Cass. civ., Sez. lavoro, 14/08/2004, n.15878 REPUBBLICA
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Cass. civ., Sez. lavoro, 14/08/2004, n.15878 REPUBBLICA
Cass. civ., Sez. lavoro, 14/08/2004, n.15878 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SENESE Salvatore - Presidente Dott. DE LUCA Michele - Consigliere Dott. VIGOLO Luciano - Consigliere Dott. LAMORGESE Antonio - Consigliere Dott. PICONE Pasquale - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso proposto da: Bracco Roberto, Coluccio Edoardo, Dal Barco Giorgio Pietro, De Francesco Giuseppe, Etzi Massimiliano, Foresiero Felice, Ginestra Giuseppe, Iannì Lorenzo, Mattino Mario, Mazzarisi Salvatore, Muggeo Savino, Primavera Antonio, Spidalieri Carmelo, Varrecchione Vittorio, Zago Alessio, Leonardo Ciccullo, Fulvio Celentani, Maria Assunta Cocumazzi, Antonino Denami, Graziano Garavaglia, Riccardo Garrini, Ermelinda Marta La Rocca, Gianluca Lo Sapio, Marco Manunta, Pietro Olivieri, Francesco Pata, Vito Pocorobba, Giuseppe Pugliese, Maurizio Sancetta, Mirco Siviero, Angelo Siviglia, Alessandro Tagliabue, Franco Bologna, Giuseppe Cuppari, Gianpiero Greco Tristello, Giuseppe Marchese, Ivan Francesco Marsiglia, Sergio Mastroianni, Claudio Oliva, Alessandro Palmieri, Davide Palumbo, Marco Passerino, Giuseppe Rizzo, Giuseppe Viciconte, Stefano Adamuccio, Maurizio Altomare, Silvio Antonacci, Giuseppe Bonofiglio, Rosario Colloca, Donato De Pasquale, Gaetano Di Zazzo, Emiddio Grillante, Pasquale Isabella, Nicola Lopizzo, Luigi Pane, Ivan Raschellà, Giulio Ricciardulli, Mario Saulle, Giuseppe Visconti, Gianluca Bazzoni, Massimo Barbieri, Ciro Bellini, Nicola Calia, Enrico Crippa, Antonio Giordano, Vincenzo Greco, Giovanni Marano, Roberto Meli, Francesco Menchise, Roberto Rinaldo, Antonio Sangari, Giuseppe Santagati, Giuseppe Santelia, Vincenzo Scimone, Fabio Scirocco, Massimo (o Massimialiano) Tortora e Giuseppe Uccelli, elettivamente domiciliati in Roma, Via di Pietralata, n. 320, presso l'avv. Gigliola Mazza Ricci, che, unitamente agli avv. Eugenio Polizzi e Alberto Guariso, li difende con procure speciali apposte a margine del ricorso; - ricorrenti contro A.T.M. - Azienda Trasporti Milanesi SpA - in persona del procuratore Alberto Rho, elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere della Vittoria, n. 9, presso l'avv. Enrico De Bernardinis, che, unitamente all'avv. Alberto Croze, la difende con procura speciale apposta a margine del controricorso; - resistente per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Milano n. 222 in data 12 aprile L. 2001 (R.G. 995+1024/2000); sentiti nella pubblica udienza del 15.4.2004: il Cons. Dr. Pasquale Picone che ha svolto la relazione della causa; gli avv. Guariso e De Bernardinis; il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Nardi Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo La Corte di appello di Milano, previa riunione degli appelli dell'Azienda Trasporti Milanesi - A.T.M. - ha rigettato le domande proposte da alcuni lavoratori, assunti tra il 1995 e il 1997 con contratto di formazione e lavoro quali conducenti di autobus e tram, per l'accertamento della natura a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro e la condanna dell'azienda al pagamento di differenze retributive, riformando le sentenze di accoglimento del Tribunale della stessa sede. Hanno deciso i giudici dell'appello che validamente era stato utilizzato il tipo contrattuale della formazione e lavoro, non ostandovi il possesso da parte dei lavoratori dell'abilitazione alla guida già prima dell'assunzione; che il programma di formazione era stato sostanzialmente rispettato, senza comunque quel "discostamento notevole" che comporta la conversione in contratto a tempo indeterminato; che era stata corrisposta la retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva, rispondente alla specialità del contratto, ed era valida altresì la previsione di una decurtazione dei compensi per il periodo di 15 mesi successivo alla trasformazione del contratti di formazione e lavoro in contratti a tempo indeterminato. La cassazione della sentenza è chiesta dai lavoratori con ricorso per cinque motivi al quale resiste con controricorso l'A.T.M. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. Motivi della decisione 1. Il (rimo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 863 del 1984 e degli art. 1362, 1367 ex., nonchè vizio di motivazione, perchè la Corte di Milano non aveva considerato che dal progetto formativo concordato con i sindacati emergeva l'essenzialità di talune modalità della formazione, il cui mancato rispetto concretava notevole inadempimento dell'obbligazione formativa. In particolare, la sentenza non aveva valutato il significato del predicato "fondamentale" adoperato relativamente alla rotazione sulle linee, ritenendo sufficiente l'aver operato i dipendenti su più linee; aveva, inoltre, incongruamente ritenuto che "periodo di addestramento" significasse semplicemente una qualche assistenza, anche episodica, da parte di istitutori, e potesse coincidere con la totale assegnazione alla produzione, circostanza, questa, pacificamente accertata. 2. Connesso è il secondo motivo, con il quale è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 3, comma nono, della legge n. 863 del 1984 e dell'art. 16 della legge n. 451 del 1994, nonchè vizio della motivazione, per avere la sentenza impugnata negato rilievo al fatto della prestazione di un numero notevole di ore di lavoro straordinario ai fini dell'effettivo adempimento dell'obbligo formativo. Si sostiene che la struttura di contratto di lavoro a termine finalizzato alla formazione non è compatibile con la prestazione di un numero di ore di lavoro eccedenti di circa un terzo rispetto a quelle previste dal progetto e in violazione delle normative limitative del lavoro straordinario. 3. L'esame congiunto dei due suesposti motivi conduce la Corte a ritenerne l'infondatezza. E' principio risultante da tutto il complesso delle norme contenute nel d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito nella legge 19 dicembre 1984, n. 863, che l'obbligo di formazione non si esaurisce nella semplice comunicazione del progetto di formazione e nella stipulazione del successivo contratto, ma deve trovare attuazione precisa e continua nello svolgimento concreto del rapporto di lavoro. Secondo i principi generali, il lavoratore - in caso di mancata o carente formazione - potrebbe agire, alternativamente, recedendo dal contratto per giusta causa ovvero richiedendo l'adempimento in forma specifica del contratto, oltre al risarcimento del danno (art. 1453 c.c). Tuttavia, i principi generali non sono applicabili in questa ipotesi di inadempimento del datore di lavoro, poichè sul punto vi è l'espressa deroga legislativa, contenuta nell'art. 3, comma nono, dell'indicato decreto legge, secondo la quale: "In caso di inosservanza da parte del datore di lavoro degli obblighi del contratto di formazione e lavoro, il contratto stesso si considera a tempo indeterminato fin dalla data di instaurazione del relativo rapporto". La formazione costituisce dunque, per esplicito riconoscimento del legislatore, una vera e propria obbligazione del datore di lavoro, la cui inosservanza o inesatta osservanza determina - come unica sanzione - la trasformazione del rapporto di formazione in rapporto a tempo indeterminato e senza vincoli di formazione. Peraltro, la formulazione quanto mai generica, utilizzata dal legislatore, impone di definite - prima di ogni altra cosa quali siano gli obblighi la cui inosservanza determina l'operatività dell'indicata sanzione. Tenuto conto della ragione ispiratrice della legge, appare evidente che devono ritenersi esclusi dall'ambito di applicazione dell'art. 3, comma nono, tutti gli inadempimenti del datore di lavoro che non riguardano strettamente gli obblighi di formazione. Tanto per fare un esempio, l'obbligo (pure discendente dal contratto di formazione e lavoro) di corrispondere puntualmente la retribuzione, o quello di versare i contributi, seppure nella misura più ridotta prevista dalle disposizioni in vigore, comporta l'applicazione dei principi generali, sopra richiamati, ma non della speciale sanzione. In conclusione, la grave sanzione della trasformazione, per giunta sin dall'inizio, a tempo indeterminato del rapporto, non può che conseguire ad un grave inadempimento di natura sostanziale degli obblighi formativi posti a carico del datore di lavoro. Questa interpretazione, condivisa quasi concordemente della Corte di Cassazione (da ultimo, Cass. 15635/2003), appare confortata anche dal tenore letterale dell'art. 8, comma ottavo, della legge n. 407 del 1990, che, sia pure ai fini limitati della revoca