Untitled - Rizzoli Libri

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Untitled - Rizzoli Libri
Lucy Hughes-Hallett
Gabriele d’Annunzio
L’uomo, il poeta, il sogno di una vita come opera d’arte
traduzione di Roberta Zuppet
Rizzoli
Proprietà letteraria riservata
© 2013 by Lucy Hughes-Hallett
First published in Great Britain by Fourth Estate Dision of HarperCollinsPublishers.
Questa edizione è pubblicata in accordo con Grandi&Associati
ISBN 978-88-17-06750-8
Titolo originale dell’opera:
THE PIKE
Prima edizione: gennaio 2014
La riproduzione delle immagini è stata gentilmente concessa
dalla Fondazione Il Vittoriale degli Italiani (www.vittoriale.it)
grazie alla cortese collaborazione di Roberta Valbusa e Alessandro Tonacci.
In copertina:
per il biplano © Ian Ilott / Getty Images; il ritratto di Gabriele d’Annunzio è stato riprodotto per gentile concessione della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani.
Art director: Francesca Leoneschi
Graphic designer: Paola Berardelli/the World of DOT
Gabriele d’Annunzio
a Lettice e Mary, con amore
D’Annunzio. Ritratto dipinto nel 1910 dall’amante Romaine Brooks
Parte Prima
ecce homo
il luccio
Nel settembre del 1919, Gabriele d’annunzio – poeta, aviatore, demagogo nazionalista, eroe di guerra – assunse il comando di centottantasei ribelli dell’esercito italiano. Viaggiando a bordo di una Fiat
501 rosso brillante così carica di fiori che un osservatore la scambiò
per un carro funebre (D’annunzio adorava i fiori), li guidò in una
marcia sulla città portuale di Fiume, in Croazia, parte dell’ex impero austro-ungarico, del cui smembramento i leader alleati vittoriosi
stavano discutendo a Parigi. Lungo la strada incappò in un esercito
che aveva ricevuto ordini inequivocabili dal Comando supremo alleato: fermare D’annunzio, se necessario anche sparandogli. L’esercito, tuttavia, era italiano e gran parte dei suoi membri approvava
l’iniziativa dannunziana. Gli ufficiali ignorarono le istruzioni. Come
il poeta avrebbe poi detto a un giornalista, il modo in cui le truppe
regolari si arresero o disertarono per unirsi al corteo fu quasi comico.
Quando D’annunzio raggiunse Fiume, il suo seguito comprendeva ormai circa duemila uomini. Fu accolto in città da una moltitudine euforica, che era rimasta sveglia ad aspettarlo per tutta la
notte. Un ufficiale che attraversò la piazza principale alle prime ore
del mattino la trovò affollata di donne in abito da sera, con i fucili in
mano: un’immagine che descrive perfettamente il clima che si respirò in quella regione – insieme una festa fantasmagorica e un campo
di battaglia – nei quindici mesi in cui D’annunzio occupò Fiume
nel ruolo di duce e di dittatore, sfidando le potenze alleate.
Gabriele d’annunzio fu un uomo dalle idee politiche dirompenti
ma contraddittorie. Giudicato, da se stesso (e da altri) il più grande
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Gabriele d’Annunzio
poeta italiano dopo Dante, fu soprannominato il Vate, ossia il bardo
nazionale. Svolse il ruolo di portavoce del movimento irredentista,
i cui sostenitori desideravano riconquistare i territori che un tempo
erano stati, almeno a loro dire, italiani e che erano rimasti irredenti
quando la nazione si era liberata dal giogo straniero nel secolo precedente. Lo scopo dichiarato dell’occupazione di Fiume era rendere
la città, che aveva una nutrita popolazione italiana, parte del Belpaese, ma qualche giorno dopo l’arrivo del poeta diventò evidente
che si trattava di un obiettivo poco realistico. anziché riconoscere
la sconfitta, D’annunzio ampliò la propria visione di quel piccolo feudo, che ai suoi occhi non era solo un fazzoletto di territorio
conteso. annunciò che avrebbe creato una città-stato modello, così
innovativa sul piano politico e così brillante su quello culturale che
tutto il mondo, squallido e sfinito dalla guerra, ne sarebbe rimasto
abbagliato. Chiamò la sua Fiume «un faro luminoso che splende in
mezzo ad un mare di abiezione». era un fuoco sacro le cui scintille, volando nel vento, avrebbero incendiato il mondo. era la «città
olocausta».*
Fiume divenne un laboratorio politico, dove si riunirono socialisti, anarchici, sindacalisti rivoluzionari e alcuni di coloro che qualche mese prima avevano cominciato a chiamarsi fascisti. arrivarono rappresentanti del Sinn Féin e di gruppi nazionalisti indiani ed
egiziani, seguiti con discrezione da agenti britannici. C’erano poi
coloro la cui patria non era su questa terra: l’Unione degli spiriti
liberi tendenti alla perfezione, che si radunò sotto un fico nella città
vecchia per parlare dell’amore libero e dell’abolizione del denaro, e
il gruppo YOGa, una via di mezzo tra un circolo politico e una gang,
descritto da uno dei suoi membri come «un’isola felice nel mare
infinito della storia».
