LA MORTE NEL CUORE di Valentina Zordani (Roma)

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LA MORTE NEL CUORE di Valentina Zordani (Roma)
LA MORTE NEL CUORE
di Valentina
Zordani (Roma)
- Ciao a domani! - rivolgo ad Annabelle un sorriso soffermandomi un attimo davanti alla
porta.
So già che da lì a poco mia madre mi sgriderà per il disordine che c’è in camera mia. Io
nel disordine trovo le cose. Il mio è un “disordine ordinato”. A differenza di quello che
ho in testa. Lì sì che c’è confusione! Lei però non lo sopporta. Un giorno di questi dovrò
accontentarla facendo una bella pulizia a tutta la camera.
Giro la chiave ed entro.
Helen, complimenti! Quella scrivania è uno scempio! Fogli e fogliacci dappertutto…come non detto.
Vado in camera mia senza dire niente. Non mi va proprio di discutere oggi. Butto lo
zaino per terra e mi sdraio sul letto. Due cuffiette nelle orecchie e chiudo gli occhi.
Che bella è la musica! Ce n’è per ogni occasione: per quando voglio ridere, per quando
voglio piangere, per quando voglio caricarmi, per quando voglio sognare, per quando
voglio calmarmi.
Ma oggi no. Oggi qualunque canzone metta, il mio pensiero va a finire sempre lì.
Sempre a lui. Ai suoi occhi. Dove trovo il mare, o il cielo o l’infinito o qualunque cosa
voglia. Mi ci perdo nei suoi occhi, nelle sue labbra così dannatamente perfette, nei suoi
capelli. Fili d’oro sono i suoi capelli.
Basta. Avevo già deciso che non avrei più dovuto pensare a lui, che avrei dovuto
levarmelo dalla testa.
E’ come un desiderio a mille passi da me. E lui non sa neanche che esisto. No, non è
vero. Lui sa chi sono io. Oggi, oggi è successo. Mi ha guardata e mi ha sorriso. È durato
un secondo e poi si è subito girato, ma a me è sembrato un secondo interminabile. Ce
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l’ho ancora impresso nella mente quel sorriso. Lo so che può sembrare una cosa da
niente. Ma ora è un desiderio a novecentonovantanove passi da me.
- Jeremiah! Ti sbrighi! - Busso di nuovo alla porta del bagno. Mio fratello sta lì
dentro da un’ora.
- Si può sapere che cavolo stai facendo? - Jeremiah ha un anno e mezzo meno di me.
Andiamo nella stessa scuola, lui in seconda, io in terza media.
Mio fratello è un bel ragazzo, con gli occhi verdi come i miei. E’ moro mentre sono io
l’unica in famiglia ad avere i capelli rossi. Li ho ereditati dalla nonna, che è morta
quando avevo due anni. Ma li avrei voluti avere come quelli di Jeremiah. Molte ragazze
vanno appresso a mio fratello. Anche carine, ma a lui non importa. Pensa solo al calcio e
dice che “non ha tempo per le ragazze”. Tutte balle. Il tempo si trova per la persona che
si ama. Diciamo che vuole non averne a che fare per ora. Preferisce le partite e le uscite
con gli amici. Jeremiah non va bene a scuola, non si impegna a fondo, ma ormai i miei
genitori hanno perso la speranza. A volte lo aiuto con i compiti, ma non riesce proprio a
concentrarsi. Così capita che glieli faccia io. Voglio un gran bene a Jeremiah. È mio
fratello e, come tutti i fratelli, litighiamo spesso ma poi finiamo per ridere e lottare con i
cuscini sul letto. Siamo cresciuti insieme, è la persona che mi conosce di più al mondo.
Ma in questo momento lo sto odiando. Mi farà fare sicuramente tardi.
Finalmente la porta si apre.
- Ecco è tutto tuo. - Grazie. - rispondo con un finto sorriso in volto.
Entrata in bagno, mi metto difronte allo specchio. Ho dieci minuti. Devo strigliare
questa chioma di capelli che mi ritrovo sulla testa, lavarmi i denti e truccarmi un
pochino. Rimango lì a fissare il mio volto per due minuti. E più mi guardo più mi faccio
del male. Penso di essere lontana molte miglia dalle belle ragazze che ci sono nella mia
scuola. Non quelle finte, piene di trucco, con reggiseni imbottiti e exstencion sui capelli,
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ma quelle naturali che sono sempre belle anche facendo la più buffa delle facce buffe.