dei benefici contributivi, contiene una formulazione leggermente diversa da quella risultante ad una prima lettura dell'art. 3, comma nono, del d.l. 726 del 1984; "inadempimento da parte del datore di lavoro agli obblighi inerenti alla formazione del lavoratore" (in luogo di "inosservanza da parte del datore di lavoro degli obblighi del contratto di formazione e lavoro"). La nuova formulazione legislativa, pur riguardando solo l'aspetto delle agevolazioni contributive, sembra chiarire ancor meglio che gli unici inadempimenti rilevanti ai fini che qui interessano sono quelli che riguardano strettamente gli obblighi di formazione posti a carico del datore di lavoro nel corso del rapporto. La conclusione è, dunque, che conformemente al diritto la Corte di Milano ha escluso la rilevanza giuridica, ai fini dell'operatività della sanzione di cui all'art. 3, con una nono, del lavoro straordinario richiesto e prestato dai lavoratori. Non soltanto il numero di ore di lavoro straordinario non avrebbe potuto incidere sul termine di durata del contratto, come si dice esplicitamente nella sentenza, ma neppure, anche ammesso che il datore di lavoro non avrebbe potuto pretendere in quella quantità la prestazione in base al contratto, poteva rilevare sul piano della sanzione invocata dai lavoratori. 4. Neppure sono fondate le critiche mosse all'accertamento secondo il quale doveva escludersi la sussistenza di quella fattispecie di inadempimento dell'obbligo di formazione che comporta la trasformazione del contratto. Come è del tutto evidente, la trasformazione alla quale si riferisce l'art. 3 comma non è affatto automatica, ma è dichiarata dal giudice, su richiesta del lavoratore, nei casi di rilevante inadempienza del datore di lavoro agli obblighi formativi discendenti dalla legge e dal contratto. Le conseguenze previste dal legislatore sono piuttosto pesanti. Infatti, in caso di accertato inadempimento del datore di lavoro agli obblighi formativi successivi all'assunzione, il giudice avrà l'obbligo di dichiarare la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, sin dall'inizio del rapporto: in altre parole, egli non potrà mai temperare gli effetti della propria pronuncia: ad esempio, operando la trasformazione dal termine del rapporto a decorrere da un data successiva, e ciò anche in caso di trasgressione verificatasi verso la fine del periodo di formazione. Anche in questa ipotesi, infatti, il giudice non potrà che dichiarare la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato e senza vincoli formativi fin dalla sua costituzione. La rigidità della norma può essere temperata solo con un esame attento della dell'inadempimento, rientrante nei compiti istituzionali del giudice del merito. La giurisprudenza consolidata della Cassazione, infatti, è ferma nel ritenere, in relazione ai contratti di formazione e lavoro, che solo un inadempimento degli obblighi di formazione che abbia una obiettiva rilevanza, concretizzandosi nella totale mancanza di formazione, teorica e pratica, ovvero in un attività formativa del tutto carente o inadeguata - rispetto agli obiettivi indicati nel progetto di formazione e lavoro e quindi trasfusi nel contratto - determina la trasformazione del rapporto, sin dall'inizio, a tempo indeterminato e senza vincoli formativi (Cass. 10 ottobre 2003, n. 15635; 13 aprile 2002, n. 5363, 11 febbraio 1009, n. 1426, vedi anche Cass. 5 luglio 1997, n. 6069). Non mancano, altresì, pronunce di questa Corte che sembrano annettere ancora minore importanza agli inadempimenti del datore di lavoro, tutte le volte in cui sia comunque raggiunto il risultato dell'ingresso del giovane nel mondo del lavoro (Cass. 9 febbraio 2001 n. 1907, cfr. anche Cass. n. 10824 del 1998, 4524 del 2000, 4632 del 2000). E', dunque, principio del tutto consolidato che, conformemente, del resto, ai principi generali, l'inadempimento del datore di lavoro agli obblighi formativi deve essere non solo di carattere sostanziale, ma anche di particolare gravità, ai fini dell'applicabilità della disposizione di cui all'art. 3, comma nono. Oltre all'ipotesi già richiamata della mancata formazione, nella pratica ben può verificarsi l'altra ipotesi, minore, dell'attività formativa carente o inadeguata rispetto agli obiettivi indicati nel progetto di formazione e quindi trasfusi nel contratto di formazione e lavoro. In casi