Pimonte Potresti, talvolta, rilassatamente felice in un sogno, scoprire

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Pimonte Potresti, talvolta, rilassatamente felice in un sogno, scoprire
Pimonte
Potresti, talvolta, rilassatamente felice in un sogno, scoprire che sai cose che non sai di sapere... riposando
tranquillo sotto un grande ciliegio fiorito, dolce e profumata giornata di primavera, un sole tiepido
illumina un prato dai mille colori, papaveri e viole, ciclamini e rose, sfumature di verde, infinite tra l'erba
... e farfalle dal volo elegante, fiori ancora e profumi ... ascoltando il canto di un posto incontaminato, di
uccelli leggeri, sereni, e ruscelli di acque pulite e chiare ... la mente ascolta la pace di questo silenzio
musicale ... e ti rilassi ancora di più, imparando, con occhi che sanno guardare e raggi di sole che respiri
e porti dentro di te, in ogni cellula, in ogni tessuto, mentre bianchi coriandoli vanno per l'aria incantata ...
riposato ti desti, più forte e sicuro, colmo di prana, di Qi, di risorse, di gioia e di vita ... e riprendi la
strada ...
... é una delle strade più belle del mondo la statale che da Castellammare di Stabia sale attraverso una
fitta vegetazione di castagni ed olivi (ma anche di noci e nocciuoli, di viti ed agrumeti) su verso Pimonte
ed Agerola, per incantare lo sguardo di chi sa guardare e riempire di sane e profumate arie i polmoni di
chi ama il bello, guidandolo poi giù verso il mare (superata la galleria che fa da confllle tra Agerola e
Pimonte), dall'altro lato dei monti, verso Furore ed Amalfi, da un lato e Positano dall'altro, lungo
incantevoli curve di sogno, dove una vegetazione meno fitta, ricamata di limoni e vitigni, accompagna
all'azzurro del mare, col ricordo di antichi sapori e storie infinite, tra acque ancora lucenti ed isole vicine.
Il paese comprende la frazione Franche (il nome deriva dall'esenzione dalle tasse che Carlo I D'Angiò
concesse agli abitanti di questi luoghi) e Tralia (probabilmente da "inter litora" per successive variazioni
o, per altri, da "penetralia Castrimaris") si distende su di una superficie di 10,47 kmq (con un kmq di
superficie urbanizzata), con altitudine sul livello del mare da un minimo di 175 m. ad un massimo di
1.444 m., il centro é intorno ai 450 msm.
Conta circa 6000 abitanti ed una densità di 480 abitanti/kmq (nel 1961 era di 285 ab/kmq) e negli ultimi
anni (1997 e 1998) é risultato essere il paese più giovane d'Italia, l'intensa crescita demografica del paese
é anche legata alla saturazione delle opportunità insediative nel territorio costiero.
Il territorio comunale é interessato dalla Comunità Montana della Penisola Sorrentina (legge n. 1102/71 L. Reg. n. 3 del 14/01/74) ed é sottoposto a Vincolo Idrogeologico (L. n. 3267 del 30/12/23 - L. Reg.
13/87 art. 22), é Zona di Particolare Interesse Paesistico-Ambientale (Leggi 1497/39 e 431/85).