Quelle che hanno un fisico perfetto alle quali non serve il trucco. E poi ci sono io. Io che
non piaccio a nessuno. Con quelle maledette lentiggini sul naso e la pelle troppo chiara.
Decido che non è il momento di pensare a queste cose, anche se alla fine ci penso
sempre. Penso sempre di essere inadeguata. Fuori posto. Penso sempre di non essere
abbastanza.
Mi lavo i denti e mi spiccio i capelli. Un filo di fondotinta, un po’ di mascara e sono a
posto. Giaccone, zaino ed esco, appena in tempo per l’arrivo dell’autobus che mi porta a
scuola. Pronta ad una giornata come tutte le altre.
È suonata la ricreazione ed io sono al mio banco a leggere un libro. Oggi Annabelle non
c’è. Annabelle è la mia migliore amica. Con lei sto bene e posso parlare di tutto. È un
po’ come me. Le piace leggere, ascoltare la musica e viaggiare. È una brava ragazza.
Comunque oggi non c’è perché è malata ed io non ho nessuno con cui parlare. Le
ragazze della mia classe sono le solite galline che non fanno altro che chiacchierare di
moda e pettegolezzi. Invece di interessarsi a cosa fa o non fa la gente, dovrebbero
prendere ripetizioni di lingua italiana. Loro adesso sono fuori in corridoio e sono da sola
in classe.
Sento qualcuno che entra e penso sia uno dei miei compagni che deve prendere
qualcosa. Così non interrompo la mia lettura.
- Scusa, sei tu Helen Loyd? - alzo gli occhi dal libro.
Non è affatto uno dei miei compagni. È lui. Me lo ritrovo lì davanti. Così perfetto, così
bello. Mi guarda con un’espressione interrogativa, corrugando leggermente la fronte.
Non riesco a non pensare a quanto sia bello. Alla sua voce, che ha detto il mio nome
come una melodia. Al suo viso così liscio e pulito, i suoi lineamenti così delicati. Ai suoi
occhi che, con la luce che c’è ora, mi fanno pensare ad un cielo infinito, come quelli che
ci sono nelle belle giornate. Lui… mi fissa. Fino ad ora non mi ero accorta di aver avuto
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la faccia da perfetta imbecille, invece di rispondere. Penso: dai Helen formula una frase,
ce la puoi fare. È come se mi svegliassi da un sogno.
- Si, sono io. - riesco a dire.
- Ho trovato questo quaderno per terra e ho visto che era tuo. - Mi porge il quaderno
rosso.
Ma certo, è il quaderno che mi è caduto quando i miei compagni hanno pensato bene di
aprirmi lo zaino a mia insaputa.
- Ah, grazie. - prendo il quaderno.
- Di niente. - Mi sorride e se ne va.
Stringo il quaderno al petto e resto cosi per non so quanto tempo. Questo è un giorno
importantissimo. Ed io ancora non ci posso credere. Questo è un grande passo. Un
desiderio a novecento passi da me. Sa il mio nome. E mi ha parlato.
Sono stata felice. Da quel giorno sono stata quasi sempre di buon umore. Anche se non
l’ho più visto.
Ma ho ancora il suo sorriso, il suo volto impresso nella mente.
È così bello essere innamorati! Mi sento libera, leggera come se fosse la sensazione più
bella al mondo.
E volo. Riesco a volare sopra ogni cosa. E poi.. poi le farfalle nello stomaco. Pensavo
fossero una balla colossale e invece le sento davvero!
- Per favore Helen! - Non lo so Jeremiah… credo che mi annoierò se vengo. Lo sai che a me il calcio non
piace. - Ti prego dai! Mamma parte per andare a trovare la zia, papà ha una riunione di lavoro
e non può venire… Ci tengo a questa partita e sei l’unica che può venire a vedermi… -
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Non è che non voglio andare a vedere la partita di mio fratello, ma capita proprio il
giorno in cui c’è la festa in piazza. Ci vanno tutti quelli della mia scuola così, tanto per
divertirsi. Ogni anno Annabelle ed io l’abbiamo sempre evitata, preferivamo vedere un
film insieme mangiando pop-corn “sbragate” sul divano. Ma quest’anno ho saputo che
lui ci andrà… Ho voglia di rivederlo dopo tutti questi giorni di agonia. Ho saputo che è
partito e tornerà proprio il giorno prima della festa.
