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Jean-Claude Passeron
pierre bourdieu
Morte di un amico,
scomparsa di un pensatore
Edizione italiana a cura di
Giovanna Gianturco e Rossella Viola
Armando
editore
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Sommario
Introduzione 7
Morte di un amico, scomparsa di un pensatore 41
Bourdieu e Pierre Bourdieu 44
Sociologia e politica. Intrecci e scuole: Althusser, Foucault,
Bourdieu e gli altri 52
Affinità, habitus, inclinazioni, vedute 63
Sociologia e filosofia: epoche, ricerche, formulazioni, scritture
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Sociologia e pedagogia: percorsi, polemiche, critiche,
autocritiche 87
Flashback: sociologia, teoria, scrittura 100
Teoria e teorie sociologiche 105
Bibliografia 107
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Introduzione
Il testo che qui presentiamo nella traduzione italiana, pur traendo spunto da una dimensione biografico-evenemenziale, quale la scomparsa di un
grande sociologo contemporaneo come è stato Pierre Bourdieu, ci consente di riflettere su alcuni elementi fondamentali del suo pensiero attraverso
la mediazione di Jean-Claude Passeron. Quest’ultimo, voce narrante di un
viaggio della memoria che ripercorre la sua relazione accademica e di ricerca
con Bourdieu, durata circa dodici anni (1961-1972), e che ha prodotto opere
e analisi, consentendo loro di ritagliarsi un ruolo di primo piano nel campo
della sociologia mondiale.
Ma chi sono Pierre Bourdieu e Jean-Claude Passeron? Sono certamente
due autori che hanno condiviso una grande affinità intellettuale e un profondo rapporto personale, le cui basi sono, a nostro avviso, da rintracciarsi
anche nella loro pur differente storia familiare e di classe. Saranno infatti
queste affinità che consentiranno ai due autori francesi una stretta collaborazione, una produzione scientifica comune; come pure saranno il rapporto
e la successiva separazione a permettere ai due sociologi di generare la loro
opposta epistemologia. In effetti, anche se Bourdieu e Passeron finiranno
per sviluppare il loro apparato epistemologico in assoluta contrapposizione,
le loro due traiettorie intellettuali non possono essere comprese se non attraverso un’analisi congiunta.
Essi divengono perciò due personaggi emblematici, centrali, idealtipici, nel campo della teoria sociologica, poiché incarnano le due anime della
disciplina, operanti fin dalla sua fondazione: sociologia della struttura – la
sociologia durkheimiana – e sociologia del soggetto, dell’agire sociale – la
sociologia weberiana. Di questa duplicità epistemologica, infatti, Bourdieu e
Passeron possono essere assunti, a nostro avviso, come emblematici rappresentanti contemporanei. Ripercorrendo la loro storia, gli incontri e la biforcazione dei loro percorsi notiamo come essi rappresentino di fatto quei due
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irriducibili atteggiamenti speculativi che compongono il patrimonio genetico
della sociologia: le due gemelle dizigotiche (Spirito, 2008).
Proprio una tale emblematicità ci ha condotte alla traduzione di questo
articolo Mort d’un ami, disparition d’un penseur, dal momento che questo
scritto di Passeron ci permette appunto di:
1. rileggere la sociologia di Bourdieu e Passeron attraverso la ricostruzione
della loro storia familiare, scolastica e sociologica. Seguendo cioè l’insegnamento prezioso di Nobert Elias nel suo Mozart. Sociologia di un genio
(1991), ricostruiremo l’appartenenza familiare e sociale dei due autori, i
percorsi scolastici e accademici, la vicinanza e la separazione, cercando
di operare quella microsociologia che consente di afferrare il generale a
partire dal singolare (è emblematico come la ricostruzione delle storie di
Bourdieu e Passeron ci possa permettere il racconto del campo sociologico
francese, del sistema di insegnamento, delle modalità di selezione all’interno del processo formativo, delle alleanze/conflitti all’interno di quel campo
accademico);
2. ragionare su Bourdieu e Passeron come due esponenti contemporanei di
quella appena definita dualità che caratterizza la sociologia e ripensarla
nella sua attuale presenza all’interno della disciplina.
1. Storie personali, storie familiari, storie di classe
Al fine di comprendere Bourdieu e Passeron è necessario ricostruire come
dicevamo l’ambiente familiare, sociale, culturale nel quale si sono formati,
poiché, certo:
Il est aisé de reconnaître que tel enfant naît dans telle société, il est difficile
de savoir quel aspect il incorpore de cette socialité: ce n’est pas le tout de la
société dans laquelle il entre qui devient «sien». C’est encore plus difficile
de préciser selon quelles modalités se fait cette incorporation: un même trait
social peut aller de soi, être vécu comme contrainte ou de bien d’autres façons.
Et cela varie avec le temps: son être familial se modifiera en fonction de son
être scolaire ou de ses autres affiliations (François, 2007:45).
Questo sforzo ci sembra produttivo e necessario per accedere alla “storia”
di Bourdieu e Passeron dal momento che, pur condividendo la visione di Paul
Veyne, «tout détail biographique est symptomatique de la condition humaine
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à un instant de l’histoire des idées» (Veyne, 1996:13), vogliamo però tenerci
lontane sia da un banale psicologismo sia da un miope sociologismo1. La ricostruzione, seppur parziale, del percorso biografico dei due autori ci aiuterà così a
comprendere le loro traiettorie formative, il loro incontrarsi e scontrarsi, l’avvicinarsi e l’allontanarsi, ma soprattutto a prendere coscienza dell’esistenza di un
sottile filo che li ha, loro malgrado o con la loro complicità, tenuti sempre legati2.
