Belley de jour - Infodiabetes.it

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Slow Food Editore
Belley de jour
di John Irving e Giovanni Ruffa
Foto Marcello Marengo
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«La découverte d’un mets nouveau fait plus, pour le bonheur du
genre humain, que la découverte d’une étoile»
Il garçon ci ha fatti accomodare a un tavolino con ripiano in marmo. Ordiniamo bicchieri di kyr (crème de cassis + vin blanc),
arrivano ditali di kyr. Ordiniamo delle chips, arrivano delle cacahouètes, noccioline salate. Due uomini giocano a carte
– belote –, un altro è piegato sul biliardo, intento non a giocare
ma a leggere L’Équipe. Ordiniamo un altro giro di kyr. Arrivano
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«L’univers n’est rien que par la vie: et tout ce qui vit se nourrit»
La prima cosa che vediamo sulla grande rotonda che fa da porta
d’ingresso al centro storico è un McDonald’s («c’est tout ce que
j’aime»). Ora siamo seduti in un caffè di arabi sulla Grand’ Rue.
Ci dicono che, fino alla seconda guerra mondiale, c’erano 115
caffè in paese, i principali clienti dei quali erano i militari “ospiti”
delle due caserme. Ora i caffè si possono contare sulle dita di
una mano, e le caserme non ci sono più. Siamo a Belley, capitale del Bugey, zona storica del département dell’Ain, in Francia.
Belley, città natale di Jean-Anthelme Brillat-Savarin (1755-1826),
magistrato, scrittore e gourmet, fondatore della moderna gastronomia.
i soliti ditali. Finalmente, un po’ di rouge in un paese di bleu.
Bleu come gli occhi della casellante sull’autostrada, bleu come
la maglia della nazionale, bleu come la divisa della polizia municipale. In Francia, quando non è gris, l’amour è bleu. Anche
la carne è bleu, quando non è saignante o au point. Bleu è il
Gex, grande formaggio erborinato del Bugey, e bleus sono le
zampe della poule de Bresse (ma di portarne a casa un esemplare, come speravamo, non se ne parla. Les glorieuses si presentano solo alla fiera prima di Natale, abbigliate e imbellettate
come primedonne. Ci dobbiamo accontentare di un poulet che
comunque, cotto in forno a Bra, fa la sua bella figura). Ecco, la
gastronomia. Siamo qui in missione, alla ricerca delle radici di
Brillat-Savarin, quindi siamo qui per mangiare. Ci sarà qualche
restaurant typique specializzato in recettes du terroir. Un locale
in grado, cioè, di restituirci i piaceri della tavola che avevano
ispirato il grande Jean-Anthelme.
«Prétendre qu’il ne faut pas changer de vins est une hérésie»
Passiamo al kyr con la crème de mûres e domandiamo al garçon,
che domanda al socio dietro il bancone, che domanda al cliente
Belley . Una delle poche tracce di Brillat-Savarin nella
sua città natale è questo busto davanti all’ufficio del turismo. Nella
stessa via, la Grand’Rue, si trova anche la casa dello scrittore.
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davanti al bancone, che domanda all’uomo piegato sul biliardo. Mancano grandi idee. Quella più brillante è: «Domandate
all’office de tourisme, Grand’ Rue 34». Cosa che faremo, non prima di avere visitato la maison natale di Brillat-Savarin, Grand’
Rue 62. Un palazzo d’inizio Settecento con facciata imponente
in pietra. Il cortile interno porta a un orto, dal quale si ammira
uno scalone che sale a una galleria a volte al primo piano. Bella
casa. Davanti all’office de tourisme, c’è anche un busto del più
illustre figlio di Belley, ma rimangono poche altre tracce del suo
passaggio. Pensare che, oltre a ispirare generazioni di gastronomi scrivendo, appunto, La fisiologia del gusto, come député
del Bugey agli Etats Généraux, Brillat si era fatto in quattro per
difendere l’autonomia della sua regione. Non sarà stato capace
di convincere proprio tutti della necessità di contenere il potere
centrale valorizzando le realtà locali, ma qualcosa riuscì a fare.
A conservare la cattedrale di Saint Jean-Baptiste e il seminario
di Belley, ad esempio. Altrimenti, tutto finiva a Bourg-en-Bresse,
scelta come capitale del nuovo dipartimento dell’Ain. Conosceva
i suoi polli, Jean-Anthelme.
