La fonte - Periodico dei Terremotati Molisani

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La fonte - Periodico dei Terremotati Molisani
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GENNAIO 2013 ANNO 10 N 1
periodico dei terremotati o di resistenza umana
€ 1,00
dove c’è un’ingiustizia,
il silenzio
è la voce della complicità
Roy Bourgeois
lotta e contemplazione
persone incisive
Rosalba Manes
“Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e,
mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei
cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di
voi” (Mt 5,11-12).
Le persone che ti segnano di più nella vita sono i profeti.
Uomini e donne che incontri quasi per caso, ma che scopri come
dono della Provvidenza. Sono lampi, ma fanno seguire tuoni. Semplici, discreti, essenziali, alternano con grande flessibilità espressioni di sdegno ad ampi sorrisi. Persone che sanno stare nel segreto della propria stanza e sotto il cielo di una grande piazza. Persone che coltivano la vita interiore, coniugando la parola alla sua sorgente, il silenzio. Leggono gli eventi e scavano in essi per reperire
fili spezzati che gli altri non vedono e impiegarli per tessiture antiche e nuove. Tesi tra due amori - a Dio e al prossimo - compiono
gesti che incidono la storia e pronunciano parole che si conficcano
dentro come chiodi. Il solo apparire della loro sagoma e il solo
pronunciare il loro nome infastidisce. La loro presenza percuote le
abitudini pigre e la superficialità di chi è inconsistente. La “volpe”
che a loro si accosta senza raggiungerli non ha altra arma che la
bugia. Ma il vento forte della verità soffia e la bugia è come pula
che si disperde…
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Direttore responsabile
Antonio Di Lalla
Tel/fax 0874732749
Redazione
Dario Carlone
Domenico D’Adamo
Annamaria Mastropietro
Maria Grazia Paduano
Segreteria
Marialucia Carlone
Web master
Pino Di Lalla
www.lafonte2004.it
E-mail
[email protected]
Quaderno n. 91
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Chiuso in tipografia il
26/08/12
19/12/12
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Grazie a quanti hanno rinnovato l’abbonamento consentendoci di esistere.
Siete la nostra unica risorsa.
Noi ce la mettiamo tutta per non deludere le
vostre attese, ma voi sosteneteci non solo economicamente ma anche con osservazioni, critiche, suggerimenti. E’ insieme che cambiamo la storia del Molise.
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Larino n. 6/2004
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noi stiamo qui
Antonio Di Lalla
Il 2013 lo apriamo con una buona notizia: il nostro periodico, sempre più
inserito nel dibattito molisano, turba i
sogni di qualche faccendiere, profittatore,
politicante o come diavolo si voglia appellarlo. Questa è una garanzia che siamo
sulla buona strada e allora diamo per certo
che continueremo ad essere sempre più
importuni e incisivi.
Alcuni figuri loschi e vigliacchi
si sono presi la briga di inondare Bonefro,
e non solo, di lettere anonime infamanti e
denigratorie nei miei confronti, senza
naturalmente spiegare il motivo di un
simile attacco bilioso. Il testo della lettera
mostra che l’estensore, verosimilmente
donna, è andato inutilmente a scuola per
anni, vista l’incapacità di esprimersi correttamente e di raccordare le varie frasi
scopiazzate dai giornali. I complici poi se
la cavano così male col computer che
nella loro incapacità hanno dovuto desistere e completare gli indirizzi a stampatello, volutamente contraffatto, ma non
tale da essere irriconoscibile. Utili indizi
sono stati da noi forniti alle forze dell’ordine perché individuino queste squallide
“zoccole” di fogna, amanti di putridume,
che hanno paura della luce del sole. Nostra grande soddisfazione sarà mettere in
copertina le loro impresentabili facce, per
una specie di legge del contrappasso, una
volta individuate, più che la giusta punizione perché, da nonviolento, ho preferito
anzitutto autodenunciarmi in modo che si
indaghi sul mio passato recente e remoto,
a scanso di ogni dubbio. Un amico ha
chiosato: non so se sei ancora vergine,
ma di certo hanno fatto di te un martire,
finendo per rafforzare le vostre battaglie!
Anni addietro ci fu un vile attentato dinamitardo di stampo fascista alla
sede de il manifesto. Il giorno dopo titolarono “noi stiamo qui”. Non vogliamo dare
eccessiva importanza a dei maniaci repressi e frustrati, capaci di agire solo nell’ombra, ma ne approfittiamo per ribadire che
la nostra linea editoriale non si sposta di
un millimetro, anzi si radicalizza, visto che
abbiamo scoperto che sicuramente diamo
fastidio a più di una persona.
In questi giorni stiamo lottando
contro l’apparato di certa sinistra, in verità
molto democristiana, e contro tutti quelli
che si sono rinchiusi nella cabina di regia
perché facciano svolgere le primarie non
solo a livello nazionale ma anche a livello
regionale. Certamente noi non voteremo
chi eventualmente e ottusamente le impedirà, ma anzi ci contrapporremo con tutte
le nostre forze alla sua elezione. Non ci
interessa che un amico o un amico di amici vinca e occupi uno scranno, ma voglia-
mo la buona politica, fatta di confronto
democratico e progettualità seria in modo
che porti la regione fuori dalle secche
dovute alla prolungata e pessima gestione
del governatore Iorio. Pertanto eventuali
brutte copie sarebbero necessariamente
peggiori di lui e dunque non godranno di
nessuna simpatia e appoggio da parte nostra. Il buon governo cammina sulle gambe di persone oneste, come presupposto, e
competenti, come qualificazione. Tutto
questo vale anche per coloro che si candidano al senato e alla camera. Avranno
ancora la faccia tosta di ripresentarsi quelli
bocciati più volte nel centrosinistra e quelli che hanno votato perché credevano che
Ruby era la nipote di Mubarak nel centrodestra?
Continueremo a denunciare puntualmente sprechi e ritardi nella ricostruzione post-sisma perché è indecoroso che
dopo dieci anni si stia ancora nelle fatiscenti baracche, come è inopportuno che
si ricostruisca in zone franose, tanto che
della strana situazione di piazza mercato a
Casacalenda ci siamo premurati di farne
segnalazione alla procura della repubblica
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di Larino. Con
Libera Molise ci opponiamo alle mafie
che stanno conquistando la regione, nonostante le endemiche povertà che la rendono poco appetitosa anche alla criminalità
organizzata, e con Pax Christi vogliamo
coniugare i due termini - pace e giustizia ancora drammaticamente antitetici. E poi
chiesa altra, ecumenismo, economia solidale, convivialità di differenze e di popoli,
emarginazione e marginalità, rispetto e
promozione dell’ambiente e un po’ tutti i
temi e le problematiche con cui ci imbattiamo: cerchiamo di farcene carico e di
contribuire a trovare risposte adeguate.
Non saranno dei minus habens ad
intimidirci con le loro lettere anonime e
minatorie. La comunità di Bonefro, che
ringrazio di cuore, ha reagito con sdegno e
compatta nei confronti di chi cercava di
offendere la sua intelligenza con insinuazioni false e pedestri, tanto che non si è mai
discusso se il contenuto potesse essere vero
o falso, ma ci si continua a interrogare,
facendo mille congetture, sul perché alcuni
sono rimasti esclusi da questa massiccia e
fetida pioggia di missive! Un suggerimento
a questi rimestatori di cacca: non siate anche spilorci oltre che abietti, riparate a questa discriminazione con un secondo lancio
di letame! Non so per quale associazione di
idee ma mi viene da accostare i bonefrani
ai greci che, allorquando i persiani per intimorirli dissero che, nella imminente tenzone, le loro frecce avrebbero oscurato il sole,
risposero, senza scomporsi, che così avrebbero combattuto più comodamente all’ombra! Men che mai questi idioti ammantati
di anonimato riuscirebbero ad impressionare e a far desistere dall’esprimere le loro
libere opinioni i collaboratori della rivista
che, data la loro caratura, andrebbero avanti
benissimo, se non meglio, senza di me.
Sostanzialmente i tapini attapinati
hanno fatto un buco nell’acqua, ma qualora
queste ignobili larve umane volessero mettere su qualche altra vigliaccata sanno dove
trovarci: noi stiamo qui. ☺
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spiritualità
sporcarsi le mani
Michele Tartaglia
Per chi, come me, vive nella
società con la pretesa di presentare il Dio
di Gesù Cristo al mondo di oggi, si ha la
sensazione che il mondo ormai ci percepisca come lobbisti, per cui cattolico è sinonimo di appartenente a un gruppo di pressione per perseguire i propri interessi. Se
questo aspetto è vero, in (gran) parte, per la
gerarchia, per una parte (forse piccola) del
basso clero ciò che spinge ad entrare nei
dibattiti attuali è piuttosto l’ascolto della
Parola di Dio, libri scritti da persone che
hanno deciso di non tacere anche quando
conveniva farsi i fatti propri; ed è per questo che sono stati perseguitati, diffamati,
uccisi, proprio da quelle consorterie politico-religiose che avevano Dio sulle labbra
ma oltraggiavano la sua immagine nei
poveri cristi in carne ed ossa.
Il principe di questi fastidiosi
attaccabrighe è sicuramente Gesù Cristo,
che non è morto di vecchiaia nel suo letto,
bensì nel fiore degli anni su una croce; di
conseguenza, ogni cristiano che voglia
essere tale, non può tacere mai di fronte
alle ingiustizie, anche quando il parlare
può causare sofferenza, incomprensione o,
peggio, gratuita diffamazione da parte di
chi si sente colpito nel proprio bieco tornaconto. L’esempio più chiaro di seguace
dello stile di Gesù, che ci viene dalla bibbia, è quello dell’apostolo Paolo che ha
scritto le sue lettere per difendersi addirittura da chi, pur essendo battezzato, non
tollerava la libertà interiore di Paolo e lo
diffamava presso le sue stesse comunità.
Nei confronti di costoro l’Apostolo usa dei
toni forti, ma allo stesso tempo esprime ciò
che lo muove: non la ricerca del consenso
umano, non l’appiattimento sui gusti di
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coloro che usavano l’intimidazione per
imporre le loro idee, bensì la fede incrollabile in Cristo morto sulla croce e in quel
Dio a cui dovremo rendere (tutti) conto:
“Non ci perdiamo d’animo; al contrario,
rifiutando le dissimulazioni vergognose,
senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunziando
apertamente la verità, ci presentiamo davanti a ogni coscienza, al cospetto di
Dio…Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore; quanto a noi,
siamo i vostri servitori per amore di Gesù... Però noi abbiamo questo tesoro in
vasi di creta, perché appaia che questa
potenza straordinaria viene da Dio e non
da noi. Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma
non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando
sempre e dovunque nel nostro corpo la
morte di Gesù, perché anche la vita di
Gesù si manifesti nel nostro corpo” (2 Cor
4,1-10).
La forza dei cristiani come Paolo non stava nell’audience ma nella coerenza con la fede in Gesù Cristo, anche
quando costava in termini di fama, sapendo che proprio Gesù, per amore nostro, ha
perso la faccia e la vita diventando maledetto secondo la Legge per donarci la
salvezza, cioè la libertà: “L’amore del
Cristo ci spinge, al pensiero che uno è
morto per tutti e quindi tutti sono morti.
Ed egli è morto per tutti, perché quelli che
vivono non vivano più per se stessi, ma
per colui che è morto e risuscitato per
loro” (2 Cor 5,14-15). Il criterio di chi
annuncia il vangelo non può essere quindi
la convenienza umana, ma la fedeltà di
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coscienza a quel Dio che ci ha donato la
libertà di poterci sentire non schiavi dei
padroni di questo mondo ma figli di quel
Dio che ascolta il pianto degli oppressi ed
è sceso per liberarli: “Cristo ci ha liberati
perché restassimo liberi; state dunque
saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il
giogo della schiavitù” (Gal 5,1). L’identità dell’evangelizzatore e quindi del cristiano (e a maggior ragione del prete) è
data quindi dalla chiamata a seguire Cristo fino in fondo, cioè fino alla croce, e di
annunciare nient’altro che le sue parole
non certo tenere verso chi commetteva
ingiustizie, perché Gesù sapeva guardarsi
intorno, arrivare alle cause del male che
vedeva e si impegnava in prima persona
per sollevare chi subiva il male ingiustamente e per denunciare chi lo commetteva.
Chiudo con altre parole (tra le
tante) di Paolo che indicano a noi credenti
di oggi la strada per uscire dalla posizione
ambigua del lobbismo clericale e tornare
alla limpidezza del vangelo, che non è
data dal non sporcarsi le mani, bensì dal
portare la luce della fedeltà alla Parola di
Dio nelle tenebre del perbenismo umano:
“Ognuno ci consideri come ministri di
Cristo e amministratori dei misteri di Dio.
Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele. A me però, poco importa di venir giudicato da voi
o da un consesso umano; anzi, io neppure
giudico me stesso, perché anche se non
sono consapevole di colpa alcuna non per
questo sono giustificato. Il mio giudice è il
Signore! Non vogliate perciò giudicare
nulla prima del tempo, finché venga il
Signore. Egli metterà in luce i segreti
delle tenebre e manifesterà le intenzioni
dei cuori; allora ciascuno avrà la sua
lode da Dio” (1 Cor 4,1-5). ☺
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glossario
brividi
Dario Carlone
ne della realtà, non più trasparente, nel
bene come nel male; è qualcosa di sordido,
di viziato da stereotipi e pregiudizi, da voci
infondate, artefatte o peggio ancora inventate. È la sensazione raggelante di un vento
che sferza la mia vita e quella degli altri,
che viola le coscienze e approfitta
dell’ingenuità e
della buona fede;
vento che manipola e rende inefficace qualsiasi ricerca
della verità.
È l’ospite
veloce senza piedi,
senza ossatura a
sostenerlo - come
nei versi di Emily
Dickinson - che
irrompe nella nostra esistenza e poi
fugge via, lasciando una sensazione
di incapacità, di
sfiducia. È il vento
che ci investe tutti
e costringe a rabbrividire quando ci
rendiamo conto di
non essere in grado
di
contrastarlo,
quando vediamo
svanire qualsiasi
tentativo di fare
chiarezza!
“… se
viene l'Inverno,
La sinistra
potrà la Primave-
ra esser lontana?” si augurava P. B. Shelley. Ed io con lui!
È un vento di speranza quello
che attendiamo! ☺
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Scatto d’autore di Guerino Trivisonno
Wind chill [pronuncia: uind-cill].
Il freddo polare dei giorni della merla
richiama alla mente questo termine appartenente al lessico specifico della biometereologia.
È il fenomeno della perdita di
calore corporeo: non è tanto il freddo,
quanto la presenza del vento a far sì che il
corpo umano avverta una temperatura più
bassa di quella reale, sensazione scientificamente misurata in base ad un “indice di
raffreddamento”, che calcola oltre alla
temperatura percepita, anche la velocità del
vento. Più le raffiche sono forti, più intenso
è il freddo e maggiore diventa la dispersione del calore prodotto dall’organismo.
Wind chill dice la locuzione,
composta dal sostantivo wind (vento) e da
chill - sia sostantivo che verbo - che in
italiano traduce “brivido” o “rabbrividire”.
La scelta di questo termine? È
dovuta ai brividi frequenti che mi attraversano la schiena in questo anno che volge al
termine. Indubbiamente dovuti all’età che
avanza, mi sono detto; imputabili la maggior parte alle storture cui ci ha abituati il
vivere contemporaneo, ho dovuto amaramente ammettere.
E allora procedo per associazioni: vento uguale pali eolici che sempre più
numerosi vedo prolificare in terra di Molise, ad offuscare beni archeologici e paesaggi senza una effettiva ricaduta economica;
vento di voci che si alzano a manifestare e
denunciare - le sentite? -; vento di cambiamento contro un immobilismo e una staticità che dura da troppi anni, segno di vitalità, di attenzione, di desiderio di contare e
partecipare. Vento forza rigeneratrice,
vento riscatto da una condizione di dipendenza o subordinazione, vento risveglio da
un torpore prolungato. Vento brivido nel
gelo, wind chill.
Il brivido che più frequentemente
avverto assomiglia ad una strana percezio-
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molisana senza prospettive
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fraintendimenti?
Cristina Muccilli
L'intelligenza non avrà mai peso,
nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu
otterrai da uno dei milioni d'anime della
nostra nazione, un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni
passione… (Gli italiani - P. Pasolini)
Fraintendimenti d'epoca.
Credevo che la crisi ed il fermento sociale di questi ultimi anni avrebbero
portato inevitabilmente ad un cambiamento nel modo di pensare la politica.
Credevo che l'inarrestabile allontanamento del PD dalle reali problematiche
del paese, gli scandali che hanno toccato
tutte le compagini, la prona condivisione
delle politiche montiane e la bocciatura del
dissenso come “antipolitica”, avessero
messo in serio pericolo non solo la governance storica del centrosinistra ma addirittura avessero minato la solidità dell'intera
struttura.