Pimonte appartiene geograficamente ai Monti Lattari (il nome deriva dagli armenti che un tempo
popolavano numerosi questi luoghi), che rappresentano i rilievi carbonici della Penisola Sorrentina e che
vanno a delimitare ad oriente la Piana del Samo, pianura che al suo margine occidentale é delimitata dai
Monti Piacentini (attraverso la connessione con le pendici meridionali di questi monti i M. Lattari si
raccordano all'Appennino); il lato nordovest della piana é costituito dalle falde dell' apparato vulcanico
Somma-Vesuviano, mentre quello sud-orientale dal tratto di costa dinamico compreso tra Torre
Annunziata e Castellammare di Stabia, si tratta di un'area ad alta densità abitativa, tra i 1500 ed i 2500
abitanti per Kmq. L'eccezionale fertilità dei suoli vulcanici che la ricoprono, le favorevoli condizioni
climatiche e la notevole disponibilità idrica hanno sempre favorito le attività agricole e l'insediamento in
genere. I rilievi carbonici dei Monti Lattari sono costituiti da blocchi monoclinalici variamente dislocati e
ruotati; questo blocco é caratterizzato da un reticolo di faglie dirette con forte spostamento e che
individuano una serie di blocchi variamente articolati. Nel settore Gragnano, Pimonte, C/mmare di Stabia
l'elemento morfologico più antico é rappresentato da lembi di superfici d'erosione molto evolute, presenti
sulla sommità di Monte Faito (m 1100 slm, questo monte deve il suo nome alla presenza di numerosi
faggi che insieme a conifere e castagni popolano queste altezze), Monte Pendolo e Monte Cerreto. Essi si
possono far risalire alla Paleosuperfice mio-pliocenica che
si é modellata prima della Neotettonica surrettiva; vi sono stati, poi, eventi tettonici che hanno smembrato questa
Paleosuperfice, dislocando a varie altezze. Tra Monte Faito e Monte Pendolo, in seguito a questo evento tettonico,
si sono accumulate falde e coni detritici dal modellamento del versante di faglie çhe separa il Faito dal M. Pendolo
(un secondo evento tettonico alimentò una forte produzione di ulteriori detriti e conoidi di deieziOI1e,
particolarmente evidenti nella sella di Pimonte). Questi detriti formano ora dei piccoli terrazzamenti intorno ai 450
msm, su uno dei quali giace Pimonte.
Le prime foqne di insediamento risalgono al periodo classico con la comparsa di piccoli villaggi collinari e montani
sviluppatisi attorno a gruppi di abitanti che dalle pianure sotto stanti cercarono rifugio dalle frequenti incursioni di
vandali e soldatesche lungo la costa e la valle del Samo (questa valle fu, in tempi preistorici, occupata dagli Opici,
un popolo di agricoltori ai quali si sovrapposero, successivamente, Etruschi e Sanniti, provenienti dall' interno e,
quindi, i Greci).
Sorse così Stabia, terra di marinai, agricoltori e pastori: con l'arrivo di Roma, insieme al progresso, giunsero tempi
di battaglie più dure e di dolori, sino all'assedio di Silla dell'anno 89 a. C. che lasciò questi posti al saccheggio dei
suoi soldati (tante famiglie si rifugiarono tra queste valli, da dove "miravano straziati i nembi di fumo che si
levavano dalle ruine delle loro case", un terribile terremoto nel 63 d. C. e l' eruzione del Vesuvio del 79 d. C.
indussero, poi, ad ulteriori migrazioni); seguì il periodo delle ville patrizie e dei centri residenziali di lusso (oltre
che per la bellezza del paesaggio anche per le già riconosciute proprietà terapeutiche delle acque), poi delle
fortificazioni.
Venne il periodo dei Goti, scacciati dai Greci dopo una battaglia decisiva che si svolse alle falde dei Monti Lattari.
Con l'arrivo dei Longobardi guerre, saccheggi, carestie e pestilenze causarono lo spopolamento di questi luoghi, il
litorale rimase protetto dalle forze di Bisanzio, ma l'interno, controllato dai Longobardi del Ducato di Benevento.
In questi anni di continui conflitti la pianura divenne inospitale e sempre più abitanti si spostarono verso i monti in
cerca di nuove risorse e di rifugio, sorsero così i villaggi di Lettere, Pimonte e Gragnano, i "loci qui apud montes
dicuntur" (da questa definizione latina si passò a Pimontum e poi a Piemonte sino all' attuale Pimonte, che significa
"ai piedi del monte S. Angelo": que sto monte a "tre pizzi" é alto 1444 m e prende il nome da una leggenda che
narra dell'apparizione dell'Arcangelo Michele ai Santi Antonino e Catello, rifugiatisi su quelle vette a causa di una
invasione longobarda), successivamente compaiono i primi monasteri Benedettini.
Ma é con le fortune della Repubblica Amalfitana che Pimonte ed i paesi circostanti, videro il loro periodo di
maggiore importanza: dal VI secolo il territorio Amalfitano si estendeva da Vietri sin oltre Positano ed
internamente comprendeva , insieme a Scala e Ravello, gli insediamenti a casali sparsi di Agerola e Tramonti, sino
ai cosiddetti Castella Stabiensa di Pino, Lettere e Gragnano, verso la piana del Samo, al confine col Ducato di
Sorrento, comprese le isole Li Galli e Capri.
