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N° 5 - MAGGIO 2016 • IYAR 5776 • ANNO XLIX - CONTIENE I.P. E I.R. - Una copia € 6,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 Roma
ISRAELE
LA COLPA
DI RESISTERE
USA
IL GIUDICE EBREO
CHE NESSUNO VUOLE
ITALIA
‫בס’’ד‬
IL TALMUD PRESENTATO
AL PRESIDENTE MATTARELLA
SHALOM‫שלום‬
EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA
Il matrimonio ebraico
nell'era di Internet
Tra chat e siti che consigliano abiti, location
e musica, rimane sempre il giorno più bello
Aeroporti e terrorismo: una lunga storia di sangue
FOCUS
COPERTINA
Il matrimonio: un rito religioso, tra festa e burocrazia
Chuppà (un baldacchino di stoffa), ketubà (il contratto matrimoniale),
anello e bicchiere di vino: questi i simboli della cerimonia nuziale ebraica
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MAGGIO 2016 • IYAR 5776
na grande festa, un po’ di burocrazia, ma anche e soprattutto una solenne cerimonia religiosa, in quanto
una delle istituzioni fondanti dell’ebraismo. Tutto questo c’è nel matrimonio: se infatti ci si affida agli articoli
143 e seguenti del Codice Civile per regolare i rapporti giuridici
secondo la legge italiana, se si aspetta il momento del ricevimento per celebrare gli sposi tra cibo, musica e buon vino, la componente religiosa presenta una normativa dettagliata e va oltre
la mera ritualità; è un vero processo spirituale che realizza
un legame tra le anime dei due
sposi. Con il precetto del matrimonio, infatti, si ristabilisce
l’unità originaria di Adamo,
che conteneva in sé il principio
maschile e quello femminile, e
si provvede alla continuità del
popolo ebraico.
Una chuppà (un baldacchino di
stoffa), la ketubà (il contratto
matrimoniale), l’anello che lo
sposo dona alla sua sposa e il
bicchiere di vino: questi e pochi
altri gli ingredienti essenziali
per un matrimonio ebraico.
La chuppà, il baldacchino nuziale, rappresenta con i suoi
quattro angoli la casa che la
coppia costruirà a partire da
quel giorno. Sotto di essa, oltre agli sposi, si trovano il rabbino,
i genitori e i testimoni; è uso diffuso che vi sia anche il fratello maggiore dello sposo con una torcia accesa, antico simbolo
nuziale. Al cospetto della chuppà, è necessaria la presenza del
minyan, dieci maschi ebrei adulti. Il primo momento della cerimonia è quello del kiddushin, la promessa, che trasforma gli spo-
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si in marito e moglie. Il rabbino recita la benedizione sul vino e,
dopo averne bevuto un sorso, lo sposo infila l’anello nell’indice
destro della donna. Seguono poi altre preghiere e la firma del
contratto, la ketubà, documento dove sono scritti gli obblighi finanziari, sociali e coniugali del marito nei confronti della moglie,
con il fine di evidenziare la funzione non solo fisico-spirituale del
matrimonio. La ketubà fu istituita con lo scopo di proteggere la
donna, rendendo all’uomo molto oneroso e complicato divorziare,
obbligandolo a pagarle una forte somma in caso di divorzio.
La cifra minima, come riportata
dal Talmud, era di 200 zuzim in
caso di una vergine e di 100 zuzim in tutti gli altri casi.
La cerimonia termina con lo
sposo che infrange un bicchiere, per ricordare la distruzione
del tempio di Gerusalemme e
il dolore dell’esilio: nell’ebraismo, infatti, anche nelle occasioni più gioiose è necessario
celebrare un momento di riflessione e di ricordo.
A Roma poi il matrimonio
ebraico si colora di ulteriori riti
e tradizioni con la Mishmarà,
la cerimonia che si usa fare in
occasioni liete della vita mediante la lettura di passi della
Bibbia e altre composizioni liturgiche. Un’usanza che risale ai
tempi del Talmud e che era diffusa in Italia già almeno nel ‘600.
Inizia poi la festa: cibo e danze, tradizionalmente con uomini e
donne disposti in due circoli separati con all’interno lo sposo e
la sposa.
DANIELE TOSCANO
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il Vostro giorno speciale
e regalarvi ricordi indimenticabili.
Incontri on line: shidduch in chat
I
L’amore ebraico al tempo di internet, per conoscere nuovi coetanei
ncontrare l’anima gemella non è una cosa facile; un tempo era
la famiglia, se non la Comunità, ad accoppiare due persone
facendo il cosiddetto Shidduch tra un uomo e una donna (i
quali potevano anche non conoscersi) che all’apparenza erano anime gemelle.
Oggi la scelta del partner ideale avviene in maniera diversa: i ragazzi non si limitano ad andare “a caccia” frequentando luoghi ed
eventi della loro Comunità, anzi iniziano a
vederla come troppo piccola e opprimente in cui si incontrano sempre le stesse
persone; hanno bisogno di una ventata di
aria fresca, ecco perché iniziano a cercare
persone nuove su Internet.
Ultimamente i siti d’incontri sono stati
creati anche per persone che vogliono
cercare un compagno della stessa religione, per mantenere il valore fondamentale
del matrimonio: la continuità del popolo
ebraico attraverso la procreazione.
Due sono i siti di incontri ebraici più famosi e con maggiore successo.
JItaly: ha lo scopo di combinare un matrimonio ebraico fra partner compatibili. Una volta iscritto al sito
si devono fornire informazioni su sé stessi, sul proprio stile di vita
e sulla Sinagoga che si frequenta; a quel punto un matchmaker
selezionerà profili di potenziali contatti che l’iscritto potrà vedere
e a sua volta il suo profilo sarà reso visibile ai contatti scelti. Ogni
membro avrà 10 giorni di tempo per accettare o rifiutare eventuali
incontri. Quando entrambi i membri accettano di incontrarsi, Jitaly
fornisce loro informazioni affinché possano contattarsi e decidere
di vedersi. Una volta ricevuto il numero di telefono l’uomo ha tre
giorni di tempo per contattare la donna. Se lo desidera, l’iscritto
può costantemente aggiornare il suo profilo per tenere il matchmaker aggiornato sui suoi progressi (impegnato; disponibile); ovviamente il membro deve selezionare “non disponibile” quando è
impegnato con qualcuno.
Saw you at Sinai: è un sito che sta aiutando milioni di ebrei (anche ortodossi)
a trovare la loro anima gemella. Il sito è
disponibile sia a livello locale che a livello
internazionale, inoltre dà la possibilità di
fare interviste private e confidenziali con
i Matchmaker, che una volta intuiti i gusti
cercheranno il partner più compatibile.
Saw you at Sinai ha avuto un elevatissimo numero di iscritti e ha riscosso un
grande successo a livello internazionale:
ebrei in Asia, Australia, Europa, Canada
si sono rivolti a questo sito.
Anche gli ebrei più ortodossi, in alternativa al tradizionale face to face scelgono di cercare un compagno/a
on line: siti come The Shidduch Site e Sasson ve Simchà forniscono una lista di siti esclusivamente per ortodossi, insieme a una
lista di gruppi e organizzazioni in cui i single possono frequentarsi
e conoscersi.
GIORGIA CALÒ
Meno i matrimoni e pochi i figli
econdo i dati ISTAT, nel 2013 in
Italia sono stati celebrati 194.057
matrimoni, 13.081 in meno rispetto al 2012, per un calo di 53
mila negli ultimi cinque anni. Non solo:
per la prima volta il numero dei matrimoni è sceso sotto quota duecentomila.
L’unica variazione positiva è del 2012,
un lieve aumento che si inserisce in una
generale tendenza alla diminuzione dei
matrimoni in atto dal 1972. In particolare, negli ultimi 20 anni il calo annuo è
stato in media dell’1,2%. Qual è stato il
ruolo della Comunità Ebraica di Roma in
questi numeri?
Negli ultimi dieci anni c’è stato un andamento altalenante, che non permette
di individuare un vero e proprio trend.
Considerando il totale dei matrimoni
(religiosi e misti, con questi ultimi che
costituiscono sempre una percentuale
inferiore al 20%, considerando ovviamente solo coloro che lo denunciano)
dal 2005 ad oggi la media è di 47 all’anno, con il minimo di 36 nel 2012 e il
massimo di 60 nel 2008. I 51 matrimoni del 2013 e i 42 del 2014
rendono l’idea dell’assenza di una vera e propria tendenza. In altri
termini, un ipotetico grafico presenterebbe una forma a zig-zag,
ma senza discostarsi troppo dal centro,
vista la non eccessiva discrepanza tra le
cifre che si alternano.
Ciò che può preoccupare maggiormente
sono invece i dati relativi alle nascite: dai
115 del 2004, si è progressivamente scesi, fino a una media di 71 nati tra il 2012
e il 2014. I morti tra il 1997 e il 2007 sono
sempre stati tra 120 e 150: numeri che
suscitano quantomeno qualche perplessità in vista del futuro, con un ricambio
generazionale che risulta insufficiente.
I motivi sociali, economici e di altro genere che sono alla base di questi fenomeni
demografici sono numerosi e abbastanza
noti, spesso legati a processi che coinvolgono tutto il Paese. Le emigrazioni dalla Comunità di Roma, ad esempio, sono
raddoppiate: ad abbandonare la Capitale
erano tra le 20 e le 30 persone l’anno nel
periodo compreso tra il 1997 e il 2006,
mentre si riscontra una media di 60 negli
ultimi 5 anni.
Basterà mantenere stabile il numero dei
matrimoni nei prossimi decenni per mantenere la solidità della più antica comunità della Diaspora? Poi ci
sono anche i divorzi, ma cerchiamo di rimanere ottimisti!
DANIELE TOSCANO
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C’è in Italia un preoccupante calo demografico,
confermato anche dal trend nella comunità ebraica romana
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COPERTINA
La festa del matrimonio? Che stress!
Il giorno più importante della vita può presentare problemi organizzativi.
Sono tanti i dettagli da curare, ma oggi fortunatamente esistono
consulenti professionali che aiutano gli sposi
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
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l matrimonio è l’evento più importante
nella vita dei giovani ebrei; un precetto
che ristabilisce l’unità originaria di Adamo
che conteneva in sé il principio maschile e
quello femminile e provvede alla continuità del
popolo ebraico, attraverso la procreazione, tendente a creare quell’atmosfera di Kedushà che
rende solida la famiglia ebraica e le assicura la
felicità e la benedizione divina.
Col trascorrere degli anni, di generazione in
generazione l’idea del matrimonio si è evoluta
e con questa le sue tradizioni, a partire dall’organizzazione stessa del matrimonio: a curare
l’evento erano gli sposi e le loro famiglie che si
occupavano di ogni singolo dettaglio della cerimonia e del banchetto, seguendo le antiche
tradizioni.
Rispetto al passato, il matrimonio oggi richiede una vera e propria regìa e spesso, perché
tutto avvenga nelle modalità attese e nei tempi giusti, è bene ricorrere all’aiuto di un wedding planner nella scelta di tutti i dettagli che possano rendere il
giorno delle nozze un ricordo magico. Il più apprezzato è il mitico
Enzo Miccio che con le sue doti creative, la sua grande esperienza
e l’attenzione per i dettagli che lo contraddistingue, saprà dar vita
a un evento indimenticabile.
Una nuova tendenza in ambito di matrimoni è la scelta di un filo
conduttore per rendere l’ambiente armonico e curato. Il primo
passo per i futuri sposi è la scelta della palette cromatica: i colori di fiori, inviti, save the date, decorazioni di vario tipo, centritavola, bomboniere sono da selezionare, coordinare e mescolare
per creare un’immagine curata e personalizzata delle nozze. Uno
dei toni più amati è il corallo, un colore
caldo che ben si abbina ai classici crema
e bianco. Il set floreale richiede la preparazione di addobbi per la cerimonia
e il ricevimento, una profusione di fiori
freschi che adornano l’ambiente, irradiando luce e colori. Per le decorazioni
una tendenza molto chic è quella di sostituire i centrotavola con fiori sospesi
che acquisiscono così un aspetto ancora
più scenografico sistemati sulla tavola
come veri e propri lampadari colorati. Un
servizio molto richiesto è formato dalle
postazioni Flower Express che permetteranno di ricavare in diretta dalle composizioni floreali piccoli gadget per gli invitati come braccialetti,
ghirlandine e bouquet, un ricordo del matrimonio e una possibile
alternativa alla bomboniera.
Nell’ambiente ebraico, ultimamente, hanno preso il via cinque categorie di matrimoni.
Il Shabby chic wedding, tendenza di questi ultimi anni che si fonda sul mix sapiente di tradizione e romanticismo, capace di mescolare i toni del pastello, pizzi e merletti ad oggetti del passato
conferendo allo stile del matrimonio connotazioni uniche.
Il Beach wedding, ovvero sposarsi in riva al mare magari al tramonto dove le uniche luci capaci di illuminare la serata sono quelle delle candele dolcemente adagiate sulla sabbia e quella della
luna che si riflette nel mare.
Il Country Chic wedding, ovvero un giardino
con un grande arco ricco di fiori dove celebrare il rito nuziale, tavole imbandite con cesti di
frutta e fiori di campo, balle di fieno e cassette
della frutta, un menù rustico, gustoso e colorato, questi gli ingredienti per un matrimonio
all’aperto.
Il Romantic wedding, una dimora d’epoca che
si presta ad un allestimento di grande atmosfera, la luce delle fiaccole che illumina un castello
o una villa, tovaglie bianche, argenti e cristalli,
i lumi di decine di candele, una torta da sogno
e per finire i fuochi d’artificio che concludono
con la loro spettacolarità una giornata indimenticabile.
Il Modern wedding, un colpo d’occhio scenografico per accogliere gli ospiti in una lunga
tavolata imperiale decorata con centrotavola
di vetro che contengono piccole candele e fiori
galleggianti, grandi candelieri di cristallo, peonie e rose, tanti nastri e perfino rami di tessuto.
Normalmente il matrimonio è un evento riservato alla famiglia e
agli amici, ma ci sono spose che non la pensano così e vogliono
rendere il loro giorno ancora più indimenticabile mandandolo in
televisione nel programma “4 matrimoni” in cui quattro spose si
sfidano partecipando ai rispettivi matrimoni e dando un voto all’evento per vincere una luna di miele. È il caso di Arlene, una giovane ebrea americana che nel luglio 2015 ha stupito le avversarie
con un matrimonio ebraico tradizionale tutt’altro che modesto e
riservato; insomma non contava solo il numero degli invitati, ma
anche quello degli spettatori.
E che dire di uno dei principali protagonisti di questa giornata:
l’abito da sposa. La tradizione vuole che
il giorno delle nozze la sposa indossi un
abito bianco che rappresenta la purezza
e l’inizio di una nuova vita con il marito;
la tradizione del velo invece inizia con
Rivkà che ne indossò uno durante il suo
matrimonio con Yitzhak in segno di modestia.
La sposa moderna, oltre a rispettare le
regole di abbigliamento della sinagoga,
non cerca la modestia, ma vuole che tutti gli occhi siano puntati su di lei e sul
suo meraviglioso abito romantico e sensuale, per questo si trascorrono mesi a
cercare l’abito perfetto negli atelier più
famosi; non più un abito che la copra dalla testa ai piedi, ma abiti
a sirena, scolli a cuore, gonne corte, lunghe, con balze pizzi, merletti e tutto quello che possa mettere in risalto la sua silhouette,
renderla elegante e stupire lo sposo nel giorno delle nozze.
Dulcis in fundo il momento più atteso del matrimonio: il banchetto (o meglio la festa); la cucina ebraica romana ha una fortissima
tradizione anche riguardante i cibi che si usava servire ai matrimoni: cibi semplici come pasta e fagioli, carciofi alla giudia, arrosto o pesce; oggi invece in un banchetto che si rispetti non può
mancare la moda del momento: il sushi, o alcuni tra i piatti più
famosi della cucina tripolina che sono entrati a far parte della tradizione ebraico-romana, come la hraimi e la shakshouka.
A CURA DI GIORGIA CALÒ E MIRIAM SPIZZICHINO
Non c’è amore senza ketubà
Rabbini di epoca talmudica sono stati dei veri precursori dei
contemporanei giuristi anglofoni, redattori dei contratti prematrimoniali molto in voga tra i vip oltreoceano.
L’istituzione della ketubà, il contratto matrimoniale come
oggi lo conosciamo, nasce infatti per volontà rabbinica, secondo la
maggioranza degli studiosi tra il II secolo a.e.v. e il II secolo e.v., a
maggiore tutela della parte economicamente più debole, la donna.
Nella Torà (Devarim 24:1) è scritto che la sposa può essere mandata via dalla casa dal marito che ha trovato in lei qualcosa di
sconveniente, consegnandole un atto scritto (sefer keritut o get);
anche se fin da tempi antichissimi le fonti ci tramandano che il
divorzio unilaterale era raro e mal visto, a favore invece di una risoluzione consensuale e ben motivata, solo un documento scritto
pone serie garanzie a tutela della donna da facili ripensamenti
del coniuge.
Così, con la consegna della ketubà alla sposa durante il matrimonio, il marito deve impegnarsi, per iscritto, davanti ai testimoni, a
supportare la moglie finanziariamente, fisicamente e moralmente
e, nel caso di divorzio non addebitabile alla medesima o di vedovanza, a versarle una somma di denaro (mohar) che le garantisca un sostegno economico. Anche la dote portata dalla moglie
(nedunya) prevista nella ketubà ha una funzione di tutela della
donna, in quanto, in caso di divorzio anche se alla medesima addebitabile, dovrà essere restituita alla moglie.
Il rilievo dato alla ketubà lo si può dedurre dal divieto per gli sposi
di convivere persino un’ora senza di essa, tanto che in caso di distruzione o perdita, il marito deve provvedere a redigerne un’altra
sostitutiva immediatamente.
Partecipazioni
Mishmaroth - Birchonim
Libretti - Segnaposti
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Dunque il testo formulato dai rabbini talmudici, scritto nella lingua dei contratti, l’aramaico, dopo circa 1500 anni è arrivato a noi
pressoché uguale. Oggi, salvo che per la data, i nomi degli sposi e
il luogo, si usano formule standard universali, ma gli sposi possono essere prevedere diversi accordi economici, opponibili, in certi
casi, in sede civile.
La ketubà rimane uno dei più importanti documenti che attesti
il vincolo matrimoniale tra due ebrei. Un’antica tradizione diffusa
a Roma prescriverebbe di conservarla dentro un cassetto e non
esposta. L’origine di questo uso, probabilmente deriva proprio dallo scopo per cui essa originariamente veniva redatta, come detto,
la tutela della donna in caso di divorzio. Il fatto che fosse nascosta
e “inutilizzata” significava che le cose tra moglie e marito procedevano bene.
La gioia e l’entusiasmo degli sposi nei preparativi delle nozze hanno portato nei secoli alla confezione di ketubot artistiche, con fantasiose e ricche decorazioni. In Europa le comunità italiane vantano, da questo punto di vista, un primato ineguagliabile. Tra il XVII
e il XIX secolo nella Penisola sono state realizzate le più preziose
ketubot, oggetto di un ricercato mercato antiquario. Anche oggi,
sempre più spesso, la ketubà è diventata il pezzo forte del salotto
di una giovane coppia, oppure, come vuole un’altra tradizione, del
salotto della mamma della sposa, un gioiello da esporre dopo il
matrimonio e da gustare nei preparativi delle nozze. Essa assume
un forte significato simbolico e certamente desterà ammirazione e
curiosità negli ospiti, che però raramente riusciranno a decifrarne
il contenuto, segreto degli sposi.
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Il contratto matrimoniale è una garanzia giuridica obbligatoria
tra i coniugi a tutela dei diritti della donna
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COPERTINA
Musica sotto la chuppah
L’intrattenimento musicale è diventato
elemento centrale della festa, con band
che spaziano dalla dance ai balli ebraici
‘O
ltre il ponte di Brooklyn’, ‘Yentl’, “Un’estranea tra
noi”, ‘La sposa promessa’, e ‘Il Violinista sul tetto’ sono tra i tanti titoli di successo che hanno
raccontato al cinema il matrimonio ebraico. Dando
risalto al dietro le quinte e a tutto ciò che si cela nella tradizione. E’ stato un modo per far conoscere al pubblico non ebraico
uno dei momenti oltreché più importanti, anche folkloristici di
come le varie comunità preparano e festeggiano l’evento nuziale.
Quasi tutte sono state produzioni
americane, se si eccettua un film
cult francese di Claude Lelouche
degli anni Settanta “Tutta una
vita”: le riprese della cerimonia
si svolsero all’interno del Tempio
Maggiore di Roma. Fu così anche
per ‘Storie di amore e di amicizia’ con protagonisti Barbara De
Rossi e Claudio Amendola agli
esordi, girato al Tempio Spagnolo. Addirittura nella fortunata serie televisiva della HBO “Sex and
the City”, parecchie puntate si
sono incentrate sulla conversione
di una delle protagoniste, Charlotte, che alla fine sposa un ebreo,
giungendo alla fatidica rottura del bicchiere.
In tutte queste produzioni, i copioni hanno curato la scenografia,
le musiche chassidiche, avvalendosi di consulenze professionali
per portare sullo schermo le vive e coinvolgenti immagini di uno
matrimonio ebraico. Diciamo che si è trattato quasi sempre di
ambientazioni aschenazite, forse perché l’ambiente di Hollywood è strettamente legato a questa comunità.
Fino alla fine degli anni Ottanta i matrimoni erano di tutt’altra
natura: rimanevano tutti calmi e tranquilli seduti nei loro posti,
gustando il pasto e ascoltando un artista italiano che allietava e
accompagnava il taglio della torta, talvolta con musiche e balli
chassidici.
Il cambiamento è avvenuto con le band musicali della Nizza
ebraica o quelle di Milano, che vennero invitate negli alberghi
o le ville che ospitavano i ricevimenti. A fare da apristrada fu
l’orchestra di Motti che deliziava la comunità meneghina, in cui
cantava e suonava un giovane Franco Zerilli che poi messosi
in proprio si è affermato per molti anni come leader indiscusso dell’intrattenimento. Poi, a cascata, diversi gruppi romani si
sono cimentati nell’attività: dalla
Menorah alla Mazaltov band, da
quella di Benny Fadlun a quella
di Alberto Mieli fino ad arrivare a
Jossy Anticoli e all’orchestra della Jew Box Band dei fratelli Hannuna e Daniel Coen; la cosa ha
preso piede e così le feste sono
totalmente cambiate. Seguendo
un copione ben preciso: sotto
lo sfondo musicale delle note di
Shlomo Carlebach, si è affermata
la danza in circolo, prendendosi
per mano e muovendo la testa a
desta e sinistra; attorno alla sposa ferma, spesso sola e in piedi,
con in mano l’estremità di un nastro; e l’altra estremità retta dal marito che danza davanti a lei,
al passo di una polka che assume sempre più un ritmo frenetico.
Si è trattato di un fenomeno che si è stabilizzato negli anni tanto
che ora i musicisti da chiamare sono divenuti la priorità dell’appuntamento mondano. Non si bada più a spese per garantirsi gli
artisti preferiti. Magari si risparmia sul menu o sull’addobbo, ma
sull’accompagnamento musicale e il servizio fotografico non si
deroga. Perché si balla dall’entrata degli sposi in sala fino a notte
inoltrata. Adempiendo al dettato rabbinico che la simchà non ha
limiti nel giorno di nozze, lasciando solamente alla rottura del
bicchiere l’obbligo di moderare l’entusiasmo fino a che il Tempio
di Gerusalemme non sarà ricostruito.
JONATAN DELLA ROCCA
ARGENTERIA
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
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Roma, la location
più bella del mondo
Sempre più numerose le coppie
ebraiche straniere che scelgono la nostra
città per il giorno più bello della loro vita
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MAGGIO 2016 • IYAR 5776
oronare il sogno della propria vita, celebrando il matrimonio in Italia, è - in questo momento - per molte famiglie
prevalentemente americane, francesi e inglesi, una scelta
di vera tendenza, perché l’Italia è tra i primi posti in quanto a fashion-glamour. Ogni anno, e sempre in aumento, vengono
scelte dalle coppie ebraiche straniere, come location del ‘giorno più
bello della loro vita’, luoghi come Roma, Venezia, le colline toscane, il lago di Como, la Versilia, le colline
bergamasche, lo splendido scenario del
Salento o di Capri, tutti luoghi nei quali
abbiamo garantito, con la nostra esperienza e professionalità, party esclusivi
e ben organizzati, tutto all’insegna del
kosher (tendenza che sta prendendo
piede anche tra i non ebrei, che apprezzano gli stretti controlli e la maggiore
delle scelte gastronomiche).
Parlare di Roma, della mia città, mi emoziona sempre. Sono nato e cresciuto tra
piazza Bologna e Talenti e non dimentico mai le mie radici ebraiche, grazie ad
una famiglia orgogliosa di esserlo, con la
voglia di mantenere vive le festività e le abitudini tripoline.
Roma è un luogo dove il tempo sembra essersi fermato, un luogo da
vivere in tutti i sensi. Quando cammini non attraversi una città ma
un museo a cielo aperto, in alcuni momenti si ha la sensazione di
essere usciti da un film degli anni ‘50, la musica che proviene dagli
artisti di strada si mescola ai monumenti di marmo bianco. Roma è
una città che ti entra nel cuore e che ti lascia a bocca aperta.
Basta passeggiare fra il Colosseo e i Fori Imperiali per sentirsi rapiti
dalla storia dei suoi gladiatori o girovagare per le strade o le piazze
Navona, Venezia, di Spagna per rimanere affascinati dall’arte e dalla loro bellezza: è impossibile non rimanere incantati.
La maggior parte degli ebrei stranieri che vogliono sposarsi a Roma e che incontriamo nel nostro lavoro, sono però maggiormente
attratti dalla bellezza del Tempio Maggiore, che resta nel cuore
e restano estasiati dal Museo Ebraico e dalla Sala dedicata agli
ebrei tripolini, all’interno della quale vi è (e ne vado orgoglioso e
fiero) una mezuzà che mio padre, z.l. David Raffaele Fadlun, donò
al Museo.
E poi vi è il ‘Ghetto’, così colmo di storia e profumi delle numerose
trattorie del quartiere, dove è possibile degustare i piatti più tipici
ed antichi della tradizione enogastronomica romana.
In un contesto come questo non è difficile pensare che molte coppie vengano dall’estero e scelgano proprio Roma come cornice nel
loro giorno più importante, un luogo dove le forti radici ebraiche si
mescolano alla bellezza di una città senza tempo, dove lo stile e la
tradizione non solo ebraica romana si mescolano a quella tripolina,
in un contesto armonioso e solare.
Io mi ritengo fortunato, la mia professione mi permette di vivere questi momenti di gioia e mi sento lusingato che molte coppie
scelgano la mia musica; e la scelta non credo sia casuale! Siamo
sempre alla ricerca di nuove tendenze musicali, antiche e moderne, è importante per noi la mescolanza
di varie essenze di culture musicali introvabili.
Le varie esperienze televisive che ho
realizzato in Italia, mi hanno fatto esplorare dei mondi che senza questa opportunità non avrei conosciuto. “La musica
italiana nel mondo” è infatti una parte di
Show molto apprezzato nei nostri spettacoli, che eseguiamo in un modo tutto
nostro, simpatico ed innovativo ed il nostro pubblico straniero lo apprezza e lo
attende impazientemente.