Poi sono arrivate le primarie e ho
capito quanto erronee e stupide fossero
state le mie aspettative. Il nuovo che avanza: Bersani.
Credevo che Vendola (malgrado
i limiti della sua non limpida esperienza da
governatore) potesse, grazie alla sua innegabile capacità di aggregare, contribuire al
rilancio di un polo alternativo, potesse
aiutare a riscrivere una grammatica di sinistra.
Dopo ogni strage negli Usa,
si invoca il controllo delle armi.
A me pare funzionino benissimo
www. spinoza. it
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Poi sono arrivate le primarie...
Credevo che i gruppi di cittadinanza critica, che mal digerivano le prassi
antidemocratiche di imposizione delle
candidature, che reclamavano pubblicamente scelte partecipate ed auspicavano
per il nostro territorio un drastico cambia-
mento culturale, programmassero con una
nuova prospettiva di scelte quanto più largamente condivise.
Poi è sopraggiunto il periodo
preelettorale e mi sono accorta che (forse)
è già bello e confezionato un pacchetto di
candidature di cui si vocifera, si suppone,
si presume.
Oggi ho partecipato all'assemblea regionale di “Cambiare si può” , neonato movimento di alternativa al centrosinistra e tentativo di ricostruzione della
sinistra radicale.
Sinteticamente i punti programmatici:
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- rielaborazione dell'idea di Europa e rinegoziazione del debito pubblico;
- rilancio dell'economia sulla
base di migliaia di piccole opere di immediata utilità pubblica, rifiuto delle grandi
opere inutili, economicamente insostenibili, dannose per l'ambiente e la salute;
- ripristino delle norme a tutela
del lavoro e del welfare;
- riassetto del territorio e riconversione ecologica dell'economia (so che la
sintesi non favorisce la comprensione);
- abbattimento dei costi della
politica e limite massimo per i compensi
pubblici e privati, abolizione del metodo di
tassazione indiscriminata, lotta alle mafie e
alla corruzione;
- politiche di inclusione, drastica
riduzione delle spese militari e termine a
tutte le operazioni di guerra;
- politiche di valorizzazione dei
beni comuni e rispetto della volontà dei
cittadini espressa con i referendum del
2011. E tanto altro ancora.
All'assemblea erano presenti i
volti noti della sinistra radicale e qui nasce
la prima perplessità: quale rappresentanza
sarà possibile?
Poi, con grande stupore, ho scoperto la partecipazione di compagni insospettati, come definirli, centristi dal cuore
rosso? E questa la seconda perplessità.
Fraintendimenti?☺
[email protected]
mi abbono a
la fonte
perché
nell’Aida
suonano pure i corni
politica
Nella rivoluzione francese si
gridava libertà, uguaglianza e fratellanza,
tre parole che hanno ispirato e condizionato la storia dell’800 e del ‘900. Tre idee
rivoluzionarie che hanno tirato fuori la
politica dagli intrighi di palazzo e dai desideri dei regnanti di allora, tre principi che
sono serviti a dare alla politica la dignità
dell’etica e alla morale la forza della politica. Nei due secoli che abbiamo alle spalle
in nome della libertà si sono affermate le
società democratiche dell’occidente, poi la
libertà si è scambiata per liberismo, ha
perso la sua anima e si è sciolta nell’individualismo, nel consumismo, nell’arbitrio e
nell’ingiustizia sociale. L’uguaglianza è
diventata la bandiera dei paesi del socialismo reale, anche lì dalle buone intenzioni
della rivoluzione bolscevica si è rapidamente passati al dominio di una oligarchia
di partito, alla cieca repressione stalinista di
ogni diversità di pensiero. Lo spirito egualitario ha perso la sua spinta propulsiva ed
è finito sotto il muro di Berlino. La fratellanza, ovvero la capacità di gioire degli
altrui successi, è un’aspirazione troppo
alta, troppo nobile per trovare cittadinanza
in qualche angolo di mondo.
Nel ‘900 sono state scritte fra le
pagine più sordide della nostra storia recente e al pari tempo in quel secolo si sono
compiute imprese che hanno esaltato i
sentimenti più civili della nostra storia. In
quello che è stato battezzato il secolo breve
politica, etica e ideologia si sono scontrate
in campo aperto; alla fine il meglio ha
avuto la peggio, ma il confronto e lo scontro delle idee vi è stato. Oggi di che si discute? Siamo nel vuoto pneumatico, peggio, siamo immersi in una melma che rischia di sporcare tutto e tutti. L’ultima
campanella l’ha suonata Enrico Berlinguer: era il 1983 quando il segretario del
Pci in una intervista a Scalfari sollevava
“una grave questione morale” e denunciava il già grave degrado dei politici, dei
partiti e del sistema istituzionale. Parole
giuste, ma totalmente inascoltate: persino
nel suo partito vi era chi sosteneva che
quelle di Berlinguer erano affermazioni
moralistiche e prive di senso politico.
In questi ultimi trenta anni i partiti si sono quasi tutti trasformati in consorterie indegne, la politica si è occupata di
interessi particolari e famigliari, la gente è
stata abbandonata al suo destino. Perché
consorterie indegne
Famiano Crucianelli
sorprendersi dell’astensionismo, dei successi di Grillo e del ribellismo qualunquista
che attraversa parti consistenti della società ? Certo non tutti i partiti sono eguali, non
tutti i politici sono della stessa razza e, cosa
di grande importanza, vi è ancora una parte
ampia della società che è pronta ad impegnarsi nella buona Politica, che chiede e
vuole partecipare. Infatti, quale altro senso
dare alla straordinaria partecipazione di
popolo alle primarie del centrosinistra, se
non quello di una domanda di politica e di
cambiamento!
Ma una rondine non fa primavera
e già si sentono i rumori dei vecchi attrezzi
e il vecchio rischia di divorare rapidamente
quel poco di nuovo che ha osato manifestarsi. Proprio qui a casa nostra, in Molise,
sono riprese le antiche consuetudini, le
trame sotterranee,
gli organigrammi
e le spartizioni
nelle segrete stanze, lo scambio del
bene comune con
gli interessi di
pochi. Se così
dovesse andare
sarebbe l’ennesimo errore clamoroso. Come con la
tela di Penelope,
si disfa di notte
ciò che si dice di
giorno, importante è che il tempo
passi, poi quando
saranno rimaste
poche ore decideranno i soliti noti.
Tutti sembravano
d’accordo nel fare
le primarie per il
candidato
alla
presidenza della
regione; in realtà
tutti o quasi quelli
che
decidono
hanno lavorato
perché la parola
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non tornasse ai cittadini. In Lombardia
hanno tempestivamente fatto le primarie e
scelto con il voto popolare del centrosinistra il candidato, in Molise oggi 19 dicembre mentre scrivo queste righe ancora nulla
si conosce e si sentono nel sottoscala argomenti pretestuosi per evitare la prova democratica delle primarie per le elezioni
regionali.
Certo non si potrà sfuggire alle
primarie per gli aspiranti parlamentari e
bisogna rendere merito a Bersani che ha
imposto questa scelta e al pari tempo, però,
bisogna evitare che questa scelta non si
risolva in una sceneggiata e anche per quest’esito disgraziato vi sono tutte le premesse.☺
[email protected]
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xx regione
sopravvivranno le tribù
Giulia D’Ambrosio
Quella che viviamo ogni giorno è una guerra che si combatte
senza fucili, senza cannoni, senza bombe, ma con le sofisticate armi di
distruzione di massa della grande finanza internazionale. Una guerra
che viene da lontano, che dilaga e contagia anche i paesi europei. Gli
uomini della grande finanza sparano i loro colpi cliccando sulle tastiere
e trasferendo in un attimo cifre virtuali da capogiro. È una sofferenza
reale, cruda, drammatica, in ogni aspetto della vita quotidiana. Dai colpi
delle agenzie di rating, allo schieramento della “troika”; dai provvedimenti del Fondo Monetario Internazionale alle misure della Banca Centrale e della Commissione Europea.
Far cadere il governo, ad un passo dalle elezioni, mostrando i
muscoli di un partito che non esiste più se non nella figura tragica di un
uomo politicamente finito, annulla tutti i sacrifici lacrime e sangue sulle
spalle dei più deboli. Noi non abbiamo bisogno di una volontà aggressiva, abbiamo bisogno di una logica riformatrice. Viviamo in un mondo
in cui il dolore di uno è soffocato e nascosto dal dolore di un altro. Nessuno è peggiore, nessuno è minore. Sono dolori che si rincorrono nella
comune indigenza di questo nostro tempo, forse di ogni nostro tempo.
Per ritrovare la convivialità che ci serve a non autodistruggerci dobbiamo rifiutare ogni volontà aggressiva e accogliere con critica serenità
ogni logica riformatrice.
Il modello culturale italiano per il Washington Post è segnato
dall’evasione fiscale eccessiva, da mancanza di spirito civico e dal nepotismo che esclude automaticamente la meritocrazia. Come dargli
torto? Se poi ci aggiungiamo uno stato inefficiente che massacra famiglie, attività produttive, sanità, istruzione il default del nostro Paese è
assicurato.
La Germania continua a sottrarci quote di mercato estero, la
nostra industria e la nostra occupazione si contraggono sempre più e
con ciò il peso dei settori improduttivi (settore pubblico, burocrazia,
ecc.) sarà il macigno che ci trascinerà giù in fondo al lago se non sapremo reinventarci nella consapevolezza che comunque l’Italia resta il
numero due nella produzione industriale europea anche se le aree di
eccellenza restano davvero poche, tanto che in alcune regioni siamo
paragonati alla Grecia o al Portogallo.
Bene. Che dire della parte produttiva del Molise? Forse è
meglio parlare dei paesaggi, dei tratturi, delle aree incontaminate, dei
paesini fantasma in cui finiti gli anziani legati “alla terra” non resterà
nulla. Non è sempre colpa di qualcun altro se restiamo in questa condizione di “molisolamento”.
Un grande storico arabo, Ibn Khaldun disse “Nel deserto sopravvivono solo le tribù, tenute insieme da un forte senso di appartenenza”.
Ebbene se la comunità molisana restasse una tribù, se cacciasse via tutti gli usurpatori, se facesse risvegliare un grandioso senso
di appartenenza, allora sì che potemmo partecipare ad un nuovo rinascimento in questa terra di pastori, di gente semplice che ha bisogno soltanto di fiducia e di lealtà.☺
[email protected]
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Gentile redazione, mi sembrava troppo lo spazio
che avete dato alla politica sul numero di dicembre, ma poi
ascoltando, nella bella trasmissione sulla costituzione, Roberto Benigni richiamare l’importanza di occuparsi di politica e
del voto mi sono resa conto che ancora una volta avete ragione. Continuate così e soprattutto date voce anche a noi perché
quelli che hanno occupato le istituzioni e che si ostinano a
fare clientelismo e accordi sotto banco senza un confronto
serio e leale vadano a casa per sempre.
Erminia - e mail
Carissimi, attraverso il giornale vorrei lanciare un
appello: non si ripresentino più i vari Ruta, Massa e quelli che
hanno mantenuto il sacco a questi professionisti che ci hanno
fatto perdere tutte le ultime elezioni. Decenza vorrebbe che
vadano a pesca, perché il loro tempo è finito.
Al segretario del pd senza la elle del Molise, tale Leva, burattino nelle mani di Ruta che sta con lui e contro di lui contemporaneamente, vorrei mandare a dire: se non si fanno le primarie per individuare il candidato presidente della giunta
regionale non speri che andiamo a votare per Frattura che,
avendo già perso una volta, farebbe bene a non chiedere il bis.
Ci è bastato il padre che non solo vuole essere campato da noi
ma chiede anche regolarità! Basta con i figli d’arte che vogliono proseguire sulla scia dei padri in politica. Finora non
sono stati migliori di loro: basta vedere i Di Pietro o i Bossi
junior per farsene un’idea.
Fernando - e mail
Complimenti per il giornale. È un periodo che mi
mancano gli articoli e gli appuntamenti della Lipu, che stanno
lavorando così bene nel bosco di Casacalenda e lo stanno
rendendo un’attrattiva. Senza il loro verde e solo con i begli
articoli del Giannotti il vostro rosso non risalta bene!
Facciamo qualcosa perché quel tipo di Leva, che non solleva
nulla neppure a casa sua, indica le primarie per il presidente
della giunta regionale e pure per il listino. Le voci che circolano su accordi già fatti spero che siano infondate, perché altrimenti significa che si sono già accordati per perdere di nuovo.
Se sbagliano tattica e strategia vorrà dire che vogliono vederci
con i forconi nelle sedi dei partiti. Se chi ben comincia è a
metà dell’opera, questi sinistrati si sono avviati male. Siamo
militanti, non militonti.
Giacomo
mi abbono a
la fonte
perché
l'opera lirica e' un posto dove
un uomo viene pugnalato e,
invece di morire, canta.
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europa
Una burocrazia inetta si è mascherata da classe dirigente ed ha giocato
con l’autonomia regionale dilapidando
fondi pubblici in favore di fortune private.
Negli ultimi decenni i discendenti dei podestà, e dei loro accoliti, si sono intrufolati
ai vertici della pubblica amministrazione
per orientare la spesa su progetti di corto
respiro, finalizzati ad arricchire una casta
di imprenditori, tecnici e amministratori,
che hanno utilizzato i partiti come taxi e
hanno cambiato corrente o colore, limitandosi a seguire la direzione del vento. I cittadini sono stati relegati al ruolo di sudditi,
privati dei loro diritti e spronati a emigrare,
a tacere ed ubbidire in ragione di promesse, favori, clientele o intimidazioni. Il luogo piccolo ha consentito un ferreo controllo delle voci di dissenso che sono state
abbattute con l’indifferenza, la denigrazione, l’isolamento o colpi bassi. Per la razza
padrona è stato facile insinuarsi nei gangli
di ogni ufficio pubblico con una capacità di
conservazione di potere invidiabile. L’autonomia regionale ha accelerato questo
fenomeno con la scomparsa dei controlli
nazionali sulla spesa e la consequenziale
esplosione del debito.
Il fallimento di questi burosauri
annidati nelle nicchie decisionali è sotto i
nostri occhi. Il Molise è crollato, l’economia langue, la sanità è agli sgoccioli, le
aziende chiudono, le scuole scompaiono, i
giovani migrano, il ceto medio impoverisce, i commercianti abbassano le saracinesche, le imprese edili portano i libri in Tribunale, gli avvocati si fanno causa l’uno
con l’altro in assenza di clienti, gli agricoltori fermano i trattori, i treni arrancano
come nel Far West, l’assistenza sociale è
negata, il diritto alla casa è un sogno, il
pubblico impiego licenzia, per andare in
pensione si passa prima per il cimitero e il
territorio è devastato da installazioni invasive e da impianti di rifiuti inaccettabili.
Dobbiamo prendere atto che la
regione è da reinventare, riprogettare e
ricostruire sotto il profilo morale, legale,
sociale, amministrativo e produttivo. Nulla
sarà procrastinabile del modello pregresso
con le sue muffe clientelari, le reti familistiche, i campanilismi arcaici, i favoritismi
per i soliti noti, le opere inutili e la spesa
allegra. Bisogna prendere il coraggio a
piene mani e disegnare un nuovo modello
di sviluppo con un apparato istituzionale
reinventare la regione
Michele Petraroia
essenziale, un forte orientamento verso gli
investimenti privati, un convinto sostegno
verso i giovani e le imprese, un’attenzione
rigorosa alle regole, e una sobrietà che
dovrà partire dall’alto e dai comportamenti
della politica e della dirigenza.
Per le prossime scadenze elettorali non ci si potrà soffermare alla cosmesi
ma sarà necessario rigirare le istituzioni
come un guanto con cambiamenti radicali
a tutti i livelli. Il centrosinistra avrà il dove-
Prima di tutto si individui una
soluzione che preservi l’unità della coalizione, definisca poche priorità di totale
discontinuità col passato e si adoperi per
dividere lo schieramento avversario. Faccia un passo indietro la rivendicazione
personale e si dia spazio al progetto generale, agli obiettivi di cambiamento e alla
capacità di sintesi tra diverse sensibilità,
con rispetto reciproco e chiarezza programmatica. Il Molise non ha bisogno di
egoismo, di urla e di propaganda, ma di
risposte serie, concrete e difficili. Mai come ora serve un governo dei processi economici, una riscrittura amministrativa, un
riordino istituzionale e una cucitura di forze per realizzare un'unica tela e comporre
un solo mosaico. Non è il tempo dell’uomo solo al comando o delle individualità.
Superare una cultura di clientele, di favori
e di elusione delle regole, impone di costruire un nuovo modello di lavoro collettivo improntato alla valorizzazione di ogni
energia all’interno di un percorso condiviso, partecipato e comune. Se amiamo la
nostra terra adoperiamoci con passione,
impegno e abnegazione.☺
re di guidare l’Italia verso l’Europa dei
popoli, della democrazia partecipata e dei
diritti universali di cittadinanza, dove la
dignità di un uomo valga più dello spread.
