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n° 325 - maggio 2006
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
Sotto il segno del giallo
Violento, stridente oppure
pastoso, materico, il giallo
è il più caldo, espansivo e
ardente dei colori. «È il colore più prossimo alla luce.
Origina da una sua attenuazione lievissima…»
così lo descrive Goethe nei
suoi studi, intimamente
collegato alla luce dalla
quale nasce come una sorta
di degradazione. È da sempre sinonimo di sole, degli stati di illuminazione
e quindi della conoscenza,
intuizione, intelligenza e
comprensione. Queste qualità gli hanno assegnato
spesso il ruolo di attributo
divino: per gli aztechi insieme al blu, il giallo colora la divinità che rappresenta il sole dello Zenith;
per i cinesi è il colore riservato all’imperatore; nella
Grecia classica rappresenta
Elios dio del sole; il dio Vishnu è detto il portatore di
abiti gialli; nell’iconografia cristiana, per evidenziare la connessione con la
luce, Gesù Cristo è raffigurato con barba e capelli
biondi anche se contro ogni
verosimiglianza etnica.
Come la luce possiede la
caratteristica di essere radiante, è difficile da contenere, tende ad allargare,
assume un moto centrifugo, propende a uscire dai
limiti entro i quali si vorrebbe rinchiudere. Kandinskj osserva che «se si
tracciano due cerchi di
uguale grandezza e se ne
colora uno di giallo e l’altro di blu, si osserverà già
dopo un istante che il giallo
irraggia, riceve un movimento dal centro verso
l’esterno e sembra quasi avvicinarsi all’osservatore.
L’occhio viene abbagliato
dal primo cerchio, mentre
si immerge nel secondo».
Risulta quindi essere un
colore sfuggente, sul quale
è difficile posare lo sguardo,
che non invita a entrare.
L’occhio diventa inquieto
e non riesce a soffermarsi,
non trova riposo come nel
blu o nel verde. Nei toni
più accesi può arrivare ad
essere squillante come il
suono di una tromba e così
come questa nelle note alte
ferisce l’orecchio, il giallo
ferisce l’occhio dopo una
pur breve osservazione.
Il grande potere riflettente
che possiede dona agli oggetti un aspetto di leggerezza e ampiezza; da ciò deriva la sensazione di incostanza e superficialità: “folle
di energia ma incapace di
profondità” con un carattere frivolo “che si spreca
dappertutto” così lo spiega
Kandinskij. Questo effetto
di mancanza di profondità
lo associa simbolicamente
all’assenza di un legame
con la realtà e spiega come
il giallo sia diventato il simbolo dell’estrema forma patologica di questa assenza:
la pazzia; da sempre il giallo
distingue i folli, le cose eccentriche, trasgressive e ridicole. A questa caratteristica si affianca quella di
spiccata instabilità: è un
colore delicato allegro e vivace, ma basta una piccolissima alterazione per diventare sgradevole e malaticcio. Un tono di meno
o uno di troppo e diventa
maligno, un piccolo tocco
di blu e si fa verdastro, zolfo
luciferino. Il giallo, colore
delle divinità solari (con
l’oro) e delle potenze infer-
nali (con lo zolfo), è chiamato a rappresentare contemporaneamente Cristo
e Lucifero, entrambi figure
portatrici di luce, due opposti destini e stadi del nostro percorso umano. Dalla
luce divina all’inferno, dalla
saggezza alla follia, dalla
verità all’inganno. Nella
mitologia greca le mele
d’oro del giardino delle
Esperidi sono simbolo di
amore e di concordia, nondimeno la guerra di Troia
fu scatenata per una mela
d’oro di Paride, pomo di
superbia e gelosia. Giallo
che per la sua instabilità
assume il significato del
tradimento: la gelosia e gli
abiti dei traditori si tingono di questo colore.
L’esempio più celebre di
quest’ultimo effetto è rappresentato dalla scena del
Bacio nel giardino del Getsemani, dipinta da Giotto a
Padova nella Cappella degli Scrovegni. In questa
raffigurazione, il corpo di
Gesù è nascosto dal mantello giallo di Giuda, che
lo abbraccia e lo avvolge,
da questa rappresentazione
in poi l’uso del giallo per
il manto dell’apostolo diventerà frequente. Colore
degli emarginati un genere, già nel 1200 un editto
pontificio obbliga gli Ebrei
a portare un distintivo
giallo, usanza che è durata
a lungo e che è poi stata
riesumata nel periodo nazista con l’imposizione di
portare la stella gialla di
David.