Il contesto emozionante legato all’atmosfera del luogo invita alla gioia e al
divertimento con l’aggiunta di remix dance e musica tradizionale
ebraica, attraversando le News da Israele e senza abbandonare le
musiche orientali antiche e moderne, che abbracciano fluidamente
varie sonorità dal Marocco, alla Tunisia, Libia ed Egitto, che tanto i
francesi amano. Così in un viaggio musicale, idealmente partendo
da Roma si può arrivare a Tel Aviv, passando per la Francia, l’Inghilterra, giungendo fino a Bangkok, New York, Bahia.
Sono sicuro che altre coppie e altre famiglie ebraiche continueranno a venire a Roma, vivendo un sogno indimenticabile, una delle
avventure più romantiche della loro vita. Come in una fiaba immagino queste coppie innamorate, divertite e spensierate su una
vespa 50, magari bianca proprio come lo era quella di Audrey Hepburn e Gregory Peck in ‘Vacanze Romane’.
BENNY FADLUN
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COPERTINA
O
Discusso a Roma
il tema della dote
rganizzato a Roma, nella bella cornice rinascimentale
dell’Ecole Française, il Convegno Doter pour transmettre? Une histoire économique et sociale de la famille juive (XV-XIX sec), che ha visto riuniti vari docenti d’eccellenza e dottorandi provenienti da Francia, Italia, Israele.
Il periodo analizzato era dal basso Medioevo all’età Moderna, e
l’ambito territoriale il bacino Mediterraneo.
Obiettivo dell’incontro era focalizzare la ricerca sul vasto campo di approfondimento
antropologico, religioso, storico, allo scopo
di effettuare un’indagine comparativa tra
gli aspetti giuridici sia delle società ebraiche che non, per quanto concerne l’istituzione dotale.
Nel mondo non ebraico, non sempre la
dote era cospicua, e non veniva offerta ad
ognuna delle figlie da maritare. Per non
dilapidare il patrimonio, molte venivano
istradate verso il noviziato, e dovevano
quindi fare voto di povertà, eventualmente donando ciò che spettava loro alla Casa
che le accoglieva. Per la salvaguardia del
patrimonio, si ricorreva anche al matrimonio intraparentale.
Tra gli ebrei, l’istituzione dotale (formalizzata da una ketubbà, un rotolo scritto a
mano) veniva regolata dalla legislazione
e dalla consuetudine ebraica. Le fanciulle
provenienti da famiglie con scarsi mezzi
economici, avevano difficoltà a portare una dote e in questi casi
si ricorreva - come è successo anche in Italia fino al secolo scorso
- alle confraternite che provvedevano a fornire le ragazze di quei
beni essenziali per metter su famiglia.
Diverso è il caso in cui la promessa sposa proveniva da una famiglia
benestante, tanto più se figlia unica; la dote rappresentava tutto il
patrimonio che le sarebbe stato trasmesso in beni mobili (denaro e
corredo), dal momento che in Europa agli ebrei non era consentito
possedere beni immobili (i cristiani compravano invece la terra).
Quando la ketubbah è arte
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
“L
8
a ketubbah decorata
divenne
così popolare in
Italia che alcune
famiglie benestanti di ebrei
facevano a gara fra loro su
quale ketubbah fosse stata
più attraente e avesse attirato
più attenzione, quando veniva orgogliosamente mostrata
durante le cerimonie di nozze
che si celebravano con grande
pompa nei ghetti affollati da
Venezia a Roma. Si commissionava, per questo, ai migliori
artisti del luogo – che a volte
non erano ebrei, come risulta
in circa il cinque per cento dei
casi – di creare magnifici esempi con varie illustrazioni a colori”.
E’ questo un passaggio tratto dalla presentazione del volume
(edito da Giuntina) “Le ketubbot italiane della collezione Forna-
La ketubbà, (contratto di matrimonio) allora come oggi, veniva
scritta da un Sofer: vi si indicava l’ammontare con il Tosefet
(aggiunta) del marito (che più era ricco e più la elevava). Nella
sua analisi, la Jancu-Agou, si chiede perché venisse spesso registrata presso i notai cristiani. Tale registrazione ufficializzava il
documento, e soprattutto in casi di conflitti tra la coppia la registrazione poteva tutelarne l’efficacia giuridica, facendo intervenire un terzo, che poteva essere anche l’autorità (il feudatario o
il principe).
Quanto alla ricerca del partner, allora si ricorreva ad una rete parentale regionale o transregionale, o a quella professionale (figli
di padri che professavano la stessa attività), rinforzando, attraverso un matrimonio,
dei legami nello stesso rango sociale.
Savy affronta invece le problematiche relative al decesso del marito, all’indebitamento di questo, o alla conversione della
sposa al cristianesimo in Lombardia, dove
la maggior parte delle famiglie esaminate
erano di origine tedesca. Nel caso di conversione, infatti, si riscontrava una certa
reticenza a donare la dote, e il padre non
poteva essere costretto a versargliela.
Non solo l’ammontare della dote di un’ebrea sembra essere più elevata di quella di
una fanciulla cristiana, la dote, sottolinea
la Groppi, ma poteva coincidere con una
forma di potere della donna. Infatti veniva
gestita dal marito, ma era la donna a poterne disporre, e rappresentava una risorsa
per i momenti di crisi della vita domestica,
nel caso la famiglia fosse caduta in disgrazia. La donna restava proprietaria, e il marito usufruttuario.
Ligorio si sofferma in particolare sulla dote a Ragusa (Dubrovnik)
tra le famiglie di origine ottomana; attraverso i documenti esaminati si conferma che i matrimoni erano endogamici (tra cugini e
zio-nipote), che la donna conservava un ruolo decisionale nell’utilizzo della dote stessa. Spesso, ci specifica la Cuccia, essa era considerata lo “scrigno di famiglia”: i soldi si investivano, si facevano
fruttare ad un tasso di interesse, e poi rappresentavano un valido
aiuto per risolvere le difficoltà.
GISÈLE LÉVY
sa” – autori Sofia Locatelli e Mauro Perani – che presenta 72 contratti matrimoniali ebraici, raccontando le storie di quelle famiglie,
ma soprattutto illustrando gli
aspetti artistici di questi documenti che risalgono fino al XVII
secolo. “Nel produrre ketubbot – prosegue l’introduzione
al libro – riccamente illustrate,
profondamente intrise di idee
ebraiche e simboli pittorici,
insieme a disegni e motivi fortemente influenzati dalle arti
decorative italiane, gli ebrei dei
secoli scorsi espressero così la
loro integrazione con la cultura
e la società italiana contemporanea, pur mantenendo e sottolineando la loro identità”.
Un desiderio di abbellire artisticamente il documento che
sanciva giuridicamente il matrimonio, che prese così tanto piede
da spingere, in alcuni casi le autorità rabbiniche dell’epoca a limitare il costo di produzione.
MARIO DEL MONTE
DAMMI
IL CINQUE
PER MILLE
COMUNITÀ
EBRAICA
DI ROMA
Grazie alla Comunità Ebraica
di Roma, il tuo contributo
si trasformerà in aiuto alle famiglie
in difficoltà, maggiori servizi sociali,
borse di studio e sostegno alla
diffusione della cultura ebraica.
Al momento della Dichiarazione dei redditi
devolvi il Cinque per mille delle tue imposte
a sostegno dei servizi sociali della Comunità
Ebraica di Roma, non ti costerà niente.
CODICE FISCALE DELLA
COMUNITÀ EBRAICA DI ROMA
NON DIMENTICARE DI FIRMARE LA SCELTA DELL’OTTO PER MILLE
A FAVORE DELL’UNIONE DELLE COMUNITA’ EBRAICHE ITALIANE
Giuseppe Russi
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
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9
ISRAELE
I terroristi palestinesi? Criminali
che vorrebbero passare per vittime
La contraddizione di chi fa un uso politico della crudeltà
per conquistare l’Occidente con il pretesto
di subire ingiustizie e soprusi
A
l momento in cui scrivo questo
articolo (prima di Pesach), sembra abbastanza chiaro che la
cosiddetta “intifada dei coltelli”
sia fallita. Dai dieci o venti attacchi al giorno
di ottobre e novembre, si è passati al ritmo
“fisiologico” di cinque o sei alla settimana,
condotti per lo più da manodopera terroristica tradizionale, ben
diversa dai ragazzini col coltello
preso nella cucina di casa che
aveva colpito l’immaginazione
sei mesi fa. Certo, la propaganda
antisemita terrorista continua nei
blog e nei social network, sui media dell’Autorità Palestinese e di
Hamas, nelle scuole dell’UNRWA,
nelle canzoni e nelle clip delle
pop-star arabe. Non si può escludere purtroppo che nuovi eventi
luttuosi accadano, anzi, è praticamente certo: il terrorismo è stato il costante strumento di lotta
contro gli ebrei del movimento
nazionalista arabo dai suoi inizi,
un secolo fa, e non è stato mai davvero abbandonato. Ma il bilancio delle vittime degli assalti di questa versione “popolare” o
diffusa o “a bassa intensità” del terrorismo
è fermo a 35 in sei mesi – un dato terribile
certamente, perché ogni vita è un mondo,
ma statisticamente non davvero significa-
Sar
tivo su una popolazione non musulmana
in Israele di 6,5 milioni. Sembrerebbe che
il numero dei candidati attentatori suicidi
si sia esaurito, che sia arrivato anche alle
loro menti fanatiche il dato per cui attaccare a coltellate dei passanti scelti a caso
non solo è immorale ma soprattutto è inuti-
le, in Israele porta assai più facilmente alla
morte dell’attentatore che del bersaglio. I
leader palestinesi hanno forse capito che
non ottenevano la risonanza sperata. O
forse semplicemente – terribile da dire, ma
realistico nel nostro mondo – è passata una
moda e gli adolescenti inquieti trovano al-
tor
ia
Via
Ver
o
tri sistemi per sballare.
Faccio queste considerazioni non per
trionfalismo, ma perché ritengo sia arrivato il momento di innescare una riflessione
critica sul comportamento nostro, dei sostenitori di Israele nella diaspora. Durante l’ondata terroristica, la pubblicistica
che sostiene Israele ha raccontato i fatti,
lamentato che la stampa non ne desse
notizia, spiegato la minaccia, denunciato
la violenza e l’illegalità degli attentati, richiamato l’attenzione sulle responsabilità
delle organizzazioni palestinesi. Era tutto
giusto, lo è ancora. I terroristi, anche i “terroristi popolari” o “miniterroristi” come
questi, sono criminali, l’incitamento delle
organizzazioni politiche, se non sempre il
legame organizzativo con gli attentatori, è evidente, la volontà
antisemita della caccia indiscriminata all’ebreo è visibile a tutti.
Ma forse facendo queste giuste
comunicazioni siamo caduti nella
trappola dei terroristi e dei loro
capi. Abbiamo enfatizzato una
situazione di rischio che in Israele non è mai stata soverchiante,
abbiamo dato nelle nostre analisi una dimensione sociologica a
crimini che restano individuali.
Non abbiamo soprattutto tenuto
conto del contesto strategico. E’
chiaro che in questo momento
nessun paese o movimento arabo
è in grado di impensierire Israele sul piano militare, sia per la grande e
sanguinosa confusione che regna nei paesi
arabi, sia per la minaccia in parte comune
a Israele che viene dall’Iran, sia perché la
tecnologia israeliana continua a progredire anche sul piano militare. Se ci limitiamo
alle armi difensive, gli antimissili sono sta-
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sa, contro i prigionieri, le donne, i bambini,
i prigionieri, perfino gli animali, questi movimenti appaiono potenti e vittoriosi, “veri
uomini”, il che nel mondo arabo è ragione
di legittimità. Dall’altro per l’Occidente devono sembrare vittime della violenza israeliana, oggetto di ingiustizia, di prigionia a
cielo aperto, addirittura di nazismo. Le due
cose, l’esercizio della violenza indiscriminata e il vittimismo, non stanno bene assieme. Per questo i discorsi che fanno in
arabo e la loro propaganda interna sono
ben diversi da quel che dicono all’esterno
e in inglese. Ma è certo che andando ad accoltellare donne e anziani e facendosi fermare con le armi possono alimentare tutt’e
due le linee propagandistiche.
Se si insiste dunque sulla loro
barbarie e crudeltà, se si dà rilievo al dato criminale del loro comportamento, dunque, si alimenta
il loro orgoglio (e fra l’altro si proietta l’immagine di Israele come
paese insicuro e territorio bellico,
il che non è affatto vero). Comunque poi l’autodifesa israeliana
sarà usata per il solito vittimismo. Che fare dunque? Io credo
che come accadde a suo tempo
con le Brigate Rosse non bisogna
dare spazio alle rivendicazioni del terrorismo e non bisogna
fare l’errore di contribuire alla
creazione del mito del “combattente”. Bisogna sempre rappresentare la realtà, non censurarla;
ma in questo caso essa non va
neanche ingigantita e soprattutto
ne va mostrato il lato patologico e
vigliacco, la meschinità criminale
nell’assalire donne incinte, anziani e bambini, nell’investire le
persone in attesa alla fermata del
mezzo pubblico, l’ignobile pratica di accoltellare le vittime sempre alla schiena. Bisogna cioè dipingere i criminali per quel che
sono, e che erano i loro fratelli maggiori nel
2000-2003 e magari i loro nonni alleati di
Hitler: dei vigliacchi macellai senza onore
né dignità, che sfogano nella violenza un
patologico razzismo.
UGO VOLLI
Nella pagina fianco: in un negozio di abbigliamento a Gaza un manichino con un coltello e una felpa con su scritto “Pugnala!”
In questa pagina, in alto: una pattuglia garantisce la sicurezza sul lungomare di Tel Aviv, in
basso: un attentato alla fermata dell'autobus.
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ti estesi dai razzi a breve raggio
(Iron Dome) a quelli a medio e
lungo (David sling e Arrows),
sta diventando operativo un radar contro i mortai, un’arma per
la difesa dai droni, e qualcosa si
inizia a vedere anche per i tunnel.
Israele è anche inattaccabile sul
piano economico e ha dimostrato di saper resistere alle diverse
ondate terroristiche (e alle rispettive tattiche: irruzioni armate,
dirottamenti, cinture esplosive,
sassi, coltelli).
La partita dunque non è militare
e neppure economica (il BDS su
questo piano non ha quasi effetti). E’ politica. Cioè diplomatica,
legale, mediatica, psicologica.
I terroristi non ammazzano gli
ebrei perché pensano di sconfiggerli. Lo fanno per sfogarsi,
perché gli piace. Una volta speravano che gli israeliani si spaventassero e scappassero altrove,
adesso forse sanno che questo
non funziona. Mirano comunque ad attirare l’attenzione del mondo su di sé. Sanno
che quando commettono dei crimini non
sono condannati ma commiserati dalla
stampa e dai politici occidentali (“vedi,
poverini, a che punto sono arrivati… la situazione è intollerabile… lo status quo non
può reggere”).
In generale i movimenti palestinesi si trovano di fronte a un’esigenza contraddittoria: devono apparire ai loro seguaci e al
mondo arabo bellicosi, duri, violenti, perfino crudeli. (Maestro in questo uso propagandistica della violenza è lo Stato Islamico.) Solo praticando una violenza che agli
occhi occidentali appare ottusa e disgusto-
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ISRAELE
La colpa di Israele? Resistere nelle sue ragioni
A 70 anni dalla sua fondazione, pretende
che Gerusalemme venga riconosciuta capitale dello Stato
L
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
a miglior risposta da dare a chi collega il boicottaggio
di Israele al conflitto palestinese – la politica estera
dell’Amministrazione Obama e l’Unione Europea di Mogherini si esprimono negli stessi termini – è porsi e porre
una domanda, da troppo tempo inspiegabilmente scomparsa dalle discussioni sui territori contesi. Israele ha una capitale, Gerusalemme, come mai tutte le ambasciate sono ancora a Tel Aviv? È
l’unico stato al mondo che in quasi 70 anni di esistenza non vede
riconosciuto un suo
diritto fondamentale.
Potranno
continuare
all’infinito le discussioni su territori occupati
o contesi, ma un fatto
è innegabile, Gerusalemme è la capitale di
quello stato degli ebrei
riconosciuto con il voto
delle Nazioni Unite
il 27 novembre 1947,
respinto dai governi
arabi della regione che
hanno scelto invece la
guerra.
La sovranità su Gerusalemme è diventata
un problema internazione unicamente a causa del rifiuto arabo della partizione Onu.
Perché mai Israele avrebbe dovuto attendere la fine delle pretese
arabe per proclamare la propria capitale? Pretese che sono continuate malgrado gli accordi di Oslo, disattesi dall’Olp/Fatah di
Arafat e poi di Abu Mazen, concordi entrambi nel rifiutare l’offerta di Israele che comprendeva il 90% dei territori e Gerusalemme
Est capitale.
Non era ancora abbastanza e non è difficile capirne la ragione,
agli arabi interessa tutto l’ex mandato britannico, alla faccia
dell’Onu, di Oslo e dei pacifisti che continuano a non voler vedere
la realtà mediorientale per quello che è.
Israele, per essere assolta dal peccato di esistere, dovrebbe suici-
12
darsi, al suo posto nascerebbe una Gaza di maggiori dimensioni,
uno stato terrorista, pronto ad attaccare gli altri stati confinanti, certo, tutti arabi-musulmani - come insegnano le guerre civili che stanno cambiando la storia della regione. Israele ci provò
nel 2005, quando uscì da Gaza, nell’illusione che gli arabi che vi
abitavano avrebbero creato uno stato, non diciamo democratico,
l’islam non lo permetterebbe, ma almeno un vicino con cui collaborare. Sappiamo come è andata a finire. La storia di Hamas/
Gaza non ha però insegnato nulla.
Si è tenuto di recente
un convegno in Israele
al quale hanno partecipato diversi ambasciatori,
accademici,
analisti, che hanno discusso sul peso reale
che il BDS ha su Israele. Fra questi, Lars Faaberg-Anderson, ambasciatore UE in Israele,
ha dichiarato che l’unico modo per fermare il boicottaggio è la
soluzione del conflitto
palestinese. Come lui,
anche l’ambasciatore
americano Daniel Shapiro, ha detto di essere contrario a qualsiasi
forma di boicottaggio, ma l’unico modo per fermarlo è un accordo
con i palestinesi. Il che significa ritornare al pre ’67 e, perché no,
al 1948. Il pendio scivoloso che porterebbe alla scomparsa di Israele, dato che non avrebbe più la possibilità di difendersi.
Può sembrare assurdo, ma questa è la posizione espressa da
sempre dai pacifisti israeliani, simili in questo al movimento pacifista internazionale. Con una differenza, però, questi ultimi non
vivono in Israele, se lo stato ebraico scomparisse, siamo certi che
troverebbero subito una data per celebrarne il ricordo. E’ avvenuto per la Shoah, succederà anche questa volta.
ANGELO PEZZANA
STATI UNITI
Ma la religione non c’entra nulla, è solo una questione politica
tra repubblicani e democratici per mettere in difficoltà Obama
N
EW YORK – E’ definito da tutti
“un mentsh”, il termine Yiddish per descrivere “un individuo
equo, integro e d’onore”. Eppure Merrick Garland, il 63enne giudice federale ebreo designato da Barack Obama per
la Corte Suprema potrebbe non arrivare
mai ad indossare la prestigiosa toga. La
sua nomina si è scontrata, infatti, con il
secco ‘no’ dei repubblicani che hanno fatto
quadrato contro il luminare del foro scelto
dal presidente democratico per rimpiazzare il giudice Antonin Scalia. Il leader dell’ala più conservatrice del massimo
organismo giudiziario e costituzionale americano, morto per cause
naturali in un ranch in Texas il 13
febbraio.
Tutti i repubblicani – dai leader
del Congresso ai candidati in corsa
per la Casa Bianca Donald Trump,
Ted Cruz e John Kasich – hanno
già detto che non intendono confermarlo (i giudici della Corte Suprema sono nove e vengono designati dal Presidente, ma la nomina
dev’essere ratificata dal Senato,
attualmente controllato dai repubblicani). “Eleggere il sostituto di
Scalia spetta al prossimo Presidente degli Stati Uniti “, spiegano in coro, convinti
che il prossimo inquilino della Casa Bianca
sarà un loro compagno di partito.
Se Garland fosse confermato, per la prima
volta nella sua centenaria storia, la Corte Suprema avrebbe un numero record di
giudici ebrei. Ben quattro - contro i cinque
cattolici John Roberts, Anthony Kennedy,
Clarence Thomas, Samuel Alito e Sonia
Sotomayor - visto che anche Ruth Bader
Ginsberg, Stephen Breyer e Elena Kagan
(nominati da Bill Clinton i primi due, da
Obama la terza) sono ebrei. Fu proprio
l’attuale Presidente a rovesciare gli antichi equilibri della Corte, nel 2010, quando
chiamò la Kagan, di fatto defenestrando i
protestanti dall’aula dove dettavano legge
dal lontano 1789.
Eppure la religione di Garland non ha nulla
a che fare con l’opposizione dei repubblicani che in un anno elettorale particolarmente
caotico ribadiscono di non voler neppure
portare in aula il candidato, come prevede
la legge. Gli americani la pensano diversamente. Nell’ultimo sondaggio CNN due terzi degli elettori chiedono al Senato di indire
le audizioni per vagliare la candidatura di
Garland. Il 53% ne reclama la conferma visto che la sua nomina è venuta a un anno
dalla scadenza del mandato di Obama, che
resterà il carica fino al gennaio 2017.
Secondo la costituzione americana Congresso e Presidente hanno il diritto-dovere
di riempire il vuoto lasciato da Scalia. “Se
si rifiuteranno di dare a Garland una giusta
considerazione”, ha messo in guardia Obama, “i repubblicani abdicheranno al dovere costituzionale del Senato, compromettendo non solo la reputazione della Corte
Suprema ma anche la fiducia dei cittadini
nel sistema giudiziario”. “A pagarne il
prezzo”, ha concluso, “sarà la democrazia
americana nel suo insieme”.
Tra tanti potenziali candidati ben più progressisti di Garland, Obama ha scelto lui,
un moderato, proprio per venire incontro
all’ala più intransigente del partito rivale.
Quella che ha bocciato ogni sua singola
proposta fin dal primo giorno del suo insediamento. Eppure il CV di Garland è giudicato impeccabile da entrambi i partiti.
Nato a Chicago da una famiglia di profughi
russi ebrei fuggiti ai pogrom verso l’inizio
del ‘900, Garland ha fatto il bar mitzvah in
una sinagoga Conservative di Chicago e
si è laureato alla prestigiosissima Harvard
Law School. Nel 1987 si è sposato con Lynn
Rosenman, compagna di studi ad Harvard
e nipote del consigliere di Franklin Roosevelt e Harry Truman in una cerimonia officiata dal rabbino Reform Charles Lippman.
Per diventare giudice di Corte d’Appello,
nel 1997 ottenne il voto di conferma del
Senato allora controllato dai repubblicani.
Gli stessi che adesso hanno molte difficoltà nel giustificare un voto ostile nei suoi
confronti. Al contrario della Sotomayor, liberal e progressista, Garland è un giudice
centrista conosciuto soprattutto per essere
stato protagonista in importanti casi di terrorismo domestico. Dal processo a Timothy
McVeigh, condannato a morte per l’attentato a Oklahoma City, quando estremisti
antigovernativi distrussero con un ordigno
il palazzo federale della città, uccidendo
168 persone, all’inchiesta contro il terrorista solitario Theodore Kaczynski, noto
come Unabomber, arrestato mentre Garland stava celebrando il Seder pasquale
con la sua famiglia.
Secondo il New York Times la sua età piuttosto avanzata per la nomina di un giudice
(l’età media è intorno ai 50 anni ) è un altro
elemento di compromesso con cui Obama
cerca di venire incontro ai repubblicani.
“Vuole lanciare il segnale di aver scelto un
giudice che presumibilmente non dominerà la Corte per i prossimi tre decenni”,
teorizza l’autorevole quotidiano, “con la
prospettiva di estendere l’eredità obamiana fino al 2045”. Ma il leader di maggioranza del Senato Mitch McConnell, repubblicano ultra-intransigente del Kentucky
non vuole saperne. E ha ordinato ai suoi
di sbarrargli la strada a tutti i costi, nel timore di confermare un
amico dei democratici, capace di
spostare la Corte Suprema su un
asse più progressista in vista di
importanti sentenze, dal diritto
all’aborto alle leggi sul controllo
delle armi, ai matrimoni gay.
Ma questa inflessibilità potrebbe
costare cara ai senatori repubblicani, già in crisi per l’implosione
del partito nel dopo-Trump. Un
terzo di loro il prossimo novembre si ripresenta agli elettori
per il rinnovo del mandato. “Gli
americani potrebbero punirli”,
mettono in guardia gli addetti ai lavori, citando sondaggi dove “un numero crescente di elettori li accusa di ostruzionismo ad
oltranza nei confronti del Presidente, per
fini cinicamente politici”.
ALESSANDRA FARKAS
@afarkasny
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MAGGIO 2016 • IYAR 5776
Merrick Garland, il giudice ebreo
che nessuno vuole alla Corte Suprema
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ITALIA
Parola, la chiave
che apre le menti
By Words, una onlus
composta da giovani,
nata a supporto del
grandioso progetto
del Talmud in italiano
I
l 5 aprile 2016 all’Accademia dei Lincei a Roma è stata presentata la prima
traduzione in italiano del trattato Rosh
haShana primo risultato dello straordinario progetto di traduzione dell’intero Talmud babilonese. In questo storico giorno
l’ebraismo ha reso disponibile al mondo
intero un inestimabile contributo culturale
e intellettuale.
Alcuni tra i più illustri talmudisti considerano il Talmud non un libro di conclusioni
ma piuttosto un libro di discussioni, di confronto tra idee e punti di vista diversi che
per la sua struttura oggi è definibile un’opera interattiva, in quanto al lettore che si
appresta a studiarlo è offerta la possibilità
di essere stimolato attivamente dalla discussione sugli argomenti trattati.
L’intero progetto si è ispirato ed è stato
strutturato su questi concetti. Il team è cresciuto e si è alimentato di competenze che
si sono confrontate continuamente sui contenuti per giungere alla traduzione miglio-
re non solo sotto il profilo linguistico ma
conservando e rappresentando il confronto
sui temi attraverso il quale si sviluppa e si
approfondisce il messaggio talmudico. Per
tutti i partecipanti si è trattato di un’esperienza unica di arricchimento professionale
e personale senza precedenti, straordinaria, lontana da ogni arroccamento culturale
e priva di qualsiasi fondamentalismo, portatrice di insegnamento e di conoscenza
anche quale possibile strumento di incontro con gli altri e di contrasto al fanatismo
che nasce e si sviluppa nell’ignoranza.
Dunque “la parola” è il potente strumento
che questo progetto ha minuziosamente
studiato e poi di volta in volta scelto per
raggiungere non solo i dotti e gli studiosi
ma tutti gli uomini e soprattutto i giovani
costruttori di futuro.
Per queste ragioni è nata, accanto al Progetto Talmud, “By Words” una onlus composta da giovani, ebrei e non ebrei, che
hanno accettato di partecipare alla sfida di
contribuire a costruire un futuro migliore.