Ma mio fratello è mio fratello.
- Va bene verrò. - Sì! Evvai! Grazie sorellona! - Mi abbraccia forte. - Ricordati eh! Esattamente tra due
settimane al campetto. Non prendere impegni, mi raccomando! -
Annabelle ed io stiamo camminando lungo il viale per tornare a casa dopo sei infernali
ore di scuola.
- Allora? Quest’anno quindi andiamo alla festa? Ci può accompagnare mia madre, se
vuoi. - Io non vengo più alla festa. Vado a vedere la partita di pallone di mio fratello. Ci tiene
tanto… - Ah ok. Bè allora non ci andrò neanche io. Non mi va di andarci senza di te. - Allora accompagnami a vedere la partita! Così ho anche qualcuno con cui parlare. - Certo va bene. Si ferma e mi sorride. Fa freddo in questa giornata d’inverno anche se c’è un sole forte
che fa risaltare i capelli biondo cenere di Annabelle rendendoli luminosi. Con questa
luce anche i suoi occhi marroni sembrano ambrati. Mi stringo di più nel mio caldo
giaccone e continuiamo a camminare.
Come si può essere innamorati di una persona che nemmeno si conosce?
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Eppure io lo sono.
Di lui so solo che si chiama Liam Westmore e che è maledettamente perfetto. So solo
questo. Rimane comunque la prima persona a cui penso quando mi sveglio la mattina.
Rimane il fatto che lo guardo sempre come fosse la cosa più bella di questo mondo.
Rimane il fatto che provo anche dolore quando penso a lui.
È veramente strano come il dolore e la gioia si fondano come una cosa sola quando lo
penso.
Gioia. Gioia perché ne sono innamorata, perché è una cosa bella, perché il suo stesso
sorriso è gioia, perché i suoi occhi sono gioia.
E dolore. Dolore perché a volte penso che io a lui non potrei mai piacere o che
comunque è troppo lontano. Novecento passi sono decisamente tanti.
Mamma oggi parte. Starà via per due settimane per andare a trovare la zia. Manca
ancora un quarto d’ora prima che passi l’autobus per portarmi a scuola. Mamma è seduta
sul divano e le valigie sono già sulla porta. Mi avvicino, la bacio sulla guancia e mi
siedo accanto a lei. Lei mi abbraccia cingendomi il fianco come fa sempre.
- Mi raccomando, papà ha molto da lavorare e non può stare tutto il tempo a pensare a
voi. Bada a tuo fratello, che non faccia cavolate. - Sì mamma, non ti preoccupare, sappiamo badare a noi stessi. E poi sono soltanto due
settimane. Mi bacia sulla fronte mentre vengo inebriata dal suo profumo.
Mia madre è una bella donna. Sempre molto elegante, pettinata per bene e profumata. È
gentile con tutti, ma quando c’è da discutere non ha peli sulla lingua. È premurosa, forse
fin troppo, ma comunque sia a me che a mio fratello lascia i nostri spazi. Amo mia
madre anche se a volte è insopportabile.
Jeremiah esce dalla stanza ancora in pigiama con una mano sulla fronte.
- Che ci fai ancora in pigiama tu? 6
- Mamma ho mal di testa. Terribile. Penso che tra poco mi scoppi. Parlava con voce roca e aveva brividi di freddo. Si vedeva che stava male.
-Va bene, per oggi niente scuola. Si alza e va ad abbracciarlo. - Ciao amore. Io e mamma usciamo insieme; lei per prendere il taxi, io per prendere l’autobus.
Mi bacia di nuovo e poi parte.
Liam è tornato a scuola. Stammatina l’ho visto.
Strano perchè non doveva tornare prima di una settimana. Ma cosa mi importa. L’ho
rivisto finalmente.