Servirà più equità, tassare i patrimoni, far
pagare i ricchi, combattere l’evasione e
reinvestire in giustizia sociale, in politiche
di uguaglianza partendo dalla scuola, dalla
sanità, dal lavoro e dalla casa. Non sarà
facile sconfiggere il populismo italico che
si annida nelle viscere dei milioni di berlusconidi che sono pronti a rieleggere il caimano al Governo del paese. E non sarà
semplice vincere le elezioni regionali contro le truppe di Michele Iorio già schierate
in ogni luogo di potere esistente in Molise.
Sottovalutare la capacità di mobilitazione
del centrodestra è un errore da non compiere. E sarebbe grave persistere in una
spaccatura del centrosinistra in più pezzi
che riuscirebbe nell’impresa disperata di
riconsegnare la regione nelle mani di Iorio
e Vitagliano.
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È in uscita un'edizione più moderna
della Bibbia, edita Mondadori. Talmente moderna che...
... "date a Cesare quel che è di Cesare", dice uno della loggia P3.
... Sara e Abramo fanno l'inseminazione artificiale.
... Giuseppe chiede l'esame del DNA.
... il serpente offre a Eva un posto in
Parlamento.
... l'apocalisse viene trasmessa su Mediaset Premium.
... ci sono le e-mail di San Paolo ai
Corinzi.
... Matteo, Marco, Luca e Giovanni
hanno un blog.
... una delle piaghe d'Egitto è la Bp.
... l'arca di Noè viene affondata da una
motovedetta libica.
9
terzo settore
resistenza costruttiva
Leo Leone
Non basta rassegnarsi al “non se
ne può più”. Occorre andare oltre.
Viviamo una stagione che pone a
rischio i valori che nella storia hanno dato
senso alla vita. Non si tratta di una tempesta caduta dall’alto ma di una melma che
insorge da un inquinamento diffuso da cui
ricavano interessi soprattutto i soggetti che
dovrebbero operare per il bene comune nei
ruoli di responsabilità sociale e politica che
ricoprono. E questo si è verificato in diversi cicli della storia. L’umanità è da sempre
alle prese con scelte che segnano il conflitto tra etica e affarismo.
I precetti morali della storia hanno ripreso spazio dopo le più atroci forme
di schiavismo, sfruttamento e individualismo sregolato. È dalla catastrofe più orrenda che l’umanità è riuscita a riscoprire il
senso dell’etica a salvaguardia dei diritti di
tutti, a partire dai più deboli. Dovremmo
assumere coscienza che stiamo avvicinandoci ad uno di quei momenti in cui lo scadimento dei valori ha raggiunto livelli di
squallore inaudito. La politica ne è diffusamente contagiata con l’asservimento ad
un’economia che assegna tasse onerose a
tutti i poveretti che debbono lavorare per
agevolare il benessere dei pochi che intascano prebende e piaceri del tutto incontrollati.
È questo un clima che pervade
l’universo intero e che risulta più infestante
in quei continenti che nella storia risulterebbero come le radici della civiltà dell’uomo: Europa e America. Rientriamo allora
in casa nostra per sottrarci all’inquinamento che proviene da un mondo che sa di
bolgia dantesca. Siamo ormai quotidiana-
10
mente tempestati da informazioni che scoprono i veli che per anni hanno occultato
malefatte e ruberie di ogni stampo, al punto che si è tentati di riconoscerle all’interno
di una cronaca che sa di quotidiano, per cui
non c’è manco da meravigliarsi.
Tuttavia vanno profilandosi segnali di resistenza alla stregoneria e alla
turpe strategia di governo dei furbi che
hanno superato i limiti della decenza nel
campo della politica,
dell’ economia e dell’etica. Le ultime testimonianze provengono dai
paesi che non hanno di
certo sovrabbondato in
termini di legalità e di
rispetto delle regole in
campo politico. L’Egitto
tra questi. Ma quel popolo sta dando lezioni di
resistenza alla tirannia
sostenuta da un integralismo religioso e a un
dispotismo che sta attraversando una stagione di
crisi che preannuncia
scenari di liberazione.
Per tornare in casa, rilanciamo la
sfida che gli italiani lanciarono al mondo
intero allorché, liberatisi del regime fascista, riuscirono a mettere su uno stato centrato sulle regole della democrazia, che
seppe dialogare nel tracciare linee strategiche e programmi che si tradussero in una
legislazione che diede il via ad una stagione libera e capace di innovare nel pieno
respiro di una democrazia dialogica e volta
al servizio del popolo. Furono gli anni che
videro nascere una
scuola per tutti, che
acquistò vivo apprezzamento nel mondo
intero per la sua modernità e qualità di
servizio. Partiti dalla
provenienza ideologica diversa si ritrovarono a delineare un progetto al servizio dei
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cittadini in campo educativo, ma anche nei
servizi essenziali quali la sanità, l’assistenza ai deboli, il rilancio di una economia
che si adoperò per la ricrescita dei territori
e delle categorie più deboli.
Il fenomeno della transumanza
da partito a partito, che oggi imperversa,
non si registrò se non in casi isolati. Quel
che ci intristisce e solleva in noi tutti il
senso del rigetto nei confronti della classe
politica è che alla carenza diffusa di una
programmazione misurata ai bisogni dei
tempi e dei cittadini, anche per svilupparne
i talenti e le risorse, si contrappone una
quotidiana litigiosità che non consente
neppure un indice minimo d’intesa che si
produca in progetti e
legislazione diretti a
realizzare il bene comune.
Se andiamo a scorrere
indici attinenti i servizi
essenziali scopriamo che
l’Italia naviga nella palude in molti settori. Solo
per esemplificare, è di
questi giorni il sondaggio che mette il nostro
paese in coda al servizio
sanitario per quanto
riguarda i posti letto
ogni mille abitanti. Siamo giunti a toccare il
3,52 per mille. E ce ne
accorgiamo tutti per la drammatica stasi
che attanaglia la sanità nel nostro Molise.
Qualcuno è giunto a convincersi che è
meglio restarsene a casa che ricoverarsi in
ospedale dove, a parte il non servizio, manca anche la vicinanza e quel minimo di
calore umano che attenua la sofferenza in
famiglia.
Ma non è forse giunto il momento di sollecitarci tutti per far rinascere la
politica dal basso e darle voci e volti nuovi,
visto che tra le poche luci di speranza che
si avvertono intorno a noi c’è questa ripresa di voglia di fare da parte dei giovani?
Segnali concreti ci vengono dai dati più
recenti che ci forniscono numeri di rilievo
di aziende create dagli under 35 che nei
mesi tra gennaio e giugno di quest’anno
hanno creato quarantamila aziende con una
media giornaliera di 230. ☺
[email protected]
europa
Il 10 dicembre scorso l'Unione
Europea ha ricevuto il premio Nobel 2012
per la pace per aver "contribuito a trasformare la maggior parte dell'Europa da un
continente di guerra in un continente di
pace" .
All'annuncio del premio, avvenuto a Oslo il 12 ottobre, sono seguite reazioni critiche, delle quali è opportuno dar
conto citandone un paio:
- il Telegraph, in linea con il consolidato
euro-scetticismo britannico, ha subito sentenziato: “l'Unione Europea ha vinto il
Premio Nobel per la Pace nonostante un
anno segnato da rivolte nelle strade di
molte capitali e la prospettiva incombente
di una brusca rottura nel bel mezzo di
una crisi economica causata dall'euro”;
- Perez Esquivel, premio Nobel per la
pace nel 1980 per il suo impegno contro
la dittatura Argentina, ha rincarato la
dose dicendo: "Un premio senza senso:
un riconoscimento per la pace dato a
chi fa la guerra. No, il mio consenso
non lo avranno mai".
Questi due giudizi non saranno certamente piaciuti a Thorbiorn Jagland, Presidente del Comitato Norvegese del Premio Nobel e Segretario
Generale del Consiglio d'Europa, come
non gli sarà piaciuta la sottolineatura del
fatto che dalla Norvegia, della quale Jagland è stato Primo Ministro, arrivano
apprezzamenti per l'Unione Europea, ma
non la richiesta di adesione alla stessa.
Per parte nostra, non abbiamo
difficoltà a riconoscere che tutte queste
osservazioni critiche hanno un fondamento, ma dobbiamo aggiungere che esse nulla
tolgono al valore della scelta fatta a Oslo.
In una fase storica nella quale si tende ad
ancorare il giudizio sulle istituzioni europee alle quotidiane difficoltà e contraddizioni
dell'Unione Europea, appare assai utile un
messaggio capace di richiamare sulla scena
una vicenda storica che in pochi decenni
ha capovolto il profilo geopolitico ed etico
del vecchio continente.
Appare utile proprio perché nella
nostra memoria collettiva si vanno affievolendo i contorni di un'Europa preda di opposti e feroci assolutismi per i quali la vita
dei cittadini era tenuta nel massimo disprezzo; perché lasciamo agli impolverati
libri di storia il compito di ricordare che i
rapporti tra i popoli europei erano stati
il nobel all’europa
Giovanni Di Stasi
regolati per molti secoli sui sanguinosi
campi di battaglia anziché intorno ai tavoli
della diplomazia; perché riusciamo perfino
a tollerare teorie che negano la verità storica degli stermini di massa. E poi ci meravigliamo che il sogno europeo di Ventotene
scivoli lentamente verso la periferia del
nostro cuore!
Il Premio Nobel per la pace, assegnato all'Unione Europea, ci aiuta a riflettere sul valore storico della costruzione
europea e sul fatto che, attraverso l'Unione
Europea ed il Consiglio d'Europa, siamo
riusciti a realizzare uno spazio continentale
di convivenza civile, di libertà, di democrazia. Un continente nel quale milioni di
cittadini erano stati sterminati, ha cancellato, con l'eccezione della Bielorussia, la
barbara pratica della pena di morte.
Quando il Comitato per il Nobel
afferma di voler premiare l'UE per aver
contribuito a “trasformare la maggior
parte dell'Europa da un continente di
guerra in un continente di pace" esprime,
dunque, un giudizio fondato ed incontrovertibile e ci pone di
fronte alle nostre
responsabilità. Se è
vero, infatti, che con
il processo di costruzione europea abbiamo avviato un'opera
imponente e preziosa,
non possiamo sottrarci al dovere di implementare quel proces-
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so di costruzione perché l'Unione Europea
sta attraversando una fase di turbolenza
finanziaria, economica, sociale e perfino di
smarrimento valoriale.
Al contrario, dobbiamo ripartire
dall'immenso valore del progetto europeo
fin qui realizzato e portarlo a compimento
perseguendo con nuovo slancio l'obiettivo
di realizzare in questo decennio gli Stati
Uniti d'Europa. La costruzione politicoistituzionale incompiuta di cui disponiamo
si è rivelata assai utile per il superamento
dei conflitti bellici tra i popoli, per lo
sviluppo di una crescente cooperazione e
la condivisione di fondamentali valori
civili ed etici. Essa, però, non è sufficiente per dare al vecchio continente una
coesione economica, sociale e territoriale
che consenta a tutti gli europei di godere
concretamente dei diritti fondamentali
contenuti nella Convenzione Europea
dei Diritti dell'Uomo del Consiglio d'Europa e nella Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea.
Il Premio Nobel per la Pace assegnato all'Unione Europea è, dunque, un
riconoscimento dell'alto valore del compito
fin qui svolto dall'Unione Europea, ma è
sopratutto un formidabile stimolo a portarlo a termine.
In quel Premio Nobel c'è anche
l'implicito invito ai Norvegesi ad essere
presenti nella prossima foto storica dell'Unione Europea e l'auspicio inespresso che
gli inglesi assumano un atteggiamento più
European e meno British quando quella
foto sarà scattata.☺
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convivialità delle differenze
i moti dei popoli
Erri De Luca
Non ho proprietà salvifiche né terapeutiche, non posso salvare vocaboli, ma solo
alzare una siepe intorno a una parola cercando di proteggerla dalla falsificazione.
Per esempio non posso salvare l'aggettivo
"madornale" dall'accoppiamento forzato
col sostantivo "errore". Madornale, da
maternale, indica in botanica il ramo principale che spicca dal tronco. Ha il senso di
legittimo vigore. A braccetto con errore è
diventato un guaio.
In questa pagina mi sta a cuore la parola
"ondata". Le pubbliche autorità la usano
per nominare gli arrivi dei migratori nel
territorio italiano. Dicono: ondate migratorie, suggerendo in convinta malafede l'effetto difensivo. Se sono ondate, cosa deve
fare un litorale per proteggersi? Respingerle con dighe, scogliere, sbarramenti. Le
ondate invadono, sommergono: aiuto! Ma
non sono ondate. Sono invece flussi migratori. A definirli flussi però si perde tutto
l'effetto difensivo, di paura di fronte a un
pericolo. Chi si permetterebbe d'interrompere un flusso? È un crimine strozzare la
circolazione. Sono flussi: rinnovano le
fibre di una comunità che invecchia e che
rallenta il rimpiazzo delle nascite. Sono
flussi: vanno a riempire di nuova energia i
lavori pesanti che la comunità anziana ha
smesso di eseguire. Aggiungono fertilità di
nascite e varietà di culture, dall'arte alla
cucina.
E i flussi non possono essere fermati. Per
esempio da noi oggi abitano cinque milioni
di nuovi residenti che non sono passati
attraverso alcuna quota programmata. Non
li abbiamo invitati anzi abbiamo cercato di
respingerli fin dallo sciagurato e volontario
affondamento del battello albanese "Kater i
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caldo e di freddo. Ma sono inapplicabili a
descrivere le mosse umane. I pubblici poteri spacciano vocabolario falso, dalle
guerre pretese umanitarie, alla legge finanziaria detta di stabilità, che invece scuote
forte le tasche di un paese in cui le famiglie
vanno a vendersi i piccoli oggetti d'oro.
In fine corsa di questa pagina
spero di avere persuaso un lettore a sospettare il vocabolario del potere di falso in atto
pubblico. Non sono ondate le migrazioni,
sono flussi. Non invadono: irrorano. ☺
Rades" nel Canale di Otranto durante la
pasqua d'aprile del 1997, in seguito a speronamento eseguito dalla corvetta "Sibilla"
della Marina Militare Italiana. Officiava
allora al governo Romano Prodi. Ci si
arrogava l'arbitrio di effettuare un blocco
navale, usando il vocabolario falso delle
ondate migratorie. Da allora in poi non è
servita a niente qualunque misura di sbarNon cercare mai
ramento. Neanche la pena di morte sarebbe
un efficace deterrente perché quei viaggi
di cambiare qualcuno
l'affrontano già. L'equivalente di dieci Titaper renderlo uguale a te.
nic sono spalmati sul fondo del Mediterraneo, naufragando alla spicciolata.
Dovresti sapere
Sono flussi e affrontano le perdite oltrepasche uno basta.
sando qualunque ostacolo di terra, di mare
e di potere. Sono le innumerevoli molecole
che formano il flusso.
Neanche gli Stati
Uniti, efficienti per
natura, e con un immenso muro alzato
lungo la frontiera del
Messico, hanno impedito il travaso ispanico, che oggi è maggioranza del popolo
americano. Allora io
proteggo la parola
"ondata" dalla contraffazione dell'autorità che li accosta ai
viaggi delle migrazioni.
Le ondate spettano al
mare, qualche volta ai
fiumi, per massima
concessione si possono estendere alle ma- Carla Llobeta - Speriamo che piova caffè nel campo
nifestazioni naturali di
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convivialità delle differenze
A partire dal secondo dopoguerra l’emergere del fenomeno migratorio,
unito certamente ad altri fattori che vanno
genericamente sotto l’etichetta di
“globalizzazione”, è stato una concausa del
deperimento del concetto di Stato-nazione e
di un indebolimento del nesso Statoappartenenza-diritti di cittadinanza. La sovranità statale è, di fatto, oggi al centro di
varie forze o fenomeni centripeti, che incidono sulla sua erosione. Da un lato, vanno
segnalati i fenomeni, spesso tra loro connessi, della caduta della partecipazione, del
proliferare delle rivendicazioni identitarie su base etnica e culturale. Dall’altro lato emerge, in tutta la sua complessità, il fenomeno della globalizzazione. L’immigrazione è un fenomeno che meglio di altri mette in evidenza l’intersecazione tra globale e locale,
nonché il mutamento nei rapporti di
forza tra i diversi livelli di governo.
Nella tesi che ho discusso lo scorso 13
novembre a Macerata per il conseguimento della Laurea Magistrale in
Scienze politiche, dal titolo
“Trasformazioni dei diritti di cittadinanza nella società dell’ immigrazione. Tra integrazione e localismo dei
diritti” ho trattato della nuova natura
che i confini assumono nel nostro
tempo, con particolare riferimento ai
movimenti migratori e al rapporto che
essi intrattengono con le trasformazioni della cittadinanza.