Tecnologie avanzate di comunicazione al
servizio di una solida base culturale, rela-
Roma, 25 aprile senza la Brigata Ebraica
Contromanifestazione davanti al Museo
della Liberazione, mentre a Milano fischi ed insulti
a chi sfilava sotto il vessillo con la Stella di Davide
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
L
14
a Brigata Ebraica e l’Aned (Associazione ex deportati nei
campi nazisti) non hanno partecipato quest'anno alla grande manifestazione 'ufficiale' per celebrare la Liberazione,
ma hanno manifestato davanti al Museo storico della Liberazione di via Tasso, sede del Comando nazista (11 settembre 1943
– 4 giugno 1944). Già da alcuni anni le manifestazioni del 25 aprile
sono state occasioni, per gruppi filo palestinesi e di estrema sinistra
per lanciare slogan antisemiti ed
anti-israeliani, ulteriore sfregio alla
memoria dei partigiani ebrei italiani
e di migliaia di ebrei stranieri che si
arruolarono nel corpo della Brigata
Ebraica e combatterono per liberare
l'Italia è l'Europa.
Di qui la decisione di tenere una
piccola ma significativa contromanifestazione alla quale hanno partecipato il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, il Commissario straordinario del Comune di Roma Prefetto Tronca e il
presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello che in
un tweet ha scritto: "Non c'erano grandi occasioni a Roma per ricordare il #25aprile, questa a Via Tasso era la migliore. Grazie Presidente Napolitano!".
"Il sacrificio della Brigata Ebraica non può essere disconosciuto - ha
ricordato ad inizio manifestazione il vice presidente della Comunità
zioni con prestigiose Università e aziende
internazionali, sono gli strumenti che impiegheranno per costruire le occasioni e gli
eventi necessari a progredire nel cammino
dell’interculturalità. Insegnamento che
avviene attraverso le parole, che in questi
anni sono state minuziosamente studiate
prima, e scelte poi. Sono le parole, strumento così potente e importante, a dare
vita alla Onlus “By Words” nata a supporto
del Progetto Talmud.
By Words è un’associazione composta da
giovani, ebrei e non ebrei, con la voglia di
rispondere alle nuove sfide che la società
culturale propone mediante l’ideazione
di eventi realizzati con l’ausilio delle più
avanzate tecniche scientifiche e di comunicazione, in collaborazione con le aziende
più prestigiose del mondo, università e
enti pubblici, per realizzare opportunità di
integrazione culturale indispensabile premessa per costruire quel presente e quel
futuro che può basarsi solo su una solida
convivenza tra i popoli e le nazioni di tutte
le religioni e le culture.
CLELIA PIPERNO
ebraica romana, Ruben Della Rocca - e siamo qui presenti in tanti
come persone e ringrazio le tante sigle ed organizzazioni che hanno
aderito ".
"Mai avremmo pensato di abbandonare il corteo del 25 aprile - ha
sottolineato il presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello
- ma non ci riconosciamo negli slogan contro Israele. Qui a via Tasso abbiamo deciso che venisse esposto il vessillo della Brigata
Ebraica. Non si può dimenticare il sacrificio delle persone che hanno contribuito alla liberazione di Roma".
Analogo concetto ribadito dal Consigliere dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane, Victor Magiar: "Non possiamo accettare il
tentativo in corso da alcuni anni di trasformare gli ebrei da vittime
in carnefici".
In centinaia hanno quindi deciso
di visitare il Museo della Liberazione tra i quali il
Commissario
Tronca e il presidente Napolitano.
Grazie a questa
scelta, quest'anno a Roma non vi sono state le vergognose contestazioni contro gli
ebrei scesi in piazza per celebrare il 25 aprile, urla ed insulti che
invece si sono verificati al corteo a Milano, dove si è superato ogni
limite della decenza. Tra i gruppi che hanno contestato il vessillo
della Brigata Ebraica, vi erano i simpatizzanti con le bandiere
dall'organizzazione terrorista filo iraniana Hezbollah. Con il braccio
teso proprio come nel saluto romano. Povera Italia.
Il Talmud in italiano presentato all’Accademia dei Lincei
Cerimonia ufficiale, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella
cerca Stefania Giannini e una vera autorità
mondiale del Talmud, il rabbino Adin Even
Israel Steinsaltz, fondatore del The Israel Institute for Talmudic Publications.
Il rabbino Di Segni, ripercorrendo il legame
del Talmud con l’Italia, dai grandi studiosi presenti a Roma fino alle distruzioni di
Campo dei Fiori e di Venezia, ha evidenziato peraltro come proprio Roma sia stata la
città dove è stato stampato il primo libro in
ebraico della storia.
“La persecuzione di questo testo in Italia è
stata aggirata dagli ebrei con tutti i possibili espedienti, ma ha avuto un effetto micidiale nell’abbassare il livello culturale e
religioso delle nostre comunità. La strada
che abbiamo intrapreso ora con questa ambiziosa operazione ha per tutti questi motivi un grande valore simbolico”. “Pensare
e lavorare a quest’opera - ha quindi detto
Di Segni - significa tante cose: che ora, di
nuovo, c’è un gruppo di studiosi di Talmud
che parlano la lingua italiana e che possono realizzare questo obiettivo; che esiste
un’attesa da parte del pubblico, non solo
ebraico; che esiste un genuino interesse da
parte delle istituzioni dello Stato italiano a
promuovere e coltivare questi studi, come
parte non trascurabile di un patrimonio
universale ma con specificità italiane; che
l’incontro con un mondo culturale diverso
ma interno non spaventa ma al contrario
attira l’attenzione; che dopo le persecuzioni
dei secoli scorsi e la tragedia della Shoà si
comprende che queste pagine fanno parte
della storia italiana e sono necessarie alla
crescita della sua società che deve essere
aperta al confronto”.
“La traduzione del Talmud in italiano - ha
detto poi Rav Steinsaltz - è stata un’impresa
audace, mai tentata prima, sebbene siano
stati molti i saggi che hanno parlato, scritto
e creato in italiano e che hanno vissuto in
Italia”. Con la traduzione anche “chi non è
avvezzo al linguaggio ed alla dialettica del
Talmud ha finalmente la possibilità di ricevere alcune perle dell’enorme ricchezza
racchiusa in questo grande libro”. Il Rosh
haShanà contiene infatti molte delle caratteristiche del Talmud, discussioni astratte
ed esoteriche sulla creazione del mondo,
accompagnate da dettagli tecnici e pratici
sull’osservanza delle mitzvoth.
“Il progetto Traduzione Talmud Babilonese - ha spiegato Clelia Piperno - è l’unica
opera comparabile ai Codici di Leonardo
con le sue macchine volanti. Abbiamo costruito con i traduttori e gli informatici una
navicella che sta esplorando lo spazio della conoscenza, dall’aramaico attraverso la
dimensione spazio-temporale delle lingue
antiche”, dimostrando come “una comunità
colpita anche nella sua capacità culturale
dalle leggi razziali del ‘38 vede riconosciuto
il suo diritto all’identità culturale non come
forma d’impossibile riconoscimento ma
come rinascita di conoscenza”.
MARIO DEL MONTE
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
A
ll’Accademia dei Lincei a Roma è
stato presentato lo scorso aprile
il primo volume dell’opera - Trattato di Rosh haShanà -, e la prima copia è stata consegnata ai Lincei nelle
mani del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Un progetto, quello della Traduzione Talmud Babilonese, che nasce nel gennaio
2011 con un protocollo d’intesa tra presidenza del Consiglio dei ministri, Miur, Cnr
e Ucei. Da allora un team di traduttori, revisori editoriali ed informatici, grazie all’innovativo software Traduco sviluppato dall’Istituto di Linguistica Computazionale del
Cnr di Pisa, lavora all’edizione italiana del
Talmud edita da Giuntina, con il Trattato di
Rosh haShanà (Capodanno in ebraico) che è
solo il primo di 36 che saranno così tradotti.
Alla presentazione, oltre al professor Alberto Quadrio Curzio, presidente dell’Accademia nazionale dei Lincei, che ha ricordato
come siano “molti e forti i nessi che connettono i Lincei alla grande cultura ebraica”,
citando innanzitutto “i tre presidenti dei
Lincei, Vito Volterra, Guido Castelnuovo,
Beniamino Segre, che hanno dato un contributo grande al programma del nostro fondatore (tra l’altro ottimo conoscitore dell’ebraico), Federico Cesi”, sono intervenuti
la professoressa Clelia Piperno, direttore
del progetto, il professor Alberto Melloni,
segretario della Fondazione per le scienze
religiose Giovanni XXIII e membro del comitato d’onore del progetto, Gianni Letta,
presidente del comitato d’onore, l’avvocato Renzo Gattegna, presidente dell’Unione
delle comunità ebraiche italiane, il professor Massimo Inguscio presidente del Cnr,
il rabbino Riccardo Di Segni, presidente del
progetto Traduzione Talmud Babilonese,
il ministro dell’Istruzione, Università e Ri-
15
FOCUS
Daesh-Isis
operazione fermo pista
o storico aeroporto di Punta Raisi è oggi intitolato
ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Il 23 maggio 1992 è una bella giornata siciliana
di primavera inoltrata. Alle 17.58 circa mezza
tonnellata di tritolo distrugge alcune centinaia di metri
dell’autostrada A29. Tre automobili sono investite in pieno
francesi, per non parlare dei sussidi di disoccupazione,
delle opportunità di studio e formazione, e infine
dell’assistenza bancaria per avviare attività in proprio.
I soldati del terrore jihadista hanno studiato bene, e
non soltanto teologia, ricevendo poi un addestramento
efficiente. Conoscono la manipolazione tecnico-chimica
degli esplosivi, sanno muoversi con spietata efficienza,
forse fanno uso di sostanze psicotrope che aiutano ad
annullare l’istinto di conservazione.
Dirottamenti e attacchi agli aeroporti costituirono la
normalità dell’imprevisto all’inizio dell’epoca dei jet
commerciali. Si cominciò nei primi anni ’60 del secolo
passato sulle tratte Stati Uniti-Cuba. Dissidenti e attivisti
di entrambi gli schieramenti, pro-USA o pro-Fidel,
seminarono il panico tra Miami e L’Avana. Pochi morti,
dall’esplosione. Restano uccisi gli agenti Dicillo, Montinaro e
Schifani, il giudice Falcone e sua moglie Francesca Morvillo.
Il 20 marzo 1995, tra le 07.50 e le 08.11 vengono attaccati
con il gas nervino Sarin tre convogli e tre stazioni della
metropolitana di Tokyo. I morti furono 13, i feriti oltre 6.000.
Nella stazione più affollata, due dipendenti vedono il liquido
trasformarsi in gas. Sacrificano la vita per la salvezza di
centinaia di passeggeri dell’ora di punta. I fondamentalisti
della setta religiosa Oumo Shinrykio (“Verità Suprema”) si
assunsero la piena responsabilità.
Il rapporto tra i due fatti, sotto il profilo di un’analisi
tattico-strategica è chiaro. Se si attaccano le infrastrutture
dei trasporti e coloro che se ne servono, il messaggio
passa subito: “attenzione, siamo in grado di colpire
chi è in movimento su qualsiasi mezzo di trasporto, di
paralizzare le vostre vie di comunicazione e le vostre città,
la vostra economia, la rete intera della mobilità locale e
internazionale.”.
A Bruxelles non è in sostanza accaduto nulla che non
si fosse già visto. Ma i militari sanno bene che siamo di
fronte a un salto di qualità. E’ cominciata una guerra. Se
qualcuno pensa che sia una questione di cellule dormienti
e lupi solitari, vive in un sogno dal quale si risveglierà
soltanto per trovarsi dentro un incubo. Senza mettere in
allarme milioni di persone, gli Stati Maggiori si preparano
a fronteggiare il prossimo attacco e il prossimo salto di
qualità. Più ancora che a Parigi, in Belgio hanno dovuto
prendere atto di un coordinamento mai in precedenza
sperimentato.
Altro che poveri ragazzi emarginati. Da chi e da che
cosa poi bisognerà chiederlo alla universale stupidità
del sociologismo cosiddetto progressista: qualsiasi
abitante delle borgate romane sarebbe felice di stare in
appartamenti come quelli di Molenbeek e delle banlieues
tanti titoli sui giornali. Fu poi il turno dei palestinesi.
L’obiettivo era chiaro: accendere i riflettori, alimentando il
mito della “disperazione”, su una questione che la politica
internazionale avrebbe potuto risolvere con facilità se la
parte araba, proprio come oggi l’Iran, non avesse allora
mirato all’estinzione pura e semplice dello Stato di Israele.
Si cominciò il 23 luglio 1968, con il dirottamento su Algeri
del volo El Al 426, Londra-Roma-Tel Aviv. La vicenda si
trascinò per 40 giorni, non ci furono vittime. La strategia
dell’attacco agli aerei di linea sfuggì presto di mano alle
numerose fazioni palestinesi di quel tempo lontano. Le
azioni divennero numerose e letali. E poi si passò alle
stragi di massa negli aeroporti. Ma l’obiettivo politico
risultava chiaro: questa forma di terrorismo era guerra
aerea, con altri mezzi. L’insediamento dell’Autorità
Nazionale Palestinese mutò in via definitiva i termini del
confronto. Ma una parte del mondo islamico ritenne di
dover applicare la lezione in modo tale da ricostituire il
Califfato universale dal Maghreb al Mashrek, dall’Africa
Occidentale fino all’estremo oriente. Fu il turno di Osama
bin Laden e delle Twin Towers.
Oggi Daesh-Isis intende prima regolare i conti interni. E
ci avverte: voi interferite, noi colpiamo. Ma poi passerà
in massa sull’esterno, se non viene fermato prima.
Soprattutto dall’Islam razionale e ragionevole, sperando
che sia sopravvissuto anche dopo il tempo di Avicenna e
Averroè in Al-Andalus, la Penisola Iberica degli arabi, che
è sulla nostra porta di casa. Gebel el-Tarik, la Montagna
di Tarik o Gibilterra, segnala un tratto di mare un tempo
islamico. Quattordici chilometri virgola trecento metri di
mare nel punto più stretto. Si potrebbe attraversarli anche
in pedalò.
PIERO DI NEPI
Attacco ai trasporti nel cuore
dell’Europa. È soltanto l’inizio?
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
L
16
Aeroporti e terrorismo:
una lunga storia
di sangue e morti
Fin dagli anni ’60 i gruppi terroristici
arabi e palestinesi hanno cercato
di colpire passeggeri e aerei
Gurion International Airport, del 1972. Il Fronte Popolare per
la Liberazione della Palestina riuscì a reclutare tre membri
dell’Armata Rossa Giapponese per commettere la strage.
La sicurezza israeliana fu totalmente sorpresa dagli inattesi
tratti somatici dei terroristi e questi ultimi estrassero dalle
finte custodie di strumenti musicali delle mitragliatrici di
fabbricazione cecoslovacca con cui massacrarono 26 persone
fra cui operatori dell’aeroporto, agenti di sicurezza, pellegrini
portoricani e il famoso scienziato israeliano Aharon Katzir il cui
fratello Ephraim fu eletto Presidente l’anno successivo.
Poco ricordato è invece l’attentato di Glasgow del 2007 in
cui una jeep con diverse taniche di propano si scagliò contro
l’ingresso dell’aeroporto della città scozzese senza però
mietere vittime oltre al terrorista.
Prima di Bruxelles l’ultimo attacco jihadista contro gli aeroporti
è stato quello del Domodedovo di Mosca del 2011 commesso
da un attentatore suicida ceceno nella hall degli arrivi, con 37
vittime e 173 feriti.
Se escludiamo la matrice islamica la lista si allunga a più di
1000 casi dagli anni ’30 ad oggi con i più svariati perpetratori:
singoli scontenti del proprio regime come a Pechino nel
2013, nazionalisti croati nel 1975 al LaGuardia di New York,
indipendentisti baschi a Madrid nel 2006, vendicatori del
genocidio armeno nel 1983 all’aeroporto di Orly di Parigi.
Certamente le autorità internazionali prenderanno nuove
misure per prevenire nuovi attacchi nelle aerostazioni di tutto
il mondo, ma una cosa è certa: la capacità di adattamento
dimostrata dalle organizzazioni terroristiche rende la sfida ben
lontana dall’essere vinta.
MARIO DEL MONTE
Bagliori
Or neshamà
Le luci dell’anima
Progetto di Brunella Bellini
Giovedì 9 Giugno ore 20.30
Galà di Beneficenza
A favore della Campagna Emergenza “Mettiamoli al Sicuro”
con l’étoile Giuseppe Picone
TEATRO SALA UMBERTO
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L’Adei Wizo, con il progetto “Bagliori”, intende promuovere una raccolta fondi finalizzata alla realizzazione di iniziative volte alla protezione e sicurezza dei minori nei quattro Centri Wizo in Israele di:
Beth Wizo, Maaloth, Rehovot e Yevul
Info - 065814464
[email protected]
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
N
onostante l’11 Settembre 2001 abbia rappresentato
una cesura profonda nell’ambito della sicurezza
aeroportuale il terrorismo jihadista ha trovato
sempre nuovi modi per colpire gli aeroporti di tutto
il mondo. L’attentato all’aeroporto di Zaventem in Belgio
per mano dello Stato Islamico è solo l’ultimo degli attacchi
compiuti in quelle che sono considerate le infrastrutture
centrali per la vita di un paese avanzato. E pensare che non
si tratta del primo assalto a Zaventem: nel 1979 un gruppo di
terroristi appartenenti all’Organizzazione per la Liberazione
della Palestina aprì il fuoco sui passeggeri in attesa di
imbarcarsi per un volo El Al e lanciò alcune granate nell’area
commerciale dell’aeroporto ma la sicurezza belga con l’aiuto
di quella ausiliaria della compagnia aerea israeliana
riuscì a sventare l’attacco.
I gruppi armati palestinesi durante gli anni ’60, ’70 e ’80 si
resero protagonisti di molteplici aggressioni negli aeroporti
occidentali, spesso contro i desk della compagnia di bandiera
dello Stato Ebraico. Tra i più famosi purtroppo ce ne sono stati
anche due che colpirono il nostro paese nel 1973 e nel 1985.
Nel primo caso fu assaltato con granate al fosforo un volo Pan
Am a Fiumicino in cui rimasero uccise 34 persone. Nel 1985
invece due gruppi di attentatori agirono coordinati a Roma e
Vienna uccidendo in tutto 19 persone, fra cui un bambino, e
ferendone circa 140. Sia a Roma che a Vienna l’obiettivo erano i
passeggeri in coda al banco dell’El Al, a rivendicare l’attacco fu
l’organizzazione Abu Nidal ma esistono forti sospetti che
il rais libico Gheddafi fosse il vero mandante.
Nella mente degli israeliani però l’attacco più spaventoso
rimane certamente quello dell’aeroporto di Lod, l’odierno Ben
17
FOCUS
Sicurezza. Ora Israele
è diventato un modello
da imitare
Tutti guardano all’aeroporto di Tel Aviv:
un esempio su come gestire grandi
flussi di viaggiatori, effettuando controlli
antiterrorismo fuori e dentro il terminal
I
n seguito agli attentati terroristici di Bruxelles del 22
Marzo, che hanno colpito anche l’aeroporto di Zaventem, si
è parlato molto del modello israeliano di sicurezza. Giornali,
radio e TV si sono concentrati sulle meticolose misure
di sicurezza messe in piedi al Tel-Aviv Ben-Gurion Airport,
lodandole per i risultati raggiunti nel corso degli anni. Si parla
ora di “modello Israele” per scacciare il fantasma ISIS ma in
realtà si comprende poco la logica dietro le decisioni prese dalle
autorità dello Stato ebraico.
E’ bene chiarire innanzitutto che gli aeroporti, così come le
metropolitane e le stazioni ferroviarie, sono diventati gli obiettivi
primari per i jihadisti perché sono estremamente difficili da
controllare: milioni di persone utilizzano ogni giorno questi mezzi
di trasporto per muoversi da un posto all’altro ed è irrazionale
pensare di controllare singolarmente ogni individuo con il
rischio che l’obiettivo degli esplosivi diventi l’interminabile coda
all’ingresso. L’altro aspetto preliminare da considerare è quello
psicologico: infondere timore nell’utilizzare le infrastrutture
significa paralizzare una società rendendola prigioniera anche
senza la presenza fisica di un carceriere. Considerate queste
due linee guida ci sono delle precauzioni che possono essere
intraprese per limitare i danni, cosa che gli israeliani hanno
capito per primi.
Come ha magistralmente evidenziato nel suo blog personale
Loretta Napoleoni, economista e scrittrice fra i massimi esperti
di ISIS in Italia, gli israeliani hanno ideato il loro aeroporto
come un bunker le cui misure di sicurezza iniziano all’esterno
dei terminal con le auto e i passeggeri che vengono scrutinate
dai militari prima che possano scaricare i bagagli davanti
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
Rotschild 10 Bat Yam
18
Perez Haiut 4 Tel Aviv
Krinizi 27 Ramat Gan
all’ingresso. Niente zone “kiss&go” per dirla con un linguaggio
familiare a chi ha preso almeno una volta un volo da Fiumicino.
Inoltre agenti in borghese stazionano costantemente davanti
agli ingressi su cui è apposto un primo metal detector, persone
addestrate che avrebbero sicuramente fermato gli attentatori
con un guanto che sono divenuti l’immagine simbolo di quella
terribile giornata.
In Occidente tutto questo è inconcepibile, i nostri aeroporti
più che bunker sono dei veri e propri templi del consumismo.
All’interno dei terminal si staziona per almeno due o tre
ore, passando il tempo acquistando souvenir nei duty free
o mangiando nei ristoranti. Quello stesso tempo che al Ben
Gurion i passeggeri lo spendono ai successivi due controlli di
sicurezza, che comprendono anche un’intervista che ha lo scopo
di creare un profilo psicologico del viaggiatore per individuare
rapidamente i potenziali attentatori. Solo a quel punto si può
accedere all’area shopping prima dell’imbarco.
Ovviamente l’aeroporto di Tel-Aviv muove un numero di
passeggeri nettamente inferiore a quello di Roma, Madrid o
Londra ma ciò che può fare la differenza è il principio “prima la
sicurezza poi il business”. In parole povere: il modello israeliano
è certamente un punto di riferimento ma la mera imitazione non
basta, urge un serio ripensamento del nostro modo di concepire i
trasporti altrimenti il terrorismo dello Stato Islamico avrà sempre
vita facile.
MARIO DEL MONTE
Investimenti immobiliari
in Israele: ci hai già pensato?
Società israeliana con staff multilingue propone in vendita appartamenti nuovi e rifiniti realizzati usufruendo della tama ‘38 in zone
centrali e residenziali di: Tel Aviv, Ramat Gan, Rishon e Bat yam.
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Negli aeroporti occorre
un mix di uomini e tecnologia
Lo spiega l'esperto israeliano Shlomo Harnoy
D
opo gli attentati di Bruxelles dello scorso mese di marzo,
il modello di sicurezza dell’aeroporto Ben Gurion di
Tel Aviv è stato al centro delle attenzioni di numerosi
governi e sotto i riflettori dei media. Per cercare di
capirlo meglio, Shalom ha intervistato Shlomo Harnoy, attualmente
vice Presidente dell’internazionale Sdema Group e da sempre
esperto di terrorismo e di sicurezza negli aeroporti.
Da dove bisogna partire per garantire la sicurezza in un
aeroporto?
La mia esperienza sul campo mi porta a individuare tre obiettivi
principali: evitare che vi sia alcuna esplosione a bordo di un
aereo; evitare un attacco dove c’è alta concentrazione di persone,
in particolare ai terminal; mantenere la continuità funzionale
dell’aeroporto, sia nella routine che dopo un eventuale attacco. La
maggior parte degli aeroporti europei cura quasi esclusivamente il
primo punto, trascurando i rilevanti scenari che possono derivare
negli altri due ambiti.
Quali sono dunque le strategie che bisogna adottare?
Gli aeroporti europei devono pianificare e implementare dei
circuiti di sicurezza prima dell’ingresso nell’aeroporto stesso
e all’interno delle sale d’attesa dei terminal. Questo limite era
emerso già nel 2011, con l’attentato all’aeroporto Domodedovo
di Mosca che provocò decine di morti e centinaia di feriti:
si verificò infatti proprio nell’area di ritiro bagagli. Con una
diversa impostazione si possono prevenire quattro scenari che
caratterizzano gli attacchi terroristici, specialmente la Jihad
islamica: le auto-bomba, le violente penetrazioni nei terminal,
attentati suicidi, il trasporto all’interno dell’aeroporto di armi o
materiali ad alto potenziale esplosivo. Queste sono le principali
minacce che incombono sugli aeroporti.
Come si realizzano questi circuiti?
Attraverso un mix di alta tecnologia e fattore umano, oltreché
mediante una lunga e complessa pianificazione.
Quanto sono rilevanti le più moderne innovazioni tecnologiche?
La tecnologia da sola non è la soluzione. La massima efficienza
per un piano di sicurezza si realizza solo con una completa
integrazione tra tecnologia, persone e procedure. Molti Stati
investono miliardi nella tecnologia, ma da sola questa non risolve
i problemi. L’esperienza israeliana ci insegna che la sicurezza si
ottiene soprattutto tramite il fattore umano.
In cosa consiste questo “human factor” e come si ottiene?
La lotta al terrore deve coinvolgere molteplici attori ed esercitarli
ad affrontare i pericoli. Anche chi lavora nei negozi di un
aeroporto, per esempio, deve avere una preparazione adeguata,
organizzata dai servizi di sicurezza, improntata all’individuazione
di potenziali terroristi. Comprendo che questo modello non è
semplice da implementare, specialmente per alcuni aeroporti
europei di enormi dimensioni. Un metodo spesso utilizzato è quello
di usare un profilo operativo di un terrorista o di un criminale come
base per individuare elementi sospetti in un ambiente protetto; ciò
significa che gli agenti di sicurezza sono abituati a identificare una
tipologia specifica di comportamenti che si collega all’identità di
un potenziale terrorista. Con questo metodo, ogni atteggiamento
sospetto si può ricollegare a un metodo di operazione, facilitando il
compito e limitando anche l’invadenza nella sfera personale degli
altri passeggeri.
Com’è organizzata la sicurezza nell’area circostante l’aeroporto
di Tel Aviv?
Abbiamo vari circuiti di sicurezza, quasi dei cerchi concentrici.
Fuori dall’aeroporto e al suo interno (nelle aree pubbliche e al loro
ingresso). Il tutto è studiato sui tre obiettivi iniziali e basato su
un’accurata pianificazione.
In conclusione, Harnoy ci tiene a sottolineare un aspetto: Uno
degli scopi del terrorismo è quello di diffondere il panico e
fermare le nostre vite. Per questo, i nostri piani di sicurezza sono
finalizzati a garantire la continuità delle nostre attività abituali:
è fondamentale che la nostra prevenzione assicuri alle metro di
circolare e agli aerei di decollare.
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19
FOCUS
Per combattere il terrorismo
tutti devono cooperare
È la semplice ricetta dello specialista
israeliano Ely Karmon
I
sraele è un modello di sicurezza? E cosa può imparare
l’Europa da Israele? A proposito di questi temi caldi, Shalom
ha sentito l’opinione di Ely Karmon, specialista di terrorismo
internazionale presso l’Università di Herzliya. “L’esperienza
israeliana può essere d’aiuto all’Europa, ma entro certi limiti,
a causa delle profonde differenze che ci sono tra le due realtà.
