IL DENTE È L A VITA

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IL DENTE È L A VITA
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dente
è l a v i ta
Le ragioni “psico-logiche”
del posizionamento dei denti
e le loro implicazioni
Titolo originale: La dent c’est la vie, Edizioni Quintessence, 2006.
Traduzione dal francese di Paola Artero e Chiara Pancotti
© 2009 — Edizioni Quintessence
Rue de la Bastidonne – 13678 Aubagne cedex – France
Tel. (+33) 04 42 18 90 94 – Fax (+33) 04 42 18 90 99
www.editions-quintessence.com
Proprietà letteraria Quintessence riservata.
ISBN 978-2-35805-109-5
La vita è come un dente
Dapprima non lo si cura
Ci si accontenta di masticare,
E poi di improvviso si guasta
Comincia a farvi male, e ci si accorge
Che c’è e che va curato con tanti grattacapi,
E per far sì che guarisca veramente,
Bisogna estirparla poi, la vita. 1
Boris Vian
1. Boris Vian, La vita è come un dente, Editore Nuovi Equilibri, 1999. Traduzione di
Simone Pasko. (NdT)
A Annick, mia moglie,
A Dorothée e Alice-Laure, le mie figlie.
in t r o d u z i o n e
In questo libro non vi proporrò ricette miracolose.
Vorrei invitarvi piuttosto ad una riflessione profonda sui denti,
cercando di non considerarli più unicamente dal punto di vista della
masticazione o della fonazione, ma da quello della totalità dell’essere
a cui appartengono.
Nel corso dei miei studi di odontoiatria, così come durante la
maggior parte delle formazioni e dei seminari ai quali ho partecipato, che si trattasse di medicina allopatica, energetica o olistica,
non riuscivo mai a ricollocare il paziente nel suo contesto globale
di essere umano, poiché l’approccio che mi veniva proposto era
essenzialmente locale o tutt’al più sistemico (essenzialmente relativo
al sistema masticatorio).
Il risentito 1 del paziente, l’espressione di questo risentito e l’incidenza che ciò poteva avere sull’affezione di cui soffriva non sembravano essere presi in considerazione. Mi sentivo diventare un
semplice “tecnico” della bocca e dei denti che alla fine non ascoltava
nemmeno più “la persona che soffre”.
Era frustrante, poiché mi trovavo spesso dinnanzi a un vero e
proprio paesaggio desolato e avevo l’impressione di vedere una
foresta devastata da un incendio di cui non restava che qualche
tronco riarso in un universo di radici.
Allora, nel corso della mia attività professionale, mi sono sforzato
di ampliare il mio campo di comprensione del paziente attraverso
la ricerca delle cause possibili della sua patologia.
È così che, a poco a poco, ho dovuto percorrere altre strade,
affrontare ambiti diversi dalla chirurgia odontoiatrica, cercando di
aprire il mio spirito a un’altra visione del mondo per tentare di com1. Dal francese ressenti, che esprime una sensazione (fisica e psichica) unita a un’emozione. (NdT)
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prendere ciò che era sotteso alle reazioni organiche, le “affezioni”
di cui soffriva il mio paziente.
Facendo ciò, mi sono trovato di fronte a un dilemma.
• Dovevo continuare a trovare una causa locale fisica al male,
fosse anche una lontana origine organica?
• O dovevo attribuirgli sistematicamente una sovradimensione
esoterica?
Nessuno di questi due campi mi soddisfava completamente: il
primo mi sembrava trascurare la dimensione emozionale che è
la base psichica degli esseri viventi ed il secondo la dimensione
organica, che ne è la base materiale.
Possibile che non ci fosse una via mediana che non rifiutasse una
delle due possibilità, una vera e propria interfaccia tra la dimensione
emozionale e psichica e la reazione organica?
Non aiuterei meglio il mio paziente se gli facessi risentire la
possibile origine emozionale del suo male e trattassi allo stesso
tempo la causa fisica che lo porta a lamentarsi e a fare ricorso a
un medico?
Non sarei forse più efficace se lo aiutassi a ritrovare un equilibrio
rendendolo consapevole della relazione spesso semplice che unisce
l’emozione vissuta ed il dolore provato?
