause di questo fallimento sono da ricercare nella visione
esclusivamente eterosessuale della rivoluzione sessuale
proposta dagli Hippy. Non solo, l’ideale patetico della
cultura “Love is all you need” sottovaluta e tralascia la
componente violenta che caratterizza la sessualità in diversi ambiti, che è, invece, una delle tematiche sviluppate
dal regista in più film.
L’idea della sottomissione e l’interesse masochistico che
si esplica in determinate modalità relazionali è parte
costante della riflessione dell’opera di Jarman e in Jubilee
si trasforma in una violenza costante e perentoria generata dalle amazzoni punks protagoniste.
Il sesso può esplicarsi nella forma dell’imposizione dittatoriale di un soggetto sull’altro, come il potere si esprime
attraverso la sottomissione e il sadico gusto di provocare
dolore.
Bod/ Mad/Crabs
S.12 12
Crabs - Mi sento un po’ triste
Bod - Smettila Crabs
C - Per un momento ho pensato fosse quello giusto
Ridi pure ma è vero
Mad - Cazzo Crabs, sei proprio fuori
C - Perché ce l’avete con me?
B - Non è vero, vogliamo solo salvarti da te stessa
M - La tua testa è come un collage scolorito fatto di Penthouse e di romanzi rosa
C - Per un attimo mi ero innamorata di lui
B - L’amore è morto con gli hippies
M - Il sesso è per i vecchi e i dementi
Cinque bottiglie verdi appese al muro
e se una bottiglia dovesse accidentalmente cadere...
PASOLINi
La critica potrebbe essere che sono stato troppo negativo. è piuttosto
giusta, la capisco, ma la vita non è un piatto di ciliegie. Sono convinto
che i film riflettano i problemi di oggi. Ecco perché penso che Salò sia
tanto importante; Pasolini esibisce il proprio sfacelo, questa è la cosa
più coraggiosa che si possa fare, non vi pare? In fin dei conti non si
possono aiutare le persone con le chiacchere.
Il mio Salò non è nei film; potrebbe essere questo libro. Per Pasolini fu
più facile ottenere i finanziamenti perché gli italiani erano interessati
alle idee dei loro registi. Qui nessuno è interessato alle idee dei registi ed è sempre stato così25
L’idea mi è venuta da Le centoventi giornate di Sodoma, questa specie di sacra rappresentazione mostruosa, al limite della legalità. Mi sono accorto tra
l’altro che Sade, scrivendo, pensava sicuramente a Dante. Così ho cominciato
a ristrutturare il libro in tre bolge dantesche (in effetti il film sarà strutturato in
un anti-inferno e tre gironi). Ma l’idea di sacra rappresentazione peccava di estetismo, occorreva riempirla di immagini e contenuti. Quattro nazifascisti fanno
dei rastrellamenti; il castello di Sade dove portano i prigionieri, è un piccolo
campione di lager. Mi interessava vedere come agisce il potere dissociandosi
dall’umanità e trasformandola in oggetto.26
ruolo metaforico orribile.
Le mie Centoventi giornate di Sodoma si svolgono a Salò nel 1944, e a
Marzabotto. Ho preso a simbolo di quel potere che trasforma gli individui in oggetti… il potere fascista e nella fattispecie il potere repubblichino. Ma, appunto,
si tratta di un simbolo.
In realtà lascio a tutto il film un ampio margine bianco, che dilata quel potere
arcaico, preso a simbolo di tutto il potere, e abbordabili all’immaginazione tutte
le sue possibili forme.
Nel potere –in qualsiasi potere, legislativo e esecutivo– c’è qualcosa di bellüino.
Nel suo codice e nella sua prassi, infatti, altro non si fa che sancire e rendere
attuale la più primordiale e cieca violenza dei forti contro i deboli: cioè, diciamolo ancora una volta, degli sfruttatori contro gli sfruttati.
I potenti di De Sade non fanno altro che scrivere regolamenti e regolarmente
applicarli.27
Il sesso in Salò è una rappresentazione, o metafora, della situazione vissuta in
questi anni: il sesso come obbligo e bruttezza.
Oltre che metafora del rapporto sessuale (obbligatorio e brutto) e della tolleranza del potere consumistico, tutto il sesso che c’è in Salò (e ce n’è in quantità enorme) è anche la metafora del rapporto tra il potere e coloro che gli sono
sottoposti. In altre parole è la rappresentazione (magari onirica) di quella che
Marx chiama la mercificazione dell’uomo: la riduzione del corpo a cosa (attraverso lo sfruttamento). Dunque il sesso è chiamato a svolgere nel mio film un
Le corrispondenze fra i due autori sono molte. Pare scontato affermare che il fascino di un intellettuale come Pasolini
abbia suscitato forte interesse e attrazione in un artista come Jarman.
Nella loro opera i contenuti e la poetica si rincorrono in corrispondenze tangibili.
Le periferie.
L’emarginazione.
La violenza dell’ambiente.
La violenza del potere.
L’estraneità di una classe esclusa.
Il potere omologante dei media.
L’omosessualità dichiarata.
Il sesso come manifestazione di potere.
Jarman e Pasolini cercarono attraverso questi argomenti di rielaborare l’idea del passato liberandola dagli standard cui
era sottoposta e di ricollocare lo spirito critico al centro delle riflessioni politiche, religiose, economiche.
Attraverso la loro opera si percepisce la disfatta di un mondo ciecamente sottoposto ad un progresso tecnologico inadatto a risolvere le problematiche sociali e che non può sostituirsi ai bisogni più profondi dell’essere umano.
L’idea di una possibilità relazionale che si fonda su un’innocenza primordiale in grado di garantire una evoluzione
sociale e politica equilibrata si accompagna, in entrambi gli autori, alla collocazione dei soggetti indagati in età del passato o all’interno di gruppi emarginati.
L’autobiografia e gli interpreti non professionisti fanno da sfondo ad
una comune idea di fare cinema, in cui la vita e l’arte si appartengono
strettamente e sono imprescindibili.
La versatilità disciplinare con cui Pasolini ha espresso la propria persona si riflette nella ricchezza della sua opera che non si esaurisce in un
elenco di titoli ma supera i confini della forma per radicarsi nell’ideale
stesso di cultura. La sua completa estraneità al conformismo politico e
intellettuale, la capacità di mantenersi indipendente anche dai propri
ideali di riferimento, marxismo e socialismo, l’imposizione dello spirito
critico davanti a qualsiasi ipotesi di servilismo, fanno di questo autore
un esempio di coerenza e passione.
Derek Jarman alla fine degli anni Sessanta
abitava nel South Ware, uno dei quartieri più
derelitti di Londra, in un capannone ex magazzino. Una mattina sente bussare alla porta, va
ad aprire e si trova davanti Pasolini in cerca di
location per “I racconti di Canterbury”. Proprio
in quel quartiere avrebbe infatti ambientato
l’incontro dei pellegrini. Ancora oggi Derek Jarman racconta l’episodio con grande emozione.
“Perché Pasolini” dice “è stato il personaggio
più amato, colui che più ha influenzato me e una
certa generazione che si avvicinava al cinema
in quegli anni. E non solo per la sua libertà nei
movimenti di macchina, ma soprattutto per quel
suo cinema così vicino alla vita, per quella capacità di cogliere quello che l’occhio registra e
renderlo sullo schermo”. Pasolini ha dunque influenzato moltissimo anche Sebastiane, Jubilee
e The Tempest da Shakespeare, i primi film di
Jarman e poi Caravaggio, l’ ultimo, Orso d’ argento a Berlino 1986, che esce oggi a Roma.28
Quattro bottiglie verdi appese al muro,
e se una bottiglia dovesse accidentalmente cadere....
Tondelli
La vicinanza intellettuale e di esperienze fra Pier Vittorio Tondelli e Jarman è evidente nei contenuti da essi trattati,
dalla corrispondenza fra arte e vita che rende tragicamente reale la loro poetica. L’omosessualità è la costante di questa
poetica e si esplica in entrambi attraverso una vita di ricerca, di introspezione. Jarman ne fa una battaglia costante e
politica, per Tondelli diviene una ricerca privata da esprimere nella sua opera. Jarman rende pubblico il suo male, nella
convinzione di poter operare una sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Tondelli invece vive la malattia nella riservatezza e nell’intimità. Entrambi tormentati dalla censura per le tematiche dei loro lavori, troppo spiccatamente legate
al mondo gay per una società così marcatamente moralista.
La relazione con la propria generazione, la partecipazione alla vita sregolata e travolgente dei giovani degli anni ‘70,
la condivisione e il coinvolgimento di sogni e miserie delle classi povere, sono gli aspetti più marcatamente emozionanti della riflessione condotta dai due autori. Applicano un costante sguardo su di sé volto alla ricerca di un percorso
liberatorio, attraverso cui esprimere la propria natura nella libertà e nel rispetto di un bene profondo. La loro opera si
esplica nell’intreccio di relazioni che, nel bene e nel male, hanno determinato le passioni della vita. L’aderenza completa fra esperienza e arte determina una ricchezza di immagini, una forza critica e ironica nei confronti delle debolezze
sociali, una coscienza di sé che porta ad una totale indipendenza narrativa.
La rete di connessioni che lega i personaggi di Tondelli rappresenta prospettive di relazione sconosciute alle modalità
socialmente collaudate, sono relazioni dirette, semplici che si scrollano di dosso il conformismo e la buona educazione.
In questa prospettiva richiamano le modalità relazionali di Jubilee, pur non raggiungendo la voragine nichilista del
punk. Non stupirebbe sapere che Tondelli abbia collaborato alla sceneggiatura di Jubilee, nella certezza che avrebbe
forse aggiunto una sano sarcasmo emiliano.
In “Altri libertini” Tondelli esprime un’aderenza linguistica legata al territorio emiliano ma allo stesso tempo l’arricchisce di tutte le sfumature che i movimenti underground hanno prodotto. Questa mobilità linguistica rende il testo così
intimamente universale da sembrare il diario di un punk londinese o tedesco o francese. Un testo senza una connotazione geografica che esprime pienamente le necessità e le modalità di una generazione marginale, senza prospettive
concrete che esprime il rifiuto alla sottomissione e all’assuefazione verso una società bigotta, conformista, clericale.
Genet
Jean Genet rappresenta la figura dell’intellettuale rifiutato ed emarginato, omosessuale, rissoso e indipendente che ha
conquistato e continua ad ispirare il mondo intellettuale gay. Il fascino del derelitto del rifiutato, capace di sopravvivere
grazie alla fiducia nel proprio sentire, nei luoghi oscuri e interstiziali delle dinamiche sociali, sono stati temi affascinanti per generazioni di giovani in cerca di legittimazione della propria identità percepita come peccaminosa agli occhi
della borghesia.
Ci sono uomini ossessionati dalla propria storia, e scrittori che spendono la vita
a cantare nel coro o a limare gli aggettivi del loro ultimo capolavoro. Jean Genet non è tra questi.
Figlio illegittimo di una serva, fin da giovane ha saputo ricondurre la propria
identità al grado zero di una scrittura che non concede sconti e non ammette
compromessi.
Per poter insorgere con rabbia contro il borioso orgoglio degli intellettuali di regime, Genet ha scelto di usare la parola come un’arma, riservandosi il ruolo del
franco tiratore.29
Libero, indipendente, orgoglioso della propria diversità, Genet rappresenta un caso limite nella corrispondenza fra
arte e vita, in grado di caricare di simboli e significati gli oggetti del quotidiano per innalzarli a sigillo della propria diversità e del proprio volontario isolamento nei solchi maledetti dalla società.
Genet intimorisce, minaccia lo status sociale, perché espone con fierezza le proprie storture, consapevole che la ricchezza e l’emergenza della vita si trovano in quelle realtà, confinate e rifiutate, che nella ribellione esprimono la propria indipendenza e trovano nello stile la chiave per sovvertire l’ordine.
Siamo allo stesso modo di Genet, interessati alla sottocultura, alle forme di
espressione e ai rituali di quei gruppi subalterni – i teddy boy e i mod e i rocker,
gli skinheads e i punk - che di volta in volta vengono rifiutati, denunciati e canonizzati; trattati in modi diversi o come una minaccia all’ordine pubblico, o
come degli innocui buffoni. Ancora come Genet siamo attratti dagli oggetti più
mondani - una spilla di sicurezza, delle scarpe a punta, una moto - che assumono una dimensione simbolica, divenendo una sorta di marchio, emblemi di un
esilio volontario.30
Genet, esempio moderno di eversivo, come le figure di Sade e Artaud, apre la strada ad una ricerca lucida e autentica
centrata sull’autonomia della parola. La vita è quella del nomade, del senza fissa dimora, prima nelle strade dell’Europa e poi nelle pensioni di Parigi. Senza mai scendere a compromessi, rifiutando qualsiasi convenzione, Genet ha
espresso se stesso nell’innocenza rivoltosa e frizzante che Sartre gli riconosce in San Genet: “Commediante e Martire”.
La coerenza si esprime nel compiacimento e nella frequentazione dei luoghi e delle personalità più odiose e vergognose per l’opinione comune. Le carceri, la prostituzione, il mondo gay, sono l’ambiente in cui Genet cresce e si arricchisce.
Le periferie sono lo scenario in cui si collocano le realtà emarginate della società, lo spazio urbano registra quell’inquietudine sotterranea che pone in allerta l’ordine sociale.
Patria di questo processo è la Gran Bretannia, dove nella prima metà del XIX
secolo si inizia a manifestare un vasto stato d’ansia collettiva, di Moral Panic,
sui comportamenti criminali del proletariato giovanile. L’istintiva turbolenza legata agli stili di vita della classe lavoratrice, considerata fino ad allora, sostanzialmente normale, inizia di colpo ad essere giudicata con inusitata severità,
assume, nelle cronache allarmate della stampa, nelle arringhe dei politici, nelle
ansie della borghesia, i toni di solito riservati alla criminalità e al grand Folks
Devil dell’epoca, la figura dell’agitatore socialista-anarchico.
Le bande dei ragazzi di strada, con i loro comportamenti scomposti e aggressivi, elemento consueto nel panorama sociale britannico, divengono un ulteriore
prova, insieme agli scioperi e tutte le altre diavolerie messe in atto dai loro padri, dell’incombere dello spettro che già da un po’ si aggira per l’Europa.31
Tre bottiglie verdi appese al muro,
e se una bottiglia dovesse accidentalmente cadere...
Sphinx
Io ed Angel siamo nati lì
Stavo chiuso in casa a guardare la televisione
Quando ho visto dei fiori la prima volta, sono impazzito
Avevo paura del dente di leone
Mia nonna ne colse uno ed io divenni isterico
In quella torre di cemento ogni cosa era organizzata,
ridotta al minimo comune denominatore dai sociologi
Vista: qualcosa di solido
Suono: televisione
Tatto: plastica
Gusto: plastica
Le stagioni regolate da un termostato
Una volta l’anno i miei prendevano l’albero di plastica
e si scambiavano regali patetici
Fino a 15 anni non sapevo di essere morto
non avevo mai provato amore o odio
la mia generazione è una generazione vuota
In Jubilee il riferimento alla metropoli è costante, Jarman
ci mostra i luoghi della tradizione riconvertiti in centri del
potere e le periferie come vasti campi di battaglia dove
bande di giovani danno libero sfogo alla propria frustrazione violenta. Nella Londra dei Doks e delle periferie
che il film ci mostra possiamo ben cogliere un velo di sarcasmo verso i media accusati di essere allarmisti e di non
uscire da una convenzionale e criminalizzante lettura di
questi spazi in relazione al contesto giovanile. Il Tamigi è
una secca di fango su cui i cadaveri galleggiano, la città è
paralizzata nel suo grigiore e stigmatizzata dal piano regolatore che impone una divisione netta fra la città borghese
e quella proletaria determinando una frattura profonda fra
le periferie operaie e la ricchezza del centro città.
Un po’ in tutti i paesi europei presi nella corsa all’industrializzazione, ma soprattutto in Gran Bretannia, si fa largo
il concetto delle due nazioni, dei due
mondi separati e opposti della borghesia e del proletariato ognuno nelle pro-
prie zone ognuno con i propri valori e
le proprie usanze. Tra cui, per quanto
riguarda le classi subalterne, quell’accentuato senso del territorio prodotto
dalla ghettizzazione e dalla consapevolezza che ogni ulteriore spostamento coatto non farebbe che peggiorare
la propria condizione32
L’isolamento che si determina ha una risposta fisica nella
struttura dei collegamenti e dei quartieri, la rete stradale
tende a dimenticarsi delle zone periferiche, il quartiere
dormitorio non interessa a nessuno, non è possibile trovare una buona ragione per andarci. La collettività giovanile proletaria non spaventa finché rimane confinata nei
suoi quartieri-ghetto, ma nel momento in cui presa coscienza di sé cerca visibilità convergendo verso il centro
con i suoi modi, le sue spigolosità, il suo spirito di rivalsa,
allora la stampa e l’opinione pubblica intervengono a demonizzare e reprimere il suo manifestarsi.
Questa è la storia di un uomo che cade
da un palazzo di cinquanta piani.
Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro,
il tizio per farsi coraggio si ripete:
“Fino a qui, tutto bene.
Fino a qui, tutto bene.
Fino a qui, tutto bene”.
Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.
Hubert
Una delle scene finali di Jubilee ci prospetta, con un diverso riferimento simbolico linguistico, l’inevitabile senso di
caduta espresso nell’instabilità del vivere collettivo e individuale. Nel cortile dello squat, Chaos è rimasta sola e, in un
silenzio inusuale, sale sul filo per il bucato, ci cammina sopra come un funambolo. In equilibrio precario, lottando con
la forza di gravità, rimane sospesa in aria intonando “Je ne regrette rien” di Eith Piaf. L’ultimo sguardo alla città che
viene lasciata alle spalle come un luogo esplosivo contraddittorio, inospitale e offensivo.
Non ! Rien de rien ...
Non ! Je ne regrette rien
Ni le bien qu’on m’a fait
Ni le mal tout ça m’est bien égal !
Non ! Rien de rien ...
Non ! Je ne regrette rien ...
C’est payé, balayé, oublié
Je me fous du passé !
Avec mes souvenirs
J’ai allumé le feu
Mes chagrins, mes plaisirs
Je n’ai plus besoin d’eux !
L’Heine, titolo originale del film di Mathieu Kassovitz, esce nel 1995 e conquista i favori della critica e il premio per la
regia a Cannes.
Siamo a Parigi, nella banlieue de les Muguets. La storia si sviluppa nell’arco del giorno successivo a scontri di guerriglia urbana. In seguito ad un violento interrogatorio un ragazzo magrebino di 16 anni, Abdel Ichah, rimane in coma.
Tre sono i protagonisti principali del film: Vincent, Hubert e Said, tutti con una storia alle spalle e davanti una prospettiva di lotta contro la realtà antisociale e lo stato di polizia, violento e repressivo. Vincent trova la pistola persa da un
agente di polizia in seguito agli scontri e giura di vendicare il giovane Addel in caso muoia.