L’Europa è estremamente frammentata essendo formata da 28
Paesi. Israele, invece, è un piccolo Paese molto ben preparato in
virtù della sua esperienza storica. Tuttavia, nonostante queste
differenze, può insegnare qualcosa agli europei: ad esempio,
ad accentuare il ruolo dell’intelligence, con una profonda
penetrazione in tutte le reti terroristiche molto prima che entrino
in azione”.
Secondo Karmon, infatti, l’Europa non investe a sufficienza in
questo ambito, indispensabile per prevenire e neutralizzare il
terrorismo. “Un problema legato all’arresto: non è sufficiente
mandare il terrorista per 10-15 anni in galera, ma bisogna
neutralizzarlo”. Un altro elemento che i Paesi europei dovrebbero
apprendere dallo Stato ebraico è la cooperazione tra i diversi
comparti che si occupano di sicurezza. “In Israele, polizia, forze di
sicurezza, esercito e intelligence collaborano a livelli strettissimi
e comunicano reciprocamente le informazioni in tempo reale. Nei
casi più eclatanti, gli attentati in Francia e in Belgio, si è notata
proprio l’assenza di questa coesione, anzi, è mancata proprio la
comunicazione. Ciò è particolarmente evidente nell’espulsione che
le autorità belghe hanno effettuato nei confronti di uno dei futuri
attentatori, pur potendolo individuare come potenziale terrorista
dalle informazioni a disposizione”.
Karmon ravvisa poi una cooperazione internazionale troppo
limitata. “I recenti attentati hanno dimostrato una scarsa sinergia
tra i Paesi colpiti. È indispensabile migliorare e standardizzare
a livello sovranazionale la struttura giuridica per fronteggiare il
problema dell’immigrazione e dei controlli ai confini. A questo
proposito, gli aeroporti costituiscono un punto chiave, come
confermano gli ultimi episodi di Bruxelles: in Europa non ci sono
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controlli fuori dal perimetro dell’aeroporto stesso, mentre in Israele
non puoi entrare nell’area se prima non superi dei controlli di
sicurezza tecnologicamente molto avanzati”.
Ma è possibile una cooperazione tra Israele ed Europa? “La
cooperazione già c’è, nell’intelligence soprattutto. E può crescere,
Israele ha tecnologie all’avanguardia che possono essere usate
anche dagli europei. Specialisti israeliani hanno visitato l’aeroporto
di Bruxelles sei mesi fa, prima dell’attentato: hanno dato delle
raccomandazioni, ma Israele non può influenzare oltre un certo
limite le decisioni dei governi”. Inoltre, Karmon sottolinea come
elemento di cui tener conto sia necessariamente una maggiore
tutela della presenza ebraica su ogni territorio. “Tra i principali
obiettivi dei terroristi in Europa c’è sempre stata almeno una
componente ebraica: il primo attacco dello Stato Islamico (o
comunque di chi si riconosceva nel Califfato) è stato proprio il
Museo Ebraico di Bruxelles; a Parigi, l’attacco a Charlie Hebdo
fu immediatamente seguito da quello all’hyperkasher; analogo
schema fu seguito a Copenaghen nel febbraio 2015”.
I Paesi europei devono inoltre fronteggiare e riuscire a monitorare
il fenomeno dei foreign fighters, i quali, consapevoli di essere
inseriti nelle black list dei loro Stati di appartenenza, vanno in
Oceania o in Sud America. “Esiste questa possibilità. Quindi,
mentre Daesh perde terreno in Asia Minore, la minaccia
terroristica nel resto del mondo cresce”. Ma Karmon sottolinea
anche le altre minacce terroristiche sparse per il mondo, a
partire da al Qaeda, ormai troppo spesso dimenticata, ma ancora
forte nella penisola arabica, soprattutto in Yemen, dove si trova
attualmente la sue base, un’area di 500 km nella città di Makallà.
“Al Qaeda, grazie ai legami con i gruppi locali, è radicata anche
in Somalia con Al-Shabaab e in Nord Africa con Al Qaeda nel
Maghreb” ricorda. “E non va sottovalutata: recentemente ha
espanso il suo raggio d’azione. Gli attacchi in Costa d’Avorio e in
Burkina Faso ne sono la più evidente dimostrazione”.
DANIELE TOSCANO
PENSIERO
Enzo Bonaventura,
un ponte per la psicologia
tra Italia e Israele
Un seminario internazionale, il 1° giugno,
all’Università di Tel Aviv celebrerà una figura
pionieristica in questo campo della ricerca
Rientrato in Italia dopo la guerra, per un anno
sabbatico, Bonaventura non trova nessuno, fra
i colleghi che detengono il potere sulla psicologia accademica, interessato a un suo eventuale rientro. Nonostante il prestigio e la fama
acquisite, l’idea di un possibile ritorno di Bonaventura nella sua vecchia università, è solo un
“fastidio”. Una complicazione da evitare per dei
concorsi, pensati per altri.
Il seminario internazionale in memoria di Enzo Bonaventura – in programma il prossimo 1°
giugno - si propone di approfondire l’opera e la
personalità nei suoi diversi aspetti di scienziato, uomo di cultura, esponente del sionismo italiano, filosofo dell’ebraismo e uomo di cultura.
L’iniziativa promossa da Roma Tre sarà seguita
da un convegno, che si terrà in autunno nell’Ateneo romano.
DAVID MEGHNAGI
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quasi settant’anni dalla tragica morte, avvenuta nell’imboscata al convoglio dei medici dell’Hadassah, si
terrà all’Università di Tel Aviv un
seminario internazionale in memoria di Enzo
Bonaventura. Il convegno, promosso dal Master
internazionale di II livello in didattica della Shoah di Roma Tre, intende ricordare una delle figure più importanti della psicologia accademica
italiana e israeliana. Espulso dell’Università per
la quale aveva dedicato due decenni, Bonaventura contribuisce alla costituzione del Dipartimento di psicologia della Hebrew University.
Un atto dovuto di riparazione che l’Ambasciata
italiana in Israele ha fatto suo, inserendo l’iniziativa all’interno delle celebrazioni per il decimo anniversario degli accordi scientifici italiani
e israeliani.
Laureatosi a Firenze nel 1913 con Francesco De Sarlo, Bonaventura diviene suo assistente. Nel Laboratorio di psicologia, creato
da De Sarlo, conduce importanti ricerche sperimentali sulla percezione degli intervalli del tempo e sulla percezione dello spazio.
Nella sua attività di ricerca Bonaventura utilizza in modo originale gli strumenti raccolti da De Sarlo, integrandoli con nuovi apparati da lui stesso realizzati, fra i quali il tachistoscopio a doppia
caduta. Lo strumento fu usato da Bonaventura e dai suoi allievi
(fra cui Renata Calabresi, emigrata in USA in seguito alle leggi
razziste del 1938) nelle ricerche sull’attenzione, sul tempo di apprendimento e sulla percezione del tempo. In particolare sulla
durata del presente psichico.
Nel 1929 Bonaventura dedica a questo tema il volume Il problema psicologico del tempo, la sua opera più famosa nel campo
della psicologia sperimentale. Nel 1926 su sollecitazione di De
Sarlo tiene un intero corso sull’opera di Freud. Negli anni conduce importanti studi sulla psicologia scolastica e del lavoro. Pur
avendo conseguito l’idoneità nel 1931, non diventerà professore.
L’opposizione alla psicologia da parte di Gentile, figura chiave
della politica culturale del fascismo, ne impedirà la chiamata. Pur
essendo il direttore del Laboratorio, il suo sarà un incarico rinnovabile di anno in anno.
Primo a tenere in Italia un intero corso sull’opera di Freud, Bonaventura pubblica poco prima della sua espulsione dell’università,
una poderosa sintesi del pensiero di Freud che si legge ancora
con piacere (Psicoanalisi, Mondadori, 1938). La ristampa dell’edizione italiana (da me curata), è di prossima pubblicazione con
Marsilio. L’edizione ebraica in formato PDF sarà a cura della Biblioteca della Hebrew University.
Bonaventura fu una figura di primo piano del sionismo italiano.
Si adoperò nell’aiuto dei profughi ebrei che cercavano rifugio in
Italia e partecipò in modo attivo alla vita della Comunità ebraica
di Firenze, di cui fu per anni consigliere.
Espulso dall’Università, in seguito alle leggi razziste del 1938,
Bonaventura si trasferisce a Gerusalemme, dove per dieci anni
lavora alla creazione del Dipartimento di psicologia della Hebrew
University, contribuendo allo sviluppo del sistema educativo del
paese.
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LIBRI
L’abbandono dell’ebraismo:
un fenomeno che fa paura
Quali sono i casi di dissociazione?
Lo spiega un dettagliato studio del
rav Riccardo Di Segni nell’ultimo numero
della Rassegna Mensile di Israel
S
i parla spesso nella comunità ebraica italiana di modalità
e problematiche riguardo all’annosa questione delle conversioni all’ebraismo. E meno si parla delle fuoriuscite che,
vedendo i numeri, nel corso dell’ultimo secolo hanno svolto
un peso significativo nella demografia ebraica capitolina, con una
decurtazione duratura nel corso dell’ultimo secolo. Ce ne dà una
dimostrazione la dettagliata ricerca, effettuata dal rabbino capo di
Roma, Riccardo Di Segni, che è pubblicata sul nuovo numero della
Rassegna Mensile di Israel diretta da Rav David Gianfranco Di Segni per l’Ucei. Si tratta, come spiega l’autore, di un’indagine preliminare con dati ancora incompleti che però tracciano un quadro della
tendenza che attestano a circa 2693 nominativi, coloro che hanno
abbandonato l’ebraismo, dissociandosi dalla Comunità ebraica di
Roma tra il 1865 e il 2005.
Tra questi, visto che nell’art. 5 della legge del 1930 che regolava
i rapporti tra l’ebraismo e lo Stato era necessario che le singole
Comunità prendessero atto del passaggio, vi è la registrazione che
circa 1721 persone hanno scelto la strada del cattolicesimo effettuando il battesimo. Interessante osservare che il picco delle fuori-
PAGINE SU PAGINE. DI EBREI E DI COSE EBRAICHE
La questione ebraica:
dilemma insoluto
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revenciones divinas contra la vana idolatrìa de las gentes di Isaac Orobio de Castro, edito da Olschki, edizione
critica con introduzione, note di commento e riassunti
parafrasi in italiano a cura di Myriam Silvera, è un testo
classico che si occupa dei conversos di origine ebraica che abbandonavano le loro radici. Di buon interesse.
Con lo sguardo alla luna di Roberto Della Rocca edito
da Giuntina è uno dei libri più acuti e originali apparsi
negli ultimi anni. Sono rari in Italia, tra gli ebrei, coloro
che si avventurano in una ricerca di riflessione e sviluppo della tradizione ebraica; della Rocca scrive pagine intense da ricordare.
La Chiesa e il popolo ebraico di Agostino Bea, edito
da Morcelliana, apparve per la prima volta nel 1966 e
oggi viene riproposto molto opportunamente perché
si tratta di un testo fondamentale, una delle basi del
dialogo ebraico cristiano. Bea fu un pioniere dell’ecumenismo e ha lasciato nel mondo cattolico un segno
profondo.
Il pensiero ebraico nel Novecento a cura di Adriano
Fabris, editore Carocci, è un’ottima sintesi che ci permette di conoscere le idee dei più importanti intellettuali ebrei del XX secolo. Ottima l’introduzione in cui si
cerca di dipanare le difficoltà connesse all’idea di
pensiero ebraico, di teologia ebraica, di filosofia ebraica. Questioni complicate a partire dai differenti punti
di vista iniziali.
La questione ebraica è il titolo di un volume (edito da
EDB), che raccoglie, a cura di Gianfranco Bonola, i testi integrali di una polemica pubblica sul ruolo degli
ebrei tra Gerhard Kittel e Martin Buber e che ebbe
luogo proprio nel momento in cui Hitler si impossessò
uscite si sia registrato dopo l’emanazione delle leggi razziali,
a cavallo tra il 1938 e il 1944,
come è illustrato dettagliatamente nelle diverse tabelle che
integrano il saggio.
Oltre a questo, tra i diversi
contributi dell’ultimo numero
della Rassegna, va menzionata
anche una nuova rubrica “il Dibattito”, dove interverranno, da qui alle prossime uscite, diverse
voci su un tema di attualità. In questa edizione si è scelto di parlare
del ruolo della donna nell’Halachà con quattro interventi. Sia Rav
Pierpaolo Punturello che Rav Michael Ascoli ci descrivono come si
pone la legge ebraica davanti al sempre maggiore attivismo religioso femminile, partendo dall’istituzione del Bat Mizvà fino al discusso minian femminile, analizzando le diverse posizioni prese da
eminenti autorità rabbiniche; mentre Silvia Haia Antonucci e Ilana
Bahbout ci forniscono un dettagliato excursus di come sia avvenuto il cambiamento del ruolo della donna attraverso l’espletamento
di diverse pratiche, dall’istruzione alla recitazione della Meghillà di
Ester: una partecipazione attiva che fino a due secoli fa era impensabile salvo qualche rara eccezione.
C’è infine un omaggio al professore emerito di psicologia dell'educazione, Clotilde Pontecorvo, scritto da Marco Rossi Doria, che ne
celebra il percorso di ricerca e l’attività pedagogica nella materia
accompagnato a un impegno duraturo nelle battaglie civili. Chiude
poi la consueta rubrica di libri, curata da Myriam Silvera.
JONATAN DELLA ROCCA
del potere in Germania: molto stimolante. Sempre EDB ha proposto un testo di Hans Jonas su Evoluzione e libertà e uno di Luca
Mazzinghi dal titolo Come nasce un idolo ovvero Ricchezza,
potere e dolore nella riflessione dei saggi di Israele.
Teologia ebraica di Massimo Giuliani, edito da Morcelliana, è
una sintesi delle idee, delle credenze, delle dottrine sviluppate dai
dotti ebrei nel corso dei secoli: una prospettiva particolare che
dipana molti problemi filosofici, ma che pone le basi per nuovi
numerosi interrogativi. Ottimo per discutere e suscitare nuovi dibattiti.
L’editore Bonanno di Acireale ha mandato in libreria due libri di
grande interesse. Il primo scritto da Alfredo Del Monte
si intitola Il miracolo degli ebrei e analizza la straordinaria sopravvivenza del popolo ebraico che per secoli e
secoli ha mantenuto la propria identità culturale. Un
testo ben documentato e di grande spessore. Bonanno
ha anche proposto, a cura di Eliezer ben Rafael, le rispose di cinquanta saggi alla domanda: Chi è ebreo?
Si tratta di un tema oggi sempre più attuale. Ne riparleremo ampiamente.
Metafisica e antisemitismo a cura di Adriano Fabris,
per i tipi di ETS, raccoglie numerosi interventi di studiosi di ogni parte del mondo sui quaderni neri di
Heidegger. Da leggere, prima di smettere di occuparsi
di questo filosofo detestabile e sgradevole.
Esame delle tradizioni farisee (1624): questo il titolo
del saggio pubblicato per la prima volta nel 1624, di
Uriel da Costa, edito da EUM Edizioni Università di
Macerata, un testo straordinario con un commento di
Omero Proietti altrettanto ragguardevole. Come è noto
contemporaneo di Spinoza, da Costa fu una figura di
spicco e le sue vicende sia intellettuali che terrene suscitarono notevole scalpore sia per l'audacia delle sue
testi religiose, sia per i suoi comportamenti di fronte
alle autorità olandesi. Un’edizione preziosa, per conoscere meglio il mondo dei sefarditi di Amsterdam.
RICCARDO CALIMANI
L
o scorso 6 aprile si è tenuta a Roma, alla sala Einaudi
della Confedilizia, la presentazione del libro Lettere, di
Yonathan Netanyahu, edito da Liberilibri.
Ne hanno discusso, di fronte a un pubblico numeroso
e interessato, Fiamma Nirenstein e Giuliano Ferrara insieme al curatore del volume Michele Silenzi.
La raccolta epistolare di Yonathan Netanyahu, fratello maggiore dell’attuale Primo ministro Benjamin, ci restituisce
l’immagine di un personaggio
dal grande intelletto e dalla
forte sensibilità che decise
di fare una scelta, lasciare la
brillante carriera accademica
in America per servire la sua
patria e combattere per la sopravvivenza di Israele.
Yoni così sacrificò la sua vita, morto ad appena trent’anni durante la straordinaria operazione Entebbe nel 1976, che vide la
liberazione di un centinaio di civili, in buona parte ebrei, tenuti in
ostaggio da un gruppo di terroristi palestinesi e tedeschi.
Le lettere scritte dal tenente colonnello israeliano tra il 1963 e il 1976,
indirizzate ad amici, famigliari e alle
donne della sua vita, ci permettono
di comprendere la dimensione eroica di un uomo costretto a fare delle
scelte, mettendo in secondo piano le
proprie passioni e i propri desideri in
nome della Patria.
La breve vita di Yonathan che lo vide
combattere già nella Guerra dei sei
giorni e in quella dello Yom Kippur,
in realtà, come si evince dalle sue
missive, era permeata da un costante e permanente stato di guerra che
gli fece vivere in certi momenti forti
conflitti interiori. Una figura dunque controversa, un militare perfetto che non amava la guerra, ne sentiva la profonda tristezza, e
che tuttavia seguitò a combattere.
“Yoni era un eroe di Israele, era un ragazzo di Israele, insomma
era Israele. E per esserlo a pieno, occorre essere un eroe. Incarnava cioè la quintessenza di ciò che questo Paese è costretto a
essere, come più volte Yoni annota, per seguitare semplicemente
a vivere”, afferma Fiamma Nirenstein che ha proseguito il dibattito spiegando come Yoni incarni i tanti giovani israeliani che
sono costretti a diventare adulti molto prima dei loro coetanei
europei. “Ho conosciuto tanti che camminano sulle sue orme –
prosegue Nirenstein – consapevolmente o inconsapevolmente,
Yoni ha segnato la strada”.
Nel suo intervento Giuliano Ferrara spiega come queste lettere
rimarranno una testimonianza unica e irripetibile di un uomo che
ha saputo trasformarsi per eroismo in una macchina da guerra,
capace di salvare le vite degli altri sacrificando la sua.
Quella di Yoni, dunque, è una tragedia contemporanea, è la tragedia di chi è costretto a porsi costantemente una domanda: ci
sono momenti in cui la guerra è necessaria?
GIORGIA CALÒ, STORICO E CRITICO D’ARTE
Via Artom
Alessandro Musto
Edizioni Rai-Eri, p. 317 €15
“...quale è la ragione di una città mutilata?
Perché la storia abbatte i palazzi, li incenerisce?”. Nella Torino dell’occupazione
tedesca furono le bombe degli alleati a ferire la città. Oggi sono
le esplosioni controllate e le ruspe. Quante vite passate tra quelle
mura? Fabio ed Enrica si conoscono in “Via Artom”, testimoni della
demolizione di un brutto palazzo della degradata periferia torinese.
Lui, 30enne anonimo, annoiato dal lavoro e dalla coabitazione con la
madre. Lei, una bella e irrequieta fotografa con un’idea da realizzare. Ai due si unirà Tarik, 17anni, clandestino, con il sogno di vivere
come i suoi coetanei italiani. Per ciascuno dei tre il destino potrebbe
passare per una casa in Via Sacchi, nella Torino sabauda tanto cara
alla lotta antifascista. La casa in cui visse Emanuele Artom, giovane
intellettuale ebreo, partigiano coraggioso, morto con la Resistenza.
Alla sua memoria è dedicata la strada da cui questo romanzo ha inizio. Per Alessandro Musto un’opera prima non facile, vincitrice meritatamente del premio Rai “La Giara”. La consigliamo volentieri.
Scorpion dance
Shifra Horn
Fazi Editore, p. 421€18.50
“Se ti volti a guardarmi sarai mia, giurai. Tu girasti la testa e io capii che quel
gesto mi sarebbe rimasto impresso nella
memoria per sempre”. Questa è la storia
di Orion, che porta il nome della costellazione dello scorpione. Del padre mai
conosciuto, morto in guerra. Di una madre, giovane vedova, irrequieta di vita e
di amore, volata lontano. Di una nonna
tedesca, Johanna, aggregatasi alle ondate di profughi sopravvissuti alla Shoah
per iniziare una nuova vita a Gerusalemme. Ma soprattutto è una
storia d’amore tra gli uomini e le suggestioni del vivere, presenti, appena trascorse e lontane nel tempo, pronte a riemergere da
un vaso di cenere, da un armadio chiuso, da un profumo di lillà.
L’incontro decisivo con “l’anima gemella”, una cantante lirica di
Berlino, persuade Orion che sia giunto il momento delle risposte.
Proprio come nella “danza dello scorpione”, in un continuo movimento tra passato e presente, tra memoria ed oblio.
A CURA DI JAQUELINE SERMONETA
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Yonathan Netanyahu,
storia di un personaggio
diventato leggenda
23
ROMA EBRAICA
NOTIZIE DAL CONSIGLIO
Al centro della discussione la gestione dell'Ospedale Israelitico
e la crisi economica della Comunità
L
e ultime due sedute del Consiglio della Comunità (31
marzo e 18 aprile) sono state in parte dedicate all'analisi
dell’andamento gestionale dell’Ospedale Israelitico che,
dopo il riaccreditamento della Regione Lazio per due sedi
su tre (via Veronesi e via Fulda), ha iniziato a produrre un fatturato
già abbastanza vicino agli anni precedenti.
Il Commissario straordinario Alfonso Celotto ha spiegato però che
sarà necessario intervenire con una serie di lavori per adeguarsi
alle normative Asl (soprattutto per la sede dell'Isola Tiberina che
attualmente non è stata accreditata dal servizio sanitario nazionale); sarà inoltre necessario definire il budget, indicare un piano
industriale e definire un preciso
organigramma organizzativo, con
assunzioni di personale sanitario,
stabilizzando alcune figure, e
assumendo alcune figure apicali
(responsabile amministrativo,
capo del personale, responsabile
controllo di gestione, presidente
ecc.)
La situazione economica - ha
spiegato Celotto - è delicata poiché esistono debiti (circa 5
milioni) con creditori e un enorme contenzioso, penale e civile e
amministrativo con Regione Lazio e Inps (complessivamente per
oltre 50 milioni) oggetto di ricorsi in sede giudiziaria. Allo stesso
tempo l'Ospedale vanta decine di milioni di crediti con la Regione. Per questa ragione non è ipotizzabile un ritorno alla normalità prima di 18-24 mesi.
Si è quindi aperta un'ampia discussione sul futuro assetto dell’O-
spedale e i Consiglieri hanno avuto garanzia che ad oggi non è
stata valutata l'ipotesi di dare la gestione dell’Ospedale all’esterno,
possibilità che potrà eventualmente essere discussa solo in futuro.
I Consiglieri hanno poi affrontato la discussione sulla situazione
economica della Comunità e sulla necessità di effettuare tagli e
risparmi, riconoscendo la necessità di approvare un bilancio in
pareggio (la Consulta, il cui presidente è stato nuovamente designato in Claudio Moscati, aveva invece approvato una mozione
che bocciava il preventivo di bilancio).
Il Consiglio ha quindi provveduto a completare una serie di nomine: Emanuele Pace è stato indicato come presidente della Commissione regolamento (di cui faranno
parte anche Ruth Dureghello e
Riccardo Pacifici); Simonetta
Della Seta è stata nominata presidente della Commissione cultura
(con lei, Tamara Tagliacozzo,
Gady Tachè e Jonatan Della
Rocca).
Si è poi provveduto alla nomina
dei revisori della Fondazione 'Elio
Toaff' nelle persone di Mario
Venezia (presidente), Ugo Besso,
Roberto Ascoli e Claudio Coen (supplente). Si è passati poi a nominare i rappresentanti Cer in seno al Consiglio degli Asili Israelitici,
nelle persone di David Pavoncello, Gino Moscati, Alessandra Spizzichino, Sara Ciancaleoni che integreranno quelli già eletti: Giuseppe Gattegna, Federica Coen, Daniel Di Porto, Carmel Perugia.
Infine, Lidia Zarfati Fellah è stata scelta come rappresentante Cer
all'interno della Cooperativa Avodà.
Bilancio preventivo 2016: il no della Consulta ai tagli
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
D
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omenica 17 aprile si è svolta agli Asili una nuova riunione della Consulta della Comunità: all’ordine del giorno
il rinnovo delle cariche e la discussione sul bilancio preventivo 2016 della Comunità.
La prima parte è stata caratterizzata da aspre polemiche, determinate dalle proteste di alcune associazioni che, nella nuova composizione della Consulta, sono state escluse per scelta del Consiglio
della Comunità: il tema sarà comunque oggetto di ulteriori approfondimenti e, in futuro, di modifiche del Regolamento, che consentano una più ampia partecipazione degli enti e delle associazioni.
Si è quindi passati alla discussione sulle cariche, da rinnovare
all’esito delle dimissioni di Presidente e Segreteria, conseguenti alla decisione con cui i Probiviri dell’UCEI avevano accolto un
ricorso di alcuni consultori circa la corretta composizione della
Consulta: al termine della discussione, a grande maggioranza,
sono state respinte le dimissioni e quindi sono stati confermati
Presidente (Claudio Moscati) e Segreteria (Giorgia Calò, Daniel
Colasanti, Ruben Dell’Ariccia, Davide Jona Falco, Samuel Ouazana, Angelo Sed), sebbene qualcuno chiedesse di procedere con
nuove nomine.
Si è quindi passati a trattare il tema più spinoso della serata: il
bilancio preventivo 2016.
L’Assessore al Bilancio Roberto Coen ha introdotto l’argomento,
leggendo sia la propria relazione, sia quella dei revisori, spiegando
quindi le linee guida di questo bilancio: si tratta di una manovra
finanziaria dolorosa ma necessaria che, partendo dal buco di circa
1,2 milioni di euro, provocato in gran parte dal mancato gettito
proveniente dall’Ospedale Israelitico (per i noti fatti di cronaca),
prevede entrate extra (aumento di contributi e rette scolastiche,
gettito extra richiesto all’UCEI, maggior redditività dagli immobili)
e dolorosi tagli alle spese, soprattutto in ambito sociale.
Proprio su questi tagli si sono concentrate le maggiori critiche degli intervenuti, che hanno chiesto di rivedere in particolare il taglio
del contributo alla Deputazione, l’abbattimento dei fondi al servizio psicopedagogico della scuola, l’aumento delle rette scolastiche
e dei contributi alla Comunità.
Sono poi state formulate critiche: alla mancata applicazione di tagli al settore del culto, dove invece sono state decise nuove spese
(assunzione di un nuovo direttore dell’ufficio rabbinico ed aumenti
salariali); alla mancata programmazione di una riforma finanziaria
pluriennale e strutturale; alla scelta di pianificare l’aumento delle
entrate su elementi per nulla concreti.
Al termine della serata, dopo il voto su alcune mozioni (che, in
forme diverse, proponevano comunque di rivedere gli interventi in
campo sociale e del culto), la Consulta ha espresso a maggioranza
parere negativo al bilancio preventivo 2016 della Comunità: 7 voti
favorevoli, 13 contrari, 12 astenuti.
Dopo il voto espresso dalla Giunta della Comunità ed il parere (negativo) espresso dalla Consulta, la parola è passata al Consiglio
della Comunità, che si è riunito il giorno successivo proprio per
deliberare sul bilancio preventivo 2016.