Ci sembra necessario chiarire che prendiamo sin da ora le distanze da quei
lavori che hanno descritto il rapporto tra Bourdieu e Passeron come lineare e
idilliaco, lavori che riteniamo siano controproducenti rispetto alla possibilità
di riflettere proficuamente sui due autori, sulle loro storie, sulle loro idee,
in quanto: «… fabulent sur tout et sur rien: leur romanesque est toujours de
sociologie banale» (ibidem).
Pierre Bourdieu nasce a Denguin nel 1930. Il padre, figlio di un mezzadro,
è un postino, divenuto successivamente ufficiale postale. La madre appartiene
a una “grande famiglia” contadina (cfr. Bourdieu, 2005a:83), di ceto sociale
più elevato rispetto alla famiglia del padre. Conducono la loro vita in un piccolo paese del Béarn, nel dipartimento dei Pirenei Atlantici.
Jean-Claude Passeron ha i suoi natali a Nizza nello stesso anno di nascita
di Bourdieu, il 1930. I genitori di Passeron, entrambi provenienti da un ceto
rurale, si collocano all’interno della classe media francese: suo padre nasce in
un piccolo paese di montagna (Ascros) dove i suoi genitori gestiscono un hotel e riuscirà a divenire, grazie al valore che può acquisire un diploma anche
solo di studi primari all’interno di un contesto di analfabetizzazione diffuso,
un impiegato di banca. Sua madre, è figlia di un muratore – il quale diverrà
successivamente un piccolo imprenditore – e di una madre casalinga di origine piemontese. Grazie agli studi, la madre di Passeron svolgerà la professione
di istitutrice. Nel 1929 i due si sposano e si trasferiscono a Nizza dove verrà
dato alla luce Passeron e dove condurranno la loro vita, senza l’estenuante
ricerca di una distinzione e di una mobilità di classe forzata: «Marcel Passeron n’a pas tourné le dos à Ascros et n’est pas devenu un petit bourgeois
1 Siamo ovviamente ben lontane dall’idea di ripercorrere l’intera biografia dei due autori.
L’intenzione, qui, è quella di ricostruire la “traiettoria” di Bourdieu e Passeron situandola nei micromondi, nei microcampi, che essi hanno abitato. Intendiamo quindi la “traiettoria” (familiare,
personale, scolastica, professionale) come una storia delle esperienze sociali che hanno contribui­
to a strutturare le storie individuali dei due autori, ponendo l’accento su quegli elementi che, a
nostro avviso, risultano più utili a comprendere la complessità di queste “vite”. Ripercorrere cioè
l’essenziale per arrivare alla comprensione di Bourdieu e Passeron e delle teorie da essi elaborate.
2 Vedremo infatti che, come scrive Derek Robbins: «… the paths of the two men (Bourdieu
and Passeron) had not crossed significantly aither at the École normale or in Algeria, but their
social backgrounds and trajectories were remarkably similar» (Robbins, 2011:303).
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soucieux de cacher son origine rurale pour devenir un employé citadin» (Moreno Pestaña, 2012:354). La famiglia di Bourdieu, invece, sembra alla ricerca
della distinzione; è soprattutto la madre, influenzata dalla figura paterna, che
persegue la “rispettabilità sociale” per la sua famiglia:
mio nonno materno, parente povero di una “grande famiglia”, si preoccupava
molto della rispettabilità e ho scoperto più tardi, quando ho aiutato i miei genitori a trasformare la casa che aveva lasciato […] tutti i tesori di recupero e di
ingegnosità che aveva speso per dare a quella che era semplicemente la casetta
a un solo piano di un agricoltore o di un mezzadro, fatta essenzialmente di
uno stanzone con il pavimento in terra battuta e di una “sala” più presentabile,
riservata alle grandi occasioni, le apparenze di una grande casa a più piani – il
segno da cui si riconoscevano un tempo le grandi famiglie. […] Mio nonno
aveva trasmesso il suo senso di rispettabilità e il suo rispetto delle convenzioni
a mia madre, che lo seguiva in tutto e per tutto (Bourdieu, 2005a:83-84).
Bourdieu frequenta poi il liceo di Pau, nella regione dell’Aquitania, e in
seguito si trasferisce al liceo Louis-le-Grand di Parigi, dove frequenta la classe
preparatoire che gli consente di accedere nel 1951 a l’École Normale Supérieure di rue d’Ulm. Nel 1954 riceve l’agrégation in filosofia e l’anno successivo
insegna al liceo di Moulins, nella regione dell’Alvernia, nonostante Georges
Canguilhem gli avesse proposto una cattedra al liceo di Toulouse: «credeva
di farmi un grande favore rimandandomi al “paese”, e rimase molto stupito,
se non addirittura un po’ scosso, di vedermi rifiutare – per scegliere il liceo di
Moulins, che mi avvicinava a Clermont-Ferrand e a Jules Vuillemin» (ivi:35).
Passeron frequenta invece il liceo du Parc impérial di Nizza dove segue
un anno di classe preparatoire, per poi trasferirsi (dal 1950 al 1955) al liceo
Henri IV a Parigi3, una tra le più prestigiose istituzioni scolastiche, al fine di
preparare il concorso per accedere all’École Normale Supérieure.
