CORSO DI ARTE MARINARA Lezione 8

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CORSO DI ARTE MARINARA Lezione 8
Arte Marinara - Lezione 8
CORSO DI ARTE MARINARA
Lezione 8
(Aggiornamento 1 gennaio 2003)
3. COMPORTAMENTO A BORDO
Lo yacht sia in porto, sia, ed ancora di più, in navigazione, è un microcosmo sociale di
grande interesse, che necessita di regole di vita molto stringenti. Lo spazio risulta sempre ristretto,
la convivenza è obbligata, la vita di bordo comporta disagi, le gerarchie divengono indispensabili:
tutti fattori questi che mettono alla prova i membri dell’equipaggio, portando a nudo i caratteri di
ciascuno.
Ovviamente
mi
riferisco
alle
imbarcazioni di maggior diffusione che
solcano il mare per diporto, quelle fra gli 8
ed
i
16
metri
di
lunghezza,
dove
normalmente non sono imbarcati marinai
professionisti. Tuttavia anche su yachts di
maggiori dimensioni, prestigio e lusso,
dove vi è un equipaggio professionale ed
eventuale
personale
di
servizio,
le
problematiche del comportamento a bordo
degli anfitrioni, degli ospiti o dello stesso
equipaggio,
possono
avere
un
rilevo
significativo.
Per rendersene conto, in mancanza
di esperienza personale, basta leggere uno
dei tanti, ma sempre interessantissimi, libri
di resoconto di grandi regate d’altura, o di
crociere amatoriali di ampio respiro. Anche
numerosi film di avventura hanno messo in evidenza le peripezie o addirittura i disastri che possono
avvenire quando l’assortimento ed i comportamenti dei membri dell’equipaggio non siano adeguati.
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Evidenzio che la Marina Militare Italiana, come molte Marine di altri paesi, arma una
piccola flotta di yachts a vela di 15/20 metri, oltre le notissime navi scuola a vela Vespucci e
Palinuro. Su questi yachts scuola vengono imbarcati, come equipaggio, gli allievi ufficiali e
sottufficiali, per campagne di istruzione (non crociere!) della durata di qualche mese. La finalità è
quella di far maturare loro un’esperienza forgiante, facendo provare ai giovani in formazione cosa
significhi andar per mare con un nucleo ristretto di persone, in situazioni di diffuso disagio, di
significativa fatica fisica, di forte condizionamento dai fattori meteo, di caldo, di freddo, di
sicurezza e di paura, di entusiasmo e di noia, di vincolante interdipendenza con gli altri membri, di
vigoria fisica e di deprimente mal di mare. In tale quadro è significativo il termine con cui si indica
in spagnolo e portoghese l’equipaggio di una nave, traducibile letteralmente in italiano con la parola
“tribolanti”.
Questi aspetti sono sperimentabili anche su navi militari maggiori, ma in forma molto più
attenuata e, pertanto, meno condizionante. Di qui l’importanza che un futuro militare navale
professionista formi il proprio carattere in un ambiente marinaro che esalti i fattori più
condizionanti della vita sul mare.
3.1. La gerarchia
Comincio a trattare le regole di comportamento dalla “gerarchia”, perché lo ritengo
l’argomento cardine della convivenza a bordo, che condiziona tutto il resto.
La gerarchia, anche su uno yacht da diporto, deve essere chiara, indiscutibile e
carismatica. Lo skipper è il comandante dell’imbarcazione. Egli è il responsabile della
navigazione, dell’ormeggio, della sicurezza. Deve godere la fiducia dell’equipaggio per
esercitare su di esso un naturale ascendente, conscio del fatto che, sia nell’andamento
dell’attività giornaliera, sia in situazioni critiche, spetta a lui prendere le decisioni, semplici
o difficili che siano. Dalla sua attitudine e dal suo comportamento dipendono la riuscita o il
fallimento della crociera.
Nel diporto nautico di nostro interesse, normalmente lo skipper è l’armatore stesso
dello yacht, fattore che stabilisce automaticamente la gerarchia di bordo. Invece situazioni di
labile incertezza, di pericolosa indecisione e di imprudente ipocrisia, si verificano spesso a
bordo delle imbarcazioni prese a nolo da un festante, quanto incosciente, branco di presunti
amici. Il solo fatto di partecipare alle spese di noleggio e di gestione, fa presumere a tali
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improvvisati navigatori di essere azionisti della crociera. Questi boriosi individui si arrogano
il diritto di gestire la vita di bordo con i metodi democratici degli altezzosi consigli di
amministrazione societari o, peggio, delle orride assemblee condominiali. Nulla di più
improvvido per chi voglia andar per mare in serena e gioiosa sicurezza: deve comandare
solo lo skipper e ciascun membro dell’equipaggio deve avere il proprio ruolo da osservare in
qualunque circostanza.