La Fiume dannunziana fu una terra della cuccagna, uno spazio
al di fuori della legalità, dove le regole comuni non trovavano applicazione. Fu anche un paese della cocaina, che, secondo la moda,
andava conservata in una scatolina d’oro da portare nella tasca del
panciotto. i disertori e i veterani di guerra in cerca di emozioni forti
vi cercarono un rifugio dalla tetraggine della depressione economica
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tutte le citazioni del poeta sono state riportate fedelmente senza alcuna modifica. refusi e peculiarità linguistiche si trovano nei testi originali. [N.d.T.]
Ecce homo
e dal tedio della pace. Seguirono spacciatori e prostitute – un visitatore riferisce di non aver mai comprato sesso così a buon mercato –,
imitati da dilettanti aristocratici, adolescenti scappati da casa, poeti
e amanti della poesia provenienti da tutto il mondo occidentale. La
Fiume del 1919 fu un polo d’attrazione per una comunità internazionale di idealisti insoddisfatti quanto il quartiere Haight-ashbury
di San Francisco lo sarebbe stato nel 1968; tuttavia, a differenza
degli hippy, i simpatizzanti di D’annunzio intendevano fare anche
la guerra e non solo l’amore. erano una miscela esplosiva. Ogni ministero degli esteri europeo piazzò degli agenti a Fiume, aspettando ansiosamente di vedere cosa avrebbe combinato D’annunzio. i
giornalisti affollarono gli hotel.
D’annunzio era già un romanziere famoso, un poeta rispettato
e un drammaturgo le cui prime teatrali, frequentate dalle famiglie
reali, riuscivano persino a scatenare sommosse. Si vantò affermando
che a Fiume stava creando un’opera d’arte i cui materiali erano gli
esseri umani. La vita pubblica della città era un ininterrotto spettacolo teatrale all’aperto. Un osservatore la paragonò a un 14 luglio
senza fine: «Canti, balli, razzi, fuochi d’artificio, discorsi. eloquenza! eloquenza! eloquenza!».
Quando l’occupazione di Fiume giunse al termine, il sogno dannunziano di una società ideale si era ormai tramutato in un incubo
di conflitti etnici e di violenza ritualizzata. Per oltre un anno, le
grandi potenze non mossero un dito per espellere il poeta, ma quando una nave da guerra italiana arrivò nel porto e bombardò il suo
quartier generale, lui capitolò dopo cinque giorni di combattimenti.
Sotto il suo controllo, tuttavia, Fiume era stata – proprio come aveva sperato D’annunzio – il palcoscenico di uno straordinario dramma dal vivo, con un cast di migliaia di persone e un pubblico universale, uno spettacolo che prefigurò alcuni dei momenti più oscuri
dei successivi cinquant’anni di storia.
D’annunzio si illuse di lavorare per creare un nuovo e migliore ordine mondiale, per una «politica della poesia». La stessa convinzione
animò gli osservatori di ogni schieramento politico, dai nazionalisti
conservatori che si offrirono alacremente di unirsi alla sua legione, a
Vladimir il’ič Lenin, che gli inviò un barattolo di caviale e lo definì
l’«unico rivoluzionario che c’è in italia». i suoi seguaci considera13