Al giorno d’oggi, sebbene
esistano norme internazionali dei
diritti dei migranti e richiedenti asilo,
l’ingresso in uno Stato rimane comunque
regolato dalle legislazioni nazionali. Allo
stesso tempo, l’universalizzazione dei diritti
umani implicita nel fenomeno delle migrazioni globali, che impone il rispetto di tali
diritti e degli obblighi internazionali nei
riguardi di ogni persona indipendentemente
dalla qualità di cittadino, solleva il rischio di
una possibile incompatibilità con la natura e
l’origine nazionale e territoriale dei diritti
riconosciuti da ciascuno Stato ai propri cittadini all’interno dei suoi confini. Lo scenario
internazionale è progressivamente caratterizzato da una tendenza alla sicuratization
della questione migratoria: i flussi migratori
devono essere governati e contenuti, anche
drasticamente, soprattutto per bloccarne la
componente irregolare. Inoltre, nella politica
da nemico a ospite
Antonella Fantetti
migratoria europea è stata rilevata la tendenza a liberalizzare gli spostamenti interni da
un lato, abolendo i controlli alle frontiere
nazionali, e a blindare i confini esterni dall’altro. Da qui è nata la metafora di “Fortezza
Europa”, a indicare il potenziamento dei
controlli sugli ingressi di extracomunitari. A
partire dagli accordi di Schengen del 1985 e
poi nel contesto del processo di allargamento dell’Unione Europea, ha preso forma,
proprio intorno alla retorica del necessario
contrasto dell’immigrazione clandestina, un
nuovo regime di controllo dei confini, flessibile e “a geometria variabile”, il quale, più
che segnare una rigida linea di demarcazione fra il dentro e il fuori, sembra puntare a
governare un processo di inclusione differenziale dei migranti. Il processo di formazione della cittadinanza europea viene analizzato assumendo come punto privilegiato
di osservazione i suoi confini, allo scopo di
cogliere le profonde trasformazioni che
stanno investendo il significato e le forme
dell’inclusione. Il significato politico e sociale della cittadinanza europea è infatti
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caratterizzato da livelli di appartenenza
differenziati a seconda dello status giuridico
degli individui - appare a tal fine fondamentale la distinzione tra straniero comunitario e
straniero extracomunitario - che rivendicano
un’inclusione piena o parziale.
Venendo all’Italia, appare proficuo
concentrarsi sul livello locale, considerato
come il contesto privilegiato per osservare
il godimento dei diritti. L’avvio dei
processi di integrazione e di lotta alle
disuguaglianze, sia sul piano delle
politiche di partecipazione e rappresentanza, sia per la sperimentazione e lo
sviluppo di concrete forme di
legittimazione e cittadinanza, non può
prescindere dalla ricognizione e lo studio
del fenomeno migratorio su scala locale.
Presso gli enti locali, infatti, le posizioni
ufficiali
del
governo
vengono
‘contaminate’ da pratiche che vanno in
un’altra direzione. Alla luce della
“crescente istituzionalizzazione della
xenofobia” (C. Bartoli, Razzisti per legge.
L’Italia che discrimina, Laterza, RomaBari, 2012, p. VI), si intendono individuare
le modalità di intervento delle istituzioni
nei confronti degli immigrati, siano essi
regolari o irregolari. In particolare
l’attenzione si focalizza sull’evoluzione
delle politiche di welfare specifiche per gli
immigrati. In un quadro generale
notoriamente caratterizzato da forte
frammentazione e spiccata eterogeneità tra i
Comuni, si rileva che le politiche per gli
immigrati del nostro paese fanno emergere
quel localismo dei diritti che rimanda a una
dimensione subnazionale della cittadinanza.
Analizzare come gli stranieri intendono e
praticano il loro essere “cittadini”, è un
modo per includere il loro punto di vista nel
processo di ridefinizione degli attuali sistemi
democratici. Considerare lo straniero come
ospite, e non come nemico, è un segno di
progresso civile (Cfr. J. Daniélou, Saggio
sul mistero della Storia, la Morcelliana,
Brescia, 1957; p. 75): “La civiltà ha
compiuto un passo decisivo il giorno in cui
lo straniero da nemico è divenuto
ospite”.☺
13
cultura
il fascino di una storia
Carolina Mastrangelo
Succede spesso che, guardandomi allo specchio,
scopra qualche ruga in più, lentiggini affiorate senza sole e
gli angoli della bocca che guardano ostinatamente all’ingiù, ma non mi ritengo vecchia, non fino a quando andrò a
scuola almeno, anzi mi sento piccola come i miei bambini
perché essi mi regalano i loro occhi per guardare il mondo.
La mattina li vedo arrivare a scuola infreddoliti,
felici sotto il sottile incanto della neve che cade e mi chiedo: - Che dirai oggi a queste anime di brina?
Da poco è passato Natale; è un rito annuale raccontare la storia antica, ogni volta la stessa e ogni volta
meravigliosa: “Maria e Giuseppe si misero in viaggio verso Betlemme per il censimento. Erano partiti anche per la
profezia, il bambino che lei portava in grembo sarebbe
nato nella città di Davide; nessuna porta, però, si aprì per
loro; non c’erano stanze nella locanda sulla collina per
gente così umile ed essi, lontani dalle lampade ad olio e
dalla folla del paese gremito, dovettero sistemarsi in una
grotta, mentre la notte scendeva sulla Giudea e l’oscurità
avvolgeva la città in una grande coperta trapunta d’argento. Nei campi, oltre le case, i pastori dormivano vicino alle
greggi; il fuoco ardeva come una stella terrestre in mezzo a
loro e le note lontane di un flauto si alzavano verso il cielo
dove le Pleiadi danzavano con solennità. Mentre il buio si
faceva più profondo, all’improvviso tutto tacque e per un
tempo che nessuno poté misurare l’immobilità si diffuse
sul mondo. Nella miseria e nel silenzio di Betlemme prese
vita il Figlio di Dio…”.
Potrebbe sembrare una favola e invece è la storia
di un mistero che sempre mi piace rievocare per farne
sentire il fascino ai miei alunni. Il mistero è una dimensione ineliminabile della vita e trovo essenziale improntare ad
esso l’azione educativa per non farla scadere nell’addestramento o nella manipolazione più alienante. Natale ha offerto un’occasione di più per rinsaldare nelle nostre giornate affannate o incolori, il senso del mistero che le abita,
traccia di insopprimibile luce in questo andare che non ha
ancora senso.☺
[email protected]
14
“La prospettiva dell'Europa oltre la crisi - Le
pagine di Ernesto Rossi”,
opera prima del giovane
Dario Di Stasi, è un saggio di grande attualità che
affronta di petto il crescente euro-scetticismo
sviluppando
un'analisi
strutturata su vari livelli:
quello politico, quello
economico e, non ultimo,
quello sociale.
L'autore ricostruisce il
complesso percorso delle
istituzioni europee, ricordandoci
innanzitutto
quanto e quale valore
abbiano avuto le idee dei
grandi padri dell'Europa
per determinarne la direzione. Tra essi è la figura di Ernesto Rossi ad assurgere a simbolico faro
del processo di formazione dell'Europa unita. Autore de “Gli Stati Uniti
d'Europa”, oltre che coautore con Spinelli del “Manifesto di Ventotene”,
Ernesto Rossi ha infatti pagato con la libertà il sogno di un continente
libero e unito. Come avrebbe potuto un così lucido visionario non essere
omaggiato da un giovane europeista dei nostri giorni?
Il libro però va ben oltre la storia, trovando tra la crisi del secondo conflitto mondiale e quella (dai tratti ben diversi) di oggi un parallelismo
che dà modo allo scrittore di argomentare la sua tesi: per superare disperazione, recessione e perdita di valori abbiamo bisogno di più Europa,
non del superamento della stessa. Di un'Europa migliore, soprattutto,
essendo l'UE lontana da ciò che aveva promesso di diventare come entità politica, economica e sociale, lontanissima dagli Stati Uniti d'Europa
descritti nelle pagine di Rossi.
L'autore propone un'analisi innovativa del processo di costruzione europea basata sulla individuazione di tre decenni cruciali per il destino dell'Europa: il decennio delle scelte e delle promesse, quello di Maastricht;
il decennio dell'involuzione e della delusione, che si è appena concluso;
il decennio decisivo, che si sta aprendo e che segnerà il futuro dell'UE.
La ricetta di Dario Di Stasi è chiara e interessante ed indica il sentiero da
percorrere affinché il continente intero esca rafforzato e più unito, attraverso una precisa “Strategia” che punti a realizzare una “Federazione
europea entro il 2022”.
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il calabrone
importante è apparire
Loredana Alberti
In un'intervista del Time
Magazine, Caitlin Moran, columnist de
The Times di Londra è irriverente, anticonformista, schietta e per queste sue caratteristiche, a noi
Italiani, appare provocatoria. Dice che
in fondo sembrare grassi o
magri è una
questione di
proporzioni,
così - essendo
lei piuttosto in
carne - ha
aumentato il volume dei suoi capelli, per
creare una migliore proporzione con il suo
corpo. La lezione sulle proporzioni è antica, solo che noi la dimentichiamo spesso,
(rileggi Ars Amatoria di Ovidio). Il contenuto dell'intervista s'incentra sul
'femminismo', anche parlando di moda o
dell'ultimo libro di soft-porno (il sopravvalutato “best seller” Cinquanta sfumature di
grigio). La Moran è convinta che non ci sia
nulla di estremista né di pericoloso a dirsi
femministe, poiché più del 50% della popolazione mondiale è donna. Esistono più
di tre miliardi e mezzo di modi per essere
femminista, per cui il femminismo non è
un movimento a parte, bensì un vero e
proprio partito di massa.
Ciò mi ha ricordato un'altra intervista della stessa Moran, in cui raccontava:
"Quando mi trovo a parlare con le ragazze, loro mi dicono 'Io non sono una femminista' ed io rispondo 'Cosa? Vuol dire che
non vuoi avere il diritto di votare? Vuoi
essere una proprietà di tuo marito? Vuoi
che il tuo stipendio vada a finire sul suo
conto? Se tu venissi stuprata, vorresti ancora che lo stupro fosse un reato? Congra-
tulazioni allora: Tu sei una femminista".
Penso che sia l'attitudine coraggiosa della
Moran a farle rispondere così, perché è
difficile affrontare il discorso sul femminismo. Pare
una parolaccia, una
malattia
infettiva
da cui le
stesse
donne
vogliono
tenersi
alla larga,
per non
correre il rischio di essere equiparate a
erinni rabbiose, o streghe sciatte e misantrope. Specialmente in questa nostra epoca
ossessionata da canoni estetici ristretti e
dall'imperativo di piacere a tutti e a tutti i
costi (ecco perché il ricordo dei canoni di
proporzione della Moran è importante, tra
l'altro).
Dichiararsi femminista serve ad
alienarsi una parte dell'uditorio, alimenta
frasi di scherno e battutacce. Pure peraltro
intelligenti ed acculturate
donne di mezz'età temono di essere qualificate
come femministe, per
non alienarsi il gradimento degli uomini.
Come repellente, purtroppo, già basta l'età!
Con una matura e intelligente signora, la quale
dichiarava che la ruolizzazione estrema salva i
rapporti di coppia, ho
avuto questo piccola
conversazione: "Allora,
mi spiega qual è il suo
ruolo". "Faccio tutto ciò che a lui non va
di fare". "Succede anche l'inverso, ovviamente?". "Beh no. Non c'è nulla che non
mi va di fare". È un vero peccato, per esempio, che le giovani generazioni di donne italiane non abbiano compreso appieno
l'importanza
della
legge
194
(regolamentazione sull'aborto), o della
legge 40, sulla procreazione assistita.
A tal proposito mi ricordo, durante la campagna referendaria sulla legge
40, di ragazze ventenni le quali erano state
inibite dai loro fidanzati ad andare a votare
o solamente a parlare dell'argomento, vuoi
per mancanza di una corretta informazione
pubblica, vuoi per un malcelato orgoglio di
maschi procreatori non ‘assistiti’! Cosa ci
vuole per cambiare il senso culturale ad
una parola utile e necessaria come femminismo? Noi, in Italia, non abbiamo una
Caitlin Moran, allegra e serena nelle sue
esternazioni, e semmai l'avessimo, sarebbe
“bannata” dal web, sommersa dai commenti negativi, derisa da autorevoli soloni
del giornalismo e dell'intellighenzia italica,
bandita dai talk show o relegata in fascia
protetta.
Eppure, basterebbe leggere qualche rivista o ri-vedere Videocracy per
capire come si è arrivati a delegare la nostra femminilità ed il nostro senso critico a
canoni commerciali.☺
[email protected]
Via Marconi, 62/64
CAMPOBASSO
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arte
lo stucco barocco
Gaetano Jacobucci
“…con la forza delle linee e
degli angoli, che da essa se producono;
con le quali commesuramento onni contorno e lessicamente se descrive”: l’affermazione umanistica di Piero della Francesca,
riguardante l’intento di modificare la dimensione scientifica dello spazio mediante
la prospettiva, durante tutto il XVI secolo,
progressivamente sfocia in un rifiuto di tale
linguaggio giungendo alla negazione quasi
totale, innestando l’illusione prospettica
grazie all’uso della decorazione a stucco.
L’obiettivo delle committenze e degli artisti post-tridentini è quello di raggiungere
una rappresentazione sintetica e non analitica dello spazio interno ecclesiale, entro
cui la focalizzazione, rappresentata dall’altare, viene raggiunta in modo intuitivo e
non per artificio matematico. Lo spazio
interno degli edifici subiva adattamenti e
indefinitezza, la sintesi tra spazio e rilievi
dei singoli particolari diviene caratteristica
delle tecniche decorative mediante l’uso
della decorazione a stucco a tutto rilievo o
nelle quadrature con semplici elementi
decorativi, quale strumento di costruzione
dello spazio.
Lavorazione dello stucco
L’impasto di gesso e di marmo
tritato finissimo, mescolato con calce e
acqua a cui si aggiungeva caseina o cola di
pesce, doveva essere steso in fretta sulle
superfici lisce e già pronte. Occorreva essere capaci di lavorarlo ad umido, modellandolo con stampi o, nei casi più virtuosi,
a mano libera. Anche asciutto lo stucco era
assai malleabile e lo si poteva scolpire
come la pietra, ma senz’altro con minore
fatica e con esiti convincenti. Queste tecniche, che richiedevano abilità consumata,
vennero predilette dagli artisti del barocco
e in tal modo poterono evidenziare all’esterno, e soprattutto nell’interno delle chiese e dei palazzi gentilizi o ville, quegli
estri, quelle morbidezze e quelle animazioni tenacemente esaltate dalla fantasia.
Lo stucco con la sua complessa
lavorazione ha origine molto antica: già nei
palazzi di Gerico e in quelli di Creta se ne
vedono esempi elaborati. Anche a Roma lo
stucco fu largamente impiegato, come
testimoniano i raffinati rilievi della Domus
Aurea e della Casa della Farnesina. Quest’uso di materiale povero durò fino all’Alto Medioevo, la sua scelta andò esaurendo-
si in quanto soppiantato dalla più durevole
scultura in pietra. Riemerse nella sua attualità decorativa all’inizio del Cinquecento a
Roma al tempo del concitato fervore per la
scoperta dell’antico e che svelò la mirabile
sintesi fra stucco e pittura delle grottesche
sulle volte della Domus Aurea. Gli studiosi
dello stucco seicentesco hanno sottolineato
la derivazione di questo dalla grande e
colta tradizione che si era formata appunto
a Roma e che era continuata ai tempi del
manierismo, per sfociare nel barocco dove
lo stucco diventò parte integrante, e non
più solo aggiuntiva, dell’architettura.
Il mestiere di stuccatore
I maestri dello stucco, al contrario di quelli dell’intaglio, non aprirono
quasi mai bottega nel loro borgo natale:
non era vantaggioso. Il loro era un mestiere
che richiedeva diretta presenza sul cantiere: quindi dovevano essere disposti a muoversi dove la committenza li richiedeva, di
corte in corte, di chiesa in chiesa. Come
segno del loro acquisito prestigio, o in
occasione di rientri stagionali, non mancarono di lasciare tracce nelle chiese e nelle
case dei loro paesi. Forti della loro esperienza secolare e sempre aggiornati, gli
stuccatori evidenziarono già allo schiudersi
del Seicento, un gusto tutto teso a vivificare lo spazio mediante un’intensa dinamicità che s’innestava coerentemente sul nuovo
senso dello spazio, come proponeva lo
spirito barocco.