Annabelle non c’è nemmeno oggi. Così devo tornare a casa da sola. Sto uscendo dal
cancello della scuola, quando due ragazzi che si rincorrono mi urtano facendo cadere
tutti i libri che ho in mano. Loro nemmeno se ne accorgono. Mi chino a raccoglierli.
Alzando leggermente gli occhi, eccolo di nuovo. C’è Liam che sta camminando. E sta
venendo da me. Sul viso mi si stampa un sorriso da perfetta idiota. Mi sembra quasi una
di quelle scene dei film in cui il ragazzo aiuta la ragazza a raccogliere i libri e poi la
riaccompagna a casa.
Peccato che non stava venendo da me. Vuole salutare un amico che si trova poco dietro
di me.
Che stupida che sono. Come poteva venirmi ad aiutare? Nemmeno mi conosce. Io non
sono nessuno.
Delusa finisco di raccogliere le mie cose e inizio a camminare.
-Hey Helen! E’ la sua voce. La riconoscerei tra mille. Mi volto e lui sta guardando proprio me, questa
volta ne sono sicura. Si avvicina.
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- Hai dimenticato questo. - Mi porge il libro di storia che mi era caduto.
- Oh grazie. - faccio per prenderlo ma lui mi blocca.
- Aspetta, dai. Hai troppi libri in mano. Dammene un pò, che ti accompagno a casa. Non so che dire. Mi limito a porgergli qualche libro. Non ci posso credere. Finalmente
riesco a parlare con lui seriamente. Il tragitto fino a casa è abbastanza lungo. Sì!
Sono io che parlo per prima. Strano.
-Tu dove abiti? - Sulla tua stessa via. Solo più in fondo. Annuisco. Su di noi cala un silenzio imbarazzante che dura per circa cinque minuti. Mi
sento veramante un’idiota perché non trovo niente da dire e quest’occasione non mi
ricapiterà più. Si sente solo il rumore del vento. Il vento che mi scompiglia i capelli che
volano da tutte le parti. Lui si gira a guardarmi.
- Sono rossi naturali? - Sì… purtroppo. E…i tuoi invece sono biondi naturali? - è strano parlare veramente
con lui.
- Certo, ma che domande! Guarda che sono biondo naturale io! Ridiamo insieme fragorosamente. Come mi sento bene. Sto ridendo con il ragazzo che
amo.
- Perché purtroppo? - Perché non mi piacciono. - Sai quante ragazze pagherebbero per avere i tuoi capelli? Io imbarazzata abbasso la testa e accenno ad un sorriso.
- Rossi. Il rosso è sangue. E il sangue è vita. Perciò i tuoi capelli sono vita. - mi guarda e
sorride. Quei
sorrisi che a me piacciono tanto.
Come se non me ne accorgessi, siamo già arrivati. Lui mi restituisce i libri.
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- Bè, ci vediamo domani - Ok. - dico io.
E poi mi bacia sulla guancia. Un gesto che non mi aspettavo. Sono sbalordita. Le sue
labbra morbide
che sfiorano la mia guancia.
Lui intanto si è già incamminato e si gira per salutarmi con la mano mentre io sono
ancora immobile con una mano dove lui mi ha baciato.
Ancora non posso credere a ciò che è successo.
Bè questo è un passo importante. Ancora settecento passi.
L’amore rende felici. Essere innamorati rende felici. Niente può farmi scomparire questo
sorriso dal volto. Niente può impedirmi di pensare a lui costantemente. È un chiodo
fisso. Quel suo bacio delicato. Lo risento ancora sulla mia guancia. Quel suo “ci
vediamo domani”, vuol dire che vuole rivedermi! Sono qui ora, nel buio della notte e
non riesco a prendere sonno. Non vedo l’ora di rivederlo. Mi sembra veramente strano
provare tutto questo a soli quattordici anni. Pensavo che avrei conosciuto l’amore vero
non prima di sedici, diciasette anni. E invece eccomi qui. Innamorata. È stato facile
innamorarsi. E penso che io lo sia davvero. Ora che ci penso…ma che mi importa
dell’età! L’amore non ha confini, l’amore non ha regole. L’uomo ha imparato ad amare
dalla nascita. A partire dall’amore familiare, dei genitori. E poi l’uomo sceglie, se
continuare ad amare o no.
