L`ordine delle parole nei romanzi storici italiani dell`Ottocento
Transcript
L`ordine delle parole nei romanzi storici italiani dell`Ottocento
Mauroni-fonte 24-02-2006 15:22 Pagina 1 Elisabetta Mauroni L’ordine delle parole nei romanzi storici italiani dell’Ottocento I SOMMARIO Abbreviazioni 13 Introduzione 15 1. La genesi della ricerca e l’ambito d’indagine: verso una prosa ‘moderna’ (p. 15) – 2. Indicazioni di metodo (p. 21) – 3. Presentazione del corpus (p. 26) I. Il romanzo storico e la questione linguistica 37 1. Un esordio difficile (p. 37) – 2. La consapevolezza critica (p. 47) – 3. Il problema della lingua (p. 49) – 4. Una prosa ‘media e discorsiva’: il nucleo latente dell’oralità (p. 51) – 5. Un nucleo di oralità latente: una prosa non proprio ‘media e discorsiva’ (p. 66) II. Inversioni e tmesi del verbo 79 1. Inversioni del verbo (p. 81) – 2. Tmesi del verbo (p. 88) – 3. Tipologia delle tmesi (p. 89) – 3.1. Tmesi per avverbio (p. 90) – 3.2. Tmesi per soggetto e per complemento indiretto (p. 95) – 3.3. Tmesi per complemento d’agente (p. 106) – 3.4. Tmesi per compresenza di due o più elementi (p. 106) – 3.5. Tmesi per subordinata (p. 109) – 4. Correzioni di edizione (p. 110) – 4.1. Manzoni (p. 111) – 4.2. Tommaseo (p. 112) – 4.3. Verga (p. 113) – 5. Conclusioni (p. 114) III. La posizione dell’aggettivo 1. La posizione dell’aggettivo (p. 117) – 2. Determinazione e qualificazione (p. 119) – 3. Gli aggettivi qualificativi: le posizioni ‘A+N’ e ‘N+A’ (p. 121) – 4. Distingue frequenter (p. 125) – 5. Le diverse tipologie di aggettivi anteposti: ‘AL1’/‘AL2’ e ‘AΦ’ (p. 140) – 6. Gli aggettivi AL1/AL2 (p. 142) – 6.1. Gli aggettivi AL1/AL2: diegesi e dialogo (p. 162) – 7. Gia- 117 8 SOMMARIO citure complesse (p. 165) – 8. Gli aggettivi in posizione ‘N+A’ (p. 167) – 8.1. Giaciture complesse (p. 175) – 8.2. Giaciture marcate (‘N+A determinativi’) (p. 177) – 8.2.1. I dimostrativi di identità stesso e medesimo (p. 181) – 9. La posizione del possessivo (‘Poss+N’ e ‘N+Poss’) (p. 184) – 9.1. La posizione del possessivo in cooccorrenza con altri aggettivi (p. 198) – 9.2. Casi di singenionimi con articolo e possessivo (p. 206) – 9.3. Possessivo analitico postnominale (p. 208) – 10. Correzioni di edizione (p. 210) – 10.1. Grossi (p. 210) – 10.2. Guerrazzi (p. 211) – 10.3. Tommaseo (p. 211) – 10.4. Manzoni (p. 212) – 11. Conclusioni (p. 213) IV. Enclisi e proclisi 219 1. Enclisi e proclisi con i modi finiti del verbo (p. 226) – 2. I modi non finiti del verbo (forma affermativa) (p. 234) – 2.1. ‘Fare + Infinito’ (p. 243) – 2.2. ‘Si + Infinito affermativo’ (p. 245) – 3. I modi non finiti del verbo (forma negativa) (p. 246) – 4. L’imperativo affermativo (p. 247) – 5. L’imperativo negativo (p. 248) – 6. L’ordine dei pronomi combinati (p. 252) – 6.1. Il clitico ne (p. 254) – 6.2. Forme apocopate (nol, mel, tel, vel) (p. 256) – 6.3. Mancata univerbazione dei nessi glielo, glieli, gliela, gliele (p. 259) – 6.4. Combinazioni letterarie sive ‘marginali’ (p. 259) – 7. Correzioni di edizione (p. 268) – 7.1. Guerrazzi (p. 269) – 7.2. Manzoni (p. 269) – 7.3. Tommaseo (p. 270) – 8. Conclusioni (p. 271) V. La posizione del soggetto 277 1. La posizione del soggetto (p. 277) – 2. La giacitura diretta SV(O)/ S°V(O) (p. 281) – 3. La posposizione del Soggetto (p. 296) – 3.1. Condizioni di posposizione del Soggetto (p. 298) – 3.1.1. Condizioni grammaticalizzate: le tipologie frasali (p. 300) – 3.1.2. La frase interrogativa (p. 303) – 3.2. Casi grammaticalizzati: tipologie verbali (verba dicendi) (p. 305) – 3.3. Casi grammaticalizzati: tipologie verbali (verbi inaccusativi) (p. 307) – 3.4. Casi facoltativi (p. 309) – 3.4.1. La presupposizione narrativa (p. 309) – 3.4.2. La sequenza XVS (elementi avverbiali, locativi, temporali, complementi indiretti preverbali) (p. 312) – 3.4.3. Soggetto tematico parentetico (p. 313) – 3.4.4. Soggetto pesante (p. 314) – 3.4.5. Soggetto in focus / deittico (p. 315) – 4. La frase relativa (p. 318) – 4.1. Le frasi ‘r-VS’ e ‘r-SV’ (p. 320) – 4.2. L’ordine preminente SV(O) in frase relativa (p. 322) – 5. La posizione dell’Oggetto (p. 325) – 6. Correzioni di edizione (p. 331) – 6.1. Grossi (p. 331) – 6.2. Manzoni (p. 331) – 6.3. Tommaseo (p. 332) – 7. Conclusioni (p. 335) VI. Ordini di sintassi marcata 339 1. Segnali di ‘modernità’: dislocazioni, frasi scisse, temi sospesi (p. 340) – 2. Segnali di ‘modernità’: la posposizione del soggetto per enfasi pragmatica (p. 352) – 3. Correzioni di edizione (p. 353) – 3.1. Grossi (p. 353) – 3.2. Manzoni (p. 354) – 3.3. Tommaseo (p. 355) – 4. Conclusioni (p. 355) VII. Silhouettes Guerrazzi (p. 357) – Tommaseo (p. 362) – Rosini (p. 370) – Ranieri (p. 357 SOMMARIO 9 375) – D’Azeglio (p. 380) – Verga (p. 386) – Manzoni (p. 390) – Nievo (p. 394) – Rovani (p. 401) – Grossi (p. 408) Conclusioni 415 Riferimenti bibliografici 425 Indice degli autori dei romanzi 453 Indice dei nomi 455 26 3. INTRODUZIONE PRESENTAZIONE DEL «CORPUS» Il nostro corpus risulta composto di dieci romanzi storici 37 scelti tra i numerosi appartenenti al genere 38 apparsi nel corso dell’Ottocento. La vastità di produzione romanzesca di fronte alla quale ci si è trovati ha imposto la necessità di un criterio o meglio di una combinazione di criteri selettivi che individuassero una rosa di testi su cui eseguire lo spoglio linguistico. Tenendo saldo il criterio basilare della rappresentatività, oltre a quello preliminare della omogeneità dei testimoni costitutivi del corpus, si è data importanza soprattutto ai seguenti tre parametri individuativi: cronologico, geografico, tematico. A questi se ne aggiunge un quarto, quello del successo editoriale dell’opera, che ne testimonia una maggiore diffusione e conseguentemente una più ampia ricezione da parte del pubblico. Il primo criterio, cronologico, oltre ad essere quello di ragione più immediata e più facilmente giustificabile in un’indagine che costitutivamente si propone uno scandaglio di taglio diacronico (ben congeniale, ci pare, alla dimensione sintattica), e che per certi aspetti si lascia guidare sulle sottili e pur presenti tracce di una ricerca ‘orientata’ 39, appare ulteriormente significativo se correlato al periodo storico preso in esame (dagli anni ’20 al 1870 circa), in cui appare imprescindibile intrecciare le vicende linguistiche squisitamente letterarie – ma di un nuovo tipo di letteratura – a quelle sempre più emergenti delle necessità civili e politiche unitarie. I romanzi del corpus, quindi, si distribuiscono lungo tutto l’arco cronologico prescelto (dall’anno cardine 1827 40 al 1868-1869, anno dell’edizione definitiva dei Cento Anni di Rovani). Il criterio geografico, invece, ha voluto dare spazio e voce ad autori che rappresentassero il più possibile le differenti ‘varietà’ 41 linguistiche e 37 Per la scelta del sottogenere storico si veda l’Introduzione; quanto, invece, alla limitazione dell’indagine ai soli romanzi di tematica storica si è ritenuto che il criterio dell’omogeneità fosse opportuno e determinante per il successivo raffronto dei dati. 38 Per qualche dato relativo alla consistenza dei romanzi storici pubblicati nell’Ottocento si vedano Pagliano 1988, p. 48 e Di Fazio 1988, pp. 58-59. 39 Per questo aspetto cfr. supra, Introduzione. 40 Anno in cui compaiono, come si è già avuto modo di rilevare, vari romanzi storici. 41 Ovviamente non si vuole alludere con questo termine alle ‘varietà’ sociolinguisticamente intese in senso contemporaneo, ma alla possibilità di eventuali diversità linguistiche determinate dalle differenti provenienze regionali degli scrittori o, più latamente, ‘areali’ (e quindi anche culturali: si pensi per esempio al dominio culturale esercitato dalla scuola puotiana a Napoli). Naturalmente, il pigmento geografico-culturale potrà far parte di una valutazione linguistica finale se corretto e problematizzato sia dalla consapevolezza che ogni elemento di giudizio non è mai pienamente autonomo e può semmai contribuire a delineare una tendenza, sia dalla percezione ben viva del carattere di parzialità dei risultati stessi, parallela all’inevitabile limitatezza della consistenza del cor- PRESENTAZIONE DEL «CORPUS» 27 culturali della Penisola. Il risultato finale della scelta, però, come appare fin da un primo sguardo, si dimostra negli effetti più rappresentativo di alcune aree rispetto ad altre, non avendo potuto ovviare pienamente allo storico, e quindi ineludibile, squilibrio che caratterizza la produzione romanzesca del periodo; di qui una presenza più cospicua di autori settentrionali (Grossi, D’Azeglio, Nievo, Rovani) e ‘toscani’ (tali per nascita o per scelte linguistiche spiccate: Guerrazzi e Rosini, Manzoni e Tommaseo) rispetto a quelli meridionali (Ranieri e Verga). Il parametro che ho chiamato tematico, infine, ha suggerito una diversificazione, la più ampia possibile, dei soggetti storici trattati e soprattutto delle loro ambientazioni (in un remoto o recente passato), ponendolo come un possibile elemento di variazione (tutta da verificare) che possa coinvolgere (o, viceversa, non condizionare) anche il piano linguistico 42. Prima di passare all’elenco dettagliato dei romanzi del campione è necessario però accennare, anche se brevemente, alla ‘questione filologica’ che si è dovuta affrontare prima della scelta definitiva delle edizioni su cui condurre lo spoglio. Lo stato delle condizioni testuali dei romanzi ottocenteschi è cosa fin troppo nota a chiunque si sia occupato di opere più o meno celebri del periodo. La prassi editoriale assolutamente caotica, preindustriale e spesso ‘piratesca’ 43 dell’editoria ottocentesca, non solo agli esordi del secolo ma anche successivamente ad essi, determina un ‘sospetto’ continuo nei confronti del testo stampato, non sempre segno presumibile dell’ultima volontà dello scrittore anche laddove il frontespizio rechi la spesso abusata dicitura di «edizione rivista e corretta dall’autore» 44. Altrettanto notoria è poi la scarsità di edizioni critiche di cui si può disporre per i testi del periodo in questione: non sempre è stato possibile avvalersi di un testo filologicamente ineccepibile e si è dovuto ricorrere alla scelta dell’edizione che lo stato degli studi indicava come più attendibile. In altri casi, invece, la scelta tra le edizioni non è dipesa dalla sola correttezza del testo, quanto da ragioni di ordine più ampio, come l’alle- pus, sia dal riconoscimento che la lingua di ogni prova narrativa (intendiamo quindi di una lingua veicolo e segno letterario) non riecheggia solo e semplicemente un habitus scrittorio più o meno diffuso, ma ambisce, il più delle volte, portare i segni di uno ‘stile’, di una individualità. 42 Esemplare in questo senso il caso del Duca d’Atene di Tommaseo che coinvolge in un esperimento personalissimo e originale di ricostruzione trecentesca anche la materia linguistica. 43 Si vedano anche solo Di Rienzo 1995, gli accenni in Di Fazio 1988, p. 58; Cadioli 2001, pp. 51-52, 214; i rilievi puntuali di Andreoli 1926, pp. XXXVI-XXXVIII. 44 Spesso editori spregiudicati utilizzano tale formula sulle copie clandestinamente messe in circolazione per dotarle di un crisma di autorità. 28 INTRODUZIONE stimento programmatico e volontario dell’autore di una nuova edizione differente da quella approntata in precedenza. Emblematico il caso di Manzoni, a cui si aggiungano, per esempio, quello di Grossi o di Guerrazzi. L’analisi del percorso scrittorio relativo ad ogni opera non sempre ha determinato la scelta di riferirsi all’edizione più recente o comunque successiva alla prima per le ragioni che di volta in volta verranno esposte. Presento, infine, i romanzi del corpus 45 in forma di scheda sintetica (che riporterà le edizioni principali del testo, eventuali edizioni significative, la scelta dell’edizione di riferimento, una brevissima sintesi della trama, la caratterizzazione sociologica dei personaggi): Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi (1840), ed. critica a cura di A. Chiari e F. Ghisalberti, Milano, Mondadori, 1954. Fermo e Lucia, 1821-1823. I Promessi Sposi, Milano, Ferrario, 1827. I Promessi Sposi, Milano, Guglielmini, 1840-1842. La scelta è caduta sul testo della quarantana, nell’edizione di Chiari e Ghisalberti 46, in attesa di quella che si sta approntando per l’Edizione Nazionale delle Opere. Segnaliamo altre edizioni notabili: quella curata da L. Caretti per i tipi di Einaudi (1971), quella di A. Stella - C. Repossi (Einaudi - Gallimard, 1995) e quella uscita presso i Meridiani di Mondadori (2002) che presenta la ristampa anastatica della «parte sana» 47 della edizione del 1840-1842 (Milano, Guglielmini) costituita da solo alcuni dei fascicoli allora stampati e messi in circolazione. Data la fondamentale importanza linguistica della revisione manzoniana nel passaggio dalla ventisettana alla quarantana sono stati compiuti, per i fenomeni indagati in questo lavoro, riscontri puntuali. Per il testo dell’edizione del 1827 si è fatto riferimento a quello approntato criticamente da Chiari e Ghisalberti (Milano, Mondadori, 1954). L’azione romanzesca è ambientata nel Seicento (l’esordio del racconto si colloca nel novembre del 1628) tra la zona lacuale di Lecco e quella di Monza e Milano. Nel romanzo vengono rappresentate differenti fasce sociali anche le più modeste da cui sono tratti i due personaggi principali di Renzo e Lucia. 45 Li presento in ordine cronologico di apparizione o composizione. Sui problemi filologico-testuali dell’edizione del testo manzoniano definitivo rimando a Ghisalberti 1941. 47 Per la questione rimandiamo alle pagine introduttive dell’edizione mondadoriana e alla menzione del costante e continuo processo correttorio manzoniano proseguito anche in fase di stampa avviata; correzioni in fase di stampa che però coinvolgono essenzialmente aspetti interpuntori, ortografici e di correttezza tipografica (per la questione si veda anche Ghisalberti 1941). 46 PRESENTAZIONE DEL «CORPUS» 29 Francesco Domenico Guerrazzi, La Battaglia di Benevento, Firenze, Le Monnier, 1852. La Battaglia di Benevento, Livorno, Bertani, 1827. La Battaglia di Benevento, Firenze, Le Monnier, 1852 48. La scelta è caduta sulla seconda edizione di questo primo romanzo guerrazziano perché si tratta di un’edizione rivista dallo stesso autore a distanza di venticinque anni, nella quale intervengono correzioni di tipo linguistico 49; per il taglio di questo lavoro, quindi, assolutamente interessanti. L’altezza cronologica di questa seconda edizione, inoltre, legittima ulteriormente la scelta compiuta imponendo un confronto con lo spirito della prassi correttoria manzoniana che si era concretizzato tempo addietro nella quarantana. Un esempio e un modello di cui Guerrazzi poté, quindi, disporre ma che eluse completamente 50. Significativo è parso, dunque, il raffronto con la prima edizione del 1827 in merito ai fenomeni legati all’ordine delle parole. L’edizione utilizzata è la stessa indicata più sopra: Livorno, Bertani, 1827. L’azione romanzesca è ambientata in un medioevo lontano, alla corte sveva di Manfredi, figlio di Federico II, sconfitto e ucciso nella finale battaglia di Benevento (1266) dal francese Carlo D’Angiò. I personaggi principali appartengono all’entourage della corte sveva. Giovanni Rosini, La Monaca di Monza, Pisa, Capurro, 1829. La Monaca di Monza, Pisa, Capurro, 1829 51. La scelta dell’edizione di riferimento è caduta inevitabilmente sulla princeps del 1829 52. 48 Ringrazio Giovanna Rosa che mi ha messo a disposizione la sua copia. Si vedano gli studi di Falaschi 1972 e 1975. 50 Falaschi 1972 parla esplicitamente di ‘occasione mancata’: «si tenga presente che il Guerrazzi aveva davanti le correzioni del Manzoni; il nostro, perciò, è lo studio di una grande occasione presentatasi allo scrittore e, come si vedrà, mancata» (p. 308). 51 Addito solo la princeps seguendo le indicazioni di Romagnoli 1971. 52 Come si riscontra nella «Nota al testo» di Romagnoli 1971, benché siano apparse moltissime edizioni successive a quella del ’29 pare non ci siano tracce di correzioni rilevanti da parte dell’autore se non qualche adeguamento ammodernante relativo alla punteggiatura e alla concordanza tra soggetto/oggetto e participio. La scelta del Romagnoli di riprodurre, per l’edizione Vallecchi del 1971, quella originaria (con l’aggiunta, in realtà, di una Conclusione apparsa nell’edizione Le Monnier del 1857) mi ha ulteriormente indotta a basare lo spoglio sulla prima edizione pisana. In realtà, però, consultando non sistematicamente alcune edizioni successive (Milano, Francesco di Omobono Manini, 1840, e Milano - Napoli, Francesco Pagnoni, 1876, entrambe presso la Biblioteca Nazionale Braidense) si sono riscontrate invece differenze significative proprio in merito all’ordine delle parole – il che in genere avviene raramente – e a scelte lessicali 49 30 INTRODUZIONE L’ambientazione è naturalmente secentesca, e si svolge tra la Lombardia, l’Emilia e la Toscana, punto di approdo (Firenze) dei due protagonisti principali: Geltrude ed Egidio. I personaggi principali sono di alto lignaggio (Geltrude, Egidio, Barbara Albizzi), benché ne compaiano altri di condizioni più modeste e dai tratti furfanteschi (Anguillotto, Carafulla). Massimo D’Azeglio, Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, Milano, Ferrario, 1833. Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, Milano, Ferrario, 1833 53. Si è imposta la scelta della prima edizione in quanto è stata licenziata direttamente dall’autore ed è anche la più integra, non avendo subito quei tagli e quelle modifiche che l’azione censoria ha esercitato su altre 54. e fonomorfologiche; non ultima differenza lo stesso titolo divenuto La Signora di Monza in entrambe le edizioni sopra citate. Se però nella prima esso compare sia sulla copertina sia nel frontespizio, nella seconda (del Pagnoni) la copertina riporta il titolo originario, il frontespizio la variante. Ecco qualche esempio puntuale di discordanza, già nelle prime righe dell’incipit: la promessa che avevale estorto (Pisa, Capurro, 1829); la promessa ch’estorto aveale (Milano, Francesco di Omobono Manini, 1840); la promessa ch’ estorto avevale (Milano - Napoli, Francesco Pagnoni, 1876). E ancora, sempre in apertura di romanzo: l’infelice Donzella (Pisa, Capurro, 1829); la sventurata fanciulla (Milano, Francesco di Omobono Manini, 1840); la sventurata fanciulla (Milano - Napoli, Francesco Pagnoni, 1876). Oppure, qualche pagina dopo: che sol pronunzia il vero dolore (Pisa, Capurro, 1829; Milano - Napoli, Francesco Pagnoni, 1876); che sol pronunzia il dolor vero (Milano, Francesco di Omobono Manini, 1840). Varianti d’autore o tipografiche? Le note condizioni editoriali del periodo non consentono un’immediata risposta (cfr. anche l’accenno in Romagnoli 1971, p. 6), né il tipo di lavoro intrapreso concede lo spazio per una verifica della tradizione testuale, che potrebbe portare in effetti a risultati interessanti in merito ad alcune oscillazioni topologiche. Basti l’aver toccato e reso noto un problema che in questo caso si limita ad avvalorare maggiormente la scelta definitiva di basarsi sulla I edizione pisana, che è ritenuta corretta e seguita dallo stesso autore presso la stamperia Capurro di cui era direttore (cfr. Introduzione in Romagnoli 1971), rimandando ad altri ambiti di studio la soluzione dell’ancora aperta problematicità del testo. 53 Le vicende testuali del romanzo in realtà sono più complesse di quanto non risulti dalla singola indicazione: intervengono a complicare il quadro ragioni legate alla censura che ha portato alla pubblicazione di edizioni ritoccate o mutilate. Il piano delle ‘correzioni’, quindi, nulla ha a che vedere con processi correttori autoriali volontari o di tipo espressamente linguistico. Per questi motivi, dato il taglio del lavoro, mi limito a rimandare a quanto esposto in Andreoli 1926 e a De Rubertis 1919 (a cui si fa riferimento in Andreoli 1926, p. XXXV). 