Nelle severe chiese posttridentine innalzate nell’Italia settentrionale, dove il rigore regnava sovrano, la decorazione a stucco non parve disdicevole. Per
le sue caratteristiche lo stucco poteva esaltare, trasformando presbiterio e abside in
dinamici spazi di forte coinvolgimento per
il fedele.☺
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CAMPOBASSO
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mondoscuola
La scuola è sempre più povera. A
partire da quest'anno scolastico - è notizia di
qualche giorno fa piombata fra capo e collo
sui docenti di ogni ordine e grado - gli istituti italiani riceveranno dal ministero dell'Istruzione meno finanziamenti per il cosiddetto fondo d'istituto, quello con cui si pagano una miriade di attività “extra” (sport,
musica, teatro, ricerca..) e si retribuiscono le
funzioni strumentali dei docenti (quei particolari incarichi volti a curare i bisogni del
personale e degli alunni, i rapporti con gli
enti locali, la progettazione d’istituto, i viaggi d’istruzione, l’aggiornamento e quant’altro).
È tutto, nero su bianco, nell'intesa
sugli scatti stipendiali
sottoscritta
qualche
giorno fa dai sindacati
con l'Aran, l'Agenzia
che negozia i contratti
dei dipendenti pubblici
per conto del governo.
Ma l'unità sindacale
faticosamente ritrovata
dopo anni si è nuovamente incrinata. Da un
lato la Flc Cgil che non
ha sottoscritto l'accordo
sugli scatti e dall'altro
lato tutti gli altri sindacati: Cisl e Uil scuola,
Snals e Gilda. Cerchiamo di capire meglio. In poche parole, se, a
cominciare dall'anno 2012-2013, le scuole
vorranno mantenere lo stesso livello di offerta formativa del passato, potranno seguire
soltanto due strade: chiedere più risorse ai
genitori oppure cercare sponsor privati.
Perché ancora tagli, allora? Non
avevamo già dato abbastanza?
I fondi "sottratti" alle scuole, in
realtà (e così si giustifica o si spiega il Ministero) sono serviti a pagare gli scatti stipendiali previsti dal contratto del personale
scolastico che due anni fa il governo Berlusconi aveva bloccato fino al 2012. Insomma, ci danno dalla porta e ci tolgono dalla
finestra.
Per la Flc Cgil è "ancora una
brutta pagina sulla scuola" perché è una
beffa a danno dei lavoratori e un ulteriore
taglio alle risorse della scuola pubblica”,
dichiara il segretario generale della FLC
CGIL, Mimmo Pantaleo. “Gli effetti - prosegue Pantaleo - saranno pesantissimi per
ancora tagli
Gabriella de Lisio
tutti, ma soprattutto per la scuola dell’infanzia, primaria e media". E per finire
"l'accordo pretende che le risorse prese dal
fondo per il miglioramento dell'offerta formativa vengano recuperate in termini di
produttività nel rinnovo del contratto: vale
a dire maggior lavoro a parità di retribuzione". Ma la Cisl scuola la vede in maniera
diametralmente opposta. "L'accordo - replica Francesco Scrima della Cisl scuola chiude in modo positivo una vicenda che si è
trascinata già troppo a
lungo e su cui era molto forte l'attesa dei
lavoratori”. Anche Uil
scuola, Snals e Gilda
sono contenti della
trattativa. "Senza minare la qualità dell'offerta
formativa - spiega
Massimo Di Manna,
della Uil scuola - e la
sostanza del fondo di
istituto, si garantisce il
pagamento con tutti gli
arretrati per chi ha
maturato lo scatto al
31 dicembre 2011". Ma quanto arriverà
nelle casse delle scuole per le diverse attività? Il Fondo d'istituto verrà decurtato del 24
per cento nel 2012 e del 27 per cento nel
2013. Le risorse per l'attività sportiva alle
medie e alle superiori, le Funzioni strumentali per l'attuazione del Piano dell'offerta
formativa (Pof) e gli incarichi specifici al
personale Ata si assottiglieranno, nel 2013,
del 26 per cento. E verrà ridotta di un quarto
anche la dotazione finanziaria per le scuole
che mettono in campo attività volte al
recupero della dispersione scolastica.
Ci sembrava di aver dato già
abbastanza. E ci
asteniamo dai commenti stavolta. Ci
facciamo solo una
domanda.
Dove
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crede di andare un paese che non si decide a
investire sulla formazione dei giovani e sulla
dignità di chi lavora nel campo dell’educazione? ☺
[email protected]
lezioni di ottimismo
Il figlio che tante volte non pulisce la propria camera ed è sempre attaccato alla TV,
significa che...
È a casa!
Tutto ciò che devo pulire dopo una festa
in casa, significa che...
Siamo stati circondati da parenti e amici!
I vestiti mi stanno stretti, significa che...
Ne ho abbastanza per mangiare!
La fatica che faccio per pulire casa, significa che...
Ho una casa!
Le critiche che sento sul governo, significa che...
Ho libertà di esprimermi!
Non trovo parcheggio, significa che...
Ho una macchina!
I rumori della città, significa che...
Posso udire!
La stanchezza a fine giornata, significa
che...
Ho un lavoro!
La sveglia che mi fa alzare ogni mattina,
significa che...
Sono vivo!
Infine, tutti i messaggi che ricevo, significa che...
Ho degli amici che mi pensano!
Quando pensi che nella vita ti va tutto
male… leggi di nuovo questo messaggio!
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libera molise
considerazioni su morale e etica
Franco Novelli
“C’è la bellezza e ci sono gli umiliati.
Qualunque difficoltà presenti l’impresa,
non vorrei mai essere infedele
né ai secondi né alla prima”
Albert Camus
Nei giorni scorsi - 7 dicembre - c’è
stata una trasmissione, Moby Dick - sul Piano
Sanitario Regionale 2012-2015 e sulla sanità
nel Molise a Telemolise, alla quale hanno
preso parte diversi esponenti della politica
istituzionale molisana; a rappresentare le
associazioni e i movimenti dei cittadini, che si
battono da un anno circa per difendere la
sanità pubblica molisana, è stata Libera nella
mia persona.
Quello che particolarmente ha
colpito è stata la sensazione, verificabile dal
tipo delle risposte date dai rappresentanti
della politica regionale, di completa estraneità
di costoro rispetto alla sofferenza, direi esistenziale e materiale, di una massa enorme di
cittadini, colpiti dalle manovre ingiuste e
ingiustificate del governo tecnico dei
“professori”. Costoro, a fronte dell’enorme
patimento della popolazione, non hanno né la
minima idea di cosa significhi soffrire per
l’attuale inconsistenza dei salari (ovviamente
per chi ce li ha!) né sono in grado di dimostrare un minimo di sensibilità per quanti
silenziosamente rischiano di morire di fame.
La professionalità tecnica, si dice, deve essere al di sopra di ogni condizionamento sociale e politico; come pure si va sbandierando
che la scienza debba essere neutrale e al di
sopra delle parti. Ma questo non è né giusto
né vero, perché la scienza non è affatto neutrale. In particolare, le dottrine economiche,
che allo stato attuale pretendono di guidare
gli Stati, contribuiscono a distruggerli, dominando ed annientando la democrazia faticosa-
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mente conquistata dalle popolazioni di molti
paesi europei (tra questi ci sono la Grecia, il
Portogallo, la Spagna, l’Irlanda, l’Italia). Ecco
allora che nasce spontanea la domanda del
perché si sia arrivati a questo punto, all’apparenza di “non ritorno” (almeno così vogliono
farci credere il Fondo monetario internazionale, la Banca centrale europea, e le società
private di rating, alle quali scelleratamente i
governi europei hanno affidato il controllo
delle loro economie nazionali).
Una delle risposte, ci limitiamo per
ora a questo ambito apparentemente iporazionale, è l’affievolimento del senso della
“morale” comune ed individuale; poi, l’inesistenza spaventosamente vera dell’etica, di
ogni etica, strumento di sensibilità civile e
solidaristica che, per dirla con Bauman, andrebbe imposta alle persone e alla collettività.
Cerchiamo di dare adesso una spiegazione di
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questi convincimenti. Zygmund Bauman, in
un’opera del 2001, - “Società, etica e politica”, - sostiene che la cultura sia come un
coltello che affonda nel futuro e che può
cambiare il mondo ( = la realtà fenomenica),
in quanto esso è nelle mani degli uomini, che
sono in grado, se lo vogliono veramente, di
trasformare le cose e di affermare con convinzione quei principi solidaristici che possono costituire il nuovo Dna della società rinnovata. Se l’uomo suppone l’esistenza e la possibilità di affermazione di un’alternativa,
allora questa va scovata e poi attualizzata
nella concretezza della Storia, attraverso un
impegno civile costante e la ricerca di alleati
per questo cammino di rinnovato umanesimo. L’attualizzazione di questa strategia
presuppone l’utopia (la capacità di sognare
un mondo differente e migliore), che è parte
integrante della cultura individuale e di un
popolo (in questo caso esemplari sono le
guerre di liberazione indipendentistica, il
“sogno di una cosa”, nel senso pasoliniano e
storicistico). Un supporto naturale dell’affermazione di nuovi contenuti culturali e civili esplicitazione dell’utopia - è oggettivamente
la “morale” (nel caso nostro indicata in senso
laico e materiale). La “morale” riguarda l’agire e il comportamento, considerati in rapporto all’idea che si ha del bene e del male e
ciò è dettato dalla coscienza individuale, ossia
dall’istintiva percezione del bene e del male,
dalla naturale conformità ai principi del giusto e dell’onesto. L’uomo naturalmente nasce
ed è predisposto al bene e al rispetto, ma
successivamente (quasi presto, fin dall’infanzia) è condizionato dalla famiglia e dalla
società nel suo insieme, che lo spingono a
comportamenti ingiusti che gli fanno dimenticare ciò che è coscienziosamente onesto,
civilmente giusto, e, perché no, anche spiritualmente religioso.
I livelli di generale corruzione della
nostra società oggi sono sotto gli occhi di tutti
e non vanno neppure messi in evidenza, tanto
lavoro
è chiaro a tutti il livello mediocre dei valori
morali della società, oggi in prevalenza consumistica, egoistica, razzista.
Di qui, nasce il problema che sia
necessario ed urgente un supporto alla morale
o qualche cosa che ne ravvivi i contenuti
filosofici e sociali anche; questo supporto è
l’etica, che va imposta alla società da quanti,
condividendo la progettualità verso un mondo migliore, sono convinti che solo in questo
modo si possa sostituire all’egoismo di classe
e all’odio un percorso, civile e culturale, verso un mondo migliore. Ora se l’etica per
molti appare come un segmento della filosofia che si occupa del problema morale cioè
del comportamento degli uomini in relazione
ai mezzi, di cui dispongono, ai fini, che essi
intendono perseguire, e alle ragioni che lo
spingono a fare certe cose, essa però per molti altri ancora è un modello di comportamento
che un individuo o gruppi di individui sono
soliti seguire nelle loro azioni per affermare
certi determinati principi precisati da una
visione complessiva della società. Tale visione, democraticamente condivisa e programmaticamente tesa alla realizzazione piena
della Carta Costituzionale (lavoro per tutti,
solidarietà, pace reale fra le nazioni, diritto
all’autodeterminazione dei popoli, difesa
strenua e attenta del territorio, diritto inalienabile allo studio, sanità pubblica da difendere e
valorizzare sempre di più) è messa in discussione oggi o da nazioni che si fanno guerre
devastanti o dalla stessa Unione Europea, i
cui paesi membri stanno lentamente ma progressivamente perdendo l’autonomia nazionale a causa dello strapotere illegittimo della
finanza internazionale e delle banche. Dunque, imporre un cammino etico oggi significa
fare una vera e propria rivoluzione culturale e
politica e la realizzazione di tale progettualità
spetta a una nuova classe dirigente, magari
molto più giovane e per niente compromessa
con il Potere. È questo il senso dell’appello
che Libera ha lanciato già un mese fa dai
fogli de la fonte; è questo il messaggio che
ancora Libera rivolge ai cittadini che certamente intendono contribuire a modificare i
rapporti di forza che oggi illegittimamente
sono sottolineati da un ceto dirigente e da una
classe politica letteralmente corrotti, incapaci
di portare la gente comune fuori dalle sabbie
mobili della crisi economico-sistemica e nel
contempo di darci risposte esaurienti.☺
[email protected]
un anno di lotta
Antonello Miccoli
Il 22 novembre è stata siglata
l'intesa Stato-Regioni sugli ammortizzatori
sociali in deroga per l'anno 2013. L'accordo
assegna alle regioni 650 milioni di euro a
fronte di una spesa di oltre 2 miliardi sostenuta nell'anno in corso.
Si comprende l'insufficienza
dell'intervento finanziario rispetto ai fabbisogni dei territori. Nel solo Molise abbiamo
raggiunto 4.327.540 ore di cassa integrazione. Nello specifico: 1.606.594 ore di Cigo +
93,48% (dipendenti coinvolti 1.842);
1.347.282 di Cigs – 49,30% (dipendenti
coinvolti 1.545); 1.373.664 + 67,12%
(dipendenti coinvolti 1.575). Su un totale di
4.962 lavoratori coinvolti dalla Cig, nelle
sue diverse articolazioni, ben 2.481 sono
stati collocati a zero ore. Tra i settori maggiormente coinvolti: alimentari (Cigo +
847,46%; Cigs + 35,40%); legno (Cigo +
378,41%; Cigs + 589,07%); edile (Cigo +
421,54%; Cigs + 52,14%); meccaniche
(Cigo + 135,67%; Cigs + 7,47%); tessili
(Cigo + 87,01%); chimiche (Cigo + 66,01%; Cigs + 2,05%).
Va tra l'altro rilevato come la sensibile contrazione delle esportazioni di prodotti
tessili e dell’abbigliamento (–31,8%) e di
sostanze e prodotti chimici (–6,8%) non è stata
compensata dall’aumento di vendite di prodotti in gomma (2,1%) e di alimentari (9,5%).
Sullo stesso versante agricolo, le
coltivazioni industriali hanno registrato una
contrazione del 25,8%: deficit che, determinato dalle perduranti difficoltà dell’industria
bieticolo-saccarifera, ha indotto gli agricoltori a ridurre di più di un terzo le superfici
destinate alla barbabietola da zucchero. Nel
comparto olivicolo il raccolto è invece diminuito del 10,5%; mentre la produzione di
latte vaccino si è ridotta del 4% risentendo
della diminuzione del numero di capi allevati (–6,2%).
A fronte di questi dati, che evidenziano le difficoltà dei diversi comparti economici, non si può accettare l'idea di un
continuo taglio di risorse allo stato sociale:
le famiglie molisane, come quelle di altre
regioni, sono ormai allo stremo.
La stessa sostenibilità del debito
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(interessi e rate capitali da rimborsare) mostra elementi di grave preoccupazione. In
proposito la Banca d'Italia ci ricorda che
convenzionalmente una famiglia è definita
finanziariamente vulnerabile se la quota di
debito è superiore al 30% del proprio reddito. Ad esempio, nel periodo 2005/2009 il
peso del servizio del mutuo per le famiglie
molisane è salito di circa 6 punti percentuali
portandosi al 19,1% rispetto al reddito disponibile. Contemporaneamente la percentuale di famiglie che superavano la soglia di
vulnerabilità è sensibilmente cresciuta, passando dal l’8,5 al 32,8%: una quota superiore sia a quella del Mezzogiorno (19,8%) che
a quella italiana (20,4%).
La maggiore vulnerabilità comporta, in alcuni casi, una riduzione della
capacità di fare fronte con regolarità ai pagamenti e mantenere il proprio tenore di vita.
Nel 2009 più del 10% delle famiglie molisane indebitate non sono riuscite a rispettare le
scadenze di pagamento delle rate del mutuo
(una quota più elevata che nel 2005 e maggiore della media italiana). Nel contempo
una percentuale di famiglie, solo leggermente inferiore, ha registrato nello stesso
anno una forma di disagio nella gestione
delle spese domestiche. Più in generale, la
crisi ha inciso sensibilmente sui consumi dei
nuclei familiari: dal 2007 al 2010 la spesa si
è ridotta del 6 per cento (Cfr. Banca d'Italia,
Economie Regionali, n°16 giugno 2012).