Pino si sviluppa principalmente in funzione del suo ruolo di centro di difesa contro le minacce dei longobardi
dall'interno (che durarono dal VI al IX secolo): una linea di fortificazione comprendeva il Castello di San Nicola in
Maiori, la valle di Tramonti e la Torre di vedetta del Valico di Chiunzi, all' interno la linea difensiva collegava le
città murate di Maiori e Minori col castello di Fratte sul monte Brusara di Ravello, il Castello di Scala, le case-torri
di Pontone con la fortezza di Pogerola, coordinata, salendo per punta San Lazzaro col Castello Lauritano (614
msm) e con quello Avitabile (646 msm) a loro volta collegati, oltre il valico di Porta Canale, col versante
occidentale col Castello di Pino (573 msm), con quello di Lettere (347 msm) e di Gragnano sino all' antica Stabia;
alcune fortificazioni erano affiancate da Casali sparsi, piccole chiese come quella dedicata all'Assunta a Pino.
Questo sistema difensivo protesse Amalfi per almeno tre secoli e restò ancora efficace per le sorti della monarchia
Normanno-Sveva.
Il Castrum Pini (ancora oggi maestosi Pini testimoniano l'origine del nome) fu fatto erigere intorno all'
anno 940 dal Doge Mastalo I capo della Repubblica Amalfitana (ancora vivo, essendo, il ricordo del
saccheggio subito nel marzo dell'838, dalle orde del Principe Sicardo), posto in posizione predominante il
Castello consentiva il controllo di tutta la Conca e si dimostrò valido centro di difesa quando agli inizi
dell' XI secolo schiere di longobardi invasero il territorio rendendo incoltivabili le terre di pertinenza del
castello, solo successivamente, sembra, fu eretto il castello di Gragnano per rafforzare la linea di difesa.
Attorno al Castello di Pino, cinto di solide mura, guardiole e torricelle, costruirono le loro residenze
numerose famiglie, in cerca di maggiore sicurezza, una. di queste (la famiglia D' Angillano) edificò (su di
una preesistente cappella, alla quale si accedeva attraverso una scala) nel 1317 la magnifica Chiesa di
Santa Maria del Pino, un gotico (arte europea che va dalla metà del 12° secolo sino al 15° ed oltre) a tre
navi con astrico antico, gravemente danneggiata dal sisma del 1931 e, soprattutto, da quello del 1980 (
..."la lingua di pietra parlata di questa nuova arte, il gotico, é contemporaneamente chiara e sublime e
quindi essa parla all'anima dei più umili come a quella dei più colti ... guai a coloro ai quali non piace
l'architettura gotica, o, per lo meno, compiangiamoli come persone che non hanno ereditato un cuore..."
sono parole di J. F. Co lfs e ci ricordano quale immenso messaggio, religioso, laÌco, filosofico, sociale,
esoterico, stiamo dissipando ... una interpretazione del significato "gotico", art gotique, farebbe risalire il
termine ad argotique: l'argot é il linguaggio segreto dei discendenti ermetici degli argonauti, che sulla
nave Argo navigarono verso la Co1chide alla conquista del Vello d'Oro ... ma queste son'altre storie ... ).
Su tutta la collinetta sono ancora sparsi resti delle antiche costruzioni, abbandonate a partire dal XIV-XV
secolo (sembra da ascriversi ai primi anni del XV secolo la distruzione del castello di Pino e della sua
Università e della sua sostituzione con quella delle Franche), e ruderi di chiese abbandonate da secoli (quella
di San Giacomo, di Santa Barbara, di Santa Margherita e più su quella del Salvatore a Lattara); una
suggestiva mulattiera consente, ammirando un paesaggio sul Golfo unico al mondo, di raggiungere questi
posti ancora incontaminati, attraversando la Valle del Lavatoio, dove, da diversi anni, viene rappresentato
un, oramai, apprezzatissimo Presepe vivente, altamente suggestivo e curato; sempre da questa valle un'
altra strada conduceva un tempo verso Agerola, piccole e grandi pietre pavimentavano la strada ed un
lungo canale, sempre in pietra, costeggiava la strada (da pochissimi anni un futuristico strato di cemento
armato ha reso transitabile la strada, a dispetto della maestria, conservatasi solo per pochi secoli, di
architetti e muratori di un tempo).