La Segreteria della Consulta
Bilancio della Comunità:
una manovra economica senza precedenti
l Consiglio della CER nel redigere il Bilancio Preventivo 2016,
ha dovuto affrontare gravi difficoltà dovute principalmente al
mancato versamento del contributo dell’Ospedale Israelitico
previsto per l’anno 2015 (circa 1 milione di euro) e della conseguente impossibilità di prevedere analoga entrata per l’anno
2016. Ciò ha imposto la necessità di un bilancio provvisorio, volto
a dare il tempo alla Giunta e al Consiglio di approvare le misure
economiche per il contenimento della spesa e per definire un bilancio in sostanziale pareggio. Al mancato introito proveniente
dall’Ospedale Israelitico si è aggiunto inoltre - a causa della perdurante crisi economica - una graduale diminuzione delle entrate
dei tributi (nel 2008 erano 2,7 mil. euro, calate nel 2015 ad 2,5
mil.). L’insieme di queste ragioni fa prevedere che il Bilancio consuntivo dell’anno 2015 si chiuderà con un disavanzo di competenza di circa euro 1,2 mil., un disavanzo che – senza azioni correttive
– si sarebbe potuto riprodurre anche alla fine del 2016.
“La gravità della situazione - ha spiegato il presidente Ruth Dureghello - dovuta sia ai fattori economici generali che alle note
situazioni contingenti ci ha imposto un lungo lavoro che ha visto
coinvolti dapprima tutti i capi dipartimento ed i vari assessori,
una commissione composta da tutte le anime del consiglio e numerose discussioni in giunta. Pur consapevoli che una manovra
del genere non ha precedenti nella storia della nostra comunità,
ognuno con senso di responsabilità ha cercato di proporre delle
soluzioni che non mettessero a rischio il buon funzionamento dei
servizi comunitari e la vita ebraica della Cer”.
Il Consiglio (dopo il parere favorevole della Commissione Bilancio
e della Giunta) ha quindi approvato un piano che si svilupperà in
due direzioni: per il 2015 è già in discussione all’UCEI la richiesta
della CER di un contributo straordinario per un importo di 600.000
euro, ma - ha spiegato il presidente Dureghello - “anche noi dovremo fare la nostra parte” ed il Consiglio ha quindi previsto un
contributo straordinario da richiedere agli iscritti.
Per il 2016 è stata approvata una manovra, tra entrate ed uscite,
per circa euro 1,2 mil. che non incidesse sulla qualità della vita
sia dei dipendenti della Comunità sia in generale per gli iscritti,
che “fosse - ha sottolineato il presidente - anche l’occasione per
ripensare il modello di organizzazione e di gestione della nostra
Comunità”.
Gli interventi approvati dal Consiglio sono così strutturati.
Per le entrate, tre tipi di interventi: incremento entrate scuola (incremento tassa di iscrizione di 100 euro, e delle rette scolastiche e
l’eliminazione dello sconto per i figli dei dipendenti); per i tributi
un aggiornamento della matricola (+ 3% per tutti, con contributo
annuo minimo di 100 euro con esclusione di tutti gli studenti al di
sotto di anni 25); per il patrimonio è stato previsto un incremento
delle rendite patrimoniali.
Per quanto riguarda le uscite, sono previsti tagli complessivi per
circa 400 mila euro: sospensione del contributo agli Enti; riorganizzazione del servizio guide al Museo Ebraico; rimodulazione
dei contributi ai Battè knesiot; riduzioni di spese per le scuole;
riduzione spese libreria Kyriat Sefer; riduzione compenso Direttore Shalom e Manigh del Tempio Maggiore; riduzione contributo
all’UCEI; riduzione coristi; riduzione manutenzioni varie; interruzione kiddushim Tempio Maggiore, interruzione Ufficio Stampa e
Infopoint. “Mai in passato - ha sottolineato l’Assessore al Bilancio
Roberto Coen - è stata effettuata una manovra correttiva del Bilancio di così ampia entità. Dobbiamo tenere conto, però, che a causa
del fatto che il presente Bilancio viene approvato nell’aprile 2016,
le previste riduzioni di spese saranno a regime e svolgeranno la
loro opera benefica solo nell’anno 2017 durante il quale potremo
portare a termine l’opera di risanamento del nostro Bilancio”.
“Siamo consapevoli - ha spiegato il Presidente - che il Bilancio approvato non consentirà di risolvere tutti i problemi e di eliminare
le nostre preoccupazioni, anche perché dobbiamo fare sacrifici che
non mettano però in crisi la vita della Comunità e non allontanino
le persone dalle nostre istituzioni e dalle nostre sedi. E’ necessario che questo bilancio diventi operativo ma per fare ciò non è
sufficiente il voto dei consiglieri è invece importante che tutti gli
iscritti condividano le nostre scelte e le nostre decisioni. Io per prima - ha sottoloneato Dureghello - sono ben disposta a modificare
le nostre scelte e a vagliare altre ipotesi e soluzioni di chiunque
vorrà proporre o avrà idee diverse, a patto che siano coerenti con il
doveroso e non più rinviabile obiettivo di mettere a posto i conti”.
Il bilancio preventivo 2016 è stato quindi approvato a maggioranza, ma anche con alcuni distinguo, all’interno della lista ‘Per Israele’: “proprio il parere negativo della Consulta, che non ha precedenti nella storia della Comunità - ha spiegato il presidente - e
successivamente il voto contrario in Consiglio del vice presidente
Ruben Della Rocca e le annunciate dimissioni dell’assessore Daniela Debach, motivate dall'aver fatte proprie alcune istanze della
Consulta, mi impongono di trovare ulteriori soluzioni e ulteriori
risorse che possano consentire di ripristinare alcuni servizi che
siamo stati costretti per ora a ridurre. Dobbiamo guardare al futuro
con ottimismo. La storia della nostra Comunità ci insegna che proprio nelle difficoltà dobbiamo trovare la forza per rimanere uniti”.
G. K.
Con Good deeds Day, la beneficenza
si fa nelle scuole ebraiche
L
o scorso 8 aprile alla scuola ebraica si è celebrato il “Good
deeds Day”, la giornata delle buone azioni in cui si raccolgono cibi e giocattoli da donare alle famiglie bisognose.
Il Good Deeds Day è un’iniziativa nata in Israele nel 2007
grazie all’imprenditrice e filantropa Shari Arison, ed è stato promosso e organizzato dall’associazione Ruach Tovà (ONG), con la
partecipazione di The Ted Arison Family Foundation, il ramo filantropico del Gruppo Arison; fin dal suo lancio, l’iniziativa si è
espansa in tutto il mondo trasmettendo il valore della Zedakà.
La popolarità del Good Deeds Day è cresciuta sempre di più fino
al marzo 2015, la giornata più importante, cui hanno partecipato
930.000 persone di 61 Paesi, dando vita a 11.000 progetti, per un
totale di 3 milioni di ore di servizio offerto.
È il secondo anno che la scuola ebraica di Roma aderisce a Good
Deeds Day per insegnare agli studenti l’importanza della beneficenza: “Nella Torah si parla prima di creazione e poi delle mitzvot”, ha detto Rav Colombo: “Secondo Rashì finché non saremo
buoni come Abramo, Itzchak e Yaacov non ha senso parlare di
mitzvot”.
Alla cerimonia che si è tenuta nel cortile della scuola, insieme agli
studenti che hanno intonato canti religiosi e celebrato la Kabbalat
Shabbat, hanno presenziato il presidente della Comunità Ebraica
di Roma Ruth Dureghello, l’Ambasciatore di Israele a Roma Naor
Gilon, Shari Arison insieme alla presidente di Ruach Tovà, il preside Rav Benedetto Carucci e Rav Colombo.
Numerosi sono stati i pacchi e i doni raccolti: cibi, bevande e giocattoli per le famiglie meno fortunate, d’altronde per riprendere
le parole di Shari Arison: “Se vogliamo avere un mondo migliore,
dobbiamo prenderci la responsabilità di ciò che creiamo”.
GIORGIA CALÒ
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I
Approvato un piano di tagli e di maggiori entrate
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ROMA EBRAICA
Quelle piccole luci per illuminare l'oscurità
“È
Roma ha accolto con gioia ed emozione sessanta genitori
di giovani soldati israeliani morti in difesa dello Stato ebraico
partito tutto da un matrimonio a Tel Aviv” racconta
Riccardo Pacifici. “Arie Ziribi, ex shaliach del Benè
Akiva mi parlò di questa organizzazione, e diedi
subito la mia disponibilità per organizzare un viaggio per quelle che dovevano essere inizialmente una decina di
persone”.
È cominciata così l’organizzazione del viaggio per i circa 60 genitori di ‘Or Lamishpachot’ - associazione nata per aiutare le famiglie
che hanno perso figli durante il servizio militare, che si propone di
cercare di allietarli le giornate e di farle tornare alla vita normale,
anche tramite il confronto con genitori che ci sono già passati.
“La tristezza per questi genitori
si risveglia soprattutto durante le
feste, lo shabbat, i Moadim, per
questo abbiamo deciso di ospitarli a Purim, che in termini di
allegria è davvero la festa delle
feste”, continua Pacifici.
C’è stata collaborazione da parte di molti - in primis il team di
volontari che si è occupato della
logistica, i ristoranti ed i fast food
kasher che hanno offerto il cibo,
e l’aiuto in diversi ambiti - fin dal
primo momento, quando la polizia e i servizi aeroportuali hanno
riservato loro un’accoglienza da VIP, preparandogli addirittura
una stanzetta di benvenuto, ed il primo impatto con la CER è stata
la visita del museo ebraico e dell'antico ghetto.
Eli Rosenfeld, i cui balli, canti, e melodie del clarinetto sono stati
un po’ il leit-motiv di tutto il viaggio, arrivato al Tempio Maggiore
non aveva che un desiderio, poter suonare, lì, la melodia di Maoz
Tzur di rito italiano.
“Quella di Roma è una comunità molto legata ad Israele e a chi
ne difende l’orgoglio, i vostri figli sono nostri, difendere Israele è
come difendere tutti gli ebrei. Vogliamo farvi sentire il nostro ca-
lore, affetto, amore, farvi capire che tutta la comunità è intorno a
voi”, il benvenuto che gli ha dato la sera stessa il presidente Ruth
Dureghello all’evento al Tempio grande.
Il momento più significativo è stato sicuramente il discorso di uno
dei genitori, Miriam Peretz: ”Sono rimasta molto sorpresa vedendo la piazza dedicata a Tachè; se dovessimo farlo anche in Israele
saremmo pieni di piazze dedicate ai caduti, ma dobbiamo guardare avanti. I miei figli hanno perso la vita per permettere ai figli
degli altri di vivere in sicurezza, anche per voi, non sono caduti invano” ha detto. “È una grande mitzvà gioire, e noi come possiamo
farlo?” Poi ha aggiunto: “Possiamo perché scegliamo di farlo, ogni
giorno ci rialziamo dalla polvere e
scegliamo di vivere. Abbiamo imparato a trovare in questa grande
oscurità delle piccole luci, e quella di oggi è una grande luce”.
Il secondo giorno si sono invece
recati a Napoli ed Ercolano, e lì,
tra l’accoglienza della Kehillà ed i
canti napoletani - per una curiosa
coincidenza - si trovava anche un
ragazzo con un cognome piuttosto raro, ‘Davinu’, che ha preso
con il ghiur il nome di ‘Moshè’,
lo stesso del figlio perso dalla lì
presente famiglia Davinu.
Anche la successiva visita al tempio dei Parioli nascondeva una
storia più ampia e personale, la libreria da poco installata nel
tempio era stata infatti dedicata da Andrea Caviglia in memoria
di Yosef Turgeman, suo compagno alla Yeshivat Akotel e poi tragicamente caduto in battaglia, i cui genitori facevano parte del
gruppo. Arrivate al tempio le due mamme si sono abbracciate, un
momento molto toccante vedere le mamme di questi due ragazzi
che studiavano insieme ma a cui è stata riservata una sorte tanto
diversa.
È stato poi il momento di una giornata più leggera, partita con
Gan Eden
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MAGGIO 2016 • IYAR 5776
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15 carrozze ‘botticelle’ da Piazza
Venezia, arrivate girovagando fino a Piazza Navona, e poi la visita del Colosseo, dei Fori Romani,
dei Musei vaticani. Anche se il
momento divertente è stata la festa all’Alibi - il loro ingresso mascherati, molti anche con costumi
piuttosto elaborati, l’accoglienza
dei bambini. La discoteca colma - offerta dalla famiglia Molayem
con catering offerto da LeBonTon - ha contribuito a dare all’intera
serata un’atmosfera surreale. “Alcuni ci hanno confessato che se
fossero stati in Israele la serata sarebbe passata molto diversamente” sottolinea Pacifici, ma per Ofer Mendelovich, “questo è
quello che avrebbe voluto mio figlio, di cui è oggi il compleanno,
oggi avrebbe compiuto 23 anni”.
Il giorno di Purim è poi trascorso tra diversi Templi, la colazione
di Kosher Cakes e la Megillah al
Bet Shalom, per poi trascorrere
la seudat Mitzvà al Bet Michael,
dove i frequentatori avevano cucinato per loro, e ben 200 persone
erano presenti, per un pomeriggio di canti e balli.
È stato però il finale alla Casa di
riposo il segno sicuramente più
indelebile, dove, in memoria dei loro 33 figli, si è piantato un giardino con il KKL.
All’aeroporto, prima del ritorno, l’ultima sorpresa: un israeliano
in partenza si è avvicinato al gruppo sentendoli parlare ebraico:
‘Ma lei è Miriam Perez?’ ha chiesto meravigliato; era il medico che
aveva assistito suo figlio nei suoi ultimi istanti, e cercava la madre
da sei anni.
SARA HABIB
Un viaggio a Roma doloroso e appassionante
Le lettere di ringraziamento di alcuni genitori
“Ci hanno preso la Menorà, ma non hanno
spento la luce dell’eternità d’Israele.
Ci hanno reso schiavi.
Ma noi oggi siamo liberi, per merito i vostro padre Eliraz e di tutti i caduti.
I Romani erano una potenza mondiale,
e ce l’abbiamo fatta su di loro
Ci siamo rialzati dalla distruzione del nostro Santuario e abbiamo costruito Yerushalaim, perché non abbiamo perso la
speranza.
Perché il popolo d’Israele è un miracolo.
Noi siamo un prodigio e quei miracoli continuano anche oggi
Quando due settimane fa dei malvagi terroristi sono arrivati nel vostro insediamento a Elì e per miracolo non sono entrati a
casa vostra ma in casa del vicino che, Baruch H’, è riuscito a respingerli.
Anche ora “stanno su di noi per distruggerci e Hakadosh Baruch Hu ci salva dalle
loro mani”.
Anche ora, nel terrorismo dei coltelli in
Israele,
io non perdo la speranza.
Proprio la visita a Roma ha fortificato ulteriormente la mia anima e la mia fede.
Noi siamo un popolo unico
un popolo che ama la pace.
Abbiamo resistito al faraone
Abbiamo resistito alla cultura Greca
Abbiamo resistito all’antica Roma
Resisteremo anche a questi giorni difficili
che visitano la nostra Terra.
E come vi dico sempre: essi hanno ucciso
il corpo di Oriel ed Eliraz, ma non hanno
ucciso il loro spirito.
Ecco, sono venuta a Roma con questo spirito. Questa è la nostra vittoria!
Noi non abbiamo bisogno di un arco di
trionfo
Noi non abbiamo bisogno di piazze della
vittoria
Noi siamo la Vittoria!
La Vittoria della Vita.
Qui a Roma, nella comunità ebraica meravigliosa, ho sentito davvero di aver fatto
visita alla mia famiglia: la famiglia del popolo d’Israele!
Beato il popolo che ha questi figli!
Lettera di Miriam Peretz ai suoi familiari
Cara e amata comunità,
“dare l’anima e il cuore, dare quando ami,
e come si trova la differenza tra il prendere
e il ricevere, imparerai ancora a dare…”
La poesia del cantate Boaz Sharabi che è
così radicata nell’identità Israeliana, con
la semplicità delle sue parole, esprime
l’essenza ebraica - la generosità.
Abbiamo assistito a una settimana di generosità con tutto il cuore da parte di una
comunità calorosa e affettuosa diretta e
guidata da Riccardo, Raffaele e tutti gli
amici. Abbiamo potuto fare un’esperienza
molto intensa grazie a Irit che ha realizzato il suo e il nostro sogno e grazie ai cari e
fantastici Ariè, Ania e Limor.
Il nostro Natan era come il suo nome,
dava e dava da sé agli amici e agli altri e
a chiunque avesse intorno, affinché fosse tutto più bello, più allegro, e alla fine
a dato anche la sua vita per difendere la
casa e lo stato d’Israele.
Purim 5776 sarà ricordato nel nostro cuore
come il Purim più felice che ci sia mai stato da allora e per sempre. Il momento più
emozionante è stato l’ingresso nel Tempio
maggiore, quando centinaia di ebrei ci
hanno applaudito con le lacrime agli occhi, stringendoci le mani, abbracciandoci
e baciandoci. Il pranzo di Purim al tempio
Bet Michael è stato insieme emozionante
e intenso. Fino ad oggi non ci siamo ancora ripresi, e siamo in uno stato di euforia.
Vi vogliamo bene e ci mancate.
Limor e David Coen di Modiìn
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
Mamma ha fatto un viaggio.
Un viaggio doloroso, appassionante, fortificante.
Un viaggio che è tutto amore.
La comunità ebraica di Roma ha abbracciato con sensibilità e affetto noi, genitori
che hanno perso i figli, ai quali in un solo
giorno si è oscurato il mondo. Nel giorno in
cui abbiamo seppellito i nostri figli.
Miei amati e cari figli,
voglio che sappiate che i vostri fratelli
Oriel ed Eliraz non mi hanno lasciato per
un istante. Erano con me nel Tempio maggiore di Roma e in tutte le sinagoghe che
abbiamo visitato.
Li ho sentiti dire: “Mamma, non siamo
caduti in battaglia invano! Guarda, i volti
solcati di lacrime delle donne e degli uomini che sono venuti a onorare te e noi
e tutti i nostri compagni caduti; guarda
questo nostro popolo unico. Che unità!
Che amore!
Ti abbiamo visto dall’alto nel cielo e vogliamo che tu li abbracci in nostro nome.
E di’ loro Todà!
Grazie per non averci dimenticato.
Grazie per esservi impegnati a dare a nostra madre e a tutte le famiglie momenti di
felicità e di sollievo.
Grazie, perché continuate ad essere Ebrei
orgogliosi.
Di’ loro che abbiamo combattuto anche
per loro.
Per tutto il popolo ebraico, in ogni luogo
in cui si trovi
Per i loro figli, che possano continuare a
tenere la testa alta e dire di essere ebrei
senza timore.
Cosa ho imparato da questo viaggio?
Quando mi sono trovata davanti all’arco di
Tito e ho visto la menorà, la menorà del
Bet Hamikdash, vi ho subito inviato una
foto.
E ho scritto ai figli di Eliraz:
27
Foto Meloni
ROMA EBRAICA
Grande successo per le tradizionali
recite di Purim
Sul palco i piccoli attori degli asili
e della scuola elementare
N
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
elle cornici del teatro Orione e del Teatro Italia si sono
svolte le consuete recite di Purìm dei bambini degli
Asili Infantili Rav Elio Toaff e delle IV classi della
scuola elementare Polacco. Per l’occasione, le rispettive platee erano piene di genitori emozionati e di familiari in
attesa di ammirare i piccoli attori.
Per introdurre la recita dei più piccoli, la direttrice Judith Di Porto, ha spiegato come il titolo dello spettacolo abbia preso corpo
sulle parole di uno scrittore: “le favole non insegnano ai bambini che i draghi esistono, ma che i draghi possono essere sconfitti”. È così che la scuola diviene uno strumento imprescindibile
per insegnare a superare le paure e a contrastare il male, poiché
l’elemento negativo come un drago è parte di ogni storia reale o
fantastica e può presentarsi sotto innumerevoli forme. Allo stes-
28
so modo feste ebraiche (Purim su tutte) dimostrano che il Bene
può e deve prevalere sul Male. Molto suggestivo “il grande libro
delle storie” con le pagine alte due metri che i bambini hanno
sfogliato, leggendo le varie storie di “Pinocchio”, de “La bella e
la bestia” e “Il piccolo principe”, per concludere con la “Meghillàt Estèr”, rappresentata dagli allievi dell’ultimo anno, utilizzando le colonne sonore scritte da Ennio Morricone per alcuni film.
Altrettanto suggestiva la recita delle IV che hanno portato sul
palco un piccolo torpedone che ha scarrozzato in visita al Museo
ebraico una allegra scolaresca (con tanto di sorveglianza) che,
accompagnata da tre anziane comari, hanno ripercorso la storia
di Ester e Mordechai.
Un bravo a tutti i piccoli e grandi attori, all’intero staff degli asili, alla numerosa squadra delle morot delle elementari (Sandra
Della Rocca, Dafne Di Segni, Giorgia Zarfati, Tamara Moscati,
Emma Sermoneta, Josef Anticoli, Miriam Efrati, Letizia Mieli,
Grazia Gualano, Nirit Avakrat, Eran Wolf, Ilana Calò e i collaboratori Graziano Sonnino e Nicole Di Cori) che hanno saputo
trasformare le recite in veri spettacoli musicali, canori, di danza
e recitazione.
YURI DI CASTRO
A Villa Pamphili il Giardino dei Giusti:
un esempio per tutte le generazioni
I
l 31 Marzo nel suggestivo parco di villa Pamphili, nella pineta
antistante il Villino Corsini, è stato inaugurato il Giardino dei
Giusti; un traguardo raggiunto dopo quasi un anno di lavoro del Municipio Roma XII che su proposta dell’associazione
ADEI-WIZO, in accordo con la Gariwo, ha ottenuto l’autorizzazione dall’amministrazione capitolina per destinare uno spazio ai giusti prescelti a cui ogni anno verrà dedicato un
albero.
I Giusti sono coloro che si sono attivati, anche
a rischio della vita, per contrastare un genocidio, adoperandosi in modo concreto per la
salvezza dei perseguitati o intervenendo a
favore della verità storica contro i tentativi di
giustificare o di occultare le tracce dei misfatti
e le responsabilità dei carnefici.
L’ADEI-WIZO ha raccolto l’invito della GARIWO “La Foresta dei Giusti”, fondata da Gabriele Nissim, che partendo dall’idea del Giardino di Yad Vascem a Gerusalemme, ha voluto
onorare chi nel mondo si oppone a tutti i crimini contro l’Umanità.
Alla cerimonia di inaugurazione sono intervenuti: Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma, il rabbino capo
Rav Riccardo Di Segni, Cristina Maltese presidente del Municipio
Roma XII, Tiziana Capriotti Assessore alla Cultura del Municipio
Roma XII, Alessia Salmonì presidente del consiglio del Municipio
Roma XII, Noemi Di Segni consigliera UCEI, Ziva Fischer Modiano
dell’ADEI-WIZO e Anna Foa come rappresentante di GARIWO.
“A Roma - ha sottolineato rav Di Segni - mancava un luogo del
genere. L’idea del giusto è un’immagine radicata nella storia
ebraica, a partire da Abramo alla ricerca di almeno 10 giusti
per salvare Sodoma e Gomorra dalla distruzione. Non sappiamo
quanti giusti metteremo in questo giardino, è certamente una
sfida che nasce dal dolore dal momento che sono pochi i giusti
che salgono dal dolore”.
“E’ importante accogliere luoghi simbolici e di valore come questo
da trasmettere alle generazioni successive, in un mondo in cui il
terrorismo perseguita l’Europa”, ha detto la presidente Dureghello
ricordando gli attentati di Parigi e Bruxelles: “Israele lo aveva già
capito quando ha istituito l’onorificenza del Giusto tra le Nazioni e
noi oggi creiamo un Giardino dei Giusti nella speranza di vivere in
un mondo sempre sereno”.
I legami di questo giardino con la Shoà, secondo Anna Foa, così
come con il museo di Yad Vashem e il Giardino dei Giusti di Gerusalemme sono fortissimi: “esprimono l’immagine del Giusto in
tutte le forme in cui la storia lo declina: la
capacità di resistere al male e la possibilità
di comprendere l’allargamento del concetto di male e contrastarlo e l’associazione
ADEI-WIZO che si occupa di incentivare non
solo il ruolo della donna ma anche l’educazione dei giovani, ha contribuito a promuovere questa iniziativa”.
Grazie al contributo del Dipartimento del­
l’Ambiente di Roma è stata individuata la
collina su cui sorgerà il Giardino, luogo doppiamente simbolico
in quanto teatro della battaglia del 3 Giugno 1849. Non verranno
piantati nuovi alberi, ma ogni anno verrà dedicato un albero a un
giusto; i giusti saranno scelti da un comitato eletto dal sindaco, di
cui farà parte anche Rav Di Segni.
GIORGIA CALÒ
4 Borse di Studio per il Liceo Ebraico
La Fondazione ‘Borsa di Studio Davide e Virginia Piperno’ mette
a disposizione a studenti di famiglie bisognose, 4 Borse di Studio per sostenere l’intera retta di iscrizione al Liceo Ebraico.
Le domande dovranno pervenire, entro e non oltre il prossimo
31 maggio, presso la Segreteria dell'Ufficio Rabbinico (Lungotevere Cenci) e dovranno essere accompagnate da: pagella finale
dello scorso anno con giudizio del corpo insegnate; certificato
dell'Ufficio Tributi della Cer attestante posizione contributi della
famiglia; dichiarazione redditi della famiglia. L'assegnazione
delle Borse non è cumulabile con altre Borse.
JCamps (ex Camp Espana) offre Camp Estivi
Ebraici Internazionali in Spagna e Inghilterra
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
P
er più di 20 anni i direttori Patricia e Brian Geminder, hanno organizzatoCamp Espana International Jewish Summer Camps in Spain and England Camp estivi Kosher per
ragazzi ebrei. Studenti tra i 10 e i 17 anni partecipano ad
escursioni, lezioni di lingua, sport, sport estremi, sport acquatici,
programmi di arte e cultura mentre vivono una fantastica estate
in luoghi bellissimi, come Alicante in Spagna, dove il nostro camp
si trova sulle spiagge del Mediterraneo o Ashford, vicino Londra,
dove abbiamo un camp modernissimo da 10 milioni di dollari.
La nostra atmosfera calda e premurosa fa sentire benvenuti i ragazzi che vengono per la prima volta, così come quelli che tornano
già da diversi anni, e il nostro ambiente sicuro dona tranquillità ai
genitori. Ogni estate riuniamo ragazzi ebrei provenienti da tutto
il mondo per vivere l’estate di una vita, in una calda atmosfera
ebraica familiare, dove si fanno amicizie che durano per sempre.
In tutti i nostri camp forniamo cibo Kosher, eccetto in Cina, dove
offriamo cibo vegetariano. I venerdì sera si svolgerà la nostra speciale Kabbalah Shabbat, seguita dalla cena di Shabbat. E’ possibile
seguire la funzione di Shabbat e la sera ci sarà l’Havdalah.
Per partecipare a questa indimenticabile esperienza visitate il nostro sito web www.jcamps.org
29
ROMA EBRAICA
La shoà vista dai ragazzi
Un progetto educativo
per gli sudenti della Scuola media
Q
uesto mese gli alunni della prima C dell’Angelo Sacerdoti hanno preso parte ad un elaborato progetto in più
fasi coordinato dalle professoresse Giordana Limentani
e Mara Astrologo.