È negli anni Cinquanta che le strade di Bourdieu e Passeron iniziano a
incrociarsi, sebbene ancora in maniera molto superficiale; c’è una prima conoscenza poiché frequentano la stessa classe di filosofia, all’École Normale
Supérieure di rue d’Ulm, senza però intrattenere uno stretto rapporto: «Vi
abbiamo vissuto, Bourdieu e io, in gruppi di commensali che si ignoravano e
a volte si snobbavano» (Passeron, infra, p. 71).
3 All’interno di un percorso che è, di fatto, simile, bisogna però considerare che le differenti
esperienze, in questo caso specifico la diversità dei due licei nei quali si formano i nostri autori,
condizioneranno anche la loro formazione, la loro inclinazione intellettuale, il loro sguardo sul
mondo. È ciò di cui dà testimonianza in questo saggio Passeron rispetto, ad esempio, al diverso
rapporto che hanno intrattenuto con Martin Heidegger (cfr. Passeron, infra, pp. 21 e 29).
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Durante gli anni dell’École Normale Supérieure, Passeron fa parte di un
gruppo i cui membri condividono la medesima visione politica (la maggior
parte è tesserata al PCF4), ma anche la passione e l’interesse per gli studiosi
più rivoluzionari (da Marx a Freud, a Nietzsche, “ma mai Heidegger”5) e tutti
molto vicini a Michel Foucault6 e a Louis Althusser, dai quali ricevono consigli e insegnamenti (cfr. Moreno Pestaña, 2012:356). Bourdieu, al contrario,
fa parte di una cerchia che si caratterizza maggiormente per la condivisione
di interessi filosofici, estetici e musicali; un gruppo cioè più distinto e distintivo secondo i criteri della cultura dominante dell’epoca e, comunque, meno
orientato politicamente (cfr. Veyne, 1996:13).
Dopo il diploma di Agrégation, nel 1955, Bourdieu e Passeron partono per
il servizio militare in Algeria. Questo è un ulteriore aspetto interessante nella
biografia di Bourdieu e Passeron: la comune esperienza di leva militare durante la guerra in Algeria; entrambi infatti sono costretti a parteciparvi, mentre
molti dei loro compagni dell’ENS riusciranno a evitare il servizio militare7.
Di ritorno dall’Algeria, nel 19608 Boudieu è assistente alla Sorbona, affiancando Raymond Aron9 e l’anno successivo diviene professore incaricato
all’Università di Lille. Passeron, invece, svolge corsi di lezione presso l’Insti4 La frequentazione dell’École Normale Supérieure e l’esperienza politica di quegli anni
consentono a Passeron di conoscere anche Michel Verret, filosofo marxista, con il quale stringerà una solida amicizia a partire dal 1966, quando si troveranno insieme a insegnare nell’Università di Nantes.
5 Si è già accennato al differente rapporto che i due autori hanno avuto con Heidegger.
È interessante, qui, soffermarsi sull’affermazione “ma mai Heidegger” che Passeron scrive
in questo saggio, tenendo presente che Bourdieu scriverà nel 1988, L’ontologie politique de
Martin Heidegger [trad. it. 1989], dimostrando, seppur con un atteggiamento di forte critica,
un profondo interesse per il filosfo tedesco.
6 È significativo il fatto che pur nella vicinanza a Foucault, vi fosse in Passeron un rifiuto
di Heidegger che ha invece fortemente influenzato il pensiero foucaultiano. Foucault è, sì,
un seguace di Nietzsche, ma soprattutto rispetto alla lettura che ne fa Heidegger. Anche qui,
inoltre, si ripropone una differenziazione con Bourdieu, il quale non ha mai intrattenuto una
relazione profonda con Foucault (sui rapporti tra Bourdieu e Foucault si vedano in particolare: Bourdieu P., Questa non è un’autobiografia. Elementi di autoanalisi, Milano, Feltrinelli,
2005a, pp. 77-80; Id., «Qu’est-ce que faire parler un auteur? À propos de Michel Foucault»,
in Sociétés et représentations, nov. 1996, pp. 13-18; Id., «Non chiedetemi chi sono. Un profilo
di Michel Foucault», in L’indice, 1, ottobre 1984, pp. 4-5).
7 «Presque tous les amis proches de Passeron à l’ENS éviteront la guerre d’une manière
ou d’une autre: parfois, en utilisant leur appartenance à la grande bourgeoisie» (Moreno Pestaña, 2012:357).
8 Il servizio militare termina nel 1958, ma Bourdieu rimarrà in Algeria fino al 1960 poiché, al fine di continuare le sue ricerche, accetta di ricoprire un posto di assistente presso la
Facoltà di Lettere di Algeri (cfr. Bourdieu, 2005a:50).
9 Sarà proprio Aron nel 1960 a richiedere il rientro immediato di Bourdieu a Parigi, offrendogli il posto di assistente alla Sorbona: «Nel 1960, alla vigilia della sollevazione dei
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tut Périer di Marsiglia. Nel 1961, grazie all’appoggio di Paul Veyne, sostitui­
sce Bourdieu per il posto di assistente alla Sorbona, entrando così anche lui
in contatto con Aron.
La modesta origine sociale che i due condividono condiziona profondamente la loro formazione e il loro sguardo sociologico sul mondo, soprattutto sulle ineguaglianze scolastiche e sociali e sulle analisi del dominio (pur,
naturalmente, nelle differenti elaborazioni). Uno degli elementi centrali su
cui le teorizzazioni di Bourdieu e Passeron divergono riguarda però proprio
la contrapposizione dominanti/dominati: per Bourdieu il mondo sociale è
controllato e gestito da classi dominanti che, possedendo la cultura legittima, affermano continuamente la loro superiorità esercitando una violenza
simbolica sulle classi dominate, conseguentemente costrette – al di là della
loro coscienza10 – a divenire complici inconsapevoli del dominio che sono
obbligate a subire. Passeron, al contrario, sostiene che vi possono essere varie forme di cultura dominante e che gli stessi dominati possiedono una loro
propria cultura che ha un suo valore specifico.