Le scene degli scontri nella banlieue sono immagini di archivio che Kassovitz riprende da documenti del periodo, realizzate sia da amatori che diffuse dai telegiornali. Ne risulta un coinvolgimento immediato e crudo con la storia narrata
e determina fin da subito una tensione che prosegue per l’intero sviluppo della storia. Il ritmo del film è serrato, senza
pause, è una caduta libera dello spettatore in una realtà senza via d’uscita.
Come nell’esperienza di Jarman la stretta commistione fra realtà e finzione è il presupposto di partenza per creare
un’opera basata sulla condizione vera delle città, in cui la storia narrata è perfettamente aderente alla vita vissuta.
Non sappiamo prevedere l’atterraggio né spaziale né temporale, ma abbiamo la lucida coscienza che sarà senza scampo. Una società che lentamente ma con costanza alimenta il proprio suicidio.
Balayés les amours
Et tous leurs trémolos
Balayés pour toujours
Je repars à zéro ...
Non ! Rien de rien ...
Non ! Je ne regrette rien ...
Ni le bien, qu’on m’a fait
Ni le mal, tout ça m’est bien égal !
Non ! Rien de rien ...
Non ! Je ne regrette rien ...
Car ma vie, car mes joies
Aujourd’hui, ça commence avec toi !
Due bottiglie verdi appese al muro,
e se una bottiglia dovesse accidentalmente cadere...
Jarman esprime un forte desiderio di ritorno alla natura che è caratteristica condivisa dalle controculture inglesi.
Questo desiderio si determina in due prospettive. Da una parte è un sincero desiderio di salvaguardia ambientale, là
dove il progresso economico sembra aver calpestato qualunque altro ambito di interesse. Dall’altro corrisponde ad un
desiderio di pacificazione con la natura nato in risposta alla malattia e si esprime attraverso la cura e la dedizione alla
terra.
La forza visiva di questa relazione dicotomica, in cui la natura porta sia malattia e morte che speranza e vita, si materializza nel contrasto fra l’essenziale cottage in legno sulle rive del mare, dove Jarman passa i suoi ultimi anni, con, alle
spalle, la centrale nucleare di Dungeness, un mostro ambientale che racchiude in sé il presagio della distruzione.
MAX
Max è l’incarnazione della malevolenza, frutto della società plastificata ed anestetizzata. Coltiva un giardino di fiori
di plastica combattendo contro un immaginario verme che dovrebbe minacciarne la crescita . Questo atteggiamento
contro la vita è accompagnato da una visione snaturata verso l’umanità stessa che deriva dal mondo militare. Nell’esercito impara a sfogare il senso di potere su ciò che lo circonda, vende i ragazzi ai clienti del pub, strappa l’erba, consuma
i fiori. L’abbrutimento di questo personaggio è una forma di nichilismo costante, che si manifesta negli ambiti del quotidiano.
Dietro una fattezza apparentemente gradevole, un giardino con dei fiori colorati, benché finti, dei nanetti da giardino e
un’aria vagamente sognante, si nasconde il prodotto disumanizzato di un ambiente volgare e nocivo capace di inghiottire un bruco in quanto forma vivente ricca di proteine.
è colpa anche della gente delle città.
Impieghi un sacco di tempo a conoscere il tuo vicino, mentre in un paesino conosci tutti. Non mi piace, non
fa per me. Vivevo proprio di fronte al
grattacielo di Sheffield, il condominio
Kelvin. Un cesso. Ho avuto un sacco di
casini. Ho conosciuto una ragazza e il
suo ex, la ragazza abitava nel Kelvin e
tutti erano in una Gang e robaccia del
genere. Era uno schifo. Mi sono detto
“vaffanculo” e sono venuto a vivere da
queste parti. Sono andato a vivere in
una fattoria è stato quello il primo passo per diventare traveller.33
La periferia e la metropoli non sono viste come unica
possibilità all’esistenza, attraverso una rielaborazione delle idee Hippy, molti giovani punk scelgono una pratica di
ritorno alla natura, un esodo che si avvicina all’immaginario post atomico, più che all’idea primigenia di una natura incontaminata. Bulloni petrolio benzina e morchia
sono il costante sfondo di questa relazione uomo-natura.
La varietà dei nomi dati alla spazzatura ambulante, cioè i traveller, tradisce
le dimensioni dell’avversione e della
diffidenza della cultura dominante nei
loro confronti: punkabbestia, ubriaconi, mutanti, scimmie, brew-crew,
schifasapone, zingari delle social,
briganti. In un certo senso come gli
zingari che si lagnano dei dreadlock
e della sporcizia ostentata (di alcuni
traveller. ndr), sono i traveller stessi a
innescare insulti e invettive. In termini
sociologici, questo significa che “essi
assumono deliberatamente un’identità
a rischio, esaltano stili di vita caotici
ed espressivi” come afferma Kevin Hetherington.34
A partire dagli anni ‘70 in Inghilterra, sull’onda del Festival di Stonehenge e le fiere di Albione, si sviluppa il
movimento traveller. La risposta di molti esponenti della
prima generazione di traveller alla società del consumo,
ad una vita rigidamente collocata nella metropoli, fu
innanzi tutto il nomadismo. Ad esso si aggiunsero la fascinazione romantica per la natura e la vita di campagna.
Il modello traveller si costruisce in una prospettiva di
bisogni ridotti al minimo e liberi dalle convenzioni; in
questa autonomia il traveller scopre il desiderio di autoemarginazione, di sottrazione e scomparsa dal sistema
ufficiale.
La realtà dei traveller non è assolutamente omogenea ma
si esprime in pratiche di vita anche molto diverse fra loro
che hanno come unico comune denominatore il nomadismo. Esiste una distanza quanto mai ampia fra i traveller
di prima generazione, legati ad una visone idealista della
comunità, che vivono in tepee in armonia con la natura
in contatto con la comunità locale, e la frangia traveller
del disprezzo, erede del nichilismo e della violenza del
punk “sporco e imbecille” che non riesce a trasformare
l’addio alla città in una prospettiva positiva.
Una bottiglia verde appesa al muro,
e se una bottiglia dovesse accidentalmente cadere...
Simon del Sound System dei Bedlam
distingue in modo netto tra i raver e
la generazione precedente di traveller Hippy: “Noi siamo diversi da loro.
Loro se ne stanno lì seduti ad ammirare i loro cristalli e noi ci sediamo lì
ad ammirare il nostro vinile, non so se
mi spiego. Il potere dei cristalli degli
Hippy contro il più concreto vinile dei
dischi raver”.35
Nella complessità delle varianti che stanno alla base della
realtà dei traveller, l’aspetto che determina la forza controculturale, in ogni sfumatura del movimento, risiede
nell’idea di invisibilità e nomadismo promossi dal concetto di TAZ di Hakim Bey.
Pat Kane parla di “una cultura dell’irrazionale più ampia e profonda: una
cultura che spesso nobilitiamo con il
termine ‘new age’ ma che dovrebbe
essere propriamente chiamato occulta”. Non so se new age possa essere
considerato (ancora) un termine nobilitante, ma forse dovremmo fare un
uso più ampio del termine occulto, nel
suo significato di nascosto (alla vista),
celato.
Sebbene l’etimologia sia completamente diversa, sembra che occulto
debba anche essere connesso anche a
cultura, addirittura sottocultura.36
La prospettiva e le modalità TAZ, sono state negli ultimi
dieci anni nuove forme di indagine e pratica controculturale, promosse in particolare da spazi occupati, dai
centri sociali e da ambiti underground. La tattica del
nomadismo psichico è stata sperimentata attraverso una
libertà estrema di forme che hanno permesso di vedere
realizzata l’isola sia come frattura nel sistema che come
connessione sinergica nella rete.
prietari terrieri, esercito e polizia) e alternativi ufficiali
(la campagna per il disarmo nucleare, le fiere). Si aprivano nuovi spazi che venivano occupati un paio di mesi,
in attesa dell’inevitabile sgombero. Un circuito di zone
temporaneamente autonome. Un Sabba popolare itinerante che la maggioranza demonizzava e una minoranza
idealizzava.37
Appena la TAZ è nominata (rappresentata, mediata) deve svanire, svanirà
lasciandoci dietro una corteccia vuota, solo per poi saltare fuori ancora da
qualche altra parte, ancora una volta
invisibile perché indefinibile in termini
dello Spettacolo. La TAZ è perciò una
tecnica perfetta per un’era nella quale
lo Stato è onnipresente e onnipotente,
eppure simultaneamente pieno di
crepe e vuoti.
Hakim Bey
Nomadismo psichico come tattica,
quella che Deleuze e Guttari chiamano
metaforicamente la “macchina bellica” sposta il paradosso da uno stato
passivo ad uno stato attivo e forse anche violento. Le ultime agonie e sferraglie del letto di morte di “Dio” sono
andate avanti per così tanto tempo
- in forma di capitalismo, fascismo
e comunismo, per esempio - che c’è
ancora molta distruzione creativa da
essere eseguita da commandos postbakunin-post-nietzschiani o apaches
(letteralmente nemici) del vecchio
consenso.
Hakim Bey
I traveller veramente nomadi erano quelli del Peace
Convoy, il gruppo più folto e più noto di traveller degli
anni ‘80. Il Peace Convoy poneva interrogativi al comodo
schema binario tra istituzione sociale (parlamento, pro-
La TAZ è un’arte della vita in continua
ascesa selvaggia ma gentile, un seduttore, non un violentatore, un contrabbandiere piuttosto che un pirata
sanguinario, un danzatore non uno
scatologista.
Qual è il rifiuto dell’arte? Il gesto negativo non è da trovarsi nello sciocco
nichilismo di uno “Art Strike” (sciopero
dell’arte proclamato da diversi collet-
tivi artistici internazionali dal 1990
al 1993) o nello sfigurare un dipinto
famoso. Si vede nella quasi universale
noia dell’occhio vitreo che striscia sopra la maggior parte della gente alla
semplice menzione della parola. Ma in
che consisterebbe il gesto positivo? È
possibile immaginare un’estetica che
non si impegni, che si rimuova dalla
storia e anche dal mercato? O che almeno tenda in quella direzione? Che
vuole rimpiazzare la rappresentazione
con la presenza? Come si fa sentire
la presenza stessa come nella (o attraverso) la rappresentazione?
La scomparsa dell’artista è la soppressione e la realizzazione dell’arte
in termini situazionisti. Ma dove
svanire? E si vedrà o si sentirà parlare
ancora di noi dopo di ciò? Andiamo
a Croatan –qual è il nostro destino?
Tutta la nostra arte consiste in un
biglietto di addio alla storia– “Andati a
Croatan” ma dov’è? E che faremo la?38
La stampa gialla venne inventata a New York un
centinaio d’anni fa; guerrafondaia e xenofoba,
manovra per l’oro giallo delle tue tasche.
Fregatura culturale delirante, infida, pazzoide.
D.J. Chroma
30
L’alienazione dello spettatore a vantaggio dell’oggetto contemplato (che è il
risultato della propria attività incosciente) si esprime così: più esso contempla
meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno,
meno comprende la propria esistenza e il proprio desiderio. L’esteriorità dello
spettacolo, in rapporto all’uomo agente, si manifesta nel fatto che i gesti
non sono più suoi, ma di un altro che glieli rappresenta. Questo perché lo
spettatore non si sente a casa propria da nessuna parte perché lo spettacolo è
dappertutto.
32
Lo spettacolo della società corrisponde ad una fabbricazione concreta
dell’alienazione.
L’espansione economica è principalmente l’espansione di questa produzione
industriale, precisa ciò che cresce con l’economia muovendosi autonomamente
per se stessa, non può essere che l’alienazione che era propriamente insita nel
suo nucleo originario.1
Devastavamo pietà coltivando le piaghe più rivoltanti. Diventavamo un monito
alla vostra felicità 2
Il potere da sempre si esercita attraverso l’uso dei
media, e di contrappunto da sempre una parte di artisti,
filosofi e intellettuali ha cercato un modo per sfuggire
alle imposizioni politiche e culturali dei mezzi di
informazione. L’omologazione, frutto di un crescente
appiattimento concettuale e produttivo, nell’era della
globalizzazione, non è più solo un rischio ma una realtà
con cui confrontarsi. Le pratiche adottate per definire
un’alternativa possibile all’arte, così come alla vita,
sono state molteplici e non sempre hanno prodotto,
fino in fondo, un cambiamento o un ribaltamento di
valori e prospettive. Il punk fa parte di quei movimenti
caratterizzati da una forte contraddizione e da una
molteplicità di atteggiamenti e tattiche, spesso in
contrasto fra loro. In questa mancanza di ordine e rigore
si colloca il fascino del percorso punk che ha investito
non solo il campo musicale artistico ma anche il
costume e il linguaggio. La moltitudine di band, di spazi
occupati, di angoli di strada vissuti, di birre consumate
in pomeriggi assolati, l’insistito bisogno di stare fuori dai
canoni, la violenza supposta come forma di libertà e il
desiderio di costruire un percorso autonomo e creativo,
hanno costituito solo una parte di ciò che il punk ha
rivelato. Un’altra consistente tendenza è stata quella di
scendere a compromessi con le strategie di mercato,
accettare una ricollocazione in favore del successo
e ancor più spesso non avere nessuna prospettiva
alternativa rispetto alle regole del sistema.
Il punk è un movimento molteplice in tutti i suoi aspetti,
affermava la propria autonomia nell’esaltazione del
singolo, in una visione della realtà individuale, fuori da
una logica necessariamente di gruppo. La forza ultima
è stata la natura contraddittoria e disomogenea del
pensiero e dell’azione che ha permesso una ramificazione
diversificata di più realtà.
Come il Dada di André Breton poteva
sembrare che il punk aprisse tutte
le porte ma tali porte si aprivano
su un corridoio circolare, una volta
dentro questo cerchio dissacrato il
punk era condannato per sempre a
rappresentare l’alienazione, a mimare
la sua condizione immaginaria, a
fabbricare un’intera serie di figure
soggettive di correlazione con gli
archetipi ufficiali della “crisi della
vita moderna”: i diagrammi della
disoccupazione, la Depressione,
l’occidente, la televisione, eccetera.
Trasformati in icone (la spilla di
sicurezza, l’aspetto stupido, smunto e
affamato) questi paradigmi della crisi
potevano vivere una doppia vita, allo
stesso tempo, fittizia e reale.3
IN JUBILEE C’È UNA CONTRADDIZIONE È
ACCESA E BRUCIA.
Da una parte abbiamo il desiderio di ribellione, la
rabbia che preme sotto la pelle, la voglia di rivoluzione;
dall’altra si insinua un’alienazione velenosa e pervasiva
che rende l’azione impossibile o mal indirizzata; è una
sorta di cancro che determina l’autodistruzione sia fisica
che ideologico-politica, che impedisce l’azione diretta e
determinata.
Se consideriamo Jubilee e i suoi protagonisti figli del
proprio tempo, dobbiamo fare alcune osservazioni
preziose che ci permettono di ordinare le contraddizioni
e il potenziale di un’epoca e più in generale delle
sottoculture underground.
Il punk si esprime e manifesta il proprio dissenso
attraverso una combinazione di segni: la forza invasiva
di questo processo è il suo manifestarsi attraverso un
codice fatto di simboli. Ci si appropria con la massima
libertà di qualsiasi elemento, oggetto, ambiente e lo si
trasporta, trasformandone la natura, in un contesto di
rottura all’ordine costituito; il corpo diviene mezzo di
comunicazione, gli oggetti si trasformano in segni che
determinano l’idea di frattura.
È la forma attraverso cui il punk si esprime che si oppone
e contraddice la normalità nelle sue leggi fondamentali.
Il punk prende le distanze dalla società, ma non
se ne disinteressa, si pone come entità dissonante,
innaturale; nel far questo disturba, infastidisce, è un
organismo “inappropriato” che non fa richieste ma
determina rotture, non desidera un confronto con la
cultura dominante, è uno stile che narcisisticamente si
autodetermina e auto-riferisce.
DO THEY OWE US A LIVING
CRASS 1980
In quanto violazione simbolica dell’ordine sociale questo movimento attrae
e continuerà ad attrarre attenzione, a provocare cesure e ad agire da canale
fondamentale della sottocultura.4
Fuck the politically minded
Here’s something I want to say
About the state of the nation
The way it treats us today
At school they give you shit
Drop you in the pit
You try and try and try to get out
But you can’tBecause they’ve fucked you about
Then you’re a prime example Of how they must not be
This is just a sampleof what they’ve done of you and me
Do they owe us a living? Of course they do
Do they owe us a living? Of couse they do
They don’t want me anymore
‘cose I threw it on the floor
And now that I am different
But I’m nobody’s plaything
Thy’d love to bust my headthey’d love to see me cop-out
They’d love to see me dead
The living that is owed to me I’m never going to get
They’ve buggered this old world up
They’ve buggered this old world up
Up to their necks in debt
They’d give you a lobotomy
For something you aint done
They’ll make you an epitomy
Of everything that’s wrong
Don’t take any notice
Of what the public think
They’re so hyped up with T.V.
They just don’t want to think
They’ll use you as a target
For demands and for advice
When you don’t want to hear it
They’ll say you’re full of vice5
Nelle metropoli, dai primi anni ‘70, si avverte un
profondo cambiamento delle relazioni giovanili: le
periferie industriali generano attitudini radicali, una
spaccatura sociale profonda che oppone alla classe
operaia, isolata e sottomessa alle leggi della produzione,
una società borghese e benpensante impegnata a
spacciare il mito del consumo e di un progresso
tecnologico rivelatosi alienante e corrutivo.
In questo contesto comincia ad emergere una posizione
più cinica che presto manifesterà carattere sovversivo.
La persona, l’individuo e il suo tempo vengono messi
al centro di una riflessione scottante che si oppone alla
mentalità borghese. Questo processo, abbandonate
tutte le istanze positive-ottimistiche espresse dall’idea
“peace and love” del movimento hippy, si radicalizza
nel desiderio di emancipazione delle classi proletarie.
La working class, disinlusa e isolata, si mette in prima
linea nella lotta alla cultura e morale dell’establishment,
minaccia l’idea polverosa del progresso borghese. È una
tendenza comune a più ambiti di espressione, che nella
sua forma più ribelle crea il presupposto per la nascita e
diffusione del punk.
Londra alla fine degli anni Settanta è la città dove ogni esperienza
underground diventa segnale – c’è una produzione pazzesca di modelli
diversificati di vita – tutto diventa una moda – le controculture si
mischiano sulle strade ai più stravaganti individui e ai gentlemen in
bombetta – le vetrine le boutique i negozi di dischi le librerie i cinema
– sono i ripetitori naturali di questi segnali6
In Italia l’onda del movimento, per quanto sia
arrivata con un certo ritardo, ha mantenuto un
carattere fortemente indipendente e una radicalità
protratta nel tempo. La natura periferica di questo
paese, determinando una marginalità maggiore
del movimento, permise uno sviluppo genuino e
disinteressato verso l’aspetto commerciale. Le soluzioni
sperimentali dell’underground, attraverso i mezzi che
lo caratterizzano, autoproduzioni, fanzine ed editoria, si
sono contraddistinte per freschezza formale e fantasia
intellettuale.