Ecco le domande che hanno guidato questa riflessione.
Certo, solo ora, dopo aver percorso un determinato cammino
nel corso della mia ricerca, posso formulare le cose in modo così
semplice.
Per intravedere una risposta mi ci sono voluti diversi anni di
riflessione e di ascolto dei miei pazienti su argomenti non inerenti
ai denti, ma che costituivano per loro una preoccupazione.
Per far ciò, mi sono sempre basato su conoscenze accettate e
accessibili a tutti, tratte da opere di divulgazione in cui si esprimevano
degli scienziati riconosciuti.
È proprio a questo tipo di approccio logico che io vi invito.
Durante gli anni di studio alla facoltà di odontoiatria, quando i
nostri insegnanti ci chiedevano:
“Avete effettuato l’interrogatorio al paziente?”
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introduzione
Aggiungevamo immediatamente dentro di noi, facendo una parodia mal riuscita e pensando al trapano e alla tenaglia:
“Attenzione! Sappiamo come farvi parlare…”.
Effettivamente, se l’anamnesi del paziente riguardo alla sua malattia mi pareva indispensabile in medicina, rispetto alla chirurgia
odontoiatrica mi sembrava una perdita di tempo. Una radiografia,
un’occhiata in bocca e si vedeva subito la carie, il moncone di dente
o l’ascesso, insomma: la causa del disturbo.
E il trattamento veniva da sé.
• Carie: curo il dente senza togliere il nervo oppure
togliendolo.
• Radice: procedo a un’estrazione poi a un apparecchio mobile
o a un ponte.
• Ascesso: prescrivo un antibiotico, poi curo o tolgo il dente,
ecc.
Per riassumere, quel che il paziente poteva raccontarmi non mi
interessava affatto ed era ovvio che io sapessi meglio di lui ciò che
gli succedeva.
“Apra… Chiuda… Alla settimana prossima”.
È vero che, in molti casi, gli schemi tipo che mi ero preparato
funzionavano a meraviglia… fintantoché non ho avuto un ambulatorio fisso e non ho potuto seguire nel tempo i miei pazienti per
un periodo abbastanza lungo, apprezzarli, conoscerli.
Allora ho iniziato a pormi altre domande.
Perché si verificava una recidiva di ascesso dopo il trattamento
canalare di un dente a cui avevo dedicato del tempo, che avevo
“ripulito” con cura professionale, insomma un dente che avrebbe
dovuto “starsene tranquillo”?
Perché dovevo trattare nuovamente un dente che dei colleghi
avevano già curato e bene, ma di cui il paziente si lamentava ancora
in modo continuo o periodico?
Perché dei pazienti che erano stati seguiti coscienziosamente
durante l’infanzia o l’adolescenza dal loro dentista avevano di nuovo
dei problemi sugli stessi denti, dopo un periodo di tranquillità che
poteva durare parecchi anni e nonostante un’igiene orale perfettamente corretta?
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E quella paziente che in una logorrea confusa mi spiega di essersi
sempre sentita male con se stessa, essendo grassa e considerata
tale dai suoi genitori e non potendo evitare di mangiare dolciumi:
per questo, ha sempre sofferto di carie che poi ha sempre fatto
curare.
Allora ho cominciato davvero ad interrogarli, interessandomi
presto non solo ai loro denti, ma anche a poco a poco alla meccanica dell’occlusione (chiusura dei denti), poi alla loro costituzione e
infine a tutto il loro vissuto.
Ho lasciato che mi raccontassero, ascoltandoli attentamente, le
circostanze generali dell’apparizione dei mali da cui erano afflitti.
La mia vera sorpresa è stata di accorgermi che, per la quasi
totalità, essi esprimevano senza pressoché rendersene conto delle
ragioni profonde, inconsce, che condizionavano la debolezza dei
loro denti o la aggravavano.
Di fatto, tutto è iniziato quando mi sono posto la seguente
domanda, unica e fastidiosa:
“Che cos’è, realmente, la carie dentaria?”
