Il cancro: può succedere a chiunque, può succedere anche a me

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Il cancro: può succedere a chiunque, può succedere anche a me
REPORTAGE
SQUILIBRIO
FRAGILE
Il cancro: può succedere a chiunque, può succedere anche a me, ma non succede a chiunque, è
successo a me, come a tanti altri.
Destino? fatalità? sfortuna? logica conseguenza? ognuno ha la sua storia, si parla di vita e di morte - dunque di vita, i pensieri inutili, invisibilità, cancro, identità, io sono io, è come è, nulla è casuale, mistero, messaggio, potenzialità, limiti, orientamento,il prossimo passo, ordine, disordine, spazio, tempo, l’eccesso, l’essenziale, equilibrio, squilibrio, sopravvivenza, normalità, vita, realtà, fortuna, mortalità, resistenza, reazione, opportunità, creatività, amicizia, amore
“La vita viene da molto lontano, e noi non sappiamo cos’è.”
Bert Hellinger, psicoterapeuta
testo e foto Giosanna Crivelli
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LA MALATTIA: QUELLA DEGLI ALTRI
La impressionante statistica: tra una su tre e una su quattro persone in Svizzera prima o poi si ammala di cancro. Calcolo delle
probabilità: e se succedesse a me? Come reagirei, cosa farei? Vi
sono esperienze che non hanno una risposta in anticipo. La
risposta viene da sé, e non può essere che personale. E forse ci
sorprende.
PRIMA
Un malessere non ben definito, segnali del corpo non ascoltati,
medici specializzati, tempo che passa, sintomi che non passano.
Fino ad arrivare ad un’evidenza non più trascurabile.
L’operazione è programmata. Tra tre giorni o tra tre settimane.
Cambia qualcosa? No. Allora vado prima nella Foresta Nera,
una traversata con gli sci di fondo, fotografie da fare, un lavoro commissionato. Nelle distese innevate faccio il vuoto e non
penso a nulla.
LA NOTIZIA
Quando, in un letto d’ospedale il medico mi comunica che si, il
tumore è maligno, al momento inoperabile, ancora oggi a ripensarci mi sorprendo: una calma totale, quasi fossi un’altra persona, e non io, che avrei invece dovuto preoccuparmi. Qualcosa
precede sempre, ogni momento vissuto è l’origine di ciò che
segue, ciò che è prima prepara al dopo, senza che noi lo sappiamo. È come se le immagini trovate nel corso della vita mi avessero preparato a questo momento. Ho intuito un messaggio.
Non ho pensato a tutto quello che avrei potuto pensare, ho solo
pensato al prossimo passo, è come è, e adesso cosa devo fare?
La lotta è per la vita.
RITORNO A CASA
Necessità di scrivere, pensieri estratti dal diario.
…I limiti - nuovi limiti - vengono da un’istanza esterna che ha
un’identità a cui ancora non so dare un nome. Destino?
Fatalità? Sfortuna? Logica conseguenza? Mi chiedo, “ma cos’è
un tumore”? Sento che è la materializzazione del troppo, dell’eccesso che da tempo sento attanagliarmi. Sono fortunata a
vivere in un luogo di pace: la grande finestra sul paesaggio, e
l’altra verso il bosco. E oggi, inizio di primavera, la luce è
smorta, pacata, grigia. Mi fa star bene. Sono davanti al camino,
con accanto due oggetti di buon auspicio: una piccola e armoniosa vaschetta in granito, lavoro artigianale di altri tempi,
colma d’acqua su cui galleggiano alcuni fiori di benvenuto, e
un levigato asse di legno d’ulivo, caldo al tocco e allo sguardo,
di un ulivo centenario, che porta le stratificazioni degli anni, un
disegno di montagne e di onde del mare. Sento quanto è benefica la forza dei simboli e della natura. E dell’amicizia.
In questa nuova situazione provo il bisogno di creare alcune
regole, come protezione da pensieri inutili.
Lasciar da parte i “se”: se avessi ascoltato il mio corpo (e ciò
non vuol dire che non possa apprendere ad ascoltarlo, anzi), se
i medici avessero capito prima, se avessi cambiato modo di
vivere…; non chiedermi “perché io?; focalizzarmi su chi il cancro lo ha vinto, e non sulle persone - anche alcuni cari amici -
che hanno lottato e non ci sono più: per sempre sono in un
angolo prezioso della mia memoria, e mi accompagnano; non
giudicare la reazione degli altri nei confronti della malattia:
ognuno reagisce come può; accettare l’aiuto di persone amiche ed esserne grata; non avere pretese al di là dei reali bisogni; vedere questa malattia anche come una potenzialità, mai
come una sconfitta; non subire, ma agire, con la passione di
sempre. Succedono cose, quasi al di fuori del mio controllo, si
sviluppano strategie, affiorano solamente i pensieri che mi aiutano. Si crea un sistema immunitario della mente.
In alcuni momenti tutto sembra irreale. Desidero essere consapevole, fa parte del processo di guarigione: l’irreale è la realtà.