Va da sé che la debolezza della
ripresa produttiva e la fragilità delle economie domestiche dovrebbero trovare il primo
posto nell'agenda della politica. Al contrario
il teatrino elettorale tende ad avere il sopravvento su tutto, mentre tante persone hanno
perso il lavoro o, pur lavorando, non percepiscono il salario. Ci attende un Natale volto
cristianamente alla speranza, mentre, nel
contempo, i sazi non vedono e non odono i
lamenti provenienti dal basso. Il modo migliore per iniziare il 2013 è far risuonare nei
palazzi del potere la voce di chi chiede giustizia e solidarietà, rispetto ad una strategia
finanziaria che vede nei deboli un intralcio
all'accumulo della ricchezza per pochi. ☺
[email protected]
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economia
il potere finanziario
Antonio De Lellis
In una sala gremita si incontra il
popolo di sinistra e non del PD. In tutt’Italia il
15 dicembre verrà ricordato come il giorno
della parola data ai territori. Il popolo arancione, di sinistra, vuole confrontarsi, ascoltare il
dolore di quanti non hanno più lavoro o rischiano di perderlo, di chi vede profilarsi
all’orizzonte una catastrofe sociale. Occorre
fare presto: raccogliere 60.000 firme in tutta
la penisola entro un mese dalla data fissata
per le politiche che dovrebbe coincidere con
quelle regionali, per il Molise. È un sentire
popolare quello che la sinistra vuole risvegliare dando la parola a tutti quelli che non si
riconoscono né in Monti, né in Bersani, né in
Berlusconi: appunto il quarto polo. Le scelte
del governo tecnico hanno fatto fare al Paese
una cura da cavallo che rischia di ucciderlo.
Le scelte montiane “ottime per l’Europa”, si
tramutano per il popolo italiano in una macelleria sociale. Tutti i numeri sono contro Monti tranne lo spread, che è effettivamente sceso
per la sua credibilità, la quale ha messo un
freno alla speculazione (ma questa poteva
essere messa a freno anche con leggi antispeculazione che però non sono state fatte).
Ma per chi Monti rappresenta l’uomo giusto al posto giusto? Sicuramente per le
banche, per i creditori esteri del debito pubblico italiano. Ma se tutto parte dal debito, occorre ricordarsi gli anni bui del debito pubblico italiano che vanno dal 1980 al 1996, un
quindicennio durante il quale il debito cresce
10 volte: da 114 a 1.213 miliardi di €. Dal
1980 al 1991 la spesa primaria fu superiore
alle entrate per 140 miliardi di €. Ma il vero
problema furono gli interessi che oscillavano
fra il 12 e il 20%. Bisognò attendere il 1996
per vederli scendere sotto al 9%. In parte
l’Italia pagava per le scelte di Reagan che
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aveva bisogno di soldi per finanziare lo scudo
spaziale (l’Iniziativa di Difesa Strategica).
Non volendo alzare le tasse, si finanziava
richiamando capitali dal resto del mondo
offrendo alti tassi di interesse. Gli altri paesi
assetati di prestiti non avevano altra scelta che
offrire di più. Con l’eccezione del 2009-2010,
tutti i governi successivi al 1992 hanno mantenuto la spesa primaria al di sotto delle entrate. Ma il debito ha continuato a crescere per
effetto degli interessi.
L’Italia è un paese di risparmiatori
spennati! Non sottovalutiamo il problema! Il
debito pubblico non è una questione di ordi-
naria politica. È una guerra del potere finanziario contro le comunità nazionali per imporci il proprio dominio e impossessarsi della
nostra ricchezza. Se vince, perderemo democrazia, sicurezza sociale, beni comuni e ogni
altra conquista sociale. Per piegarci al suo
volere, il potere finanziario usa giornali, televisioni ed economisti, per darci un’unica
versione dei fatti. Il suo intento è convincerci
che il nostro unico dovere è pagare, non importa se la disoccupazione cresce, se i servizi
si riducono, se la previdenza sociale scompare. Non possiamo sperare che sia l’attuale
classe politica ad arrestare questo lento declino. Per convinzione o
per interesse, i politici
sono alleati dell’ oligarchia finanziaria.
Solo una grande opposizione popolare potrà
salvarci. Il debito è
diventato una guerra
dei mercati contro le
comunità nazionali
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per fare aumentare i tassi di interesse e intascare più soldi. All’Italia ogni aumento dell’1% procura una maggior spesa annua per
interessi di 16 miliardi a vantaggio dell’oligarchia finanziaria. Conseguenze:
a) Si aggravano le disparità. Nel 1985, in
Italia, il divario fra il 10% più ricco e il 10%
più povero era 8 a 1. Nel 2008 è salito 10 a 1.
L’11% delle famiglie italiane vive in povertà
e un altro 7,6% è a rischio di diventarlo (Istat
luglio 2012).
b) Peggiorano le nostre condizioni di vita.
Più soldi paghiamo per interessi, meno ne
abbiamo per servizi e previdenza sociale. Nel
2011 abbiamo versato nelle tasche dei ricchi
78 miliardi. Nel 2012 la cifra è attesa a 90
miliardi. Soldi sottratti a scuola, sanità, creazione di posti di lavoro, in perfetto stile neoliberista. Fra il 2008 e il 2012, fra maggiori
tasse e minori spese, abbiamo subito un salasso di 330 miliardi di €.
Il debito di ogni paese ha la sua
storia e quella dei paesi del Nord è fortemente
intrecciata con i dissesti bancari. Dal 2007 il
sistema bancario occidentale è nella tormenta. Nella bramosia di guadagnare sempre di
più le banche hanno espanso a dismisura le
proprie attività, non sempre nella giusta direzione. Molti mutui non sono rientrati, un
sacco di scommesse sono risultate sbagliate,
fiumi di denaro sono andati perduti. Ma non
si è trattato di soldi propri, bensì presi in prestito, e alle banche si è posto il problema di
come restituirli. Per evitare la bancarotta
hanno chiesto soccorso ai governi e l’hanno
ottenuto. Ma per salvare le banche, i governi
hanno indebitato se stessi. Dal 2008 al 2011,
i governi d’Europa hanno soccorso le banche per 2.310 miliardi di €.
Continuano a dirci che per uscire
dal debito non abbiamo altra scelta se non
accettare manovre “lacrime e sangue” che ci
impoveriscono e demoliscono i nostri diritti.
Ma lungo questa strada, passo dopo passo,
arriveremo alla morte per strangolamento.
L’alternativa è avere il coraggio di annunciare al mondo che un paese in difficoltà non fa
pagare solo i cittadini, ma anche i creditori.
Ecco i quattro passi per un’uscita dalla parte
dei cittadini: impedire la crescita degli interessi; abbattere la spesa per interessi; ripudiare il debito illegittimo (che ha causato:
corruzione, acquisto di armi, ingiustizie sociali); risanare il bilancio pubblico.
Cambiare si può, cambiare si deve.☺
[email protected]
spazio aperto
Caro Antonio,
ho avuto la disdetta della casa per
anonime(?) maldicenze e ora so di
te. Mi sono documentata:
nel gennaio 1895, in un teatro di
Torino, Edmondo De Amicis (sì,
proprio lui, l'Autore di Cuore) tenne
una conferenza intitolata La lettera
anonima e inveì contro quelli che
ne sono solitamente gli autori:
«grafomani assassini, carnefici di
deboli e d'innocenti, ladri della pace e dell'onore, più crudeli di chi uccide col ferro e più spregevoli di chi ruba il pane al mendico».
Paolo Preto, ordinario di Storia moderna all'Università di Padova, ha
scritto “Persona per hora secreta” (Saggiatore), cioè le parole con le
quali esordivano le denunce anonime. La gamma è variegata come le
brutture e le debolezze umane. S'incontrano bestemmiatori, «baradori da
carte», pubbliche concubine, adulteri e adultere, stupratori, sodomiti
(«uno scelerato che nel stato suo et parte anche in luogo sagrato et religioso, ha sforzato alcuni putti garzoni»), incestuosi, una «infamissima
meretrice» che frequenta le chiese solo «per fare nuovi morosi», la vedova d'un barcaiolo accusata di «strigarie et incantesimi et molte altre simili
et pegior furfantarie».
Siamo in buona compagnia, caro amico! Dal Settecento ad oggi nulla è
cambiato!
Tra i poeti c’è un'immagine che indelebilmente sovrasta ogni altra, La
Gioconda di Ponchielli, libretto di Arrigo Boito, ispirato a un dramma di
Victor Hugo. Nel primo atto il cantastorie Barnaba infila una denuncia
nella bocca del leone e dice: «O monumento! Apri le tue latébre, spalanca la tua fauce di tenebre, s'anco il sangue giungesse a soffocarla! Io son
l'orecchio e tu la bocca: parla!».
L'opera è del 1876. Penso a Barnaba e sento ancora un brivido. «Persona
per hora secreta».
Se avessi una religione, come te, potrei scrivere al vigliacco/a:
- il peccato di scrivere lettere anonime è in assoluto il più grave. Perché?
Perché offende in modo enorme non uno, ma tutti gli altri sette Comandamenti, che, come Gesù ha insegnato, sono tutti a sostegno del grande
precetto dell'amore verso il prossimo. E li offende non a viso aperto, ma
ipocritamente, vigliaccamente.
- Chi scrive lettere anonime pecca gravemente contro il 5° Comandamento: “Non uccidere” (sei un volgare assassino!);
- contro il 6°: “Non fornicare” (sei un immondo scrittore di novelle boccaccesche!);
- contro il 7°: “Non rubare” (rubi il buon nome, come un ladro di notte,
coprendoti con una maschera sul volto);
- contro l’8°: “Non dire falsa testimonianza” (sei uno sfrontato calunniatore!);
- contro il 10°: "Non desiderare la roba d'altri" (vorresti distruggere ciò
che c'è di più intimo e privato nella società!). Ma sono laica e ho fede assoluta nell’etica della responsabilità personale
e civica e per questo dico allo sconosciuto: E allora tu chi sei?
Caro Antonio, la storia dura da secoli! Che dirti ancora amico mio? Ci
conosciamo dall’84 e sappiamo bene che stiamo a Disputà dell’ombra
de l’ase. Un bacio.
Esprimiamo profonda indignazione per le accuse infamanti rivolte al nostro parroco Don Antonio Di Lalla, un prete
di grande serietà e dirittura morale, che ha come pochi coraggio
di esporsi, di battersi in prima linea e di denunciare le storture
della società e del sistema politico della nostra regione, un motivo per essere inviso a molti e scomodo per tanti.
Ciò che è successo è una vergogna per il nostro paese e mentre
ci dissociamo nel modo più assoluto dalle calunnie, confermiamo a Don Antonio stima, fiducia e affetto.
La comunità di Bonefro
Caro Don Antonio,
desidero esprimerti solidarietà
e affetto e voglio, inoltre, dichiarare la mia ferma condanna
verso chi nascondendosi nell'anonimato dimostra non solo di
essere vigliacco, ma, soprattutto, un pericolo per la civile convivenza dell'intera comunità. Ciò che è accaduto è un problema
di tutti noi ed è necessario affrontarlo insieme.
Nadia
Una vile lettera
anonima, che molti di noi hanno
ricevuto per posta, tende a colpire l’onorabilità - ineccepibile del nostro parroco Antonio Di Lalla e insieme a minare la fiducia in lui di quanti lo conoscono da vicino e ne apprezzano la
fede coraggiosa, la dedizione alla giustizia, oltre che la sobrietà
e trasparenza di vita.
Un’accusa così banale (vi si ricorre ormai con deplorevole
leggerezza per liberarsi di qualche prete scomodo), ma potenzialmente distruttiva, da parte di una persona grossolana e carica di livore, quale appare dal tenore della lettera, ci spinge come in una grande famiglia a fare cerchio intorno a don Antonio
e a dare forza alla sua denuncia e alla sua difesa.
Teresa
Sono profondamente indignata
per le
accuse diffamanti e diffuse in modo così subdolo rivolte al
nostro parroco Don Antonio Di Lalla, prete come pochi che ha
sempre avuto il coraggio di esporsi e agire in prima linea denunciando le verità scomode della società e del sistema politico
della nostra regione e per questo inviso a molti. Penso che
quanto è accaduto oggi sia motivo di vergogna per il nostro
paese.
Morena
Loredana
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islam
oltre la tradizione
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Francesco De Lellis
Secondo gli attivisti/teorici islamisti, una nuova economia morale può essere
possibile solo in una società dove tali regole
sono non soltanto imposte dall'alto, dalle
leggi dello stato, ma interiorizzate attraverso
il ritorno alla fede, rinnovata e rivitalizzata
attraverso l'educazione e l'attivismo sociale.
È per questo che pur non avendo mai avuto
accesso al potere per decenni questi movimenti non si sono arresi ma hanno continuato un instancabile lavoro dal basso, sia fornendo servizi là dove il sistema di welfare
statale non era più in grado di arrivare, sia
portando avanti la loro battaglia sul piano
culturale ed educativo.
Ma allora perché, se queste sono
le premesse, gli islamisti giunti al potere, in
Egitto in particolare, sono visti da chi ha
animato quei giorni di piazza Tahrir, come
traditori della rivoluzione? Perché, come
spesso accade, con il passare del tempo,
specialmente negli ultimi venti anni, i Fratelli Musulmani, o almeno i gruppi al vertice, si sono allontanati di molto dalle loro
origini. È vero che rappresentano ancora la
classe media impoverita dei dipendenti
pubblici che non arrivano a fine mese, o gli
studenti e i giovani che sanno che non riusciranno mai a trovare un lavoro adeguato
alle loro qualifiche, ma è anche vero che
molti dei leader più influenti sono oggi
molto vicini a potenti circoli economici o
sono essi stessi grandi uomini di affari, che
spesso hanno beneficiato delle privatizzazioni dell'era Mubarak, acquisendo privilegi
a cui non intendono affatto rinunciare. E
questo causa non pochi malumori e dissensi
all'interno del movimento stesso.
Probabilmente gli interessi più
forti prevarranno all'interno del partito, e
spetterà alle sinistre, per ora piuttosto frammentate e marginali, e ai movimenti sociali,
il compito di riportare i temi dell'equità e
della giustizia sull'agenda politica nazionale,
contro un'élite che non ha alcun reale interesse a cambiare lo status quo. Tuttavia le
idee degli intellettuali che, negli anni '80
soprattutto, hanno dato forma al pensiero
economico islamista, dandogli contenuto
nelle battaglie quotidiane contro il governo
Mubarak, vanno attentamente studiate e
prese in considerazione da chi (movimenti
di tutto il mondo, anche religiosi) è alla
ricerca di una piattaforma comune nella
lotta per un'alternativa al sistema economico
attuale. La distanza che separa le due sponde, dal punto di vista geografico, religioso,
culturale, potrebbe rivelarsi sempre meno
incolmabile, e i nostri vicini apparirci un po'
alla volta sempre più vicini. ☺
Credo di portarmi sfortuna: ogni volta che mi succede qualcosa di negativo
ci sono sempre presente io.
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Il paesaggio di Gennaio,
al top dell’inverno,
è un arazzo intessuto
di freddo, vento, gelo
coi toni svariati del grigio.
Sulle colline il bruno
dei campi arati
e il verde muschiato
delle boscaglie.
Le bianche mareggiate
lungo il litorale.
Il maestrale che impazza
e s’incunea nelle strade
del centro abitato:
un’ammucchiata di case
piene di caldo e di agi.
Fuori circola tra i passanti
un’umanità sofferente
anonima e indifesa.
Un mondo di miseria, degrado
si cela in tuguri e rifugi
dove Gennaio irrompe
con crudezza.
Agli angoli delle strade
i novelli Lazzari
gemono misericordia.
Passano gli extracomunitari
con i loro fardelli,
avanzano spediti
verso le loro grame dimore.
Sfidano il freddo e la vita
con silenzioso ardire.
Hanno nei giovani occhi
le loro terre lontane
ed i colori dell’estate.
Lina D’Incecco
chiese
una sola chiesa
ecumenismo
Giovanni Anziani
Timoteo Limonci
“Ecumenismo adesso! Un solo Dio, una sola fede,
una sola chiesa”: questo il titolo di un appello lanciato lo
scorso 5 settembre a Berlino da numerosi esponenti - protestanti e cattolici - del mondo della politica, della cultura,
dello spettacolo e dello sport in Germania. Per i promotori
dell'iniziativa lo scisma tra le chiese, oggi, non è più né voluto, né giustificato. E, non a caso, fa riferimento sia al cinquantesimo anniversario dell'inizio del Concilio Vaticano II,
sia al cinquecentenario della Riforma protestante che cadrà
nel 2017.
Tra i 23 primi firmatari figurano il presidente del
Bundestag Norbert Lammert, il ministro della difesa Thomas de Maiziere; la ministra dell'Istruzione e della Ricerca,
la teologa Annette Schavan. E ancora: Richard von Weizsäcker, già presidente della Repubblica federale tedesca, nonché ex numero uno del “Kirchentag” evangelico; Friedrich
Kronenberg, già segretario generale del Comitato centrale
dei cattolici tedeschi; Christian Führer, pastore protestante e
iniziatore delle “preghiere per la pace” e delle
“dimostrazioni del lunedì” a Lipsia, che ebbero un importante ruolo per il crollo del regime della Germania dell'Est;
Thomas Bach, presidente del Comitato olimpico tedesco e
vice presidente del Comitato olimpico internazionale.
