Nicola De Bonis l`asceta della chitarra

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Nicola De Bonis l`asceta della chitarra
Nel mio libro intitolato ³Il legno
che canta², scritto per far luce sulla liuteria citaristica italiana del
Novecento storico. Uno dei cinque capitoli di cui si compone il volume è
dedicato a Nicola De Bonis, alla sua singolare figura e alla sua opera
straordinaria. L¹ho collocato accanto ai grandi numi della liuteria
italiana: Mozzani, Gallinotti, Bellafontana, Pabè, e ho cercato di
tracciare un profilo ben definito della sua personalità e del suo modus
operandi.
AngeloGilardino
Nicola De Bonis, l'asceta della chitarra
( di AngeloGilardino)
Il retaggio familiare
Mozzani, Gallinotti, Bellafontana, Pabè, maestri della liuteria tra loro diversi, ebbero un fattore in
comune: nelle rispettive famiglie, essi furono i primi – e purtroppo anche gli ultimi – ad avvertire il
richiamo dell'arte, e intrapresero il loro cammino divergendo risolutamente dal mondo che li aveva
originati (anche se, nel caso di Bellafontana, fu presente, agli inizi, una figura paterna
incoraggiante). Per riferirsi a Nicola De Bonis con proprietà, bisogna invece scrivere “Nicola III De
Bonis”, identificando la figura del maestro di Bisignano in una linea genealogica che ascende al
secolo XVIII 1. La tradizione liutaria fiorita nella cittadina calabra fu varia e ramificata, e nella
dinastia dei De Bonis annovera la sua rappresentazione più alta e prestigiosa. Sicuramente i De
Bonis liutai erano già attivi a Bisignano in epoche precedenti quella da cui inizia la loro genealogia
ufficiale, ma non esiste, al riguardo, una documentazione.
Nello scrivere dei De Bonis da parte di un bisignanese, è facile cadere nel rischio della
glorificazione campanilistica: di ciò sembra ben avvertito Rosario Curia – giornalista e storico
locale che ebbe dimestichezza con Nicola e Vincenzo De Bonis. Egli traccia un quadro realistico
della situazione in cui versava la professione della liuteria in Calabria tra la fine del secolo XIX e
gli inizi del secolo XX, quando le sorti della tradizione di famiglia erano affidate al giovane
Giacinto De Bonis (padre di Nicola III e di Vincenzo II):
Il M.° Giacinto II, da giovane progettò di rivoluzionare l'attività tradizionale della liuteria
popolare bisignanese, ricercando e studiando altri modelli per inserirsi nel contesto
neoclassico in voga sullo scorcio del XIX secolo ed accostarsi per alcuni aspetti alla
produzione artistica dei liutai delle regioni centro-settentrionali d'Italia, che tenevano banco,
togliendo dall'isolamento in cui era da tempo finita la liuteria di Bisignano.
Ma i suoi sforzi e i suoi tentativi giovanili vennero frustrati e resi vani dalle condizioni
miserevoli e di abbandono in cui versava il Mezzogiorno d'Italia e la Calabria in particolare,
tagliata fuori dai centri produttivi e più avanzati del Nord. Venuta meno la richiesta locale,
nell'impossibilità di competere con i suoi strumenti nelle piazze e nei centri d'arte e di cultura
in città di altre regioni, svanite le sue aspirazioni giovanili, per esigenze familiari, si diede
alla fabbricazione degli strumenti popolari e di massa più richiesti in Calabria e più redditizi.
Ma non smise di dare a quella produzione un'impronta propria, di perfezione e di stile,
differenziandola da quella degli altri costruttori di Bisignano 2.
Giacinto mise al mondo sette figli, ed è perciò del tutto comprensibile la sua decisione di dedicarsi
alla costruzione delle chitarre battenti, strumenti tipici della musica popolare calabra, che i De
Bonis vendevano nelle fiere e nei mercati di paese, trasportandoli a dorso di mulo. Lungi dal
rendere prospera l'economia della famiglia, la vendita delle chitarre battenti permetteva a Giacinto,
alla moglie e alla loro prole di sopravvivere. La sola, residua manifestazione della decaduta nobiltà
di Giacinto De Bonis era la bellezza dei suoi strumenti, che si distinguevano da quelli degli altri
costruttori: c'è un modo signorile anche di essere poveri.