Sono stato a Londra nel ‘77 e in King’s
Road ho trovato una situazione certo
nuova e stimolante per me, ma già
modaiola.7
La stagione del punk britannico come attitudine fuori
dal controllo, difficilmente inquadrabile dal sistema, dura
solo dal ’75 al ’77. In questi due anni, allo shock generato
in origine, si sostituisce la sistematica ricollocazione
delle dinamiche e dello stile nelle regole ufficiali. Il
sistema apre le porte al mercato e inghiotte in una bolla
massificata lo stile punk: la mercificazione dell’immagine
è un bello scherzo giocato alla realtà underground più
fortemente iconoclasta che si ricordi.
Le realtà che si tennero fuori dal processo di integrazione
rappresentano delle eccezioni. Esse svilupparono in
particolare i temi legati alla marginalità della working
class e delle periferie e si strutturarono sulla base di
una visione politica collocata al di fuori del successo
commerciale. Questi esempi di coerenza e dedizione
hanno dato lo slancio e l’avvio ad un pratica politica
cosciente e di azione diretta e coordinata, sviluppatasi
poi nell’era del post-punk.
Borgia Ginz
Jarman considera il walfare come la protezione in grado di salvaguardare la
vita del paese dall’essere totalmente corrosa dalla libera azione del capitale.
In assenza di ogni restrizione nella sua condotta economica, Borgia Ginz,
commette un omicidio, nello stesso modo di Malcom Mclaren, venditore del
punk, che parla spudoratamente di come “fare soldi dal caos”. Nella morte del
capitalismo di assistenza, che vede l’emergere dell’egemonia del Thatcherismo
e di una politica economica senza regole, Ginz, con perspicacia nota che “ Il
paradiso è stato sostituito dal progresso.8
In Jubilee il simbolo del potere è Borgia Ginz, una piovra nata dal libero mercato, dall’era di capitalismo sregolato. I
suoi tentacoli arrivano ovunque, invade il territorio delle aree più radicali del punk e le inghiotte.
Borgia Ginz è l’impresario che possiede tutto il sistema di informazione: dai canali televisivi alla stampa. Nell’elenco
completo che declama con veemenza nel film, non manca nessun grande nome di azienda fino ad arrivare ai servizi
segreti. Ginz rappresenta la dittatura dei media e ne rappresenta il potere sulla società; è un idea del male che si è
radicata nel corso degli ultimi anni ed ha trovato terreno nella costruzione della democrazia, un paese come l’Italia,
ad esempio, ne ha sviluppato un concetto piuttosto originale, in cui il potere politico e i mezzi d’informazione si
concentrano nelle mani di un unico Borgia Ginz nostrano.
La considerazione che questo personaggio ha delle generazione presente è legata esclusivamente alla produzione di
capitale, riconosce nel talento la possibilità di investire di mercificare lo stile e di trarne profitto.
Il film, realizzato fra il ‘77 e ’78, ci presenta
tutte le perplessità presenti nella visione
radicalmente indipendente di Jarman,
che intuisce la direzione di un certo
atteggiamento accondiscendente al
mercato, sopratutto ad opera di personalità
come McLaren e Westwood, che stava
trasformando il punk nell’ennesimo
inganno commerciale a discapito dei
giovani e di istanze di ribellione genuina.
Nel film ci sono due posizioni
contrapposte, la prima è rappresentata da
Angel e Sphinx, che vedono bene come
Ginz non sia altro che una macina per
giovani in cerca di successo, promuovono
la strada come luogo di sperimentazione
e cercano di convincere Kid a rimanere
fuori dalle grinfie dell’impresario. Kid
che dimostra un’energia performativa
incrollabile ed eccentrica, rimane in
un limbo di incertezza. Circondato dal
monumento ai musicisti, di fronte alla
Royal Albert Hall, si presenta come il
grande insicuro che, consapevole del
proprio talento, non trova la strada per
gestirlo. La bottiglia del latte scivola di
mano e si frantuma a simboleggiare la fine
dell’innocenza, lo schianto dell’ingenuo.
La seconda posizione, su cui Jarman calca
la mano, percependone la minaccia, è
quella presentata da Amyl, Bod, Mad e
Lounge Lizard. Amyl non ha nessuna
remora a vendere la sua arte a Ginz,
l’interpretazione di Rule Britannia che
rappresenta l’Inghilterra all’Eurovision
Song Costent per l’etichetta di Ginz, è il
grottesco riferimento all’idea di libertà
proposta dall’espansione imperialista del
paese. La presenza di un isterico urlo di
Hitler nel brano evidenzia il nesso con
l’idea di uno stato violento che perpetua
il proprio potere nella sottomissione e nel
colonialismo.
Come per la musica radicale degli anni ‘60, l’establishment
aveva commercializzato la “rivoluzione” a suo discapito, mutando le rockstar in
milionari e riducendo il dissenso in “arte” slegata dalla vita. Jarman qui utilizza
Almyl per capire la personalità della sua interprete: Jordan appartiene all’idea
dei Sex Pistols, di cui l’irriverente pezzo “God Save the Queen” era al massimo
nelle classifiche nell’anno del Giubileo grazie alle capacità promozionali
dell’industria musicale.
Quindi non preoccupa che Adolf Hitler stesso sia con Amyl nella sala di Ginz
a vedere in tv l’ufficiale parata del GIUBILEO della corona inglese (che fu
celebrato nel 1978), Hitler commenta la carrozza dorata della regina: “È così
fantastica, il sogno di un’artista. ovviamente sono stato il più grande artista di
questo secolo, migliore di Leonardo da Vinci” e brinda insieme a Amyl Bod e
Mad.
L’arte è sicuramente la vera violenza in cui si divertono Mad e Bod.9
KID...Adam Ant
Adam Ant rappresenta il leader del movimento new romantic inglese degli anni ’80.
In Jubilee partecipa con i B-side, poi convertiti Ants, che realizzano tre pezzi per la colonna sonora del film. Al
momento delle riprese il gruppo non era ancora molto conosciuto e Jubilee contribuì a far emergere la figura di Adam.
La band, che poneva come particolare caratteristica musicale l’utilizzo di due batterie e di conseguenza una potente
base ritmica, attirò le attenzioni di Malcom Mclaren che all’epoca, era già ex manager dei Sex Pistols e contribuì
all’album di debutto degli Ants “Dirk Wears White Sox”. In breve Mclaren convinse parte della band a lasciare Adam
per la nuova formazione Bow Wow Wow, costretta a cambiare nome in seguito ad una causa che vide Adam vincere i
diritti sul nome.
Ant si lega in sodalizio con il chitarrista Marco Pirroni, ex Rema Rema, che suonava in concerto, dal 1976, con
Siouxsie and the Banshees e altre band della new wave inglese.
A partire dagli anni ‘80, il look e lo stile di Adam Ant, che si esprimeva attraverso slogan come “Ant-music for sexpeople” e un gergo fantasioso e personale, fece breccia nella parte più vivace del post punk che attinse ad alcuni
elementi del suo stile fatto di fascinazioni piratesche ed eroi dei fumetti di ispirazione statunitense.
Nel 1982 Adam comincia una carriera solista che lo vede protagonista al ballo per la guerre nelle isole Falkland
su diretto invito di Margaret Thatcher. Firma così la sua sottomissione al potere che, contrariamente alle aspettative, lo
destina ad uno scarso successo commerciale.
Il legame tra artista e pubblico è
stato spesso metafora, nell’estetica
rivoluzionaria,
di
quella
grossa
intransigente
barriera
che
nel
capitalismo separa l’arte e il sogno
dalla realtà e dalla vita10
Il dissenso verso il processo di mercificazione e
livellamento culturale, si esprime sempre con più forza
attraverso la sperimentazione performativa sia nelle arti
visive che nell’ambito musicale.
La ribellione avviene sul palco, nella relazione col pubblico,
con la musica e i testi. Il punk si esprime nella totale
spontaneità ed immediatezza, nel disprezzo della tecnica,
assumendo come valore unico quello della passionalità e
dell’improvvisazione.
Dagli anni settanta si cominciano a registrare le prime
tendenze verso forme performative iconoclaste ed
trasgressive presenti in diversi ambiti di espressione
artistica.
La pratica di distruggere lo strumento implica un valore
simbolico in cui il mezzo del rituale performativo
viene sacrificato e immolato nella sua frammentazione
e scomparsa fisica. Questa azione è eredità delle
sperimentazioni nel campo delle arti visive, in particolare
delle azioni Fluxus e di artisti vicini al movimento.
In “One Solo For Violin”, performance
del 1963, Nam June Paik, afferrato
il violino per il manico, lo fa oscillare
per alcuni minuti in assoluto silenzio
e, infine lo sfacia sul bordo del tavolo,
facendone scaturire così un unico,
definitivo, suono11
Con i concerti degli Who si inaugura la stagione di
nichilismo performativo in ambito musicale.
In particolare Pete Townshead e Keith Monn che si
accaniscono rispettivamente su chitarra e batteria.
Townshead si aggirava per il palco trasportato da una carica
teatrale incandescente e finiva il concerto frantumando la
chitarra sugli amplificatori.
La
rottura degli strumenti si
prenda il caso degli Who, consegue
naturalmente alla violenza del suono,
alla sua crudezza e al suo volume,
alla fisica energia profusa dai membri
del gruppo sul palco, alle parole
di generica, ma comunque decisa
ribellione delle canzoni, al nichilismo
strafottente e urlato nel celebre verso
di My generation “Hope i die before I
get old”12
MY GENERATION
THE WHO
People try to put us d-down (Talkin’ ‘bout my generation)
Just because we get around (Talkin’ ‘bout my generation)
Things they do look awful c-c-cold (Talkin’ ‘bout my generation)
I hope I die before I get old (Talkin’ ‘bout my generation)
This is my generation
This is my generation, baby
Why don’t you all f-fade away (Talkin’ ‘bout my generation)
And don’t try to dig what we all s-s-say (Talkin’ ‘bout my generation)
I’m not trying to cause a big s-s-sensation (Talkin’ ‘bout my generation)
I’m just talkin’ ‘bout my g-g-g-generation (Talkin’ ‘bout my generation)
This is my generation
This is my generation, baby
Why don’t you all f-fade away (Talkin’ ‘bout my generation)
And don’t try to d-dig what we all s-s-say (Talkin’ ‘bout my generation)
I’m not trying to cause a b-big s-s-sensation (Talkin’ ‘bout my generation)
I’m just talkin’ ‘bout my g-g-generation (Talkin’ ‘bout my generation)
This is my generation
This is my generation, baby
People try to put us d-down (Talkin’ ‘bout my generation)
Just because we g-g-get around (Talkin’ ‘bout my generation)
Things they do look awful c-c-cold (Talkin’ ‘bout my generation)
Yeah, I hope I die before I get old (Talkin’ ‘bout my generation)
This is my generation
This is my generation, baby
Accompagna il processo di sublimazione dello strumento
musicale la pratica di autolesionismo che caratterizza le
performance di alcune band.
Il corpo si trova al centro delle sperimentazioni artistiche
di questi anni, attraverso la body art è innalzato a
strumento di liberazione e sacrificio, con pratiche
masochistiche, prove fisiche e di resistenza.
L’azionismo viennese, secondo Otto Mühl, è stato una
tipologia di arte ritualista, non solo una forma d’arte,
ma sopratutto “un’attitudine esistenziale” una formula
che descrive bene il lavoro di Gunter Brüs, Arnulf
Rainer e Valie Export. La loro azione aveva come
comune denominatore il carattere spettacolare della
libera espressione dell’artista, nell’intensità evocavano
la pittura espressionista viennese che si era fatta
conoscere cinquanta anni prima....
A Parigi i tagli che Gina Pane si infliggeva sul corpo,
dorso, viso e mani, non erano meno pericolosi, come
Nitsch, pensava che il dolore ritualizzato avesse un
effetto purificatore: un’opera come la sua è stata
necessaria al fine di “farsi capire da una società
anestetizzata”. Utilizzando come elementi della
performance il sangue, il fuoco, il latte e ricreando il
dolore, giungeva - secondo le sue stesse parole - “a fare
immediatamente capire al pubblico che il suo corpo
era la sua materia artistica”.13
S 22
Il gruppo si ritrova nel salotto dello squat, i protagonisti sono tutti insieme, è una delle poche volte che li
vediamo riuniti, alcuni guardano in tv band suonare mentre Amyl legge uno dei suoi testi sulla storia.
VIRUS AZIONE
PALAZZO PROVINCIA
L’azione viene compiuta durante una conferenza di alcuni sociologi riunitisi il 24 aprile 1984 nella sala della Provincia
per presentare una ricerca condotta sulle realtà giovanili, in particolare sulla nuova scena punk.
L’episodio è testimoniato da una ripresa di Laura Maragnani14 che documenta l’intervento estemporaneo e
minimamente concertato compiuto in particolare da Gomma, Atomo e Vincillo, giovani punk milanesi.
L’ azione si opponeva all’idea diffusa che fa dei punk (e di tanti altri movimenti) delle cavie da studiare
vivisezionandone i comportamenti.
Sociologa : “...e poi il fenomeno si è allargato diventando difficile da leggere”,
Punk : “io sono una persona non un fenomeno”.
Amyl - Arrivò il momento in cui le richieste non potevano più essere soddisfatte e tutti
cominciarono a sentirsi imbrogliati.
Ed eccoci nel presente!
Cazzo che bello! Una civiltà annientata dal rancore, ma la civilizzazione è sempre stata
fottutamente noiosa per tutti!
Chi se ne frega? Possiamo farne a meno.
Bod e Mad distese sul letto, Bod a schiena nuda, Mad con un coltello affilato le incide sulla pelle, lettera dopo lettera, la
parola LOVE. è un’azione lenta di sadomasochismo, che prosegue col cospargimento di sale sulla ferita.
In Jubilee la ricerca del dolore è finalizzata ad essere prova dell’esistenza, come antidoto alla noia. Non c’è nessuna
relazione fra l’azione e il fuori, è un semplice atto autoriferito. La scritta love si propone come un ossimoro, il
sostantivo va a incorniciare l’azione che lo genera ed esprime essenzialmente l’opposto: un gesto di violenza e dolore
gratuiti. È un’azione senza nessuna natura catarchica, piuttosto usa il corpo come prova dell’esistenza. Il dolore sembra
essere unica risposta alla domanda amletica sull’essere o non essere, attraverso di esso si riscopre la presenza fisica
dell’essere umano.
La blank generation, per la quale niente ha una coscienza di sé, considera la realtà rimossa nell’alienazione, il dolore
del corpo è un semplice promemoria dell’effettivo essere al mondo.
Tutta quella nostalgia di merda per loro è l’unico modo di sopravvivere, evitare l’azione.
Mi ricordo con quale spontaneità la mattina in cui i sociologi hanno
fatto la conferenza stampa di presentazione della ricerca, noi ci siamo
presentati li e con quale spirito abbiamo deciso di tagliarci i petti invece
di spaccare tutto, ci siamo visti li davanti e, per come ricordo adesso,
non avevamo ancora deciso cosa fare, avevamo una mezza idea ma non
eravamo certi eravamo io Atomo e il nostro compare Vincillo; abbiamo
comprato le lamette al tabacchino di fronte alla prefettura e fatto
le fotocopie sempre li di fronte, quindi non è che fosse una roba che
avevamo preparato da un mese, abbiamo fatto tutto seduta stante, con
le 100 lire che avevamo in tasca ed eravamo in tre. In realtà c’era tutta
una sorta di rappresentanza della scena di allora, ma siamo stati in tre
a decidere cosa fare. Probabilmente se fossimo stati più politicizzati
avremmo spaccato tutto o avremmo usato dei codici di azione che non
avrebbero avuto l’impatto che hanno avuto”.15
I ragazzi assistono per qualche minuto alla conferenza stampa, poi si tolgono le magliette e incidono la pelle con
le lamette, si avvicinano al tavolo delle sociologhe che, quasi isteriche ma fingendo una compostezza innaturale,
continuano ossessivamente a parlare di cosa e come sono questi giovani, i punk si puliscono il sangue con i volantini
del comunicato stampa e se ne vanno con una frase “Ecco il mio sangue”.
I codici d’azione messi in campo dai ragazzi del Virus
superano il confine fra arte e vita e si rafforzano
nell’unione tangibile dei due momenti, che diventano
la prospettiva espressiva verso cui muoversi. In questo
caso l’estemporaneità del gesto si accompagna ad una
fine sensibilità che mette in campo un codice di segni
che colpisce il pubblico e ridicolizza la ricerca sociologica
così freddamente distaccata dalla realtà. La conferenza
e la ricerca si trasformano in superficialità profonda al
cospetto dei corpi nudi dei ragazzi: i sociologi scrivono con
l’inchiostro, i punk col sangue; i sociologi fanno ricerche
che durano anni; i punks agiscono nell’immediatezza
dell’istinto.
L’intervento nella sala della provincia ha messo in
evidenza come l’urgenza comunicativa sia la chiave della
comunione fra arte e vita in un processo rituale fatto di
simboli e gesti. Nella sua immediatezza, grazie alla carica
di rabbia spontanea che si manifesta in una compostezza
impeccabile, l’azione si compie, senza sbavature, puntuale
e incisiva. Il gesto contiene una carica simbolica totale che
si richiama alla sfera mistico religiosa e che ripresentarappresenta nitidamente l’eterno conflitto fra vittima e
carnefice.
La musica Punk eredita le sue caratteristiche di base da due
realtà musicali distinte e antagoniste. Da una parte il filone
più nichilista della musica rock, portandone alle estreme
conseguenze l’estetica individualista e frammentata
confluita nel rock da influenze letterarie, da Rimabaud a
Burroughs; dall’altra l’idea di apocalisse e minaccia sociale
nate nel reggae. Il reggae si differenzia dagli altri generi
musicali in quanto si pone come una possibilità politica di
cambiamento, con un impatto messianico coinvolgente,
prospetta una rivoluzione possibile e soddisfa la frangia
più impegnata del movimento che ne abbraccia le
rivendicazioni propulsive.
L’esecuzione musicale si struttura nella dissoluzione delle
regole. Non importa la qualità dell’esecuzione, l’attenzione
è concentrata nell’azione, fare, esprimere, ribellarsi
e rivoluzionare. La musica è un ambito di creazione
privilegiato dal movimento che unisce alla performance
musicale disordinata parole di protesta e di denuncia.
I testi sono una valanga di pensieri essenziali, riflessioni
rabbiose rigettate nel microfono con violenza. Il pubblico
diviene parte centrale del concerto, non rimane passivo
ma si sovrappone alla voce della band. La forza dello show
punk si rivela nel desiderio di coesione e collisione con gli
spettatori.
Nasce il pogo pratica anti coreografica e anti ballo per
eccellenza. Il pogo si diffonde a macchia d’olio, dagli Stati
Uniti all’Europa e diviene carattere distintivo dei concerti
punk.
La distruzione dell’ambiente circostante è parte integrante
della performance. Durante il concerto succede tutto,
l’energia si canalizza nella relazione col pubblico che
partecipa al rito pagano in cui dar libero sfogo e forma alla
pratica musicale.