di questo genere, il giudice - su ricorso del lavoratore - deve valutare in base ai principi generali la gravità dell'inadempimento, (ai sensi dell'art. 1455 codice civile), giungendo quindi a dichiarare la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, e senza vincoli formativi, in tutti i casi di inosservanza degli obblighi di formazione di non scarsa importanza, e tali comunque da non poter essere sanati in tempo utile, in modo da consentire comunque la formazione del giovane nel tempo stabilito. Orbene, con riferimento al caso di specie, i giudici di appello non si sono discostati dagli enunciati principi di diritto e sono giunti all'esclusione del grave inadempimento degli obblighi di formazione, accertando che la formazione teoricopratica era stata fornita per un numero di ore anche superiore a quelle contemplata dalla legge e dall'accordo collettivo sul progetto, non rilevando che dopo due mesi i lavoratori fossero stati adibiti alla produzione, atteso che ciò era avvenuto secondo le previsioni del progetto concordato con i sindacati e comunque pur sempre nell'ambito di un programma di addestramento affidato a istruttori. Le censure, in particolare contenute nel primo motivo, sono pertanto infondate nei riguardi di una motivazione sufficiente e logica; anche l'aspetto della rotazione linee è stato considerato dalla Corte di appello, rilevando che, comunque, i lavoratori avevano operato su più linee, cosicchè doveva escludersi il discostamento "notevole" dagli obblighi di formazione, valutazione che, logicamente giustificata, è insindacabile in questa sede. 5. il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 16, comma 5^, della legge n. 4151 del 1994, dell'art. 36 Cost., degli art. 1362, 1363, 1366 c.c., nonchè vizio della motivazione, in relazione al rigetto della domanda di differenze retributive relativamente alle prestazioni rese in esecuzione del contratto di formazione e lavoro. Si sostiene che la legge consente soltanto l'inquadramento del lavoratore assunto con contratto di formazione e lavoro in un livello inferiore rispetto a quello di destinazione, nonchè la facoltà dei contratti collettivi di prevedere la non retribuibilità di eventuali ore aggiuntive devolute alla formazione (art. 16, comma 5^, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 - decreto convertito in legge 19 luglio 1994, n. 451), restando esclusa ogni altra riduzione della retribuzione rispetto a quella del lavoratore ordinario. Pertanto, avrebbe errato il giudice del merito nel motivare il rigetto della pretesa con il riferimento alla causa mista del contratto, omettendo di valutare la compatibilità e la coerenza con il tipo contrattuale delle voci retributive rivendicate: l'indennità di guida, destinata a compensare la maggiore penosità dell'attività svolta per 23 mesi in condizione identica a quella dei lavoratori normali adibiti alle stesse mansioni; l'elemento distinto dalla retribuzione (EDR), in ordine alla quale, prima ancora dell'esame della legittimità dell'esclusione, era mancata l'indagine rivolta a stabilire se effettivamente l'intinto degli stipulanti il c.c.n.l. del 1995 fosse stato quello di non comprenderlo nel trattamento retribuivo dei giovani in formazione. 6. Allo scrutinio della Corte è sottoposta con il quarto di motivo di ricorso una questione strettamente connessa con quella contenuta nel motivo precedente: se sia legittima la clausola dell'art. 7 del c.c.n.l. 11.4.1995, inserita nel paragrafo incentivazione per la trasformazione a tempo indeterminato del c.f.l., la cui applicazione ha comportato, per il periodo di 15 mesi successivo alla trasformazione del contratto di formazione in contratti a tempo indeterminato, una notevole decurtazione economica (con la proroga del precedente trattamento retributivo, pur con riferimento al superiore inquadramento di destinazione). La soluzione affermativa data alla questione dalla Corte di Milano è criticata: per l'incongruità del ragionamento secondo cui se determinati livelli retributivi sono stabiliti dalla contrattazione collettiva, la stessa contrattazione è abilitata ad introdurre deroghe, che troverebbero nella fattispecie una ragionevole giustificazione; perchè, in realtà, non veniva in questione il principio di parità di trattamento, ma quello di proporzionalità della retribuzione, inderogabilmente fissato dall'art. 36 Cost. irrimediabilmente contraddetto di una disposizione pattizia che faceva dipendere la riduzione dell'obbligazione retributiva del datore di lavoro non da caratteristiche della prestazione, non dalla produttività, ma dall'accadimento della conversione a tempo indeterminato di almeno l'80% dei c.f.l. scaduti, risolvendosi in retribuzione condizionata a determinati comportamenti aziendali. 