La vocazione
Se Giacinto poteva decidere nell'indirizzo e nella conduzione degli affari di famiglia, nulla poteva
nel controllo dei geni che egli stesso aveva trasmesso al suo primogenito Nicola. Fin da bimbo,
subito avviato all'arte di famiglia, questi rivelò un ingegno che appariva fuori dell'ordinario anche in
un ambiente di iniziati qual era quello in cui stava crescendo. Quando, giovanissimo, costruì le sue
prime chitarre battenti, la verità risultò lampante. Annota Curia 3:
Sintomatico, però, era il fatto che nelle fiere e nei mercati a cui il padre partecipava, gli
acquirenti delle chitarre battenti d'ogni estrazione sociale, si erano accorti di una certa
differenza tra l'un tipo e l'altro di lavorazione e di messa a punto degli strumenti, e i primi a
vendersi erano proprio le chitarre uscite dalla mani di Nicola.
E a Maestro Giacinto, conosciutissimo su tutte le piazze dei mercati, con insistenza venivano
richieste le chitarre del figliolo.
Poteva, quel genitore che la vita aveva piegato obbligandolo a rinunziare a fini più alti del costruire
chitarre da fiera, aspettarsi che il suo geniale primo nato si rassegnasse all'umiliazione di non poter
diventare l'artista che in potenza era? E poteva tentare di imporgli il basto di miseria – spirituale
prima ancora che materiale – al quale egli aveva consegnato le proprie spalle?
Inevitabilmente, il giovane Nicola entrò in conflitto con il padre, che lo voleva costringere
nell'orticello della chitarra regionale, mentre il suo animo fremeva di ben altre passioni liutarie. Ma,
in quel mondo e in quella società rurale, non si disubbidiva al padre senza scatenare la vindice
Nemesis, e Nicola dovette allora servire due padroni: quello incarnato dal padre e quello che gli si
agitava dentro. Si sdoppiò: di giorno, lavorava per la piccola azienda di famiglia, di notte –
sottraendo ore al riposo – lavorava per sé, per dare forma alla sua bruciante ispirazione. Lavorava e
studiava – immergendosi nella lettura di tutto ciò che poteva portare acqua alle pale del suo mulino.
In lui, convergevano le anime di una processione di antenati che avevano speso le loro esistenze
nell'arte liutaria: non potevano e non dovevano, quelle tenui fiammelle, scomparire definitivamente
nel buio, sopraffatte dal brutale imperio delle necessità dei vivi.
Mi preme sottolineare la potenza e la bellezza di questo gesto del giovane Nicola De Bonis, nato in
quel di Bisignano il 3 marzo 1918, che assunse su di sé, con spirito sacrificale, non un impegno o
un compito, ma una missione: quella di innalzare l'arte della liuteria, discesa in lui per lungo di
magnanimi lombi, al grado più alto, senza sradicarla dalla terra dove avevano lavorato i suoi avi.
Rosario Lumia, che ben conobbe Nicola, descrive efficacemente l'impresa che questi si accingeva
consapevolmente ad affrontare:
La liuteria bisignanese doveva riprendere il cammino interrotto della tradizione e portarsi ai
livelli prestigiosi del passato.
Aprire questo discorso e coprire il divario di tanti secoli in cui la liuteria bisignanese,
tagliata fuori dai centri del Nord e non più competitiva a livello nazionale, doveva ritrovare
se stessa e far rivivere i modelli classici della liuteria d'un tempo anche in Bisignano, fu il
problema prioritario del giovane M° Nicola De Bonis 4.
Lo storico offre anche un affettuoso ritratto della personalità dell'artefice:
Nicola III De Bonis era una persona buona, semplice e modesta. Generoso e aperto verso
tutti, affettuoso e sincero: un'anima candida, scevra di compromessi. Stimava tutti e tutti gli
volevano un gran bene.
Non era attaccato al denaro, (il denaro per lui non era tutto), ed era questo uno dei motivi
spesso di malintesi e di dissensi in famiglia...
Per lui era importante, importante solo riuscire a creare e ad offrire agli altri la bellezza
delle sue opere.