L’appello “Ökumene Jetzt”, che vuol essere "un
documento dell’impazienza", non ha coinvolto né vescovi,
né istituzioni ecclesiastiche. "È evidente che è molto di più
quello che ci unisce, che quello che ci divide" dicono, consci
del fatto che "esistono posizioni differenti nella concezione
dell’eucarestia, del ministero e della chiesa", ma, secondo i
firmarti dell’appello, "queste differenze non giustificano il
perdurare di questa separazione".
Tiepidi per ora i vertici sia della Chiesa evangelica
di Germania (EKD), sia della Conferenza episcopale tedesca (DBK). L’iniziativa, seppure accolta come espressione
di un non più eludibile sentire comune dei cristiani non solo
tedeschi, presenta tuttavia irrisolti problemi di ordine teologico. "All’inizio del XVI secolo, i riformati hanno sviluppato una diversa concezione della chiesa che ancora oggi impedisce una reale comunione con i fratelli e le sorelle cattolico-romane", ha detto Thies Gundlach, vice presidente della
EKD. "Certo, ci fa solo che piacere vedere come cristiani
evangelici e cattolici si sentano molto più uniti, di quanto si
sentano divisi. E non c’è dubbio che bisogna andare avanti
più spediti sul cammino ecumenico, facendo però anche
prova di tanta pazienza", ha concluso Gundlach.
Il testo - pubblicato sul sito www.oekumene-jetzt.de
- è stato firmato già da oltre 4.000 persone. (NEV) ☺
Cosa vuole Dio da noi? È questo il tema della Settimana di preghiera per
l'unità dei cristiani che si
celebrerà in tutto il mondo dal 18 al 25 Gennaio 2013, tratto dal passo di Michea 6, 6-8. La scelta di questo tema, come pure la predisposizione del sussidio, viene dall'India e potrà essere occasione di riflessione nei giorni sopraindicati.
Cogliamo ora l'occasione per una breve analisi sulla realtà ecumenica odierna
resa più complicata dopo il Summorum Pontificum, che ridava spazio alla
Messa in latino, e Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina della Chiesa: in questi due documenti vaticani soffia uno spirito che non è
più quello che animò il Concilio Vaticano II.
Le Chiese Valdesi - Metodiste e Battiste colgono, così, l'occasione per ringraziare Dio per aver suscitato il movimento ecumenico, scuola di umiltà e fraternità vissuta, ma anche per averli liberati dalla sudditanza al Pontefice romano, fratello in Cristo, non maestro di fede; tanto più dovendo constatare che il
Papato e la Curia romana sono un ostacolo all'unità cristiana.
Anche nelle diocesi molisane e abruzzesi si vive con difficoltà l'impegno
ecumenico in particolare per il rapporto di solo di buon vicinato tra valdesi e
battisti, e per il disimpegno della Chiesa cattolica.
Nonostante tutto, cristiani e sacerdoti sono invitati a non disertare oggi il movimento ecumenico, anzi ad impegnarsi per intensificarlo e rinnovarlo; il
principale intento del Concilio (UR) è ristabilire l'unità fra tutti i cristiani come una delle priorità pastorali.
Purtroppo cristiani e preti che amano l'ecumenismo si contano sulle dita, ma è
opportuno ricordare che chi ci unisce è più grande di chi ci divide e, così,
vivere il sogno di passare dalla crisi alla svolta. Tre proposte:
1. Superare la propria centralità e vivere la centralità della Parola di Dio e
dell'amore del prossimo;
2. Solo amando la diversità si potrà giungere al riconoscimento reciproco
delle Chiese;
3. Uscire dal legalismo: non c'è ancora l'Ecumenismo, ma già si fanno leggi
sull'Ecumenismo; lasciamolo crescere, poi faremo le leggi per vivere la gioia,
non i doveri dell'Ecumenismo.
Concludo riportando una riflessione di Bartolomeo, Patriarca ecumenico di
Costantinopoli:
“Ora, più che mai, è tempo di dialogo. Non siamo così ingenui da pensare
che questo dialogo non abbia un prezzo o non faccia correre dei pericoli. Ha
con sé sempre un rischio avvicinare un'altra persona, un'altra cultura e un
altro credo. Non si sa mai cosa aspettarsi: l'altro sarà sospettoso? Penserà
che voglio imporgli il mio credo o il mio stile di vita? Comprometterò o addirittura perderò ciò che è unico nella mia tradizione? Quale è il terreno comune sulla cui base possiamo dialogare? E quali saranno i risultati del dialogo?
Ci poniamo questi interrogativi quando tentiamo il dialogo. Ciononostante,
riteniamo che se si aprono la mente e il cuore alla possibilità di dialogo avviene qualcosa di sacro. Quando la volontà di accogliere l'altro è autentica,
al di là di qualsiasi timore o pregiudizio, scocca la scintilla mistica e prende
il sopravvento la realtà di qualcosa, o di Qualcuno, che è molto più grande di
noi. Dunque, riconosciamo che i benefici del dialogo superano i rischi. Siamo convinti che, nonostante le differenze culturali, religiose e razziali, siamo
ora più vicini di quanto avremmo mai potuto immaginare”. ☺
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ambiente
kupa-munduk
Angela Damiano
“Chi suona il Veena in toni così
soavi? Il mio cuore ha conosciuto il dolore,
la felicità e la tristezza ma non avevo mai
avuto una canzone per esprimere tutto questo. E tutti i miei desideri escono allo scoperto ed il fiume e la foresta tremano con me”.
Vi è mai capitato, durante il vostro risveglio
del mattino, che la vostra mente stia replicando per voi in modo del tutto spontaneo un
brano musicale esattamente come lo avevate
udito? Ebbene la mia non è avara di simili
regali e questa mattina ha voluto accompagnare il mio risveglio con la dolce melodia
del Veena, uno dei più antichi strumenti indiani, ed il soave canto di una donna indiana.
Si tratta di un brano tradizionale che avevo
udito per la prima volta pochi giorni fa
mentre veniva eseguito per “Lo Straniero”
che è il protagonista ma anche il titolo
dell’ultimo film (Agantuk) realizzato da
Satyajit Ray. Un film che fa un’analisi
profonda, realistica e accurata dell’altro,
dello straniero, di colui che non si conosce
realmente, di colui che nonostante abbia le
stesse “radici”, o come nel caso del film
“lo stesso sangue”, viene accolto con paura, diffidenza e pregiudizi.
Quando le diversità si incontrano può, infatti, a volte accadere che alcune
persone poco aperte alla diversità, al nuovo, allo sconosciuto siano piene di pregiudizi che non vengono basati su qualcosa di
reale ma solo sul presupposto che "se una
cosa è nuova io la rifiuto immediatamente,
perchè mi spaventa". Quello che fanno questo tipo di persone è “attenersi a ciò che è a
loro familiare” ma in questo modo perdono
un’occasione unica per crescere, conoscere
ed evolversi. In pratica restano dei “Kupamunduk”, delle rane che non escono mai dal
loro buio, scivoloso e poco salubre pozzo.
Queste rane credono che questo sia un bene
per loro ma “Lo Straniero” consiglia alla
nuova generazione di non imitarle e di aprirsi
invece al mondo e al diverso. Le nostre speranze infatti possono fondarsi solo sulle giovani generazioni. “L’uomo è per natura un
essere culturale” come ha affermato Arnold
Gehlen. “La sua sensibilità per le armonie
deve però essere destata e coltivata al mo-
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mento giusto e può funzionare solo se sono
stati immagazzinati un gran numero di dati.
La miglior scuola nella quale un giovane
possa apprendere che l’universo è dotato di
senso è la pratica diretta con la natura. Ogni
cucciolo d’uomo che sia dotato per natura
della capacità di nutrire sentimenti profondi,
passerà dalla gioia per la natura vivente
all’amore per tutti gli esseri viventi. Se vogliamo davvero che i giovani d’oggi non
disperino della presente situazione dell’umanità, dovremmo fare in modo che possano
rendersi conto veramente di quanto è grande, di quanto è bello il nostro mondo. Dovrebbe far parte di una educazione sana far
capire all’essere umano in formazione che è
possibilissimo distinguere ciò che ha significato da ciò che non lo ha. Tuttavia ai ragazzi
e ai giovani non si insegna mai a distinguere
il vero dal falso, ciò che ha senso da ciò che
non lo ha. Eppure questo è possibile! È assai
grave che nell’educazione dei nostri figli sia
trascurato questo problema importantissimo,
decisivo per sviluppare la capacità umana di
libero pensiero. Cercando di rendere direttamente percepibile agli adolescenti la bellezza
e la grandezza del mondo in cui viviamo, noi
speriamo anche di ridestare il loro interesse
per i rapporti interni fra gli elementi di cui il
mondo è costituito. La completa mancanza di
curiosità è un fenomeno patologico. Azzardo
l’ipotesi che questo ridestarsi della curiosità
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potrebbe persino rivitalizzare il senso della
solidarietà umana che è andato perduto. Per
rivelare a un giovane la grandiosa varietà
della creazione organica e al tempo stesso
della sua intima regolarità bisognerebbe
fargli acquisire una stretta familiarità con
una qualsiasi specie, animale o vegetale”,
come ha affermato Konrad Lorenz (Il declino
dell’uomo).
Un dovere per chi ritiene che sia
molto importante l’educazione (non solo
l’insegnamento) per l’Homo sapiens e per le
nuove generazioni a cui è indispensabile
lasciare in dono preziose virtù: “L’empatia
per il più piccolo degli animali è una delle
più nobili virtù che un uomo può ricevere in
dono” come ha affermato Charles Darwin.
Mentre Molière con “la virtù è il primo titolo
di nobiltà; io d'un uomo non bado al nome
ma alle azioni” sembra sottolineare quello
che vuole dimostrare “Lo Straniero” protagonista dell’omonimo film e cioè che un documento completo di generalità, quant’anche
fosse autentico, non possa assolutamente
dimostrare ciò che è la persona a cui è intestato poiché “L'uomo non è altro che la
serie delle sue azioni” (G. W. F. Hegel) ma
se Epicuro affermava che “Non la natura
che è unica per tutti, distingue i nobili dagli
ignobili, ma le azioni di ciascuno e la sua
forma di vita” dobbiamo anche considerare
che conoscere e comprendere la natura
dell’altro e dello straniero deve avvenire
attraverso un incontro autentico ed empatico che deve essere fatto in pieno equilibrio
di ragione e sentimento, cosa molto difficile
per chi non conosce se stesso poiché “un
essere che non abbia ancora preso coscienza del proprio io non può essere in grado di
sviluppare né un pensiero astratto, né un
linguaggio, né una coscienza o una morale
responsabile. Un essere che non riflette più
corre il rischio di perdere tutte queste qualità
e attività specificatamente umane” (K. Lorenz). Altre parole della canzone indiana
tornano alla mente “Riempio di melodia la
mia vita da reclusa. Il mio cuore si apre come il loto la mattina e aspetta un paio di
piedi umidi che si avvicinano. La grazia e la
bellezza si svegliano e il mio cuore si riempie
di gioia. Una brezza fresca fluisce e porta
tutto a nuova vita, raggiungendo la profondità del mio essere” e invitano a riflettere che è
ora che tutti comincino ad uscire dai propri
pozzi☺
[email protected]
le nostre erbe
la parietaria
Gildo Giannotti
La Parietaria officinalis, della
famiglia delle Urticacee, è una pianta erbacea perenne, diffusa soprattutto nelle regioni temperate. Fiorisce da maggio ad ottobre; eccezionalmente anche negli inverni
più miti o in luoghi riparati. Può raggiungere, in condizioni favorevoli, l’altezza di
un metro.
Il suo nome deriva dal latino
paries, parietis = parete; infatti cresce prevalentemente sui muri, tanto che è conosciuta anche col nome di muraiola; tuttavia
la troviamo in ogni angolo di strada e lungo i muretti a secco. Tutta la pianta è ricoperta di minuti peli ricurvi che si attaccano
facilmente agli abiti e viene chiamata anche erba vetriola perché in passato veniva
sfruttata per pulire bottiglie, fiaschi, bicchieri e oggetti di cristallo, grazie alle foglie lievemente appiccicose che, attaccandosi alle pareti, portavano via lo sporco. Il
suo nome dialettale è invece ’a c’m’ciare e
deriva dal termine cimice, forse perché
l’odore tipico di questa pianta richiama alla
nostra memoria olfattiva quello della cimice, insetto emittero parassita dell’uomo
che, se schiacciato, o semplicemente toccato, emana un odore ripugnante.
È fra le piante fortemente allergiche e il suo polline può facilmente provocare allergie nelle persone sensibili: tali
soggetti devono astenersi dalla raccolta e
dalla manipolazione di questa pianta.
Ma la parietaria ha anche delle
La vera pigrizia è alzarsi
alle 6 del mattino
per avere
più tempo a disposizione
per non fare niente.
virtù: contiene un’alta percentuale di potassio e sostanze solforate utili per l’eliminazione di acqua attraverso le vie urinarie e,
specialmente se consumata fresca, è molto
efficace nella nefrite, nella cistite e nell'espulsione dei calcoli renali e vescicali. È
uno dei diuretici più rinfrescanti ed emollienti ed è indicata in tutti i casi in cui vi sia
uno stato di infiammazione delle vie urinarie. Un altro utilizzo “empirico” di questa
pianta è quello di strofinarla senza troppo
vigore sulle parti lese dal contatto con la
sostanza urticante dell’ortica, per lenire il
prurito. Mescolata proprio assieme alle
ortiche, viene inoltre utilizzata nei pastoni
per i volatili da cortile al fine di stimolare
la produzione delle uova e favorire la colorazione dei tuorli.
L’intera pianta si raccoglie al
momento della fioritura, eliminando le
radici e la parte inferiore del fusto. Nell’uso popolare, le giovani foglie primaverili,
private del picciolo e lessate per dieci minuti, vengono impiegate come gli spinaci e
sono ottime anche per ripieni, frittate, minestre o come contorno insieme ad altre
erbe di campo. Ma con la parietaria si possono preparare anche piatti più sofisticati: i
conchiglioni ripieni, le crespelle di parietaria, le seppie con contorno di parietaria, la
parietaria soffritta in
sugo di pane e una
gustosa vellutata da
servire con dadini di
pane tostato.
Tra i primi
sono senz'altro da
raccomandare le crespelle alla parietaria,
realizzabili con 100 g
di farina, un bicchiere
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di latte, due uova, sale e pepe, 150 g di
germogli e foglie tenere di parietaria, 300 g
di ricotta, parmigiano reggiano grattugiato,
noce moscata, 60 g di burro, una mozzarella, 100 g di panna. In una ciotola mettere la
farina, il latte, l’uovo, sale e pepe. Mescolare bene fino ad ottenere una pastella omogenea, coprire e lasciar riposare per
un’ora a temperatura ambiente. Imburrare
un padellino, versare tre cucchiai di pastella e far cuocere da entrambe le parti; ripetere l’operazione sino ad esaurimento della
pastella. Nel frattempo mondare, lavare e
lessare le foglie di parietaria; strizzarle,
tritarle e unirle alla ricotta con un uovo, tre
cucchiai di parmigiano, la noce moscata, il
sale e il pepe. Farcire le crespelle con il
composto e i dadini di mozzarella. Arrotolarle e allinearle in una pirofila bene imburrata. Distribuirvi sopra i riccioli di burro,
spolverare con parmigiano reggiano grattugiato, bagnare con la panna e cuocere in
forno a 190° per trenta minuti.
Per realizzare invece il piatto di
pesce, occorrono 800 g di seppie piccole,
mezzo bicchiere di olio, 3 spicchi di aglio,
sale e pepe e 800 g di germogli e foglie
tenere di parietaria. Pulire le seppie, lavarle, asciugarle e rosolarle nell’olio con uno
spicchio di aglio tritato; salare, pepare e
fare asciugare. Mondare, lavare e lessare in
poca acqua salata i germogli e le foglie di
parietaria e rosolarli in una casseruola dove
precedentemente sono stati soffritti due
spicchi di aglio schiacciati. Poco prima
della fine della cottura, unire la parietaria
alle seppie, mescolare, cuocere per due
minuti, togliere dal fuoco e servire. ☺
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25
un film, un libro, una canzone ...
sulla cultura delle armi
Alessia Mendozzi
Dopo l'ennesima strage a colpi di arma da
fuoco negli Stati Uniti, sono riemersi gli
stessi interrogativi che seguono un evento
del genere. È giusto o meno che in una
nazione sia così facile possedere un'arma
da fuoco? Ci si può ancora appellare al
secondo emendamento, di una Costituzione datata fine Settecento, per giustificare il
diritto a questo possesso? E soprattutto,
quanto business c'è dietro la vendita di
armi?