Nel fare affermazioni così perentorie non credo di essere viziato nelle mie idee dai
40 anni di orgogliosa vita di professionista militar navale. Sono sicuro, invece, di essere
illuminato dai miei 50 anni di appassionata e felice vita di diportista nautico!
Il ruolo di skipper
non
è
sufficiente
assicurarne,
a
per
chi
lo
esercita, la competenza e la
capacità
dell’andar
per
mare. Quindi è bene che
egli
sia
consapevole
pienamente
dei
propri
limiti, tanto nel caso in cui
sia lui il maggior esperto,
tanto in quello di presenza
di gente più esperta.
Nel
primo
caso,
della maggiore esperienza a
bordo,
lo
skipper
deve
programmare la crociera in
guisa
che
possa
essere
svolta nei tempi, nei modi e
nei luoghi che egli sia
sicuramente in grado di
gestire autonomamente.
Nel secondo caso, della presenza a bordo di membri dell’equipaggio più esperti, lo
skipper deve istaurare con tali soggetti un rapporto chiaro di fiducia e rispetto reciproci, tali
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da mantenere distinti i reciproci ruoli. Ciò comporta la necessità che lo skipper accetti, o
meglio solleciti, i consigli degli esperti. Deve consultare i saggi di bordo ogni volta che la
situazione lo richieda, seguendone poi le indicazioni. Ma deve rimanere sempre chiaro che è
lo skipper a prendere le decisioni finali. Se tali condizioni non sussistono, è meglio evitare
di imbarcare gente più brava, ovvero è più opportuno cedere formalmente al più competente
il compito di skipper.
Cito alcune esperienze personali, la prima negativa, le altre due magnificamente
positive.
Un mio conoscente alcuni anni addietro mi chiese di imbarcare con lui, desiderando
avvalersi della mia maggior esperienza per maturare il proprio sapere marinaro. Accettai e
fui ampiamente disponibile e prodigo di consigli in ogni circostanza. Ma quando mi resi
conto che lui faceva presuntuosamente e pervicacemente di testa sua, correndo inutili rischi
per noi e per gli altri naviganti, sbarcai immediatamente al primo porto, rifiutando ogni
ulteriore sua proposta di imbarco. Erano stati traditi i ruoli, e quindi la fiducia reciproca,
stabiliti all’imbarco, di skipper apprendista e di membro esperto dell’equipaggio.
Ottima invece l’esperienza con un mio carissimo amico, con cui navigo felicemente
da decenni. Ci stimiamo come marinai e ci consideriamo di analoga esperienza, per cui
andiamo insieme in crociera stabilendo prima dell’imbarco chi sia a turno lo skipper.
Ciascuno svolge il suo ruolo alternativamente di comandante o di secondo in comando nel
pieno rispetto reciproco, sicuri di poter contare in ogni occasione sul supporto dell’altro, il
che, ve lo assicuro, è piacevole e rilassante.
Pienamente soddisfacente e sicuro anche l’imbarco con un altro carissimo amico.
Questi è l’entusiasta armatore e skipper di uno splendido yacht a vela di 15 metri. Abbiamo
mutua considerazione e fiducia nelle reciproche capacità, per cui rispettiamo i nostri ruoli,
intervenendo l'un l'altro quando necessario, fermo restando le decisioni finali dello skipper.
Egli prende parte di persona ad ogni situazione difficile, faticosa o rischiosa, fornendo
l’apporto della sua profonda conoscenza di ogni segreto della barca. Io contribuisco con la
mia maggiore professionalità nella navigazione d’altura, con qualche suggerimento di più
efficace regolazione della velatura, e, non ultimo, con la mia apprezzata capacità di cuoco e,
ancor più, di… sguattero!
Gli aneddoti citati non servono solo a imporre al lettore il mio “io” marinaro, ma
soprattutto ad evidenziare come lo skipper non debba essere il tirannico dittatore assoluto di
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bordo. Al contrario deve sapersi guadagnare e meritare la sua autorità, stabilendo rapporti di
fiducia con la gente di bordo, facendo valere la sua esperienza o accrescendola con umiltà
mediante la saggia fruizione di quella altrui. I meno esperti seguiranno con spontanea
disponibilità la volontà dello skipper e si attenderanno che questi dia gli ordini necessari per
il buon andamento della vita di bordo. I più esperti saranno lieti di essere consultati e seguiti
nei propri suggerimenti, pur sapendo ed accettando che la decisione spetta allo skipper.
Concludo ribadendo che, per godersi un imbarco con le intime gioie della severa vita
marinara, o vi sono le condizioni di gerarchia e di armonia che ho indicato, o, credetemi, è
meglio restare a terra.
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