Una
carie semplice,
complicata però da un ascesso
Nell’agosto del 2000, l’ospedale specializzato di C. mi manda
d’urgenza una giovane donna di 35 anni per un fortissimo dolore a
un dente. Soffre terribilmente e non può aspettare il giorno previsto
per le mie visite in ospedale.
La accompagnano allora nel mio studio: con la mano preme
contro la guancia destra.
All’esame clinico osservo un rigonfiamento dell’osso al livello
del primo molare inferiore destro e una grossa carie sullo stesso
dente.
Si sta formando un ascesso e il dolore causato dalla pressione
del pus è insopportabile.
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introduzione
Le spiego quel che le sta accadendo, perché è molto preoccupata:
teme di avere contratto l’infezione in ospedale, mi dice con parole
soffocate.
Rassicurata rispetto all’origine del dolore e con la mano sempre
contro la guancia, deplora questa situazione di cui non aveva proprio
bisogno “con tutto ciò che mi succede in questo periodo...”.
Per me l’origine di questo ascesso sta nella sua incapacità di
reagire a un attacco contro i principi di vita che lei si è forgiata tra
i cinque e i sei anni di età.
Poiché ignoro la ragione del suo ricovero in ospedale, le chiedo
con molte precauzioni se non le sia successo qualcosa quattro mesi
prima, un evento molto irritante e contro il quale si sia sentita
completamente impotente.
Mi guarda sgranando gli occhi e esclama: “Ma è proprio da
quattro mesi che sono ricoverata, sono completamente depressa e
non riesco più a dipingere”.
Poi mi spiega che è una pittrice, che ha vinto un primo premio di
pittura e che non ce la fa più a rinunciare ai suoi pennelli, insomma,
“è davvero troppo”.
Le mie parole sembrano darle un po’ di sollievo rispetto alla
pressione che la soffocava (non tiene più la mano contro la guancia)
e ha l’aria di ritrovare dell’energia.
Allora le preciso che l’origine dell’emozione iniziale espressa da
questa carie e dall’ascesso è un’altra emozione dello stesso tipo, ma
vissuta quando lei aveva tra i 5 e i 7 anni di età; a poco a poco la
situazione si è “guastata” a tal punto che adesso il suo organismo la
rifiuta con violenza: è per questo che il dolore è insopportabile.
Non mi sta ascoltando veramente, perché sta riesaminando la
situazione sotto questo nuovo aspetto; poi, improvvisamente, un
ricordo le si ripresenta alla memoria come un flash: da bambina,
stava dipingendo nel corridoio di casa quando la madre è arrivata,
le ha tolto di mano i pennelli e l’ha punita.
Lascia il mio studio in piena reminiscenza del suo passato, raccontandolo alle due giovani infermiere che l’hanno accompagnata.
Tutto questo per una semplice carie, complicata però…
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I
Allora,
c h e cos’è
u n a c a r i e   d e n ta r i a?
A prima vista e per la maggior parte di noi è un buco in un
dente… Il dente è un organo duro composto, dall’esterno verso
l’interno, da smalto, dentina (o avorio) e polpa (parte sensibile del
dente chiamata solitamente nervo, poiché è attraverso il dolore che
ci ricorda la sua presenza).
È strettamente collegato all’osso mascellare per il tramite di un
legamento (legamento parodontale) che si inserisce in un altro osso
specifico, l’osso alveolare.
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il dente è la vita
Quale
sarà la nostra posizione
d a v a n t i a qu e s t o
“buco”?
Come integriamo la carie rispetto all’organismo? Più o meno
inconsciamente, a seconda del modo che abbiamo di considerare il
nostro corpo, ci schieriamo nell’uno o nell’altro dei due campi che
dividono la medicina e la concezione medica del corpo.
Per i difensori della teoria “esternista”, la malattia è esterna e
quindi anche la carie ha un’origine esterna.
Per gli altri, ovvero dal punto di vista dell’approccio “internista”, la
malattia è il risultato di uno squilibrio interno di cui essa è rivelatrice
e quindi la carie ha un’origine interna.
Fin dall’antichità queste due concezioni si oppongono e si incrociano in continuazione, cercando di predominare l’una sull’altra; ma
entrambe hanno dato un vasto contributo alla conoscenza dell’essere
umano.