Degli affreschi, delle sculture e dei quadri della superstite Chiesa suddetta resta una Madonna con Bambino
del XVI secolo opera del pittore milanese Protasio Crivelli che
risiedette a Napoli dal 1497 al 1506. Una bolla di papa Clemente XII del 19 novembre 1731 trasferisce le
rendite di 80 duca ti in oro del castello di Pino, oramai devastato, al clero di Pimonte e delle Franche e
con essa la sopravvissuta tela del Crivelli, conservata sino a pochi anni fa un anno nella chiesa di San
Michele in Pimonte ed un anno in quella di San Sebastiano o Santa Lucia o San Nicola, alle Franche,
dove pure sono conservate le due campane della torre campanaria di Pino, dal suono squillante, capace di
raggiungere le vette del Faito e probabilmente usate anche come sistema di allarme.
Dalla fine della Repubblica Amalfitana il paese seguì le sorti della storia del nostro Sud,
nell' anno 1119 il centro passò, per il lato religioso, sotto la giurisdizione vescovile di Lettere,
seguirono poi numerose infeudazioni in relazione ai dominatori del momento,
pochi
documenti storici sono sopravvissuti ai vari accadimenti del passato, la maggior parte distrutti nel periodo della
Rivoluzione di Masaniello (un vandalico incendio distrusse pure l'antica reliquia delle spine del Redentore:
anno 1656 - il ricordo di queste reliquie sopravvive ancora oggi, Ferdinando IV e suo figlio Francesco, ai
tempi del Regno delle Due Sicilie, nel recarsi a caccia tra i boschi di Pimonte, risiedendo nel loro palazzo
di Quisisana a Castellammare, ricordavano sempre di venire a venerarle essendone profondamente devoti)
e nel XIX secolo. Negli ultimi anni del XIII secolo Pino e Pimonte vengono annoverati tra le terre angioine dello
Stato di Amalfi ed erette ad università.
Dal Monte Pendolo il panorama diviene ancora più grandioso, tutto il golfo e la piana a nord ed i monti a
sud si presentano quasi improvvisi a chi raggiunge (in 5 minuti dalla piazza, in auto) la cima, tra uliveti e
viti capaci di produrre un olio di qualità raffmata ed uve ricercate (una parte del "Gragnano" nasce tra
queste stradine), la strada costruita da pochi anni ha portato tra questi posti nuove, moderne case, ma
sembrerà tornare indietro nel tempo salendo, col profumo del finocchietto tra le narici (se finisce l'estate)
e tra file di ulivi secolari, su, verso il Belvedere, ad ammirare i resti (ancora chiari) del Convento e della
Chiesa di Santa Maria del Belvedere, dei quali le prime notizie risalgono al XIII secolo, vi officiarono gli
Agostiniani Scalzi e poi i Domenicani (il 15 ottobre del 1652 il convento fu soppresso con bolla di Papa
Innocenzo X, nel 1699, però gli Agostiniani officiavano di nuovo la Chiesa sino agli inizi del XIX
secolo); sino a pochi decenni fa, era abitata da contadini del posto. .
Delle tante chiese, un tempo diffuse su tutto il territorio, riveste una certa importanza la Chiesa
parrocchiale di San Michele Arcangelo, costruita nel XIII secolo é attualmente in ricostruzione, per i
gravi danni subiti col terremoto del 1980 (già danneggiata dal sisma del 5/6/1688 e da quell<> dell'8/91
1694) al quale sono seguiti numerosi furti ed atti vandalici, trafugate sculture e marmi in stile BaroccQ
(in particolare la splendida balaustra che cingeva l'Altare maggiore, distrutto anche un bellissimo organo
ed il coro sottostante), gli iniziali motivi gotici di questa chiesa restano nascosti all'interno degli attuali,
grossi pilastri barocchi, e tra le volte di piccoli tratti dove la mano "restauratrice" e riparatrice dell'uomo
non é intervenuta; numerosi altari, patronati dalle maggiori famiglie del paese, posti lungo le due navate
laterali, ricordano la devozione al crocifisso, alla Madonna e a numerosi Santi.
In questa Parrocchia aveva sede, già nel 1431, il Capitolo di Pino e Pimonte, il soffitto, eseguito alla fine
del XVII secolo, presentava, sino a pochi anni fa, un quadro centrale con San Michele Arcangelo (delle
cui leggende si é nutrita l'infanzia di tante generazioni), uno
prossimo all'altare maggiore rappresentante la cena di Emmaus, ed un altro, verso la porta,' con Gesù e la
Maddalena, dipinti di armi gentilizie completavano le raffigurazioni.