Il suono è scarno ma potente, il pogo diventa
furioso – gli inglesi sono dei grandi esperti
nel ballare – ci sovrastano rischiamo di
affogare tra gomiti in faccia e ginocchia
sugli stinchi – ci mettiamo di lato – … i Crisis
rispecchiano bene questo periodo – un misto
di tutte le tendenze che poi saranno le
diverse strade che il punk percorrerà16
Jubilee è strutturato sull’intervento musicale, l’energia sonora fa
da tappeto a tutte le azioni ed è il filo conduttore del film. Solo la
violenza spregiudicata e la performance musicale sono reali, in
grado di generare entusiasmo di dare carica di fare sentire vivi.
I protagonisti sono coinvolti a diversi livelli nella produzione
musicale, la musica è il banco di prova della radicalità delle
intenzioni individuali, è questo l’ambito in cui si cade vittime delle
lusinghe della grande produzione e del successo commerciale:
qui i più sono pronti a vendere la propria immagine per un’ora di
gloria mercificata.
Implicita la critica di Jarman a tutta quella parte del movimento
che non è stata in grado di affermare se stessa nei suoi principi
che ha percorso la strada dell’integrazione e legittimazione.
Lounge Lizard...Wayne County
Personaggio singolare che ben incarna le esigenze di sperimentazione anarchica nell’ambito dell’identità di genere.
Agli inizi degli anni ‘70 giunge sulla scena Newyorkese frequentando l’ambiente dell’arte d’avanguardia. Nel ’74 fonda
la band The Backstreet Boys che grazie all’oltraggiosità delle performance, l’ambiguità sessuale e alla strafottenza
anche canora di Wayne, diventa un riferimento dell’underground newyorkese. Nel ’77 approda nella Londra del
fermento punk e forma una nuova band The Electric Chairs.
Nel 1980, sciolta la band, Wayne diventa Jane in seguito ad un intervento che le consente di cambiare sesso; si
trasferisce a Berlino dove la scena musicale è più radicale e politica di quella inglese e partecipa a numerosi musical di
sua ideazione.
La parte di Lounge Lizard transessuale narcisista, piegato al mercato e al denaro è sicuramente una parte che si cuce
ironicamente su Wayne County che si è sempre distinta per le modalità indipendenti e le scelte coerenti del proprio
percorso personale e professionale.
- OH sono di nuovo in televisione! Sono grande, guadagno milioni!
Ieri sera sono andata a letto/Avevo una sensazione demoniaca nella mia testa/ Allora qualcosa mi ha fatto
allargare le gambe/E l’ho sentito arrivare fino al cuore/Il paradiso della paranoia! Sarà di sicuro la morte
per me/Chiedete ad Adamo ed Eva/Eva non pensava che il diavolo fosse cattivo/No un bambino birichino/
Per lei era un angelo diventato cattivo/No, rosso come il comunismo/Il diavolo aveva una parte del cielo/
Dio, Dio sbatte fuori il diavolo
- Ma che importa sono così ricco/Potrei mangiarmi i bicchieri Oh, ho sbagliato
Paranoia, Paradiso/Sarà di sicuro la morte per me/Chiedete ad Adamo ed Eva/ Il paradiso della paranoia/
Sarà di sicuro la morte per me/Chiedete ad Adamo ed Eva/Il paradiso della paranoia Il paradiso della
paranoia Il paradiso della paranoia
- Una stella che brillerà per sempre. Le stelle non spariscono la galassia è piena di stelle.
Vere Stars
The Smiths - Pet Shop Boys
A più riprese Jarman esplora il mezzo del video
clip, che sembra essere finalmente un momento di
sperimentazione possibile, libero da sovrastrutture e
slegato da codici esclusivamente commerciali.
L’apertura di MTV, la rete musicale americana,
incrementò, nel 1981, la produzione di video musicali,
che divennero un motivo di fermento produttivo. La
libertà espressiva del mezzo consentiva di indagare
l’immagine al di là di una necessità esclusivamente
narrativa, ricollocando la sperimentazione come
elemento necessario e scoprendo nell’immediatezza del
tavolo di montaggio un’ulteriore componente espressiva.
L’innovativo punto di vista espresso dal mercato di video
clip, restituisce a Jarman la possibilità di confrontarsi
liberamente nelle sue modalità non-narrative, che, per
la prima volta, trovano un’applicazione mediatica pur
mantenendo l’integrità autonoma della sperimentazione.
Nasce una stretta collaborazione con registi più giovani
che vedono nell’espandersi del mercato dei videoclip una
possibile strada al di fuori delle vuote e rigide regole della
ricerca ufficiale.
Nel 1986 realizza per la band “The Smiths” una sequenza
composta da tre film per l’album ”The queen is dead”,
che trova ispirazione nelle atmosfere visionarie di “The
Last of Englan”. Nella successiva collaborazione (1989)
Jarman è impegnato nella produzione di otto videoclip
per “Pet shop boys”, qui, il riferimento è alla poetica
visiva di “The garden”. La posizione di Jarman rispetto
alla produzione di video clip è comunque ambigua e mai
veramente soddisfacente. La libertà espressiva, per come
viene intesa dal regista, è infatti soggiogata ad un ritmo
costantemente assillante che determina necessariamente
una soluzione formale semplicistica e talvolta superficiale.
Inoltre la struttura spettacolare rischia di porre in secondo
piano i contenuti filmici che vengono appiattiti ad effetti
puramente scenografici e di tappezzeria.
giovedi 30 Novembre 1989
Spaventosa lite con James all’angolo di Old Compton Street e Charing
Cross Road.
- Stiamo proiettando il film
- Quale? Imagining October?
- No, il film del concerto dei Pet Shop Boys.
- Vuoi dire le riprese dietro le quinte?
(Avevo detto a James che non volevo fossero proiettate).
- Ma sono come The Queen is Dead
- Quello era un film quelle non erano state girate allo stesso scopo,
soltanto scene d’ambiente piene di salti e tempi morti. Funzionano molto
bene a Wembley con i ragazzi che cantavano e ballavano. Ce n’è soltanto
una buona Nothing as been Proved.
- Questo è un orribile pasticcio – ha detto James.
Decido di tacere.
- E saranno nel video disk con il nuovo film.
L’elegiaco film giardino resta sospeso in aria come un Albatros – per
essere venduto sul retro della carta da parati video realizzata per i Pet
Shop Boys.17
Il punk diceva “Do it yourself” e se
assorbivi bene il concetto l’impossibile
diventava possibile. Anche se non
potevi comprarti una chitarra potevi
ugualmente fare qualcosa, almeno
provarci. Potevi rimettere a posto
un basso completamente rotto,
strimpellarci sopra, fare uscire uno
straccio di suono, trovare gli amici,
formare una band . Quella musica non
era fatta di note, pentagrammi, era
solo rabbia buttata su uno strumento18
Il punk rifiuta le televisioni, i giornali e i media
d’informazione ufficiali; si pone fuori dalla logica
consumista e si disinteressa dell’idea di politica promossa
dai partiti e dai governi, attuando altre metodologie
relazionali che determinarono una diversa forma di
comunicazione e cultura. Nel fare questo crea una
spaccatura e disorientamento nella società. Il linguaggio
adottato scavalca le norme condivise e previste, l’ordine
logico della comunicazione passa su canali destrutturati,
viene stravolto e “dis-ordinato”. Questo metodo allarga
la distanza dal pensiero borghese; agli occhi del sistema
la rivoluzione linguistica in atto è spaventosa e bestiale, è
una minaccia alla propria integrità.
Mi interessa il lavoro che non ha
un’utilità ovvia. O dovrei dire che
non ha senso di colpa, piuttosto?
Forse è proprio da qui che può
arrivare il lavoro più interessante
di tutti19
Le strategie di comunicazione del punk sono frutto della
filosofia del Do it your self (DYT), questo metodo ha
radici nelle pratiche di sabotaggio degli ambiti di potere
fisici e mediatici; DYT crea un’architettura di significati
per contrasto e per associazioni libere. Questa pratica è
condotta attraverso la giustapposizione di termini e realtà
non immediatamente avvicinabili.
Viene proposto un linguaggio dai valori sconvolti,
autonomo e che impone un’attenzione partecipata
del fruitore. Questo permette di evadere da una realtà
costrittiva, confondendone le regole e permette di
sviluppare analogie e relazioni fra corpo sociale e
ambiente che determinano una coscienza e uno spirito
critico radicale.
Non si sfugge alla banalità che
manipolandola, dominandola,
immergendola nel sogno, affidandola
al buon piacere della soggettività(…)
Il partito preso della vita è un partito
preso politico. Noi non vogliamo
un mondo dove la garanzia di non
morire di fame si scambi con il
rischio di morire di noia. L’uomo della
sopravvivenza è l’uomo sbriciolato nei
meccanismi del potere gerarchizzato,
in una combinazione di interferenze,
in un caos di tecniche oppressive
che, per darsi un ordine, attende
solo la paziente programmazione dei
pensatori programmati.20
Attraverso l’idea del DYT le sperimentazioni si
costruiscono secondo le regole-non-regole del Cut-Up,
in cui un’immagine è decontestualizzata e convertita nel
messaggio.
La tecnica del Cut-Up prevede la
ricostruzione di un’immagine o testo
attraverso frammenti disomogenei, si
avvale di informazioni da diversi media
e punta non solo allo stravolgimento
semantico del messaggio, ma anche alla
critica diretta ai mezzi d’informazione
e ai canali promotori della società del
consumo.
La struttura si determina come
parassita del sistema linguistico
ufficiale mettendone in ridicolo i
contenuti, edificando un’architettura
dell’immaginario. La decodifica e
ricostruzione delle informazioni e
delle immagini si applicano in campi
disparati del fare artistico, dalle arti visive
all’editoria passando per la musica e la
moda.
Questo tipo di pratica parte dal readymade di Duchamp e il collage dadaista.
Nel campo della musica trova le radici
nelle sperimentazioni di John Cage
e in quello letterario nella scrittura
automatica di Tristan Tzara.
Il metodo del Cut-Up, o detournement,
è stato ampiamente sperimentato nel
cinema dal’59 nelle collaborazioni
filmiche di William Burroughs e Brion
Gysin e, in Francia, nell’opera di Guy
Debord.
Detournement of pre-existing aesthetic elements. The
integration of present or past artistic production into a
superior construction of a milieu. In this sense there can
be no situationist art or music, but a situationist use of this
menas. In a more primitive sense detournement within the
old cultural spheres is a method of propaganda, a method
whic testifies to the wearing out and loss of importance of
those spheres21
John Cage
You’re taking a different point of view, yes? ehm, changing your mind from
the determinist position to a non-determinist position... The determinist
position has been that each performance is an approach to an ideal. Okay? The
indeterminist position is that each performance is necessarily what it is, and
you’d better listen while it’s going on, otherwise you’ll miss it. Mm? And I prefer
that point of view; I think it’s more appropriate to twentieth century living than
the other one. The other one has a kind of an assumption of progress towards
a non-existent, em... or toward an imaginary goal, rather than the now-moment.
The indeterminist position is all connected with seeing how things are at the
moment when you’re experiencing them.22
Duchamp
Mi sono forzato a contraddirmi per evitare di conformarmi al mio stesso gusto.
Mi sono servito della pittura, dell’arte per stabilire un modus vivendi.
Una specie di metodo per capire la vita, cercare, cioè, per il momento, di
fare della mia stessa vita un opera d’arte invece di passarla a creare quadri
e sculture. Ora penso si possa usare il proprio modo di respirare, di agire,
di reagire agli altri, si può trattarli come un quadro vivente o un’immagine
cinematografica, sono le mie conclusioni di adesso che non ho né voluto né
organizzato quando avevo 20 o 15 anni ma mi rendo conto ora, dopo molto
tempo, che in fondo è a questo che ho mirato.23
Tristan Tzara
Intelligence is an organization like any other, the organization of society, the
organization of a bank, the organization of chit-chat. At a society tea. It serves
to create order and clarity where there is none. It serves to create a state
hierarchy. To set up classifications for rational work. To separate questions
of a material order from those of a cerebral order, but to take the former very
seriously. Intelligence is the triumph of sound education and pragmatism.
Fortunately life is something else and its pleasures are innumerable. They are
not paid for in the coin of liquid intelligence.
These observations of everyday conditions have led us to a realization which
constitutes our minimum basis of agreement, aside from the sympathy which
binds us and which is inexplicable. It would not have been possible for us to
found our agreement on principles. For everything is relative. What are the
Beautiful, the Good, Art, Freedom? Words that have a different meaning for
every individual. Words with the pretension of creating agreement among all,
and that is why they are written with capital letters. Words which have not the
moral value and objective force that people have grown accustomed to finding
in them. Their meaning changes from one individual, one epoch, one country
to the next. Men are different. It is diversity that makes life interesting. There
is no common basis in mens minds. The unconscious is inexhaustible and
uncontrollable. Its force surpasses us. It is as mysterious as the last particle of
a brain cell. Even if we knew it, we could not reconstruct it.
Postproduction
Duchamp partiva dal principio che anche il consumo era un modo di produrre,
come Marx quando nell’introduzione a “Per la critica dell’economia politica”
scrive: “ Il consumo è allo stesso modo immediatamente produzione; proprio
come in natura la pianta consuma sostanze chimiche”. Senza contare che
“Durante la nutrizione, che è una forma di consumo, l’uomo produce il
proprio corpo”... Questa è la prima caratteristica del ready-made: stabilire
un’equivalenza tra scegliere e fabbricare, consumare e produrre… Servirsi di
un oggetto comporta necessariamente una sua interpretazione. Utilizzare un
prodotto significa a volte tradirne il concetto. Leggere guardare un’opera d’arte
o un film significa anche saper operare uno scarto.
L’uso stesso è un atto di micro-pirateria, il grado zero della post-produzione.
Utilizzando televisione, i propri libri, i propri dischi, chi fruisce della cultura
impiega una retorica di pratiche e strattagemmi che hanno a che fare con
l’enunciazione, con un linguaggio muto con il quale è possibile catalogare
figure e codici...
Marcel Broodthaers diceva: “Da Duchamp in poi, l’artista è l’autore di una
definizione”, che si va a sostituire a quella dell’oggetto che ha scelto… Se le
radici del processo di appropriazione si trovano nella storia, la sua narrativa
comincia con il ready-made, che ne rappresenta la prima manifestazione
concettualizzata e pensata in relazione alla storia dell’arte… Duchamp
completa così la definizione in un contesto nuovo, considerandolo al pari di un
personaggio di una sceneggiatura.24
Il potere vive di
ricettazione. Non
crea niente, recupera.
Se creasse il senso
delle parole, non ci
sarebbe poesia, ma vi
sarebbero soltanto delle
“informazioni” utili…
La presa di possesso
del linguaggio da parte
del potere è assimilabile
al suo impadronirsi
della totalità. Solo il
linguaggio che abbia
perso ogni riferimento
con la totalità può
fondare l’informazione.
Non è altro che
linguaggio liberato, il
linguaggio che riacquista
la propria ricchezza e,
spezzandone i segni,
riscopre insieme le
parole, la musica, le
grida, i gesti, la pittura
la matematica, i fatti.
La poesia dipende
quindi dal livello della
più alta ricchezza con
la quale, ad un certo
stadio della formazione
economico-sociale, la
vita può essere vissuta e
cambiata.25
Kids, il sistema continua a darci merda da mangiare – respirare - ascoltare così come ci passa questi
fottutamente inoffensivi Clash e cerca di convincerci che il punk è morto; non possiamo permettere che
si impossessi delle nostre cose per poi svuotarle e restituircele innocue. Dobbiamo usare ogni mezzo a
nostra disposizione per evitare che ci studino, facciano tesi su di noi, cerchino di interpretarci – svelarci spiegare chi si siamo cosa facciamo cosa vogliamo. Dobbiamo strappare il punk dalle pagine dell’Espresso
o della Repubblica, ed evitare che venga recensito ed interpretato come genere musicale per estirpargli
ogni potenzialità eversiva.
Per impedire che fottuti buchi di culo in giacca e cravatta come Peppe Videtti Graziano Origa Manuel
Insolera spaccino montagne di cazzate sul punk, dobbiamo essere noi stessi a parlare, sputare, gridare,
scoprire il culo a pop star Ciao 2001 Rolling Stone e a tutti i loro fottutissimi intrighi. Se siamo incazzati è
perché abbiamo le palle rotte di come stanno andando le cose, e non vogliamo che critici ex politicanti impiegati di banca incravattati - eroinomani e poseurs ci vengano a raccontare della pochezza tecnica di
Crass, Wall o SLF e delle progressive raffinate melodie dei fottuti Contorsions e di quello stronzo di James
Change e/o della merdosissima star Nna Hagen.
La nostra incazzatura e la nostra rabbia con due accordi non viene solo dalla musica perciò non lasciamoci
inghiottire la testa e le palle di disco sperimentale e di spettacolo se viviamo in un mondo di violenza –
rapine – eroina - proiezioni subliminali e di induzione di massa.
PUNK E’ LOTTA CONTRO TUTTE QUESTE COSE. Per questo motivo qui a Bologna stiamo preparando una fanzine a
distribuzione nazionale che parli delle situazioni nelle quali ci stiamo muovendo.
Una PUNKZINE quindi (e non un bollettino per rincoglioniti fans di Damned, Sex Pistols, Clash o Ramones)
che si occupi in modo particolare di quello che succede in Italia, delle nostre bands dei nostri bisogni delle
nostre incazzature dei nostri desideri e dei nostri obiettivi.
Volantino distribuito in occasione del concerto gratuito dei Clash, in Piazza Maggiore a Bologna
nell’estate dell’80.
Le fanzine sono uno degli
strumenti più autentici della
cultura punk, l’elemento
rimasto inviolato dalle
incursioni del mercato,
dal tentativo del sistema
di digerire e mercificarne i
contenuti.
Caratteristica principale
delle fanzine è la natura
indipendente, libera e
immediata con cui vengono
progettate e realizzate.
La produzione della fanzine
non ha trovato ancora una
pausa, e ad oggi possiamo
contare su di un costante
sviluppo anche online.
Le origini della fanzine in
Gran Bretagna sono degli anni
‘30, gli argomenti riguardano
diversi ambiti di interesse:
culturale, sociale, economico.
La fanzine punk fa la sua
comparsa a partire dagli anni
‘70 per svilupparsi a pieno
negli ‘80. È da considerarsi
il mezzo autoprodotto
indispensabile per la
diffusione di informazioni e
il network fra i vari ambiti del
punk internazionale.
La fanzine è il mezzo per
eccellenza in cui viene
espressa la pratica del DYT,
del collage, del cut-up e del
detournement: fanzine fatte in
casa, spontanee, destrutturate.
Attraverso la libera costruzione
di articoli e immagini, con un
metodo manuale e materico, si
creano libri unici che vengono
ciclostilati, fotocopiati e
distribuiti gratuitamente
attraverso il canale delle
autoproduzioni e spazi occupati.
Con la pratica del
detournement, le immagine
rubate al contesto originale
trovano una nuova collocazione
semantica in una costruzione
linguistica apparentemente
paradossale e di natura
sperimentale.
Appropriazione, rielaborazione,
produzione di idee e contesti,
gli argomenti spaziano dalla
promozione di autoproduzioni
musicali, di clubs, spazi
occupati, eventi ed iniziative,
fino all’esternazione di riflessioni
e critiche legate al sociale e alla
politica. In ogni caso è la forma
della fanzine, la sua architettura,
la modalità linguistica
adottata, più che i contenuti
presentati, a rappresentarne la
sostanza politica, sovversiva e
rivoluzionaria.