Per comprendere questa significativa differenza ci sembra utile, al di fuori
di qualsiasi meccanica dipendenza, considerare i campi in cui si inseriscono
le biografie dei due autori. In Bourdieu l’esempio è quello di un padre che rie­
sce a realizzare una mobilità sociale ascendente (da postino a ufficiale postale) e di una madre in cui la ricerca della distinzione è maggiormente evidente
e perseguita11. Inoltre, Bourdieu assume sin dai primi anni di istruzione un
habitus scisso (Bourdieu, 2005a:94) che gli deriva dal fatto di sentirsi molto
colonnelli, mi aveva permesso di rientrare a Parigi d’urgenza – un debito che non posso dimenticare – offrendomi di diventare suo assistente» (Bourdieu, 2005a:39).
10 Bourdieu rifiuta categoricamente il concetto di presa di coscienza, pur nel tentativo
di «… capire come, e a quali condizioni, possano istituirsi nelle cose e nei corpi le regole
e le regolarità di giochi sociali, capaci di costringere le pulsioni e gli interessi egoistici a
superarsi in e attraverso il conflitto regolato» (Bourdieu, 1998-99) – operazione, questa,
secondo lui necessaria per poi poter intervenire sulle classificazioni imposte, de-costruendole. Secondo Bourdieu infatti non si deve parlare di una presa di coscienza, poiché a suo
avviso ciò significa in qualche modo affermare che la vittima della violenza si sottomette
volontariamente ad essa, annullando coscientemente il suo diritto alla ribellione. Egli afferma invece che la violenza riesce ad esercitarsi senza ostacoli perché interviene su quelle
strutture cognitive non consce che sono state profondamente interiorizzate. In un’intervista
(Bourdieu, Benvenuto, 2001) sostiene infatti che: «Dal mio punto di vista, questa nozione
della presa di coscienza è molto ingenua, in quanto lascia supporre che i dominati – si
tratti dei proletari nella tradizione marxiana o delle donne nella tradizione femminista –
potrebbero liberarsi dalla dominazione attraverso una presa di coscienza dei meccanismi
della dominazione».
11 È evidente come Bourdieu abbia corretto qualsiasi aspetto della sua provenienza provinciale, proprio a voler annullare il più possibile i connotati della sua classe di provenienza.
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vicino ai suoi compagni di classe, figli di contadini poveri, di commercianti,
da cui era però separato da una «barriera invisibile, che si esprimeva a volte in
certi insulti rituali contro lous emplegats, gli impiegati “dalle mani bianche”,
un po’ come mio padre era separato da quei contadini e operai tra i quali viveva la sua condizione di piccolo funzionario povero» (ivi:82).
È questa dualità che consente a Bourdieu di conoscere e di vivere – così
sarà soprattutto nel corso della sua vita quando egli stesso potrà occupare
posizioni “legittime” e prestigiose (fra tutte l’elezione al Collège de France) – il punto di vista dei dominanti e dei dominati, di comprendere la forza
della classe egemone, il suo potere di umiliazione e di distinzione, la violenza
con la quale si impone sui soggetti che domina12. Centrali per lui sono stati
anche gli anni di internato13, di cui egli stesso parla come di un’esperienza
di sopravvivenza, non di vita, che hanno sicuramente inciso in maniera determinante sulla formazione delle sue disposizioni: «Mi ha infatti orientato
verso una visione realistica (flaubertiana) e combattiva dei rapporti sociali,
una visione che, già presente in me sin dall’educazione ricevuta nell’infanzia,
contrasta con quella irenistica, moralizzante e neutralizzata cui predispone, a
mio avviso, l’esperienza protetta delle esistenze borghesi» (ivi:86-87). Da qui
nasce forse quel senso di colpa che Bourdieu prova rispetto alla sua nuova
collocazione sociale e che non si può spiegare, come molti critici hanno fatto,
come un odio di classe, ma piuttosto come la strutturazione di un habitus,
quello che Bourdieu definisce del “miracolato” e che è costituito da entrambi
gli sguardi sul mondo: quello dei dominati e quello dei dominanti. «Le champ
“de la vie” dans lequel entre le jeune Bourdieu n’est pas beaucoup plus ouvert et surtout multiple? Bourdieu, suivant sa volonté méthodologique de
commencer par le champ dans lequel il est devenu lui même, commence par
décrire son “entrée en sociologie” (en même temps que ses relations à l’École
normale supérieure), en même temps que sa sortie polémique du champ de la
philosophie» (François, 2007:51).
Anche Passeron ha l’occasione di vivere una duplice modalità di esperienza, incarnata dal razionalismo laico della madre, e dalle origini rurali/
12 Qui Bourdieu descrive una forma di violenza simbolica che ha subito quando la sua
posizione era ancora tra i dominanti: «Quello che sarebbe divenuto il mio primo rivale negli
ultimi anni di liceo, figlio di un’impiegata dei dintorni di Pau, ma molto vicino, attraverso lo
scoutismo, ai figli dei maestri o dei medici della città, di cui imitava i modi e l’accento corretto, mi feriva spesso pronunciando il mio cognome al modo dei contadini delle campagne
circostanti e ironizzando sul mio nome, simbolo di tutta l’arretratezza campagnola, del mio
paese di origine» (Bourdieu, 2005a:93).