E la malattia è la nuova normalità, nulla di eccezionale. Cos’è
la normalità, se non la situazione contingente? Sento l’importanza di dare una struttura al tempo, nel quotidiano, in un quotidiano in cui vi è la libertà di non dover funzionare nel modo
usuale. Altro giorno. Sole velato, delicatezza di linee e colori.
Svelare e nascondere. Il mistero è una dimensione importante
nella vita. Il mistero dei perché a cui non vi è una risposta certa.
Il perché della malattia. La risposta, anche se ci fosse, non cambierebbe nulla. Il tema della vita è il tempo, non illimitato, a cui
dare forma, valore e significato. Nulla è più come prima. Sono
cambiata senza atto di volontà. Ma sono sempre la stessa persona, quell’io, quel centro che è il mio nocciolo, la mia fonte di
energia. Forse è questa l’anima, quella parte di noi che rimane
costante, come un’isola, nel mezzo di grandi mutamenti.
DURANTE
Decisioni da prendere. Chemioterapia? Sembra che non vi sia
altra soluzione. Spiegazioni sul funzionamento e sugli effetti
collaterali. Entro nell’ingranaggio, sono contenta che la terapia
abbia inizio. Non ho garanzie, e nessun’altra possibilità che
crederci. Messaggi di sostegno. Si crea una rete di comunicazione e di rapporti, fitta e forte, a controbilanciare la rete di tessuti tumorali nel mio addome. La prima chemio è annichilante, resto senza forze, nessuna voglia di nulla, lascio solo passare il tempo. Mi sento vulnerabile, persa, inesistente. Devo riuscire a far combaciare le due identità, quella di prima e quella
attuale. Voglio reagire a questa schizofrenia del mio essere.
Anche il corpo reagisce, comincia ad abituarsi, ad assimilare i
veleni, quasi fossero un nutrimento indispensabile. Il mutamento fisico è ancora un’incognita. Nel giro di un paio di settimane i capelli si perdono nel vento. Taglio raso, scopro la
forma della mia testa, è bella. Nuovo volto, nuovi ruoli, nuove
sensazioni. Una situazione non facile, anche se temporanea, si
sa. La perdita della sicurezza del proprio aspetto. Ora che i
segni della terapia sono evidenti la malattia sembra essere più
reale. Mi sorprendo ad accettarlo quasi con naturalezza, forse
per non mettere in imbarazzo gli altri, e anche me stessa. Lo
spazio si restringe, il bosco accanto a casa è il territorio che
riesco a percorrere. A poco a poco lo spazio diventa di nuovo
più vasto. Il movimento fisico è una necessità mentale. Le
uscite in bicicletta sono una terapia. Una salita in montagna è
una conquista. I limiti una normalità. Spazi famigliari, vissuti
così diversamente.
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REPORTAGE
MI DOMANDO
Accanto ai perché accantonati, alcuni restano. A un certo punto
l’equilibrio si è rotto, il sistema immunitario è andato in tilt.
Dove mi sono persa? Mi sono difesa troppo o ho trascurato le
difese? Quali sono le tossine fisiche e mentali che hanno portato allo squilibrio? Anni prima ho fatto l’esperienza della psicoterapia, apprendendo a guardare da altri punti di vista. Insieme
al terapeuta che già conosce la mia storia e i nodi della mia vita,
analizzo il periodo precedente alla malattia. Il tumore diventa
un simbolo di altre dinamiche, non solo corporee. Ci sono
risposte a vari perché, e sembrano ora evidenti. Una volta di
nuovo faccio l’apprendistato del pendolo: il passaggio da un
estremo a quello opposto imparando a declinare le sfumature
intermedie. Lo so fare nelle fotografie, in solitudine, nel rapporto con gli altri mi è ben più difficile. Ma è da lì che passa il cambiamento. Apprendo a non andare contro, ma ad accettare e a
trasformare. Anche lo squilibrio può rompersi, per ricomporre
un nuovo equilibrio.
DOMANDE EVITATE
Il confine tra cosa della malattia è utile sapere e cosa invece è
meglio non sapere è sottile. Rappresenta quel limite di sicurezza che permette di non finire nella negatività, pur restando realisti, e affrontando le situazioni che si presentano. Una ricerca
in internet sul mio tipo di tumore mi ha fatto capire che era
meglio non approfondire. La statistica sembrava non lasciarmi
molta speranza. E per istinto di sopravvivenza ho eliminato le
statistiche dal mio sistema. È stata la prima decisione: io sono
io, con la mia individualità, e non un numero percentuale con
un futuro predeterminato. Alcune domande non le ho mai fatte.
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IL PAZIENTE, IL MEDICO, LA MEDICINA
L’aspetto prettamente medico della malattia è complesso. Sono
riconoscente a tutti i medici che con costante ottimismo mi
hanno curato, e agli innumerevoli ricercatori che con intuito,
perseveranza, dedizione e giusta ambizione cercano e trovano
soluzioni sempre più mirate e meno devastanti alle varie manifestazioni delle malattie tumorali. Ma questo è un aspetto su cui
non posso influire. Posso solo accettare o non accettare le terapie proposte, cercando di capirne il funzionamento basilare. La
risposta alle esigenze più profonde nella comprensione della
malattia l’ho trovata nei principi dell’omeopatia.