[…]
Delle ansie, dei turbamenti, delle afflizioni, degli entusiasmi e delle velate sofferte gioie di
quella grande anima, io ero testimone, perché in fraterna comunione condivisi con lui per
diversi decenni le sue non facili traversie, e Nicola, in apparenza sereno e sempre ben
disposto, impenetrabile nel suo intimo, soffriva in silenzio le amarezze della vita quotidiana 5.
Il giornalista e scrittore di Bisignano Mario Guido, che fu, come Curia, amico intimo di Nicola De
Bonis, offre al riguardo – in un saggio al momento inedito, ma di prossima pubblicazione – una
testimonianza viva e realistica 6:
Durante gli anni della seconda guerra mondiale il giovane maestro studia testi antichi che
parlano di strumenti e di liuteria, esamina disegni e forme, ne costruisce di nuove, elabora
progetti di chitarre che variano nelle forme e nelle misure e riesce, lentamente, a realizzare il
miracolo di riportare la liuteria bisignanese alle glorie dell’antico splendore.
Nel mentre la sua famiglia cerca di barcamenarsi tra le difficoltà economiche che la
produzione delle chitarre battenti riesce, a mala pena, a sostenere parzialmente, Nicola 3°
cerca di stabilire rapporti, scrive lunghe lettere ad altri colleghi, divora libri e giornali,
ascolta attentamente la radio, cerca materiali, legni pregiati che si trovano soltanto nelle
regioni del nord o addirittura all’estero. Pacchi postali che non arrivano mai. Blocchi di
legno che, scelti con cura, devono essere segati, piallati. Resine misteriose e sostanze diverse
e rare che arrivano da paesi lontani, sono indispensabili per la composizione delle vernici
che devono essere provate per stabilirne il giusto colore, la consistenza, la profondità, la
lucentezza che deve far splendere i suoi strumenti.
Quanto tempo, quante ore nello studio, nella ricerca, nei disegni di nuove forme, di nuovi
accorgimenti, di nuove tecniche di costruzione per rendere i suoi strumenti insuperabili,
nell’aspetto, nella qualità del suono, nell’acustica, nella vernice calda e vellutata.
Tutto questo tempo, tutta questa energia sembra, a volte, sprecata al fratello Vincenzo 3° De
Bonis che, quotidianamente osserva il fratello ed apprende, ma di carattere pragmatico e più
aderente alla realtà, bada di più al sodo, al concreto, alla necessità di risolvere, in qualche
modo, i problemi materiali dell’esistenza e del vivere.
Le discussioni tra i due fratelli non sono rare, ma sono ricche di sollecitazioni, di spinte al
fare che contribuiscono, non poco, alla loro crescita, alla loro maturità umana ed artistica,
così che l’amore per l’arte che in Nicola si sostanzia di passione, creatività e fantasia, in
Vincenzo si concretizza soprattutto nell’operare, nel fare e nel produrre strumenti.
Un'immagine che ritrae Nicola De Bonis in età indefinita, ma certo ancora giovanile, mostra il
volto ardente di un monaco andaluso: lo diresti un carmelitano scalzo rapito nella preghiera. I
lineamenti fini, delicati, rivelano un animo gentile e contrastano con lo sguardo, di una profondità e
di una risolutezza febbrili, che altrimenti non si possono definire, se non religiose. E alla religione
dell'arte Nicola De Bonis avrebbe dedicato l'intera sua vita: rimase celibe, non ebbe amori,
camminò sulla dura terra senza calpestarla. Fu un asceta. Non so che cosa cercasse, ma sono sicuro
che, di quel che cercava, la liuteria, le chitarre, i violini, erano dei segni, delle apparizioni, dei
simboli. La sua meta andava “oltre”.
Le chitarre di Nicola De Bonis
Nella ricerca di un'espressione artistica conforme alle sue aspirazioni, Nicola De Bonis incominciò
a costruire chitarre “non battenti”, anche se non ancora propriamente “classiche”, negli anni Trenta.
Mentre, per le chitarre battenti, poteva usufruire dei modelli di famiglia e delle forme esistenti in
laboratorio da generazioni, per costruire chitarre classiche non disponeva di alcun riferimento.