54 La ripubblicazione del romanzo in Toscana ebbe svariate difficoltà e necessitò di molte pratiche presso il Governo granducale. L’esito finale fu una ristampa fiorentina uscita sempre nel 1833 ‘riveduta’ e mutata perfino rispetto alla seconda edizione torine- PRESENTAZIONE DEL «CORPUS» 31 In questo caso per lo spoglio vero e proprio ci si è serviti di un’altra edizione 55, quella uscita presso la Società Editrice Unitas di Milano (1926), che «riproduce fedelmente il romanzo quale apparve la prima volta in pubblico» 56. L’edizione più recente del romanzo (Roma, Studio Tesi, 1992) non esplicita in alcun modo quale edizione faccia da riferimento per il testo presentato 57, di qui la scelta di escluderla. L’azione si svolge in Puglia all’inizio del Cinquecento (1503) intorno all’episodio storico della sfida avvenuta tra Italiani e Francesi in merito ad una questione d’onore. I personaggi sono quasi tutti di elevata condizione sociale ma non mancano figure vivaci di più modesti natali. I protagonisti, però, sono immancabilmente presi dalle schiere nobiliari o esercitanti il nobile «mestiere delle armi». Tommaso Grossi, Marco Visconti. Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel secolo e raccontata da Tommaso Grossi, Milano, Borroni e Scotti, 1840. Marco Visconti. Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel secolo e raccontata da Tommaso Grossi, Milano, Vincenzo Ferrario, 1834. Marco Visconti. Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel secolo e raccontata da Tommaso Grossi, Milano, Borroni Scotti, 1840. La scelta della seconda edizione del Quaranta è apparsa naturale e inevitabile per l’esplicito intento correttorio di Grossi (al di là degli effettivi esiti) 58, condotto sulle tracce del suo maestro dichiarato Alessandro Manzoni 59. Lo spoglio è stato condotto direttamente sulla seconda edizione ottocentesca se dell’Ettore Fieramosca (Torino, tipografia G. Pomba, 1833) che era già stata rivista e corretta. Tale edizione poi servì di modello alle successive fiorentine uscite dal ’34 al ’38 e perfino a quella del 1850 di Le Monnier. Pare inoltre, secondo le riprovazioni esplicite di De Rubertis 1919, che la tradizione testuale così «corrotta» sia proseguita ben oltre «perfino nelle moderne ristampe dei Successori Le Monnier, di Gaspero Barbèra, Adriano Salani, Edoardo Sonzogno ed altri!». 55 Ragioni di più facile reperibilità hanno in qualche caso indotto ad eseguire concretamente lo spoglio su edizioni più recenti (cfr. le Abbreviazioni). In questi casi naturalmente per le parti analizzate è stato fatto un riscontro puntuale tra il testo ottocentesco e quello dell’edizione più moderna. 56 Andreoli 1926, p. XXXV. 57 Stesso problema presentano anche altre edizioni consultate (Milano, Mursia & C., (To, Soc. ed. Subalpina), 1966; Milano, Fabbri, 1991) che non possiedono alcuna Nota al testo. 58 Per questo si veda il lavoro di Dramisino 1996 che riporta i risultati del confronto puntuale (di tipo prevalentemente lessicale e morfologico, ma con cenni sintattici) tra le due edizioni, mettendo in evidenza la prassi spesso discontinua e non sempre coerente delle correzioni. 59 Come indica la stessa dedica del romanzo: «Ad / Alessandro Manzoni / colla riverenza d’un discepolo / coll’amore d’un fratello / candidamente offre / l’autore». 32 INTRODUZIONE che attua le correzioni dell’autore. Naturalmente esistono varie edizioni moderne 60, tra cui, più recente, quella curata da Mario Barenghi (Milano, Arcipelago Edizioni, 1994) che, però, in mancanza di un’edizione critica, avverte di basarsi sul testo di quella curata da Ettore Janni per i tipi di Rizzoli (Milano, Bur, 1953), senza altra aggiunta riguardo alla motivazione della scelta. Si è dunque preferito ricorrere all’originale che è stato riprodotto e riversato su supporto elettronico (cd-rom). Data l’esplicita volontà correttoria in materia di lingua si è fatto un confronto puntuale tra le due edizioni 61: quella del 1834 e quella del 1840, relativamente alle parti e ai tratti spogliati per il nostro lavoro. Come si deduce dal sottotitolo del romanzo la storia è ambientata nel Trecento nella zona lombarda del lago di Lecco e delle città di Monza e Milano. I personaggi principali sono di illustre casata ma compaiono anche figure di estrazione più modesta con parti di un certo rilievo. Antonio Ranieri, Ginevra o l’orfana della Nunziata, Milano - Torino, Guigoni, 1862. Ginevra o l’orfana della Nunziata, Napoli, 1837 62. Ginevra o l’orfana della Nunziata, Capolago, Tipografia Elvetica, 1939 (I edizione). Ginevra o l’orfana della Nunziata, Milano - Torino, Guigoni, 1862 (II edizione). L’edizione di riferimento è rappresentata dalla seconda edizione per i tipi di Guigoni in quanto licenziata dall’autore come definitiva. Anche in questo caso lo spoglio vero e proprio è stato condotto su un’altra edizione, più recente, il cui testo è stato approntato da Edoardo Villa per i tipi de La Quercia Edizioni di Genova (1981). Il curatore si è basato sia sull’edizione del 1862, sia sulle correzioni approntate con la puntuale collazione dell’edizione del ’39, di cui sono riportate alcune varianti. Del 1986 è un’altra edizione della Ginevra (a cura di Riccardo Reim, Roma, Lucarini) ugualmente esemplata su quella guigoniana del 1862 ma disdicevolmente piena di refusi e filologicamente meno accurata di quella genovese. 60 Si vedano i cenni in Barenghi 1994, p. 42. Ringrazio sentitamente Ilaria Bonomi per avermi messo a disposizione la sua copia della prima edizione del 1834. 62 Di questa prima edizione napoletana definita dallo stesso Ranieri «nitida e correttissima» in opposizione a quella di Capolago «grossolana e scorretta» (di qui la volontà di approntare la «terza edizione ordinata e corretta dall’autore» del ’62), non si ha più traccia materiale (cfr. Villa 1981, p. XXIX) ma se ne conosce l’esistenza attraverso la Notizia aggiunta all’edizione di Guigoni e la menzione fatta da Leopardi in una lettera ad Antonietta Tommasini del 15 maggio 1837. 61 PRESENTAZIONE DEL «CORPUS» 33 L’ambientazione è contemporanea (gli anni ’30 dell’Ottocento) e si svolge prevalentemente tra le mura della Nunziata (ricovero per i fanciulli esposti) a Napoli, la città di Roma e l’agro circostante, e infine il napoletano convento di San Gennaro. La protagonista, Ginevra, è una fanciulla di natali miserrimi e disperati, che (de)scrive in prima persona la storia della propria vita, su richiesta del padre confessore a cui Ginevra si rivolge prima di morire ed averne l’assoluzione; compaiono poi altri personaggi di livelli sociali differenti (cuochi, accattoni, monache e preti di condizione molto modesta, religiosi con più alte cariche prelatizie, funzionari della Polizia, alcune Autorità). Niccolò Tommaseo, Il Duca d’Atene, ed. critica a cura di F. Michieli, Roma Padova, Editrice Antenore, 2003. Il Duca d’Atene. / Narrazione / di / N. Tommaseo, Parigi, Baudry, 1837 [A]. Il Duca d’Atene. / Narrazione / di / N. Tommaseo, Milano, Francesco Sanvito, 1858 [B]. Il / Duca d’Atene / narrazione / di / Niccolò Tommaseo / con sue correzioni inedite / e aggiuntovi / Il Sacco di Lucca e L’Assedio di Tortona, Firenze, coi Tipi di M. Cellini e C., 1879 [C]. La scelta dell’edizione di riferimento, data la recente uscita di un’edizione critica da tempo attesa, è ricaduta naturalmente su questa. L’importanza e la cospicuità delle differenze 63 che segnano la distanza tra l’edizione del 1837 e quella del 1858 ne hanno sollecitato il confronto puntuale. Per un confronto con la prima edizione si è fatto riferimento ad una ristampa moderna (Niccolò Tommaseo, Tutti i racconti, Milano, S. Paolo, 1993) curata da Gino Tellini. L’ambientazione è fiorentina, medioevale, e si situa tra il luglio e l’agosto del 1343, mese della cacciata popolare del Duca Gualtieri di Brienne dalla città. I protagonisti si dividono tra i congiurati, avversi al Duca e ai fiorentini «traditori», fedeli al tiranno, appartenenti alle diverse fazioni fiorentine e il popolo, visto come folla disordinata o «animale faticante» 64, senza discernimento e bisognoso di una guida. 63 Sui complessi rapporti tra le edizioni rimandiamo agli interventi di Puppo 1958; Cataudella 1968; Tellini 1993 e Michieli 2003. 64 Niccolò Tommaseo, Il Duca d’Atene, a cura di F. Michieli, Roma - Padova, Editrice Antenore, 2003, p. 125. 34 INTRODUZIONE Giovanni Verga, I Carbonari della Montagna, ed. critica a cura di R. Verdirame, Edizione Nazionale delle Opere di G. Verga, vol. I, Firenze, Le Monnier, 1988. I Carbonari della Montagna, Catania, Vincenzo Galatola, 1861, voll. I-II / Catania, Tipografia dell’Ospizio di Beneficenza, 1862, voll. III-IV. Data l’esistenza di un’edizione critica la scelta è ricaduta naturalmente su questa, la quale riporta in apparato tra le varianti anche un ripensamento (l’unico per la porzione da noi spogliata) di ordine topologico. L’ambientazione è ottocentesca e si svolge prevalentemente nelle Calabrie (con qualche puntata fino alla Sicilia e alla Lombardia) all’epoca delle guerre napoleoniche e della lotta dei napoletani per liberarsi del dominio francese. I protagonisti, carbonari, sono scelti dalle diverse classi sociali, dalle file nobiliari (per es., Giustina e Francesco di S. Gottardo) alle schiere contadine (Angelo e Rita). Ippolito Nievo, Le Confessioni d’un Italiano, ed. critica a cura di S. Casini, Parma, Edizioni Pietro Bembo / Guanda, 1999. Le Confessioni d’un Ottuagenario, a cura di Erminia Fuà Fusinato, Firenze, Le Monnier, 1867. Le Confessioni d’un Italiano, ed. critica a cura di Sergio Romagnoli, Napoli, Ricciardi, 1952. Le Confessioni d’un Italiano, a cura di Elena Spagnol Vaccari, Milano, Feltrinelli, 1963. Le Confessioni d’un Italiano, a cura di Folco Portinari, Milano, Mursia, 1967. Le Confessioni d’un Italiano, a cura di Geno Pampaloni, Milano, Garzanti, 1973. Le Confessioni d’un Italiano, a cura di Marcella Gorra, Milano, Mondadori, 1981. Le Confessioni d’un Italiano, ed. critica a cura di Sergio Romagnoli, Padova, Marsilio, 1990. Le Confessioni d’un Italiano, ed. critica a cura di Simone Casini, Parma, ed. Fondazione P. Bembo / Ugo Guanda Editore, 1999. Per l’edizione di riferimento si è scelta l’edizione critica approntata da Simone Casini per Guanda, la più recente 65. 65 Come in altri casi, la scelta è stata frutto di una riflessione meditata ma necessariamente limitata dai tempi e dalle reali esigenze del lavoro. Il piano dell’ordine delle parole, infatti, appare, già dai primi riscontri, quello meno coinvolto dalle varianti. L’esclusione della prima edizione del 1867 ci è parsa piuttosto naturale in quanto uscita postuma, quindi non rivista ed approvata dall’autore. Il testo critico di Romagnoli (1952), invece, su cui si basano parimenti le edizioni di Spagnol Vaccari, Portinari e Gorra (con alcune differenze), è il primo testo edito con vero rigore filologico. Gli fa PRESENTAZIONE DEL «CORPUS» 35 L’ambientazione è contemporanea e si estende dal 1780 al 1855, con partenza dalla friulana Fratta percorrendo l’Italia intera in un periodo storico cruciale. Il personaggio principale si presenta subito come socialmente e culturalmente ‘dimesso’, benché orfano adottivo di una famiglia nobiliare di consanguinei; i personaggi comprimari e le comparse appartengono poi a svariati ambienti sociali. Giuseppe Rovani, Cento Anni, Milano, presso lo Stabilimento Redaelli dei F.lli Rechiedei, 1868-1869. Cento Anni, prima apparizione a puntate sulla «Gazzetta di Milano», 1857-1863. Cento Anni, Milano, Wilmant, 1859, voll. I-II-III / Milano, Daelli, 1864, voll. IVV. Cento Anni, Milano, presso lo Stabilimento Redaelli dei F.lli Rechiedei, 18681869. La scelta è ricaduta sull’ultima edizione curata dall’autore apparsa in volume tra il 1868 e il 1869, «che si può ben dire definitiva» 66. Lo spoglio è stato invece condotto su un’edizione moderna che riproduce il testo di quella del 1868-1869, per cura di Silvana Tamiozzo Goldmann (Giuseppe Rovani, Cento Anni, Milano, Rizzoli, 2001, 2 voll.). L’ambientazione è contemporanea e raccoglie le vicende italiane dalla metà del Settecento alla metà dell’Ottocento attraverso la storia di alcune famiglie e della loro discendenza. L’azione si svolge principalmente a Milano con alcune incursioni a Venezia e Roma. seguito, però, a vari anni di distanza una nuova edizione, mutata nei criteri ecdotici e critici, condotta sempre da Romagnoli che ha ritenuto di approntare un testo che dia più spazio al fondo di oralità dialettale o semidialettale della lingua nieviana, determinando «degli eccessi conservativi [rispetto al manoscritto autografo], che rendono talora difficile la lettura della nuova edizione» (Casini 1999, p. 1525) e rispecchiano il tema critico, sostenuto da Romagnoli appunto, della «finzione totale» secondo cui «lo scrittore avrebbe inteso cioè dare pienamente vita al suo personaggio Carlo Altoviti e alla sua autonoma fisionomia, al punto da attribuire a lui, narratore illetterato, anche le deficienze ortografiche, derivanti dalle inflessioni dialettali e dalle peculiarità espressive tipiche di un parlante veneto-friulano di primo Ottocento» (ibidem). Nella sua edizione Casini, al quale «sembra che tale ipotesi, valida sul piano critico e narratologico, costituisca un’indebita invadenza in quello filologico» (ibidem), dichiara di muoversi nella stessa direzione comunque indicata da Romagnoli (data l’importanza attribuibile alle «abitudini linguistiche ed espressive del testo» in quanto segno sia dell’ultima volontà autoriale sia di una lingua che pur scritta si avvicina sensibilmente a quella parlata in una certa area culturale e geografica di metà Ottocento) ma senza obbedire «al criterio assoluto del manoscritto, della cui lezione il lettore e lo studioso possono in ogni caso prendere visione grazie all’Apparato critico» (ivi, p. 1526). 66 Così la definisce nella recente edizione per Rizzoli (2001) la curatrice Tamiozzo Goldmann (p. 53). 36 INTRODUZIONE I personaggi sono di svariata condizione sociale ed economica, tratti dalle file nobiliari, mercantili, artistiche della Milano dell’epoca. Occorre, infine, avvertire che la consistenza del campione preso in esame non è omogenea per tutti i fenomeni indagati; ragioni di ordine diverso come l’alta o bassa reperibilità del fenomeno, la necessità di un ampliamento dell’indagine al contesto linguistico e quindi la conseguente maggiore onerosità della raccolta e dell’interpretazione dei dati, hanno portato a stabilire una differenziazione nelle porzioni di testo indagate. Quanto ai fenomeni trattati nei Capp. II, III, IV (inversioni e tmesi, la posizione dell’aggettivo, la clisi) per ogni romanzo sono state analizzate 100 mila battute. Per il Cap. V, data la natura del fenomeno indagato (la posizione del pronome personale soggetto) e la frequenza di rilevamento, si è ritenuto sufficiente basarsi su un numero di battute di molto inferiore: circa 20 mila 67. Infine per i fenomeni di sintassi marcata (Cap. VI), data la loro natura sintattica ad ampio raggio (coinvolgono infatti la struttura periodale e non più solo quella proposizionale) e la relativa minore frequenza del loro reperimento, si è pensato invece di estendere l’indagine a 200 mila battute. Sia durante la fase di spoglio sia in quella di rielaborazione, presentazione e commento dei dati, quando significativo, sono stati tenuti distinti e separati i due piani della narrazione (NR) e del dialogo (DL). 67 Ulteriore conferma alla scelta di 20 mila battute, confortata del resto dalle centinaia di esempi raccolti, viene dalle consimili indicazioni quantitative di Palermo 1997 nel suo lavoro sulla espressione del pronome soggetto nella storia dell’italiano. Se è ben vero che il corpus di Palermo è costituito da un centinaio di testi, quindi molto più ampio di questo, il lavoro dello studioso è di tipo monografico, mentre in questa indagine la posizione del pronome personale soggetto rappresenta solo uno dei diversi tratti presi in considerazione. II INVERSIONI E TMESI DEL VERBO ANIMA: onde avien proprio a lei [lingua toscana] come a una donna bella, che, credendosi far più bella con il lisciarsi, più si guasta. GIUSTO: O come può avvenire questo? ANIMA: Dirottelo. Mentre che e’ cercano, per farla più ornata, di fare le clausole simili a quelle della latina, e’ vengono a guastare quella sua facilità e ordine naturale nel quale consiste la bellezza di quella. G.B. Gelli, Capricci del Bottaio, V, 64 1 Presentiamo in questa iniziale sezione una serie di tratti riuniti sotto la dicitura di Inversioni e Tmesi del Verbo che possono definirsi e valutarsi con minore incertezza e maggior riscontro 2 come sostanzialmente conservativi e tradizionalistici, propri della tradizione classicistica 3: inversione dell’ordine ‘Ausiliare+Participio’; inversione dell’ordine ‘Verbo Reggente+Infinito’; inversione dell’ordine ‘Verbo Servile+Infinito’. Si tratta di fenomeni che denotano la loro appartenenza alla tradizione letteraria alta 4, di origine latineggiante, alla linea cioè della prosa boc1 In G.B. Gelli, Dialoghi, ed. critica a cura di R. Tissoni, Bari, Laterza, 1967. Riscontri presenti sia in testi ottocenteschi di varia natura (giornali, scritti saggistici, orazioni e opere normative come le grammatiche), sia negli studi linguistici dedicati al periodo. 3 Per i concetti di tradizionalismo e classicismo si rimanda ai noti e fondamentali interventi di Vitale 1986a; per l’utilizzo delle categorie di tradizione, innovatività, modernità rimandiamo alla trattazione preliminare fattane nell’Introduzione e nelle Indicazioni di metodo. 4 In realtà anche i primi testi italiani antichi presentano spesso le giaciture con inversione, proprio per la diretta filiazione e la vicinanza cronologica ai testi tardo-latini (si vedano a questo proposito Rohlfs 1969, § 981 e Tekavc∨ ic 1972, p. 690; Maiden 1998, p. 203); a questi casi, naturalmente, non può applicarsi nello stesso modo la valutazione espressa sopra riguardo alle giaciture inverse rinvenibili da una certa altezza cronologica, essendo queste frutto di un recupero consapevole della tradizione latina classica e pertanto stilisticamente connotate. 2 80 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO cacciano-bembiana 5, che, come è noto, tenterà di imporsi come modello più accreditato 6 per tutto il Cinquecento (soprattutto nell’ambito «degli operatori di stamperia» 7), si stabilizzerà nelle scritture di fede classicistica, e non decadrà mai definitivamente lungo tutto l’arco della tradizione nostrana, fino alle battute d’arresto più notevoli e finalmente conclusive tra la fine del Settecento e la fine dell’Ottocento 8. Seguiranno poi i dati relativi ad altri tratti riuniti sotto l’etichettatura di Tmesi del Verbo, che devono il loro maggiore o minore valore di tradizionalismo e di sostenutezza stilistica 9 alle particolari tipologie riscontrate di volta in volta e alla quantità e diversità degli elementi interposti 10 tra il 5 Della tradizione classicistica, dunque, a cui il fenomeno dell’inversione è particolarmente legato. Si veda Vitale 1986a, pp. 217, 498; Bozzola 1999, 2004. 6 Con un’espressione che attenua in qualche modo il giudizio sulla conclamata supremazia classicistica della prosa boccacciano-bembiana, si è voluto rendere giustizia o meglio far venire alla luce quei filoni non ancora pienamente valorizzati, e pur compresenti, che rappresentano e hanno voluto rappresentare un’alternativa e una reazione a questa linea: si veda ad esempio l’antagonistico paradigma castiglionesco-tassiano che si propone come lingua letteraria «di livello medio, non realistica, contrapposta da un lato alle scritture pratiche e cancelleresche, dall’altro ai modelli di simulazione del parlato, o di riproduzione letteraria dei dialetti» (Bozzola 1999, p. 110). E ancora si veda il drappello degli autori censiti nel più recente studio di Bozzola 2004 sulla prosa tra Cinquecento e Seicento (Bartoli, Brignole, Castiglione, Contarini, Della Casa, Frugoni, Galilei, Guicciardini, Machiavelli, Magalotti, Sarpi, Speroni, ecc.), e l’esperienza del secentista Malvezzi in Piotti 2001. 7 Bozzola 2004, p. 26. 8 Patota 1987: «Separazione e inversione della sequenza normale sono l’eredità, ampiamente fruita, di una prosa antica di tono elevato. […] Solo nell’Ottocento questi usi, benché ancora codificati dai testi normativi [il riferimento è a Fornaciari 1881, p. 443], andranno scemando. Se la lingua di SPM [Stampa Milanese] si presenta, per questo tratto, come una zona di transizione fra l’uso antico e l’uso moderno, il modello offerto dal Manzoni è già quello dell’italiano contemporaneo, in cui la sequenza servile + infinito può essere interrotta da alcuni tipi di avverbio (per es. devo assolutamente partire, devo già partire) o da alcune congiunzioni coordinative (per es. devo quindi partire, devo anzi partire)» (p. 152). 