“Parlavo di omeopatia? In realtà credo che parlassi solo di
medicina. Senza preferire nessuna delle opposte fazioni. La differenza sostanziale tra i metodi, nasce dall’impostazione che si
ha del malato e della malattia. È questo il vero problema.
“Esiste il malato e non la malattia” oppure, è la malattia che
fa il malato? La centralità è l’individuo o la patologia dalla
quale viene interessato? La patologia è in funzione dell’individuo? Conseguenza? La scelta terapeutica diventa individuale e
non solo in funzione della malattia. È in “quell’individuo” che
si manifesta “quella patologia” che diventa la “sua”.
Queste considerazioni mi tolgono dalla statistica e mi restituiscono responsabilità. Ciò di cui avevo bisogno.
Il malato è paziente, nel vero senso della parola. Attende: la
visita medica e il responso, la prescrizione di cure e di medicamenti, il decorso della malattia, la guarigione. Nel rapporto
medico-paziente il fattore tempo è fondamentale.
“La visita “senza tempo” rassicura. È uscire dalla realtà, dal
ritmo imposto. Ridona libertà. Lascia parlare senza costrizioni.
Il rilassamento che ne consegue, protegge. Permette un’espe-
rienza migliore. Porta ad una diagnosi d’insieme, al senso di un
incontro. È arte. […] È la “non misura”. La ricomposizione dell’uomo con sé stesso. Raccontare senza essere interrotti, ascoltare senza desiderio di intervenire. Sembrerebbe un’utopia”.
Penso alla sala d’aspetto affollata. E al tempo limitato del medico. Purtroppo siamo in tanti. Il tempo illimitato è un’utopia, ma
vi è la giusta misura: quel lasso di tempo che permette sia al malato che al medico di esaurire le domande e le risposte essenziali, il
tempo di conoscersi, di sentirsi in sintonia. Ma il tempo è soprattutto quello che si prende e che si dà il malato stesso: per capire
la propria vita, per esprimere dubbi e paure, per fare le domande
giuste e trovare risposte personali. Fondamentalmente per guarire sé stesso, aiutando il medico a essere un medico migliore.
DOPO
Dopo un’altra operazione e terminato il secondo ciclo di chemioterapia il sistema sembra essere “pulito”, i valori misurabili
sono di nuovo nella norma. Inizia il periodo di sporadiche ansie
ad ogni sintomo sospetto, soprattutto prima dei controlli che si
avvicendano con regolarità. Smaschero i meccanismi della psiche, che in quei momenti è abile a ingigantire l’immaginazione.
Imparo ad interpretare e a ridimensionare i messaggi che mi trasmette. I primi anni “dopo” sono a rischio, la ricaduta è possibile. Cerco metodi che mi aiutino a ristabilire l’equilibrio energetico e a dare informazioni positive al mio corpo. Metodi che agiscono con delicatezza, attivando tutte le sfumature intermedie,
come sto apprendendo a fare in altri ambiti della vita.
L’omeopatia, che aiuta a disintossicare il corpo e a rafforzare il
sistema immunitario. La terapia craniosacrale, che con quasi
impercettibile tocco allenta tensioni psichiche e fisiche, ristabi-
lendo il ritmo del flusso energetico. La cromoterapia, che porta
luce e colore là dove nel corpo c’è oscurità. Le tracce della
malattia ci sono, cicatrici interne ed esterne. Ciò che è venuto a
mancare nel corpo viene riequilibrato dalla mente. Ho ritrovato
il mio baricentro. La vita continua, qui ed ora.
PERCHÉ RACCONTARE
Perché raccontare un’esperienza così personale?
Perché è importante parlarne, rompere il tabù del silenzio, creare una solidarietà, trovare quel tipo di comunicazione che permette alle persone malate di comunicare senza reticenza con
quelle non malate, e viceversa. Parlare aiuta a capire, a essere
protagonista della propria storia, e non vittima. Parlare aiuta a
trovare le proprie risposte, che possono aiutare altri a trovare le
loro. La mia risposta alla malattia è la creatività: tu tumore stai
moltiplicando le mie cellule e invadi il mio corpo, io moltiplico altre cellule e sviluppo la mia resistenza. Alcuni libri che mi hanno aiutato a capire, ad accettare ciò che è, a trasformare la malattia in pensiero, a lottare, a essere leggera:
Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra, Longanesi
Lance Armostrong, Non solo ciclismo - Il mio ritorno alla vita,
Libreria dello sport
Le citazioni sono tratte da un libro rivelatore, che consiglio a tutti,
ma in particolare a ogni medico:
Francesco Eugenio Negro, Aspettando Ippocrate - Verso la medicina
totale, Franco Angeli Editore
Informazioni, manifestazioni:
www.legacancro-ti.ch, www.triangolo.ch, www.terryfoxrun.ch
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