Maria Piro, autrice di una tesi di laurea su Nicola e Vincenzo De Bonis, suddidivide la loro opera in
tre periodi: 1) dall'inizio della loro attività (per Nicola, la metà degli anni Trenta) fino alla metà
degli anni Quaranta; 2) dal 1946 al 1980; 3) dal 1980 fino a oggi (questo periodo riguarda solo
l'opera di Vincenzo) 7.
Nicola De Bonis costruì chitarre da concerto, dopo un decennio di sperimentazione, dal 1946 fino
alla sua scomparsa, nel 1979. Non sono in grado di stimare il numero di strumenti da lui portati a
termine ma, considerando la sua indole, il suo modus operandi e la sua committenza, non credo che
sia andato oltre i 200 pezzi (mi riferisco ovviamente solo alle chitarre classiche, e non anche alle
chitarre battenti, ai violini, agli strumenti costruiti per i dilettanti locali, etc.).
Le chitarre della prima epoca, inventate dall'artefice, rappresentano una commistione tra lo stile
italiano e la chitarra popolare, e sono molto variabili nelle dimensioni. Le caratterizza, inoltre, il
lavoro d'intarsio, elaborato fino al preziosismo, che invade anche della superficie della tavola,
mentre il ponticello a baffo riprende quello delle chitarre ottocentesche. Sono strumenti – sia detto
con sommo rispetto – un poco eccentrici, che mostrano aspetti di estrema raffinatezza ebanistica e
palesi ingenuità formali. È evidente, in essi, la maestria dell'artefice, ma anche la sua mancanza di
riferimenti tradizionali. Per comprendere quale fosse l'energia che animava Nicola De Bonis – al
quale si andava affiancando, allo stesso banco di lavoro, il fratello minore Vincenzo, nato nel 1929
– gioverà sapere qualcosa delle condizioni in cui egli doveva muoversi, a cominciare dalle enormi
difficoltà per l'approvvigionamento del legname. Scrive al riguardo Maria Piro:
Il periodo della seconda guerra mondiale fu critico: il legname per costruire gli strumenti era
quello reperibile nella zona: noce, acero silano, ciliegio, pioppo canadese, e per la filettatura
il salice e l'arancio. Il legname più stagionato, utile soprattutto per i restauri, veniva cercato
nelle chiese o negli antichi palazzi ormai in rovina. Nel deposito di Vincenzo sono ancora
conservate travi di legno recuperate tra le macerie del Teatro Comunale “A. Rendano” di
Cosenza, colpito dai bombardamenti del 1941 8.
Il dopoguerra avrebbe aperto, agli occhi di Nicola De Bonis, gli orizzonti della ricerca. Maria Piro
riferisce fatti molto significativi al riguardo:
Dopo la fine della guerra gli strumenti De Bonis cominciarono a circolare fuori della
Calabria. I primi contatti furono con gli ebrei del campo di concentramento Ferramonti a
pochi chilometri da Cosenza. Vincenzo racconta che si trattava più che altro di un grande
accampamento e, tra di loro – circa duemila – vi erano professionisti ed artisti. Uno di loro
possedeva una chitarra Guadagnini che aveva bisogno di essere riparata e Nicola fece il
lavoro. Gli ebrei del campo, continua Vincenzo, percepivano cinque o sei lire al giorno e
probabilmente erano tra i pochi della zona a potersi permettere l'acquisto di uno strumento.
A fine guerra, sempre a Ferramonte, due ufficiali dell'esercito americano notarono quelle
chitarre De Bonis e colpiti dalla loro bellezza proposero a Nicola di portare la sua arte in
America. Nicola non andò in America ma da quel momento iniziò a viaggiare partecipando ai
concorsi di liuteria ottenendo premi e riconoscimenti ovunque, e spesso, ritenuto superiore
agli altri partecipanti veniva premiato come liutaio fuori concorso 9.