9 L’utilizzazione di elementi della tradizione classicistica, di origine, come si è già detto, latina, che influiscono sull’ordine basico (a grandi linee cioè l’ordine progressivo SVO) delle lingue romanze va spesso di pari passo con intenzioni di sostenutezza stilistica. Si vedano, a questo proposito, le considerazioni in Vitale 1986b, p. 500 sul fenomeno della «distanziazione», corrispondente alla nostra dicitura di tmesi (per la scelta terminologica si vedano Patota 1987 e Serianni 1989b, p. 89, di contro a Bozzola 1999). 10 Non sarà forse inutile precisare infatti che non tutte le tmesi sono indice di una prosa tradizionalistica o paludata, né che di per sé esse sono in assoluto avvertibili come ‘marcate’ in senso stilistico e quindi volutamente lontane dalla lingua d’uso o da una prosa media; si veda infatti anche nell’italiano contemporaneo la permanenza di tmesi per nulla connotate in senso ricercato ed anzi in qualche caso grammaticalizzate INVERSIONI DEL VERBO 81 verbo e l’elemento ad esso strettamente legato: tmesi di ‘Ausiliare+Participio’; tmesi di ‘Participio+Ausiliare’; tmesi di ‘Verbo Reggente+Infinito’ 11; tmesi di ‘Infinito+Verbo Reggente’; tmesi di ‘Servile+Infinito’; tmesi di ‘Infinito+Servile’. 1. INVERSIONI DEL VERBO I nostri autori sono caratterizzati per lo più dalla tendenza ad evitare le classiche inversioni, secondo la prassi modernizzante già inaugurata con consapevole programmaticità da Foscolo 12 in contrasto con la tendenza ancora viva della prosa della seconda metà del ’700 ad indulgere alla giacitura inversa (cfr. Patota 1987, pp. 137-138), che è tipico aspetto di una prosa culta di stampo tradizionale e classicistico 13. Sono moduli e aspetti (per la trattazione di questo aspetto cfr. infra, II.1.3.). Si vedano rispettivamente i seguenti esempi: questa località turistica è abitualmente frequentata da famiglie; Maria ha già mangiato. Rimandiamo inoltre anche alle considerazioni e ai raffronti sui testi giornalistici contemporanei fatti in Patota 1987, pp. 137-152. 11 Avvertiamo fin d’ora che sotto questa etichetta rientrano sia i casi di reggenza diretta dell’infinito (ti faccio vedere; ti voglio parlare) sia quelli in cui l’infinito è introdotto da una preposizione richiesta obbligatoriamente dal verbo reggente (spero di vederti; finisco di leggere). 12 ‘Inaugurata’ massicciamente e più sistematicamente; in realtà, infatti, Bozzola 1999 e 2004 retrodata già al XVI secolo la scelta, consapevole e programmatica, dell’ordine diretto in contrapposizione a quello di stampo bembiano fortemente latineggiante. Una conferma anche in alcuni testi secenteschi di Malvezzi, Ritratto del privato politico cristiano e Davide perseguitato (cfr. Piotti 2001). Le analisi di Bozzola sui testi cinque- e secenteschi mettono in evidenza, quindi, la forte progettualità polemico-alternativa delle scelte linguistiche in questione proprio in virtù della contemporaneità dei due modelli in lotta nella battaglia per l’imposizione di una norma; ci chiediamo, però, se a questa altezza cronologica l’utilizzo di certi moduli non sia a volte un tratto, benché consapevolmente culto, indebolito di quel valore programmatico di recupero intenzionale della struttura sintattica latina; una testimonianza per tutte: «Merita una sosta speciale il problema dell’ordine delle parole. È in quest’ambito che la sintassi nieviana [dell’epistolario] si distacca maggiormente dal piano del parlato, e direi ancor più per una preoccupazione generica e quasi automatica di letterarietà che per intenzioni stilistiche via via precise» (Mengaldo 1987, p. 107) e a questo proposito tra i tratti coinvolti in questa «generica e automatica» preoccupazione di letterarietà sono chiamati in causa: l’anticipazione dell’aggettivo, anche di relazione, sul sostantivo, l’anticipo dell’avverbio rispetto al verbo, l’inversione del complemento sul verbo, l’inversione fra l’infinito e il verbo servile, ecc. 13 Per la distinzione dei due termini, che rimandano a due diversi atteggiamenti culturali spesso però attigui quanto a risultati linguistico-stilistici, il rimando obbligato è a Vitale 1986a. Altre valutazioni analoghe sul valore letterario tradizionale e classicistico delle inversioni (e tmesi) si ritrovano in Rodinò 1870, pp. 140-141; Fornaciari 1881, III 82 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO sintattici che già in varie esperienze cinquecentesche (il Tasso dei Dialoghi, il Machiavelli del Dialogo dell’arte della guerra, lo Speroni del Dialogo d’amore, ecc.) 14 sono elusi o semmai ‘normalizzati’ in sede correttoria, ma che informano ancora la prosa secentesca di un Frugoni 15, lontana dalla ricerca di una lingua letteraria media, e quella del napoletano Di Capua, attento e tenace fautore di un recupero della tradizione toscanista trecentesca dopo le intemperanze barocche. Sono inoltre elementi sintattici che già diversamente costellano, con minore insistenza e affiancati da soluzioni più innovative, la prosa settecentesca del letterato veronese Becelli, benché propugnatore di un conservatorismo linguistico rigoroso particolarmente avverso alle pur caute aperture dei programmi dell’Accademia della Crusca durante i lavori della IV edizione del Vocabolario 16. Da un primo sguardo panoramico ai dati percentuali si può notare che ben cinque autori (Manzoni, Grossi, Guerrazzi, Verga e Rovani) presentano come assoluta la giacitura ordinaria di ‘Ausiliare+Participio’, e che altri quattro romanzieri (D’Azeglio, Tommaseo, Nievo e Ranieri) presentano per lo stesso fenomeno valori che non scendono sotto la percentuale del 95%, lasciando quindi all’inversione (‘Participio+Ausiliare’) uno spazio episodico. Spicca invece come un unicum il caso di Rosini (22% di inversioni). L’episodicità generale è poi confermata anche dalle esigue ma pur presenti occorrenze riscontrate nell’uso giornalistico, come indicano gli spogli di Bonomi 1974 e Masini 1977, con il fine di conferire un più accentuato tono letterario. Inoltre, se si analizzano più nel dettaglio del testo le occorrenze di giacitura inversa trovate, si può ben affermare che essa è un fenomeno in via di sparizione, tanto più evidente in considerazione del fatto che se ne rileva l’assenza anche nei due romanzi del nostro corpus che più si collocano, sia per programma sia per risultati, a notevole distanza da una via ‘media’: Il Duca d’Atene di Tommaseo e La Battaglia di Benevento di Guerrazzi. Per quel che riguarda il Duca tommaseiano occorre tenere in particolare conto la programmaticità e la consapevolezza dell’esperimento di una riproduzione fedele dell’ambientazione trecentesca della vicenda, che coinvolge anche il piano linguistico. Quest’ultimo presenta «un impegno espressivo assai diverso da quello, più corrente e spesso più opaco, dei romanzi storici coevi» 17. Circa Guerrazzi, invece, sullo stile alto e teso della sua prosa e sulla sua fede parte; Rohlfs 1969, §§ 982-983; Tekavc∨ ic 1972, pp. 683-693; Bonomi 1974; Masini 1977; Patota 1987; Maiden 1998. 14 Bozzola 2004, p. 39. 15 Bozzola 1996. 16 Vitale 1986a, pp. 173-271; Vitale 1986b, pp. 383-506. 17 Petrocchi 1988, p. 36. Sull’esperimento linguistico e narrativo del Duca rimandiamo inoltre a Duro 1942, Puppo 1948 e Cartago 2000. INVERSIONI DEL VERBO 83 puristica in materia di lingua 18 sono ben nota testimonianza i suoi interventi e le sue dichiarazioni programmatiche (si scorra per esempio il suo giovanile Su la lingua 19) nonché la maggior parte dei suoi romanzi 20. Anche sul fronte grammaticografico le indicazioni relative alla precessione del participio rimandano ad un utilizzo in ambito esclusivamente poetico 21. Ma vediamo i casi di inversione trovati: si tratta esclusivamente (a parte i casi di Rosini) di una formula di espressione temporale (il tipo: arrivato che fu) che forse oggi risulta un po’marcata 22, ma che è contemplata senza particolari commenti sia nella grammatica di Fornaciari sia in quella di Morandi - Cappuccini 23. Si ritrova infatti in passi – dialogici e diegetici – ora piani, ora sostenuti (enfatici e solenni), ora più spigliati: Arrivati che fummo in sulla piazza, donna Mariantonia vide da sé la botteguccia, e torreggiarvi entro l’immensa corporatura della padrona; (G 1862, pp. 42-43) – Senza metter tempo in mezzo, vado, ed ottenuto che l’abbia, ritorno. (EF 1833, p. 33) Finito ch’ebbe l’Oricellai, sorse il Bordoni, e traendo la spada, senza far parola s’avventò sopra Tile, il qual non trasse la sua. (DA 1858, p. 47) Ma parve che il gusto dei viaggi le passasse presto, perchè di lì a quattro mesi tornò senza marito, abbronzata dal Sole di Smirne, e per di più gravida. Detto fatto, partorito che la ebbe 24, mi mandò senza complimenti a Fratta in un canestro; (CdUI 1858, p. 92) 18 Si vedano soprattutto gli studi critici di Falaschi 1972 e 1975 e Rosa 1990. Per la questione, inoltre, cfr. supra, I.5. 19 Guerrazzi 1826. 20 Almeno fino all’altezza cronologica del 1854; si vedano a questo proposito le pagine di Constable 1966. 21 «I verbi ausiliarii che formano i tempi composti […], si antepongono sempre al respettivo participio; […] Nella poesia è lecito anteporre il participio» (Fornaciari 1881, p. 442). Oppure, quando la trattazione dell’ordine delle parole è presente, si indica come normativa solamente la giacitura progressiva di ‘Ausiliare+Participio’: «Il Participio se sta con l’ausiliario, si mette dopo di esso, come - È DETTO - HA DETTO -» (maiuscoletto del testo; Rodinò 1870, p. 145). 22 A questo proposito Serianni (1989a, p. 607) avverte che è un modulo tipicamente narrativo e cita due esempi tratti da Pinocchio di Collodi; ancor più esplicitamente lo definiscono di «lingua letteraria» Dardano - Trifone (1997, p. 418) pur utilizzando due exempla ficta, e «forma di stile alto» lo etichetta la GGIC, II, p. 727; di diverso orientamento Rohlfs 1969, § 990 che definisce il costrutto come attuale ma cita esempi tratti dal Decamerone, dallo Straparola, dal Manzoni. 23 Fornaciari 1881, p. 370; Morandi - Cappuccini 1897, p. 231. 24 Si noti l’immissione, nella formula temporale, del pronome atono soggetto (la) di marca toscana ma anche dialettale settentrionale (Mengaldo 1987 e Dramisino 1996). 84 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO La vera eccezione, si diceva, nella rosa dei nostri dieci autori è costituita dalla prosa del toscano Rosini che viceversa presenta un alto numero di inversioni (40, pari al 22%), che per molta parte esulano dal tipo visto più sopra. Tutte, eccetto una, si ritrovano nel piano della diegesi. – Geltrude, risposele Egidio: e a me pur duole di quella sventurata; ma gli ordini erano imperiosi. Se obbedito non avessi, dove mi resterebbe un asilo? (MM 1829, pp. 20-21) Udì Geltrude con sorpresa, che tornata era Agnese (MM 1829, p. 9) Tali inversioni, veri pimenti di letterarietà, hanno però anche il compito di mettere in rilievo il participio e quindi il suo contenuto semantico 25. Nel caso del dialogo, infatti, l’inversione viene utilizzata come un espediente per focalizzare l’imperiosa necessità dell’obbedienza; nel secondo caso si potrebbe invece intravedere un tentativo di spartire la rematicità, e quindi l’informazione nuova e ‘sorprendente’ per Geltrude, tra il soggetto Agnese (posto significativamente dopo il verbo) e il fatto stesso del ritorno (inaspettato) di Agnese al convento di Monza. La necessità di simular tutto giorno per nascondere gli effetti d’una fiamma senza pari, dato aveano a Geltrude l’abitudine di atteggiare il viso a sua posta. (MM 1829, p. 10) Si procurò le opere tutte d’Ovidio: e vi imparò di buon’ora i precetti della seduzione. Le sue prime prove fatte furono su vittime volgari, che vendendo il silenzio e il disonore per prezzo, assuefanno i potenti a porre tutte le cose del mondo a tariffa. (MM 1829, p. 14) E il sospetto si accrebbe quando Agnese, che assisa si era in un canto (seguitando pur a piangere tutta sola, e a rammaricarsi), alzatasi ad un tratto … (MM 1829, pp. 11-12) Egli non insegnava apertamente l’eresia, (chè corso avrebbe troppo grave pericolo), ma trovato avendo nella mente del discepolo disposizioni straordinarie ad imbeversi di quelle opinioni, seppe con tale arte (MM 1829, p. 15) Chiamato nel suo letto di morte da Rizio, e fatto inteso di quel che passava tra Egidio e la sua sorella […], vantato si era di vendicarsi. (MM 1829, pp. 19-20) Per questi nuovi esempi proposti risulta più difficile ipotizzare ragioni di messa in rilievo per fini comunicativi particolari; tali casi paiono, dunque, nel contesto referenziale in cui sono inseriti, un vero e proprio relitto tra25 Si veda Rohlfs 1969, § 990, che si riferisce precipuamente alla posizione anteposta del participio in posizione abruptiva. Fornaciari 1881, p. 442 invece, come si è esposto in precedenza, lo indica in realtà solo come modulo poetico. INVERSIONI DEL VERBO 85 dizionale della prosa di stile ‘alto’, nonché un usus dell’autore 26. Tornando ad un prospetto generale dei dati percentuali, minori risultano in termini assoluti le occorrenze invertite per le stringhe ‘Verbo Reggente+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’, che esibiscono quindi l’ordine lineare più comune e meno connotato di posposizione dell’infinito 27; ma a ben guardare, risultano più presenti dei casi di inversione del participio (che abbiamo visto neutralizzarsi, quasi, nella formula temporale illustrata più sopra), se teniamo separati, come riteniamo utile fare, gli esempi rosiniani. Questa tendenza appare pienamente in accordo con una prassi ancora in vigore – limitatamente – nella scrittura giornalistica: Masini (1977, pp. 110 ss.) rileva, infatti, nei suoi quotidiani milanesi una maggiore frequenza di occorrenze di infiniti preposti al verbo reggente, rispetto ai casi riscontrati di precessione del participio sull’ausiliare; ancora, Scavuzzo 1988, p. 95 e Sboarina 1996, pp. 153 ss. parlano dell’inversione dell’infinito additandola come uno degli espedienti più facili e immediati «per elevare il registro». Qualche episodio sporadico di inversione di ‘Infinito+Verbo Reggente’ si ha in Tommaseo (2 casi), Nievo (1 caso) e Rosini (6 occorrenze). Presentiamo gli esempi del Duca: – Tante grazie dalla larghezza del duca in voi versate, tante inimicizie conciliate, tante turbolenze che […] sarebbero pullulate, voi tenete adunque, o Fiorentini improvvidi, per niente? Che se gravezze sono, e quando non furono? Ma poiché a pagarle siete bastati finora, di che vi dolete? Perché guaite? (DA 1858, p. 83) Quel dell’Antella guardava al Buonaccorsi: e volevan parlare, e non sapevano che. Andarsene non osavano: e tra i Borgognoni qua e là schierati passeggiavano la piazza, come oziosi aspettanti. (DA 1858, p. 79) Fornaciari 1881 e Rohlfs 1969 commentano l’anteposizione come una messa in rilievo dell’infinito a fini enfatici. Certamente il risultato ottenu26 Inversioni di questo tipo (‘ausiliare/participio’, ma anche ‘infinito/verbo reggente’ e ‘infinito/verbo servile’) si riscontrano anche in altri scritti di Rosini, come per esempio nell’orazione proemiale alle lezioni di Eloquenza Italiana tenuta nell’Università pisana nel 1806 (cfr. Rosini 1808): «parmi di averlo presentato in un aspetto, nel quale forse altri riguardato non l’aveva» (p. IV); «e le avvertenze che far vi potessero tutti coloro che professano o coltivano le lettere» (p. VI); «chi più di me temer dovrebbe la taccia d’imperdonabil temerità» (pp. 4-5); «Invano si accorsero essi che richiamar più non poteasi, e far riviver sulle labbra dei Guelfi e dei Ghibellini, la lingua d’Augusto e di Mecenate» (p. 8). 27 Significativo infatti, a questo proposito, che nell’intero romanzo manzoniano le due uniche occorrenze di inversione (dell’infinito retto da verbo servile) compaiano nell’Introduzione «a caratterizzare la goffaggine ambiziosa dell’anonimo secentista» (Patota 1987, p. 152). 86 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO to è quello, ma può non essere inutile a volte riconsiderare questa prassi in termini informativi. Nel primo esempio, infatti, la posizione dell’infinito appare quasi ricoprire un ruolo tematico (tanto più avvalorato dalla presenza del clitico, anaforico di gravezze) mentre l’accento è posto sulla iterata (e quindi iterabile) accettazione da parte del popolo fiorentino di un modo di governare ritenuto legittimo dall’arringatore. Nel secondo esempio, invece, più sfumata ci pare la divisione dei ruoli informativi ricoperti dalle due parti (infinito e verbo reggente), che accorperemmo in un’unica unità rematica messa maggiormente in rilievo, questa volta sì, dalla semplice inversione topologica dell’ordine usuale. L’isolata occorrenza nieviana 28, anch’essa dialogica, appartiene invece a tutt’altra ambientazione e tempra stilistica: – Come non resta nulla? […] – Sappi, o disgraziato, che gli infedeli riconquistarono la Terra Santa e che ora che parliamo un bascià del Sultano governa Gerusalemme, vergogna di tutta Cristianità. – Pregherò il Signore che cessi una tanta vergogna; soggiunse Orlando. – Che pregare! Fare, fare bisogna! – gridò il vecchio Conte. (CdUI 1958, p. 25) È un passo di consumata perizia mimetica che asseconda l’emotività esplosiva 29 della risposta finale del Conte di Fratta (qui a colloquio con il figlio Orlando destinato alla carriera militare secondo l’avita tradizione familiare) deluso dal suo placido rampollo per gli inaspettati desideri prelatizi espressi. L’anticipazione dell’infinito, un po’ per attrazione omoteleutica dell’infinito esclamativo precedente, ha buon gioco a scardinare l’ordine normale sia come contraltare immediato e ossimorico all’iracondo Che pregare! con cui esordisce fuori di sé il vecchio Conte, sia pragmaticamente creando una sorta di topicalizzazione contrastiva appena sconnessa sintatticamente e ben presto ricondotta alla regolarità dall’aggiunta, dopo l’iterazione dell’infinito, di un verbo reggente (bisogna). I sei esempi presenti in Rosini (di cui 1 solo in DL) paiono, invece, piuttosto inerziali e solo in qualche caso lievemente enfatizzati: […] la quale uscita per un’incombenza dal monastero, tornar non si vedea da tre ore. (MM 1829, p. 10) Con tanti pregi molte donne avea già sedotte, molte a sedurne si apprestava; (MM 1829, p. 17) 28 Ma altrove («l’Epistolario […] appare più togato delle Conf.[essioni] e delle altre opere narrative dell’autore») Nievo vi ricorre con maggiore frequenza «più per una preoccupazione generica e quasi automatica di letterarietà che per intenzioni stilistiche via via più precise» (rispettivamente Mengaldo 1987, pp. 108 e 107). 29 Si veda anche Gossen 1954, pp. 81-82. INVERSIONI DEL VERBO 87 Nulla saper fece a Geltrude; nè (quantunque gli dolesse) lasciò lettere per lei, onde impedire che, anco dopo la sua morte, potesse mai venire offesa nell’onore. (MM 1829, p. 42) Passando, ora, ai casi di inversione dell’infinito con i verbi servili, si nota un’ulteriore accentuata sporadicità del fenomeno, viceversa ancora presente nei quotidiani con finalità di innalzamento del livello stilistico 30. A parte la prosa di Rosini che ne contempla un discreto numero (pari al 23%), si ha una sola occorrenza in Tommaseo. – Non ubbidite, padre mio; non andate. Le vie di fuggire non mancano. – Fuggire non posso, figliuola; e sarebbe o vano, o più dannoso, forse a me, forse a molti. (DA 1858, p. 37) L’esempio tommaseiano, dialogico, si inserisce in un momento drammatico della storia, quando Antonio degli Adimari, sospettato di esser a capo della congiura, è richiamato a Palazzo dal Duca d’Atene Gualtieri di Brienne; l’ora è estrema per l’Adimari e il saluto alla figlia Matilde si carica implicitamente dell’incertezza del ritorno. Ancora una volta, possiamo considerare che a livello pragmatico l’infinito anteposto ha qui valore tematico (si noti che il concetto di fuga era già stato espresso e proposto dalla figlia Matilde nella battuta precedente) e ciò che conta (l’informazione nuova e decisiva) è la negazione della possibilità o della convenienza della fuga, quindi il modulo tradizionale si piega proficuamente ad un fine comunicativo-informazionale particolare. Gli esempi di Rosini (di cui 1 solo in sede di mimesi), pur cospicui, appaiono ancora una volta come tratti tradizionali, utilizzati o inerzialmente o con funzione latamente ‘stilistica’ nel loro rimandare ad uno stile prosastico consolidato in testi ampiamente modellizzati. La buona donna si arrestò per un momento (chè comprendere non può chi nacque in umile stato, come unir si possa col delitto una sì crudele tranquillità) (MM 1829, p. 10) […] attendendo con impazienza straordinaria la notte stabilita, nella quale trovar si dovea con Egidio. (MM 1829, p. 13) – Nella prossima notte recherò meco quanto abbisognar può pel rimanente del tuo abbigliamento. (MM 1829, p. 22) Appena più enfatizzata semanticamente qualche occorrenza: 30 Si vedano ancora Masini 1977; Scavuzzo 1988; Sboarina 1996. Dalle concordanze di SPM, inoltre, risulta che la precessione dell’infinito con i modali volere, potere, dovere è attestata su percentuali che oscillano da un 3% (con volere) ad un 4,3% (con potere), e ad un 5,7% (con dovere). Infine, anche Telve 2004 rileva la presenza, all’interno dei libretti di Boito, della giacitura diretta ‘potere+infinito’, come segnale di un andamento ‘dialoghista’. 