Ottobre 1977 – esce
in mille copie <DUDU>
- DADA + Punk –
foglio di agitazione
dadaista – nel
gennaio 1978 cambia
nome prendendo dallo
sbalestrato ballo
punk <pogo> - dada
+ Punk – organo del
movimento duduista
– è il primo esempio
di rivista con uno
stile radicalmente
nuovo – “Siamo i
Dudu siamo la rabbia
– vogliamo ribellarci
ora! Rifiutiamo il
lavoro nelle fabbriche
– e soprattutto
attacchiamo
frontalmente la logica
della militanza – il
personale è politica”26
Scissors and Glue:
Punk Fanzines and the Creation of a DIY Aesthetic
Teal Triggs
The fanzine producer Chris Wheelchair (sic) remarked in the editorial of
Ruptured Ambitions (1992) that his Plymouth-based fanzine is ‘all about
helping promote the DIY punk/alternative/underground movement, which is,
at present, extremely healthy in many areas, and certainly improving.’ From
the early 1930s, fan magazines or ‘fanzines’ have been integral to the creation
of a thriving communication network of underground culture, disseminating
information and personal views to like-minded individuals on subjects from
music and football to anti-capitalism and thrift store shopping. Yet, it remains
within the subculture of punk music where the homemade, A4, stapled and
photocopied fanzines of the late 1970s fostered the ‘do-it-yourself’ (DIY)
production techniques of cut-n-paste letterforms, photocopied and collaged
images, hand-scrawled and typewritten texts, to create a recognizable graphic
design aesthetic. The employment of such techniques and technologies has
had an impact on an overall idiosyncratic and distinctive visual style affiliated
with punk fanzines. For fanzine producers, the DIY process critiques mass
production through the very handmade quality it embraces, but also in the
process of appropriating the images and words of mainstream media and
popular culture. Arguably, the DIY approach reached its peak in the 1990s
and still continues today, having been co-opted into the worlds of commercial
mainstream lifestyle magazines and advertising which trade on its association
with punk authenticity. The intent of this essay is to explore the development
of a graphic language of resistance and to examine the way in which the very
use of its DIY production methods reflected the promotion of politics and
music of 1970s’ punk and DIY underground activity. In addition, this piece will,
through interviews with fanzine producers, attempt to recover from history
an area of graphic design activity that has largely been ignored. This will be
achieved by focusing on three punk fanzine titles that were initiated during the
first wave of the punk period: Panache (Mick Mercer, 1976–1992), Chainsaw
(Charlie Chainsaw, 1977–1985) and Ripped & Torn (Tony Drayton, 1976–1979).
These examples will be measured against a discussion of Sniffin’ Glue (Mark
Perry, 1976–1977), which has been acknowledged by the punk community as
the first punk DIY fanzine in Britain.27
A Milano c’era stata qualche Punkzine – Dudu da un po’ era morta – Xerox
lentamente stava finendo… Con Cristina si avvia il progetto di “Graffity Urbani”:
la prima punkzine politica di Milano, un progetto che abortirà immediatamente
– “Ma si può anche scrivere qualcosa contro il film dei Sex Pistols – dire che
l’essere punk non ha niente a che fare con quella storia – non so a me ad esempio
Jubilee di Jarman mi ha eccitato molto di più – e a te? “ si… anch’io – a me è piaciuto
“Odissea nello spazio” – “ Si bellissimo… vedi che ci capiamo al volo io e te – il nome
è azzeccato – senti come suona bene - graf-fity ur-bani”28
Is
Lo stato può riconoscere qualsiasi rivendicazione di identità, perfino (e la
storia dei rapporti fra stato e terrorismo nel nostro tempo ne è eloquente
conferma) quella di una identità statale al proprio interno. Ma che delle
singolarità facciano comunità senza rivendicare un’identità, che degli uomini
coappartengano senza una rappresentabile condizione di appartenenza –
l’essere italiani, operai, cattolici, terroristi – ecco ciò che lo stato non
può in alcun caso tollerare.29
ll quaderno di storia di Amyl Nitate è una fanzine
personale, una serie di considerazioni socio-politiche dal
linguaggio deciso e incisivo, workingclass, che non perde
occasione per manifestare un’ironia dissacrante e
sovversiva.
La parte concettuale della storia per autodidatti, in cui
il singolo è in prima persona interprete e narratore dei
fatti, si concretizza in un oggetto artigianale, fatto a mano
costruito con la tipica modalità della fanzine. L’estetica
della pratica DYT, sia nelle scenografie del film che nei
luoghi di aggregazione reali, squat e spazi occupati in
genere, diviene una concreta modalità espressiva che
non si limita al foglio ma che considera ogni superficie
come possibile contenitore di messaggi. Le pareti sono
la cornice in cui dare libertà alle proprie visioni spesso
in modo istintivo e senza una progettualità estetica,
assecondando piuttosto l’emergenza espressiva radicata
nella marginalità dell’esistenza.
In Jubilee le pareti della casa si trasformano in pagine,
ogni centimetro diventa uno slogan una frase di rivolta
uno spazio per attaccare foto e poster, il muro dentro
riflette i messaggi dei muri fuori. Il muro, sinonimo di
chiusura di limitazione fisica, si apre come supporto
alle idee, smaterializzandosi nella spinta propulsiva del
messaggio scritto. Nel film troviamo esposta, nella stanza
centrale dello squat, una pittura materica realizzata con
una tuta da lavoro sanguinante vernice rossa, alla base
della quale sono incrociati tre fioretti. La connessione
degli oggetti diviene un messaggio visivo che va a
sostituirsi ed aggiungersi alla parola scritta e crea con essa
una rete di connessioni simboliche.
Il mappamondo di Amyl Nitrate e Mad è trasformato
in un bollettino di guerra con intere aree verniciate di
nero segnate come zone morte “Negative word status”,
“Obsolete”, “No reson for existence”. Ogni superficie
diviene pretesto per un messaggio nichilista, ciascuna
immagine è rielaborata e sviluppata in chiave iconoclasta.
Fra le realtà di ricerca che promuovevano un modello tradizionale anarchico di divulgazione vi è l’Internazionale
Situazionista.
Il situazionismo ha già in sé tutta la carica radicale riproposta dal punk, sia nella ricerca in campo artistico, che nello
spostamento verso un interesse più integralmente politico.
La struttura della comunicazione e la circolazione libera e connettiva di informazioni sono i due elementi che
avvicinano il discorso punk alla visione situazionista.
La critica alla società del consumo, dove il lavoratore è collocato alla catena di montaggio del sistema economico e
produttivo, in cui l’uomo non è in grado di distinguere i propri desideri e bisogni dalla merce proposta e diventata
indispensabile per induzione, è eredità direttamente colta dall’Internazionale situazionista.
L’atteggiamento frontale, di sfida, oltraggioso anche nel linguaggio, è attitudine caratteristica delle pratiche
situazioniste e nel punk si ripropone con violenza. Talvolta si colloca su direttrici maggiormente autolesioniste, con
una sfumatura nichilista che porta alla staticità, ad un’inversione di flusso che determina isolamento piuttosto che
ribellione.
Spesso a partire dagli anni ‘80 sono gli elementi ereditati dalla critica dell’IS che sprigionano le energie più attive delle
controculture e dell’underground in genere, ricollocando al centro la piazza, la strada come luogo di manifestazione e
come possibilità di cambiamento.
L’idea di collettività e condivisione, senza una struttura identitaria caratterizzante, è l’essenza di entrambe le realtà e le
pone in conflitto diretto col potere.
La relazione dell’IS con l’underground inglese è da cercarsi nell’esperienza cominciata con Charles Radliff e Chris
Gray che pubblicano nel ‘66 la rivista “Heatwave” d’impostazione situazionista. L’anno seguente la British section
costituita dai Charles Radliff, Chris Gray, Tim Clarke, Donald Nicholson-Smith fu esclusa dall’IS per i legami con il
gruppo newyorkese “Black Mask/Up Against The Wall, Motherfuckers!” guidati dalla figura di Ben Morea.
Un esempio americano
Ben Morea was interviewed by lain
McIntyre in 2006.
Tell us about your background and how you came to
find yourself involved in the radical scenes of New York
during the 1960s.
Ben Morea: I was raised mostly around the
Virginia/Maryland area and New York. When I was
ten years old my mother remarried and moved
to Manhattan. I was basically a ghetto kid and
got involved in drug addictions as a teenager
spending time in prison. At one point when I
was in a prison hospital I started reading and
developed an interest in art. When I was released
I completely changed my persona. In order to
break my addiction I made a complete break from
the kids I grew up with and the life I knew.
In the late 1950s I went looking for the beatniks
because they seemed to combine social awareness
with art. I met the Living Theatre people and was
highly influenced by their ideas despite never
being theatrically oriented myself. Judith Malina
and Julian Beck were anarchists and they were
the first people to put a name to the way I was
feeling and leaning philosophically.
I also met an Italian-American artist named Aldo
Tambellini who was very radical in his thinking
and who channelled all of that into his art rather
than social activism. He would only hold shows
in common areas like churchyards and hallways
in order to bring art to the public. He influenced
me a lot in seeing that having art in museums
was a way of rarefying it and making it a tool of
the ruling class. I’m self educated and continued
my pursuit of anarchism and art through reading
and correspondence. I became aware of Dada
and Surrealism and the radical wing of twentieth
century art and sought out anyone who had
information about it or
who had been involved.
I really felt comfortable
with the wedding of social
thought with aesthetic
practice. I corresponded
quite a bit with one of the
living Dadaists Richard
Huelsenbeck who was
living in New York, but
whom I never met.
At the same time I became
friendly with the political
wing of the anarchists
meeting up with people
who had fought in Spain,
from the Durutti Brigade
and other groups. They
were all in their 60s and
I was in my 20s.
I was also a practising
artist working at my own
art and aesthetic. I was
mainly painting in an
abstract, but naturalistic
form as well as doing
some sculpture. There
was
some
influence
from
the
American
expressionists, but Zen
was also an influence.
When did Black Mask come
together as a group? How
were you organised and who
was involved?
Ben: It’s hard to say
whether we started in
1965 or 1966, but the
magazine
definitely
started in 1966. Black
Mask was really very
small. It started off with
just a few people. As
anarchists, and not very
doctrinaire ones, we had
no leadership although I
was the driving force in
the group.
Both Ron Hahne and I had
already been working
together with Aldo doing
art shows in public to
promote the idea of art
as an integral part of
everyday life, not an
institutionalised
thing.
Ron and I became close
friends and found that
we had a more socially
polemical view than Aldo
in wanting to go closer
to the political elements
of Dada and Surrealism
as well as to the growing
unrest in Black America.
We wanted to find a place
where art and politics
could coexist in a radical
way. Once we started
publishing Black Mask
and holding actions other
artists and people on a
similar wavelength were
attracted to what we
were doing. I’ve always
favoured
an
organic
approach
where
you
don’t have meetings and
people just associate
informally rather than
having a hierarchy and
recruiting members.
Over time Ron became
less interested in the
political sphere and I
became more interested
in working with the
people who were involved
in fighting for civil rights
and against the Vietnam
war. I can honestly say
that in both Black Mask
and then later The Family
we never held a meeting
where we consciously
sat down to decide our
direction
or
exactly
how we would deal with
a particular action or
situation. It all developed
as a very spontaneous,
organic outgrowth of
whatever we thought was
appropriate at the time.
Black Mask clearly drew
inspiration not only from
the Dadaists, Surrealists
and avant-garde movements
of the past, but also from
the
contemporary
black
insurrections and youth
movements of the 1960s.
Tell us a little more about
these influences and about
your ideas and approach to
politics and art in general.
Ben:
From
my
perspective and that
of the people I worked
with we saw a need
to change everything
from the way we lived
to the way we thought
to the way we even
ate. Total Revolution
was our way of saying
that we weren’t going
to settle for political
or cultural change,
but that we want it all,
we want everything
to change. Western
society had reached a
stalemate and needed
a total overhaul.
We knew that wasn’t
going to happen, but
that was our demand,
what we were about.
It also meant seeing
that you need all types
of people involved, not
just political activists.
Poets and artists are
just
as
important.
Revolution
comes
about as a cumulative
effect and part of
that is a change in
consciousness, a new
way of thinking.30
In seguito all’espulsione i quattro formano il gruppo
King’s Mod ispirati nell’azione dal gruppo di Morea più
che dalle teorie situazioniste.
McLaren si avvicina a King’s Mod durante la scuola
d’arte e partecipa attivamente alle dimostrazioni del
gruppo stringendo una forte amicizia con Jamie Reid
autore dal 1970 della rivista “Suburban press”. La
rivista si ispira e riporta parti dei testi situazionisti,
accompagnati da disegni e grafiche di Reid che, in
seguito, supportarono l’immagine coordinata dei Sex
Pistols, la band punk più inflazionata del panorama
inglese.
Mclaren, che si è sempre dimostrato più interessato a
fare soldi che a dire qualcosa di significativo, ha sempre
manifestato una certa freddezza riguardo le affinità
fra punk e teoria situazionista, preferendo avvicinare
i due ambiti esclusivamente per l’estetica proposta e
relazionarli in merito all’utilizzo di un certo tipo di
immagini.
I heard about Situationists from the
radical milieu of the time. You had to
go up to Compendium Books. When
you asked for the literature, you had to
pass an eyeball test. Then you got this
beautiful magazines whit reflecting
covers in various colours:gold, green,
mauve. The text was infrench: you
tried to read it, but it was so diffcult.
Just when you getting bored, there
were always these wonderful pictures,
and they broke the whole thing up.
They were what i bought them for: not
the theory31
Guy Debord
188
Quando l’arte divenuta indipendente rappresenta il proprio mondo con dei
colori brillanti, un momento della vita è invecchiato e non si lascia ringiovanire
con dei colori brillanti, si lascia soltanto evocare nel ricordo
190
L’arte nell’epoca della sua dissoluzione, in quanto movimento negativo teso
al superamento dell’arte in una società storica in cui la storia non è ancora
vissuta, è allo stesso tempo un’arte del cambiamento e l’espressione pura
del cambiamento impossibile. Più la sua esigenza è grandiosa, più la sua vera
realizzazione è al di là di essa. Quest’arte è necessariamente d’avanguardia, e
non lo è. La sua avanguardia è la sua scomparsa.
Anti - art- film
L’avventura di Debord nel cinema comincia nel 1952
con il primo film “Hunrulements en faveur de Sade”. Il
film si caratterizza per la totale mancanza di immagini
ed è costruito interamente sull’audio e i sottotitoli:
è un lavoro provocatorio in cui un monocromo
completamente neutro riempie lo schermo e mette a
dura prova la pazienza dell’osservatore. Nel film sono già
contenuti i temi più cari all’autore, in particolare, l’opera
si caratterizza per la connessione diretta con l’esperienza
vissuta e con l’ambiente circostante.
È a partire da “On the passage of a Few persons Through
a rather Brief Unity of Time”(1959) che Debord rivela
interesse per la frammentazione cognitiva che viene
applicata sia nell’audio che nelle immagini attraverso la
tecnica del detournement.
Debord è uno degli autori che hanno promosso e
applicato questo metodo con coerenza e coscienza
teorica, riuscendo grazie ad esso a dare forma concreta al
proprio mondo concettuale.
L’idea di completare la teoria con la pratica attraverso
l’anti-art-film, si concretizza nella realizzazione di film
costruiti sul contrasto fra immagine e audio. Questa
struttura pone l’opera in un territorio indipendente e
conflittuale rispetto al cinema commerciale che tende
verso l’appiattimento dei contenuti e una comunicazione
priva di significazione.
Sostanzialmente si tratta di film in cui l’audio non
è direttamente riferito all’immagine che vediamo,
non esiste un’esatta corrispondenza fra i due ambiti
che vengono associati liberamente in modo istintivo
e poetico. L’audio solitamente è eterogeneo, non si
esaurisce nella presentazione delle teorie dell’autore,
ma si compone e scompone presentando frammenti
di testo presi dal mondo scientifico, dalla filosofia e
dalla sociologia. Le immagini sono ricavate da film
e documenti d’archivio, sono decontestualizzate
dall’oggetto originale e inserite nel discorso dell’autore
che le arricchisce di un ben diverso valore semantico.
L’architettura dei film di Debord si esplica in tre livelli
di significazione: l’immagine, il sonoro e il sottotitolo.
Questa forma del discorso, che si combina e completa
oppure che si scontra in un fuoco incrociato di
significanti opposti, genera una complessità critica e più
livelli d lettura.
Il principio del detournement si dissocia dall’idea
dell’autorialità dell’opera, è una prassi che consente a
Debord di strutturare il proprio lavoro in coerenza con
l’idea situazionista della riappropriazione e liberazione
della vita quotidiana.
La volontà di oltrepassare il cinema ufficiale, visto come
un surrogato della complessità della realtà, volto ad
alienare e dissociare lo spettatore dall’esperienza al fine di
una pacificazione sociale consenziente, passa attraverso
l’appropriazione delle immagini da esso prodotte.
È un sistema dialettico che consente a Debord di
costruire una nuova idea di cinema dalla decostruzione
della produzione ufficiale.
Jarman eredita e reinterpreta alcuni elementi del cinema
di Debord. In particolare nella frammentazione della
produzione in super8, che si avvale di un montaggio
costruito sulla decomposizione dell’unità dell’immagine,
in favore di un flusso di richiami e connessioni associate
liberamente.
Il deroulement in Jarman è presente in particolare nel
film War Requiem, in cui vengono utilizzate immagini
di repertorio e d’archivio sulla seconda guerra mondiale.
Il film del 1989 è costruito sull’omonima opera del
compositore Benjamin Britten. La musica fa da base e
conduce lo spettatore in una narrazione frammentata
in cui Jarman unisce a scene di sua regia e costruzione,
immagini di guerra e sovrimpressioni del coro.
Il film soffre della sperimentazione digitale degli anni ‘80
i cui effetti non contribuiscono alla drammaticità della
composizione ma rischiano di rendere la commistione di
generi artificiosa.
Come “Hunrulements en faveur de Sade” l’ultimo film di
Jarman, “Blue”, si struttura nell’assenza d’immagine
in movimento sostituita con un’unica schermata di
monocromo blu elettrico, che accompagna l’audio
recitato dai compagni di vita e dagli abituali attori del
regista.
Il lavoro di Jarman stabilisce una profonda connessione
con Guy Debord al di là di un richiamo formale. Sono
le più immediate e profonde esigenze personali che
confluiscono nella teoria a creare un legame fra i due
autori.
Il desiderio di coinvolgersi in prima persona nelle
esperienze di tutti giorni, la convinzione dell’esigenza
dell’azione partecipata e diretta; l’opposizione alla
superficialità concettuale e formale promossa dai
circuiti mediatici ufficiali, la capacità di sostenere cause
collettive, la sensibilità di interpretare lo spirito del
proprio tempo.
Contro il cinema ufficiale Jarman ha mosso parole dure
e senza appello, riconoscendo in esso una delle cause
dell’arresto nella ricerca creativa e uno strumento di
autoleggittimazione dell’ordine sociale.