Tutto è cominciato con la visita alla mostra su Anna Frank al Portico
d’Ottavia, organizzata dalla professoressa Limentani, “ragazzi di
altre scuole avevano realizzato dei disegni dopo avervi partecipato,
che erano esposti”, ha spiegato “e la Fondazione mi ha invitato a
fare lo stesso con i miei studenti”.
Gli allievi si sono quindi impegnati a produrre dei disegni, su Anna
Frank e sulla Shoà, fortemente simbolici, penetranti, che dimostrano la loro sensibilità verso l’argomento, e l’empatia per Anna, una
ragazza come loro. C’è chi ha rappresentato “un bambino religioso,
in un campo, con due ciuffi dove c’erano le peot che gli sono state
tagliate, a testa bassa, umiliato”, chi “un cuore incatenato ed imprigionato dal filo spinato”, chi “la casa di Anna Frank, con davanti
Edith, Margot e Anna che si dirigono verso Hitler, nel massimo della
sua potenza, con la mano alzata, con sotto la citazione di Anna:
‘Pensa a tutta la bellezza intorno a te e sii felice’”.
Il progetto si è poi allargato, immettendosi in quello più ampio sulle
emozioni già in atto con la professoressa Astrologo - cominciato con
la visione di Inside Out, e continuato durante l’anno con la strutturazione di testi sulle sensazioni ed il collegamento dei brani di antologia letti in classe a specifiche emozioni - chiedendo ai bambini di
Il futuro appartiene
ai giovani e con loro
bisogna dialogare
Su iniziativa dell’Ucei una
Task Force che si è riunita
a Roma per la prima volta
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
U
30
n’occasione unica, cui erano invitati a partecipare i rappresentanti
di tutte le associazioni giovanili,
per poter prendere parte ad “un
network costruttivo e rispettoso”, essere più
partecipi ed ascoltati nelle politiche nazionali che li riguardano, facilitando la comunicazione tra i diversi movimenti ed organizzazioni, questo primo incontro giovanile
nazionale era il primo segnale che la Task
Force, creata ad hoc dall’UCEI, per analizzare i risultati della Ricerca Campelli. Simona
Nacamulli, coordinatrice, spiega come dopo
una profonda analisi dello stato attuale, sia
stato naturale concentrare sui giovani l’attenzione, per ragionare insieme sul futuro, e
sia nata così l’idea di questo incontro, che si
proponeva di raccogliere un gruppo di rappresentanti quanto più eterogeneo possibile, “e mi sembra che l’intento iniziale, avere
un confronto in cui tutti si sentissero liberi di
parlare ed esprimere la propria opinione sia
stato raggiunto, tutti sembravano contenti
di poter dare il proprio apporto”.
“Spesso chi ha militato in modo appassionato all’interno di un movimento giovanile
si trova a 18 anni abbandonato, senza punti
scrivere una descrizione delle proprie raffigurazioni, con le relative
sensazioni suscitate e la motivazione della scelta. “Tramite il mio
disegno voglio far ricordare la storia di quella bambina, forte, che è
stata nascosta per due anni in quel nascondiglio”; “ho raffigurato
i fili spinati, la tortura l’impossibilità di uscire dai campi di morte”
dice un altro, ed ancora, “un bambino che non sa se morirà o rimarrà in vita, con la propria sopravvivenza nella mani del tedesco”.
“La differenza tra un bambino ebreo di oggi ed uno che viveva nel
‘42” è l’aspetto che ha voluto sottolineare qualcuno: “da una parte
un bambino che viene chiamato dalla mamma per andare a casa,
dall’altro uno chiamato da un soldato nazista per essere portato via”.
Particolare rilevanza è stata inoltre data alla scelta delle tinte, se
qualcuno “Non l’ha colorato, ma l’ha lasciato in bianco e nero, perché immagina la Shoà senza colori”, un altro ha invece “usato il
rosso e il nero, il primo per simboleggiare la violenza utilizzata dai
nazisti, il secondo il periodo buio e cupo passato dagli ebrei”. Eppure c’è chi nel proprio disegno ha voluto convogliare un messaggio
positivo: ”ho rappresentato un bambino, dietro il filo spinato, che
guarda oltre con la speranza di vivere” scrive uno. “Ho scelto di
raffigurare la svastica nazista dentro la stella di David”, conclude il
suo scritto un altro “per far capire che i figli di Israele, nonostante
questa orribile esperienza, sono sempre e comunque più grandi e
potenti dei nazisti.”
SARA HABIB
di riferimento”, ha ammesso Rav Della Rocca. Tuttavia, ha ricordato, non possiamo per
questo esimerci dall’obbligo di confrontarci
con la società a noi circostante. “Ci sono”,
ha sottolineato, “nell’ebraismo cose che non
sono negoziabili, dobbiamo vivere la nostra
identità di minoranza, ed esserne fieri, stare
in controtendenza, combattere a testa alta”.
Durante la mattinata si è discusso - dividendosi in gruppi ed esponendo poi a tutti le
conclusioni - dei punti di forza dell’ebraismo
giovanile italiano, e delle difficoltà e minacce che sta affrontando in questo momento.
Nel pomeriggio, con le stesse modalità, ci si
è invece concentrati più sull’aspetto pratico,
concreto, proponendo e cercando di tirare fuori nuove idee e progetti per il futuro,
modi per coinvolgere i giovani più “lontani”,
e soprattutto cercando di gettare le basi per
il Moked giovanile che Rav Della Rocca ha,
da diverso tempo, in programma per tutti i
giovani ebrei italiani, che si vorrebbe organizzare in collaborazione tra tutti gli enti.
Ora starà all’UCEI il compito di non deludere
le aspettative: la prima cosa da fare è sicuramente, secondo la Nacamulli, consolidare
e rendere affiatato questo gruppo, far sì che
questi incontri diventino appuntamenti periodici, e creare il Moked, un incontro ludico
e culturale, da cui possano uscire direttive
da presentare ad un convegno nazionale
aperto a tutti coloro che lavorano o prestano
la propria attività per le Comunità Ebraiche
Italiane, ma soprattutto a chi con i giovani è
costantemente in contatto.
SARA HABIB
Dichiarazione dei redditi:
i costi della mensa
sono detraibili
Sia per la scuola primaria
che secondaria
La spesa per la mensa è detraibile tra i
costi di istruzione all’interno della propria dichiarazione dei redditi se i figli
sono a carico.
Questa una delle novità della finanziaria 2016, e si applica sia per quanto
riguarda il servizio scolastico primario
sia per il secondario e non prevede
distinzione tra la scuola pubblica e la
scuola privata.
Le spese detraibili non possono superare i 400 euro annui per alunno, per un
totale che in percentuale non può essere superiore al 19% del costo.
La spesa per la mensa può essere inserita all’interno del 730 con il codice 12
da indicare nei righi da E8 a E12 del
nuovo modulo 2016.
All’interno del modulo Unico 2016 i costi
della mensa vanno indicati con il codice
12, all’interno delle righe da R8 a R14.
Vanno certamente conservate le copie
delle ricevute di pagamento. Si deve poi
richiedere il rilascio da parte della scuola dell’attestazione di pagamento delle
rette. Ciò può essere richiesto in segreteria. E’ prevista l’apposizione di una
marca da bollo da 2 euro se l’importo
supera 77,46 euro. Maggiori informazioni sul sito dell'Agenzia delle Entrate.
È stato uno dei fondatori del Benè Berith
Giovani Roma - Sezione Stefano Gaj Tachè
U
na nomina importante quella di Daniel Citone, eletto lo
scorso novembre presidente del B’nai B’rith Europa, costola della più ampia associazione del B’nai B’rith International. Shalom lo ha incontrato.
Cos’è il B'nai B'rith International e che tipo di attività porta
avanti?
Il B’nai B’rith International è stato fondato negli Stati Uniti da
ebrei tedeschi nel 1843, dunque 172 anni fa, con l’intento iniziale di aiutare gli ebrei emigrati dall’Europa. E’ un’organizzazione
con antiche tradizioni presente nei quattro angoli del mondo dal
Canada al Sud America, dalla Australia alla Nuova Zelanda, negli
Stati Uniti e in Europa con persone sul campo. Il B’nai B’rith è riconosciuta come organizzazione non governativa dall’ONU, siamo
presenti in tutti gli uffici dell’ONU da New York a Ginevra dove si
trova il Consiglio dei Diritti Umani e siamo presenti anche all’UNESCO. Portiamo avanti attività a difesa delle comunità ebraiche
nel mondo, a difesa di Israele e combattiamo l’antisemitismo. Abbiamo in corso decine di progetti. Ad esempio la scorsa settimana, con una delegazione di circa venti persone da diverse parti
del mondo, siamo andati a Ginevra dove è in corso il Consiglio
dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. Abbiamo incontrato diverse
personalità, soprattutto Ambasciatori che andranno poi a proporre
risoluzioni e a votare, e noi proponiamo temi e soluzioni. Abbiamo
parlato soprattutto del conflitto israelo-palestinese, difendendo
Israele, cercando di far capire che Israele è un paese che non deve
essere demonizzato o isolato come spesso avviene in queste sedi
e chiediamo un maggior equilibrio anche se purtroppo sappiamo
come funziona il Consiglio dei diritti umani: i paesi arabi hanno un
ruolo preponderante e ciò causa grandi difficoltà. Abbiamo parlato anche di antisemitismo legandoci ad Israele dal momento che
spesso gli attacchi ad Israele nascondono un forte antisemitismo e
della minaccia dell’Iran argomento che ci preoccupa enormemente. Oltre che a Ginevra andiamo anche a New York all’Assemblea
Generale dell’ONU e uno dei miei progetti futuri per il BB Europe
è di fare un’attività simile anche all’Unione Europea, a Bruxelles,
dove vorremmo incontrare membri del Parlamento Europeo per
proporre i nostri temi.
Oggi nel mondo c’è un clima di crescente antisemitismo lega-
to anche ad organizzazioni
come BDS che cavalcano
l’onda dell’antisionismo.
Cosa fa il B’nai B’rith Europe per contrastare il BDS e
l’antisemitismo?
Negli ultimi tempi ho cercato di lavorare maggiormente
con la Commissione Europea che lo scorso novembre
ha nominato un commissario per la lotta all’antisemitismo, Katharina von Schnurbein, che ho già incontrato più volte e sto cercando
di lavorare il più possibile con lei. E’ importante la nomina di un
commissario per la lotta contro l’antisemitismo, erano anni che le
organizzazioni ebraiche di tutto il mondo la chiedevano. In Europa
dove l’antisemitismo è in forte crescita era necessario che l’Unione Europea si prodigasse e si circondasse di persone in grado di
poter fare qualcosa. Noi portiamo avanti campagne di educazione
che sono utili e specifiche per la lotta contro l’antisemitismo e per
il dialogo interreligioso.
Come portate avanti il dialogo interreligioso?
Un ufficio di New York si occupa proprio di questo. Lo scorso giugno abbiamo incontrato il Papa, alcuni fra i vertici del Vaticano
e i responsabili del dialogo interreligioso e siamo in stretto contatto. Per quanto riguarda il mondo islamico, è molto più difficile
ma tentiamo comunque di avere un dialogo. A Roma, in occasione
dell’ultima premiazione, abbiamo dato la ‘Menorah d’oro’ all’Imam
Pallavicini.
B’nai B’rith International e B’nai B’rith Europe intervengono
anche contro il razzismo e a difesa di diverse minoranze. Sono
frequenti gli interventi di organizzazioni di gruppi religiosi diversi a sostegno o a difesa dell’ebraismo grazie ai rapporti con
il B’nai B’rith?
No, non molti, però ogni tanto capita anche se da parte del mondo
islamico è più difficile: molte organizzazioni legate all’islam moderato sono spesso minacciate e quindi non è facile. Capitano spesso esternazioni di sostegno in privato ma in pubblico è più raro
che intervengano a difesa dell’ebraismo e contro l’antisemitismo.
Ad esempio l’anno scorso si è tenuta a Berlino un’importante conferenza riguardante l’antisemitismo organizzata dall’OSCE dove
sono stato insieme a diversi rappresentanti del B’nai B’rith e lì
una organizzazione musulmana in occasione di situazioni private
ha fatto dichiarazioni utili contro l’antisemitismo ma, ripeto, solo
privatamente. Le organizzazioni islamiche hanno maggiori difficoltà a parlare.
SARAH TAGLIACOZZO
Contatti: Yael Ilmer Giron 349 251 6993 I [email protected] I www.masaitalia.org
Masa Israele è un progetto del governo Israeliano e dell'Agenzia Ebraica ed è reso possibile grazie al generoso contributo del Keren Hayesod
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
Daniel Citone eletto Presidente
del B’nai B’rith Europe
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ROMA EBRAICA
Presentato nella sede di via Balbo,
il Talmud in italiano
“Q
uesto volume è una pagina importante per l’ebraismo italiano e la cultura in generale” dice
Miriam Haiun, direttrice del Centro di Cultura,
“il Talmud è un’opera di profonda saggezza che
si occupa dei temi più svariati, abbracciando tutti gli aspetti della vita. La sua originalità sta nel suo approccio al modo di dibattere, che incoraggia la discussione, i dubbi, ed accetta le risposte
contrastanti”.
Clelia Piperno direttrice del progetto di traduzione, è poi passata a spiegare come tutto si è
articolato e sviluppato. “Molti mi
hanno chiesto come è nata l’idea,
ma non so rispondere” racconta,
“i tempi erano ormai maturi”, ed
è stato così messo in moto un
meccanismo “che ha permesso
all’ebraismo italiano di ricominciare a contare culturalmente,
in un periodo in cui, mi dispiace
dirlo, si parlava ormai quasi solo
di morti”. Fin dall’inizio, dice, ha
guardato a questa impresa come
un immenso progetto di ricerca, ed ha ammesso, mettere insieme la squadra è stato più difficile che trovare le risorse. “Abbiamo già tradotto una mole enorme” conclude, ma che, per “poter
essere meglio digerita dal pubblico” verrà pubblicata pian piano, facendo uscire circa due volumi l’anno.
“Ci siamo rivolti inizialmente, nel 2012, a tutti gli iscritti dell’A-
RI, e ad alcuni studenti del collegio Rabbinico e Yeshivot in
America ed Israele, contattando complessivamente un totale di
70 potenziali traduttori”, ha spiegato Rav Gianfranco Di Segni
illustrando la modalità di traduzione. Si è cominciato a tradurre:
Rosh Hashanà, Berachot, Shabbat e Kidushin, che venendo da
tre Ordini differenti “offrivano un ventaglio di argomenti piuttosto diversificati”- ne sono ad oggi in lavorazione 13, aggiunge,
quasi tutti appartenenti al Seder Moed, e quasi tutti in fase di
revisione.
Il Rav Riccardo Di Segni ha invece ripercorso, con l’ausilio di
un proiettore, l’evoluzione testuale e tipografica del Talmud,
cominciando con la prima stampa di Soncino a Venezia nel 1483
- “di un’eleganza raffinata” che
inventa la divisione in dapim e
stabilisce l’impaginazione in colonne - passando per l’edizione
di Vilna 1883 - “versione estremamente accurata, di una qualità tipografica molto pregiata”,
la più usata - per arrivare alle
traduzioni: quella in inglese ed
ebraico moderno di Steinsaltz
- primo a cimentarsi in questa
impresa, fautore della popolarizzazione del Talmud fin dagli inizi
degli anni ‘70 - e quella dell’Artscroll - l’edizione che va per la
maggiore nel pubblico ortodosso americano, che offre una traduzione “estremamente erudita e piena di dettagli”- tutte prese in
considerazione per la traduzione italiana, in quanto, ha ricordato
il rav, è il Talmud un testo spesso criptico ed ambiguo, pericoloso da tradurre affidandosi ad una sola versione.
SARA HABIB
LA TOP TEN DELLA LIBRERIA
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KIRYAT SEFER
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BABILONESE – TRATTATO ROSH HA SHANA’
1 TALMUD
ed. Giuntina
E IL GHETTO
2 VENEZIA
di D. Calabi ed. Bollati Boringhieri
DI GLUCKEL HAMELN
3 MEMORIE
ed. Giuntina
POSTO PER UN SOLO AMORE
4 C’E’
di K.W. Ochayon ed. Giuntina
INVISIBILI
5 GLI
di M. Serri ed. Longanesi
SOPRA L’INFERNO
6 ILdi S.CIELO
Helm ed. Newton Compton
ESTRANEO SUL DIVANO
7 UN
di S. Mendel-Enk ed. Bollati Boringhieri
BOURNE
8 ASCENDENTE
di R. Ludlum ed. Rizzoli
HATODA’A’
9 SEFER
di E. Kitov ed. Morasha
10 L’ABBRACCIO
di D. Grossman ed. Mondadori
Un percorso di vita e di valori ebraici
nel piccolo libro di Gianni Ascarelli
L’
ultima pubblicazione di Gianni Ascarelli, architetto e
attuale assessore al Museo Ebraico di Roma, si presenta in un libricino di appena 70 pagine, da leggere
tutto d’un fiato. Come spiega lo stesso autore è ormai
tradizione nell’ambito della nostra comunità raccogliere memorie,
soprattutto famigliari, legate ad un piacevole evento. Infatti, dopo
“Verso Roma?”, pubblicato da Ascarelli nel 2012 per la nascita della sua prima nipote Rachele, quest’ultimo è stato redatto in occasione del secondo anno di età del nipote Nathan.
Interstate 95 è la principale autostrada degli Stati Uniti, che collega da nord a sud molte aree metropolitane. Il libro dunque fin dal
titolo suggerisce un percorso, durato mezzo secolo come si evince dal sottotitolo, metafora di un itinerario cominciato nel lontano
1966, e che lo ha forgiato come uomo, architetto ed ebreo. Un viaggio che allora fece con la madre, ripetuto oggi con la sua famiglia,
nipoti compresi.
Nella presentazione, il Rabbino Capo Riccardo Di Segni spiega
come il testo si sviluppi su due percorsi di memoria: uno legato alla sua formazione che più tardi diventerà la sua professione,
ovvero l’architettura; l’altro sulla identità ebraica, vero leitmotiv
di questo avvincente percorso autobiografico. Ciò si nota anche
dalla costante ricerca di motivi specifici ebraici nella produzione
dei grandi architetti citati pagina dopo pagina dall’autore, quasi a
voler riscoprire la propria identità ebraica attraverso di loro.
Molto si deve all’insegnamento del Professor Bruno Zevi, riconosciuto da Ascarelli come “maestro nell’indirizzo di vita e nella professione”. Spiega Rav Di Segni: “Bruno Zevi ha avuto un ruolo
fondamentale nel far conoscere all’Italia del dopoguerra un po’
chiusa in sé stessa il respiro dell’architettura internazionale, e che
poi ha cercato di individuare l’elemento culturale ebraico specifico
nell’architettura”.
Altro elemento costante in tutto il libro è la figura materna essenziale per la formazione di Ascarelli, soprattutto dopo la scomparsa
del padre Ennio nel ‘57. È con lei che si reca per la prima volta
negli Stati Uniti per andare a trovare il fratello Paolo. È commo-
vente quando Ascarelli la definisce suo mentore, riconoscendole
dunque un ruolo fondamentale
nascosto spesso dietro una durezza quasi necessaria.
Senza tralasciare la sua inclinazione all’insegnamento (Ascarelli è stato Professore Ordinario
di Progettazione Architettonica
e Urbana presso la Facoltà di
Ingegneria dell’Università de
L’Aquila), anche in questa pubblicazione l’autore approfitta
per fare vere e proprie lezioni
sull’architettura del Novecento,
snocciolando nomi dei grandi
maestri che hanno caratterizzato la fisionomia urbanistica americana, molti dei quali ha avuto
modo di conoscere personalmente se non addirittura di lavorarci
insieme. Da Eero Sarinen, che negli anni Cinquanta e Sessanta
riuscì a scardinare le forme asciutte del razionalismo americano
attraverso un design futuribile, al noto studio Harrison & Abramovitz, in cui ebbe la fortuna di lavorare; da Paul Rudolph, artefice
del Yale Art and Architecture Building, a Louis Kahn che porta nel
suo lavoro i ricordi di un ebraismo mitteleuropeo.
Ascarelli non risparmia però nemmeno le critiche, rivolte soprattutto agli architetti della sua generazione, molti dei quali assurgono oggi il titolo “archistar”, strabordando in allestimenti capaci di
cannibalizzare qualsiasi cosa, dimenticando così quale sia il vero
compito di chi sceglie questo mestiere.
Anche nella conclusione del libro Ascarelli riconferma la sua identità ebraica, il suo attaccamento ai valori e alle tradizioni, attribuendone il merito alla moglie Paola, e al suo rapporto con la keillà
romana. Dunque molto è cambiato in cinquanta anni, è cambiato
il profilo delle metropoli americane, è cambiato lui stesso come
uomo e come ebreo. Un filo di nostalgia separa il 1966 ad oggi, la
nostalgia di una generazione, la sua, che egli stesso definisce nel
primo volume “compresa tra una tragedia già avvenuta ed una
che tarda a venire...”. Mi domando se questo non sia il sentimento
che accomuna il popolo ebraico da sempre.
GIORGIA CALÒ, STORICO E CRITICO D’ARTE
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
Interstate 95. Un viaggio
lungo mezzo secolo
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Rav Reuvèn Roberto Colombo
ROMA EBRAICA
’Io e l’altro’: Le mitzvot che regolano i rapporti
con il prossimo, nell’ultimo libro di rav Roberto Colombo
n libro che andrebbe letto tutti i giorni, soprattutto la
storia introduttiva che ci fa capire come spesso siamo portati a fare del bene agli altri e dare per scontate le persone a noi più vicine”, così ha presentato
Semi Pavoncello il nuovo libro di rav Roberto Colombo. “Non un
libro di lettura scorrevole”, lo descrive invece la Morà Gaia Piperno,
bensì una raccolta di fonti che offrono numerosi spunti di riflessione
e spingono chi lo studia ad approfondire ulteriormente, risalendo ai
testi originali.
Rav Colombo traduce la Mishnà Berurà e approfondisce, nei dieci capitoli di cui è composto il libro, le principali norme comportamentali partendo per ognuna da un verso della Torà e riportando le
spiegazioni dei Maestri, con note, “fondamentali per capire i brani
e metterli in relazione tra loro”.
“Il rapporto col prossimo è come giocare con il fuoco: prima o poi ci
si brucia”, ha ricordato Rav Arbib ed appare infatti evidente, come
ha sottolineato Gaia Piperno, “che in questo ambito è molto difficile
parlare per principi generali, perché, in ogni caso, ognuno diverso
dall’altro, le circostanze sono fondamentali. La Torà ci indica una
via, ma capire come affrontarla nella vita reale richiede grande saggezza e sensibilità”.
La Morà ha poi continuato enfatizzando l’importanza dell’umiltà,
illustrando una lezione di Rav Sherki, secondo la quale ben tre personaggi nella generazione di Moshè potevano considerarsi adatti
a dare la Torà - Itrò, Bilam e Yov, esperti, rispettivamente nel rap-
porto col prossimo, con D. e con
se stessi - ciascuno di loro però,
partito da un presupposto errato. “La grandezza di Moshè sta
nel contenere tutte e tre le specialità, grazie alla sua estrema
umiltà. Questo gli permette di
ascoltare la parola del S. nella
sua interezza nella sua armonia,
senza inserirvi nulla di personale. La modestia è la qualità che può farci da faro nella vita di tutti i
giorni, negli affari e in famiglia, per trovare l’armonia necessaria a
vivere in pace e a ‘trovare grazia e buona considerazione agli occhi
di D. e dell’uomo’.”
“L’uomo impara a parlare all’età di 3 anni, all’età di 70 impara a tacere”, il detto rabbinico con cui ha invece cominciato il suo intervento
Rav Arbib, concentratosi sulla Lashon Harà. “Perché è considerato
un peccato così grave? Perché la tradizione ebraica insiste così tanto sulla maldicenza?”, perché, spiega il Rav, la parola è un elemento
fondamentale per l’essere umano, è ciò che lo distingue da tutti gli
altri animali, è addirittura, secondo Onkelos, ‘l’anima viva’ soffiata
da H. in Adam di cui si parla nel secondo capitolo di Bereshit.
Rav Carucci ha parlato della mortificazione dell’altro, considerata
gravissima dalla Torà, e addirittura paragonata all’omicidio.
SARA HABIB
Jewrovision,
il Benè Akiva canta e balla
Approcci optometrici
per la promozione della salute
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D
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Rav Reuvèn Roberto Colombo
Io e l’altro
“U
Io e l’altro
Raccolta di fonti rabbiniche
sulle norme sociali
tradotte e commentate
omenica 3 aprile si è tenuto nei cortili della Scuola Ebraica
lo Jewrovision, un festival musicale capace di unire con
spirito di competizione i diversi rappresentati del Benei
Akiva dei maggiori paesi europei. Tema di quest’edizione
è stato la speranza.
Efrat Metzler, esponente del Benei Akiva europeo, ha sottolineato
come uno degli scopi del festival fosse esprimere una chiara reazione nei confronti degli atti di terrorismo degli ultimi mesi: il Benei
Akiva non rinuncerà mai alla speranza che ognuno di noi possa tornare in Israele per cantare insieme.
Lo shaliach (delegato) del Benei Akiva di Roma, Alon, ha spiegato
come la speranza sia una delle caratteristiche più importanti nell’identità di ogni ebreo e di ogni persona: non si potrebbe altrimenti
sperare in un domani.
Uniti da questo spirito, più di 150 ragazzi di età compresa tra i 15 e
i 16 anni sono giunti a Roma da paesi come Austria, Belgio, Finlandia, Germania, Svizzera.
I diversi paesi si sono esibiti sul palco offrendo una canzone dal
testo rimaneggiato o inedito, collegato al tema della speranza e
dell’ebraismo. Hanno vinto i rappresentati dell’Austria e dell’Italia.
Il senif dell’Austria ha infatti esibito anche quest’anno una canzone
dal testo e musica completamente inediti, con accompagnamento
di flauto traverso, pianola, chitarra, tromba. Il senif di Milano è stato premiato per l’attività di beneficienza volta a donare speranza a
bambini colpiti da malattie.
Il festival tuttavia era solo una delle giornate del progetto, che ha visto impegnati ragazzi e ragazze per un intero weekend all’Hotel Fleming in attività di coesione e leadership. Lo scopo dello Jewrovision
è infatti rafforzare l’identità ebraica locale e non solo, ricordando
quindi come la forza maggiore di un ebreo risieda nell’appartenenza al suo popolo. Le diverse giornate del progetto sono state infatti
impreziosite dall’aiuto del DJ Yosi Anticoli, dalla partecipazione del
catering di Lebonton e dai rinfreschi di Dolci Kosher.
MICOL SONNINO
Un nuovo appuntamento di 'Aiuto alla genitorialità'
H
a avuto luogo il quarto incontro del “Ciclo di incontri a
sostegno della genitorialità" che come ospite ha potuto
vantare la presenza del dott. Marco Orlandi, Psicologo e
Optometrista che da oltre vent’ anni si occupa di diagnosi e trattamento delle funzioni visive con particolare riferimento ai
Disturbi Specifici di Apprendimento.