Infatti, se le si studia senza partito preso, ci si accorge che spesso
l’opposizione è solo nello spirito di coloro che le difendono, poiché
entrambe possono scambiarsi vicendevolmente delle conoscenze
preziose.
Allora, per gli “esternisti”, quando il dente ha terminato la sua
maturazione è pressoché indipendente dal resto dell’organismo.
La carie non è altro che un incidente di percorso, dovuto interamente a un’assenza di igiene o a un uso scorretto dello spazzolino,
rispetto a delle malposizioni dei denti sulle arcate dentarie.
Inoltre, l’alimentazione è diventata troppo molle, troppo collosa
e troppo ricca di zuccheri (carboidrati) ed è all’origine della placca
dentale.
La placca è quella patina biancastra composta da residui di cibo che
si deposita sui denti e che bisogna eliminare con lo spazzolino.
È acida per via degli zuccheri che contiene e favorisce la fermentazione che permette ai microbi di svilupparsi, attaccare il dente e
provocare la formazione della carie. La lotta contro la carie diventa
semplice: “Lavatevi i denti e non avrete carie”. I microbi più colpevoli sono lo streptococcus mutans e il lactobacillus acidophilus.
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allora, che cos’è una carie dentaria?
All’epoca, alcuni ricercatori americani hanno persino stabilito una
relazione diretta tra la frequenza di quest’ultimo e la carie. A questo
punto, diventa possibile fabbricare un vaccino anti-carie 1.
Eppure abbiamo visto tutti la pubblicità sullo yogurt che spiega
come questo stesso microbo favorisca la digestione. Allora è nocivo
o è utile?
È possibile inibirlo in bocca, passaggio obbligato, e attivarlo nel
resto del sistema digestivo?
In seguito, con il progredire della ricerca, nel 1948, un altro
ricercatore, Eggers-Lura, attribuisce piuttosto l’origine della carie
all’azione delle fosfatasi. Il suo ragionamento basato su delle constatazioni può essere così riassunto: lo ione cadmio che attiva queste
fosfatasi accellera la formazione della carie, mentre lo ione fluoro
che le inibisce ha un’azione anti-carie.
Ma queste osservazioni non spiegano perché esistano dei soggetti
privi di carie mentre altri presentano tutte le condizioni favorevoli
al suo sviluppo.
E neppure si spiega perché, al contrario, altri soggetti abbiano
delle carie nonostante un’ottima igiene orale.
Nemmeno si capisce perché nella stessa bocca si trovino dei denti
perfettamente sani (specialmente gli incisivi inferiori), quando invece
gli altri denti sono cariati.
Tra il 1946 e il 1949, le osservazioni di Leimgrüber, un “esternista”, lo conducono a concludere che la produzione di acidi cariogeni
da parte dei microrganismi della placca dentale è subordinata a
uno squilibrio fisiologico del sistema “saliva-dente-sangue”.
Ciò inserisce il dente, nonostante il fatto che la sua maturazione sia
conclusa, in un sistema biologico di azioni reciproche: ghiandola
salivare  saliva  smalto  dentina  polpa  sangue.
1. Per Anne-Mary Obry-Musset, una vaccinazione contro la carie sembra aleatoria poiché
un vaccino deve avere come bersaglio un microrganismo identificato. Nella bocca vi sono
più di 27 batteri noti. “Che si possa creare un vaccino polivalente capace di attaccare
contemporaneamente un grande numero di batteri è un’illusione… E poi, questi microrganismi svolgono sicuramente un ruolo nel corpo umano, anche se non lo si conosce
ancora! Quali conseguenze avrebbe sull’organismo la loro eliminazione definitiva? Per il
momento, la migliore prevenzione rimane la pulizia dei denti con uno spazzolino, dopo
ogni pasto, poiché permette di eliminare la placca”. A-M Obry-Musset, ricercatrice alla
facoltà di odontoiatria dell’Università Louis Pasteur, Strasburgo, nell’Articolo di Pierre
Lefèvre per Eurêka n°464, 1999. [Traduzione nostra]
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