La battaglia per un cinema che
cresce e usi le esperienze
dell’autore come qualunque altra
forma d’arte, un cinema che sia
capace di affrontare i comitati
di attribuzione dei finanziamenti
e dichiarare che alla base di
ogni lavoro sta l’esperienza32
Oggi l’erede della cinepresa super8, intesa come
mezzo di espressione, è la video camera digitale a bassa
risoluzione in dotazione sui cellulari.
Nel nostro mondo frammentato e liquido, per citare
l’immaginario di Zygmunt Bauman, la telecamera
da cellulare assume due caratteristiche principali:
compartecipa alla sovrapproduzione di immagini,
spesso senza un valore o un significato preciso, che
trovano giustificazione nello stesso processo bulimico di
produzione smodata che ha come unico obbiettivo il suo
perpetuarsi.
Permette la rinascita della produzione amatoriale che
garantisce un’autonomia della ripresa e una genuinità
della registrazione in grado di aprirsi e investigare sui
bisogni e costumi della società che li produce.
La telecamera del cellulare è l’equivalente
contemporaneo della cinepresa super8, per capacità
dinamica, per leggerezza ed aggiunge l’immediatezza
della trasmissione dei dati.
Se da una parte si perdono risoluzione e qualità
dell’immagine, dall’altra si acquista rapidità di scambio
del dato e dell’informazione.
È importante sottolineare come la diffusione di
telecamere di sorveglianza, di telecamere a bassa
risoluzione e lo scambio in rete di immagini da esse
prodotte, stia determinando uno spostamento percettivo
nella decodifica del linguaggio visivo che porta ad
attribuire alla bassa risoluzione il valore di documento.
Questo processo è alimentato dall’utilizzo di questi
mezzi all’interno di organi di informazione col fine di
testimoniare episodi di cronaca e dare veridicità alla
ripresa e determina l’innalzamento dell’estetica a bassa
risoluzione a prova della realtà.
La diffusione di questo tipo di telecamera e le modalità
in cui viene impiegato hanno generato, di contraccolpo,
un movimento in contro tendenza, che, recuperando le
tecniche più desuete, fa del recupero dell’analogico il suo
campo di battaglia.
Esiste oggi un collettivo di autori “Fronte Resistenza
Analogica” che rifiuta l’idea della produzione digitale
applicata a qualsiasi formato e supporto visivo, a favore
del recupero e per una ricerca legata alla pellicola.
Analoge Widerstandsfront (Fronte
di resistenza Analogica) nasce tra
Berlino, Lepzig e Hannover.
È un movimento informale
costituito da film-makers
indipendenti e sotterranei
che rivendicano l’utilizzo e la
sopravvivenza di mezzi analogici
per fare cinema, come le vecchie
cineprese e proiettori 16mm
e super8. Il movimento nasce
dalla volontà di mantenere viva
la memoria e l’uso di cineprese
e pellicola, e altre tecniche
analogiche per la registrazione
del suono, sostenendo un utilizzo
sperimentale, documentario
autoriale e amatoriale della luce
e dell’emulsione. Non e’ contro
il digitale o le nuove tecniche
di produzione, ma si costituisce
come vera e propria resistenza al
consumo tecnologico esasperato
e dettato dal mercato. Nasce
per riciclare quello che viene
buttato e scartato. Vecchie
cineprese, pellicola scaduta,
filmini amatoriali. E’ un fronte
aperto di sperimentazione e
di idee. Il montaggio, per i più
puri e fortunati, è su moviola. Il
montaggio digitale e la diffusione
digitale (internet, dvd) non sono
nocivi alla causa e sono la norma.
Il movimento si contrappone
al mercato, elaborando una
produzione sempre e comunque
libera da copyright, che favorisca
una libera circolazione del film,
quale esso sia, sotto forme di
creative commons e copyleft.
Il fronte analogico chiama a
raccolta e invita alla resistenza!33
Nell’opera di Derek Jarman il principio di commistione
di tecniche e linguaggi si declina nell’applicazione
congiunta di super8 e pellicola.
Il linguaggio a cui l’autore approda è un superamento
del principio narrativo, concepisce una struttura in cui
si sviluppa una narrazione dilatata nelle immagini, in
cui non esiste un filo logico temporale predeterminato.
Jarman crea un’opera caratterizzata dalla molteplicità dei
materiali elaborati nella più totale libertà e autonomia.
Esclude e respinge le strutture convenzionali imposte
dalla logica televisiva, in favore di un discorso radicale
che si presta a molteplici letture e interpretazioni. Chi
osserva è chiamato a ricucire con cura i vari frammenti, è
padrone di ciò che guarda ed è lasciato libero di costruire
una propria interpretazione logico-temporale.
Questa pratica impone allo spettatore di decodificare
e assorbire in prima persona l’opera, lo porta in una
posizione di responsabilità sollevandolo da una
condizione passiva di fruitore inattivo.
Le esperienze personali e il vissuto dell’autore sono il
motore per un’analisi delle realtà e problematiche sociali;
attraverso il lavoro Jarman procede in una verifica del
vissuto e, viceversa, il vissuto diviene la base emotiva del
suo operato. Questa comunione fra opera e vita rende
l’autore un esempio di coerenza nella sfera pubblica e
privata.
In Jubilee il processo creativo di commistione di
tecniche avviene nella sequenza 3: Amyl Nitrate tiene
una lezione di storia dove si innesta come un flash
back la danza intorno ad un falò di libri, citazione
esplicita dell’episodio avvenuto nel 1933 a Norimberga.
Intorno ad Amyl danzante vediamo figure nude con
sproporzionate maschere classiche: i significanti si
sovrappongono, derivati da fasi storiche differenti e
ricongiunti in una sequenza allucinata e vagamente
grottesca. Questa sequenza, nella sua architettura fatta
di citazioni e di simboli intrecciati, trasmette un senso
di inquietudine che non si esaurisce nella visione ma
che, grazie alla somma dei valori semantici del collage,
scardina le strutture tradizionali di decodifica e impone
allo spettatore un’attenzione diversa.
Nei lavori in super8 la costruzione è generata
dall’associazione-ricollocazione di stesse parti di pellicola
con cui l’autore gioca ripresentandole in colorazioni
differenti, in montaggi combinati e ricombinati.
Con questo metodo Jarman innesca un processo
caratterizzato dalla perdita di confini: i film divengono
l’uno il complemento dell’altro e si caratterizzano per
una natura mutevole e alchemica.
La struttura si espande, scavalcando le rigide regole
imposte dal cinema commerciale e coinvolge lo
spettatore in un processo poetico di costruzione di senso
di natura visionaria.
A Londra Cosey fan Tutti e Genesis
P. Orridge alternavano performance
artistiche sotto il nome di Coum
Transmission, ed i concerti punk con
la formazione Throbbing Gristle. Nel
1976 COUM fecero scandalo a Londra
organizzando la loro esposizione
“Prostitution” all’Istituto di arte
contemporanea, in cui presentavano
alcuni materiali provenienti da altre
attività di Cosey, modella per una
rivista pornografica. Questo provocò
un intenso dibattito sulla stampa e
in Parlamento. Nonostante l’invito
specificasse che l’accesso era
proibito ai minori, la stampa ne fu
indignata e accusò L’Art Council (che
in parte finanziava l’Istituto di cultura)
di sprecare i soldi dei contribuenti.
In seguito, COUM fu ufficiosamente
interdetto dalle gallerie d’arte inglesi.
Stesso risultato ottenuto dai Sex
Pistols l’anno seguente quando i loro
pezzi furono censurati dalle radio.34
IN TG psychic rally in Heaven del 1981 Jarman offre uno
sguardo sul mondo underground e punk inglese degli
anni ’70/’80.
Throbbing Gristle (Erezione Fulminante) nasce in
Inghilterra nel 1975, la band trova il suo leader nella
figura di Genesis P-Orridge, gli altri membri sono Chris
Carter, Cosey Fanni Tutti e Peter Christopherson. Una
delle caratteristiche più radicali rispetto ad altri gruppi
inglesi loro contemporanei, è l’assoluta mancanza di una
preparazione musicale, l’idea è quella che l’attitudine
e il messaggio proposto sono superiori e hanno la
priorità sulla preparazione tecnica, quindi l’arte è
aperta e non si definisce unicamente in una tradizionale
categorizzazione qualitativa di bello-brutto, musicarumore.
Nella sua breve parabola (1975-1981)
la missione dei TG è stata esemplare,
sia dal punto di vista dell’innovazione
sonora (rumorismo estremo, cooptato
da krautrock ed elettronica colta,
ma reso più tagliente e diretto) che
da quello dell’autogestione totale,
refrattaria a ogni censura o sistema di
controllo. COUM Transmissions aveva
già portato al limite la provocazione
nei confronti del pubblico in ambito
di rassegne artistiche e installazioni
museali. La ricerca di Gen e Cosey
necessitava di uscire dal “territorio
protetto” delle gallerie d’arte per
raggiungere un auditorio più vasto e
differenziato, come appunto quello
della musica popolare.35
I TG rappresentano il mondo visionario e radicale
della cultura punk inglese, applicando il metodo
della decomposizione e ricollocazione dei significati
nel campo antimusicale di cui sono incarnazione.
Le performance ripropongono una realtà invivibile
e orribile, espressione organica dell’idea di un
mondo degenerato e sono speculari alla società
violenta e disgustosa in cui si trovano ad operare. La
sperimentazione, condotta attraverso il campionamento
di suoni, apre la strada alla musica industriale
sviluppatasi negli anni successivi.
Nel film Jarman ci presenta la figura sfumata di Genesis
all’interno di una cornice rarefatta e infuocata dai toni
brucianti, questa immagine porosa diviene lo sfondo
della parte sonora e del testo che è un estratto della
confessione di un giovane americano accusato di stupro.
Nella sperimentazione dei TG l’utilizzo di suoni ritrovati
e campioni pre-registrati si accompagna con l’impiego
di immagini fotografiche e frammenti video; entrambi
sono realizzati sul modello di intervento Cut-up e, in
questo caso, si legano alle sperimentazioni sonore ed
alla filosofia di John Cage e alle ricerche espressive di
Burroghous.
Grazie alla relazione con Burroughs le pratiche
sperimentali di Genesis P-Orridge si radicalizzano
e inaspriscono la critica verso la società e i mezzi di
comunicazione.
GPO: When I began I wanted to be a
writer, I wanted to write books, but I
also wanted to be a fine artist. I began
doing performance art and mail art and
so on in the 70’s. The performance art
with Coum became really quite well
respected; we were doing big shows
in Milan and in Museums and so on.
Basically in the background was the
music, I started creating audio soundscapes. When what we were doing
became acceptable to the art world,
it seemed we had proved our point.
One of the points was that you didn’t
need traditional training to produce
something that was valid and valuable
in the art world. And so we took on
something else, which was music. I
never stopped making art all the way
through, I always carried on doing
drawings and collages. It became the
one thing I had that was mine. It was
secret, no one else knew about it, and
no matter what else was going on, I
always had the collaging and the secret
visual material to come back to that
was mine. In the 60’s I really believed
that every individual had what I used
to call the genius factor. I believed that
without exception everyone had some
skill, some ability to do something
completely unique that was only
theirs that would add something to
the world. But the education system,
the way that society conditions
people, fundamentalism whether it be
religious, political, economic or tribal,
the environment that you are born into
conspires deliberately to suppress that
genius factor. You are not encouraged
to find your marvelous skill, the thing
that you see that no one else sees,
that you have and absolute right to see
and to express to others, and that the
world was supposed to evolve by the
sharing and discovery of everybody’s
highest potential. I was an idealist
and a utopian, and I still am. All the
projects that I worked on were very
much about beginning without the
expected skills. Without a record label
if you were going to be a band, without
being able to play an instrument in
a traditionally clever way, or if you
couldn’t draw perfectly you could use
collage or some other way to create.
A way for people to create an icon of
their uniqueness. That was one of the
real ideas behind all of it was that you
didn’t need traditional support systems
or traditional ways of thinking or being.
So with the Coum performances, apart
from that it was a personal journey
of breaking taboo’s and inhibitions, I
wanted to wipe the board clean as a
being and say to myself “nothing has
to be accepted that I was given.” Not
my name, not my gender, not my social
class, not what I’m expected to do for
a living, I have an absolute right to
choose what I want to be, and that’s
how Neil started building Genesis. He
said “OK, I have this blank concept of
a being that I have the right to be, the
one I wasn’t told about by society. Let
me build him or it. Throbbing Gristle
was like that too, it was very much
about four people who couldn’t play
their instruments, finding a way with
music and with sound, to actually
discover something so inevitable in
terms of expression of life. So each
project was very much rooted in that
basic ideal that if you really break
everything that you’ve been told you
can be. If you don’t accept anyone
else’s voice in terms of what you can
be as a person, then you will start to
see and find who and what you really
are. I think that looking back now,
Genesis has almost been a mirror of
the way that society’s been changing
over these decades.
My concerns have altered from using
music as a platform to contemporary
times where I’m very naturally
interested in cosmetic surgery and
transgender and the manipulation of
the human body itself as is the world
outside, if you look at the national
enquirer. I’m looking at it from an
artist’s point of view and theoretically,
but in a way I’m just like every body
else, and that’s the concern of every
housewife who’s trying to decide
whether or not to get breast implants.
I think the artist somehow takes the
concerns that the psychology of their
society is obsessed with or afraid of or
unable to give shape to and describe to
them. I’m trying to say that the artist
ultimately is the mirror of the society
that they’re in, and I’ve created a
mirror that changes the same way that
society does.36
Pirate Tape girato nel 1983 è la testimonianza di Jarman
dell’interesse intorno alla figura di W.Burroughs diffuso
nell’Inghilterra di quegli anni.
Nel film in Super8 si mostra l’arrivo di B. ad uno
degli appuntamenti della rassegna “THE FINAL
ACADEMY”, organizzati da Genesis P.O. in
collaborazione con David Dawson, Roger Ely a partire
dal 1982. L’arrivo dello scrittore è un lento passaggio
di macchine, il ritmo grave e ovattato, una presenza
impalpabile e fulminea. Lo vediamo arrivare in
compagnia di giovani accompagnatori, scendere dal taxi,
entrare nel bistrò; poi, da dietro i vetri, lo si vede leggere
poesie, uscire di nuovo, firmare una dedica ad un ragazzo
e, infine, allontanarsi dissolvendosi nel traffico. Jarman
documenta questo passaggio con delicato distacco quasi
reverenziale, la camera accarezza la figura senza forzature,
ne coglie i dettagli, registra la storia e rivela l’uomo.
L’atto di filmare diviene omaggio, è un tributo alla storia
collettiva filtrata dallo sguardo penetrante dell’esperienza
individuale.
Posso pensare a scrittori grigi? Forse
Beckett. Certamente, William Burroughs.
Il primo per le sue opere, il secondo
per il suo aspetto. Un gentiluomo sotto
il cappello grigio perla. Grigio nella
prigionia dell’eleganza sartoriale.
Frate Grigio francescano. Eminence
Grise.37
Da ciò deriva in essi una specie
di rattrappimento delle facoltà
intellettuali e morali. La responsabilità
della televisione, in tutto questo, è
enorme. Non certo in quanto “mezzo
tecnico”, ma in quanto strumento del
potere e potere essa stessa. Essa
non è soltanto un luogo attraverso
cui passano i messaggi, ma è un
centro elaboratore di messaggi. È il
luogo dove si concreta una mentalità
che altrimenti non si saprebbe dove
collocare. È attraverso lo spirito
della televisione che si manifesta in
concreto lo spirito del nuovo potere.
Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati)
che la televisione sia autoritaria e
repressiva come mai nessun mezzo
di informazione al mondo. Il giornale
fascista e le scritte sui cascinali di
slogans mussoliniani fanno ridere:
come (con dolore) l’aratro rispetto
a un trattore. Il fascismo, voglio
ripeterlo, non è stato sostanzialmente
in grado nemmeno di scalfire
l’anima del popolo italiano: il nuovo
fascismo, attraverso i nuovi mezzi
di comunicazione e di informazione
(specie, appunto, la televisione), non
solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata,
violata, bruttata per sempre
P.P.P.
Arancia Meccanica è sicuramente una pellicola
all’avanguardia rispetto alla tematica della manipolazione
dei Media sulle coscienze dei singoli individui. Il film
è ispirato dall’omonimo libro di Anthony Burgess del
1960.
Attorno al 1960, in Gran Bretagna
tanti cittadini rispettabili
cominciarono a lamentarsi per
l’aumento della delinquenza giovanile
e suggerirono [che i giovani criminali]
potessero essere una razza inumana,
meritevoli perciò di un trattamento
inumano... Allora c’erano persone
irresponsabili che proponevano una
terapia costrittiva... Alla società,
come al solito, veniva assegnata
l’importanza maggiore. I delinquenti
ovviamente non erano abbastanza
‘umani’. Essendo minorenni, non
avevano il diritto al voto. Erano
‘loro’ opposti a ‘noi’, e questi ultimi
rappresentavano la società.
Anthony Burgess
Il film si ispira alla versione del libro americana
distribuita senza il capitolo conclusivo, in cui
Burgess aveva inserito una volontaria redenzione del
protagonista, socialmente confortante ma poco brillante.
Esistono due versioni del romanzo,
ma io ho letto quella che contiene un
capitolo in più solo dopo aver lavorato
per molti mesi alla sceneggiatura.
Sono rimasto sorpreso, perché non
c’era alcun rapporto con lo stile
satirico del resto del libro; credo che
l’editore sia riuscito a convincere
Burgess a chiudere con una nota
di speranza, o qualcosa di simile.
Sinceramente, quando ho letto
quell’ultimo capitolo non potevo
credere ai miei occhi. Alex esce
di prigione e torna a casa. Uno dei
ragazzi si sposa, l’altro sparisce, e alla
fine Alex decide di diventare un adulto
responsabile.
Stanley Kubrick
Molto suggestiva è la posizione che assume la storia
rispetto alle strategie di condizionamento. La terapia
per l’azzeramento dell’istinto violento e il recupero del
soggetto avviene attraverso un uso invasivo dei media:
il trattamento studiato dal potere è definitivo, Tecnica
Ludovico, consiste in una miscela fisiologicamente
nauseante di immagini violente e gratuite unite a brani
musicali distorti. Alex il protagonista del film è la cavia
per questa nuova terapia che, sradicando il godimento
innato nel perpetuare violenze, lo restituirà alla società
come essere innocuo in soli quindici giorni. La terapia
effettivamente dà il suo risultato, rendendo il soggetto
completamente incapace non solo di praticare ma di
rispondere con la forza ad azioni aggressive rivolte contro
di lui. Alex riporta anche un’atroce repulsione verso la
Nona sinfonia di Beethoven, la composizione preferita
da uomo libero ma che dopo essere stata utilizzata nella
terapia Ludovico è divenuta insopportabile all’ascolto.
Sarà grazie a questa repulsione che dopo una serie di
sfortunati incontri Alex tenterà il suicidio, cambiando
così le sorti della sua presunta resurrezione come
uomo sano ed andando a determinare un paradosso
di significato in cui il potere legittimerà la sua violenza
INT. LUDOVICO CENTRE primo giorno
Alex (voce fuori campo) - Eccome se li sbirciai i film, ma un cine così non l’avevo mai visto in vita mia.