13 Bourdieu definisce l’internato come un’istituzione totale, citando Goffman (Bourdieu,
2005a:88).
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provinciali, mai rinnegate, del padre, che gli ricordano quanto sia difficile acquisire posizioni dominanti all’interno della struttura sociale. Probabilmente
però la forma attraverso cui vive la sua collocazione di classe e l’esperienza
che ne discende è differente. Meno interessato alla distinzione, meno attento
a rispettare i valori della classe dominante, Passeron riesce a elaborare uno
sguardo sul mondo multifattoriale, considerando anche il valore che assume
la cultura dei dominati, la quale, necessariamente, si incontra e si scontra con
la cultura dei dominante nel medesimo spazio sociale.
All’interno di questa divergenza storico-biografica, ma, lo ripetiamo, lontano da qualsiasi meccanica dipendenza, Bourdieu elaborerà una teoria generale del dominio, laddove invece Passeron si avvicinerà all’idea weberiana
della multifattorialità, parlando di un io multiplo o di un’ambivalenza di modelli (Grignon, Passeron, 1989), proprio a sottolineare la presenza di valori
contraddittori che possono coesistere all’interno di un medesimo individuo,
così come coesistono in lui stesso valori «tantôt rurales et indifférentes à la
bonne volonté culturelle, tantôt complètement sous l’emprise des bienfaits du
discours scolaire et académique» (Moreno Pestaña, 2012:355).
D’altro canto, l’affinità tra i contesti sociali di provenienza ha fatto sì che
Bourdieu e Passeron potessero trovare un terreno fertile per la realizzazione
di lavori comuni. Con le parole di Bourdieu, che Passeron potrebbe condividere senza alcun problema: «il fatto di provenire dalle “classi” che alcuni
amano definire “modeste” procura virtù che non vengono insegnate dai manuali di metodologia» (Bourdieu, 2005a:97).
2. Divergenze, unioni, incontri
Come in parte già accennato, anche se i contesti di crescita e di formazione sono molto affini, le divergenze poi tra Bourdieu e Passeron sono tutt’altro
che marginali. Il loro apparato filosofico si compone di riferimenti teorici
diversi e spesso contrapposti e, anche quando si tratti di autori condivisi, differente è il rapporto instaurato con essi.
Riprendendo infatti le parole di Passeron, dovendo individuare una formazione filosofica comune, potremmo dire che Bourdieu e Passeron aderiscono concettualmente alla metafisica classica (anche qui però distinguendosi: Spinoza per Passeron, Leibniz per Bourdieu)14 e all’idea kantiana delle
14 Entrambi si dedicano alla studio della riflessione di Spinoza, ma Bourdieu è profondamente influenzato dalla filosofia di Leibniz e dalla sua ricerca di un modello di integrazione
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condizioni di possibilità di conoscenza a partire dai giudizi sintetici a priori in
tutte le scienze che si riferiscono al mondo empirico. Entrambi cioè ritengono
necessario utilizzare strumenti e chiavi filosofiche per poter costruire una valida cassetta degli attrezzi utili a osservare il mondo sociale.
Rispetto a queste concezioni, la discontinuità della storia delle scienze e
la filosofia del non15 elaborate da Gaston Bachelard permettono a Bourdieu
e Passeron di sfuggire alle opposizioni che erano state fondate dalle filosofie
della conoscenza, le quali, allontanandosi dal razionalismo applicato16, producevano e riproducevano dualismi irriducibili: formalismo e positivismo,
convenzionalismo ed empirismo, idealismo e realismo.
La maggiore distanza tra i due sociologi riguarda forse il rapporto con
la psicologia e, in particolare, con la psicoanalisi. Se Bourdieu condanna,
criticandola aspramente, la psicoanalisi, Passeron, influenzato e consigliato
anche da Michel Foucault, pur proseguendo gli studi in filosofia, si dedica anche allo studio della psicologia. È infatti Foucault a indirizzarlo verso Daniel
Lagache che lo seguirà per il diploma di studi superiori (al termine dei quali
acquisirà un diploma di psicologia e di filosofia). L’avvicinamento alla psicologia influenzerà profondamente la sua impostazione intellettuale, soprattutto
rispetto ai limiti della spiegazione sociologica: è dalla psicoanalisi freudiana
che maturerà in Passeron l’idea che come ogni tipo di analisi non può proporsi una fine, così è impossibile porre un termine alla spiegazione di una realtà
storica, sempre in divenire17.
Come già ricordato, i due iniziano a collaborare agli inizi degli anni Sessanta, quando Passeron, nel 1961, succede a Bourdieu, lavorando come assistente alla Sorbona accanto a Raymond Aron, mentre Bourdieu parte per
Lille dove ricopre il ruolo di Maître de conférences presso la Facoltà di
lettere (cfr. Delsaut, 2005:72). In questi anni, Bourdieu e Passeron vogliono
insegnare la sociologia come disciplina storica e non come una brutta copia
delle scienze sperimentali o deduttive, con cui la sociologia poco aveva in
comune «eccetto per ciò che imita da queste con più ostentazione che riuscita» (Passeron, infra, p. 46).
delle conoscenze formulate in maniera deduttiva e lineare: «Trovavo nell’opera di Leibniz, la
cui lettura mi costringeva a studiare matematica (il calcolo differenziale e integrale, la topologia) e un po’ di logica, un’altra occasione di identificazione reattiva» (Bourdieu, 2005a:46).