«La gourmandise est un acte de notre jugement, par laquelle
nous accordons la préférence aux choses qui sont agréables au
goût, sur quelles qui n’ont pas cette qualité»
Prima della rivoluzione, il Bugey era stato una regione molto chiusa in se stessa, ingabbiata tra le montagne, lontana dalla corte
francese, vicina a quella dei Savoia. In Mémoire sur l’archéologie
de la partie orientale du département de l’Ain (1820) lo stesso
Brillat-Savarin scrive: «Una provincia nata su un terreno siffatto
aveva inevitabilmente poche vie di comunicazione con i vicini. A
metà Settecento, prima dell’apertura delle routes royales, prima
di intraprendere il viaggio per Digione (50 leghe) si scriveva il testamento». Il Bugey aveva le proprie tradizioni, i propri costumi,
il proprio patois (Brillat-Savarin andava particolarmente fiero del
th bugiste, identico a quello del greco antico e dell’inglese). Anche la cucina e i prodotti della terra erano caratteristici. Ancora
nel 1921, nel loro enciclopedico Guide des merveilles culinaires
et des bonnes auberges français, Curnonsky e Marcel Rouff scrivono: «…se la Bresse e il Bugey sono i signori incontestabili
[della cucina francese] …ciò è dovuto al fatto che la dea Natura, per sua speciale grazia, si compiace di dotare quest’angolo
benedetto del globo di tutti gli elementi indispensabili all’arte
culinaria». Un tempo queste erano terre di grande selvaggina,
funghi, gamberi d’acqua dolce, detti écrevisses, tartufi, beccafichi, maiali neri, lucci, trote, burro, formaggi vaccini e caprini,
rape, patate, angurie, pane… Oggi, la vetrina della Maison de
la presse, edicola-libreria sulla Grand’ Rue, è dedicata alla cucina. Libri di ricette, i cui titoli sono: Pizzettas, Sushis, makis,
sashimis & C.ie, Cheesecakes, moelleux & savoureux, Curries,
goûteux & faciles à réaliser, Crumbles & clafoutis, Brownies &
fondants au chocolat…
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Nei bar di Belley è difficile trovare notizie sull’illustre concittadino
e in vetrina non c’è spazio per La fisiologia del gusto.
«Dis-moi ce que tu manges: je te dirais ce qui tu es»
Ma il ristorante? All’office de tourisme, siamo accolti benissimo.
Chissà da quando non arriva un turista. In questo paesone di 8000
anime, non c’è granché da vedere. C’è la stessa elegante Grand’
Rue, c’è la cattedrale, c’è il collegio dove studiarono sia Brillat-Savarin che Alphonse de Lamartine, massimo poeta fra i romantici e
politico bonapartista. Un noto figlio adottivo di Belley era Camus.
No, non il portiere esistenzialista Albert, bensì il vescovo scrittore
Jean-Pierre (1584-1652). A lui sono dedicati i giardini pubblici, in cui
si trova la biblioteca comunale. Famose ospiti straniere furono Gertrude Stein e la sua compagna Alice B. Toklas. Nel 1924, in viaggio
verso la Riviera, dove le aspettava Picasso, le due fecero tappa a
Belley e si innamorarono delle campagne circostanti. Pablo è ancora
sotto le palme che aspetta. Da quell’anno in poi, infatti, Gertrude e
Alice trascorsero un’estate dopo l’altra in uno château stile Louis XV
a Bilignin, un paesino appena fuori città. È lì che la Stein ha scritto
il suo capolavoro, Autobiography of Alice B. Toklas. Anche Alice B.
Toklas ha scritto un libro, una collezione di ricette – intitolata, senza
grande fantasia, The Alice B. Toklas Cook Book –, che contiene un
capitolo su “Food in the Bugey during the Occupation”. Una coppia
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di lesbiche ebree che vivevano tranquillamente nella campagna francese durante l’occupazione nazista. Che storia! Ma il nostro ristorante?
«Les animaux se repaissent; l’homme mange; l’homme d’esprit seul sa manger»
Già, il nostro ristorante. Il simpatico personale dell’office de tourisme ci offre diversi
consigli. Le Moulin du Martinet nel vicino paese di Pugieu: pomponettes de truffes,
poissons, brochettes de grenouilles. Oppure La Fine Fourchette a Virignin, a un tiro di
schioppo da Belley: poissons, produits régionaux. Alla fine, avendo sentito il parere
anche di charcutiers, pâtissiers, chocolatiers e passanti sulla Grand’ Rue, optiamo per
un ristorante in città, L’Atelier des Sens, rue Georges Girerd 10. Pranzo discreto («Il
fait caguer» commenta il nostro fotografo, ma esagera); peccato, però, che i proprietari siano della Normandia e che le chef sia «du Nord». Nel senso che il menù rispecchia
ben poco il territorio bugiste. Le concessioni sono solo due. Un antipasto con quattro
interpretazioni del Bleu de Gex (île flottante, budino, mousse, bocconcini impanati e
fritti) tendenti al dolce: le bleu est doux. E una bottiglia di Manicle, vino rosso che,
secondo Curnonsky e Rouff, lascia «la bocca fresca e la mente sgombra». È vero.