La svolta che segnò l'accostamento delle chitarre di Nicola De Bonis – e di quelle del fratello
Vincenzo – ai modelli della liuteria spagnola che si stavano imponendo in Italia ebbe quindi luogo
negli anni del dopoguerra. Non è dato sapere a quali maestri iberici, o a quali italiani che avevano
adottato la plantilla, egli si ispirò, ma è un fatto che tale assimilazione dovette essere rapida e
feconda di risultati di altissima qualità, se è vero che nel 1949, a Cremona, in occasione delle
celebrazioni del terzo centenario della nascita di Antonio Stradivari, Nicola De Bonis otteneva,
insieme al primo premio per un mandolino, il primo premio con medaglia d'oro e diploma anche per
una chitarra. Dopo aver ottenuto diversi altri premi per i suoi violini, nel 1961 Nicola De Bonis
veniva dichiarato nel 1961 vincitore assoluto nella categoria “chitarra classica da concerto” del
concorsi di Terni, bandito dall'A.N.L.A.I.
Ernesto Fausto Ciurlo
L'armatore genovese Ernesto Fausto Ciurlo (1895-1979) fu appassionato dilettante di chitarra e
studioso attentissimo della liuteria chitarristica. I suoi scritti teorici, riguardanti tutti gli aspetti della
costruzione dello strumento, pubblicati nel mensile “Chitarra e Musica”, organo ufficiale
dell'AS.CH.IT (Associazione Chitarristica Italiana), furono oggetto di grande considerazione da
parte di numerosi liutai, incluso José Ramirez III. Uomo di grande cultura, aveva anche
dimestichezza con la penna, e ci ha lasciato una forte testimonianza della sua amicizia con i De
Bonis, soprattutto con Nicola, in un articolo pubblicato nel 1959 dalla rivista dei chitarristi
italiani 10. Eccone i passi più significativi:
[…]
Ora vi dirò di De Bonis e dell'arte loro.
Per intendere qualcosa è necessario localizzare entrambi nella Regione e nella Tradizione.
Chi non conosce la Calabria non potrà mai comprendere l'arte dei De Bonis.
Questo paese è aspro e grandioso, ricco di selve e d'acque, altrove secco, dovunque disagiato
e duro. La sua gente è generosa, ma ostinata fino all'incredibile. E incredibile è la sua
fedeltà. Stabilito il punto in cui concentrare la fede e l'onore, il Calabrese non cederà di un
millimetro a nessun costo. Questi caratteri e tutti gli altri di quelle terra e di quella gente,
sono essenziali nell'arte dei De Bonis. Nicola e i suoi si sentono e sono esecutori di una
missione inesorabile, come di un impegno di onore, che si paga col sangue, se occorre.
[…]
Naturalmente, se raccontassimo tutto questo a Nicola De Bonis e ai suoi, li faremmo
sorridere. Perché al contrario di noi, che crediamo di essere e non siamo, loro sono e non lo
credono. Così, lo spirito della Tradizione è giunto fino a loro, intatto, da oltre due secoli di
fedeltà a quel patto d'onore, mai pronunciato, ma vissuto ogni giorno. Sacrifici e gloria si
sono alternati nella casa, mentre le generazioni si succedevano, soltanto come fatti episodici,
di contorno. Al centro ardeva lo spirito e distillava, dalle mani nodose, mani amorose, abili
mani di De Bonis, la Tradizione, nel suo impegno.
Nell'estate del 1967, fui ospite di Ernesto Fausto Ciurlo nella sua villa di Quercianella Sonnino. Vi
diedi un concerto, e il giorno seguente – se ben ricordo, ma non ne sono più sicuro – suonai,
sempre grazie ai suoi auspici, nella vicina Castiglioncello. Erano concerti organizzati fuori dai
circuiti ufficiali, in circoli privati: si trattava di pretesti che il gran gentiluomo genovese – a
quell'epoca già ritiratosi dagli affari – metteva sulla facciata di quelle che erano – a dirla in breve e
concretamente – delle sovvenzioni che mi elargiva, ben sapendo in quali difficoltà si dibatteva un
giovane chitarrista, che oggi verrebbe definito “emergente”, ma che allora sembrava, anche a sé
stesso, boccheggiante. Ricordo che mi presentai con una chitarra di Armando Giulietti, uno
strumento molto ben costruito, ma avaro nella sonorità della seconda e della prima corda. Se
attaccate con vigore, per spremerne tutto il suono che potevano dare, le note delle prime due corde
producevano quello che io chiamavo “effetto gallo”, certamente caratteristico, ma assai poco
musicale.