88 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO Le minacce […] si partivano dalla pienezza del cuore, per l’offesa che pervenivane alla sua famiglia. Vendicar voleva l’ingiuria; (MM 1829, p. 19) 2. TMESI DEL VERBO Un primo sguardo ai dati emersi dallo spoglio ci consente di constatare che i valori percentuali del fenomeno oscillano in media approssimativamente tra i 10 e i 30 punti percentuali, con isolati picchi massimi per alcune tipologie (52% in Nievo per le tmesi di ‘Verbo+Infinito’) e minimi per altre (4,5% in Verga per le tmesi di ‘Servile+Infinito’). Una prassi che si contrappone a quella ancora viva sia nella prosa della seconda metà del ’700 31: […] hanno di questi segnali instituito un commerzio (Parini) Ho due volte con mie lettere pregato quel signore (Muratori) […] fu loro dalle Signore aperto il Castello (G. Gozzi) Io dunque non voglio a questa mia Vita far precedere né deboli scuse, né false o illusorie ragioni (Alfieri) sia in quella dei giornali 32 ottocenteschi (benché più sporadicamente che nella prima) in cui in realtà i costrutti tradizionali sono spesso novellamente ‘reinterpretati’ in linea con le esigenze di sintesi espressiva tipiche della scrittura giornalistica. Si vedano, per esempio, i seguenti casi 33: […] 120 emigrati furono stamane, da quella città, colla prima corsa della ferrovia, traslocati a Torino («Il Pungolo») […] il Diritto di jeri fu all’ufficio postale di Milano, per ordine della regia procura, sequestrato («La Perseveranza») […] il ministro ha creduto di poterlo, senz’aspettare i risultati del giudizio, destituire («La Perseveranza») in cui l’elemento interposto, spesso tra due virgole che ne enfatizzano il carattere di inciso informativo, addensa in sé determinazioni di luogo, tempo e circostanza, funzionali ad una informatività il più possibile completa e sintetica (come si nota soprattutto nel primo esempio). Il secondo dato di spoglio, inoltre, che appare con evidenza è la vera 31 Il riferimento obbligato è a Patota 1987, pp. 38 ss. da cui traiamo gli esempi. Si vedano Bonomi 1974, p. 246; Masini 1977, p. 110; Scavuzzo 1988, p. 95 e Sboarina 1996, p. 154. 33 Masini 1977, p. 111. 32 TIPOLOGIA DELLE TMESI 89 e propria episodicità del fenomeno della tmesi in concomitanza con quello dell’inversione 34, di per sé già poco frequente, se si eccettua, come si è visto, il caso di Rosini (cfr. supra, I.1). Quest’ultimo, infatti, è l’unico autore che presenti contemporaneamente inversione e tmesi, pur sporadicamente; la sua prassi scrittoria si caratterizza, quindi, per l’accoglienza di tratti fortemente tradizionali e conservativi senza una complessiva preoccupazione di volgere l’elemento letterario in lezione di stile o di preziosismo linguistico consapevolmente finalizzato. Mi pare, invece, che tali tratti, relitti di una consuetudine letteraria avita, assorbita qui senza troppe pretese ricreative, ben si attaglino a quel carattere erudito che domina anche la ‘costruzione’ dell’intera sua narrazione, basata più sull’affastellamento descrittivo della società e dell’ambiente culturale toscano secentesco, che su un vero intreccio narrativo 35. Qualche esempio: Due figliolini, che nell’assenza dello sposo recati ell’erasi a dormir seco. (MM 1829, p. 68) […] ma non le cadde nè pure in pensiero, ch’esser questa potesse la maggiore per lei. (MM 1829, p. 68) […] onde annunziare ad un padre snaturato, che questo non era se non il primo sorso della coppa di morte, che inghiottir egli dovea sino alla feccia. (MM 1829, p. 70) 3. TIPOLOGIA DELLE TMESI Al di là dei dati numerici generali, che pur possono fornire in prima istanza qualche informazione significativa, maggiori indicazioni fornisce l’analisi della natura e della quantità degli elementi interposti nelle tmesi: da un semplice avverbio (come già, mai, allora, ecc.), a un complemento indiretto (tipico il caso del complemento d’agente con una forma passiva), a una vera e propria subordinata; giacché, come è stato precedentemente avvertito, solo alcune tmesi possono assumere quel valore di increspatura sintattica che le renda ‘marcate’ rispetto ad un ordine più lineare 36, dipendendone la diversa complessità dalla natura logico-grammaticale e dalla funzione ora retorica ora testuale degli elementi linguistici frammessi. Ad una prima generale analisi dei dati riscontrati possiamo avvertire che gli elementi più frequentemente interposti sono quelli che potremmo 34 Se ne riporta, in Patota 1987, p. 151, un solo esempio di Maffei (immaginare egli allor non sapeasi) all’interno, però, di una sezione che tratta della sola inversione. 35 Si vedano per questo giudizio anche le pagine introduttive di Romagnoli 1971 e l’intervento di Cordiè 1981. 36 Per la questione della marcatezza rimandiamo alle Indicazioni di metodo. 90 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO riunire sotto la dicitura di area avverbiale (avverbi semplici, avverbi con terminazione in -mente 37, locuzioni o espressioni avverbiali più estese), e che coincidono, quindi, con gli usi ancora attuali del fenomeno della tmesi 38. Mentre in merito alla differenziazione tra piano dialogico e narrativo, si rileva un andamento piuttosto chiaro: in sede mimetica per le due giaciture di ‘Ausiliare+Participio’ e ‘Verbo+Infinito’ la percentuale totale delle occorrenze delle tmesi è sensibilmente minore (circa un terzo scarso) di quella riscontrabile in diegesi; lievemente più alta la percentuale per la sequenza ‘Servile+Infinito’ (poco più di un terzo). In linea, dunque, con una più moderna ma anche più naturale differenziazione tra le scelte linguistico-espressive dei due piani. Ma vediamo più analiticamente i risultati. 3.1. Tmesi per avverbio La separazione tramite avverbio risulta nel nostro corpus la più frequente: quasi il 60% della totalità delle tmesi riscontrate per la stringa ‘Ausiliare+Participio’, ed in quella di ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’ rispettivamente il 30% e il 44% circa; a questi dati si aggiungano inoltre quelli relativi ai casi degli avverbi in -mente e delle locuzioni avverbiali che abbiamo tenuti divisi (come indicato più sopra). La tipologia di queste tmesi, che si allinea fortemente con quelle ancora possibili nell’italiano contemporaneo, e il loro dato numerico mettono dunque in rilievo, per questo aspetto, il carattere già di prevalente modernità della prosa dei nostri romanzi. Sulle occorrenze contemporanee, infatti, Serianni evidenzia la limitatezza delle escursioni dal modulo corrente (‘Servile+Infinito’), attraverso l’interposizione di alcuni tipi di avverbio e di alcune congiunzioni coordinative (assolutamente, probabilmente, quindi, anzi, ecc.) 39. Parallelamente già Fornaciari 1881 contemplava come usuali solo le interposizioni, tra ausiliare e participio e tra verbo reggente e infinito, di «avverbii e frasi avverbiali, purchè non debban esser messi in molto rilievo» (p. 442). GGIC, II, nell’ampia trattazione del sintagma avverbiale (della cui impostazione generale si è tenuto conto) distingue più ampiamente le diverse possibilità di collocazione 37 L’opportunità di una differenziazione dagli avverbi semplici viene dalla constatazione che il corpo fonico degli avverbi in -mente, più percepibile, genera in qualche caso una maggiore distanziazione degli elementi separati. 38 A parte il filone classicistico della prosa boccacciano-bembiana, la separazione per avverbio è quella più frequente già in certa prosa secentesca (cfr. Piotti 2001). 39 Serianni 1985, p. 127. TIPOLOGIA DELLE TMESI 91 dell’avverbio in base alla sua funzione 40: gli avverbi di grado, che sono sempre in -mente, possono trovarsi ora inframmessi tra ausiliare e participio, ora dopo quest’ultimo (mi ha terribilmente disturbato / mi ha disturbato terribilmente), e in posizione interausiliare si possono anche ritrovare gli avverbi focalizzanti (p. 355) e restrittivi (p. 360). I dati da noi raccolti mostrano per la stringa ‘Ausiliare+Participio’ una tendenza ad evitare nei dialoghi tmesi elaborate. Le tmesi riscontrate, infatti, compaiono nel dialogato di tutti gli autori 41 e riguardano soprattutto, come al solito, la frammissione degli avverbi 42 (per lo più semplici, rari invece quelli in -mente). Ma per meglio comprenderne il valore non sarà inutile operare delle distinzioni in base al tipo di avverbio presentato: alcuni avverbi, infatti, possono trovarsi più o meno indifferentemente in posizione inter-ausiliare o post-participiale (molti avverbi in -mente, a seconda della loro funzione), altri invece hanno collocazione topologica oggi grammaticalizzata (già 43, mai 44, bene 45, quasi, forse 46). Anche Fornaciari 1881 indica tra gli avverbi più frequentemente interposti tra ausiliare e participio quelli come «più, mai, bene, solamente, ecc.» (p. 444). Le tmesi ottenute quindi attraverso questa tipologia di avverbi risultano davvero poco incidenti sul dettato prosastico e rappresentano anzi degli elementi ascrivibili agli usi consolidati della langue in coincidenza con quelli contemporanei: – […] quando ha ben pranzato 47 e meglio cenato gl’importa di noi più che del cuero de sus zapatos. (corsivo del testo; EF 1833, p. 7) – […] penso al buon cavallo che quel barone m’ha quasi ammazzato 40 Per le funzioni (specificatori del sintagma avverbiale; avverbi di predicato tipo complementi; avverbi di predicato tipo specificatori; avverbi esterni al predicato) rimandiamo a GGIC, II, pp. 341 ss. 41 Fa eccezione la Ginevra di Ranieri in cui non si sono rilevate occorrenze di tmesi per avverbio nelle sporadiche tracce di discorso diretto riportate nel romanzo (e quindi ancor più sporadiche nel campione analizzato), in quanto esso è costituito prevalentemente dal resoconto diaristico in prima persona della protagonista. 42 Frapposizioni che Manzoni spesso eliminerà nel processo correttorio (cfr. Mencacci 1995, pp. 150-151). 43 Il DISC così riporta per già: «di norma è posposto (raramente anteposto) al v. o interposto alle forme composte o perifrastiche». 44 Nel DISC di mai viene detto: «con non, a eccezione che nel l. lett., è posposto alla negazione o al verbo o al solo ausiliare […]: non mi saluta mai; non è mai soddisfatto; non l’ho mai sentito protestare». 45 In qualità di avverbio risultativo lessicale (cfr. GGIC, II, p. 354). 46 Il DISC non riporta un’indicazione rigida o significativamente distintiva della collocazione di forse, ma negli esempi interrogativi in cui compare con valore frasale è sempre posto tra ausiliare e participio. 47 Qui ben è un avverbio risultativo lessicale (GGIC, II, p. 354) la cui posizione infra-ausiliare è normalmente contemplata. 92 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO seguitando a menar le mani da pazzo (EF 1833, p. 17) – […] d’un dritto che so io? … d’una certa roba che non ho mai sentito menzionare. (MV 1840, p. 9) Un po’ più connotati i seguenti esempi: – […] debbo in nome della mia setta, alla quale altre parecchie si sono unanimemente congiunte […] rendere grazie (DA 1858, p. 60) “Gismonda! […] perché mi ha lasciato mia madre? Le son forse divenute troppo gravoso incarico le membra di sua figlia?” (BdB 1852, p. 39) Sebbene, nel primo caso, trattandosi di un avverbio di maniera risultativo la scelta inter-ausiliare o post-participiale sia comunque lecita (cfr. GGIC, II, pp. 354, 356-357), e, nel secondo, sia usuale e frequente l’interposizione di forse, soprattutto in interrogativa retorica, ci pare che i contesti mimetici di questi due romanzi generalmente caratterizzati da una tensione espressiva e stilistica incontestabili, possano farci propendere per una valutazione della scelta dell’interposizione come una strategia stilistica, funzionale anzi al tono già altamente letterario ed enfatico (soprattutto nella seconda citazione) delle battute dialogiche. Similmente possiamo commentare le tmesi di ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’ ottenute sempre per inserimento di un avverbio. Esse sono presenti in tutti gli autori (con la solita eccezione di Ranieri 48) e persistono anche nella prassi correttoria di Manzoni, nella quale si hanno sia delle eliminazioni di tmesi sia qualche aggiunta ex novo 49. Molti avverbi, ancora una volta, sono interposti non per frutto di una scelta stilistica o comunicativa particolari ma per scelta adiafora: – […] mi muove un certo sentimento, che nemmeno io posso ben capire (EF 1833, p. 22) – […] forse non è lontano l’ora in cui questi stranieri orgogliosi e feroci saranno costretti a ripassare le Alpi, in cui l’Italia tutta leverà un sol grido, e i suoi re dovranno finalmente 50 sentire la voce del suo popolo. (CdM 1861-2, p. 46) o per grammaticalizzazione: «e, appunto perchè lei non vuol mai dir la sua ragione, siam ridotti a segno che tutti vengono, con licenza, a …» (PS 1840, p. 24) 48 Si veda supra, nota 41. Cfr. Mencacci 1995, p. 153. 50 Su finalmente il DISC riporta: «può essere anteposto, interposto o posposto alla frase a cui appartiene». 49 TIPOLOGIA DELLE TMESI 93 – È il signor Amorevoli che non vuole più cantare … (CA 1868-9, p. 82) – Non vorrete già pretendere che qui il nostro bimbo faccia da sè solo una crociata. (CdUI 1858, p. 25) Altri casi, pur rappresentati da avverbi di grado e maniera la cui posizione inter-ausiliare o post-participiale è parimenti adottabile (cfr. GGIC, II, p. 347), contribuiscono ad un dettato più prezioso, meno consono alla medietas espressiva, proprio perché la scelta della collocazione che forma la tmesi appare in concomitanza con un contesto scrittorio decisamente elaborato quanto a scelte lessicali, fonomorfologiche, microsintattiche (si vedano i successivi obliare, ridotta nella tua segreta cameretta, nella memoria degli anni che furono, donami un sospiro un sospiro … una lagrima 51): “Ora tanta mi recano esultanza le parole vostre, che ogni sconforto della passata mia vita mi fanno interamente obliare.” (BdB 1852, p. 32) “Ma quando lontana da tutti, ridotta nella tua segreta cameretta, potrai liberamente trattenerti nella memoria degli anni che furono, oh! allora, mia cara Gismonda, allora donami un sospiro un sospiro … un pensiero … una lagrima …” (BdB 1852, p. 16) Altri casi ancora, in cui compaiono più propriamente delle locuzioni av51 In realtà all’alternanza di lagrima/lacrima, come ben riassume Serianni 2001, non si può assegnare distintamente un discrimine stilistico; infatti, benché la lezione con la sonora appaia preponderante nei poeti ottocenteschi, la forma lacrima/e è costante non solo in Giusti (in cui potrebbe essere tratto colloquiale), ma anche in Leopardi. Al di fuori dell’ambito prettamente poetico, inoltre, l’oscillazione presente nei testi letterari ottocenteschi, spesso in un medesimo passo, può essere il semplice risultato di una necessità di variatio (cfr. Serianni 1986); per la seconda metà del secolo precedente, invece, la forma con la sonora è costante (cfr. Patota 1987, p. 57). Anche la lingua giornalistica testimonia per la prima metà dell’Ottocento (cfr. SPM) una prevalenza della forma sonorizzata (considerando sia lagrima sia il plurale lagrime, si sono riscontrate 62 occorrenze di contro alle sole 4 con la sorda), mentre negli spogli giornalistici di Masini 1997, che giungono fino alla fine del XIX secolo si hanno, per l’oscillazione in questione, dati quasi paritari (si veda quanto riportato in Cartago 2000, p. 721), con un aumento, quindi, della forma con la sorda. Quest’ultimo rilievo, lungi dal volere tracciare un sicuro percorso statistico in merito alla questione, ci è parso però significativo alla luce dell’effettivo prevalere poi, nel corso del tempo, della forma lacrima, per noi oggi la sola comune (se il Tommaseo - Bellini, infatti, rimanda dal lemma lacrima a quello con la sonora, il Battaglia ormai giudica lagrima come ‘letteraria’). Ci pare dunque, pur con le dovute cautele, che la presenza della forma lagrima nell’esempio guerrazziano possa essere valutata come non del tutto adiafora, anzi forse connotata in qualche modo: innanzitutto per l’insistenza della variante con la velare sonora nel passo citato (compare ben tre volte nella stessa pagina), in secondo luogo considerando la divergenza dagli esiti della correzione manzoniana, che vedono la quasi totale scomparsa del tipo sonoro (con un’unica sopravvivenza). Dai dati LIZ 4.0 si ricava che alle 25 occorrenze di lagrime presenti nell’edizione del 1827 fanno riscontro i corrispettivi 24 casi di lacrime della II edizione. 94 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO verbiali (di tempo), presentano una collocazione più marcata: – Ma se posso una volta veder questa razza di là dall’Alpi … (EF 1833, p. 36) – Più d’una volta l’ho visto sul tardi entrare in un battello solo, allontanarsi e girare dietro il castello. (EF 1833, p. 22) Sul piano narrativo prevalgono ancora una volta in termini assoluti i valori delle tmesi per avverbio, con una percentuale del 45% per la sequenza ‘Ausiliare+Participio’ e del 23-27% per ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’, a cui si aggiungono i dati relativi agli avverbi in -mente, che compaiono più copiosamente proprio in diegesi, data la loro maggiore possibilità di assumere rilevanza distanziatrice (come si vedrà più oltre). Qualche esempio è assolutamente grammaticalizzato: […] così si chiamava il falconiere, il quale fino a quel punto non avea mai aperto bocca. (MV 1840, p. 11) […] vide tutte le sue damigelle confuse di vergogna, e la gentile Gismonda in tale stato da non potere più intendere tanto disperate parole. (BdB 1852, p. 16) Ella non aveva mai veduto sì bello suo cugino. (CdM 1861-2, p. 38) […] e sotto i tigli de’ pubblici giardini abbiam sostenuto del braccio quando non poteva più soddisfare al suo orgoglio di camminare isolato; (CA 1868-9, p. 69) E’ correva per la via con in cuore una smania rabbiosa, simile alla smania del traditore che riconosce sé stesso; e il nome di traditore, non gli pareva tuttavia meritarlo. (DA 1858, pp. 33-34) L’ultimo, di Tommaseo, appare senza dubbio più marcato dei precedenti. Ma a ben guardare la sensazione della minore ‘normalità’ espressiva attribuibile al passo è data non tanto dall’inframmissione di un elemento, a metà tra avverbio e congiunzione coordinativa avversativa, collocabile, condivisibilmente anche oggi, tra verbo reggente e infinito retto (per es. non gli sembrava però di meritarlo), quanto piuttosto dalla presenza della congiunzione avversativa più scelta (tuttavia e non il però del nostro exemplum fictum), dall’assenza della preposizione di, usuale invece tra il verbo parere e l’infinito da esso dipendente, nonché dalla forte anticipazione dell’oggetto (il nome di traditore). Ancora più a monte, poi, la scelta del lessico e delle immagini: correva per la via con in cuore una smania rabbiosa, simile alla smania del traditore. In qualche altro caso la posizione infra-ausiliare calca sulla funzione semantica dell’avverbio coadiuvata, come nei seguenti esempi, dalla presenza di un più evidente corpo fonico dell’avverbio stesso (in -mente): TIPOLOGIA DELLE TMESI 95 […] di conoscere l’uomo, che aveva sì fortemente legato il cuore di Geltrude. (MM 1829, p. 13) […] onde nasceva tra questa turba una mirabile varietà e vaghezza nelle fogge, ne’ colori e nel portamento, dal quale si poteva facilmente conoscere a qual nazione appartenesse ogni individuo. (EF 1833, p. 5) […] allora finalmente cominciai a comprendere il senso della scena avvenuta, la quale fino a quel momento io aveva stupidamente guardata senza intendere. (G 1862, p. 16) 3.2. Tmesi per soggetto e per complemento indiretto Ritornando al commento delle percentuali complessive ottenute dallo spoglio, riscontriamo un secondo dato di rilievo dopo quello delle tmesi per avverbio: la separazione attraverso interposizione di un soggetto (1520%; per es. aveva egli aspettato lungo tempo; volevano i suoi genitori partire l’indomani; riuscirono le compagne a sottrarle la lettera) seguita da quella ottenuta attraverso un complemento indiretto; quest’ultimo più spesso rilevabile tra verbo reggente o verbo servile e il relativo infinito dipendente (circa il 22% in entrambi i casi; per es. sentì per fine udito conversare al di là della porta; voleva con gran furore mettere mano alle carte), che non tra ausiliare e participio (9% circa; per es. fu con gioia rispedito al luogo di origine). A livello dialogico, la percentuale relativa all’inserimento del soggetto tra Ausiliare e Participio è rappresentata per lo più 52 da casi che possono rientrare in quelli tradizionali e ben noti di posposizione del soggetto in frase interrogativa 53. Gli autori in cui il fenomeno compare sono significativamente Rosini, Tommaseo, Guerrazzi, la cui prosa accoglie quei tratti definibili come più conservativi. – Oh, quale esclamazione avete voi fatta? (MM 1829, p. 79) – Ho io portate le grosse fibbie e il puntale alla foggia francese, per compiacergli? (DA 1858, p. 31) “Che! Avreste voi intese tutte le mie parole?” (BdB 1852, p. 30) Un’occorrenza, in realtà, anche in Rovani: – […] e ho conosciuto la madre dell’abate. – Sua madre, ha ella conosciuta? (CA 1868-9, p. 64) 52 Non tutti i contesti sono infatti rappresentati da frasi interrogative ma, per esempio, anche da proposizioni di valore ottativo o esclamativo. 