Io amo. Amo la mia famiglia, amo mio fratello, amo quei pochi amici che ho e amo lui.
Lo amo davvero.
A volte però mi fa paura. Ho paura di soffrire.
-Che hai Jeremiah? 9
Mio fratello sta ancora male e rimarrà a casa anche oggi. Però vuole fare colazione con
me.
Ha mal di testa, ma non solo quello. Ha vomitato tante volte in questi giorni.
Stamattina vedo che si strofina gli occhi in continuazione.
- Niente, è solo che… vedo un po’ tutto appannato, offuscato... - Dirò a papà che deve portarti a fare una visita. - No no, ma quale visita. Tra un pò mi passa. Jeremiah ha sempre avuto paura dei dottori e degli ospedali. Se non è molto grave evita
volentieri le visite mediche. So che non è normale che veda così male, ma lo capisco,
anche io ho la stessa paura. Quindi non insisto.
Finiamo di mangiare, lo saluto e vado a scuola.
Sto fremendo all’idea che tra poco vedrò Liam.
La prof di matematica non c’è e abbiamo un’ora di buco. Il supplente ci lascia liberi di
fare ciò che vogliamo. Il momento perfetto per raccontare ad Annabelle tutto quello che
è successo ieri. Mentre le parlo, fa facce di tutti i tipi, ma comunque non mi interrompe.
Finito di dirle tutto, mi riempe di domande.
- Allora? L’hai visto oggi? E che ti ha detto? Dopo il bacio vi siete scritti? Sono proprio
felice per te. - Anche io sono felice come non mai. Comunque non ci siamo scritti e stamattina lui
non mi ha visto.
Stava parlando con i suoi amici. - Ah, ho capito. Bè pensa… magari stava parlando di te! Sorrido.
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Mentre io e Annabelle stavamo varcando il cancello d’uscita, Liam ci raggiunge, così
come se fossimo amici d’infanzia e ci conoscessimo da anni.
- Che fai? Vuoi andare via senza di me? - Emh.. io vado, mia madre mi aspetta in macchina. - Annabelle si allontana di alcuni
passi.
Mi dispiace che deve tornare da sola a casa per lasciarmi con Liam. La raggiungo.
- Annabelle non ti preoccupare. Dico a Liam che magari tornerò con lui un altro giorno.
- No, mamma mi sta davvero aspettando in macchina. - Mi dice indicando l’auto.
- Oggi mi accompagna al centro commerciale per una giornata di shopping. Il mio
obiettivo sarà la libreria, ovvio. Ridiamo insieme.
Ci salutiamo con un bacio sulla guancia e poi raggiungo Liam che mi sta aspettando.
- Tutto ok? - mi chiede.
- Sì, sì tutto ok. Iniziamo a camminare lentamente lungo il viale. Oggi è una giornata ventosa, come
sempre d’altronde, stiamo in inverno. Si sente il rumore di quelle poche foglie rimaste
sugli alberi che si muovono col vento, emettendo un sibilo.
Questa volta è lui a parlare per primo.
- Verrai alla festa in piazza domenica? - No, non posso. Vado a vedere la partita di calcio di mio fratello. - Ah capisco… e dove la fa? - Al campetto di fronte la scuola. Perché? - No niente. Solo per sapere. Peccato che non vieni, ti avrei portata con me. Avrei fatto
un figurone. - Io credo che invece avresti fatto solo una figuraccia. - Perché ti sottovaluti così tanto! Guardati! Sei bellissima! Peccato che non te ne rendi
conto. Non capisci niente. Ti vedi diversa dalle altre ragazze? Bè perché tu sei diversa.
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Tu sei speciale, sei migliore delle semplici “altre ragazze”. Solo che non lo vuoi dare a
vedere. Neanche immagini quanto sei bella! Guarda i tuoi occhi, i tuoi capelli, le tue
labbra, il tuo viso così dolce, così ingenuo... –
Ci siamo fermati proprio davanti casa mia e Liam mi sta accarezzando il viso
dolcemente. Ed io sono qui che mi perdo nei suoi occhi profondi con le labbra
socchiuse.