Mi misero una camicia di forza e mi attaccarono un sacco di fili elettrici al “gulliver” e i divaricatori per non
farmi chiudere gli occhi in nessun modo.
Una roba un pò folle ma io li lasciai fare, per tornare un libero “malchick” in quindici giorni avrei sopportato
ben altro, fratelli.
incontrollata pur di perpetuare se stesso.
Il finale del film esprime la simbiosi fra violenza e
autorità e sottolinea la contraddizione di un potere che
vuole rieducare alla non-violenza.
L’autorità che si dichiara contro la violenza e promuove
una rieducazione è ingannevole, in quanto il potere
è violenza e si esprime attraverso di essa. Arancia
meccanica è un film che anticipa le visioni post-punk e
che indica una strada di riflessione intorno all’uso dei
mezzi di comunicazione, oltre che sviluppare un’idea
di substrato giovanile aggressivo e disadattato ma
perfettamente in linea con la società di cui è figlio. Il
film è drammaticamente attuale anche come strategia
di tortura. Alex viene tormentato da una delle sue
stesse vittime che lo obbliga all’ascolto ripetuto dello
stesso, insopportabile brano (in questo caso la Nona di
Beethoven), questa sembra essere oggi una delle pratiche
adottate dal potere statunitense nelle torture imposte ai
prigionieri accusati di terrorismo. La natura della musica
rock e pop viene trasformata: da intrattenimento diviene
ossessione che condanna alla follia o, come nel caso del
film, al suicidio, sicuramente, se non suicidio del singolo,
al suicidio dei valori etici di una società disumana e alla
deriva.
Il primo era un bel pezzo di cine come quelli di Hollywood, il sonoro era un delirio, ti “slusciavi” sia le urla e i
lamenti molto realistici, sia i respiri e i gemiti dei “taroccati” contemporaneamente.
E poi, senti senti, il nostro vecchio amico vino rosso ch’è uguale dappertutto visto che lo fa la stessa ditta,
comincia a scorrere, una bellezza. è strano come i colori del mondo vero sembrano veramente veri solo
quando li sbirci sullo schermo
Però mentre mi godevo lo spettacolo, cominciavo a sentire che non stavo tanto bene e detti la colpa alla
pappa e alle vitamine. Cercavo di non pensarci concentrandomi sul film che veniva dopo, dove si vedeva
una giovane “devotchka” che veniva violentata al “dentro-fuori”. Prima da un “ malchick” poi da un altro e un
altro ancora, al sesto o settimo “ malchick” sghignazzante che glielo metteva dentro, comincia a sentirmi
veramente male, ma non potevo chiudere i globi, nemmeno girando i globi riuscivo a distogliere lo sguardo
da quelle immagini.
- Liberatemi. Voglio vomitare, datemi qualcosa per vomitarci dentro!
DR. BRODSKY - Tra poco il farmaco indurrà nel paziente una specie di rigor mortis, insieme a sensazioni di
profondo terrore e impotenza.
Un precedente paziente parlò di stato simile alla morte per soffocamento o annegamento. È In questa fase
che il paziente registra le più utili associazioni fra la sua catastrofica esperienza ambientale e la violenza a
cui assiste
Alex - Lasciatemi stare i globi!
INT. LUDOVICO CENTRE - secondo giorno
Alex (voce fuori campo) - E arrivò l’indomani fratelli, e io avevo fatto del mio meglio, mattina e pomeriggio
per stare al gioco, da bravo “malchick” disponibile, sulla sedia della tortura, mentre passavano robaccia
ultra-violenta sullo schermo, con il solo accompagnamento della musica.
Poi, nonostante il dolore e la nausea mi resi conto che quella musica, rimbombante, scoppiettante era del
mio amico Ludwing van: il quarto movimento della Nona Sinfonia.
ah, ah, ah
Alex - No no, fermatelo fermatelo vi prego, basta! È un delitto, un delitto!
DR. BRODSKY - Delitto? Come sarebbe a dire?
Alex - Usare Ludwing van per questo: lui non ha fatto male a nessuno.
Beethoven scriveva solo musica.
DR. BRANOM - Ti riferisci alla musica di fondo? Tu hai già sentito Beethoven?
Alex - Si!
DR. BRODSKY - Quindi ti piace la musica.
Alex - Si!
DR. BRODSKY - È inevitabile. Forse l’elemento punitivo è proprio questo
il capo dovrebbe esserne fiero. Mi dispiace Alex. È per il tuo bene.
Devi sopportarci ancora un po’.
Alex- Ma non è giusto, Non è giusto farmi star male mentre ascolto il mio amico Ludving Van
DR. BRODSKY - Devi cogliere l’occasione figliolo, la scelta l’hai fatta tu
Alex - Non c’è bisogno di insistere mi avete convinto: Ultra-violenza e morte sono un male. Un male, un male
terribile. Ho imparato la lezione. Ora capisco quello che non avevo capito prima. Sono guarito, grazie a Dio.
DR. BRODSKY - Non sei ancora guarito, caro.
Alex - Ma signore, signora, ora so che è un male! Un male perché è antisociale, perché tutti hanno diritto
alla vita e alla felicità, a non essere “taroccati” e accoltellati.
DR. BRODSKY - No no, ragazzo, tu devi lasciar fare a noi, ma prendila con allegria. Fra meno di due settimane
tornerai ad essere un uomo libero.
DECODER - IL FILM
di Klaus Maeck
Fino alla meta’ degli anni ottanta,
Berlino e Amburgo sono state il centro
europeo delle controculture. in questo
scenario si muovono gli straordinari
personaggi di questo cult-film, uno dei
pochi veramente underground del
periodo.
Nel 1984 Klaus Maeck girò un
film underground che diventerà
profetico. Con una colonna sonora
straordinaria per l’epoca - Soft Cell,
Einsturzsende Neubauten, The The e un cast di attori eccezionale - W.S.
Burroughs, G.P. Orridge degli Psychic
TV, F.M. Einheit degli Einsturzende
Neubauten e la vera Christiana F.
(dello Zoo di Berlino) - questo film
sintetizzò l’innovazione trasgressiva
che il punk portò nel campo della
comunicazione e intuì la rivoluzione
del cyberpunk. La trama: un punk
scopre che nei “McDonalds” viene
diffusa “Muzak”, una musica che
condiziona i comportamenti degli
avventori, riducendoli a una massa
acritica di pecore. Non potendo
tollerare questa situazione sente
l’urgenza di “decodificarla” e crea
un “antiMuzak” diffondendola negli
stessi “McDonalds” e producendo
reazioni violente di ribellione. Sebbene
ricercato dai servizi segreti riesce
a diffondere questa pratica a livello
di movimento. Un lieto fine: al suono
dell’antimuzak scoppia la rivoluzione
(con vere immagini di scontri di
piazza).Vuoi ricevere un sample
vocale di Genesis P.Orridge tratto
dal film:”L’informazione è come una
banca. Il nostro compito, il vostro
compito è rapinarla.”
W. Burroughs dice : Se hai un
problema parti da 0 3 e 6. Se non vuoi
niente di speciale eccoti questo”.38
In Jubilee la televisione è un oggetto dedicato, in
particolare, alla musica, nei momenti di noia i ragazzi
guardano le band suonare attraverso lo schermo, per loro
sono uno specchio, una prospettiva.
La televisione crea dei modelli da imitare o un traguardo
a cui aspirare, ma qualunque sia la sua finalità procede
generando sentimenti negativi: Kid, osserva Lounge
Lizard in tv e sembra avere come unico pensiero di
sostituirsi a lei nelle classifiche e quindi entrare attraverso
il piccolo schermo nelle case. Lounge Lizard si osserva in
tv in preda ad un attacco narcisistico che rivela l’orribile
egocentrismo delle star televisive. La televisione innesca
un meccanismo di competizione e di odio che, anticipato
dal coltello di Bod puntato sullo schermo verso il
volto di Lounge Lizard, culmina con il truce omicidio
della rockstar. Il mondo televisivo è vissuto come una
minaccia da Jarman che ne rivela l’aspetto perverso e
sopratutto la completa sottomissione al denaro e alla
cultura perbenista e censoria.
Pasolini aveva indovinato il
suo bersaglio. Mi chiedo se gli
piacerebbero i miei film; come i suoi,
appartengono ad una tradizione antica
e questo è il motivo per cui vengono
fraintesi dai dirigenti delle tv abituati
dal mondo florido delle pubblicità,
cooptati dalle necessità del consumo.
Anche i sindacati sono complici di
questo mercato, e preferirebbero
incassare un quarto di milione di
sterline per lo spot di un profumo,
piuttosto che fare un film serio per
lo stesso compenso. Non c’è alcuna
difesa dei valori in questo ambiente
senza valori39
Il condizionamento e le strategie di sottomissione messe
in atto dai poteri attraverso i media, sono stati al centro
delle riflessioni intellettuali sia in campo sociologico
che artistico. Con lo svilupparsi delle nuove tecnologie
le televisioni hanno assunto una posizione di rilievo
all’interno di quest’indagine in quanto strumento
invasivo che, attraverso l’immagine in movimento, nella
staticità e nell’imposizione del format e dei modelli
presentati, ha determinato un’assuefazione passiva
dell’informazione e della cultura. Oggi il mondo
televisivo si trova in una condizione curiosa in cui
sembra aver assorbito gli stessi effetti collaterali che ha
imposto per anni ai suoi utenti: alienato e lontano dalla
contemporaneità è in grado di parlare solo di se stesso,
di riciclarsi in riproduzioni sempre più sbiadite e vuote
di significato, di esprimere solo meta-televisione che
interessa sempre meno e che ha prodotto un pubblico
sempre più specializzato e isolato di utenti. In questo
processo sta perdendo il ruolo di detentore delle verità
sul reale, chiuso e solo nel mondo che propone. La
malattia della televisione è evidentemente accompagnata
dallo sviluppo orizzontale della rete: internet ha
ricollocato il pubblico al centro, restituendogli il potere
di selezionare e la libertà di scegliere gli argomenti da
indagare e di cui fruire. Inoltre il sistema interinale
rende protagonista l’utente in quanto diviene egli stesso
produttore di contenuti da promuovere e a cui dare
spazio nella rete.
Se questo mezzo avesse avuto forma prima di
cinquant’anni di televisione sarebbe oggi uno strumento
di controcultura ben più radicale di quello che è. Oggi,
dopo aver attinto dalla scuola della cattiva maestra
televisione, subendola, spesso l’utenza si trova in rete
come un bambino che rimane solo in classe e che, in
preda ad un’eccitazione serotoninica dovuta all’eccesso
imprevisto di libertà, rimane istericamente confinato in
azioni compulsive in cui non esprime niente.
Altrove, proprio grazie alla spontaneità con cui si
interviene in rete, si determinano degli ambiti di
conoscenza e di riflessione a cui non siamo più abituati
e che ci sorprendo. Lo spazio dei blog, dei siti, lo spazio
video di youtube hanno ridato effettiva energia alla
libera manifestazione di sé. Anche là dove è presente un
desiderio di protagonismo dal sapore televisivo, queste
“contaminazioni” vengono immediatamente assorbite
dalla mole inimmaginabile di materiali, ricollocandosi
nella dimensione dell’intervento intimo, talvolta ironico
talvolta patetico ma comunque sempre un innocente
sguardo del singolo sul reale. L’aspetto che ancor più
interessa è la possibilità di connessione e condivisione
che si esprime attraverso la rete. La trasversalità della
rete consente la nascita di relazioni e gruppi attraverso
un sistema indipendente che ha come unica regola il
reciproco interesse e la sostituzione di modalità aperte
alle leggi e norme date che regolano le relazioni sociali
T.A.Z.
zone temporaneamente autonome
Le rivoluzioni artistiche
si ritraggono negli spazi domestici40
Il concetto di TAZ viene presentato dall’intellettuale
Hakim Bey, maestro sufi, nomade e esponente di rilievo
della controcultura americana. Nel suo trattato sulle
TAZ ci propone una strategia sia pratica che virtuale
di insurrezione, uno spazio mentale che diventa
un’isola nella rete e nel vissuto attraverso cui creare
delle fratture nel sistema di potere e tramite cui dare
corpo ad un processo relazionale alternativo. Questa
strategia consente un effettivo superamento delle
dinamiche relazionali, frutto delle leggi del sistema e
delle imposizioni cognitive dei media. La prospettiva di
sovvertimento offerta dalla rete sviluppa un interessante
processo di networking che investe l’utenza a tutti i
livelli.
La TAZ è come una sommossa che
non si scontri direttamente con lo
stato , un’operazione di guerriglia
che libera un’area (di tempo di terra,
di immaginazione) e poi si dissolve
per riformarsi in un altro dove, in
un altro tempo prima che lo stato la
possa schiacciare. Poiché lo Stato
è occupato primariamente con
la Simulazione invece che con la
sostanza, la TAZ può occupare queste
aree clandestinamente e portare
avanti il suo scopo festivo per un
bel po’ in relativa pace. Forse certe
piccole TAZ sono durate intere vite
perché passarono inosservate, come
enclavi Hillibillies – perché non si
intersecarono mai con lo Spettacolo,
non apparirono mai fuori da quella vita
reale che è invisibile agli agenti della
Simulazione.41
Il pensiero di Bey promuove un recupero in positivo
della pratica insurrezionale che, nell’accezione comune,
corrisponde ad un fallimento rivoluzionario. Qui invece
l’idea di insurrezione viene considerata come la rottura
di quella circolarità costante che impone, dopo ogni
rivoluzione, una restaurazione, tradotta in uno stato
maggiormente oppressivo e reazionario. L’insurrezione
si manifesta come un prendersi cura di sé, dei propri
interessi e impone una pausa nella struttura del sistema.
La sua forza consiste nella capacità di non essere
visibile, di imporsi come una rottura senza determinarsi
in un’aggressività espressiva, ma lavorando in modo
sotterraneo e autonomo.
La TAZ è accaduta accade e accadrà
con o senza computer. Ma perché la
TAZ raggiunga il pieno potenziale,
deve venire meno una questione di
combustione spontanea e più di “isole
nella rete”.42
Sul piano dei media, la TAZ si definisce e trova spazi
aperti al suo manifestarsi all’interno della rete interinale.
La rete si divide in tre linee di concetto: la rete medesima
(si esplica nella totalità di tutto il trasferimento di
informazione e dati), la Tela (che sfruttando i vuoti
della rete costruisce una sua struttura alternativa e
orizzontale di scambio informatico), la Contro-Rete
(si determina nell’uso clandestino e sovversivo delle
informazioni della Tela stessa). Questi termini non
sono aree definite e chiuse, non indicano una struttura
rigida, ma propongono delle tendenze con cui mettere in
circolazione informazioni. La Tela di fatto si costituisce
nelle pratiche di fanzine marginali, software piratato,
hacking anche in relazione alla stampa e alla radio. È
attraverso gli strumenti della Tela che la TAZ trova
interstizi che le permettono di realizzarsi in una costante
costruzione di relazioni mutevoli.
Il fascino manifestato dal concetto di TAZ come strategia
contro-culturale risiede nella contemporaneità dei mezzi
attraverso cui si esprime, unita ad una arcaica necessità
di determinarsi fuori dalle regole imposte. Il parallelismo
fra pirati dei mari del XVIII secolo, che avevano creato
delle roccaforti in cui vivere fuori dal sistema, e i pirati
della rete che creano isole in cui realizzare informazione
in modo autonomo a scapito del potere, crea un filo
scenografico di fondo che unisce non tanto due epoche
quanto le esigenze libertarie espresse attraverso l’azione
sovversiva.
La TAZ è un accampamento di
guerriglieri ontologici: colpire e
fuggire mantenere l’intera tribù
in movimento, anche se si tratta
solo di dati nella rete. La TAZ deve
essere capace di difesa; ma sia
l’attacco che la difesa dovrebbero,
se possibile evadere la violenza
dello Stato che non è più violenza
significativa, l’attacco è portato a
strutture di controllo essenzialmente
a idee; la difesa è “l’invisibilità”,
un’arte marziale, e “invulnerabilità”
un’arte occulta fra quelle marziali. la
Macchina di Guerra Nomade conquista
senza essere notata e si muove
prima che la mappa possa essere
aggiornata.
I media ci invitano a celebrare i
momenti della vita con l’unificazione
spuria di merce e spettacolo, il famoso
non-evento di pura rappresentazione,
in risposta a questa oscenità abbiamo
da una parte la gamma
del rifiuto (cronologizzata
dai situazionisti, John
Zerzan, Bob Black ed altri)
e dall’altra l’emergere di
una cultura festale rimossa
e anche nascosta dagli
aspiranti manager del nostro
tempo libero. Lotta per il
diritto alla festa è difatti
non una parodia della lotta
radicale ma una nuova
manifestazione di essa,
appropriata per un’era che
offre tv e telefonini come
maniere per “Esserci!”
maniere per “avvicinarsi
e toccare” altre creature
umane43
Nonostante lo stesso Hakim Bey
sia progredito nella sua idea di spazi
liberati e nella riflessione sul concetto di
rivoluzione e insurrezione, completando
la sua filosofia anarco-sociologica, le
TAZ rimangono una concreta ipotesi
sovversiva, da considerare come work in
progress e come un nuovo strumento in
mano alle controculture.
Come i corsari erano stati in grado
di creare “Utopie Pirata”, il punk è
stato un moto insurrezionale in cui si
sono sviluppati spazi che, anticipando
la teorizzazione delle TAZ, hanno
sintetizzato, percorso e creato occasioni
per la prolificazione di tali Utopie.
Victor charlie
Via Fiorentina, 6 Corte Tizzi
Pisa
La costruzione del V.C fu una cosa incredibile. Si tingeva una parete e poi, se a
uno non piaceva, la si dipingeva di un altro colore. Poi arrivava un altro ancora
a cui quel colore non garbava e allora lo cambiava nuovamente e così via…
Arrivammo ad avere delle pareti con strati di tinta spesse un dito, ma non servì
a niente perché vennero ricoperte da scritte e graffiti44
L’essenza della festa: faccia a faccia , un gruppo di umani sinergizzano i loro
sforzi per realizzare desideri muti, che siano il mangiare, il bere e l’allegria, il
ballo, la conversazione, le arti della vita; forse anche il piacere erotico, o per
creare un lavoro artistico in comune, o per raggiungere il vero trasporto della
gioia – in breve una “unione di egoisti” (come la mise Stirner) nella sua forma
più semplice – oppure nei termini di Kropoktin una spinta biologica di base
verso il “mutuo soccorso”45
giovanile fortemente autonoma e la grande e costante
partecipazione agli eventi del Victor Charlie produssero
immediatamente una reazione volta ad interromperne
le attività. La forza del Victor Charlie fu un composto
esplosivo in cui una realtà così marginale come quella
pisana riuscì a sostenere e alimentare un continuo
scambio di esperienze. L’attività era più intensamente
vissuta quanto più il tempo a disposizione era ristretto,
ed esprimeva il suo valore politico in una costante azione
di vita. Con l’avvicinarsi dello sgombero, la resistenza
come pratica attiva trasformava la musica in atto politico,
in strategie di aggregazione e determinava una coscienza
fuori dall’ordinario, consapevole e autonoma.