7. L'identica questione forma oggetto anche delle censure formulate con il quinto e ultimo motivo del ricorso, che attengono alla mancata considerazione e corretta interpretazione del testo contrattuale recante la disciplina del trattamento retributivo ridotto per il suddetto periodo di 15 mesi. Si afferma che il contratto collettivo, da una parte individuava una finalità di incentivazione del datore di lavoro alla trasformazione dei contratti, dall'altra si riferiva a un iter di inserimento volto a conseguire una professionalità compiuta nella qualifica finale. Se la Corte di appello, osservano i ricorrenti, avesse considerato gli effettivi contenuti della clausola, non avrebbe potuto negarne l'intima contraddizione e quindi l'illegittimità, posto che alla scadenza del periodo di formazione, la professionalità nella qualifica doveva ritenersi compiutamente acquisita. 8. Esaminati congiuntamente i motivi terzo, quarto e quinto, stante la già evidenziata connessione tra le argomentazioni che li sostengono, questa Corte li giudica infondati. Va premesso che la Corte di appello ha respinto tutte le pretese retributive nel presupposto che fosse pacifico che causa petendi comune a tutte fosse esclusivamente la non conformità a legge del trattamento retributivo stabilito dalle fonti collettive. Ciò è contestato dal profilo del terzo motivo che concerne l'elemento distinto dalla retribuzione (E.D.R.), ma la censura di vizio di motivazione in ordine al reale contenuto precettivo della clausola contrattuale deve ritenersi inammissibile perchè il ricorrente non precisa in quali atti e in quali termini abbia posto la questione interpretativa al giudice del merito (cfr. Cass. 10 luglio 2001, n. 9336; 19 giugno 2002, n. 8932; 20 agosto 2003. n. 12255). 9. Per il resto, i tre motivi in esame, malgrado il ripetuto riferimento a vizi di motivazione, sostengono la tesi dell'errore giuridico commesso dal giudice di merito nel ritenere conformi alle norme di legge ordinaria e ai precetti costituzionali, e perciò valide, le clausole dei contratti collettivi relative alla retribuzione spettante durante la formazione e dopo la trasformazione dei c.d.f. in contratti a tempo indeterminato per l'ulteriore periodo di 15 mesi. Il giudizio di infondatezza trova base, in primo luogo, nel principio generale, pacifico nella giurisprudenza della Corte costituzionale e di questa Corte, secondo il quale la vantazione di adeguatezza della retribuzione ai principi dettati dall'art. 36 Cost. non comporta il riferimento a tutti gli elementi e gli istituti contrattuali che confluiscono nel trattamento economico globale fissato dalla contrattazione collettiva, ma soltanto a quelli che concorrono alla formazione del detto minimo costituzionale, minimo che, quanto al rispetto della proporzionalità e adeguatezza della retribuzione, va riferito non già alle singole componenti della retribuzione, ma alla globalità di questa (C. cost. 470/2002; Cass. 15896/2002). 10. In secondo luogo, con riguardo specifico al contratto di formazione e lavoro, la giurisprudenza della Corte, pur avvertendo che, nella determinazione della giusta retribuzione ex art. 36 cost., non può escludersi la legittimità del ricorso ai normali parametri retributivi previsti per i lavoratori subordinati di pari livello, che trova giustificazione nell'art. 3, comma quinto, della legge n. 863 del 1984, la quale prevede l'applicazione a tale contratto delle norme sul rapporto di lavoro subordinato, fa salva però l'applicazione di specifiche disposizioni legislative o contrattuali in materia (cfr. Cass. 11 giugno 2003, n. 9405; 3 ottobre 1995, n. 10371); ed ha più volte precisato che non è illegittima la previsione contrattuale di una retribuzione inferiore rispetto a quella dei lavoratori normali, stante la speciale causa mista, con l'obbligazione formativa a carico del datore di lavoro, che caratterizza il c.f.l. (Cass. 29 gennaio 1998, n. 887; 28 luglio 1995, n. 8270). 