Brutta, fredda, cadente ma resta la First House

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Brutta, fredda, cadente ma resta la First
House
Repubblica — 11 gennaio 2009 pagina 25 sezione: DOMENICALE
WASHINGTON - Sotto lo sguardo sbalordito di Kenneth Galbraith, che l' aveva accompagnato
nella nuova casa fresco di insediamento, John Fitzgerald Kennedy si gettò pancia a terra sul
parquet e cominciò a frugare sotto il mobilio della Casa Bianca, come un bambino che avesse
perduto la pallina. "Bah - si rialzò Kennedy spolverandosi la giacca dopo avere studiato con cura il
fondo di credenze e comò - tutta robaccia. Non c' è un mobile autentico, qui dentro. Jackie avrà
molto da fare". Probabilmente senza neppure saperlo John Kennedy, il trentacinquesimo
presidente degli Stati Uniti e il trentaquattresimo inquilino di quella villotta che il primo presidente,
Washington, non vide mai finita, si era aggiunto a una processione di "primi cittadini" e di "prime
signore" che dal 2 novembre 1800, quando la inaugurarono John e Abigail Adams, avevano
trovato inospitale, brutta, scomoda, fredda, sgangherata, irrazionale e cadente la casa conosciuta
nel mondo come "the White House". Ora prossima ad accogliere, con la stessa sorniona ospitalità
da grande cortigiana che accetta tutti senza mai darsi a nessuno, la prima famiglia nera sotto le
proprie vernici bianche. La quasi unanime deprecazione della villotta progettata da un architetto
irlandese emigrato in America, James Hoban, a imitazione della Leinester House di Dublino, e
costata 232.371 dollari e 83 cent, quattro milioni di oggi, un affarone, proclama il delizioso
paradosso di un edificio che da 209 anni è insieme il più ambito e il più disprezzato d' America. è
difficilissimo trovare uno dei suoi inquilini, da Adams nel 1800 a George W Bush, e soprattutto una
delle inquiline, le First Ladies, che non abbiano avuto critiche feroci e che non abbiano tentato di
cambiarla e migliorarla. L' unico che non abbia avuto nulla da obiettare né da cambiare fu Gerald
Ford, il solo presidente americano che vi fosse entrato senza volerlo e senza essere stato eletto.
Se proprio si vuol trovare un complimento, si deve ricorrere alla sarcastica e obliqua osservazione
sempre di Kennedy: «La paga è modesta, l' alloggio è scomodo, ma almeno si può andare in
ufficio a piedi». E senza mai bagnarsi se piove, o sudare se l' afa attanaglia Washington, perché i
quartieri privati del Presidente e della sua famiglia, se ne ha una (anche scapoli, vedovi e single la
abitarono), sono al terzo dei cinque piani della villotta, tre sopra il livello della strada e due interrati,
inclusa quella leggendaria Situation Room dove il capo i suoi consiglieri si riuniscono nei momenti
di emergenza nazionale e un rifugio segretissimo a prova di attacchi «atomici, biologici e chimici»
nella roccia profonda sotto il terriccio alluvionale del fiume Potomac. Anch' essa, la Situation
Room, completamente rifatta dopo l' 11 settembre, perché giudicata «uno scantinato umido e
soffocante che sarebbe inadatto anche a ospitare una birreria di provincia», secondo Henry
Kissinger che, essendo tedesco, di birrerie s' intendeva. Sembra che quanto più la si desideri,
tanto più essa deluda chi finalmente la possiede e la vede dal di dentro. Si mostrò senza trucco,
desolante come un letto sfatto, alla prima delle "prime signore", ad Abigail Adams, che vi entrò