Al Victor Charlie vennero a suonare
decine e decine di band da tutto il
mondo e questo significava portare
a Pisa centinaia di punks ogni
settimana. Stringemmo amicizia
con tutta la scena punk dal giro
italiano “PunkamiNazione” a quello
californiano di “Maximum Rock’n Roll”.
Il Victor Charlie è stato uno spazio di creazione
musicale unico per il luogo in cui è nato. Le periferie
toscane in particolare in un’area geograficamente
decentrata come Pisa, non avevano niente da offrire né
all’intrattenimento, tanto meno alla sperimentazione.
Il Victor Charlie si insinua quindi come uno spazio
aperto, indipendente e completamente inaspettato che
si autogenera ed autolegittima in una forma spontanea
di aggregazione. Il suo carattere periferico e la forza della
sua portata uniti ad un percorso fulmineo ma quanto mai
profondo rendono questo luogo un antenato della “zona
temporaneamente autonoma”. La struttura organizzativa
attraverso un’impostazione orizzontale, riuscì ad
esprimere un’urgenza aggregativa che coinvolse il mondo
punk.
Il Victor Charlie nasce come affiliazione all’Arci, gli
organizzatori, giovanissimi, non avevano le risorse
per un’occupazione e preferirono lanciarsi in questa
avventura come circolo culturale, raggirando i vertici
dell’associazione nazionale. Nonostante fosse uno spazio
ufficiale, il Victor Charlie non ebbe vita facile e favorendo
modalità creative e relazionali autonome, fuori dalle
regole, si attirò, fin dall’inizio, la sospettosa inimicizia
del vicinato supportata da un controllo e un’attenzione
costante da parte delle forze di polizia.
La capacità di organizzare e coinvolgere una componente
Il Granducato Hard Core non era un
movimento né un’organizzazione, tanto
meno una casta, perché non esisteva
un manifesto ideologico a cui riferirsi:
era una rete di contatti personali e
non, tra persone di diverse città della
Toscana, accomunati dallo stesso tipo
di tensioni sociali e musicali dei primi
anni ‘80. Era l’insieme di chi voleva
far crescere la scena globalmente in
feroce contrasto con gli opprimenti
‘80. In quegli anni dove paninari,
yuppie e arrivismo avevano la meglio,
questa rete, che non si limitava solo
all’ambito musicale, non poteva
che schierarsi senza compromessi
contro la arida società che si andava
delineando.
La violenza che caratterizza Jubilee trova in
questo ambito uno dei suoi riflessi più intensi, la
maggior parte dell’area del Granducato infatti non
si identificava con una prassi pacifista di stampo
Crass, ma rivendicava la violenza come atto dovuto
contro il sopruso. Mad e Bod avrebbero trovato
un posto di spicco in quella realtà provinciale che
aveva partorito una delle esperienze più disordinate
e imprevedibili del movimento. I protagonisti
del Granducato erano capaci di devastazione e
vandalismo quanto i loro compagni delle metropoli
inglesi non avrebbero immaginato. Il mito della
toscana delle dolci colline veniva completamente
soppresso all’ombra della torre pendente, dove si
scatenavano produzioni musicali infuocate e le ire di
giovani in rivolta.
Noi sniffavamo anestesolo, colla
per aereo-modelli, quando si trovava
tiravamo lo speed, il rispetto era una
parola che non esisteva nel nostro
vocabolario, si rompeva il cazzo a
tutti… chiunque fosse diverso da noi
era un coglione. Si andava apposta a
chiedere di suonare ai concerti altrui
dai cantautori ai gruppi hard rock, per
poi fare del casino, al minimo discorso
storto scatenavamo risse, e se non
c’era motivo lo trovavamo noi. Non
esisteva ancora una scena punk e
nemmeno un ghettino dove stare, per
cui eravamo una mina vagante e visto
che all’inizio ci prendevano tutti per il
culo, compresi gli extraparlamentari
di sinistra e spesso le abbiamo prese
da tutti – rossi, neri e polizia – si
capì subito che la miglior difesa era
l’attacco. Fummo così costretti a
diventare il terrore della città del
tipo che quando passavamo la gente
cambiava marciapiede. Abbiamo
demolito discoteche, cinema, teatri
e anche un negozio di dischi, ricordo.
Poi impianti voce e microfono non
c’era una cabina del telefono che
non venisse sbriciolata al nostro
passaggio, spaccavamo bottiglie
per strada, il nostro sport preferito
era sputare e mandare a ‘fanculo’
chiunque e infatti i nostri slogan
erano: fuck you o fuck off, destroy the
past e no future.
Per me è giusto che il punk sia stato
tutto questo, ovvero una mano di
bianco su tutta la cultura, sia ufficiale
che antagonista, che c’era stata
fino a quel momento, amplificata
dalla rabbia adolescenziale e
dalle conseguenti violenze, spesso
gratuite.46
Tutta la scena del Granducato si
è sempre contraddistinta per non
essere pacifista. Da altre parti
c’erano crassiani anarko-pacifisti,
noi no... allora quando c’erano delle
manifestazioni nazionali importanti
si scendeva in massa, e quando gli
altri vedevano arrivare il granducato
c’era sempre un po’ di tensione.
Rappresentavamo l’ala dura del
movimento e questo si capiva pure
dalla musica che facevano i nostri
gruppi, sempre la più incazzata 47
Giovani integralisti che
ostentano un’ignoranza
esagerata. Piccola Inghilterra.
Comportamenti criminali nelle
forze di polizia. Piccola
Inghilterra. Nazionalismo
e Westminster. Piccola
Inghilterra.
Piccole città sventrate da
circonvallazioni. Piccola
Inghilterra. Quartieri indigenti
truccati da luoghi storici.
Piccola Inghilterra. L’avida
distruzione delle campagne.
Piccola Inghilterra
La violenza si riversa costantemente contro e
dentro la singolarità dell’individuo, si nasconde in
una tensione espressa anche dall’ossessiva mania
di restaurare l’ordine di tutte le cose, non solo
politico. Questo ha imposto una fase di arresto alla
prospettiva di un mondo liberato da imposizioni
linguistiche, espressive e comunicative.
La società non ha smesso affatto di imporre le
sue regole opprimenti, di confondere l’obbligo
con la seduzione, di regalare strategie di mercato
che costruisco bisogni a tavolino. Il desiderio di
networking dell’essere sociale viene oggi strutturato
e costruito su misura dal potere che mette a
disposizione luoghi reali e virtuali in cui incontrarsi
e riconoscersi, imprigionati come in una cella. I
social netwok sono ambiti preconfezionati dove
ad ogni spazio corrisponde una funzione, dove non
esiste nemmeno la libertà di non sapere dell’altro. Dove
ognuno compila quotidianamente, col sorriso sulle
labbra, una schedatura aggiornata di sé, dei propri amici
e desideri andando ad alimentare un mercato di prodotti
e di idee pilotati e indotti dall’esterno, mettendo in gioco
la propria libertà.
Ma qualcosa è in movimento costante, sta spingendo
sotto, nella crosta magmatica della società e freme come
un vulcano attivo: nella forza espressa negli incendi nelle
banlieue, nei ragazzini delle favelas, nei pirati del Senegal,
là dove non ha attecchito o non ha avuto luogo questo
processo perentorio di abbrutimento, straniamento
glitterato del singolo dal reale. Freme dove la società
civile ancora si riconosce e sente il calore del proprio
corpo in cerca di vita, nella forma indistinta e libera
dell’esperienza, nelle semplici scelte che determinano
un cambiamento, nel desiderio di esprimere un discorso
oirartnoc la olodnaicnunorp, di riprendersi lo spazio
della ricerca, di investigare alternative possibili, di non
scendere a compromessi; nei rifugi di emarginazione
dove sperimentare una diversa strategia dell’esistere.
Sono questi gli ambiti che conservano consapevolezza di
sé e delle libertà difese in una prospettiva di rifondazione
delle pratiche relazionali e linguistiche.
Il Caos non è mai morto. Blocco
primordiale integro, unico mostro
adorante, inerte e spontaneo, più
ultravioletto di ogni mitologia (come le
ombre prime di Babilonia), l’originale
indifferenziata unità d’essere
ancora s’irradia serena, come i neri
stendardi degli Assassini, casuale e
perpetuamente ebbra.
Il Caos arriva prima di tutti i
principi di ordine ed entropia, non
è né dio ne verme, i suoi desideri
idioti comprendono e definiscono
ogni possibile coreografia, tutti
gli insensati eteri e flogisti: le sue
maschere sono cristallizzazioni
della sua stessa assenza di volto,
come nuvole. Ogni cosa in natura
è perfettamente reale, coscienza
compresa, non c’è assolutamente
nulla di cui preoccuparsi. Non solo
le catene della Legge sono state
spezzate, non sono mai esistite;
i demoni non sorvegliano mai le
stelle, l’Impero non fu mai iniziato,
Eros non fece mai crescere la
barba. No, ascoltate, questo è quel
che successe: vi mentirono, vi
vendettero idee di bene e di male,
diedero sfiducia al vostro corpo e
vergogna per il vostro profetare di
caos, inventarono parole di disgusto
per il vostro amore molecolare, vi
ipotizzarono con la disattenzione, vi
annoiarono con la civiltà e tutte le sue
usuranti emozioni.
Non c’è divenire, rivoluzione, lotta,
nessuna via; siete già i monarchi
della vostra pelle – la vostra
inviolabile libertà attende solo di
essere completata dall’amore di
altri monarchi: una politica di sogno,
urgente come l’azzurro del cielo.48
NOTE
D. Jarman, Modern Nature, Ubu libri, Milano, 2004, p.195
17
Ivi nota 7, intervista Cristina Xina
18
1
Guy Debord, La società dello spettacolo. Massari editore, Bolsena, 2002. p. 53
19
D.Jarman, Ciò che resta dell’Inghilterra, Padova, Alek. 2007
2
Jean Genet, Diario di un ladro, Il Saggiatore, Milano 2002
20
R. Vaneigem, Trattato del saper vivere, Castelcecchi, Roma, 2006
3
Dick Hebdige, Sottocultura - il fascino di uno stile innaturale, Costa&Nolan, Milano 2008, p. 80
21
Simon Ford, The situationisti international, Black dog Publishing, Londra, 2005, p. 37
4
Ivi nota 3, p. 24
22
5
Cage, Intervista, Huddersfield Contemporary Music Festival, Steve Sweeney,1989 http://www.fzmw.de/2001/
2001T3.htm#Posfn5
6
23
Crass, Do they owe us a living, 1979
Marco Philopat, Costretti a sanguinare, Einaudi, Torino, p. 31
Marcel Duchamp, Intervista,1966, http://www.youtube.com/watch?v=xIbye75demM
7
24
8
Dr. Lawrence Driscoll, The Rose Revived: Derek Jarman and The English Tradition, By Angels Driven The Films of Derek Jarman, Chris Lippard, 1996
25
9
27
Lumi di punk, Marco Philopat, Xbook, Milano, 2006, intervista a Dome CCCM
William Pencak, The films of D.Jarman, McFarland, Londra, 2002 p. 139
10
Ivi nota 3,
11
Marco Pierini,
Good Vibrations, le arti visive e il rock, Giunti, Firenze, 2006, p. 76
13
Roselee Goldeberg, La performance de futurisme à nos jours, Univers de l’Art, 2001, p. 164
Punx- Creatività e Rabbia DVD, Shake edizioni, Milano, 2006.
Ivi nota 14
Ivi nota 6, p. 33
16
26
Ivi nota 6, p. 7
School of Graphic Design, London College of Communication, University of the Arts, Londra
Ivi nota 6, p. 49
Ivi nota 11, p. 78
15
Internationalle Situationiste, All the King’s Men, 1963
28
12
14
NicolasBourriaud, Postproduction, Postmedia Book, 2007, p. 17-18
Giorgio Agamben, Violenza e speranza nell’ultimo spettacolo - I situazionisti e la loro storia, Manifestolibri, 2006, p. 12
30
Intervista integrale: http://libcom.org/history/against-wall-motherfucker-interview-ben-morea
29
31
Savage John, England dreaming sex pistols and punk rock, Faber&Faber, 1991, p.30.
32
Ivi nota 19, p. 165
http://profile.myspace.com/index.cfm?fuseaction=user.viewprofile&friendID=121916606
33
34
Ivi nota 13, p. 181-182
OndaRock, intervista di Antonio Ciarletta a Vittorio Barone, Throbbing Gristle - Controcultura industriale:
35
http://
Jhon Cage
www.ondarock.it/speciali/throbbinggristle_baroni.htm
Carol Tessitore intervista Genesis P.Orridge, http://www.genesisp-orridge.com/
Decoder
Adam ant
36
37
D. Jarman, Chroma, Ubulibri, Milano, 2008
38
INDICE
Arancia Meccanica
Ben Morea
Videoclip
http://www.ngvision.org/mediabase/83
39
Ivi nota 19, p. 81
40
Ivi nota 19, p. 147
Guy Debord
41
Hakim Bey, T.A.Z., Shake edizioni, Milano, 2008, p. 15
DYT
Duchamp
Tyristan
Zara
Ivi nota 41, p. 33
42
43
Ivi nota 41, p. 16
Taz
44
Ivi nota 7, p. 183
45
Ivi nota 41, p. 21
46
Ivi nota 7, p. 173
Wayne county
47
Ivi nota 7, p. 184
Conferenza sociologi 1984
Victor charlie
William Burroughs
The Smiths
Pet shop boys –
Virus
Coum TG
IS
Cut Up
Performance
Fanzine
Fronte di resistenza analogica
Borgia ginz
S.9
Bod (cantando) - Le pietre non si trasformano mai! Diamanti, Diamanti, i diamanti sono i migliori
amici delle ragazze!
Amyl - Che giornata di merda
B - Vera new wave non credi
A - Dacci un taglio
blah la userò come casco da moto, così almeno serve a qualcosa.
Crabs - Mmm, così è particolare perché non hai rubato anche le perle?
B - Non mi sono mai piaciute le perle, neanche le ostriche.
A - Ma certo le perle sono per chi è puro
C - E il mondo è la tua ostrica quindi ingoialo.
B - Diamanti diamanti, cos’è?
Mad - Top of the pops
B - Di nuovo?
M - Si adorano gli omicidi
C - È un bel tipo, chi è?
B - Che ne so? Avanti muovetevi deficienti, cosa facciamo stasera?
In questo paese di merda dopo le 11 è aperta solo la polizia.
M - Giusto Bod se ti annoi arruolati nel fronte nazionale
C - Perché non ti dedichi al ricamo cara
B - In questo paese non c’è abbastanza corrente elettrica, forse è fuso.
Driing driiing
Bod - Finalmente mi vengono in aiuto
Pronto? Chi? Cosa?
Crabs - Chiunque riattaccherebbe e lei non molla
B - Si vengo molto volentieri
Mad - Chi era?
B - Oh Dio, Borgia Ginz, l’impresario, vuole la mia opinione sulla sua ultima scoperta.
M - Ci vai?
B - Certo
Amyl - Oh, anche i potenti cadono in basso!
M - Non ha principi
Kid - Credevo che mi avresti presentato a Borgia Ginz
C - Non lo presento a chiunque, devi dimostrarmi che sei all’altezza
B - Non ti ci vuole tanto per convincerla caro.
Io vado
A - Bene. L’aspetta una bella sorpresa
S.10
Borgia Ginz - Vuoi conoscere la mia storia cara?
è facile.
Questa è la generazione che è cresciuta e che ha dimenticato di vivere la propria vita.
Erano troppo impegnati a guardare il mio film senza fine.
Questo si dice Potere baby, Potere!
Non lo creo, lo possiedo.
Ho leccato e leccato e leccato...
I media sono diventati la loro unica realtà
e io possiedo il loro mondo di ombre tremule,
BBC, TUC, ITV, ABC, ATV, MGM
KGB
C ed E
Dimmene uno qualsiasi e li ho comprati tutti e ho rimescolato l’alfabeto.
Senza di me essi non esistono
ah ah ah
Bod - Mio Dio è Amyl Nitrate
Borgia - Rappresenta l’Inghilterra per l’Eurovision Song Contest
È la mia numero uno!
ah ah ah
S.16
Crabs - È lo studio più grande del mondo
e Borgia l’ha comprato ad un’asta
Kid - È enorme
C - Fa tutto in grande stile. Non mi credevi vero?
- Sir, era Wall Street
Dicono che il dollaro è crollato da quando non li sostiene più
Borgia - Non mi interessa l’economia delle noccioline Scmeitzer
Adesso
Torniamo ai veri affari
- Certo abbiamo venduto 50 milioni di copie di dischi
nella sola Mosca negli ultimi tre giorni
Lounge Lizard è al primo posto
B - Finché la musica è abbastanza forte,
non sentiremo il mondo che si schianta
ah ah ah
- Oh mi scusi signore, c’è un messaggio di madame Mao,
vuole fare un film
B - Non farà questo film, questo te lo posso assicurare.
- Scusi, Mr Ginz
Miss Crabs è venuta a trovarla
Crabs - Ciao Borgia
Spero di non disturbarti
E’ una questione di affari
Ti ho fatto da talent scout.
Si chiama Kid ma è puro sesso
Sarò il suo manager
B - Wow Cosa posso fare per te
Piuttosto…
Cosa puoi fare tu per me
Kid - Salve mr Ginz
C - Oh, hai visto? Un talento naturale! Sarà la nuova Garbo
B - La Garbo ha reso molto
lo porto nel teatro e gli faccio un’audizione
Solo per che sei te, Crabs
ah ah ah
C - Chiama Bod o sarà gelosa
K - Non mi interessano i soldi.
Non voglio essere fregato
S.18
Meglio rifarsi le orecchie se vuoi essere perfetta/ un po’ rifatta un po’ liftata/ chirurgia plastica è
tutto fatto di plastica!/chirurgia plastica, fantastica!
Evita di stare al sole per ore e ore, da domani solo facce nuove/butta il vecchio trucco per
chiudere in bellezza/ un po’ rifatta un po’ liftata/ chirurgia plastica è tutto fatto di plastica!/
chirurgia plastica, fantastica!
Borgia - Ah ah ah Sei ingaggiato
adesso come ti chiamiamo…
feccia ah
perfetto perfetto
feccia
è commerciale
B - È ciò che si meritano
ah ah ah
Sphinx - Sei un grande
Kid - “ Plastic surgery”
S - No, sei un grande. Ascolta il mio consiglio stai lontano da lei. Venderebbe l’anima per qualche
centimetro in più
L’industria discografica è morta.
Resta per strada. Non ne vale la pena.
Hai una bella voce, lui la venderà.
Non gli importa se il pubblico ascolta le parole vuole solo venderti.
Se lo lasci fare sarai solo una copertina, un viso fra tanti.
Vieni a cantare per me
Angel - Il diavolo venne e lo portò in un posto in alto
gli mostrò tutti i quartieri di Londra
poi il diavolo disse
tutto questo sarà tuo se ti
se ti metti in ginocchio
ed egli rispose
sapendo che era stato costruito dal ministero dell’ambiente
che era una fregatura
vaffanculo Satana
così Satana se ne andò
e arrivò un angelo a portargli aiuto.