11. Con specifico riguardo alle questioni poste con il terzo e il quarto motivo, al di là del tentativo di formulare argomentazioni apparentemente connotate da novità, la sostanza resta quella del preteso contrasto della riduzione retributiva, per il periodo formativo e per i primi 15 mesi di lavoro a tempo indeterminato, contemplato dalla contrattazione collettiva, con l'art. 36 Cost. e con i principi di ragionevolezza e parità trattamento. Si tratta perciò di questioni ripetutamente sottoposto al vaglio della Corte e decise secondo i principi di diritto che di seguito si richiamano in sintesi. Nel rapporto di lavoro subordinato la retribuzione prevista dal contratto collettivo acquista, pur solo in via generale, una "presunzione" di adeguatezza ai principi di proporzionalità e sufficienza, che investe le disposizioni economiche dello stesso contratto anche nel rapporto interno fra le singole retribuzioni ivi stabilite; ne consegue che, ai fini dell'accertamento dell'adeguatezza di una determinata retribuzione, non può farsi riferimento ad una singola disposizione del contratto che preveda un diverso trattamento retributivo per altri dipendenti, l'eventuale inadeguatezza potendo essere accertata solo attraverso il parametro di cui all'art. 36 Cost., che è "esterno" rispetto al contratto; nè può assumere rilievo, ai fini di tale accertamento, l'eventuale disparità di trattamento fra lavoratori della medesima posizione, atteso che non esiste a favore del lavoratore subordinato un diritto soggettivo alla parità di trattamento e che, soprattutto quando il trattamento differenziato trovi il suo fondamento in un dato oggettivo di carattere temporale, l'attribuzione di un determinato beneficio ad un lavoratore non può costituire titolo per attribuire ad altro lavoratore, che si trovi nella medesima posizione, il diritto allo stesso beneficio o al risarcimento del danno. Ed ancora che, non solo non opera il principio di parità di trattamento, ma non è consentito alcun controllo di ragionevolezza da parte del giudice sugli atti di autonomia, sia collettiva che individuale, sotto il profilo del rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede, che non sono invocabili in caso di eventuale diversità di trattamento non ricadente in alcuna delle ipotesi legali (e tipizzate) di discriminazione vietate, a meno che il rispetto di tali clausole discenda dalla necessità di comparazione delle situazioni di singoli lavoratori da parte del datore di lavoro che, nel contesto di una procedura concorsuale o selettiva, debba operare la scelta di alcuni di essi (cfr. Cass., s.u., 17 maggio 1996, n. 4570 e 29 maggio 1993, n. 60309; vedi, tra le più recenti, Cass. 17 maggio 2003, n. 7752). 12. In applicazione di questi principi, deve essere ritenuta corretta la decisione della Corte di Milano che ha affermato la validità, a prescindere dai motivi espressi dalle parti stipulanti (da una parte, incentivo premiante per il datore di lavoro che avesse trasformato in rapporti a tempo indeterminato l'80% dei c.f.l. in scadenza; dall'altra, la considerazione che i lavoratori dovevano considerarsi pur sempre "neoassunti" e quindi in possesso di una professionalità con comparabile con quella degli altri), anche della previsione di una riduzione retributiva per i primi 15 mesi di rapporto a tempo indeterminato. La tesi dei ricorrenti è che una simile previsione contrattuale dovrebbe considerarsi invalida, perchè i livelli retributivi sono fatti dipendere da un comportamento del datore di lavoro e dunque, ancora una volta, nella sostanza il principio inderogabile viene individuato nella ragionevolezza del trattamento diversificato e nella parità di trattamento, e, più, specificamente, nell'impossibilità di riferire il trattamento stesso a fattori del tutto estranei alla prestazione di lavoro. Si tratta perciò di una tesi destituita di fondamento giuridico alla stregua del complesso della considerazioni già svolte. 13. In ordine al regolamento delle spese del giudizio di Cassazione, l'esito contrastante dei giudizi di merito induce la Corte a ritenere la sussistenza di giusti motivi per la compensazione integrale. P. Q. M. La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente le spese del giudizio di Cassazione. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 aprile 2004. Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2004