53 Per il fenomeno si rimanda a Patota 1987, pp. 80-82 e Patota 1990, nonché al commento dei dati relativi alla posposizione del soggetto (cfr. infra, V). 96 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO La battuta dialogica rovaniana, però, si inserisce nella parte incipitaria del romanzo quando il giovane cronista, che sarà la fondamentale voce narrante, si rivolge al vecchio Giocondo Bruni, fonte diretta e vivente delle vicende narrate, con modi piuttosto ossequiosi e forse un po’ paludati, motivati dalla vetustà e venerabilità del vecchio. Per quel che concerne l’inserimento di un complemento indiretto, invece, esempi già più connotati presenta il piano dialogico di Tommaseo, sempre tesissimo sia nella ricerca stilistica sia nella concentrazione emotiva: – Noi siam qui per riprendere di forza la potestà che il duca d’Atene ha con tradimento usurpata sopra il comune e popolo di Fiorenza: e a voi più che a me sono chiare le cagioni perché ci è forza ribellarci dalla costui signoria. (DA 1858, pp. 63-64) – […] fo manifesto a voi come in altra parte della città gli animi erano all’impresa medesima apparecchiati (DA 1858, p. 59) si tratta, infatti, non solo di precessioni di complementi indiretti che risulterebbero più normalmente collocati dopo il participio, dipendendo semanticamente da questo, ma anche della loro frapposizione all’interno di un verbo composto. Soprattutto nell’ultimo esempio si avverte uno spostamento stilisticamente piuttosto forte, dato che il sintagma all’impresa medesima ha statuto di complemento argomentale del verbo 54; la tensione espressiva e la ricercatezza del dettato, del resto, sono ben evidenti anche attraverso altre scelte compiute dall’autore: per esempio la perifrasi analitica 55 (fo manifesto) o l’ulteriore enfasi ottenuta attraverso la scelta del pronome tonico postverbale (a voi) invece di una più piana proclisi. È meno connotato e più motivato, sia pragmaticamente sia testualmente, l’unico esempio manzoniano costituito da un complemento di luogo dal valore tematico messo, non a caso, in inciso tra ausiliare e participio: Arrivati alla porta, il conduttore tirò il campanello, fece chiamare il padre guardiano; questo venne subito, e ricevette la lettera, sulla soglia. […] Convien poi dire che il nostro buon Cristoforo avesse, in quella lettera, raccomandate le donne con molto calore, e riferito il loro caso con molto sentimento, perchè il guardiano, faceva, di tanto in tanto atti 54 Sulla rilevanza dello spostamento dei complementi argomentali rimandiamo a Bozzola 1999, p. 119. 55 La scelta della perifrasi in luogo dell’espressione verbale sintetica è quasi sempre connotata in senso formale se non addirittura aulico (Mengaldo 1987, pp. 224-225) secondo una gradazione che muta, naturalmente, col mutare del tipo di perifrasi di volta in volta riscontrata. Per l’utilizzo delle perifrasi nei romanzi storici e il loro valore nobilitante si veda Bricchi 2000, p. 66. TIPOLOGIA DELLE TMESI 97 di sorpresa e d’indegnazione (PS 1840, p. 147) Per il piano narrativo 56, invece, il ventaglio degli autori che presentano la tmesi di ‘Ausiliare+Participio’ per inserimento di un soggetto o di un complemento indiretto comprensibilmente si allarga un poco coinvolgendo la prosa di Rosini (che presenta i valori più alti: 16 occorrenze di frapposizione del soggetto sulle 28 dell’intero corpus e 7 del complemento indiretto sulle 17 totali), Tommaseo, Grossi, Guerrazzi, Ranieri e infine D’Azeglio (solo per l’interposizione del soggetto) e Nievo (solo per quella di un complemento indiretto). Relativamente al soggetto inframmesso, nella prosa di Rosini, si può notare il carattere di modulo narrativo di alcuni degli esempi che, introducendo o una scena nuova o una considerazione generale sulla vicenda, assumono un valore quasi testuale: Avrebbe Egidio potuto rimirar con occhio fermo il pericolo di perder la vita: ma non potea nè anco di volo arrestarsi sopra l’idea di dover perder Geltrude. (MM 1829, p. 19) Era ella stata da prima tenerissima amica di Geltrude. (MM 1829, p. 26) Erano le religiose pervenute all’infermeria. (MM 1829, p. 31) Per altri esempi, invece, la ratio di utilizzo ci pare meno facilmente percepibile e individuabile, cosicché li annovereremmo tra quelle tracce di letterarietà inerziale che ancora riaffiorano nella prosa del periodo e soprattutto in quella dell’erudito professore di Eloquenza Italiana Giovanni Rosini: Ma Federigo in quel mentre vibrò il ferro sì disperatamente, che lo avrebbe passato da banda a banda, se, con un movimento felice, non avesse Egidio ricevuta la punta nella parte carnosa del lato destro, ferendolo al tempo stesso nel braccio sinistro. (MM 1829, pp. 44-45) Intanto il romore del fiume indicava ch’erano le acque abbassate d’assai. (MM 1829, p. 60) Si erano quelli affrettati, come veduto abbiamo, con istraordinaria diligenza (MM 1829, p. 67) Ma vediamo qualche esempio di altro autore: […] ed avendo questi ribenedetto lo stato; la città capitale, le altre città minori e i borghi più considerabili riapersero le chiese; (MV 1840, p. 6) 56 Per la questione, in diegesi, si rimanda anche più oltre alla trattazione della posizione del soggetto (cfr. infra, V). 98 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO Ma essendo l’arcivescovo fuggito dalla Diocesi, molti beni della mensa sulla riviera di Lecco e nella Valassina, e fra questi la corte di Bellano, erano stati occupati da un Cressone Crivello … (MV 1840, p. 7) Appena fu ella uscita dall’ospizio, la sua cera si compose naturalmente al brusco ed al crudele. (G 1862, p. 37) In interrogative retoriche gli esempi di Guerrazzi, che seguono la consuetudine, già trecentesca ma mai veramente interrotta nella nostra tradizione 57, di posporre il soggetto nelle interrogative dirette, o, in caso di verbo composto, di frapporlo: Non l’ho io nominata? Non sono passi di uomo questi che si allontanano? (BdB 1852, p. 7) Forse non aveva Yole sopportato fin qui la più grave battaglia, che femmina al mondo voglia e possa sostenere? (BdB 1852, p. 35) Circa l’interposizione di un complemento indiretto (per lo più complementi di luogo, tempo e mezzo) ecco qualche caso: Era questa una tacita dichiarazione di simpatia al partito prussiano, e benchè le guerre di Germania fossero da lungo tempo quietate, egli non avea cessato dal minacciare agli imperiali il disfavore de’ suoi stivali. (CdUI 1858, p. 16) Forse questo fuoco avrebbe da gran tempo consumato la sorgente della vita, dove una forma di celesti sembianze non gli sorgesse nell’anima, e ne acquietasse alcuna volta le tempeste. (BdB 1852, p. 5) Due esempi, quindi, piuttosto neutri di inframmissione, ancor oggi molto comune, di un elemento temporale. Lo stesso Manzoni opterà, in qualche caso, per una tale frapposizione, ex novo, nelle correzioni della quarantana: «quel compenso qualunque, non si sarebbe potuto, in quei tempi, aspettarlo da nessun’altra forza» 58. Quelli che seguono, invece, sono più notabili: E vedendosi, per guiderdone, creato dal duca suo delatore, sentì l’odio ribollire. (DA 1858, p. 34) […] rivolgendosi con signorile degnazione al menestrello, si scusò d’avergli colla sua venuta rotto il canto, e pregollo di seguitare. (MV 1840, p. 32) a causa dell’inserimento o di informazione nuova (per guiderdone, di cui si noti anche l’isolamento in inciso) o di un complemento di causa (colla 57 Si vedano Rohlfs 1969, § 758; Freedman 1983, pp. 181-182; Patota 1987, pp. 80- 58 Mencacci 1995, p. 177. 82. TIPOLOGIA DELLE TMESI 99 sua venuta) che rispetto al participio da cui dipende (rotto) rappresenta il determinante; la sequenza risulta marcata, quindi, rispetto a quella basica italiana di ‘determinato+determinante’. Infine un esempio di anticipazione enfatica del complemento indiretto con funzione, qui, di semplice rafforzamento dell’asserzione (in un’espressione tra l’altro stereotipata): Più volentieri avrei creduto che mi volesse un cane, s’io non avessi con questi orecchi udito agonizzare e morire quel mio primo e solo amico (G 1862, p. 34) Gli esempi di Rosini (7 sui 17 totali) sono quasi tutti rappresentati da un semplice complemento di tempo, e non assumono, dunque, alcuna connotazione particolare: Dopo avere per qualche tempo abitato Mantova, pose in Milano la sua stanza, dove molti erano i seguaci del Terenziano, benchè nascosti e prudenti. (MM 1829, p. 16) […] e tenendosi colle mani le tempie, dopo aver per pochi istanti pensato, animosamente si alza, prende la carta e scrive (MM 1829, p. 36) Per le giaciture di ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’ l’inserimento del soggetto compare solo nel dialogato di Rosini, Tommaseo e Guerrazzi, in linea per lo più con il modulo già osservato per la sequenza ‘Ausiliare+Participio’ in frase interrogativa: modulo della tradizione e abitudine linguistica ancora ben presente nella prosa della seconda metà del Settecento, che rientra nella prassi della posposizione del soggetto in contesto interrogativo diretto 59: – Come puoi tu lasciarmi? – Come posso io restare? fu la risposta d’Egidio. (MM 1829, p. 22) – Se danaro chiedeva cotesta voragine, non potev’io andar mendicando danaro, e gittarglielo; e porre per te la mia vita? (DA 1858, p. 12) – Che potreste voi fare per esso, che Dio non possa? (DA 1858, p. 85) – Può la nepote della Imperatrice Gostanza convenientemente ascoltarle? (BdB 1852, p. 34) più marcato, però, quest’ultimo data l’interposizione di un soggetto ‘pesante’ e non pronominale. Oppure la frammissione del soggetto compare, con collocazione grammaticalizzata, in frase esclamativa o ottativa 60: 59 Rimandiamo ancora a Patota 1987, pp. 80-82. Nelle ottative il soggetto si pospone infatti normalmente: cfr. Herczeg 1955, p. 119; Serianni 1989a, p. 78; per le esclamative Dardano - Trifone 1997, p. 237. 60 100 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO – Tu del vicino agitarsi non sbigottire; i miei ti difenderanno, e ti difenderà, meglio d’ogni cosa, la stretta in cui saran posti i nemici. – Potess’io combattere! (DA 1858, p. 57) “[…] e possa questa giovare alla sua anima, come quella non fregerà mai la sua fronte” (BdB 1852, p. 14) Altri esempi invece, in Tommaseo, compaiono in concomitanza con un verbo di percezione 61: – […] e ad ogni ora mi pareva vedere una parte del caro corpo disfarsi; e sentivo le membra del corpo mio staccarsi e marcire con esso, e il cuor mio vivo battere tra le costole del petto scarnato del figliuol mio. (DA 1858, p. 14) – Non vedete il popolo accorrere 62 da tutti i lati? (DA 1858, p. 85) – Già sento il tuono muggire (DA 1858, p. 84) Un po’ più marcata la seguente citazione, sempre da Tommaseo: – Ben fa. Quando città già franche lo gridano signore, ben fa egli a usare del titolo. (DA 1858, p. 4) La marcatezza in senso enfatico avrebbe potuto, in un contesto più ‘moderno’ e meno stilisticamente teso verso l’alto, divenire anche marcatezza pragmatica attraverso un più spregiudicato utilizzo dell’alternanza egli/ lui che non è solo alternanza di registro ma di funzione anaforica/deittica. Già Fornaciari così si esprimeva: «la forma oggettiva (lui, lei, loro) si sostituisce alla soggettiva (egli, ella, elleno) quando la persona operante debba avvertirsi di più e mettersi in rilievo maggiore. Ciò accade […] in generale, quando il soggetto sia posposto al verbo» 63. Una possibilità che Manzoni ‘intuì’ e sfruttò in più passi della quarantana 64. Nel piano diegetico, le tmesi per soggetto nelle sequenze ‘Verbo+Infinito’ o ‘Servile+Infinito’ compaiono in Rosini, D’Azeglio, Tommaseo, Grossi, Manzoni, Guerrazzi e Nievo. Commentiamone qualche esempio. Guerrazzi ne presenta due che sono grammaticalizzate ricorrendo in frase ottativo-esclamativa 65: 61 In questi casi la collocazione, libera, del soggetto che è duplicemente oggetto del verbo reggente e soggetto dell’infinito (per es. ho visto la palla rotolare sul prato / ho visto rotolare la palla sul prato) può spesso rappresentare una scelta stilisticamente adiafora, cfr. GGIC, II, p. 511. 62 In realtà qui l’inframmissione del soggetto tra verbo di percezione e infinito da esso dipendente è motivata anche dal contesto sintattico interrogativo. 63 Fornaciari 1881, pp. 49-50. 64 Si vedano, a questo proposito, infra, V, 3.4.6. e 6.2. 65 Si veda supra, nota 60. TIPOLOGIA DELLE TMESI 101 Possano questi secoli non essere rammentati nella Storia! (BdB 1852, p. 3) Possano i posteri lasciarci il retaggio che solo aneliamo … l’oblio! (BdB 1852, p. 3) Dello stesso tenore l’occorrenza di Tommaseo in frase ottativa: O città de’ miei desiderii, poiché non tu per la mia parola, possa la mia parola essere illustre per te (DA 1858, p. 53) 66 mentre gli altri casi tommaseiani occorrono per lo più in presenza di verbi di percezione: Tra i quali era Francesco Brunelleschi; a cui, veggendo le forze della città crescere, sempre più pareva diventar cittadino (DA 1858, p. 45) Allo strepito delle turbe incalzanti, e al suono delle cennamelle e delle trombe e delle campane incitanti i cittadini a combattere, sentì Rinaldi d’Altavilla serrarsi il pericolo addosso a’ suoi. (DA 1858, p. 85) 67 come anche gli ultimi due esempi tratti da Grossi: Appena fu visto il suo cappuccio bruno spuntare sulla piazzetta, tutti si misero a gridare (MV 1840, p. 18) […] ma quando ebbe vista Bice procedere in tutta la bellezza della sua persona, gli si attutò ad un tratto ogni sdegno (MV 1840, p. 31) L’isolato caso manzoniano 68: […] e l’Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. (PS 1840, p. 7) tratto dalla pagina descrittiva incipitaria, coinvolge invece una particolare reggenza verbale, quella del verbo causativo lasciare, il quale ammettendo anche la costruzione percettiva 69 è qui costruito con l’interposizione, 66 In quest’apostrofe alla città natale, in uno dei momenti di presa della parola da parte del narratore, emerge lo spirito accorato dell’esule, retoricamente ben orchestrato nel chiasmo finale di ‘Sogg. - compl. di vantaggio / compl. di vantaggio - Sogg.’ (non tu - per la mia parola / la mia parola - per te). 67 In questo caso, però, diversamente dal precedente alla sequenza ‘verbo di percezione+infinito’ è stato frapposto il soggetto del verbo reggente e non quello dell’infinito. 68 Isolato, ovviamente, nelle nostre pagine di spoglio. Per la presenza del soggetto all’interno delle tre giaciture qui analizzate si veda anche Cernecca 1963, pp. 81-82, che ne dà, per molti casi, un’interpretazione di messa in rilievo enfatico del soggetto e di innalzamento del tono espressivo. 69 Si veda GGIC, II, p. 499. 102 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO quasi obbligata in questo caso, del soggetto dell’infinito 70 (l’acqua): la posposizione, infatti, dopo una successione di due verbi coordinati (distendersi e rallentarsi) e di natura riflessiva avrebbe creato una durezza ritmica poco naturale (*lascian distendersi e rallentarsi l’acqua in nuovi golfi e in nuovi seni). I casi di Rosini, come quelli di Nievo, enfatizzano il soggetto portandolo maggiormente in primo piano: Solevano essi ritrovarsi insieme in certe notti determinate (MM 1829, p. 20) […] sì che fosse tristo presentimento, o vergogna, sperò Geltrude di sfuggire a’ suoi sguardi. (MM 1829, p. 31) Mi sbaglierò forse, ma meditando dietro essi potranno alcuni giovani sbaldanzirsi dalle pericolose lusinghe, e taluni anche infervorarsi nell’opera lentamente ma durevolmente avviata (CdUI 1858, p. 8) Un’altra asseveranza deggio io fare (CdUI 1858, p. 9) Credeva la castellana disavvezzarmi così dalla sua Pisana immischiandomi coi fanciulletti del Santese (CdUI 1858, p. 99) Piuttosto complessa la giacitura dell’intera frase nell’esempio di D’Azeglio, con l’inframmissione del soggetto all’interno del sintagma ‘erano infiammati a+Inf.’: […] vedeva che da’ suoi discorsi erano spesso infiammati gli animi de’ compagni a mostrarsi italiani, e sentì quanto poteva a quest’ora aiutare coll’esempio. (EF 1833, p. 33) Per le sequenze di ‘Verbo+Infinito’ e di ‘Servile+Infinito’ i casi di interposizione di un complemento indiretto, sempre in ambito dialogico, si ritrovano in misura limitata in D’Azeglio; per lo più sono complementi di tempo: – […] con certe strette al petto che mi levavan l’anelito, e mi pareva ogni tratto di soffocare (EF 1833, p. 41) – Ma per questo convien che giuriate di non entrare da oggi al dì della battaglia in alcun’altra impresa, onde non porvi a rischio di riportar ferite, o d’incontrare impedimento che potesse quel giorno togliervi d’essere a cavallo (EF 1833, p. 34) – Il magnifico Consalvo, dovendo con forze minori sostenere i diritti del re cattolico, non consentirebbe che il sangue de’ suoi soldati si spargesse per altre cagioni. (EF 1833, p. 33) 70 Per questa costruzione cfr. supra, nota 59. TIPOLOGIA DELLE TMESI 103 Mentre nel primo esempio la percezione della tmesi è piuttosto sottile, nel secondo l’interposizione ha valore pragmatico di ripresa, quasi fosse un inciso, di un elemento che nel contesto è tematico: la sfida appunto del titolo, che è stata poco prima sottoposta all’interlocutore, il gran condottiero Prospero Colonna, da cui ci si aspetta il consenso. Nell’ultimo, infine, si ripresenta in qualche modo la volontà di sottolineare sempre in inciso, riassuntivamente, la ragione, più distesamente esposta in battute immediatamente precedenti, per la quale Prospero Colonna acconsente che partecipino alla sfida non più di dieci uomini, pena il possibile diniego dell’altro condottiero Consalvo all’accettazione della sfida stessa. Questi, infatti, non avrebbe probabilmente acconsentito, potendosi altrimenti trovare con minori forze a sostenere i diritti del re cattolico. Altre occorrenze, poi, in Tommaseo (che ne presenta il numero maggiore) e una in Guerrazzi: – Se non altro giuravi, io potevo con pari diletto aprire il mio segreto agli scopeti del fiume. (DA 1858, p. 8) «L’Adimari de’ loro? Ed io posso con una parola aprirgli sotto i piedi la terra che lo ingoi. (DA 1858, p. 30) – […] tolse in casa lo straniero vorace, sperando per sua soperchianza francarsene (DA 1858, p. 47) “Sant’Agata benedetta! che dite mai, Adelasia? Io ho inteso le mille volte narrare dal Marchese Pier Corrado mio nonno, di buona memoria, la famiglia di Gismonda discendere da linea bastarda