Adiacente e comunicante con questa chiesa é quella della Maddalena, esistente già nel 1540, da anni
utilizzata come deposito. Completamente persa (forse qualche pietra giace nascosta, ancora, sotto il solito
"pittoresco" strato di cemento armato) la Chiesa di Santo Stefano in via Fiume, la statua del santo di
questa cappella battesimale é ora conservata nella parrocchia.
Esisteva una chiesa del SS. Rosario ed una dell'Annunziata in località "Cantaro". Ad uso profano é
attualmente riservata la Chiesa di S. Maria di Costantinopoli, di esSa si ha memoria a partire dai primi del
XVI secolo. Persa anche la seicentesca Chiesa di Sant'Agnese in via Piana e di San Giovanni Evangelista in
via Muriscolo.
Caduta già in rovina nel 1595, invece, quella di San Benedetto, in località Pizzo. Memorie si hanno anche
di una Chiesa di S. Maria, una di S. Spirito, una di S. Luca (il località "Fontana"), una Chiesa dedicata a
Tutti i Santi al "Pontone seu Olivaro". Ristrutturata di recente, invece, la Chiesa parrocchiale della
Concezione a Tralia, inizialmente a tre navate, attualmente ne presetita una sola, viene ricordata a partire
dall'anno 1546.
Ancora meta di devoti di Santa Lucia é la chiesa, già parrocchia nel 1390, dedicata a Santa Lucia, alle
Franche, in questa frazione é pure presente la Chiesa parrocchiale di S. Marina e di San Nicola, esistente
già nel XV secolo e quella di San Lorenzo, che si dice fondata nel XV secolo. Fondata invece nel XVI
secolo la chiesa di San Sebastiano che accoglie oggi i fedeli delle Franche.
Memorie si hanno anche di una chiesa dedicata ai SS. Quattro Coronati, ai SS. Cosma e Damiano, a S.
Stefano, alla SS. Trinità e a S. Caterina, sempre alle Franche.
Con l'arrivo di settembre inizia il periodo delle feste Patronali, sono tre e si susseguono a distanza di una
settimana, ricreando un clima dagli antichi sapori, tra processioni per il paese, fuochi d'artificio e
"concertini" serali, mentre nel ritrovarsi ritualmente in Piazza, si
smaltiscono- le pietanze tradizionali di questi giorni -ed il hu.on vin-ello prodotto dalle deliziose uve di Pimonte
(orfane, oramai, dei laboriosi piedi dei nostri instancabili contadini)
L'economia del paese, insieme ad un'alta presenza di imprese edilizie, é fondamentalmente basata
sull'agri- coltura(prin-cipalmente produzione di olio, uve e colture varie} e -sulla lavorazione del castagno
selvatico (che produce frutti piccoli e poco dolci, ma più utile per la produzi<me di travi), il-castagno da
legno viene governato a ~eduo {mediamente 1-500-2000 ceppaie per ettaro), per la produzione di polloni
per ceste e cerchi, pali per viti (nuovamente -di moda perché più "natur-ali" -dei pali in remento), pertiche,
doghe per botti {sin dall' XI sec. si diede un forte impulso alla diffusione di queste colture, in una
descrizione di Pimonte del XVI -secolo viene ricor-dat-a ''l' -arte di fabbricare fusti per vinQ" degli abitanti), ecc.) il bosco é tagliato mediamente ogni dieci anni (il tipo governato a fustaia ha turni di 80-100
anni), permettendo un gr-ande equilibrio con la patura) assolutamente salvaguardata dalla pronta e
veemente ricrescita dei fusti, durante il taglio del bosco, mulattieri, tagliatori e pulitori di corteccia ed
operai vari riempio no -la montagna con i -loro suoni e -le loro voci, -rendendola ancora più viva; accanto
al castagno selvatico convive la razza di Castagno "marrone" {Cast-anea sativ-a M.) dal frutto grosso e
rotondeggi-ante; le gemme della pianta fresca $Qno drenanti del sistema linfatico e vasoprotettrici), il
corbezzolo, (Arbutus une do L. dal dolce frutto eon proprietà depurative e diuretiche, utile per fegato, reni
e dr~ol- azione), il -sorbo (~orbus domestica J..., dai fI"!1tti periformi, digestivi, astringenti e diuretici,
ricchi in yit. C, e Sorbusau~uparia L., ilsorho degli ucceliatori), l'ontano napoletano {l'Amus cordata, un
legno praticamente imputrescibile usato c°!De febbrifugo nel passato, salvaguardato e protetto- perché- in
peri~ di -spopolamento-, le-sue- fo- glie-sono- utili contro- i reumatism:i e, fre~che,. secondo S~ta
Ildegarda, come cicatrizzanti), il nocciolo (Corylus avellana L., Santa ldelgarda la U-GnStgliavR per
l'impotenza, é utile- ~omeantisclerotico epatico e per migliorare la circolazione del s::mgue), il noce
(Juglans regi~ 1.-., dal frutto ricco di glucidi, protidi, vitamine, sali minemli e -di- un 000 ricostituente, te
foglie ed il ma1iosono utili per i oapelli~.