Mi sembra tutto così irreale. Questo è uno dei momenti che aspetto da quando l’ho visto
per la prima volta. E sono anche stupita. Non mi trovo bella io, non avrei mai pensato
che mi potesse trovare bella lui.
Non riesco a staccargli gli occhi di dosso e sono tentata da una voglia matta di
accarezzargli i capelli. E intanto il cuore batte all’impazzata. Lo sento, come se stesse
per uscire dal mio petto. E sento anche quello di lui. I nostri cuori sono in sincronia. Be,
posso dire che sono arrivata a cinquecento passi.
Ma poi qualcosa rovina sempre tutto. Il mio cellulare inizia a squillare.
Lui si blocca, toglie la sua mano dal mio viso e stende il braccio lungo il fianco.
- Io… io vado. - Sembra confuso, guarda da tutte le parti e poi inizia a camminare verso
casa sua.
Io rimango immobile con il cellulare che continua squillare.
A volte ho paura che sia tutta un’illusione.
In questi giorni non abbiamo parlato, non ci siamo più nemmeno visti. Appena suonava
la campanella, scattavo verso il cancello senza guardare niente e nessuno, trascinando
Annabelle via con me.
Oggi è arrivato il giorno che mio fratello tanto aspettava. Sta un pò meglio, giusto in
tempo per la partita.
Faccio colazione da sola poiché lui non ha fame.
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Passiamo a prendere Annabelle e ci dirigiamo verso il campetto. Arrivati, auguro buona
fortuna a mio fratello e poi ci dividiamo. Lui va negli spogliatoi e noi sulle tribune.
Ci stiamo per sedere quando mi accorgo di lui. Non pensavo davvero che venisse.
- Liam, ma cosa ci fai tu qui? - Volevo stare un pò con te. E poi io tifo per tuo fratello. - sorride.
È una bella sorpresa. Non me l’aspettavo. È strano rivederlo dopo quella conversazione.
Eppure non mi sento in imbarazzo come avrei creduto che fossi.
Mi siedo accanto a lui e Annabelle accanto a me.
- Dai! Sì! Bravo! - Corri Jeremiah! Corri! - Eeh Goooal! Liam, Annabelle ed io esultiamo e battiamo le mani per il goal appena fatto da mio
fratello.
Jeremiah non esulta. Sembra stanco e affaticato. Non cammina bene, come se avesse
problemi di equilibrio. Ad un certo punto cade sulle ginocchia mettendosi le mani sulla
bocca.
Mi alzo in piedi e urlo.
- Jeremiah! Jeremiah! Lui si alza in piedi e arranca, quasi come zoppicando, verso gli spogliatoi.
Anche io mi metto a correre per raggiungerlo.
Aveva vomitato a digiuno. Ed ora sta seduto in ginocchio per terra, piangendo.
Corro ad abbracciarlo.
- Helen! Helen! Non riesco più a camminare bene! - urla in singhiozzi.
È straziante sentirlo così, ma non posso farmi prendere dal panico. Lo devo aiutare.
- Stai tranquillo Jeremiah. Ora ti portiamo in ospedale. - cerco di avere la voce più calma
possibile.
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Intanto dietro di me si è creata una folla di gente tra cui anche Liam e Annabelle che mi
guarda stupita.
Liam mi aiuta a sollevare mio fratello per farlo salire sull’auto dell’allenatore che si è
offerto di accompagnarci all’ospedale. Annabelle, Liam ed io saliamo dopo di lui.
Mi sto davvero preoccupando. I dottori hanno fatto alcuni esami e hanno trovato
qualcosa di sospetto. Ora stanno facendo una risonanza magnetica cerebrale. Può essere
qualunque cosa, dalla più piccola e insignificante alla più grave. Non so cosa pensare.
Siamo in ospedale da ore ormai. Sono le undici di sera. Ho chiamato mio padre, ma non
risponde. Mia madre invece è subito partita quando le ho raccontato tutto per telefono.
Ma non riuscirà ad arrivare prima di domani mattina.
Non riesco a stare seduta. Sono qui in mezzo al corridoio e cammino avanti e indietro
mentre Liam e Annabelle mi guardano con aria preoccupata. Sono loro veramente grata
per quello che stanno facendo.