«La destinée des Nations dépend de la manière dont elles se nourrissent»
A mezz’ora di macchina a nord di Belley, c’è una montagna alta 1525 metri. È il Grand Co-
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lombier, sui pendii sudorientali del quale sopravvive qualche vigna,
a ricordo di un’attività vinivinicola un tempo assai intensa. L’agnello del Grand Colombier, una razza autoctona, era noto per la bontà
della sua carne. Ma è scomparso a fine Ottocento, quando non
c’erano ancora i Presìdi Slow Food. Nel racconto di Gertrude Stein,
The World is Round, una bambina, Rose, sale in cima alla montagna. Nella corteccia dell’albero più alto incide proprio il nome, poi
continua a scrivere per tutto il diametro del tronco: «Rose…is…a...
rose…is…a...rose». All’ombra del Grand Colombier, nei pressi del
paese di Vieu, Brillat-Savarin passava le vacanze nella casa di famiglia. Proviamo a trovarla, ma ormai è buio e, anche se siamo in
pieno Ventoso, il clima è ancora quello di Piovoso. Decidiamo di rinunciare e di prenderci un ultimo corroborante communard (crème
de cassis + vin rouge) in un vecchio bar di campagna. Attaccato alla
porta a vetri un manifesto annuncia: «Samedi, 28 fevrière, Tournoi
de Belote. 1-er prix: un cochon de 100 kilos. 2ème prix: 2 jambons».
Ecco un segno della terra ruspante che avevamo sognato ma che,
in fondo, sapevamo di non trovare. E come facevamo a sapere?
Ce l’ha confidato un amico, un certo Jean-Anthelme Brillat-Savarin,
nella sua Mémoire: «La civilizzazione e la moda distendono ovun-
La gaia scienza gastronomica
Fra i critici di Brillat-Savarin e della Fisiologia del gusto, un occhio
particolare merita, per l’originalità
e l’acutezza delle analisi, la lettura
che ne dà Roland Barthes, purtroppo non più disponibile in lingua
italiana. Pubblicato in Francia nel
1975, il lavoro (sorta di dizionario
ragionato sviluppato attraverso una
serie di temi individuati nel testo,
da Bisogno/Desiderio a Cosmogonie, da Etica a Lingua, da Morte a
Piacere) individua con chiarezza le
chiavi del discorso di Brillat-Savarin. Non ignaro della parentela di Jean-Anthelme con l’utopista
Charles Fourier, costruttore di mondi “amorosi” retti dalla passione e governati da logiche antiautoritarie, in cui la dimensione gastronomica e amatoria regola i rapporti umani, Barthes individua,
sì, l’intento primario della Fisiologia – quello di costruire i fondamenti scientifici della gastronomia –, ma non dimentica l’ironia,
sempre presente nelle pagine del libro, e pone le basi e il centro
dell’intera costruzione teorica nell’esercizio della convivialità. La
pratica della conversazione è infatti inscindibile, in Brillat-Savarin,
da quella della buona tavola, ed ecco quindi che l’esercizio del
buon gusto diventa eminentemente sociale e socializzante.
Ma tutta l’opera, secondo Barthes, si può definire come una «sociologia culinaria», se è vero che l’autore analizza la formazione del
gusto e ne individua la stretta dipendenza dal livello economico e
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que il velo dell’uniformità; le usanze antiche sono svanite, la tradizione è dimenticata […] Abbiamo perduto le nostre vecchie usanze
[…] oggi, quando torno a respirare l’aria della mia terra natìa, resto
stupito incontrando tutt’intorno a me, nonostante le centocinquanta leghe percorse, lo stesso comportamento che pensavo di essermi lasciato alle spalle sulle rive assolate della Senna». Nel lontano
1820, J-A aveva già previsto tutto..
culturale di ciascuno. Da qui la sua origine inevitabilmente “sociale”,
vale a dire la discendenza diretta dalla classe di appartenenza, dalle abitudini alimentari, dalle possibilità concrete del gastronomo.
Venendo al testo di Brillat-Savarin e alle sue peculiarità, alla dimensione linguistica e stilistica, Barthes fa rilevare un gusto per la lingua
che si lascia cogliere nel piacere del creare neologismi e nelle citazioni in lingua straniera o in dialetto (quello dell’amato Bugey natale), un gusto che ciascuno potrà rilevare lasciandosi trasportare dal
piacere della narrazione che traspare a ogni pagina, dalla quantità
di storie e aneddoti singolari e divertenti, dalla prosa piana, classicheggiante, che scorre placida come un fiume verso la foce.
La traduzione di Dino Provenzal, pubblicata da Rizzoli nel lontano 1955, è stata rivista e aggiornata per l’edizione Slow Food,
ed è stata altresì corredata di un repertorio di note finalizzate a
chiarire passaggi, citazioni, termini che il lettore odierno potrebbe trovare ostici. Corredo indispensabile alle Meditazioni, è la
biografia che all’autore ha dedicato l’inglese Giles MacDonogh,
pubblicata da Slow Food nel 2006 con il titolo Gastronomo e
giudice. Vita di J.-A. Brillat-Savarin.
Jean-Anthelme Brillat-Savarin
Fisiologia del gusto o Meditazioni di gastronomia trascendente
2008, Slow Food Editore
Giles MacDonogh
Gastronomo e giudice
Vita di J.-A. Brillat-Savarin
2006, Slow Food Editore