Ampie zone del paese sono coltivate ad olivo (Dlea europea L., il potere Ilutritivo di questa pianta,
soprattt:Itto -delle -olive nere, é altissimo, un tempo era, 'Con le dpoUe -ed il pane nero, l'alimento
prinçipale dei contadini, le sue foglie haqno proprietà ipoteqsivanti) e - la pr-oduzi-one dell' Qlio é di
ottima resa e qualità, -altra pianta tipioa delta macchia mediterranea, presente tra i nostri monti, é il leccio
(Quercus ilex, dal legno compatto e resistente, utilizzata -an'Che -come legno -da -ardere).
Tra queste selye vivono (non. sempre in disturbati) numerosi cinghiali, volpi e ricci, g4iri e specie varie di uc-celli quali pettirossi, dnciaUegre, oapinere e becoa<::ce, quest'ultime percorronp migliaia pi
chilometri dai l1..!oghi di nidific!'lZÌpne ,per venire a svernare al Sud; il
fitto-sott-obosc-o produce -ogni -anno' deliziose varietà di funghi, porcini, 'Chiodini- ecc., che le ~onne
del paese sanno prepar~e e conservare (nel raffinato olio del posto, caratteristico per la minima-acidità} in
tanti modi.
Non mancano allevamenti di suini, ovini e caprini, le mucche del luogo poi, producono un latte delizioso
ritenuto, nell'antichità, una insostituibile medicina; insieme' ad- una produzione di latticini classici, molti
contadini preparano, ad uso proprio, "caciotte" caprine e pecorine-; d-aIrantico sapore dimenticato,.
In un posto così privilegi~tO', circondato cl~ una fitta- e spett~colare vegetazione~ a pochi chilometri dal
mare (Amalfi, Positano, Sorrento, ecc.) e dall'alta montagna (Faito, M. Sant'Angeloh dalle-- Terme-Stabiane-- e- dagli scavi archeologici {S-tabia~ Pompei~ Erco1ano~ Oplonti), dalle isole del golfo (Capri,
Ischia, Procida), dal Vesuvio e da Napoli (a 32 km), gli itinerari -naturalistici -non possono che essere- numerosi~ l'escursione- verso Monte- Pendolo {dove, a 618 m, é posta una croce votiva in ferro),
passeggiando lungo vecchi sentieri, tra vitigni- e castagneti, conduce dolcemente ad una ulteriore,
spettacolare veduta del Golfo, di sotto gli storici Cantieri Navali di Castellammare di Stabia, poco lontane
le isole ed il Vesuvio {pacifico e minaccioso guardiano di tante città}, sorseggiando, forse, un buon
bicchiere di
vino o di lambiccato del luogo che immancabilmente i generosi contadini del posto vi inviteranno ad
assaggiare, pronti, altrimenti, ad offrire un caffé o un limoncello o un finocchiello o Un raro centerbe
(preparato con erbe dei posti che anziane signore conoscono per tradizione tramandata da secoli). E se i
bicchieri di vino diventeranno due e avrete tempo per sedere un pò, rilassatamente, sotto un fresco
pergolato di uva cecchina, vi potrebbe ca.pitare di ascoltare, da un vecchio contadino dai bianchi e folti
baffi all' insù, di quella quercia secolare o di quel noce maestoso, che avete ammirato per strada, e delle
streghe, delle janare (perché nate a gennaio), che vi ballano sopra (soprattutto la notte di Santa Valpurga,
quella precedente il IO maggio: no tte di sabba), minacciando donne e bambini e capirete perché, ancora
oggi, i più anziani, nel passare sotto questi alberi possenti, poggiano il loro braccio protettivo sulle spalle
della moglie o dei nipotini...