Giallo è il colore del sole e
dell’oro, a quest’ultimo fin
dall’antichità si attribuiscono qualità positive e ultraterrene: gli Egizi rite-
Mosaici della volta del Battistero di Firenze
Sandro Botticelli: Nascita di Venere (part)
Firenze, Galleria degli Uffizi
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nevano che il sole stesso
fosse d’oro considerando
invece il metallo terreno
una secrezione di Ra. In
tutto il mondo, le rappresentazioni delle divinità e
i luoghi consacrati al divino sono rilucenti di questo materiale. Come sinonimo di potere e discendenza divina, si estende anche alla sovranità umana e
insieme alla porpora, è riservato ai sommi sacerdoti
e ai re, questi rivestivano
non solo i luoghi sacri e la
propria persona d’oro, ma
anche le loro dimore raggiungendo a volte particolari bizzarrie come quelle
dell’imperatore Nerone
nella Domus Aurea a Roma
eccezionalmente ricca di
ornamenti. Non esprimendo l’aspetto di totalità, ma quello illuminante
e chiarificatore della coscienza, visivamente può
tradursi in un’aureola o una
mandorla intorno ai personaggi sacri, la prima come
un’aura sfavillante che circonda la testa e la seconda
come un ovale che racchiude
e isola l’intera figura.
L’attenzione particolare per
questo metallo rilucente e
incorruttibile, profila una
decadenza dei valori simbolici del giallo e già nel
Medioevo, quando l’oro si
afferma come colore vero
e proprio, il giallo è considerato una specie di surrogato. L’oro è insieme materia e luce, è l’unico metallo che allo stato puro
possiede una lucentezza
inalterabile tale da poter
riprodurre il fulgore divino. Il giallo nei suoi confronti rappresenta la degenerazione terrena e la perdita di purezza, solo quando
era impossibile usare l’oro
si usava il giallo che però
non raggiungeva mai lo
splendore desiderato.
L’uso dell’oro nel Medioevo
dimostra come la natura
dei materiali avesse la priorità sul realismo delle raffigurazioni. Le figure sacre, per esempio nelle pale
d’altare o nei mosaici bizantini, non sono circondate da elementi legati alla
realtà: cieli, alberi, architetture o altro, ma da campiture dorate che non consentono nessuna profondità o accenno alla realtà e
che costituiscono superfici
pure e astratte amplificate
scenograficamente dalla
penombra della luce delle
candele. Successivamente
l’utilizzo dell’oro è andato
riducendosi limitandosi a
cornici dorate, perdendo il
valore di colore, nel recupero di una rappresentazione più realistica. È usato
nella pittura per lumeggiare con spruzzature d’oro,
fino a raggiungere mirabili risultati come quelli
di Jacopo Bellini nella Madonna con Lionello d’Este: qui
il manto della Vergine assume una consistenza serica ed eterea proprio con
questa tecnica. Sandro Botticelli ottiene effetti straordinari, nelle capigliature,
per esempio, alle quali riserva una particolare attenzione: i capelli della dea
nella Nascita di Venere sono
estremamente suggestivi,
non solo perché dipinti con
una tecnica minuziosa, ma
anche perché intrecciati
con l’oro che li rende luminosi e brillanti. In epoca
successiva, chi si riappropria dell’oro come colore
vero e proprio è Gustav
Klimt. Dopo un viaggio
in Italia, l’impressione suscitata dalla visita a Ravenna dei mosaici di San
Vitale completa uno stile
già bidimensionale e lineare: l’oro diventa la trama
principale dei suoi quadri,
in opere precedenti Klimt
lo ha già usato, ma solo
come decorazione per cornici, gioielli e ornamenti.
Le visite a Ravenna, lo conducono ad un uso dell’oro
più massiccio e applicato
in foglia, ma più che altro
gli assegnano il ruolo strutturale di isolare la fisicità
della figura dal resto della
composizione aprendo il
cosiddetto periodo d’oro.
Ma l’artista che più di ogni
altro si può chiamare a rappresentare le caratteristiche di questo colore è certamente Vincent Van Gogh.