della casa normanna” (BdB 1852, p. 21) A parte l’ultimo esempio guerrazziano, di poco spicco (se non fosse per l’utilizzo per noi ormai desueto dell’articolo davanti a quell’espressione temporale), quelli relativi al Duca appaiono ricercati stilisticamente e letterariamente; forse appena più marcato anche semanticamente il secondo in cui l’interlocutore ribadisce con più violenza e minor scampo per l’Adimari la possibilità di provocarne la fine. Nel piano diegetico le tmesi di ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’ provocate da un complemento indiretto, si ritrovano un po’ in tutti gli autori tranne in Grossi: si tratta soprattutto di complementi di tempo, di luogo, di modo, anticipati ora per una funzione pragmatica puntuale, ora per dare un maggior rilievo semantico, ora come stilema letterario per più evidente nobilitazione. Vediamone qualche caso piuttosto usuale e neutro o appena semanticamente più rilevato (ultimo esempio): […] mi pare debba in alcun modo riflettere l’attività comune e nazionale che la assorbe (CdUI 1858, p. 8) […] e questi da giovanetto credette il mestier dell’arme il solo degno di 104 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO sè, nè potè per molti anni aver pensieri superiori ai tempi in cui viveva (EF 1833, p. 27) […] dopo aver respinti sempre più debolmente i nuovi e più incalzanti assalti di lei, dopo averle fatto più d’una volta giurare che non fiaterebbe, finalmente, con molte sospensioni, con molti ohimè, le raccontò il miserabile caso. (PS 1840, p. 23) Più connotato in senso pragmatico il seguente, nel quale si noti l’isolamento dell’inciso informativo attraverso l’utilizzo delle virgole: Così, a trent’anni, si ravvolse nel sacco; e, dovendo, secondo l’uso, lasciare il suo nome, e prenderne un altro, ne scelse uno che gli rammentasse, ogni momento, ciò che aveva da espiare: e si chiamò fra Cristoforo. (PS 1840, p. 66) Di sensibilità più letteraria le dislocazioni attuate nei seguenti casi per la gratuità da cui ci paiono caratterizzate: Quindi, solo di nuovo, comincia con gran forza d’animo a pensar seriamente a’ suoi tristi casi. (MM 1829, pp. 36-37) […] seppe con tale arte gettarne le semenze in terreno preparato a riceverle, che non vi fu mai pianta così fortemente abbarbicata nel suolo, come le dottrine dei Protestanti lo furono per entro alla mente di Egidio. (MM 1829, p. 15) Lo raccolse da terra, e volle con dolce forza abbracciarlo. (DA 1858, p. 68) […] sicchè nella sua condizione niuno poteva meglio di lui paragonarsi all’illustre Greco, passato in proverbio pel senno, e come altri dice per la furberia. (MM 1829, p. 39) forse con un po’ più di rilievo semantico l’ultimo esempio nel quale il complemento di paragone (meglio di lui) è diviso dall’elemento reggente, un ormai poetico e ricercato niuno 71, attraverso lo spostamento in avanti e la collocazione tra verbo servile e infinito. Ancora: Lo prese costui con ambedue le mani, e, postolo sulla tavola del tabernacolo, lasciò con dura percossa cadersi prostrato innanzi di quello (BdB 1852, p. 43) abbastanza marcato in senso aulico questo caso, in cui si avverte come de71 Sempre più desueto nella prosa e nell’uso comune dell’Ottocento, riservato ormai alla poesia o alle scritture paludate. Sulla vicenda di niuno/nessuno rimandiamo a Serianni 1982b: «nell’Ottocento la ricerca d’un lessico culto, lontano da quello corrente […] comporterà una larga accettazione di niuno, appunto come variante meno trita e usuale rispetto a nessuno» (p. 37). TIPOLOGIA DELLE TMESI 105 sueta l’enclisi pronominale sull’infinito retto da un verbo fattitivo 72 (lasciò … cadersi), e come ricercata l’eliminazione dell’articolo indeterminativo dal sintagma formato dal complemento indiretto dislocato (con dura percossa). […] e questo pensiero apparve così chiaro all’esterno, che un di loro, il più vecchio di tutti, uscì con asprissima voce a ricacciarlo indietro (CA 1868-9, p. 97) Potevano di appena venti passi avere trapassata la porta, allorchè le damigelle, gettando via quella mentita sembianza di afflizione, si mossero festose qua e là per la sala, alternando mille lieti ragionamenti. (BdB 1852, p. 18) Un rimbombo forte e crescente si faceva udire sempre più vicino, facendo in quelle gole vibrare echi potenti. (CdM 1861-2, p. 12) La monaca che mi aveva raccolta dalla buca, mi condusse per mano adagio adagio per molti corridoi, dove io camminava quasi brancolando, sentendomi ad ogni passo mancare. (G 1862, p. 28) L’avresti veduta a queste parole deporre ogni timore, e volgersi piacevolmente a Franciotto quasi in atto di chieder perdono. (EF 1833, p. 50) […] e gli pareva avere da’ propri affanni acquistato diritto a aggravare fino alla disperazione gli altrui affanni. (DA 1858, p. 50) Di qualche valore informativo le precedenti frapposizioni, connotate però anche sul piano stilistico. […] e quantunque provasse un leggier senso di umiliazione di non potere per la sua povertà offrire un pegno di battaglia di valore uguale a quello di La Motta, pure, scossa quella vergogna, disse francamente (EF 1833, p. 24) […] poichè per allora, appena fui in grado di pronunciar parola mi insegnarono per suo comando a chiamarla la Signora Contessa (CdUI 1858, p. 98) 72 Nelle costruzioni fattitive moderne, infatti, «i clitici stanno accanto al verbo reggente, qualsiasi sia la loro funzione» (GGIC, II, 501). La possibilità di trovare la sequenza, oggi agrammaticale, di ‘verbo causativo+infinito+clitico’ (per es. *faccio muoverlo) nell’italiano antico, per quanto remota, è presente (cfr. gli spogli di Robustelli 1996). Ma più che alla presenza fin troppo rarefatta di questi esempi antichi, l’uso guerrazziano dovrà essere ricondotto ad un’eventuale espansione posteriore del costrutto. Nella grammatica di Buonmattei, infatti, trattando della posizione dei clitici e presentando come possibili le due varianti topologiche, preverbale e postverbale, vengono allegati vari esempi: «Il chiamava, chiamavalo; la lavò, lavolla» a cui si aggiunge anche un «si fece chiamare, fece chiamarsi» (Buonmattei 1807, pp. 196-197), che ci pare possa essere un segno di una frequenza non così trascurabile come quella rilevata da Robustelli per la lingua delle origini. Per un’ulteriore trattazione della questione cfr. infra, IV. 106 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO […] né potendo, in alcuna operazione o materiale o mentale, spendere quella virtù attiva che il Creatore ha posto in tutto l’essere nostro per la propria nostra conservazione (G 1862, p. 33) Ma siccome v’eran poi finalmente al mondo, e vicino a lui, persone ch’egli conosceva ben bene per incapaci di far male, così poteva con quelle sfogare qualche volta il mal umore lungamente represso (PS 1840, p. 20) Pragmaticamente il più notabile ci pare l’ultimo esempio, manzoniano, che, con il rilievo dato ad un complemento indiretto di valenza tematica, intende specificare che soltanto con quelle persone, dichiaratamente e sicuramente innocue, don Abbondio nella sua pusillanimità osa sfogarsi e vendicarsi di soprusi in altre occasioni accettati e subiti per incapacità di ribellarsi. 3.3. Tmesi per complemento d’agente 73 Pochissime sono le occorrenze: 6 di cui 2 in sede mimetica. […] e di sì fu da lui risposto (MM 1829, p. 61) Fu allora dai compagni consigliato a ritirarsi da Milano (MM 1829, p. 40) – Questi miei amici se ne ricordano: fu da noi veduta al nostro passaggio in Roma del 92 (EF 1833, p. 20) – Fu da lui brevemente informato di quanto era occorso la sera innanzi (EF 1833, p. 29) Un’altra asseveranza deggio io fare […]; e questa è, che la vita fu da me sperimentata un bene (CdUI 1858, p. 9) […] il qual rolò fu parimenti da noi trovato aperto. (CA 1868-9, p. 101) 3.4. Tmesi per compresenza di due o più elementi Dopo questa disamina delle occorrenze delle tmesi più significative, anche numericamente, concludiamo col notare una presenza non del tutto 73 Di matrice boccacciana e di diffusione bembiana la frapposizione del complemento d’agente con la forma passiva del verbo è tratto tipico della prosa classicistica: di qui la sua sporadicità già nell’antagonistico filone castiglionesco-tassiano, in vari autori tra Cinque e Seicento (Bozzola 1999, 2004) e in un autore secentesco come Malvezzi (Piotti 2001). Trova invece ancora vari riscontri nella prosa della seconda metà del Settecento (cfr. Patota 1987). TIPOLOGIA DELLE TMESI 107 trascurabile di casi in cui le frapposizioni sono costituite da due o più elementi. Il fenomeno è meno evidente tra ‘Ausiliare+Participio’ (4,6%) e più cospicuo nelle altre due giaciture (10-12% circa). Per il piano mimetico soltanto il dialogato di Tommaseo presenta tmesi di ‘Ausiliare+Participio’, ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’ per frapposizione di due o più elementi. È un fattore che, in alcuni casi, accentua quel carattere di sostenutezza stilistica e tensione espressiva che identifica questa particolare prova narrativa, ma che in altri casi non determina ulteriore complessità topologica. – Ho io mai piaggiata la costui villania? (DA 1858, p. 31) – Potrebbe dunque Gualtieri tenermi per alcun tempo (DA 1858, p. 37) Il primo esempio, quasi neutro, vede l’interposizione, piuttosto usuale in frase interrogativa, del soggetto che è qui accompagnato da un avverbio la cui infraposizione è grammaticalizzata; nel secondo, invece, l’inframmissione del soggetto come variante di una sua posposizione assume insieme alla presenza della congiunzione conclusiva (dunque) il valore di una ripresa perentoria dell’informazione nota, a chiusura di un dialogo drammatico tra Antonio degli Adimari, sospettato di tradimento e richiesto a palazzo dal Duca Gualtieri, e la figlia Matilde. Mentre il seguente: – […] perché non ricorriamo all’oracolo della sede apostolica, e, intanto che la risposta viene, non lasciam libera al duca l’autorità che gli abbiamo, per vallate carte e di mano di molti notai, confidata? (DA 1858, p. 84) rimane in bilico tra la funzione di inciso informativo (in effetti tra due virgole) e la predisposizione autoriale alla complicazione topologica, che allontani anche il parlato da un’espressione più naturale e piana. E ancora, con intenzione programmaticamente stilistica: – […] già veggo la folgore con ispaventevole suono scendere. (DA 1858, p. 84) – Non piangere, figlia mia: non potrebb’egli, Dio, domani, quest’oggi, ora, togliermi a te? (DA 1858, p. 38) Nell’esempio finale gli elementi interposti (due soggetti e tre omologhe determinazioni temporali), non provocano una distanziazione particolarmente marcata della giacitura, ma si allineano alla tecnica retorica letterariamente convenzionale e collaudata del tricolon – avverbiale in questo caso – in concorrenza con un’esigenza di espressione dell’enfasi emotiva. 108 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO Del piano diegetico riportiamo solo alcuni degli esempi 74 di frapposizione di due o più elementi all’interno delle consuete stringhe di ‘Ausiliare+Participio’, ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’. Sono casi infatti che compaiono quasi in tutti gli autori (esclusi sono Grossi e Verga) e non sempre hanno una valenza significativa, o meglio, il loro valore non è particolarmente sottolineato o accresciuto dalla pluralità degli elementi interposti. Si vedano infatti: Torna Egidio allora a riaprir la porta (MM 1829, p. 35) Parve allora a Fieramosca di seguir la parte di Spagna, per opporsi in qualche modo all’altra di troppo crescente potenza (EF 1833, p. 28) Di poi ritornammo al parlatorio: ed avendo donna Maria Antonia, don Gaetano e don Gennaro preso amorevolmente commiato dalla religiosa, me ne menarono via con loro. (G 1862, p. 52) […] e dovevano certamente quelle carte contenere qualche strano avvenimento (MM 1829, p. 75) Avevano negli scorsi giorni le genti Savojarde sbaragliato i francesi, che si portavano al soccorso di Casale (MM 1829, p. 74) In altri casi la presenza di due o più elementi è funzionale alla concentrazione informativa (spesso sottolineata dalle virgole) e quindi all’aspetto pragmatico: […] gli uomini credono che l’esser in sul primo vagito gittata dalla miseria o dalla paura nella buca de’ reietti, sia un’infamia che debba perpetuamente, sino alla morte e dopo la morte, pesare sul capo della vittima. (G 1862, p. 76) Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo vollero prete. (PS 1840, p. 19) […] Lodovico non aveva mai, prima d’allora, sparso sangue (PS 1840, p. 65) […] costringendo, a forza d’inchini e di rispetto gioviale, anche i più burberi e sdegnosi, a fargli un sorriso, quando gl’incontrava per la strada (PS 1840, p. 19) Altri concorrono ad arricchire l’elaborazione retorico-stilistica: […] ond’ella balzando, scese animosa, ansiosa, quasi lieta, ad aprire (DA 1858, p. 53) […] già veggo la folgore con ispaventevole suono scendere. (DA 1858, p. 84) 74 Tralasciamo, tra gli altri, i casi che contengono un complemento d’agente accompagnato da altro elemento, poiché già citati nella sezione relativa (cfr. supra, II.3.3.). TIPOLOGIA DELLE TMESI 109 o a meglio accentuare il tono enfatico di un passo: […] potrà una volta il sangue italiano scorrere a miglior fine che a sempre difendere gli stranieri invasori. (EF 1833, p. 34) o a riprodurre un genere testuale diverso, come quello giuridico degli Statuti friulani nieviani: […] il legislatore soggiunge a motivo di questa sua disposizione: perchè una persona non può contemporaneamente in più luoghi stare. (corsivo del testo; CdUI 1858, p. 45) 3.5. Tmesi per subordinata Gli esempi non sono molti né particolarmente complessi; si tratta infatti o di subordinate al gerundio (di valore modale) o di subordinate parentetiche o incidentali che servono a spiegare, delimitare, informare sulle circostanze dell’azione o della situazione psicologica descritta: […] il quale cominciava una vita d’espiazione e di servizio, che potesse, se non riparare, pagare almeno il mal fatto (PS 1840, p. 66) Qual altra persona fuorché l’Innominato potrebbe, conoscendoli, dar asilo ad una monaca e al suo seduttore? (MM 1829, p. 35) […] e prossima a morire del freddo, cercava, quanto più poteva, di riscaldarmi col suo alito. (G 1862, p. 22) […] e dandomi qualche strappata pei capelli e chiamandomi figliuola di mala femmina, cercava di farmi, com’egli diceva, spoltronire. (G 1862, p. 45) Con più chiaro fine retorico, a maggiore valorizzazione della parola come marca di stile, un esempio di Tommaseo che segue le pause e gli allentamenti del ritmo in direzione di un’elocutio solemnis che in qualche modo tradisce per reminiscenze tonali la formazione epico-classica del Dalmata: […] io vengo, fidato nella magnanimità vostra, e più nel mio pentimento, a confessarvi un peccato che mi fa insopportabile l’aspetto vostro e del sole, e la vita. (DA 1858, p. 61) A questo ne aggiungiamo ancora uno, sempre tratto dal Duca d’Atene: Propose, ormai che n’aveva la chiave, penetrare ne’ consigli della congiura; e, incerto qual via terrebbe (segno non era mutato che a mezzo), osservare. (DA 1858, p. 34) particolarmente distante da una sintassi media e comunicativa, sia per il duplice inserimento e di una incidentale (ormai che n’aveva la chiave) tra 110 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO il verbo reggente e il suo infinito, e di una incidentale seguita da una parentetica tra la congiunzione coordinativa (e) e l’infinito da essa retto; sia per le frequenti ellissi (di preposizioni, congiunzioni, verbi reggenti). Tuttavia non si può disconoscere anche un valore pragmatico alla seconda tmesi (e [propose], incerto […] osservare), che accentua l’idea della necessità da parte dell’osservatore di temporeggiare e di tentennare e insieme evidenzia il carattere nascosto di tali pratiche. Altri due esempi, infine, dal romanzo verghiano: […] si vedeva quando il tempo era cattivo un uomo, giovane ancora e bello, guardare con malumore il tempo e le nuvole (CdM 1861-2, p. 10) – […] quando questo braccio della sovranità lascia senza pensarvi calpestare le sue leggi e la sua patria, non vi è allora più nobiltà, ma vi è una generazione sciagurata di superbia e di nullità. (CdM 1861-2, p. 22) Il primo, con inframmissione della subordinata temporale e il soggetto dell’infinito retto dal verbo di percezione (si vedeva), introduce una lieve pausa narrativa che prepara alla descrizione, non priva di grazia, del giovane in contemplazione del cielo, resa appena più insolita dalla sequenza degli attributi giovane ancora e bello (con più marcata posposizione dell’avverbio ancora), secondo il modulo ‘A+e+A’ 75 che consuona con la prima parte del noto «biondo era e bello e di gentile aspetto» (Purg, III, v. 107). Il secondo, in armonia con il movimento oratorio del discorso politico, sottolinea con picco focale la modalità, aggravante, dell’abdicazione delle responsabilità regie. 4. CORREZIONI DI EDIZIONE In relazione ai fenomeni fin qui analizzati riportiamo ora i casi di cambiamento dell’ordine delle parole che compaiono all’interno di un più generale e programmatico intento correttorio attuato da alcuni dei nostri autori sui loro romanzi. Ricordiamo (come già segnalato nella Presentazione del corpus) che sono stati presi in considerazione i processi correttori (limitatamente ai nostri fenomeni) di Manzoni, Guerrazzi, Grossi e Tommaseo. Si è poi fatto qualche raffronto anche sui romanzi di Nievo e Verga, prendendo in esame le eventuali varianti di lezione riportate in appa75 Sulla ricercatezza di questa disposizione aggettivale e il suo perdurare in certa prosa ottocentesca rimandiamo a Serianni 1989b, p. 95, nota 23. CORREZIONI DI EDIZIONE 111 rato critico. Tra i vari livelli del testo coinvolti nella prassi correttoria, in generale, l’ordine topologico è quello a cui gli autori poco mettono mano se non addirittura trascurano. Fa eccezione Manzoni che attua anche in questo settore molteplici interventi 76. Qualche dato, comunque, ha fornito anche l’indagine sulle edizioni di Tommaseo (edd. 1837-1858), e sull’apparato critico dell’edizione verghiana; nessun cambiamento topologico, invece, si è potuto riscontrare, per i fenomeni trattati in questo capitolo, nelle diverse edizioni di Guerrazzi (edd. 1827, 1852) e Grossi (edd. 1834, 1840) o nell’apparato dell’edizione critica di Nievo. 4.1. Manzoni Limitatamente alle parti da noi spogliate e ai fenomeni qui trattati si sono rilevati alcuni spostamenti che coinvolgono casi di attenuazione della portata della separazione tra gli elementi (si veda l’esempio qui sotto): […] s’era dunque, quasi all’uscire dall’infanzia, avveduto d’essere in quella società come un vaso di terra cotta (PS 1827, p. 17) > […] s’era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d’essere, in quella società come un vaso di terra cotta (PS 1840, p. 19) oppure concernono la soppressione tout court delle tmesi: Se avessi mo 77 pensato di suggerir loro che andassero (PS 1827, p. 19) > Se avessi pensato di suggerir loro che andassero (PS 1840, p. 21) […] qualche erba, di cui la fame aveva insegnato che gli uomini potevano pur vivere. (PS 1827, p. 55) > […] qualche erba, di cui la fame aveva insegnato che anche gli uomini potevan vivere. (PS 1840, p. 57) […] fe’ loro assegnare una stanza (PS 1827, p. 143) > […] fece assegnar loro una stanza (PS 1840, p. 146) Alcune eliminazioni sono poi dovute ad una diversa distribuzione dei pronomi personali soggetto, spesso espunti in direzione di uno snellimento sintattico e di una maggiore naturalezza espressiva: […] avendola egli consigliata per lo migliore di non palesar nulla (PS 1827, p. 69) > […] avendola consigliata, per il meno male, di non palesar nulla (PS 1840, p. 71) E perchè, al primo avviso, s’era egli mosso così sollecitamente, come a 76 Rimandiamo soprattutto a Cernecca 1963 e Mencacci 1995. L’eliminazione dell’avverbio temporale mo rientra, inoltre, nella prassi di espunzione degli idiotismi lombardi. In altri passi della quarantana a questa voce subentra il più comune e più diffuso ora (Vitale 1992a, p. 18). 