soltanto per scoprire che appena quattro delle trentacinque stanze erano state completate e
dipinte dagli schiavi mandati a costruirla. Il suo umore non migliorò quando vide che per salire in
camera, aggrappata a un moccolo in mancanza di candelabri, avrebbe dovuto arrampicarsi su una
scala di legno da muratori, provvisoria e traballante. E che il progetto, la concezione stessa di
questa casa costruita a dispetto di un Congresso, di un Parlamento, di mercanti e piantatori
malfidenti e taccagni che non vedevano la necessità di una «reggia», come la chiamavano, fosse
sbagliato, apparve subito evidente. La casa era brutta, chiattona, incongrua per una città di
casupole che nel 1800 contava appena 363 abitazioni in tutto, delle quali soltanto la metà in
muratura, e il Parlamento doveva riunirsi in una chiesa episcopale, facendo a turno con le funzioni
religiose. Per ingentilirla, nel corso del Diciannovesimo secolo, saranno aggiunti il pronao, il
timpano retto da quattro colonne davanti, e poi il portico semiellittico sul retro, con vista sul
giardino, quello che fa da sfondo alle cerimonie di benvenuto e permetterà a Barack di uscire a
fumare di nascosto una di quelle sigarette che sostiene di avere abbandonato, come Laura Bush e
Bill Clinton, con i sigari banditi da Hillary. Ma poiché la Casa Bianca deve servire non soltanto da
abitazione, ma da sede del governo e degli uffici di una presidenza ormai imperiale che conta
settemila impiegati, oltre ai cinquantatré fra valletti, uscieri, cucinieri e camerlenghi, si dovette
presto aggiungere un' Ala Est, e poi la celeberrima West Wing, voluta da Theodore Roosevelt nel
1902 per ospitare il famoso e famigerato Studio Ovale con la scrivania di legno intarsiato regalata
dalla regina Vittoria e ricavata dal fasciame della nave da guerra inglese "Resolute", e gli uffici dei
collaboratori più importanti. Un' espansione resa improrogabile dai sei figli che disturbavano il
lavoro del presidente. «Mi sento come un domatore dentro una gabbia di scimmie», era esploso
Roosevelt, trovandosene un altro fra i piedi, e non per le pose fotografiche di bambini sotto la
scrivania in tenero stile John John Kennedy, sessant' anni dopo. Tutti gli inquilini cercano di
cambiarla, di aggiungere un dettaglio che serva a lenire il senso della loro provvisorietà con
qualche briciola di permanenza, come i nomi incisi sulle panchine di legno da dubbiosi amanti.
Lyndon Johnson pretese che la propria doccia personale fosse trasformata in una cabina
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1902 per ospitare il famoso e famigerato Studio Ovale con la scrivania di legno intarsiato regalata
dalla regina Vittoria e ricavata dal fasciame della nave da guerra inglese "Resolute", e gli uffici dei
Brutta, fredda, cadente ma resta la First House - Repubblica.it » Ricerca
collaboratori più importanti. Un' espansione resa improrogabile dai sei figli che disturbavano il
lavoro del presidente. «Mi sento come un domatore dentro una gabbia di scimmie», era esploso
Roosevelt, trovandosene un altro fra i piedi, e non per le pose fotografiche di bambini sotto la
scrivania in tenero stile John John Kennedy, sessant' anni dopo. Tutti gli inquilini cercano di
cambiarla, di aggiungere un dettaglio che serva a lenire il senso della loro provvisorietà con
qualche briciola di permanenza, come i nomi incisi sulle panchine di legno da dubbiosi amanti.