La velocità di scrittura di un bambino può essere influenzata da
difficoltà legate alla capacità di inseguimento visivo, così come le
saccadi nella lettura o le vergenze negli esercizi alla lavagna. La
stessa dislessia può essere influenzata dallo span visivo di un bambino, ovvero il numero di caratteri che possono essere visti con una
singola fissazione. Eventuali disturbi possono essere riconosciuti
grazie a un eye tracker, che traccia appunto le traiettorie dei movimenti oculari sottolineando eventuali anomalie. I bambini tendono
frequentemente alla manifestazione di atteggiamenti come la rotazione del capo, avvicinamento degli oggetti agli occhi, inclinazione
del quaderno: questi fattori indicano di difficoltà visuo-motori - un
bambino che stringe le palpebre per fissare o perde il segno quando
deve copiare alla lavagna sarà presto caratterizzato inoltre da un
rapido decremento delle prestazioni. Il dott. Orlando indica dunque
come norme da adottare da insegnanti e genitori un’adeguata
distanza di lettura su un piano inclinato satinato chiaro o una corretta posizione dei piedi correlata da un’illuminazione ambientale e
sul piano di lettura. Nello specifico il dott. Orlando ha spiegato il
ruolo della visione nei processi cognitivi di apprendimento e nel
controllo motorio. La vista diventa un processo da “tenere sott’occhio”, generando altrimenti disturbi come l’emmetropia, la miopia,
ipermetropia, astigmatismo. Il progetto “Aiuto alla genitorialità” è
nato dalla collaborazione tra Dipartimento Educativo Giovani e le
Scuole Ebraiche di Roma. Scopo del progetto è stimolare la condivisione e gli scambi, tra educatori e genitori al fine di aiutare bambini e adolescenti nel loro sviluppo, ostacolato da problemi comuni.
MICOL SONNINO
Promesse, fede e aspettative
nella lezione di Gavriel Levi
“N
on c’è Emet-verità senza Emunà-fiducia, e soprattutto non c’è emunà senza emet. Se uno vuol capire
una qualità di valori non può se non confrontandola con un'altra, per questo ‘Emet’ e ‘Emunà’ vanno
considerate contemporaneamente, si devono formare delle coppie.
Altro esempio noto è quello di ‘Mishpat’ e ‘Zedek’: la prima rappresenta ciò che è esplicitamente comandato, mentre l’altra l’andare
oltre per scelta personale. Il bilanciamento è un momento di crescita” ha esordito il professor Gavriel Levi, aprendo la lezione che si
concentrava sul “ponderare il rapporto tra verità e fiducia”.
“Emet e Emunà condividono, in ebraico, anche una parte di radice
comune, e sono due parole che variano significato già nel Tanach”:
“Emunà, spesso tradotto come ‘fede’, è invece nel chumash più propriamente ‘fiducia’, ed è, a dispetto di quello che si crederebbe, una
parola rarissima nella Torà. Viene usata per la prima volta in Bereshit 15:6 “ed Avraham ebbe fiducia nel S.” quando H’ promise la
terra di Israele a lui ed i suoi discendenti, e si ritrova poi in Shemot
17:12, dove la traduzione è particolarmente problematica”.“Emet
viene invece spesso menzionata accanto a ‘chesed’-bontà in quanto
queste sono le due qualità per eccellenza di Avraham. Esiste inoltre
un concetto di ‘chesed a emet’, il modo in cui la verità va detta,
dosata, rispetto a quello che una persona può in quel momento accettare e sopportare, di modo che sia digeribile e comprensibile”.
Altro punto focale della serata è stato l’analisi del rapporto di fiducia
tra Am Israel ed il S., che ha aperto la strada ai molti interventi. “Il
Modè Ani, una delle prime tefillot che insegnano ai bambini, finisce
ambiguamente con le parole ‘rabbà emunatechà’ - grande è la Tua
fiducia” ha ricordato il Professore “ma l’affermazione è in questo
caso ambivalente, quella che H’ ha in noi, per continuare a restituirci la nostra anima ogni giorno, e quella noi abbiamo in Lui, ed
è interessante come nella tradizione ebraica sia prima il S. a dare
fiducia alle persone, e poi viceversa”.
Altro grande spunto di riflessione la menzione dell’interpretazione
del Maggid di Kozhnitz sulla frase dello Zohar, ‘Lui è l’emet, lei è
l’emunà’, dove, secondo il commentatore “‘Lui’ si riferisce a chi dà,
ad H’, e ‘lei’ a chi riceve, al popolo di Israele. La verità è infatti assoluta, mentre la fiducia è una sensazione variabile, oscillante, e così
è il nostro rapporto con D.”.
“I bambini faticano a capire cosa è la verità, e lo stesso vale per la
fiducia” ha poi evidenziato il professore rivelando come il rapporto del bambino con la verità non sia così scontato ed immediato.
“La prima definizione che ne danno, la prima verifica che possono
attuare sulla realtà è osservare il nostro rapporto con gli impegni,
controllare se manteniamo o no le nostre promesse. Anche da un
punto di vista ebraico questo è ‘il tipo di verità più importante’, giurare che questa bottiglia sia un elefante è sicuramente giurare il
falso, ma non sono questi i tipi di giuramenti trattati maggiormente
nel Talmud, bensì quelli sul passato e sul futuro, su ciò che abbiamo
fatto e ci prefiggiamo di fare.” Proprio perché il concetto di verità si
arriva comprendere pienamente solo dopo un lungo percorso, “al di
sotto di una certa età - addirittura 8-10 anni”, ha fatto notare Levi,
“spesso non ha neanche senso parlare di bugie dette dal bambino.
C’è infatti in loro ancora confusione tra desideri, fatti, e il modo in
cui secondo loro le cose dovrebbero andare”, ha spiegato “e bisognerebbe sempre lasciargli la possibilità di dire la ‘loro verità’, che
in parte esiste sempre”.
SARA HABIB
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Verità e fiducia
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ROMA
LIBRIEBRAICA
Trent’anni fa l’abbraccio
tra Giovanni Paolo II e rav Toaff:
oggi una mostra lo ricorda
M
Visitabile fino al 14 luglio,
presso il Museo Ebraico
ercoledì 13 Aprile al Museo Ebraico di Roma è stata presentata alla stampa la mostra “1986-2016:
trent’anni dallo storico abbraccio tra Papa Giovanni Paolo II e Rav Toaff”. Obiettivo dell’esposizione,
visibile fino al 14 Luglio, non è solamente ricordare l’evento ma
evidenziare l’attualità di quel gesto carico di significato. A fare
gli onori di casa è stata la Presidente della Comunità Ebraica di
Roma Ruth Dureghello che ha sottolineato l’importanza di proseguire costantemente il dialogo con la Chiesa Cattolica per il bene
di entrambe le fedi ed anche come riconoscimento nei confronti di
Rav Elio Toaff.
All’interno del Museo, oltre alle foto d’archivio e le prime pagine dei giornali dell’epoca, è possibile osservare i doni e le lettere
che Toaff e Wojtyla si scambiarono prima e durante l’evento; ma
a colpire di più i visitatori è sempre la celebre foto dell’abbraccio
(13 aprile 1986), “la traduzione mediatica del passo in avanti” per
dirla con le parole del Rabbino Capo di Roma Rav Riccardo Di Segni che ha voluto concentrare la sua attenzione su come “i semi
di quella giornata siano germogliati portando ad altre due storiche
visite dei successivi pontefici alla Sinagoga di Roma”.
Sarebbe però un errore non raccontare anche il sentimento di amicizia che ha sempre legato Papa Wojtyla agli ebrei. In questo è stato
fondamentale l’intervento del Cardinale polacco Stanislaw Rylko
che ha testimoniato questo sentimento parlando dei rapporti fra
Wojtyla e la comunità ebraica polacca e del giorno in cui il pontefice
si recò al Kotel per pregare e lasciare il tradizionale biglietto nelle
fessure del Muro come fanno gli ebrei di tutto il mondo.
Tra i presenti anche Luisa Todini, Presidente di Poste Italiane che
ha sponsorizzato la mostra, e Sandro Gozi, Sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri per il governo Renzi. A chiudere la presentazione è stata la curatrice della mostra e nipote
del Rav Lia Toaff che ha regalato ai presenti dei preziosi aneddoti
su quella storica giornata. Tra questi il fatto che l’indimenticabile
abbraccio non era previsto nella scaletta del cerimoniale, fu un’azione istintiva che entrambi i protagonisti si portarono dentro per
tutta la loro vita. Da quel gesto appassionato nacque una profonda
amicizia che portò Rav Toaff addirittura ad essere citato nel testamento del pontefice. “Un abbraccio pesante come duemila anni
di storia” lo definì il Rav ma che oggi vale decisamente la pena
ricordare per farne un esempio per le generazioni future.
MARIO DEL MONTE
Un grande artista, però poco conosciuto
P
Una mostra patrocinata dalla Cer,
fino al 20 luglio, sulle opere di Arthur Brycks
ochi giorni fa è stata inaugurata
la mostra “Arthur Brycks e l’avanguardia europea” a cura di Federico De Melis e Ly Bricks, figlia
dell’artista. L’esposizione patrocinata dalla
Comunità ebraica di Roma, è ospitata negli
spazi della Galleria Aleandri Arte Moderna
in Piazza Costaguti 12, e rimarrà fino al 20
ASSOCIAZIONE
D.A.N.I.E.L.A
DI CASTRO
AMICI MUSEO EBRAICO DI ROMA
L’“Associazione Daniela Di Castro
Amici del Museo Ebraico di Roma”
è nata per aiutare il Museo Ebraico
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di Roma nella tutela, conservazione,
36
promozione, diffusione e sviluppo
della ricchezza del suo patrimonio.
PER INFORMAZIONI E PER ISCRIZIONI:
www.associazionedanieladicastro.org
[email protected]
Tel. 334 8265285
di luglio. Per l’occasione sono esposte 140
opere dell’artista ebreo polacco e dell’entourage di Ascona, territorio adottato a ricovero di artisti in fuga dagli scenari bellici
della Prima Guerra Mondiale.
Oltre che per la sua attività
pittorica, Arthur Brycks è conosciuto anche per aver dedicato la sua vita all’assistenza sociale dei sopravvissuti
della Shoah dopo la sua aliah
in Israele, insieme a quelle di
altri amici e sodali.
I suoi lavori, composti da disegni e dipinti, hanno spesso
oggetto figure di vita ebraica
con i quali Brycks venne a
contatto durante la sua prima
parte della vita trascorsa per
diversi anni in varie capitali
occidentali: da Parigi a Berlino, da Zurigo a Amsterdam
fino ad arrivare a New York.
Proprio in questo suo lungo pellegrinaggio itinerante arricchì il suo
estro e la sua personalità virtuosa che caratterizzò tutta la sua esistenza. Già dagli inizi
della sua produzione è ben visibile un’impronta cubista e orfista secondo il modulo
prismatico, che risente anche dell’influenza
del suo collega Arthur Segal, i cui insegna-
menti facevano molti proseliti nella Mitteleuropa degli anni ‘20.
Nel realismo espressionistico di Brycks, che
proveniva da un’educazione ebraica chassidica, forte di studi compiuti in yeshivà, vengono riprodotti momenti della quotidianità
sinagogale, come vediamo nell’opera “Il
giudizio”, e “Studiosi di testi sacri”, dove la
tematica della ritualistica viene rappresentata con eleganza ed estremo
rigore.
Altresì dedica anche alcuni
lavori, come “Tragico ritorno” del 1945, alla situazione
dei sopravvissuti ai lager
nazisti, dove l’artista perse un fratello e una sorella.
Come ha sottolineato il rabbino capo, Riccardo Di Segni,
si tratta di “un esempio di
personalità poliedrica, creativa, di artista che agisce in
un clima di grande vivacità,
vicina geograficamente e socialmente a Elias Canetti e
Albert Einstein; un esempio
di genialità ebraica del primo
Novecento. E’ un autore tanto vicino a noi, quanto poco
conosciuto, purtroppo”. Gli ha fatto eco l’assessore alla cultura della CER, Giorgia Calò,
che salutando l’inaugurazione della mostra
ha messo in risalto come questo “movimento artistico apparentemente lontano, offra
una nuova e inedita prospettiva attraverso
la quale guardare l’arte del Novecento”.
JONATAN DELLA ROCCA
Piazza rivive le sue storie
di miseria e di luce
un nucleo di una Roma scomparsa e in generale dimenticata. Un progetto ambizioso
realizzato attraverso il lungo racconto di chi
ha vissuto, ricordando i soprannomi, i personaggi, le attività e mestieri che si erano
inventati tra mille difficoltà. Una popolazione povera che ha vissuto attraverso le diverse situazioni e persecuzioni. Gli antichi
mestieri andati in disuso e scomparsi: dagli
stracciaroli, alle ricamatrici, ai carbonai, ai
venditori ambulanti di cibi quali patate cotte sulla strada o i pezzi fritti, collegati a dei
personaggi che vivevano giorno per giorno
davanti alle loro botteghe come la nota “Zì
Fenizia” di Fenizia Terracina e del marito
Giuseppe Perugia “Peppe il friggitore”.
“Moschino” preparava a casa un dolce “la
mandorlata” che vendeva per strada. Ed i
ginetti di Occhialone a Piazza Costaguti, e i
Limentani “Boccione” che avrebbero creato
una dinastia di matriarche dolciarie fino ai
nostri giorni. A Piazza Costaguti al mattino
un mercato forniva alla popolazione locale il
pesce fresco, la pescivendola famosa era la
“Sora Velia”. Il cioccolataio rinomato in tutta Roma era Alberto Piperno, che ha fatto
sognare tante generazioni di romani. Rosa
l’orefice con il marito Angelo Anticoli, raffinato orafo e argentiere che pesò l’oro offerto per evitare la deportazione di 200 uomini
capifamiglia. I diversi abitanti e commer-
‘Cronaca di un assassinio’
Al MAXXI, sino al 5 giugno, la mostra multimediale di Amos Gitai
sull’omicidio di Ytzhak Rabin
A
l MAXXI, il Museo Nazionale
delle Arti, sino al 5 giugno è visibile la mostra “Chronicle of an
assassination foretold”, “Cronaca d’ un assassinio annunciato”: un progetto di Amos Gitai,
curato da Hou Hanru
con Anne Palopoli.
Una mostra multimediale: con pannelli
informativi, tele e collages di Gitai, plastici
e foto riguardanti la
tragica serata del 4
novembre 1995 a Tel
Aviv, giorno dell’assassinio di Ytzhak
Rabin, e schermi dove si proiettano immagini di “Rabin, The
Last Day” , il film del regista israeliano, dedicato appunto all’uccisione del premier,
presentato a settembre scorso alla 72ma
Mostra del cinema di Venezia.
Una mostra nata - come precisato dallo
stesso Amos Gitai - non solo come omaggio al premier israeliano a vent’anni dal
suo assassinio, che bloccò gravemente il
processo di pace in Medio Oriente iniziato, due anni prima, con gli storici accordi
di Oslo e di Washington; ma anche come
tentativo di ritrarre l’atmosfera di crisi
e di tensione che pervade, purtroppo, la
società israeliana di
oggi. Sempre di Gitai, ci sarà poi uno
spettacolo teatrale su
questo tema, in scena l’estate prossima
al festival di Avignone (per poi spostarsi
al festival di Napoli,
e da lì a Berlino e a
New York).
Amos Gitai ha realizzato un’esposizione
che colpisce l’anima degli spettatori con
un’atmosfera che ricorda, per certi aspetti, quella dello struggente “santuario dei
bambini” dello Yad Vashem di Gerusalemme. Mentre la proiezione - alla serata inaugurale della mostra - di “Rabin, The Last
Day” (non ancora distribuito in Italia), ha
fatto riflettere il pubblico non solo sul tema
specifico della pellicola, ma, più in genera-
cianti cristiani che vivevano insieme agli
ebrei, si adoperarono come Francesco Nardecchia e le sorelle Arcangela e Maria, nel
momento del pericolo e della persecuzione,
come i nobili Pediconi e Costaguti, famiglie
legate al territorio per i loro magnifici palazzi e il legame con gli ebrei dell’ex ghetto.
Non dimenticando, ed è un obbligo ricordarlo, i “ricordari”, gli urtisti che offrivano
ai pellegrini e ai turisti i souvenirs. Le loro
licenze centenarie, che non sono state riconvertite nel mondo contemporaneo, nella
difficile realtà commerciale di oggi, quelle
licenze sono state cancellate, tradite dagli
amministratori del Campidoglio, annullando una storia dei romani e degli ebrei
romani che hanno fatto di Roma una città
da grandi tradizioni. Resta la Fontana delle Tartarughe a Piazza Mattei, restaurata
più volte, senza i bambini che vi si tuffano
l’estate per trovare refrigerio. L’acqua della fontana continua a cantare e a narrare
le storie di una Roma povera ma forse più
umana, i ricordi di tanti anni fa.
GEORGES DE CANINO
Nella foto: a sinistra Occhialone, al centro
in primo piano il capostipite dei Verdura
Samuele Zì Sed ('o Cecio) con vicino Flora, la
moglie, a destra Gino Moscati 'o Shamash
del Tempio Maggiore. Sullo sfondo
la salsamenteria Diotallevi
le, sulle possibilità del cinema, e delle altre
forme d’espressione artistica, di centrare il
rapporto tra democrazia e violenza politica
nelle societa contemporanee e, soprattutto, di contribuire alla crescita d’un mondo
migliore.
FABRIZIO FEDERICI
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
“I
portoni di Portico d’Ottavia si raccontano”, è un progetto di Alberto
Di Consiglio che si è sviluppato nel
2014, a seguito della pubblicazione del libro “Il Ribelle del Ghetto, la vita e le
battaglie di Pacifico Di Consiglio, Moretto”,
a cura di Maurizio Molinari in coproduzione
con Alberto Di Consiglio nel 2009. In seguito
è nato il progetto “Memorie ebraiche”, vita,
racconti, immagini e tradizioni della Comunità ebraica di Roma prodotto dal Centro di
cultura ebraica CER, www.memoriebraiche.
it. Necessitava raccogliere una documentazione sul dopo 16 Ottobre ‘43, una mappatura del rione, ex area del ghetto della Roma
degli anni ‘30. Una ricerca della vita, dell’economia, dei costumi, degli antichi mestieri,
delle attività della popolazione, fatta a lungo
raggio con interviste alle persone più anziane, localizzando botteghe e case, riuscendo
a ricostruire attraverso le strade e i numeri
civici le famiglie e gli abitanti, raccogliendo
foto e documenti essenziali per avere una
completa visione della vita degli ebrei dopo
la liberazione di Roma il 4 giugno del 1944.
La ricerca e l’enorme quantità dei materiali
raccolti sono stati depositati alla SIAE per
proteggerne il valore culturale e scientifico, storico e morale delle testimonianze, di
un rione che era stato prima ghetto ed era
rimasto ghetto anche dopo l’Unità d’Italia,
37
ROMA
LIBRIEBRAICA
Due cuori in cattedra
La storia dei professori Vittorio Segrè e Lilia Panzieri
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
N
38
el contesto delle famigerate
leggi sulla “difesa della razza”
ed in particolare sull’espulsione degli alunni e docenti dalle
scuole primarie e secondarie e dalle università ed il conseguente potenziamento
delle scuole della Comunità israelitica di
Roma si colloca l’interessante ricerca di
Giuliana Piperno Beeer e Silvia Haia Antonucci “Sapere ed essere nella Roma
razzista” Gli ebrei nelle scuole e nell’università (1938-1943).
Nella tragedia che colpì la Comunità ebraica italiana, molto integrata nel tessuto
sociale e culturale dell’Italia dell’epoca, la
mia attenzione si sofferma su un aspetto
direi quasi intimistico. La copertina del libro riporta una foto presa dall’Album della
Scuola Media Israelitica, Istituto tecnico
superiore di Roma, Classe IV, a.s. 1941/42.
Nella foto è rappresentato un giovane professore che interroga l’alunna. Sappiamo
dal risvolto di copertina che la studentessa
interrogata è Giulia Sermoneta, ma nulla
viene detto di quel professore. Leggendo
il libro ho rinvenuto quel docente (pag. 54,
Fig. 25) in un’altra foto che rappresenta
la classe II della Scuola Media Israelitica
(Istituto Tecnico Superiore), a.s. 1939/40.
Proverò a ricostruire momenti della vita di
quel periodo di questo ignoto professore.
Nel numero giugno 1984 di Shalom a pag.
28 vi è una testimonianza di Giulia Coen
e Franca Ottolenghi sulla loro esperienza
di studentesse dopo le leggi razziali: “La
scuola ebraica incominciò a funzionare a
via Celimontana (nell’a.s. 1938/39) in una
villa molto bella che però dopo un anno
venne requisita, così fummo trasferiti in
via Balbo, nei locali sopra il Tempio... Per
Diritto ed Economia venne un altro insegnante di grande preparazione e prestigio,
il professore Segre di Genova, che ci portò
ad un livello universitario, tanto che quando facemmo gli esami dell’ultimo anno arrivammo tutti a prendere nove... Una curiosità: il professor Segre quando interrogava
noi ragazze (noi due e Tina Scazzocchio) lo
faceva immancabilmente sul Diritto matrimoniale, tanto che alla fine eravamo tutte
e tre ferratissime in materia”.
Il professore descritto nella testimonianza
riportata, è il docente della copertina del
libro anzi citato. Nel ricordo delle alunne
viene individuato come il prof. Segre: in
realtà il suo cognome era Segrè, veniva
effettivamente da Genova ed insegnava
diritto ed economia. Era nato a Pisa nel
1908 e si era trasferito nel 1920 a Venezia in quanto il padre, avv. Cesare Segrè
era stato chiamato a ricoprire l’incarico di
Segretario della Comunità ebraica della
città. La madre, Alaide Castelli, era originaria di Arezzo. Laureatosi a Bologna
in Giurisprudenza e a Firenze in Scienze
politiche, il prof. Vittorio Segrè si era abilitato per insegnare diritto ed economia e
filosofia e storia alle Scuole medie e alle
Scuole secondarie superiori ed aveva insegnato, tra l’altro, a Pola e Fiume. Nel
1937 si trasferì a Genova per avvicinarsi
al confine e tentare di espatriare con i genitori (era figlio unico) percependo che la
situazione per gli ebrei stava cambiando
in peggio, ma nel 1938 il padre muore e la
possibilità di emigrare in Francia si rivela
molto più complessa di quanto immaginato. Viene così a Roma con la madre e
dall’a.s. 1938/39 all’ultimo anno di apertura delle scuole ebraiche (a.s. 1942/ 43)
insegnerà con passione, allegria ed umanità Diritto ed Economia presso l’Istituto
tecnico superiore.
In quella stessa scuola insegnava una bella e volitiva giovane docente, la prof.ssa
Lilia Panzieri, nata a Roma nel 1912, che
aveva due fratelli minori: Liana, che dopo
la guerra sarebbe diventata anche lei professoressa in lettere e Franco, laureato in
giurisprudenza, che sarebbe diventato un
dirigente della Remington.
La professoressa Lilia Panzieri in quel
settembre del 1938 si sentì crollare il
mondo due volte addosso. Aveva infatti
vinto il concorso a cattedre per italiano
latino e greco per la scuola media e la
scuola secondaria superiore e quasi contemporaneamente veniva cacciata dall’insegnamento. Eppure affrontò con forza,
come gran parte dei correligionari, gli avvenimenti che si stavano compiendo. La
Scuola ebraica, come molte testimonianze riportano, era un centro d’eccellenza:
docenti di grandi qualità professionali ed
umane e giovani che sentivano di vivere,
nonostante tutto o proprio per questo, in
un ambiente ricco di stimoli e di cultura.
In questo contesto il prof. Vittorio Segrè
svolgeva la sua professione con serietà ed
ironia. Accadde che si ammalò in modo
serio e ripresosi tornò ad insegnare ancora molto sofferente. La professoressa
Panzieri si intenerì per l’aspetto sofferto del prof. Segrè e da lì incominciò una
frequentazione che li portò a fidanzarsi, a
sposarsi nel 1950 , e ad avere un figlio. I
due professori sarebbero rimasti sempre
insieme oltre che nella vita anche nell’insegnamento. Lei ad insegnare italiano e
latino nella sezione A del Liceo Scientifico
Statale di Roma Avogadro. Lui ad insegnare nello stesso liceo filosofia e storia.
Entrambi erano molto amati dagli alunni
perché oltre alla grande preparazione infondevano nel loro insegnamento quella
capacità, che non sempre si rinviene, di
saper coinvolgere i giovani, interessarli
alle materie e trasfondere con equilibrio
alcuni dei principi che sono alla base
dell’ebraismo: il senso di giustizia, di responsabilità, di amore per la vita, il rispetto per gli altri e l’amore e la curiosità della
conoscenza.
Quando, ancora in servizio, il prof Segrè
morì prematuramente i suoi studenti testimoniarono il loro affetto ricordandone
l’allegria e la profondità leggera del suo
insegnamento. Alla stessa stregua, quando la prof.ssa Panzieri andò in pensione
a settanta anni i suoi studenti inviarono
una petizione al Provveditorato agli Studi di Roma per chiedere una deroga per
mantenerla in servizio.
La Scuola ebraica di via Celimontana e poi
di via Balbo era stata una palestra di cultura e di vita per gli studenti ma anche per
i docenti. Un mondo si andava sgretolando lasciando dolori indelebili ma il risveglio dalla tragedia avrebbe portato, come
in questo caso e come in tanti altri, una
speranza di rinascita alla quale l’ebraismo
non ha mai rinunciato nei secoli. Durante il periodo dell’occupazione nazista di
Roma accaddero ai due professori una
serie di episodi che sarebbe interessante
raccontare, come quello che vide il prof.
Vittorio Segrè nascondersi a via Tasso di
fronte alle prigioni della polizia di sicurezza nazista. Ma questa è un’altra storia.
IL FIGLIO, GIORGIO SEGRÈ
Un grazie dagli autori
È con grande piacere che siamo in
grado di dare un nome al docente che
compare sulla copertina del nostro libro “Sapere ed essere nella Roma razzista”: si tratta del prof. Vittorio Segrè
che insegnò Diritto nell’Istituto Tecnico
Commerciale in via Balbo, negli anni
1941-1943. Lo ha riconosciuto il figlio
Giorgio, che ringraziamo.
Silvia Haia Antonucci
e Giuliana Piperno Beer
LA PILLOLA DEL MESE DOPO
Le parole che
nun t’ajo ditto
N
onostante il fitto scambio epistolare tra l’Accademia della
Crusca ed il sottoscritto, le divergenze di opinioni non hanno permesso di approdare
ancora ad una soluzione
chiara e soddisfacente per
entrambi.
Questo il contenuto dell’ultima lettera: “Gentile sig.
Bondí, in merito alla sua
richiesta del 21 marzo u.s.
le significhiamo che la parola da lei proposta è si ben
formata, ma simile ad un’altra già esistente che rende
bene l’idea dell’aggettivo al
quale intende riferirsi, più
precisamente la parola “ripetitivo”.
Evidentemente non avevo ben reso l’idea,
mi sono quindi sentito in dovere di controbattere:
“Gentile Accademia, Vi prego considerare
il seguente esempio: ho provato a dire a
coloro che mi facevano continue richieste
di giochi su Facebook come candy crush,
candy crush saga, dragon city, pirate kings
etc. etc. che erano ripetitivi, ma nessuno
ha colto il messaggio così come volevo intenderlo. Molti, invece, hanno desistito nel
momento in cui ho scritto loro che erano
“REPETOSI”, a volte con l’utilizzo di alcuni
rafforzativi quali ahó, eeh, ammazza etc.
etc. (a titolo di esempio “Ahó ammazza
se sii REPETOSO eeh!!”). Vi dirò di più, in
alcuni casi ho persino ottenuto la cancellazione della loro amicizia
sul social network sopra
citato. Detto quanto sopra,
insisto nella richiesta di
inserire la parola “REPETOSO” nel vocabolario italiano, vista la sua provata e
totale efficacia.