77 112 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO una chiamata del padre provinciale? (PS 1827, p. 55) > E perchè, al primo avviso, s’era mosso con tanta sollecitudine, come a una chiamata del padre provinciale? (PS 1840, p. 57) Quest’ultimo esempio, inoltre, si allontana significativamente da una prassi ancora in auge ma piuttosto tradizionale della posposizione del soggetto (o infraposizione, qualora il tempo verbale sia composto) in frase interrogativa diretta. Ancora un caso, infine, di carattere pragmatico: […] le chiedesse in suo nome perdono dell’esser egli stato la cagione, quantunque ben certo involontaria di quella desolazione (PS 1827, p. 62) > […] le chiedesse in suo nome perdono d’esser stato lui la cagione, quantunque ben certo involontaria di quella desolazione (PS 1840, p. 64) l’eliminazione dell’inframmissione del pronome soggetto e il suo cambio con la forma accusativale qui posposta (lui) attribuisce al soggetto quel valore deittico che manca alla foma egli e che meglio accoglie, attraverso una più forte marcatezza tonale, la frequenza espressiva della voce. 4.2. Tommaseo È difficile segnalare per Tommaseo una prassi correttoria di assoluta coerenza. In linea generale si avverte un relativo abbassamento delle scelte tonali e una certa volontà di appianare l’espressione (cfr. anche Puppo 1958, p. 317 e Cartago 2000) 78. Relativamente ai nostri fenomeni la scarsità delle correzioni e la diversità di ciascun esito non ci consentono di ipotizzare una direzione precisa, ma semmai di avallare quella più generale. Non ci resta, pertanto, che commentare i nostri tre casi singolarmente: […] e son qui venuto (DA 1837, p. 223) > […] e son venuto qui (DA 1858, p. 62) Anelava egli a pascere (DA 1837, p. 212) > Anelava a pascere (DA 1858, p. 50) […] e parevagli da’ propri dolori aver acquistato diritto ad aggravare sino alla disperazione i dolori altrui. (DA 1837, p. 212) > […] e gli pa78 Anche per Fede e bellezza, di altra tematica ed impostazione, Danelon avverte della stessa tendenza all’appianamento linguistico-stilistico operata da Tommaseo: fin dalla seconda edizione del romanzo (Venezia, Il Gondoliere, 1840), apparsa a ridosso della prima uscita nel medesimo anno per i medesimi tipi, e ancor più in quella, ultima, del 1852 «preoccupato (quasi) esclusivamente com’è dalla finalità didascalica» (Danelon 1996, p. 62). CORREZIONI DI EDIZIONE 113 reva 79 avere dai propri affanni acquistato diritto (DA 1858, p. 50) Come si può vedere, si va da una prima eliminazione di tmesi tra ‘Ausiliare+Participio’, attraverso una collocazione postverbale meno marcata e più usuale dell’avverbio locativo (qui), ad un altro caso di eliminazione per espunzione del pronome soggetto secondo una prassi forse più modernizzante (cfr. infra, V). Di tutt’altro segno l’ultimo esempio, che vede da un lato l’eliminazione della tmesi tra servile e infinito ma dall’altro, con uno spostamento del complemento indiretto (da’ propri dolori) tra l’ausiliare (avere) e il participio (acquistato) dell’espressione verbale seguente, la creazione di una distanziazione, nell’economia del passo, forse anche più marcata della precedente. 4.3. Verga Veramente episodiche le varianti riportate in apparato relative ai nostri fenomeni. Le pochissime riscontrate seguono la direzione di una normalizzazione espressiva e di una semplificazione lineare evidenti, nonché, a volte, di un’eliminazione di moduli tipicamente letterario-libreschi: […] tale, che sembra potersi discendere collo sguardo fino al fondo della sua anima; allora si è quasi costretto a pensare agli angioli. > […] tale, che sembra potersi discendere collo sguardo fino al fondo della sua anima; allora si è costretto a pensare agli angioli. (CdM 1861-2, p. 16) […] sotto la magnifica trina delle maniche luccica, direi quasi, in una lieve mezza tinta, il contorno perfetto delle sue bianche braccia > […] sotto la magnifica trina delle maniche luccica, in una lieve mezza tinta, il contorno perfetto delle sue bianche braccia (CdM 1861-2, p. 17) 80 Un ultimo esempio: […] erano ora aperte ogni giorno per lasciare penetrare i raggi splendidi di un bel sole di primavera negli appartamenti. > […] erano ora aperte ogni giorno per lasciare penetrare negli appartamenti i raggi splendidi di un bel sole di primavera. (CdM 1861-2, p. 10) 81 79 Quanto all’eliminazione dell’enclisi pronominale si vedano le correzioni relative al settore pronominale (cfr. infra, IV.7.3.). 80 In realtà questo esempio esula dai fenomeni trattati in questo capitolo, ma lo aggiungo come forma di semplificazione di una tmesi (che pur permane) tra il predicato verbale (luccica) e il suo oggetto (il contorno perfetto). Semplificazione che coinvolge sia la misura della distanziazione, sia il tono letterario-libresco dell’attenuazione stereotipata che compare in inciso (direi quasi), priva di reale funzione espressiva o descrittiva. 81 Anche questo esempio, come il precedente, riporta una tmesi tra il verbo e il suo 114 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO paradossalmente lo spostamento del complemento locativo, pur creando ex novo una tmesi tra il predicato e il suo oggetto, lo riporta ad una collocazione semanticamente naturale, dato il suo statuto argomentale. La funzione, infatti, di completamento del predicato che l’elemento locativo assume rende la versione primitiva lievemente sconnessa anche in ragione della presenza di un complemento oggetto esteso e ‘pesante’ che relega eccessivamente fuori dalla portata verbale il complemento di luogo. 5. CONCLUSIONI La tendenza generale degli autori è di evitare le inversioni e le tmesi di pretto stampo classicistico e di chiaro valore letterario e nobilitante, secondo la linea ‘ammodernante’ inaugurata più nettamente da Foscolo con le correzioni all’Ortis (in netta contrapposizione alla tendenza della prosa della seconda metà del ’700), e convalidata dai riscontri della prosa giornalistica ottocentesca, che fa uso molto parco di tali moduli (soprattutto l’inversione di participio e ausiliare, dal panorama grammaticografico confinata all’ambito prevalentemente poetico). Statisticamente l’incidenza delle inversioni è bassa: assenti tra ausiliare e participio (se non per il modulo temporale del tipo arrivato che fu); sporadiche tra infinito e verbo reggente; un poco più numerose tra infinito e verbo servile. In questo quadro piuttosto compatto rappresenta una notevole eccezione la prosa di Giovanni Rosini che accoglie ancora una buona presenza di inversioni soprattutto di participio e ausiliare e di infinito e verbo servile (oltre il 20%), ma anche di infinito e verbo reggente (circa 6%) per fini prevalentemente stilistici. Se, dunque, la precessione del participio è modulo in chiara decadenza, quella dell’infinito è un poco più presente, ora per fini di innalzamento del tono, ora per fini pragmatico-informativi o di enfasi semantica. Per quel che riguarda le tmesi: sono un poco più rilevanti statisticamente (oscillano in media dai 10 ai 30 punti percentuali), ma non tutte risultano connotate in senso letterario o particolarmente marcate. Tra le diverse tipologie riscontrate (tmesi per avverbio, per soggetto, per complemento indiretto, per complemento d’agente, per presenza di due o più elementi e per subordinata) decisamente prevalente è la tmesi per avverbio (60% nella stringa ausiliare/participio, 30% in quella verbo/infinito e oggetto (fenomeno qui non indagato). Mi è però parso indicativo di una sensibilità linguistica attenta alla naturalezza sintattico-topologica dell’espressione, che in questo specifico caso si sovrappone completamente ad un esito perfettamente contemporaneo. CONCLUSIONI 115 44% in quella servile/infinito): ancor oggi, infatti, alcuni avverbi possono trovarsi più o meno indifferentemente in posizione inter-ausiliare o postparticipiale (molti avverbi in -mente), altri invece hanno collocazione topologica oggi grammaticalizzata (già, mai, quasi, bene). La tipologia di queste tmesi, dunque, che si allinea fortemente con quelle che sono ancora possibili nell’italiano contemporaneo, e il loro dato numerico mettono in rilievo, per questo aspetto, il carattere già di prevalente ‘modernità’ della prosa dei nostri romanzi. Non mancano, però, casi più marcati e sotto il segno del preziosismo. Una significativa differenza si riscontra, poi, nell’uso della tmesi tra i due piani narrativi: nel dialogo la sua presenza è di circa un terzo inferiore a quella riscontrata in diegesi. La tmesi per soggetto occupa il secondo posto di rilievo: più diffusa in diegesi (Rosini, D’Azeglio, Tommaseo, Grossi, Manzoni, Guerrazzi e Nievo); in sede mimetica (Rosini, Tommaseo e Guerrazzi) combacia più spesso con il modulo tradizionale della posposizione del soggetto in frase interrogativa (posposizione che diviene interposizione nei tempi composti e nelle stringhe ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’). La tmesi per complemento indiretto è presente solo nel dialogato sui generis di Tommaseo, mentre ricorre più diffusamente in sede diegetica (soprattutto tra ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’, meno tra ausiliare e participio). Si ritrova, infatti, un po’ in tutti gli autori (tranne in Grossi), ma si tratta per lo più di complementi di tempo, di luogo, di modo, anticipati ora per una funzione pragmatica puntuale, ora per dare un maggior rilievo semantico; più raramente ricorre come stilema letterario a fini evidenti di nobilitazione del dettato. L’interposizione di un complemento d’agente, invece, appare sporadica (6 casi); mentre non del tutto trascurabile è quella costituita da due o più elementi (meno evidente tra ausiliare e participio: 4,6%; più cospicua nelle altre due giaciture di ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’: 10-12%). A ben guardare, però, i casi riscontrati nel piano mimetico appartengono tutti alla prosa del Duca d’Atene e hanno forte connotazione di sostenutezza stilistica e tensione espressiva. I restanti casi, diegetici, distribuiti variamente tra gli altri autori, non hanno particolari valenze espressive o letterarie ma sono funzionali alla concentrazione pragmatico-informativa. Ancora più esigui gli esempi di tmesi per subordinata (per lo più gerundive, parentetiche, incidentali): servono a spiegare, delimitare, informare sulle circostanze dell’azione o della situazione psicologica descritta. Di più chiaro fine retorico alcune occorrenze (Tommaseo, Verga). Veramente episodici, infine, a parte il romanzo di Rosini, i casi di concomitanza di una inversione con una tmesi. VI ORDINI DI SINTASSI MARCATA Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti Placiti capuani Nella sua indagine sulla sintassi del parlato attraverso la tradizione scritta della lingua italiana D’Achille appone ad essa un terminus ad quem: Mi è parso che il traguardo della ricerca si potesse fissare alla fine del sec. XVIII, senza allungare il passo fino all’epoca romantica e alla fatidica svolta manzoniana perché ho voluto limitare il campo di indagine alla produzione scritta influenzata da un clima culturale genericamente rinnovato, ma non ancora propriamente elaborata sulla base di un esplicito programma di ‘recupero del parlato’ come quello romantico e più specificamente manzoniano. 1 I testi presi in esame vanno proprio al di là di quella soglia, e si fanno portatori o testimoni (ora muti ora più eloquenti) di quel clima linguistico (e contenutistico) rivoluzionario, o diversamente innovativo rispetto ai movimenti del passato, tanto da venirne escluso dall’ampio excursus diacronico succitato e renderlo bisognoso di una trattazione a sé. Epoca cruciale, quindi, il XIX secolo che esordendo con le preoccupazioni culturali esposte in primis nelle pagine azzurrine del foglio del Conciliatore, dalla vita così breve e ostacolata, trovò finalmente un autore come Manzoni che per primo diede avvio ad una meditazione linguistica di diverso stampo. Ma i nostri autori – ‘il lettore se n’è già avveduto’ – non furono tutti manzoniani, anzi. In questo capitolo, una piccola appendice, tratteremo di alcuni di quei fenomeni di sintassi marcata, riscontrati nel campione, 1 D’Achille 1990, p. 20. 340 ORDINI DI SINTASSI MARCATA che sono ritenuti segni di una accondiscendenza ad una medietas linguistica maggiore e di una maggiore vicinanza tra i due poli di scritto e parlato. Tra questi la dislocazione (a sinistra e a destra), la frase scissa, il tema sospeso 2. 1. SEGNALI DI ‘MODERNITÀ’: DISLOCAZIONI, FRASI SCISSE, TEMI SOSPESI La virgolettatura dell’attribuzione di modernità ai costrutti più sopra accennati è inevitabile: diacronicamente presenti fin dalle prime testimonianze scritte della nostra tradizione, non si possono chiamare moderni nel senso letterale-cronologico del termine, ma possono rappresentare un indice, un segnale di ‘modernità’, in quanto elementi di una comunicazione in cui oralità e scrittura si avvicinino, mediate da un’idea (da un’esigenza vera e propria) di maggiore naturalezza comunicativa. Una naturalezza e una medietà comunicativa (in cui è in gioco la stessa comprensibilità e possibilità di uno scambio) ricercate anche per quelle scritture che la super-norma bembiana e il perpetuarsi di una tradizione di modellizzazione formale molto forte avevano alienato sia dall’evolversi continuo dei tempi (e quindi della lingua come uso), sia dalle nuove esigenze culturali (che imponevano ormai oltre ad un accoglimento dell’uso una sua omogeneizzazione e comunione). La presenza di questi fenomeni nei nostri testi (in passato troppo spesso valutati essenzialmente come fatti di stile), va dunque segnalata, ma valutata di volta in volta: la scarsità dei dati raccolti lo impone. Sicuramente le occorrenze trovate possono essere viste come indizio o di un programmatico avvicinamento ad una lingua di più cordiale colloquialità, o di una più attenta comprensione dei meccanismi pragmatici della comunicazione, o almeno come segnale di un uso comunque in atto che a volte trapela anche dalle maglie più strette di prose di più austera linea. Le occorrenze non sono molte: un drappello costituito da una sessantina di casi in tutto su un totale di 200 mila battute per autore 3. I dati, 2 Per una definizione dei fenomeni, ormai fin troppo noti, rimandiamo all’ampia bibliografia esistente, tra cui indichiamo i contributi di Sornicola 1981; Berruto 1985a, 1985b, 1986a, 1986b; Benincà 1986; Stammerjohann 1986; GGIC, I; Berretta 1994, 1995a, 1995b, 1996. Per quel che riguarda la trattazione (spesso ignorata) dei fenomeni in questione nel panorama delle opere grammaticali a noi meno vicine segnaliamo l’excursus in D’Achille 1990, pp. 93-113. Qui basterà ricordare che Fornaciari 1881 parla a più riprese delle dislocazioni (duplicazioni; pp. 311, 327, 353), segnalandole come tratto espressivo del parlare familiare. 3 Per rendere maggiormente l’idea, cioè più percepibile, sebbene meno precisa sta- SEGNALI DI ‘MODERNITÀ ’: DISLOCAZIONI , FRASI SCISSE , TEMI SOSPESI 341 benché limitati, sono dotati però di una certa chiarezza: nessun autore va escluso da qualche traccia di sintassi marcata; gli autori che ne presentano di più sono Grossi 4 (16 occorrenze), Manzoni (12), Nievo (10), e D’Azeglio 5 e Rovani (7); mentre minori o episodici sono quelli di Guerrazzi 6 (4), Tommaseo, Ranieri (3), e infine Rosini e Verga (2). Di Manzoni, Sabatini 1987 ricorda che le costruzioni tematizzate più comuni erano già presenti nella ventisettana e perfino nel Fermo e Lucia, ma che l’edizione del Quaranta innesca una vera e propria «impennata» del fenomeno che si allarga fino alla zona più ‘compromettente’ degli anacoluti. Pieno riscontro, in proposito, dai dati di spoglio dell’intero romanzo (Bonomi 2001-2003) 7 tra i quali si contano ricorrenze di dislocazioni a sinistra che superano il centinaio, un manipolo non trascurabile di dislocazioni a destra «quasi esclusivamente nel piano dialogico, come costrutti dal forte carattere oralizzante», temi sospesi (soprattutto nei dialoghi ma anche in diegesi) 8. Una prassi, dunque, pienamente consapevole in Manzoni; e forse i suoi ‘colleghi’ più prossimi ne recepiscono il movimento: Grossi (soprattutto) e D’Azeglio. Quanto a Nievo e Rovani non è difficile immaginare (e tra i due ancor più nel primo) qualche inserimento di tale genere; Mengaldo 1987 ce ne dà testimonianza anche per l’epistolario nieviano, indicando nella matrice parlata ed informale l’anticipo o la ripresa di un complemento con pronome atono pleonastico. tisticamente, i 65 casi trovati sono da distribuirsi su una media di 120 pagine per autore, quindi circa milleduecento pagine totali. 4 Riscontri in questo senso anche in Zangrandi 2004, pp. 115 ss. 5 Cfr. nota precedente. 6 Anche in Zangrandi 2004, p. 115, se ne rileva la quasi totale assenza. 7 Quanto alla loro distribuzione si vedano le indicazioni di Bonomi: «Il presupposto, scontato per tale analisi, della maggior concentrazione dei diversi tipi di costrutti marcati nel dialogo, può essere meglio definito osservando alcuni dati. Innanzitutto la loro più fitta presenza nelle battute dei personaggi più vivaci, come Renzo, Agnese, don Abbondio, Perpetua: la caratterizzazione appare più in senso diafasico che diastratico, come mostra la ricorrenza di dislocazioni anche nelle battute di personaggi socialmente elevati, impegnati in dialoghi animati e fortemente espressivi […]. Ma anche la diegesi è investita, a tratti anche molto fittamente, dalla sintassi marcata, soprattutto quando la narrazione interessa più da vicino gli avvenimenti relativi ai personaggi principali del romanzo, e quando si fa più serrata […] o nei punti in cui l’ironia dell’autore è più accentuata» (Bonomi 2001-2003, pp. 274-275). 8 «Il tema sospeso, che rappresenta in certo modo l’estrema realizzazione della dislocazione a sinistra, è largamente presente nei diversi piani narrativi già dalla Ventisettana: nel dialogo, in bocca a Renzo, soprattutto, e don Abbondio, ma anche a Lucia, Agnese, e occasionalmente ad altri personaggi come Gertrude e la moglie del sarto» (ivi, pp. 282-283). 342 ORDINI DI SINTASSI MARCATA Quanto alle tipologie, la più rappresentata è decisamente la dislocazione e, delle due varianti, quella a sinistra (come sempre) 9. Nello scritto, soprattutto, la dislocazione a destra è infatti la meno frequente, come dimostrano gli studi relativi 10 e l’ampia casistica di D’Achille 1990. Ma vediamone come al solito gli esempi che si trovano quasi tutti, eccetto nove casi (4 in Rovani, 2 in Grossi, 2 in Ranieri, 1 in Tommaseo), all’interno di battute dialogiche: MV 1840 Dislocazioni a sinistra – Ditelo a me! Che queste cose io le ho sulle dita. (p. 10) – Già, la sete dà buon bere, ma la sua parte però bisogna lasciarla anche al vino (p. 39) Il capo lo portava scoperto, e si vedevano i capelli neri, divisi sulla fronte ampia e maestosa (p. 89) Le battute appartengono ad ogni sorta di personaggi (dal conte Del Balzo, al giullare Tremacoldo, ai popolani di Limonta) e mimano ben convenientemente il rapido intercalare dei turni dialogici, l’espressività dell’oralità, la necessità del locutore orale di tenere saldo il tema (dato) e proseguire per aggiunta di informazione nuova; ma Grossi ci dà prova in una occasione (ultimo esempio) di un inserimento del costrutto perfino in una sede, quella descrittiva (e non di un personaggio tra gli ultimi: si tratta infatti del protagonista Marco Visconti) che generalmente rappresenta per il narratore una sorta di carta da visita delle sue qualità narrative e che concentra spesso la ridda dei moduli letterari collaudati. Dislocazioni a destra – Dunque per provarla questa discrezione, tirava innanzi Michele, il nostro avvocato mise fuori anche lui i suoi bravi testimonj (p. 10) 9 D’Achille 1990, p. 123 riporta il dato di 1:3 secondo gli studi di Berruto 1985a, 1986b. Può costituire parziale e peculiare eccezione la prosa di scrittori di area meridionale: Testa 1997 (pp. 153-154), a proposito di Verga, mette infatti in luce che, contrariamente ai dati noti per il fenomeno della dislocazione, quella a destra prevale su quella a sinistra, forse solo, però, per un probabile riflesso sintattico di origine dialettale. 