Percorrendo la collina si può raggiungere il versante opposto, con la chiesa ed il monastero di Belvedere
(a proposito: una storia dice che tra queste antiche mura vive, nascosto, un grosso serpente, che, di tanto
in tanto, si manifesta).
Da Pimonte si può raggiungere Castellammare di Stabia attraverso un'antica strada, asfaltata solo per un
tratto, attraverso castagneti secolari (in località Scanzano -Privati esisteva una porta dove i cittadini di
Pimonte erano costretti a pagare una gabella che venne abolita nel 1708 a condizione che i Pimontesi
tenessero puliti i canali che portavano acqua a Castellammare), per giungere in prossimità del mare,
ammirando i posti ed il palazzo di Quisisana (restaurato da Ferdinando IV nel 1820, il palazzo ed il parco
furono iniziati verso la fine del XIII secolo).
Della passeggiata verso Pino (a 576 msm) si é detto, e merita anch' essa un pò del vostro sudore, così
come lo merita il ben più faticoso percorso che attraverso le "tese" porta a Faito, tra castagni (da frutto e
cedui) ed ampie vedute, ontani ed aceri, sino alla faggeta pura, per proseguire verso la chiesetta di San
Michele, vicina alle antenne Rai.
Sorgenti d'acqua preziosa lungo i percorsi, rovi, salsapariglie (smilax aspera: depurativa e diuretica, le
radici essiccate e triturate venivano, un tempo, fumate dagli asmatici), gigari ed ellebori (arum maculatum
e helleborus niger: pericolose), vitalbe (clematis vitalba: revulsiva, un tempo i mendicanti, per
impietosire, la adoperavano per procurarsi delle ulcere), agrifogli (ilex aquifolium), edere, muschi e
licheni (cetraria islandica: antispasmodico, espettorante, emolliente, tonico, ecc., ecc.), felci, ciclamini,
crochi, primule, viole, tenere fragoline (da assaporare sul posto o per deliziose marmellate), more
succulente e tante, tante bellissime, incantevoli cose.
Durante la tarda sera del 12 giugno (vigilia della ricorrenza di S. Antonio) e del 23 giugno (vigilia di S.
Giovanni) in numerose frazioni del paese vengono accesi grandissimi fuochi con fascine e rovi secchi
(raccolti giorni prima dai ragazzi del posto), in queste sere, mentre nel buio dei boschi e della campagna
sfavillano meravigliose e malinconiche le lucciole (oramai meno numerose che in passato!), le fiamme si
alzano maestose verso il cielo a portare preghiere e desideri, ma il loro significato principale é quello di
bruciare i sortilegi, purificare, proteggere (campi, animali ed uomini, bruciare la mosca dell' olivo o
prevenire i vermi nei bambini, ecc., ecc.), convertire e rinnovare, ma, anche, sostenere il sole che,
superato il punto solstiziale, inizia a decrescere, il fuoco é l'ultima tappa delle streghe prima della
dannazione all'inferno e con essa la fine delle angosce causate, col fuoco si invoca pure il santo, affrnché
scacci i demoni e vegli sulla lealtà, concedendo prosperità (é la notte più corta dell'anno: in questa notte
Paracelso bruciò i libri di Galeno e Avicenna, invitando al nuovo, al creativo) ... quindi scende, come
acqua battesimale, la rugiada di San Giovanni ad impregnare di virtù le erbe ed il mondo tutto; non a
caso proprio il giorno di S. Giovanni (all'alba) si raccoglie l'erba San Giovanni (Hypericum perforatum
L.), questa pianta cresce, in grandi macchie di colore giallo oro, lungo le strade, tra le murature di pietra
a secco, tra le "maciarine", i fiori durano solo un giorno e tenuti in olio al sole per diversi giorni
producono un rimedio rosso ruggine efficacissimo contro le scottature e contro i dolori (per uso esterno,
l'uso interno provoca fotosensibilizzazione), il pigmento rosso di questa pianta (l'ipericina) si é
dimostrato un valido rimedio contro la depressione e viene ampiamente usato (in erboristeria) a tale
scopo; sempre a San Giovanni si raccolgono i frutti immaturi
del noce, che, tagliati in quattro pezzi, e tenuti in alcool al sole, per qua ranta (I) giorni, producono un
buonissimo nocillo.