15 Bachelard G., La filosofia del non. Saggio di una filosofia del nuovo spirito scientifico,
Roma, Armando, 1998 [ed. orig. 1975].
16 Bachelard G., Il razionalismo applicato, Bari, Dedalo, 1993 [ed. orig. 1949].
17 Di particolare interesse in tal senso sono le pagine introduttive – Penser par cas. Raisonner à partir de singularités – del testo curato da J.-P. Passeron e J. Revel, Penser par cas,
Paris, Éditions de l’École des Hautes Études en Sciences Sociales, 2005, pp. 9-44.
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Sulla base di questa medesima visione della sociologia e grazie ad Aron,
Bourdieu e Passeron iniziano a lavorare insieme al Centre de Sociologie
européenne, accomunati, tra l’altro, da un’analoga scelta di studio: due transfughi della filosofia che volevano farsi scienzati sociali, sociologi. Rispetto al Centre de Sociologie Européenne, l’intenzione di Bourdieu – il quale
avanzava una profonda critica al gruppo di ricerca che vi lavorava – è quella
di potervi inserire e sviluppare il suo indirizzo di ricerca, operazione a suo
avviso possibile grazie all’aiuto di Aron e alla collaborazione con Passeron
(cfr. Moreno Pestaña, 2012:358). Bourdieu e Passeron iniziano così a lavorare al Centro con l’intento di voler indagare “metodicamente” e “comparativamente” – termini intesi in senso durkheimiano – le diversità antropologiche delle società, che iniziano a studiare attraverso i lavori di ricerca sul
sistema scolastico.
In questi anni, il rapporto che Bourdieu e Passeron hanno con Aron è differente. Bourdieu è il suo allievo prediletto (Veyne, 1996:7-12) e condivide
con lui un rapporto di lavoro, ma anche amicale18 (cfr. Bourdieu, 2005a:40);
di Passeron, invece, Aron non si è mai completamente fidato (cfr. ivi:7), perché considerava le sue posizioni politiche troppo estremistiche (cfr. Moreno
Pestaña, 2012:358).
Ad ogni modo, Aron è un personaggio centrale per i nostri autori. Egli
rappresenta – all’interno di un mondo accademico molto chiuso in cui ogni
autore occupa un posto ben preciso nel campo sociologico – una terza via da
percorrere per sottrarsi all’alternativa tra la sociologia teoricista di Gurvitch
e la psicosociologia scientista di Stoetzel (cfr. Bourdieu, 2005a:38). Tale
centralità è evidente sia sul piano istituzionale, poiché Aron rappresenta il
lasciapassare per entrare nelle grandi istituzioni dell’insegnamento superiore,
tanto quello delle università quanto quello delle Grandes Écoles; sia sul piano
intellettuale, in quanto Aron è stato direttore della tesi di dottorato di entrambi
(Delsaut, 2005:73) – di Bourdieu con un lavoro su «Thèorie critique de la
culture» e di Passeron con un’analisi concernente la «Sociologie des intellectuels» (Moreno Pestaña, 2012:358).
È proprio grazie ad Aron che Passeron si avvicina alla sociologia weberiana. Aron infatti era stato tra i giovani filosofi che negli anni Trenta avevano introdotto l’opera di Weber in Francia (cfr. Robbins, 2011:302). A fronte
di una sociologia durkheimiana che appariva come un apparato intellettuale sclerotizzato, giovani sociologi e filosofi, tra cui Aron, Georges Bataille,
18 Anche se Aron considerava Bourdieu un opportunista, interessato a una mobilità sociale verticale che avrebbe dovuto attuarsi in tempi sin troppo rapidi (cfr. Delsaut 2005:73).
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Roger Caillois, Maurice Merleau-Ponty approfondiscono la riflessione weberiana contro l’idea di un paradigma sociologico unico, impossibile da
realizzarsi secondo il sociologo tedesco, poiché le scienze sociali studiano
individui storici che sono il prodotto del contesto socio-culturale nel quale vivono; è dunque impensabile ritenere di poter studiare individui culturalmente
e storicamente determinati a partire dalla deduzione di alcune variabili dal
momento che, al contrario, le vie della causalità storica non sono prevedibili.
Ogni variabile, sia essa economica, sociale, culturale, agisce all’interno di un
preciso contesto storico e acquisisce un senso che non si può conoscere in anticipo (Weber, 1920-1922; 1922). All’interno, cioè, di un quadro composto da
realtà storiche, nessuno strumento analitico può condurre a una descrizione/
spiegazione esaustiva e completa19.
Il rapporto di collaborazione con Aron termina nella temperie del maggio
’6820 giacché, nonostante la sua apertura intellettuale, la posizione di Aron
rimane profondamente conservatrice ed è quindi per lui difficile accettare
lavori di Bourdieu e Passeron, caratterizzati da un forte spirito critico, come
Les Héritiers. Les étudiants et la culture (1964) scritto quattro anni prima
rispetto al Sessantotto e che è stato considerato da alcuni come un’opera di incitamento alle rivolte del movimento studentesco (cfr. Passeron, infra, p. 90).