Egli ne ha vissuto tutti gli
aspetti, positivi e negativi,
l’archetipo del giallo ha dominato e travolto tutta la
sua vita, dal fervore creativo all’esaltazione folle e
tragica che lo ha portato
alla morte. Una particolare passione per questo colore, lo ha spinto a riproporlo in pittura, sondandone tutte le sfumature da
quelle più calde a quelle
più fredde. Nei suoi quadri i colori in generale e le
tonalità del giallo in particolare, lasciano trasparire
gli stati d’animo dell’artista e li infondono nello spettatore. I Girasoli, che riescono con la loro forza a trasformare la tradizionale natura morta in una rappresentazione ricca di energia
e di vita; le pennellate, seguendone l’andamento,
conferiscono vigore e vitalità ai petali. Il sole, che
nel Seminatore al tramonto
ruba il centro della scena
al protagonista che gli cede
il posto confondendosi con
i colori del campo. Sole,
che sembra non brillare
mai abbastanza, potente e
accecante dipinto con pennellate che ne simulano i
raggi e che libera una forza
benefica e coinvolgente. La
violenza suggerita dallo
stridore dei colori del Caffè
di notte con il giallo del pavimento che sembra non
Giotto: Bacio nel giardino del Getsemani Padova,
Cappella degli Scrovegni
Maschera d’oro di Tutankhamon - Cairo, Museo
Egizio
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sostenere niente e lasciar
scivolare tutto sull’osservatore, ma necessario a compensare la drammaticità
dei muri color sangue. La
grande forza emotiva della
calda sinfonia di gialli, arancio e rossi scandita e ordinata dall’azzurro del cielo
nei Salici al tramonto, fino
al drammatico presagio del
Campo di grano con corvi affidato a colori saturi e a
pennellate spigolose e nervose.
Impronte di giallo in esperienze altrettanto drammatiche e legate a stati psicologici critici, si trovano
nel percorso espressionista di Ernst Ludwig Kirchner. Sono tracce di un
giallo, senza gioia e senza
calore, frutto di una vita
turbata da problemi di salute e profondamente segnata dall’esperienza della
guerra, sempre soggetta a
disturbi psichici fino all’estrema soluzione del suicidio. L’appello alla gioventù, all’unione delle forze
per comunicare con
l’esterno, dichiarato nel
manifesto Die Brücke si traduce in realtà per Kirchner,
in una poetica dell’incomunicabilità: le sue scene
metropolitane sono pervase da un’enfasi negativa
di colori e forme pungenti.
Le figure femminili in
strada, rappresentano una
Belle époque silente e triste:
sono isolate, non parlano,
hanno lo sguardo fisso che
le rende impenetrabili e
che lascia solo intuire il
dramma interiore. La natura è ostile: nella Fattoria
Staberhof Fehrmarn I, pur
partendo da riferimenti cézanniani come la tricromia
giallo-verde-azzurro e il
ribaltamento prospettico,
le pennellate di Kirchner
creano un’atmosfera torva
e minacciosa. Gli elementi
naturali sono cupi e vivono
in quest’ambiente greve
illuminato da un sole malato che accende gli oggetti con un giallo acido
che non armonizza, ma in
realtà separa il costruito
dalla natura.
Il giallo, come la maggior
parte dei colori subisce l’alternanza di valori simbolici positivi e negativi secondo le tonalità in cui si
esprime. Quando è chiaro
e puro è considerato il più
allegro e vivace di tutti,
ben sopporta le aggiunte
di rosso che lo portano verso
l’arancio, ma basta una piccolissima goccia di blu che
diventa sporco e precipita
negli abissi infernali. Attraverso la storia ha conosciuto momenti più o meno
fortunati: gli antichi amavano il giallo come tutti i
colori caldi, l’uomo moderno un po’ meno, da
quando il progresso tecnologico lo ha avvicinato a
tonalità più neutre e fredde.
La sua salvezza è l’intimo
legame con il sole, connesso
da sempre ad aspetti positivi e che invariabilmente,
istintivamente e spontaneamente tutti, fin da bambini, colorano sempre di
giallo.
francesca bardi
Van Gogh: Vaso di girasoli - Monaco, Neue Pinakothek
Kirchner: Fattoria Staberhof Fehrmarn I - Davos, Kirchner Museum
Van Gogh: Seminatore al tramonto - Otterlo, Kröller-Müller Museum
Gustav Klimt: il bacio
Vienna, Österrechische Galerie