In merito alle altre parole
da me richieste trovo anche qui da ridire in merito
alle vostre obiezioni. Ad
esempio la parola “PACHETOSO” può tranquillamente non solo sostituire
l’aggettivo pauroso, ma
fungere anche da rafforzativo ed addirittura essere
coniugato. Alcuni esempi chiariranno meglio il concetto: “come è pauroso” si traduce con “com’è PACHETOSO”, “si è impaurito” con “s’è IMPACHETITO”, ma anche il
classico “ha avuto paura” con “c’ha avuto
na’ PACHETE!!” Vi ricordo inoltre il sinonimo di tale parola: “CHASVODOSO”, che
può assolvere esattamente alla stessa funzione, fenomeno difficilmente riscontrabile
nella lingua italiana.
Che dire poi degli altri suggerimenti dati
con le parole “CHANNOSO” e “SPONGOSO”? Provate infatti a dire “carino” e non
avrete mai lo stesso effetto del “com’è
CHANNOSO!”, così come potrete chiedere al cameriere una portata con il giusto
equilibrio tra i diversi ingredienti o essere
molto ben condita, ma non otterrete mai il
risultato da voi voluto se non con la parola
“SPONGOSO”.
Ancora, in merito alla proposta di inserimento del termine “DESCDITTA”, parola
che compendia più categorie di persone:
menagrami, pessimisti, catastrofisti, malinconici, rattristati, negativi.. insomma
una sola parola che può perfettamente descrivere gli stati d’animo più bui dell’essere umano.
Riconosco infine le vostre rimostranze
sull’ambiguità della parola “ADDABBERA”, però mi trovo costretto ad insistere
proprio sulla sua proprietà di ambivalenza.
Dove trovate infatti una parola che può essere usata per significare sia “dare” che
“avere”? Ad esempio il classico “avanti
dai la maglia alla signora”, tradotto con
:”Ma naaamo ADDABBERA!”, fa il paio
con “prendi i soldi”, tradotto con “ADDABBERA i mangoddi!”
Certo di un Vs. cortese riscontro, Vi saluto
cordialmente.”
Quest’ultima lettera attende ancora una
risposta, avessero PACHETE che gli rubo
il mestiere?!
ATTILIO BONDÌ
Prende avvio da questo numero una originale rubrica che è,
per questo giornale, una novità per certi versi addirittura
inconsueta: una striscia cartoon che nello stile tipico della
moderna fumettistica tratterà
dei temi dell'attualità. Il merito
di questa avventura, e che ha
accettato la sfida di raccontare
nel suo forte e incisivo tratto di
penna, è di Sigmund Dollinar
che si avvale della collaborazione nella stesura dei testi di
Marcello Bondi. A loro il mio
ringraziamento e l'auspicio che
piacerà ai lettori.
IL DIRETTORE
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
A volte un tratto
di matita vale
più di mille parole
39
DOVE E QUANDO
MAGGIO
16
18.00 Centro di Cultura Ebraica - Libreria Kiryat sefer
Libreria Kiryat Sefer, via del Tempio, 2 – ore 18.00
L U N E D I Presentazione del libro “I santuari dei nostri amori”
18
di Noemi Vogelmann. Intervengono con l’autrice:
Georges de Canino, Marco Morselli. Modera Claudio
Procaccia - Info: 065897589 [email protected]
-------------------------------------------------------------------------------
17.30 UCEI - DIPLOMA UNIVERSITARIO IN STUDI EBRAICI
Centro Bibliografico Tullia Zevi, Lungotevere Sanzio 5
MERCOLEDI Diritto e Halakhà - Intervengono: Luigi Mattuolo, Daniela
Piattelli, Umberto Piperno. Modera: Fabiana Di Porto. In
occasione della pubblicazione di due libri di Francesco
Lucrezi, Ed, Giappicchelli. Sarà presente l’autore.
20.00 ADEI WIZO - Il PitiglianI
19
Il Pitigliani, via Arco de’ Tolomei, 1
L’Adei Wizo e Il Pitigliani, in collaborazione con tutte le
organizzazioni sionistiche di Roma, organizzano il Seder
di Yom Hazmauth. Aderiscono l’Ambasciata d’Israele in
Italia e l’Ambasciata d’Israele presso la Santa Sede
Tema di quest’anno: “Melting Pot” le differenti etnie
presenti in Israele Info e prenotazioni: Micaela 065897756
– 065898061 [email protected]
-------------------------------------------------------------------------------
17.00 LE PALME
La Parashà della settimana “Emor”,
G I O V E D I a cura di Rav Roberto Di Veroli
19.00 ADEI WIZO
Incontro-confronto con le candidate UCEI
21.00 Centro di Cultura Ebraica
25
25/26
Teatro Italia, via Bari 18
Rappresentazione teatrale in giudaico romanesco della
compagnia “Quasi stabile” di Alberto Pavoncello: L’altra
parte di me: l’omosessualità. Talk show con: Cecilia
Angrisano, Benedetto Carucci Viterbi e Gianni Dattilo
-------------------------------------------------------------------------------
16.30 ADEI WIZO
Per un libro al mese: parliamo del libro “Finché le stelle
MERCOLEDI saranno in cielo” di Kristin Harmel. Ed. Garzanti
-------------------------------------------------------------------------------
10.00/18.00 ADEI WIZO
Gran Bazar di Primavera: vendita in sede e brunch
MERC. GIOV. Prodotti originali e artigianali per la vostra estate!
Non mancherà la nostra sempre richiesta gastronomia!
-------------------------------------------------------------------------------
26
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
GIOVEDI
40
30
13.00 LE PALME
In occasione di Lag Ba omer mangiamo insieme!
20.30 Il PitiglianI
“Percorsi di scrittura: ebraismo mondo”
Siegmund Ginzberg Ne parla Victor Magiar, interviene
l’autore Info: Micaela 065897756 [email protected]
-------------------------------------------------------------------------------
14.00/18.30 UCEI - DIPLOMA UNIVERSITARIO IN STUDI
EBRAICI MASTER IN CULTURA EBRAICA E COMUNICAZIONE
L U N E D I Centro Bibliografico Tullia Zevi, Lungotevere Sanzio 5 –
La 614sima mitzwà: non dare una vittoria postuma a
Hitler. Shoah, ritorno a Sion e filosofia in Emil L.
Fackenheim (1916-2003) nel centenario della nascita
Intervengono: Myriam Silvera, Irene Kajon, Paola Ricci
Sindoni, Liliana Picciotto, Benedetto Carucci Viterbi,
Massimo Giuliani
31
20.00 ADEI WIZO
Scuderie del Quirinale, Via XXIV Maggio, 16 – ore 10.00
M A R T E D I Visita alla mostra “Correggio e Parmigianino. Arte a
Parma nel Cinquecento” Info e prenotazioni in sede
GIUGNO
02
07
17.00 LE PALME
09
17.00 LE PALME
Festeggiamo con gelato e dolci
G I O V E D I -------------------------------------------------------------------------------
18.30 Il PitiglianI (data da confermare)
In collaborazione con Jcall: Ari Shavit e Maurizio Molinari
“Israele oggi a 50 anni dalla Guerra dei 6 giorni”
MARTEDI
Introduce Giorgio Gomel, coordina Daniele Fiorentino
Info: Micaela 065897756 [email protected]
-------------------------------------------------------------------------------
GIOVEDI
14
MARTEDI
Aspettando Shavuot: lezione di Rav Roberto Di Veroli
20.30 ADEI WIZO
Teatro Sala Umberto, Via della Mercede, 50 - Galà di
Beneficenza ADEI WIZO Bagliori: “Or neshamà - Le luci
dell’anima” con l’étoile Giuseppe Picone a favore della
messa in sicurezza dei Centri per l’infanzia Wizo in Israele
-------------------------------------------------------------------------------
17.00 LE PALME
Giochi di società: Ruzzle, nomi, cose, città e altro
NOTES
ADEI
La Presidente Nazionale convoca la 61^ Assemblea Generale e
ordinaria delle Associate a norma dell’art. 9 dello Statuto Adei
Wizo. Domenica 22 maggio 2016 Sede dei lavori: Via Gombruti, 9
Bologna. Inizio dei lavori ore 10:30
IL PITIGLIANI
Domenica 22 maggio l’Associazione Amici Maghen David Adom in
Italia organizza un corso di primo soccorso per adulti iscritti ad una
Comunità Ebraica. Il corso sarà tenuto da Alessandra Guggenheim.
Info: Silvia Voghera [email protected]
Gruppo Ghimel Ogni giovedì dalle 16.30 con Elisabetta Moscati
Anticoli Prossimi appuntamenti:
- 19 maggio: conversazione con Amit Zarouk, portavoce e consigliere stampa dell’Ambasciata di Israele a Roma
- 26 maggio ore 17.00 Daniel Della Seta “Il colore della notizia”
- 9 giugno: pranziamo insieme alle 12.-30 per salutarci in vista
dell’estate Info: [email protected]
Programmi educativi
Domenica 15 maggio ore 11.00 Gita di fine anno con le Domeniche
di ebraismo ed il Talmud Torah! In collaborazione con il Tempio di
Ostia Shirat AhYam Info: Roberta [email protected]
Lunedì 30 maggio ore 17 Saggio di fine anno di Avanim (2-5 anni)
Martedì 31 maggio ore 19.30 Saggio di fine anno di Pitimania e
Mediamo: saggi di teatro, scherma, hip hop, baby gym, taekwondo, coro e rappresentazioni dei bimbi partecipanti
Da giovedì 9 giugno dalle 8.30 alle 16.30 Centri estivi per bambini
dai 6 ai 14 anni: sport, laboratori, piscina e compiti delle vacanze!
Pranzo e pulmino da Piazza Bologna
Giovedì 16 giugno ore 20.00 Hai tra i 14 e i 18 anni? La tua passione
è la cucina? Partecipa alle selezioni per essere ammesso al corso di
formazione con la chef Laura Ravaioli! Info, iscrizioni e regolamento: Federica 065897756 [email protected]
Giovedì 30 giugno Inizio Centro estivo Avanim
SHABAT SHALOM
NASCITE
BAR/BAT MITZVÀ
Yoni Di Cori di Angelo e Fabiana Efrati
Eleonora Vespasiani di Saul e Simona Raccah
David Colombo di Angelo e Laura Sabatello
Elisheva Moresco di Alberto e Katiuscia Limentani
Noah Pavoncello di Alberto e Sara Sonnino
Gabriele Moscati di Ferruccio e Linda Sufir
Natan Moscati di Settimio e Orit Buhnik
Gaia Funaro di Rodolfo e Micaela Salmoni
Avigail Rossi di Nello e Rossella Di Porto
Kerol Di Nepi di Fabio e Valentina Limentani
Yael Sciunnacche di Massimo e Grazia Sonnino
MATRIMONI
Davide Bentura – Carolina Addadi
Bruno Funaro – Inbar Meyshar
Leo Pavoncello – Alessia Perugia
RINGRAZIAMENTI
Il Presidente della Deputazione Ebraica Bonfiglioli ed il Consiglio
desiderano ringraziare tutti coloro i quali hanno permesso la realizzazione delle scatole in occasione della festa di Purim; in particolare: Laura Raccah (Il Mondo di Laura), Alberto Ouazana,
Claudio Spizzichino, Angelo Spizzichino (Pascarella), Antica
Stamperia, Ghidon Fiano e la pasticceria Boccione.
Si desiderano, inoltre, ringraziare i ragazzi del Bene Berith per i
pacchi da loro gentilmente offertici.
Il Presidente della Deputazione Ebraica Bonfiglioli ed il Consiglio ringraziano Milena Pavoncello, Direttrice della Scuola Elementare Vittorio Polacco, e le Scuole Medie Angelo Sacerdoti
e Renzo Levi per la generosa partecipazione in occasione della
“Giornata delle Buone Azioni” (Good Deeds Day).
Prosegue da molti anni l’attività di diffusione del pensiero e delle
tradizioni ebraiche a cura di Moise Levy. Quest’anno ha messo a disposizione gratuitamente – all’indirizzo http://libri.levy.
it/omer - la possibilità di scaricare il libretto per il conteggio
dell’Omer nei giorni che intercorrono tra Pesach e Shavuot. E’
possibile scaricare il libretto costituito da 4 pagine in formato
Pdf stampabili.
Dopo il successo dello scorso anno torna a grande richiesta
“Krav maga per tzedaka”. L’evento, nato dalla collaborazione
tra Delet, Assessorato alle politiche giovanili e la Securdan Krav
Maga Academy si svolgerà il prossimo 25 maggio ed è aperto a
tutti. Un modo carino per fare tzedaka divertendosi e allo stesso
tempo aiutare chi ne ha bisogno. Anche in questa occasione il
ricavato sarà interamente devoluto in beneficenza.
Parashà: Emor
Parashà: Bechukkotai
Venerdì 20 MAGGIO
Venerdì 3 GIUGNO
Nerot Shabath: h. 20:11
Sabato 21 MAGGIO
Mozè Shabath: h. 21:15
-------------------------------------Parashà: Bear Sinai
Nerot Shabath: h. 20.22
Sabato 4 GIUGNO
Mozè Shabath: h. 21.26
-------------------------------------Parashà: Bemidbar
Venerdì 27 MAGGIO
Nerot Shabath: h. 20.17
Sabato 28 MAGGIO
Mozè Shabath: h. 21.21
Venerdì 10 GIUGNO
Nerot Shabath: h. 20.27
Sabato 11 GIUGNO
Mozè Shabath: h. 21.30
AUGURI
È nato Nathan Naccache. Mazal tov ai genitori, Gabriel Naccache e Deborah Moscati, e alle famiglie, in particolare al nonno
Claudio Moscati, presidente della consulta della CER.
I migliori auguri a Saul Perugia, sorvegliante della CER e a Manuela Moscati per la nascita di Ilai.
Un bar mitzvà per 30 bambini
Se D-o vuole, il prossimo 7 giugno si svolgerà un bar mitzvà in Israele per 30 bambini provenienti da famiglie disagiate. La cerimonia
sarà tenuta al kotel e seguirà un pranzo per i ragazzi e le loro famiglie in una sala a Gerusalemme. Chabad Lubavitch di Roma si
occuperà di fornire tutto il necessario: i tefillin, le talitot, gli abiti,
i pullman per i parenti, ecc. ecc. Il contributo di 700 euro sponsorizzerà il bar mitzvà per un ragazzo. Ogni contributo è ben accetto.
Il Museo della Shoah cerca volontari
La Fondazione Museo della Shoah cerca personale volontario per
le prossime iniziative museali. Le persone selezionate parteciperanno ad un Corso di formazione sulla Memoria della Shoah.
Sede dell’attività sarà la Casina dei Vallati in Portico d’Ottavia, 29.
Le domande di adesione dovranno pervenire al seguente indirizzo
di posta elettronica: [email protected] corredate di
dettagliato curriculum vitae e lettera motivazionale. Per informazioni 698260959 / 3459236057 dal lunedì al giovedì dalle 10 alle 13.
CI HANNO LASCIATO
Aldo Amati 11/09/1922 – 16/03/2016
Clara Di Capua ved. Di Segni 31/10/1922 – 04/04/2016
Enrica Di Consiglio ved. Pavoncello 04/12/1922 – 04/04/2016
Pacifico Di Segni 02/04/1934 - 31/03/2016
Enrica Di Veroli ved. Spizzichino 13/08/1922 – 01/04/2016
Umberto Efrati 11/02/1946 – 01/04/2016
Paola Fiorentini 04/02/1927 – 27/03/2016
Giovanni Grego 04/12/1938 – 16/03/2016
Aldo Mieli 14/11/1929 – 20/03/2016
Cesare Perugia 17/06/1925 – 08/04/2016
Gina Piazza O Sed ved. Di Segni 29/07/1926 – 19/03/2016
Santiago Schmidov 18/01/1936 – 13/04/2016
Mario Terracina 18/12/1948 – 26/03/2016
Diamantina Tesciuba ved. Tagliacozzo 02/01/1949 - 03/04/2016
IFI
00153 ROMA - VIA ROMA LIBERA, 12 A
TEL. 06 58.10.000 FAX 06 58.36.38.55
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
Kailah, Rachele Elisheva Di Porto di Marco e Letizia Perugia
Ilai, Avraham Perugia di Saul e Manuela Moscati
Edoardo, Settimio Terracina di Roberto e Sarah Polacco
Samuele De Santis di Roberto e Raffaella Moresco
Nathan Naccache di Gabriel e Deborah Moscati
Noa Sassun di Ralph e Sharon Di Porto
Ghila Pavoncello di David e Micaela Di Nepi
Jacob Lapo Pavoncello di Marco e Nicole Messica
41
LETTERE AL DIRETTORE
voce lettori
La
dei
MAGGIO 2016 • IYAR 5776
Magistrati radiati
Caro Direttore,
ho ricevuto il numero di “Shalom” (marzo 2016), in cui a pag. 33 si
trova un articolo a proposito del “Consiglio Superiore della Magistratura che incontra la Comunità Ebraica di Roma”. In quell’incontro sono stati ricordati i magistrati che furono radiati a seguito delle
Leggi razziali.
E’ stato però dimenticato il nome di mio padre, Sergio Piperno Beer
z.l. che nel 1939 era pretore a Milano e che, in base alle Leggi razziali, venne in quell’anno allontanato dal servizio in magistratura.
Dopo la Liberazione mio padre poté rientrare in magistratura e continuare la sua carriera, arrivando fino alla carica di Presidente di
Sezione della Corte di Cassazione. Ricoprì inoltre numerose cariche
nell’ambito dell’ebraismo italiano: fu consigliere della Comunità di
Roma nel dopoguerra; nel 1956 fu eletto prima consigliere e poi Presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, carica che
ricoprì per 20 anni fino alla sua morte nel 1976.
Desidero ricordare alcuni momenti significativi della sua presidenza: promosse la ricerca e la pubblicazione del volume storico di
Renzo De Felice,”Gli ebrei italiani sotto il fascismo” (1961); collaborò con il card. Agostino Bea alla stesura della prima bozza della
dichiarazione “Nostra Aetate” sui rapporti della Chiesa cattolica
con l’ebraismo (1965); ebbe parte attiva nel facilitare l’entrata in
Italia e l’accoglienza di migliaia di profughi ebrei in fuga dalla Libia nel 1967.
Credo che la sua attività abbia contribuito in maniera significativa
alla ricostruzione e al recupero della dignità delle Comunità Israelitiche Italiane dopo le persecuzioni e le perdite degli anni precedenti. Con un cordiale shalom.
GIULIANA PIPERNO BEER
42
Alcune dimenticanze
Egregio Direttore,
in merito all’articolo apparso su Shalom di marzo 2016, pag. 34, “Io
sopravvissuto ad Auschwitz per il dovere di parlare”, riguardante
la testimonianza di Sami Modiano presso il Convitto Nazionale di
Roma, volevo precisare che nelle righe dove si parla dell’esibizione
dal titolo “Viaggio” dei ragazzi del liceo coreutico, non è stato riportato il nome della coreografa Alessandra Di Segni, docente di Tecnica della danza contemporanea e Laboratorio coreografico presso
lo stesso Istituto.
Inoltre l’ex allieva menzionata, giovane professionista che sta attualmente lavorando in Israele, è Dana Terracina.
A mio avviso nominare gli autori è doveroso e altresì necessario
quando si tratta dei pochissimi artisti correligionari professionisti
dell’arte coreutica che operano all’interno delle Istituzioni statali e
soprattutto se, con il loro lavoro, contribuiscono ad accrescere la
sensibilità dei giovani e delle istituzioni verso l’eclettico e variegato
mondo ebraico.
Volevo segnalare ancora che l’evento è stato organizzato dalla Prof.
ssa Stefania Buccioli la quale da anni opera nella scuola in maniera
significativa per la divulgazione della cultura ebraica nei suoi vari
aspetti. Con la speranza che la prossima volta siate meno distratti,
invio un cordiale shalom.
ALESSANDRA DI SEGNI
Ringraziamenti
Gli Asili Infantili “Rav Elio Toaff” ringraziano sentitamente l’OSE
per la donazione di oggetti molto utili alla Scuola, provenienti dalla
dismissione della Villa di Caletta di Castiglioncello.
Un altro grazie sincero giunga anche alla “Società dei Compari” che
ha elargito agli Asili la somma di seicento euro in beneficenza. Ge-
[email protected]
sti come questi fanno sentire ancora alto il calore della solidarietà
e permettono di continuare il nostro impegno verso una serena e
gioiosa educazione ebraica.
LA PRESIDENTE E IL CONSIGLIO DEGLI ASILI
Un invito a svegliarsi
Mi compiaccio con Shalom per la pubblicazione dell’articolo di Michael Laitman, che non ho il piacere di conoscere, ma del quale condivido perfettamente il contenuto (numero di Marzo 2016 pag. 21).
Prima di me e di lui anche Moshe’ Rabbenu aveva scritto (Deut.
32,29): “Se i figli di Israele fossero saggi penserebbero al loro futuro”. Purtroppo molti mi ricordano i viaggiatori del Titanic: la nave
affondava ed essi ballavano.
Alcuni ragionano come la maggior parte degli ebrei nel 1938 (inizio
delle leggi razziali): “sono italiano di fede mosaica, a Roma non succederà nulla di grave”.
Quando a settembre del ‘38 la mia famiglia fuggì da Roma molti
ci criticarono e non pochi di loro furono deportati mentre noi nella
allora Palestina sfuggimmo alla Shoà e alla Guerra grazie alla previdenza di mio Padre.
Chi non vede più in là del suo naso non si preoccupa e campa “alla
giornata”.
Mi è stato riferito che una personalità di spicco dell’ebraismo romano ha asserito che la sua maglia ha il n. 10, alludendo al giocatore
Totti della Roma che ha sempre giocato in quella squadra senza mai
trasferirsi in altra città. Ovviamente non auguro a nessuno conseguenze tragiche per poter dire poi “avevo ragione”.
Il previdente compera l’ombrello quando il tempo è sereno e può
sceglierlo con calma. Quando piove ci si deve accontentare di ciò
che offre il mercato se ancora l’articolo non è esaurito. Se queste
poche righe contribuiranno a “svegliare” qualche dormiente, avrò
raggiunto lo scopo.
BRUNO DI CORI, GERUSALEMME.
Gratitudine per una storia di solidarietà
Mauro ha 12 anni e i nonni gli dicono di lasciare la sua cameretta ed
il suo letto e di mettersi a dormire su una cassapanca all’ingresso.
Ma che succede? Siamo a Roma, all’indomani del 16 ottobre ’43, e
tre donne, ebree, sono venute a casa di nonno Umberto e nonna Delia a cercare un rifugio per quello che sta tragicamente accadendo
nella città. Nonna Delia non ha esitazioni: prepara tre letti e dice: “è
giusto così”. Le tre donne sono Lidia Ascoli con una cugina ed una
zia. I nonni di Mauro e gli Ascoli sono stretti da vecchia e profonda
amicizia, alla trasteverina, tanto da non poter smentire in nessun
caso quegli intaccabili principi che caratterizzavano un tempo i rapporti fraterni fra due famiglie amiche di quello straordinario rione.
Nei giorni successivi il piccolo Mauro viene incaricato dai nonni di
andare a controllare i negozi dove lavoravano i fratelli di Lidia, Sandro e Amedeo: nel primo, un negozio di elettricità, trova Sandro con
una decina di ebrei tutti nascosti nel sottobottega, e per loro Mauro
cercherà qualcosa da mangiare mentre nel secondo negozio, una
tappezzeria, la situazione è più tranquilla e Mauro si trattiene per
un po’ e per rendersi utile carda un po’ di lana.
La zia e la cugina di Lidia vanno via dopo un po’ di tempo mentre
Lidia rimarrà nascosta fino all’arrivo degli Americani il 4 giugno del
‘44. Per lei, ricorda Mauro, arrivata così all’improvviso con solo il
vestito che aveva indosso, per farla cambiare bisognava lavare il
vestito stesso perché era una donna alta e in casa non disponevano
di vestiti della sua taglia.
Sono passati molti anni da allora, i protagonisti di questa storia sono
ormai scomparsi e Mauro, ex dirigente della De Agostini, è oggi un
bel signore pensionato. È stato merito di Rav Amedeo Spagnoletto
SHALOM‫שלום‬
EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA
che, abitando nello stesso palazzo di Mauro e venendo a parlare
con lui dei fatti sopra ricordati, sentendo il cognome Ascoli mi ha
informato di questo episodio che, pur riguardando la mia famiglia,
non conoscevo.
Lo spontaneo sentimento di gratitudine per la famiglia ha sollecitato la convinzione di poter in qualche modo fare un atto di riconoscenza ed in proposito con grande disponibilità e prontezza la
nostra Presidente Ruth Dureghello ha raccolto il mio pensiero. Così
lunedì 4 aprile abbiamo potuto insieme, Ruth, Amedeo e me, consegnare un attestato CER alla memoria dei nonni Umberto Brugnoli e
Delia Marchetti nelle mani di un emozionatissimo Mauro Catteruccia alla presenza di sua moglie e delle sue tre figlie in una cornice
ufficiale ma in un’atmosfera amichevole, cordiale e particolarmente
commossa.
MAURIZIO ASCOLI
Urtisti: recuperare un briciolo di dignità
Vi scrivo queste righe in qualità di urtista.
Dal 10 luglio tramite determinazione dirigenziale, veniamo subdolamente allontanati dall’area Colosseo e da zone limitrofe senza possibilità di ricollocazione e dialogo con la giunta Marino.
Dal quel maledetto momento, nonostante la comunità si sia adoperata per un possibile dialogo, invano purtroppo, molte delle 105
licenze, con annesse famiglie, sono ridotte allo stremo.
Abbiamo atteso, invano, possibili dialoghi con la giunta e gli assessori: nessuno ci ha dato ascolto, anzi molto spesso l’opinione
pubblica, essendo a nostro sfavore, ha spesso denigrato l’urtista in
quanto ebreo, confondendolo spesso con i camion bar.
Ora, ringraziando comunque chi si è adoperato invano e senza tregua per noi, lavoratori onesti, vorrei far presente a tutti coloro i quali
imperversano sui social network, vedendo che gli Urtisti hanno offerto possibilità di dialogo a Salvini e a Giorgia Meloni, che si tratta
di dialogo e null’altro. La giunta Marino ci ha ingannati, disillusi
e affamati e con essa anche la comunità ebraica non ha avuto una
buona immagine.
Il nostro è solo un tentativo di recuperare un briciolo di dignità che
il lavoro e l’onestà ci avevano permesso e che vorremmo recuperare, senza essere denigrati ed insultati.
Un cordiale Shalom.
ALEXIA TERRACINA
Smokéd / affumicato: un gioco di parole. Una sfida nel segno di
uno humor che non vuole offendere nessuno, ma sorridere di
tutto.
Problemi con gas e petrolio in Basilicata. Sarà difficile dare la
colpa a Israele. I Territori di Lucania e Basilicata, peraltro, furono
occupati dai Mille di Garibaldi già nel 1860.
Smokéd
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Visto si stampi 3 maggio 2016
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