"Aspetti un momento", mi disse il padrone di casa, e uscì dal vasto soggiorno per rientrarvi poco
dopo con una chitarra chitarra. "Provi questa", aggiunse con un sorriso, e aprì la custodia. Lo
strumento era molto bello a vedersi, ma già a quell'epoca avevo imparato a essere diffidente nei
riguardi delle chitarre “belle”. Bastarono però le prime note – che, inutile a dirsi, spiccai dalla
seconda e dalla prima corda, ossessionato com'ero dai miei problemi con la Giulietti – per sentirmi
trasformato. Il suono non era potente, ma di una dolcezza e di una pulizia commoventi. “Non si
preoccupi se ha l'impressione che non suoni forte, dall'ultima fila la sentiranno come dalla prima”,
disse il grande studioso di acustica. Dopo mezz'ora di acclimatamento, azzardai uno dei pezzi del
programma che avrei dovuto suonare la sera stessa: mi sembrava di essere diventato un altro
chitarrista. Quella che avevo in mano era una Nicola De Bonis, forse la stessa chitarra acquistata da
Ciurlo nel laboratorio della Giudecca a Bisignano, in occasione della visita che lo aveva spinto a
scrivere l'articolo del 1959. È appena il caso di dire che quella sera e la sera successiva la chitarra di
Giulietti rimase chiusa nel suo astuccio.
“Padreterno, perché non hai fatto di me un profittatore?”, mi domandai l'indomani, quando, al
momento di lasciare Villa Ciurlo per andare alla stazione, vidi in anticamera, accanto all'astuccio
che conteneva la mia mortificata Giulietti, anche quello che racchiudeva la Nicola De Bonis.
L'ingegnere, con un tratto di delicatissima generosità, l'aveva deposta lì, in modo che io la potessi
portare con me, senza costringermi all'imbarazzo del doverlo ringraziare: quella cessione senza
parole poteva essere intesa come avrei preferito, come un prestito, un regalo, un comodato
d'uso...Ma l'orgoglio, il pudore, il sentimento di indipendenza, prevalsero: finsi di non essermi
accorto di nulla, raccolsi la Giulietti e me ne andai.
Qualche tempo dopo, in una lettera, Ciurlo mi comunicò che aveva lasciato disposizione
testamentaria affinché, a suo tempo, quella chitarra di Nicola De Bonis fosse pervenuta a me.
Grazie al cielo, egli sopravvisse per una dozzina di anni, e in seguito, di quella meravigliosa
chitarra, io non seppi più nulla. Spero che si trovi in mani più meritevoli delle mie...
Nelle cronache riguardanti Nicola De Bonis, non ho trovato alcun riferimento ai suoi rapporti con
chitarristi di gran nome, eccettuato un incontro con Alirio Diaz. Voci non supportate da prove
riferiscono che Andrés Segovia avrebbe adoperato una chitarra di Nicola De Bonis per una sua
registrazione: sebbene io non nutra il minimo dubbio sulla possibilità che uno strumento del
maestro di Bisignano sia pervenuto al grande chitarrista, mi sembra estremamente improbabile che
questi abbia messo da parte – anche solo momentaneamente – la sua Hauser: siffatta, del tutto
eccezionale evenienza si verificò solo rarissimamente, quando fu necessario sottoporre la chitarra
del liutaio di Reisbach a qualche riparazione, e la chitarra che rimpiazzò momentaneamente la
Hauser fu quella costruita da Pierre Vidoudez di Ginevra, strumento che comunque non venne mai
adoperato per registrazioni.
Voci che non posso controllare parlano di contatti frequenti con il chitarrista tedesco Siegfried
Behrend (1933-1990); ho invece potuto appurare che Mario Jalenti di Terni, concertista di spicco
negli anni Sessanta, si servì a lungo di una Nicola De Bonis del 1963 (oggi proprietà del professor
Galliano Speri di Roma). Attualmente, il solo concertista di rilievo internazionale che adotta una
Nicola De Bonis è Francesco Diodovich, docente al Conservatorio di Como: quello strumento gli
permette di forgiare le sottili nuances dinamico-timbriche che caratterizzano il suo stile. Le chitarre
di Nicola De Bonis sono dunque quasi assenti dalla scena: si tratta di un assurdo depauperamento
che i chitarristi italiani stanno consumando ai loro stessi danni, oltre che di una penosa distorsione
della storia della liuteria italiana.