10 Si veda in particolar modo l’intervento di Rossi 1999 che insiste sul valore maggiormente dialogico della dislocazione a destra e quindi sulla sua maggiore frequenza nel parlato; Berruto 1986b, inoltre, mette in luce che la maggior parte delle dislocazioni a destra riscontrate sono più che altro forme di «ripensamento» (es. le ho mangiate, le mele; diversamente la forma canonica: le ho mangiate le mele), segnate intonativamente da una pausa. SEGNALI DI ‘MODERNITÀ ’: DISLOCAZIONI , FRASI SCISSE , TEMI SOSPESI 343 – Bravo, bravo! – ripigliava il fornajo sorridendo – se te l’ho detto che sei giovane! (p. 27) – Via, fatela finita, tornava a dirle la figliuola: ditela su voi se volete una qualche orazione, ma fatela finita. (p. 99) – […] io le so tutte queste cose, che ho sulle dita le Consuetudini dello Stato di Milano raccolte per ordine del Podestà Brunagio Porca. (p. 36) – Se appena confessati, – gridò uno, – noi li facciam freddi, in tempo che si confessano si può ben dire che sono in punto di morte, mi pare a me. (p. 17) Le battute appartengono tutte (eccetto la penultima del conte Del Balzo) a personaggi di bassa estrazione socio-culturale (il barcaiolo, il fornaio, Lauretta ancella di Ginevra, ecc.) e appartengono a contesti situazionali, come ognuno può vedere, dimessi e spontanei. Soprattutto l’ultimo, in cui la formulazione pleonastica (mi pare a me) mima un uso piuttosto frequente del parlato spontaneo, motivato dalla presenza sia di un pronome personale deittico sia di un verbo psicologico 11. Frasi scisse Quanto appena asserito vale anche per gli esempi sottostanti: la prima frase scissa con focalizzazione del soggetto prorompe dalla reazione spontanea ed emotiva dell’ancella Lauretta al racconto della madre, pieno di colpi di scena, della storia d’amore tra Marco Visconti e Ermelinda (sposa poi del conte Del Balzo); la seconda è pronunciata da Michele, il barcaiolo, che riporta, con enfasi indignata, una sorta di testimonianza-calunnia detta da terzi a danno dei Limontini. – Guardate un’ [sic] po’ che impostore! – scappò su Lauretta; – è proprio stato lui a rifiutarla, dopo tante promesse e tante smanie! (p. 82) – […] e venne a dire una perfidezza di questa fatta, che vi sono testimonj che noi di Limonta si fu sempre servi alti del monastero.» – Aldj, avrà detto. – – Sì, altri, e per tal segnale, che si portava la testa rasa, e che è da poco 11 «Una maggior frequenza della ripresa pronominale si osserva inoltre se l’esperiente è un pronome personale deittico, cioè di I e II pers. sing. e plur.: ci riferiamo alle frasi, comuni nel parlato spontaneo, come A me mi piace, A te ti sembra, e anche A me non mi convince. In queste frasi convergono gli effetti delle regole di spostamento combinati con le proprietà sintattiche dei pronomi liberi deittici e dei verbi psicologici» (GGIC, I, p. 134); per la frequenza del costrutto in Grossi rimandiamo agli esempi citati in Dramisino 1996, p. 150. 344 ORDINI DI SINTASSI MARCATA tempo che ci siam lasciati crescere i capelli. Si può dare un’infamità peggio 12 di questa? (p. 9) Infine è da aggiungere un ultimo esempio: Chi potesse averlo ai nostri giorni quel volume sarebbe un tesoretto. (p. 74) Esso coniuga ad una dislocazione a destra (averlo … quel volume) un tema sospeso (Chi): il pronome iniziale, infatti, mal si integra con il verbo della proposizione successiva e rimane isolato in posizione iniziale (reintegrabile, al contrario, con un *Per chi). PS 1840 Dislocazioni a sinistra «In somma, figliuol caro, io non ci ho colpa; la legge non l’ho fatta io.» (p. 29) «Non ci sarà niente, così spero; ma, non ostante, queste ricerche noi le dobbiam fare.» (p. 30) «Il giovine che mi discorreva […] lo prendevo io di mia volontà» (p. 153) «E io ho sempre veduto che a chi sa mostrare i denti, e farsi stimare, gli si porta rispetto» (p. 24) «In quanto alla giustizia me ne rido: prove non ce n’è» (p. 194) «[…] tre figure come le vostre, e che vanno per i fatti loro, chi vuoi che non sia contento di lasciarle passare?» (pp. 200-201) Nei primi due passi don Abbondio ‘arranca’ e accampa le scuse delle formalità ancora da espletare prima di potere celebrare il matrimonio: ecco allora la legge e queste ricerche in primo piano, ben salde, ribadite come impedimenti, già note come tali, dinanzi alle quali convien retrocedere; la prima, da un lato, toglie responsabilità a don Abbondio (la legge non l’ho fatta io), la seconda, dall’altro, dà modo di procrastinare (queste ricerche noi le dobbiam fare). Nel terzo caso appare in prima posizione il tema discorsivo (l’elemento noto; più che noto, al cuore di Lucia) seguito da un’espansione relativa che rende ancor più giustificabile la ripresa con il clitico, aggancio saldo dell’oggetto al suo distante predicato; stessa dinamica nelle parole di Perpetua del quarto esempio. Il penultimo, pronunciato da don Rodrigo l’indomani del fallito tentativo di rapimento di Lu12 Si noti, a maggior colloquialità e spontaneità, l’uso dell’avverbio (peggio) al posto dell’aggettivo concordato (*peggiore). SEGNALI DI ‘MODERNITÀ ’: DISLOCAZIONI , FRASI SCISSE , TEMI SOSPESI 345 cia, in realtà presenta due tematizzazioni: la prima ottenuta con la locuzione tematizzante in quanto a seguita poi da una ripresa clitica (me ne rido) grammaticalizzata, però, dallo stesso verbo (riderne); la seconda con la dislocazione a sinistra del partitivo a cui è omessa la preposizione (di) come spesso accade nelle varietà basse o spontanee (cfr. Berretta 1994, pp. 81-82); da rimarcare anche il mancato accordo col verbo (al singolare: non ce n’è). L’ultimo, infine, è una battuta ancora di don Rodrigo che vuole dissipare le paure del Griso, ricercato nel territorio monzese, a fare indagini su Lucia nella cittadina alle porte di Milano, calcando sul timore che lui incuterebbe insieme ai due bravi più fidati. Dislocazioni a destra «Ma! Io l’avrei bene il mio povero parere da darle; ma poi …» (p. 24) «Ma non le ha già fatte queste ricerche?» (p. 30) «L’ho detto io, che c’era mistero sotto, – pensò Renzo» (p. 31) «State zitta voi: già lo so che i parenti hanno sempre una risposta da dare in nome de’ loro figliuoli!» (p. 152) La condivisione immediata del vissuto comunicativo tra locutore e interlocutore è lo sfondo necessario a queste due prime battute dialogiche di estrema familiarità; ancor più la terza, discorso interiore di Renzo. L’ultimo caso, poi, riflette una consapevolezza amara che Gertrude significativamente esprime con uno scatto repentino che adombra il suo vissuto doloroso. Infine: «Lei sa che noi altre monache, ci piace di sentir le storie per minuto» (p. 151) Un tema sospeso per una delle battute più spontanee e significative dell’intero romanzo. CdUI 1858 Dislocazione a sinistra Che tutti intendessero il toscano io non lo credo (p. 35) Che in quelle conferenze preliminari avessero voce anche i Giureconsulti del Foro Udinese, io non m’attento di negarlo (p. 36) Cosa fosse davvero, sarebbe un intruglio a volerlo capire (p. 65) La indifferenza di Lucilio per le alte occhiate del Partistagno e per le burlate dei fanciulli, io la sentiva per quei tiri principeschi della Pisana. (pp. 177-178) 346 ORDINI DI SINTASSI MARCATA Qualche esempio diegetico: si tratta di anticipazioni di proposizioni oggettive (con sottolineatura del tema del discorso) seguite da una ripresa anaforica clitica attraverso il pronome neutro lo; l’ultimo esempio, invece, riporta un’anteposizione dell’oggetto. – Son tribolazioni queste che bisogna offerirle al Signore per farsi sempre più degni di lui (p. 29) Qui, più che una vera e propria dislocazione a sinistra si ha una struttura che ricalca i moduli di costruzione della relativa dell’italiano popolare con la ripresa clitica dell’oggetto, assolutamente pleonastica, pur dopo pronome relativo con la stessa funzione. Ecco la morale della mia vita. E siccome questa morale non fui io ma i tempi che l’hanno fatta, così mi venne in mente, che descrivere ingenuamente quest’azione dei tempi sopra la vita d’un uomo potesse recare qualche utilità a coloro, che da altri tempi son destinati a sentire le conseguenze meno imperfette di quei primi influssi attuati. (p. 4) Ancora un esempio che assomma due strutture marcate: la dislocazione a sinistra («questa morale … l’hanno fatta») e una frase scissa («non fui io ma i tempi che …»). Il doppio ‘fuoco’ (‘non X ma Y’) e soprattutto la forma esplicita della pseudorelativa rendono appena ambigua la proposizione (il che complementatore pare, ad una prima lettura, più un pronome relativo soggetto il cui immediato antecedente sono i tempi). Dislocazioni a destra E finalmente vi è l’ultimo [capitolo] della locazione delle case, nel quale, con paterna provvidenza per la sicura abitazione dei sudditi, è stabilito, che chi ha locazione minore d’anni cinquanta debba avere l’intimazione dello sfratto almeno un mese avanti allo spirar della stessa. – Nel quale spazio di tempo egli possa provvedersi per altri cinquant’anni; e che il Signore gli conceda la vita di Matusalem, acciocchè possa ripeterne molte di tali locazioni. (p. 43) Il commento ironico del narratore-personaggio si indirizza al passo precedente degli Statuti friulani sul tema delle locazioni; queste, dunque, nella critica del narratore (snella e ammiccante), possono essere riprese come elemento già noto, parentetico-chiarificatore. Dio mi venne in mente anche a me (p. 191) A udirlo lui, quando aveva vuotato il quarto bicchiere, non era stata guerra dall’assedio di Troja fino a quello di Belgrado dove non avesse combattuto come un leone. (p. 30) SEGNALI DI ‘MODERNITÀ ’: DISLOCAZIONI , FRASI SCISSE , TEMI SOSPESI 347 Due esempi, questi ultimi, di ancora più evidente modulazione orale con enfasi sul soggetto (il primo ‘psicologico’, il secondo grammaticale). EF 1833 Dislocazioni a sinistra – […] sì, sì, è lui sicuramente; ma il nome non me lo domandate. (p. 21) – Questi li conosci, Inigo (p. 30) «Queste ferite le toccai presso Velletri» (p. 39) – Vedete per chi avete sprezzato l’amore del vostro Dio! Per uno che, quella fede mondana e colpevole che v’avea data, neppure ve l’ha saputa serbare; che ad un soffio s’è volto altrove senza curarsi di voi. (II tomo, p. 73) Le occorrenze, tutte dialogiche, appaiono in battute di personaggi più e meno modesti: uomini d’arme di varia provenienza sociale e geografica (spagnoli, francesi), Fieramosca stesso (nel terzo esempio mentre racconta le sue vicissitudini amorose a Brancaleone). L’ultimo esempio ci pare un po’ più notabile: la situazione discorsiva è ben più drammatica delle precedenti (chi parla è fra Mariano confessore in extremis di Ginevra, l’amata di Fieramosca) e se da un lato la ripresa pronominale avviene dopo la relativa (che v’avea data), dall’altro evita una ‘cruda’ (e più letteraria) 13 anticipazione dell’oggetto, messo comunque in primo piano come focus discorsivo. Dislocazioni a destra – Lo dicevo io che era mal d’amore! (p. 22) – In vita mia ne ho conosciuti dei bravi giovani, e alla corte di Spagna e di Francia (p. 22) Ancor più colloquiali i contesti di queste due dislocazioni a destra. CA 1868-9 Dislocazioni a sinistra – Il tarocco l’ho io, rifletté, e bene io fui destro né a cederlo né ad abbruciarlo, ed è riposto in tal luogo, che sfido il diavolo a scovarlo fuori (p. 269) E una tal gioia non possiamo che gustarla per intuito, dal momento che 13 Cfr. supra, V.5. 348 ORDINI DI SINTASSI MARCATA non abbiam mai avuto, non sappiamo se la disgrazia o la fortuna, d’andare in prigione (p. 277) Il numero dei convitati l’aveva dato Zampino, che in quel giorno fu cameriere soprannumerario e sovrintendente. (p. 281) L’effetto che fece la prima volta una tale notizia sull’anima di donna Clelia, che non aveva saputo mai nulla di quelle sei sere di recite straordinarie, ognuno se lo può immaginare. (p. 302) Diegetici gli esempi (sebbene il primo sia una sorta di discorso diretto interiore), testimoni di una prosa ‘andante’ e mossa che sa cavalcare con mezzi sintattici adeguati e spregiudicati ora le movenze del dialogo interiore e meno sorvegliato, ora la freschezza dell’ironia autoriale, ora una medietas senza enfasi e distinzione, infine l’occasione allocutiva dell’appello al lettore. Dislocazioni a destra […] perché, se il lettore non lo sa, lo sappia adesso, che [il tenore Amorevoli] prima di abbandonare il Capitano di giustizia, condotto a guardar la faccia di Galantino, protestò di non ravvisarlo affatto (p. 283) – Che ve ne pare delle nostre milanesi? (p. 72) L’ultima battuta è pronunciata da uno spettatore ad un altro, forestiero, durante uno spettacolo teatrale: l’aggiunta finale, parentetica, a scopo solo di maggiore chiarezza, si fonda sulla condivisione del contesto da parte dei due, e Rovani utilizza bene questa consapevolezza pragmatica. Frasi scisse – E dove lasciate Egiziello, il grande, l’unico Egiziello, il re dell’espressione? fu egli che nell’opera Artaserse fece piangere tutta Roma per questo solo accento: E pur sono innocente. (p. 76) Una frase scissa per porre in focus il soggetto, pur già noto; Rovani manca però qui l’occasione di utilizzare un più pragmatico lui. BdB 1852 Frasi scisse “Chi è che osi contrastare al grido della natura?” (p. 15) “Chi è che geme qui dentro?” (p. 28) “Chi è che piange?” (p. 39) “Chi è che passa?” (p. 53) SEGNALI DI ‘MODERNITÀ ’: DISLOCAZIONI , FRASI SCISSE , TEMI SOSPESI 349 Quattro esempi, tutti ricalcati sullo stesso modello di frase scissa con elemento interrogativo wh; l’enfasi e la messa in focus ricadono sul pronome chi, quindi sul soggetto. La frase scissa spesso enfatizza e focalizza l’attenzione sul soggetto, che di per sé, nella più parte dei casi, è tematico e necessita quindi di una struttura così marcata per acquisire enfasi e visibilità. La struttura Chi è che, oggi quasi una formula fissa, appare infatti, secondo gli studi e i riscontri, più tipica del parlato conversazionale che dello scritto 14. Ricordo che gli esempi guerrazziani appartengono comunque al piano del dialogo, e che funzionano da catalizzatori di enfasi. DA 1858 Dislocazioni a sinistra – […] forse la vita stessa del nemico mio la faranno salva il suo nome, il terrore del duca. (p. 31) […] e il nome di traditore, non gli pareva tuttavia meritarlo. (pp. 3334) – E cotesto duca io l’aborro (p. 31) Da questi esempi verrebbe quasi da dire che nella prosa di Tommaseo perfino le strutture meno sorvegliate, più ‘orali’ si riverberano della tensione stilistica, emotiva e narrativa che contraddistinguono il Duca. Il tentativo di una ‘normalizzazione’ e di una ricerca di diminuzione di letterarietà e di enfasi va però segnalato: i primi due esempi, infatti, nella princeps presentavano solo la più letteraria anteposizione dell’oggetto, senza ripresa clitica (cfr. infra, VI.3.3.), che, soprattutto nel secondo, potrebbe esser stata incoraggiata dalla distanza dal proprio antecedente (il nome di traditore). Nell’ultimo passo la ripresa clitica potrebbe anche servire da maggiore appoggio acustico ad un verbo di ‘esecrazione’ iniziante per vocale dopo un pronome soggetto (io) interamente vocalico. G 1862 Dislocazioni a sinistra Qualcuno che andava loro a grado, lo toglievano in braccio e portavano via senza più. (p. 15) Sopra ognuno di questi era una donna con tre bambini, brutti per lo più e malaticci, perché i belli li prende quasi tutti la gente di fuori, chi per divozione, chi per l’utile fine della donna di Sant’Anastasia e chi per altro. (p. 28) 14 Cfr. Berretta 1994, pp. 94-95. 350 ORDINI DI SINTASSI MARCATA Ma se tu guardi un poco più in là, tu t’accorgerai che questi ceci, chi non se l’è faticati, non li mangia. (p. 97) Tre dislocazioni a sinistra: nella prima, l’espansione relativa potrebbe avere giocato un ruolo non marginale nella successiva ripresa pronominale; nella seconda, invece, la vicinanza tra l’oggetto nominale e la sua ripresa non ammette deroghe a considerare la costruzione un vero e proprio tratto oralizzante forse sfuggito alla penna del Ranieri: si veda, di converso, l’inizio del periodo con l’eliminazione dell’elemento locativo ormai formulare di esserci (era al posto di c’era) motivato dalla presenza iniziale di un altro elemento locativo (Sopra ognuno di questi). Quanto al terzo passo, con evidente eccesso potremmo considerare la battuta dialogica pronunciata da una delle perfide suore che vigilano nel convento presso la Nunziata un piccolo ‘capolavoro’ (in una prosa come quella di Ranieri) di oralità mimetica 15: innanzitutto i due pronomi di seconda singolare (tu) deittici e martellanti, poi l’inserimento del tema del discorso, l’oggetto in questione (i ceci che Ginevra, stremata e digiuna da giorni, vorrebbe mangiare), poi ancora l’immissione improvvisa, tipica di una scarsa pianificazione, ma fortemente caratterizzante la psicologia di chi parla, della fatica come condizione preliminare e inderogabile al soddisfacimento di un bisogno che è comunque naturale; e in fondo, da ultimo, la parte più rematica, e crudele (non li mangia): una sorta di dulcis in fundo rovesciato, ultima stoccata tirata all’infelice Ginevra non prima dell’accusa di una sua naturale «scioperataggine» 16. MM 1829 Dislocazioni a sinistra e a destra – […] mi ricevè senza guardarmi, e mi prese al servizio senza parlarmi. Le istruzioni me le diede poi donna Maria Caterina governante. (p. 143) – […] mia figlia, le disse, io lo so bene quanto è paurosa (p. 12) Nel primo esempio, una battuta di dialogo del servitore Carafulla, si ha una tematizzazione del complemento oggetto (noto perché inferibile dal15 Accanto ad una battuta come quella riportata nel corpo del testo, compaiono anche interventi come: «[…] e facendomi dal posto dove quelle così squisitamente mangiavano, dissi con un filo di voce che m’avanzava: O sorelle, darestene un cucchiaio anche a me, acciocché io non muoia al tutto di fame?» (G 1862, p. 97); «Come! soggiuns’io, non è cotesto il nutrimento comune di tutte le mie compagne?» (G 1862, p. 97). 16 Accusa che spesso vien fatta alla protagonista dalle impietose e malevole suore della Nunziata. LA POSPOSIZIONE DEL SOGGETTO PER ENFASI PRAGMATICA 351 la frase precedente: e mi prese a servizio senza parlarmi) con ripresa pronominale successiva; mentre nel secondo caso la breve battuta racchiude in prima posizione un’anticipazione del soggetto della subordinata (in neretto), emotivamente centro focale del discorso di Agnese, con cui contrasta l’inserimento esplicito di un io, soggetto della frase principale, spia egocentrica del legame viscerale e della dimestichezza con la figlia di cui si conosce bene l’indole e la disposizione timorosa, tanto da generare l’acredine mal celata di Agnese verso la Signora di Monza, responsabile dell’uscita di Lucia dal monastero e del suo relativo rapimento; a ciò si aggiunge l’anticipazione cataforica del pronome neutro lo seguito dalla dichiarativa esplicativa (quanto è paurosa). CdM 1861-2 Dislocazioni a destra – E l’hai ucciso sui monti quella volpe? (p. 36) Una dislocazione a destra per questa battuta pronunciata dal conte di San Gottardo al nipote Francesco (il barone di San Gottardo), in merito al racconto di una misteriosa (perché fantomatica) volpe (tema condiviso quindi dai due interlocutori). Il mancato accordo col participio (l’hai ucciso … quella volpe), poi, può essere o un semplice refuso o una delle frequenti incertezze grammaticali che ancora assediano la scrittura verghiana (cfr. Verdirame 1988, Introduzione) 17. Frasi scisse Giustina provò un movimento di esitazione prima di sorpassare la soglia, ma esclamò: – È Dio che lo vuole! (p. 59) Chiaramente enfatico questo caso di frase scissa. 17 Nel caso specifico si potrebbe azzardare la seguente ipotesi: che Verga, come rivela di frequente la prassi correttoria insistita visibile sul manoscritto di copia ‘in pulito’ per la stampa, abbia commesso una normalizzazione ‘eccessiva’ nell’accordo del participio. Ovvero, se, come segnala Verdirame 1998, p. XXI, circa una pagina prima del nostro esempio si trova nella copia manoscritta una correzione che destituisce l’omologazione del participio all’oggetto successivo (Egli ha uccisa la volpe > Egli ha ucciso la volpe, CdM 1861-2, p. 35), è probabile che Verga, costruendo una frase consimile ma con struttura sintattica diversa («E l’hai ucciso sui monti quella volpe?»), che richiede, invece, di necessità l’accordo oggetto-participio (in quanto il primo precede, attraverso il pronome clitico, la forma verbale implicita), abbia commesso una ‘iper-correzione’ in senso moderno, incorrendo, però, in un errore sintattico. Per la desuetudine, nell’italiano contemporaneo, dell’accordo del participio con l’oggetto seguente si vedano Serianni 1989a, pp. 463-465 e Dardano - Trifone 1997, p. 326.