Lyndon Johnson pretese che la propria doccia personale fosse trasformata in una cabina
multigetto ad alta pressione, costringendo gli idraulici a rivoluzionare le vetuste tubature, ma senza
mai risolvere il problema della pressione, che frustava gli utenti di altri bagni con improvvise piogge
di acqua gelida. Eisenhower volle costruire un putting green, una buca da golf, ben in vista dalle
finestre dello Studio Ovale, allora non ancora blindate come ora, per controllare che gli odiati
scoiattoli non glielo rovinassero. I ragazzoni del servizio segreto trascorrevano le ore a dar la
caccia a Cip e Ciop. FDR volle la piscina riscaldata sotterranea, per le nuotate necessarie a lenire i
guasti della poliomielite, costruita proprio sotto la vecchia sala stampa dove noi giornalisti
venivamo periodicamente avvolti da ondate di umidità da bagno turco. Nixon, il misantropo
solitario, ottenne una corsia da bowling, dove trascorreva ore nella notte giocando sempre da solo
e facendo strage di avversarsi politici nei metaforici birilli. Nancy Reagan, inorridita dalla bruttezza
dei servizi da pranzo, decimati e spaiati dai furti che tutti gli ospiti ufficiali della Casa Bianca
compiono (la moglie di un capo di stato straniero conobbe l' imbarazzo di perdere i pezzi dell'
argenteria che si era infilati sotto la gonna e che tintinnarono a terra scendendo la scalinata d'
onore), ordinò porcellane nuove. Le dovettero finanziare ricchi amici e ammiratori del marito,
perché con i cinquantamila dollari all' anno concessi alla prima famiglia per le spese varie, i
diciannovemila per la "rappresentanza" e i quattrocentomila (lordi) di appannaggio, pari al minimo
contrattuale di un giocatore di football brocco, un servizio di classe per i cento ospiti delle cene
ufficiali era fuori portata. Ed è già noto che Barack Obama vorrà un mezzo campo di basket
sotterraneo. Se nessuno osò mai rivoluzionare l' arredamento, come fece Jackie Kennedy
riportando in quella casa mobili d' epoca prestati dai musei al posto delle patacche scoperte dal
marito, antiquario dilettante, o sbudellare tutta la struttura interna come dovette fare Harry Truman
quando l' adorata moglie Margaret strimpellando al pianoforte a coda sprofondò al piano di sotto
per il cedimento delle travi fradice, nell' eterno dilemma fra la «reggia» e la «casa del popolo», la
White House incassa, scrolla le ali est e ovest, e sopravvive. Neppure gli inglesi vendicativi, che
nel 1814 tornarono e la incendiarono, riuscirono ad abbatterla. Non la distrussero le soldataglie
delle truppe nordiste, che bivaccavano in quella che ora è la sala dei ricevimenti ufficiali prima di
andare al massacro sulla riva opposta del Potomac, nel 1861. La altera cortigiana bianca, arrivata
alla ventiseiesima mano di vernice sulla facciata prima del restauro radicale negli anni Novanta, si
scrollò facilmente di dosso anche la frenesia pauperista di Jimmy Carter, che aveva scoperto con
orrore che in casa c' erano trecentocinquanta televisori, li fece ridurre a dieci per contenere la
bolletta elettrica e abbassò il termostato del riscaldamento a diciotto gradi di giorno e dodici di
notte. Rimase sordo, il buon pastore, alle implorazioni della moglie Rosalynn che, da onesta
sudista, rabbrividiva a letto in mutandoni e maglie di lana e alla silenziosa protesta delle segretarie
che battevano a macchina con i guanti. La vecchia casa che davvero può dire di averle viste tutte,
anche jumbo jet probabilmente diretti contro di lei un giorno di settembre e un kamikaze
cristianissimo che schiantò il proprio monomotore Piper contro la camera da letto di Clinton
(dormivano separati) sdegnato per i suoi colloqui carnali, regge perché conosce il segreto della
nazione che simboleggia e delle persone che la disprezzano, ma soltanto fino al giorno in cui la
devono lasciare e allora la rimpiangono. Possono fare di lei quello che vogliono, ma dopo quattro
anni, otto al massimo, si devono togliere dai piedi. Lei, la dama bianca, esiste da 209 anni. Loro, i
suoi effimeri amanti, sono tutti destinati a divenire fantasmi, come quel Lincoln che persino
Churchill giurava di avere incontrato nei piani alti, o scadenti ritratti a olio appesi alle pareti.
Guardatela bene, quando le telecamere la inquadreranno il 20 gennaio, perché con quei lunghi
denti bianchi sembra che sorrida, come se volesse dirci che la cortigiana non è lei, ma coloro che,
sotto i suoi abiti candidi da sposa sempre vergine, passano e vanno, lasciandosi dietro al massimo
una boccia da bowling e una zuppiera nuova. - VITTORIO ZUCCONI
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