Una peculiarità che Nicola De Bonis condivide con Mario Pabè è quella di aver mantenuto le
caratteristiche del suono anche negli strumenti di fattura meno elaborata dal punto di vista
ebanistico. L'unica differenza tra le chitarre di gran pregio e quelle che, in famiglia, venivano
definite “normali” 11 è la decorazione, nella quale mastro Nicola eccelleva. Anch'egli, come Torres,
costruì una chitarra che si potrebbe definire suprema (1967), sontuosamente ornata in madreperla.
Tuttavia, anche la più disadorna delle sue chitarre mostra, nella struttura e nella lavorazione
dell'interno, la maestria che stupisce persino i più abili liutai di oggi e, nel suono, nulla la distingue
dagli strumenti adorni di preziose filettature, anzi non è affatto da escludere che certi esecutori
preferiscano le De Bonis non decorate ma ugualmente segnate dal sigillo della genialità.
Nicola De Bonis morì improvvisamente il 4 gennaio 1978. Labile è, nella sua opera, la traccia di un
adeguamento allo stile che, a partire dagli anni Sessanta, fece delle chitarre di José Ramirez III i
modelli a cui adeguarsi per non essere emarginati dal mercato: si direbbe che Nicola De Bonis non
abbia mai considerato la potenza dell'emissione come un requisito importante per i suoi strumenti, e
che abbia invece mirato costantemente all'ineffabile dolcezza del suono in tutti i registri. Alla linea
Ramirez III si sarebbe accostato invece Vincenzo De Bonis, la cui opera richiede una trattazione
separata, che non fa parte dei temi di questo volume.
Conclusioni
L'impresa di catalogare le chitarre di Nicola De Bonis si presenta assai ardua, perché molti dei suoi
lavori, anziché passare dalle mani dei loro artefici a quelle di concertisti attivi, sono stati acquistati
da estimatori al puro fine di aggiungere pregio alle collezioni di oggetti di famiglia, e risulta inoltre
che non poche Nicola De Bonis hanno varcato l'oceano, a dimostrazione dello status guadagnato da
emigranti calabresi ora residenti negli Stati Uniti.
Peraltro, il catalogo rimane lo strumento più valido ed efficace per contrastare il rischio della
dispersione e dell'oblio. Mentre Nicola De Bonis ha già avuto i suoi primi biografi, urge ora
l'apporto dei suoi primi studiosi. Spero che non si facciano attendere troppo a lungo.
Rosario Curia, I fratelli De Bonis e la liuteria di Bisignano, Banca di Credito Cooperativo di Bisignano, s.d., pag. 21.
L'albero genealogico riportato da Curia è ripreso dal Dictionnaire Universel des Luthiers di René Vannes, Bruxelles,
1951.
2
Ibid., pag. 32.
3
Rosario Curia, op. cit., pag. 35.
4
Rosario Curia, op. cit., pag. 37.
5
Ibid., pag. 43.
6
Mario Guido, Il miracolo della liuteria di Bisignano in Calabria, inedito, pagg. 14-15.
7
Maria Piro, Liuteria in Calabria: tradizione e innovazione nella famiglia De Bonis, tesi di laurea in organologia e
storia degli strumenti musicali, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno accademico 199798, pag. 24.
8
Maria Piro, op. cit., pag. 19.
9
Ibid.
10
E. Fausto Ciurlo, Le chitarre di Bisignano vanno per il mondo da oltre due secoli, ne “L'arte chitarristica”, rivista di
cultura musicale, n. 70.72, Bèrben editore, Modena, luglio-dicembre 1959, pagg. 41-43.
11
Testimonianza della liutaia Rosalba De Bonis, figlia di Costantino De Bonis e nipote di Nicola, contenuta in un
messaggio di posta elettronica inviato all'autore il 7 ottobre 2012.
1
*IlMaestroAngeloGilardino
(Vercelli,1941)èunchitarrista,musicologoecompositoreitaliano.E’
consideratounotraipiùautorevolicompositoriperchitarrae
studiosidellastoriadiquestostrumentoalmondo.Insignedidatta,è
puntodiriferimentonellastoriadellamusicachitarristicadel
Novecento.
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