Un film: Bowling a Columbine
titolo originale: Bowling for
Columbine,
regia: Michael Moore,
anno:
2002, origine: USA
Partendo dal
massacro
alla Columbine High
School, in
Colorado,
avvenuto nel 1999, Michael Moore si interroga sulla società statunitense e sul suo
rapporto con le armi da fuoco. Tra associazioni che promuovono le armi da fuoco come la NRA, la National Rifle Association - e le interviste a comuni cittadini in
giro per gli Stati Uniti, Moore mostra il
rapporto quasi morboso degli statunitensi
nei confronti delle armi. Un documentario
scorrevole e dettagliato che riesce a far
riflettere anche con la sua enorme dose di
ironia.
Un libro: Armi, un affare di stato
di: Duccio Facchini,
Michele
Sasso,
Francesco Vignarca,
anno: 2012, casa
editrice: Chiarelettere in collaborazione
con Altreconomia
Un business miliardario per la prima
volta
raccontato
26
minuziosamente in un libro, con tanto di
nomi e cognomi dei soggetti coinvolti. Una
lobby potentissima in costante crescita,
anche in piena crisi economica internazionale. Ci si domanda come mai la Grecia,
sull'orlo del baratro, spenda più di tutti in
Europa per quanto riguarda la difesa. E in
quanti sanno che l'Italia è il 5° paese al
mondo nella produzione di armi? Dati
inquietanti su cui occorre sapere di più. Un
giro di miliardi che fa gola a molti e che
coinvolge diversi soggetti.
Una canzone: To The Teeth
di: Ani DiFranco, anno:
1999, album:
To The Teeth
"To The Teeth" più che
una canzone
è una poesia
amara sulla
corsa agli armamenti e sui suoi effetti negativi nella società. Una società fatta di
gente che si arma "fino ai denti", scambiando questo per libertà, mentre l'unico
risultato che riesce a ottenere è rendere più
pericolosa la società stessa in cui vive.
Quando si portano a casa le armi il rischio
che questo degeneri in tragedie è molto
alto. Ciò che suggerisce la DiFranco è di
guardare dove sono i profitti, per capire la
menzogna che sta dietro a questa mania di
possedere armi, e di non credere alle bugie
raccontate dai media e dalle associazioni di
categoria, interessate a lucrare anche sul
sangue della gente.
[email protected]
mi abbono a
la fonte
perché
la lega
fischietta
il nabucco
fonte
febbraio
gennaio
2005
gennaio
2013
la
la
lafonte
fontegennaio
marzo 2005
Perché l’intento della Gaudium et
Spes non ha potuto realizzarsi pienamente?
La risposta alla domanda penetra il senso
del dibattito postconciliare, chiuso ancora
nella diatriba tra continuità e rottura; tra
coloro che accentuano la continuità con la
perenne verità della fede e delle teologie
precedenti e coloro che sottolineano il cambiamento da intraprendere.
Non era la verità in discussione al
concilio ma il modo di porgerla all’uomo
d’oggi e il metodo di approccio alle problematiche del mondo contemporaneo, ovvero,
la cosiddetta pastorale: non tanto l’ortodossia, quanto l’ortoprassi, scrostata dai limiti
di una certa cultura teologica occidentale.
Nella diversità delle posizioni si
nasconde un presupposto mai detto ma
dirimente tra le due posizioni. Un presupposto intellettualistico e volontaristico insieme,
secondo il quale sarebbe possibile all’uomo
guidare il processo storico per ricondurlo ad
un ordine, ad una tranquillità dell’ordine. È
vero che l’aspirazione all’ordine non è più
rivolta al passato, non è più animata da un
processo di restaurazione; è rivolta al futuro
ma rimane nella sostanza immutata: la presenza cristiana nella storia è percepita come
garanzia di ordine più che spinta al movimento e al cammino. Vi è, inoltre, la possibilità di attestarsi sulle posizioni della dottrina sociale aggiornata e rivisitata, accantonando l’intuizione creativa che si coglie
nella lettura dei segni dei tempi. La chiesa
diviene interprete della storia, si riconosce
garante della ragione umana e di un ordine
ideale ad essa coerente, ma giudica una
storia che non guida e non promuove. Si
giunge così alla massima valorizzazione
della funzione magisteriale; riemerge la
distinzione fra storia sacra e storia profana;
però si accetta inevitabilmente il sacrificio
delle dimensioni proprie della laicità, si
realizza un passo indietro rispetto alla via
aperta dal concilio.
Vi è un’altra possibilità, anch’essa
presente e operante nella chiesa del dopo
concilio, e più coerente con l’applicazione
della categoria dei segni dei tempi, con le
conseguenze che essa comporta. Non si
tratta di mettere tra parentesi i dettami del
magistero ma di personalizzarli e interiorizzarli a livello dei comportamenti di ogni
cristiano: si tratta, per la Chiesa, di percorrere gli spazi necessari al sorgere di un giudizio profetico, più che dottrinale, sul mondo.
Non si vuole una chiesa che avvalla tutto,
etica
pace e guerra
Silvio Malic
benedice tutto quello che accade, che aderisce acriticamente agli eventi. Tutt’altro: si
vorrebbe la potenza profetica più che il richiamo ad una dottrina in cui tutto è teoricamente risolto. Perché è il giudizio profetico
quello che mette in moto meccanismi nuovi,
che fa emergere nelle coscienze energie
nuove che possano modificare il corso degli
eventi. Si tratta, per tutti i cristiani, di prendere coscienza della inadeguatezza di una
progettualità globale e di cercare perciò la
via della progettualità possibile, continuamente legata alla lettura della realtà nel suo
divenire mutevole.
Su questa via si ridimensionerebbe ogni pretesa di guida e di indirizzo a
vantaggio di un ruolo di animazione (cfr.
Lettera a Diogneto); si accentua la divaricazione (non mai separazione) fra ispirazione
interiore e spiritualità da un lato e laicità
delle competenze e dell’azione dall’altro; si
esalta il valore della presenza molecolare
quale di “seme gettato nel terreno” o
“lievito immesso in una quantità di farina”;
si recupera il senso e il valore delle virtù
civiche rispetto ai modelli di società cristiana. Questa linea di cammino sembra capace
di futuro, sfatando anche il contrasto apparente tra cristianesimo visibile e cristianesimo invisibile. Non la visibilità cristiana è in
discussione, bensì le sue forme storiche; c’è
urgenza di una visibilità altra rispetto alla
forma antica della cristianità occidentale.
L’obiettivo non è il passato ma il futuro; il
recupero della dimensione escatologica
ridimensiona ogni passato o presente e semplicemente spinge verso un futuro per il
quale la categoria fondamentale di approccio non è l’ordine costituito ma l’avvento
che irrompe.
Un segno visibile della questione:
il tema della pace e della guerra a cui è dedicato il capitolo quinto della Gaudium et
Spes. Il Concilio, nell’ottobre del 1962,
iniziò il suo cammino in coincidenza con il
rischio di una guerra nucleare nella crisi di
Cuba. L’irrompere degli eventi segnò la
riflessione dei padri: ne nacque l’urgenza di
un documento che avesse a tema il
“rapporto” tra Chiesa e mondo e la riflessio-
ne su “alcuni problemi” emergenti del tempo (anni sessanta del secolo scorso) e, tra
questi, la pace e la guerra. La possibilità
della guerra totale esige mentalità e comportamenti nuovi e il concilio ne proclama
solennemente l’unica condanna esplicita;
viene colto il nesso devastante fra corsa agli
armamenti e i problemi non risolti dello
sviluppo; la necessità di un’autorità mondiale a garanzia della pace è lucidamente percepita. Ma il trascorrere degli anni ha accumulato nuovi e complessi problemi: l’esplosione di nuovi nazionalismi a forte identità
religiosa e connesso terrorismo militare, in
qualche modo legati della decolonizzazione
e nuova colonizzazione economicofinanziaria; il moltiplicarsi delle guerre locali dette “dimenticate” perché in territori
lontani da noi; l’esplodere di nuove ed esasperate forme di razzismo e di localismi;
l’emergere della nuova realtà del pluralismo
etnico nella vecchia Europa, ecc..
“L’inizio di un inizio” - definizione breve del concilio da parte di Rahner - ha
messo in moto le giornate mondiali della
pace, le marce della pace, liturgie consolidate promosse da cristiani. Ma chi aggredisce
il riarmo costante delle nazioni “vera piaga”
che umilia i poveri? Chi si batte perché
fuoriescano dai bilanci degli stati le spese
per armamenti, mentre i bilanci tagliano
tutte le risorse allo sviluppo delle persone e
dei popoli? Chi sostiene coraggiosamente i
cammini di pace, nei luoghi istituzionali e
nei luoghi di guerra reale, mentre le diplomazie sono prese a ripulire la faccia delle
sporche guerre economiche per farle divenire umanitarie? Non occorrono nuovi principi ma profeti in cammino sul campo. Rimane icona lacerante il grido solitario di Giovanni Paolo II contro la guerra in Iraq definita “illecita, ingiusta, immorale” e le cristianità varie impegnate a giustificare la
posizione in favore dell’aggressore. Si può
ripetere, purtroppo a livello planetario, “dum
Romae colsulitur Saguntum espugnatur” (mentre a Roma si discute Sagunto
viene espugnata). La via percorsa dai credenti risulta molto lontana dai propri principi ripetuti senza spessore storico. ☺
fonte
febbraio
gennaio
2005
gennaio
2013
la
la
lafonte
fontegennaio
marzo 2005
Dire F35 è come giocare a battaglia
navale. F35: colpita e affondata la dignità
i caccia che l’italia
si ostina a voler comprare
di un Occidente (affiancato e sostenuto da
buoni partner anti-Occidente) che continua a giustificare produzione e vendita di
armi come legittime e le-gali, eticamente
inappuntabili, politicamente uti-li, socialmente giustificabili, sindacalmente difendibili, tecnologicamente insostituibili ed
economi-camente necessarie, soprattutto
in tempi di crisi.
F35: colpita e affondata la verità,
perché di bugie o mezze verità (sui
costi, sui tempi, sull'utilizzo, sull'acquisto, sui posti di lavoro, sull'uso e
sulle vittime) si ingrassa e si ingrossa
la voragine della violenza istituzionale e della crimi-nalità organizzata e
internazionale.
F35: colpita e affondata la giustizia
che da pro-motrice di vita diventa spietata vendetta e spudorata ritorsione,
oltre che ingiustificata (e ingiusta) difesa di interessi di pochi a scapito di
troppi altri.
F35: colpita e affondata la nonviolenza che vuole spezzare la catena dell'ingiustizia e dell'op-pressione, traducendo la novità del Vangelo che è metodo
per l'eroismo dei piccoli, capaci di vincere il male con il bene.
Voglio vivere, adesso, una Società e
una Chiesa capaci di dichiarare: F35 ...
non gioco più! Non ci convinceranno
mai che è per la pace; sappiamo e sanno che è menzogna globale .
Fabio Corazzina- Pax Christi
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sisma
il diritto di sapere
Domenico D’Adamo
Le lentezze della giustizia non sono
ormai più sopportabili. I cittadini hanno diritto di sapere se un loro interlocutore, privato o
pubblico che sia, è persona affidabile e perbene o invece un mascalzone pronto a mollargli
una fregatura, così come ogni cittadino soggetto ad accertamento giudiziario ha il diritto
di conoscerne l’esito. Solo nel nostro paese
queste richieste di buon senso non sembrano
avere diritto di cittadinanza. La legislatura si è
conclusa e anche questa volta, dopo tante
chiacchiere inutili, siamo di nuovo a zero. A
causa delle disfunzioni della macchina giudiziaria, vuoi perché le regole non consentono
una rapida definizione delle controversie,
vuoi perché l’organizzazione giudiziaria è
priva delle sufficienti risorse umane ed economiche, nessuno è più disposto ad investire
in attività d’impresa con grave pregiudizio
per il lavoro e per lo sviluppo. Nella nostra
regione le cose vanno peggio poiché alla
patologia nazionale si aggiunge anche un
effetto locale, l’essere una piccola realtà, che
alimenta le inefficienze. Non si comprenderebbe altrimenti il motivo per cui i processi
penali per giungere all’udienza preliminare
impiegano numerosi anni da quando i fatti si
sono verificati e le controversie civili registrano la stessa lentezza riscontrata per altre realtà
giudiziarie.
Possiamo affermare senza il timore
di essere smentiti che quanto a parametri
negativi non siamo secondi a nessuno e, siccome siamo convinti di avere una classe
politica omogenea al resto del paese, non
comprendiamo il motivo per cui, pur avendo
la polizia giudiziaria effettuato delle indagini
sulle spese della politica nelle maggiori istituzioni della regione, non si riesce a conoscerne
gli esiti. Siamo alla vigilia di importanti consultazioni elettorali e vorremmo sapere se chi
ci ha rappresentato lo ha fatto con onore oppure no. O dobbiamo votare al buio? Non è
difficile accertare, così come hanno fatto in
altre parti d’Italia, se i soldi dei contribuenti
siano stati usati correttamente o invece se
questi signori, sempre pronti a tornare in
campo, ci abbiano pagato le spese delle loro
vacanze e quelle dei loro amici.
Prendiamo ad esempio il caso della
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richiesta di rinvio a giudizio del presidente
Iorio, indagato per questioni relative alla
ricostruzione post sisma. Secondo l’accusa
allargare il perimetro del “cratere sismico”,
non sulla base di valutazioni oggettive ma per
puro interesse di tipo elettoralistico-clientelare, è reato: vale la pena ricordare che nella
versione governativa i paesi ricompresi nel
cratere sismico erano solo 14, nella versione
Iorio, dopo i famosi decreti del 2003, i comuni sono diventati 82 e per questo motivo il
presidente è stato riconfermato alla guida
della regione. Il sostituto procuratore di
Campobasso ritiene che Iorio, abusando dei
suoi poteri, abbia commesso reato. I terremotati attendono da dieci anni che si faccia chiarezza su questa vicenda e sicuramente il PM
avrà le sue legittime motivazioni per giustificare il ritardo nell’accertamento dei fatti, ma
come è possibile che per interpretare qualche
norma, oltre che acquisire qualche dato, ci sia
voluto tanto tempo? Sostenere che le schermaglie difensive, la legislazione garantista e
le norme ad personam abbiano impedito un
rapido svolgimento delle indagini non è convincente anche perché in questo caso il contraddittorio deve ancora iniziare: stiamo ancora a “cara mamma”. Se solo l’ accertamento giudiziario fosse stato più rapido, forse,
avremmo potuto utilizzare meglio quei 154
milioni di euro spesi fuori dal cratere.
Qualcuno potrebbe obiettare che
non è compito dei giudici prevenire i reati
perché il loro compito è quello di verificare
ed eventualmente sanzionare i
comportamenti che hanno rilevanza penale ed allora è bene che si
sappia che questo sistema così
com’è non funziona e che di queste
chiacchiere è lastricata la strada che
porta all’impunità, ovviamente dei
potenti. Questa “giustizia” in galera
ci manda i poveri, i fessi e gli extracomunitari, mentre per i politici
in attesa di giudizio si spalancano le
porte del parlamento. Tuttavia se in
tutta questa vicenda ognuno avesse
fatto a pieno il proprio dovere - mi
riferisco all’autorità di controllo
della protezione civile (un tal Guido
fonte
febbraio
gennaio
2005
gennaio
2013
la
la
lafonte
fontegennaio
marzo 2005
al quale qualche zelante sindaco ha conferito
la cittadinanza onoraria) che avrebbe avuto il
dovere di impugnare i provvedimenti ritenuti
da loro stessi viziati da elementi di illegittimità -qualcuno dei terremotati che abita ancora
nelle baracche, forse, questo Natale lo avrebbe potuto trascorrere in una casa vera.
In questa storia la cosa ancora più
singolare è che ai sindaci del cratere, vuoi
perché hanno sempre condiviso le scelte
compiute da Iorio e non i sacrifici sopportati
dei propri concittadini, vuoi perché aspettano
l’esito delle elezioni regionali per cambiare
condottiero, ancora oggi, nonostante tutto,
proprio non gli riesce di schierarsi dalla parte
delle vittime. La costituzione di parte civile
nel processo penale contro Iorio ed altri non
può essere esperita da chi è stato, ed è, in
perfetta armonia con il governatore. Quelli
che in questi anni hanno condiviso le decisioni del commissario delegato senza aver mosso neanche un muscolo, oggi sono certamente imbarazzati, e forse anche confusi per
l’iniziativa giudiziaria rivolta contro il governatore con il quale, oltre alle gioie avrebbero
ora il dovere di condividere anche qualche
dolore: sì, perché, il Modello Molise è stato
sicuramente scelto da Iorio ma in quella valle
di lacrime ci hanno pianto volentieri anche i
nostri sindaci. Immaginare che l’ex sub commissario possa consentire all’ amministrazione comunale del suo paese, nella quale è
autorevole membro e della quale detiene il
pacchetto di maggioranza, di costituirsi in
giudizio contro Iorio è puro esercizio di fantasia, cosicché le vere vittime di questa vicenda
sono i terremotati che resteranno fuori del
processo, in buona sostanza “cornuti e mazziati”. ☺
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