Gli anni Sessanta costituiscono anche il periodo in cui Bourdieu e Passeron dialogano, seppur in forme indirette, con Louis Althusser. Quest’ultimo,
infatti, utilizza le teorizzazioni weberiane per criticare e mettere in discussione le teorie elaborate da Hegel. Tali rielaborazioni critiche avranno una
forte influenza su Bourdieu e Passeron e sui loro lavori. La vicinanza con
Althusser è ulteriormente confermata sia dal fatto che i due sociologi fran19 Questa impostazione relativa all’incapacità della sociologia di poter spiegare in maniera totale il mondo sociale e, dunque, la consapevolezza che le categorie di analisi possono
mettere in evidenza solo una delle facce della realtà, occultandone altre, è la critica che Aron
rivolge a Durkheim e che Passeron rivolgerà a Bourdieu (cfr. Moreno Pestaña, 2012:359).
20 Infatti, pur essendo un processo che già si sviluppa negli anni precedenti, nota Robbins
(2011:313) come «… this divergence crystallised in their reactions to May 1968. – mettendo
qui già in evidenza i tratti teorico-epistemologici di base che caratterizzeranno la sociologia
di Passeron – Crudely, Aron retained a view of politics and as diplomacy and of the primary
of politics understood as such. He would regard social action not as intrinsically political, but
only as a variable in comparing political systems. Bourdieu’s critique of structuralism led him
to support immanent socio-cultural agency, running the risk of the culturalism described by
Castel and Passeron – si fa qui riferimento al testo Education, développement et démocratie,
Paris, Mouton, 1967 – and leading towards the totalitarianism of the social ascribed by Aron
to Durkheim and the concomitant denial of the autonomy of politics as well as to what Passeron was to regard as clandestine Hegelianism. Attempting to resist the elements of transcendental idealism in Aron’s position as well as the incipient culturalism of Bourdieu’s, Passeron
sought to map the autonomous logics of plural discourses, systems and institutions».
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cesi abbiano partecipato – invitati dal filosofo marxista – al seminario da lui
condotto nel 1963-1964, sia dalla recensione scritta da Étienne Balibar – un
suo allievo – su I delfini e pubblicata sulla rivista degli studenti comunisti
(Masson, 2005:104). Fino al 1968 sono presenti profonde similitudini tra
il lavoro che Althusser compie all’interno del campo marxista e quello di
Bourdieu e Passeron nel campo sociologico (cfr. Baranger, 2004:384). Tale
prossimità porterà Bourdieu e Passeron a citare Althusser nella prima edizione de Le métier de sociologue del 1968, ma questo riferimento scomparirà
poi nell’edizione abbreviata del 1973 (probabilmente non solo per motivi
di riduzione del testo). Il distacco si riprodurrà negli allievi di Althusser
che prenderanno le distanze dalla sociologia e dai sociologi. Jacques Bidet
(1995:18) arriverà addirittura a sostenere che le analisi condotte dagli allievi
di Althusser sugli Apparati Ideologici di Stato nascano da una reazione contro le teorie di Bour­dieu e Passeron.
Anche in questo rapporto Bourdieu e Passeron assumono una posizione
differente: il primo, a partire dagli anni Settanta, inizierà a criticare fortemente Althusser, mentre per Passeron resterà in ogni caso un riferimento, mostrando nel tempo continuità di interesse ai suoi lavori (Baranger, 2004:385).
In particolare, il segno di Althusser nella teoria di Passeron è evidente nella
critica che quest’ultimo compie ai modelli hegeliani dell’argomentazione, già
presente in alcuni lavori di Althusser21 e, appunto, ripresa da Passeron ne Le
raisonnement sociologique (1991 e 2006).
***
Nell’iniziale collaborazione al Centre de Sociologie européenne, si può
dire, certamente, che Bourdieu e Passeron condividevano la stessa epistemologia, entrambi fortemente influenzati dalla sociologia durkheimiana. Prova
di questa adesione a una delle due anime della sociologia è uno scritto del
196722 dove essi, riflettendo sui rapporti tra filosofia e sociologia, affermano
la risurrezione di una filosofia senza soggetto e una centralità della struttura.
In Francia questo filone si afferma con Claude Lévi-Strauss e, in particolare,
21 Tra
gli altri: Althusser L., Per Marx, Roma, Editori Riuniti, 1967 [ed. orig. 1965].
Bourdieu P., Passeron J.C., «Sociology and Philosophy in France since 1945: Death
and Ressurrection of a Philosophy without a Subject», in Social Forces, 34, I, New York,
1967, pp. 162-212. Nel descrivere i rapporti tra filosofia e sociologia del XIX secolo, gli
autori cercano di ricostruire gli orientamenti teorici degli strutturalisti negli anni Sessanta (tra
questi soprattutto Lévi-Strauss, Dumézil, Lacan, Foucault, Althusser) opponendoli alle filosofie del soggetto di ispirazione tomista o sartriana attraverso l’esistenzialismo.
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con due opere: La Pensée sauvage (1962) e Anthropologie structurale
(1958) e viene poi perseguito da differenti autori come Foucault con Les
Mots et les Choses. Une archéologie des sciences humaines (1966), dove a
partire dall’affermazione di Nietzsche “Dio è morto”23, Foucault afferma la
morte dell’uomo.
L’intento di Foucault, così come di tutti gli strutturalisti, è quello di oltrepassare il soggetto, quel soggetto che Cartesio nel 1637 pone come punto di
partenza epistemologica unico con il suo “Ego cogito. Ergo sum”24. Questo
soggetto che domina la conoscenza e la realtà viene appunto messo in discussione dagli strutturalisti che affermano che il soggetto non si trova al centro
del mondo, né lo domina, ma appartiene al contesto storico: egli non è tanto
un soggetto costituente della realtà quanto piuttosto un soggetto costituito
dalle relazioni all’interno della struttura.
In altre parole, la centralità del soggetto proclamata da Cartesio e riprodotta in termini esistenzialisti da Jean-Paul Sartre25, viene completamente
messa in discussione dagli strutturalisti che pongono la struttura al centro
della realtà e inseriscono il soggetto all’interno di questa struttura: tale, la
tendenza intellettuale che si afferma in Francia in quegli anni.
In questo contesto Bourdieu e Passeron elaborano e esplicitano il loro
strutturalismo26 e, più precisamente, la necessità di approfondire una sociologia senza soggetto, poiché, a loro avviso, non vi può essere molto spazio
per esso e per la sua possibilità di azione giacché questo soggetto è sempre
dominato e determinato dalla struttura sociale27.
La collaborazione tra Bourdieu e Passeron, continuando, porta alla stesura di tre testi centrali: I delfini. Gli studenti e la cultura (2006, 1971a) [Les
23
Nietzsche F., La gaia scienza, Torino, Einaudi, 2015 (aforisma 125) [ed. orig. 1882].
Descartes R., Discorso sul metodo, Roma-Bari, Laterza, 2004 [ed. orig. 1637]; Id.,
Meditazioni metafisiche, Roma-Bari, Laterza, 2014 [ed. orig. 1647].
25 Sartre J.P., La trascendenza dell’ego, Milano, Marinotti, 2011 [ed. orig. 1936]; Id., L’essere e il nulla. La condizione umana secondo l’esistenzialismo, Milano, Il Saggiatore, 2008
[ed. orig. 1943]; Id., L’esistenzialismo è un umanismo, Milano, Mursia, 2007 [ed. orig. 1946].
26 In effetti, non è propriamente corretto definire Bourdieu e Passeron come due strutturalisti. È più corretto sottolineare l’influenza di tale corrente nella formulazione del loro
pensiero. Un’influenza che Bourdieu vive soprattutto rispetto al lavoro di Claude Lévi-Strauss
(anche se lo stesso Bourdieu si emanciperà presto dall’antropologia strutturalista di LéviStrauss; prova ne è il suo lavoro sulla società contadina di Béarn – da cui pubblicherà tre articoli in differenti momenti del suo percorso teorico e che sono raccolti in Bourdieu P., Le Bal
des célibataires. Crise de la société paysanne en Béarn, Paris, Seuil, 2002 – che egli stesso
definisce una sorta di “Tristi tropici alla rovescia” – Bourdieu, 2005a:63) e Passeron rispetto
alle opere di Foucault.
27 Pesava molto in sociologia l’idea durkheimiana dell’oggettivazione dei fatti sociali
come principio primo di riferimento della sociologia scientifica.
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héritiers. Les étudiants et la culture, 1964], Il mestiere di sociologo (1976)
[Le métier du sociologue, 1968] – con un terzo autore: Jean-Claude Chamboredon – e La riproduzione. Per una teoria dell’insegnamento (2006) [La
reproduction. Eléments pour une thèorie du système d’enseignement, 1970].
3. Lavori congiunti
Forse non si sbaglia nel sostenere, insieme a Passeron, che l’iniziale lavoro congiunto dei nostri autori non trova la sua ragion d’essere tanto in una
medesima formazione filosofico-sociologica, quanto piuttosto in quell’inclinazione28 che fa sì che alcuni oggetti di studio vengano trascelti «come per un
magnetismo che punta sempre verso lo stesso nord» (Passeron, infra, p. 77).
È in questa precisa forma che Bourdieu e Passeron iniziano a ragionare sulle
condizioni sociali, sui conflitti, sulle tensioni, sulle ineguaglianze familiari,
scolastiche e sociali e sulla necessità del sistema sociale di mantenerle per
rafforzare la sua struttura. Nascono così le due opere di sociologia dell’educazione Les héritiers. Les étudiants et la culture (1964); La reproduction.
Eléments pour une thèorie du système d’enseignement (1970)29.
Quando Bourdieu e Passeron scrivono Les Héritiers, la loro posizione
scientifica non è ancora delineata in maniera precisa. In ambito marxista la
riflessione sul ruolo svolto dalla sovrastruttura è collegabile alla teorizzazione
gramsciana dell’egemonia (in cui rientra anche la riflessione di Althusser sugli apparati ideologici di stato). I due autori, partendo dall’idea che la sociologia debba produrre analisi empiriche di oggetti ben circoscritti, scrivono Les
Héritiers, che è il primo libro a base empirica nella sociologia francese che
soddisfa questo assioma, recuperando il pensiero dei tre maestri (Durkheim,
Marx, Weber) e utilizzando le loro riflessioni per studiare l’istituzione scolastica (cfr. Masson, 2014:85).
Bourdieu e Passeron vogliono così mostrare come l’istituzione scolastica
abbia quale principale funzione quella di legittimare le diseguaglianze culturali, mantenendo e riproducendo il privilegio di cui godono le classi abbienti
e contribuendo conseguentemente a conservare inalterato l’ordine sociale.
28 Nel saggio Passeron contrappone all’habitus bourdieusiano il suo concetto di humeur
che abbiamo scelto di tradurre con il termine inclinazione poiché ci sembra che questa parola
riesca più fedelmente a riprodurre il senso da Passeron attribuito all’humeur.
29 Tra le maggiori opere prodotte, ricordiamo anche, tra le altre: Les étudiants et leurs
études, Paris, Mouton, 1964; Rapport pédagoqique et communication, Paris, Mouton, 1965
(in collaborazione con Monique de Saint-Martin).
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