È mezzanotte e finalmente vediamo arrivare un medico verso di noi. Si guarda intorno e
poi chiede:
- La sorella di Jeremiah Loyd? - Sono io! - scatto in piedi e mi avvicino al dottore.
- Che cosa ha mio fratello dottore? - mi accorgo di avere la voce strozzata poiché l’ansia
e l’angoscia stanno invadendo il mio corpo. Voglio sapere.
- Mi dispiace, ma lei è minorenne. Non possiamo dirle niente. Dobbiamo aspettare i suoi
genitori. - Cosa?! No. Io voglio sapere che cosa ha mio fratello ora. Ora sono anche arrabbiata. Sento le mie mani che iniziano a sudare.
- Le ripeto, non possiamo dirle niente finchè non arrivano i suoi genitori. 14
- NO! BASTA! MI DICA IMMEDIATAMENTE CHE CAVOLO HA MIO
FRATELLO! - urlo spaventata mentre tutti si girano a guardarmi. Ma a me non importa.
Aspetto solo le parole del dottore.
L’uomo mi poggia la sua mano sulla spalla e delicatamente mi porta lontano da sguardi
curiosi.
- Con la risonanza abbiamo riscontrato … un malattia delicata...grave…forse
incurabile…un tumore … un tumore celebrale. Cado sulla sedia priva di forze. Sto quasi per svenire. Nella mia testa turbinano mille
pensieri. No, no, no! Non è possibile. Non è vero. È una bugia. Mio fratello non ha un
tumore. Mio fratello sta bene. E allora perché il medico mi ha detto che ha un tumore
cerebrale? Forse perché è vero. Sto impazzendo. Non ci capisco più niente. Sono persa.
Sento le lacrime uscire senza riuscire a fermarle. E poi non so come mi ritrovo tra le
braccia di Annabelle mentre Liam in piedi mi guarda cercando di reprimere le lacrime.
Sono stata tutta la notte seduta. A fissare il vuoto. Finchè non è arrivata la mamma. E
appena ha saputo tutto mi ha abbracciato forte, non piangeva forse per non darmi ancora
più dolore. Ma la sentivo nel suo abbraccio caldo che stava piangendo. Tremava.
Il dottore poi ci ha spiegato più dettagliatamente del cancro di Jeremiah. Si tratta di un
tumore medulloblastoma, al cervelletto. I sintomi principali ce li ha avuti tutti: mal di
testa, vomito, disturbi visivi e problemi di equilibrio. Si sono manifestati soprattutto in
questi giorni, ma se ci penso anche prima.
Quando vomitava tanto anche senza mangiare niente;
quando diceva che non riusciva a fare i compiti per il mal di testa;
quando non camminava molto bene dopo gli allenamenti di calcio, e lui diceva che era
per la stanchezza.
Che stupida che sono! Potevo accorgermene che c’era qualcosa che non andava.
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Il medulloblastoma è un tumore di quarto grado. Maligno. Maledizione. Perché? Perché
proprio a lui?
Immagino questo tumore. Maligno che piano piano si sta mangiando il cervello di mio
fratello.
I medici hanno detto che si procederà con un’operazione per asportare la massa tumorale
al più presto possibile. Seguirà poi la radio-terapia e poi la chemio.
Lui starà bene. Jeremiah alla fine starà bene. Mio fratello è forte. C’è il 60% di
possibilità di sopravvivenza. È una buona percentuale. E lui ce la farà. Io ne sono
sicura.
Perché esiste il dolore e la malattia?
Apro la porta piano per evitare di fare rumore.
- Ehi fratellino.- devo cercare di non piangere. Devo farlo per lui.
- Helen…Mi siedo accanto a lui sul letto e gli accarezzo i capelli. I suoi occhi sono spenti. È
stanco. E ha una miriade di tubi attaccati al corpo.
- Allora come stai? - che domanda stupida. Come vuoi che stia.
Continua a guardarmi e non risponde.
- Senti dopodomani ti fanno l’operazione. E tu devi essere pronto. Tu devi essere forte,
hai capito? -sento che di lì a poco sarei scoppiata a piangere, ma non mi fermo. Deve
sapere quello che provo.
- Tu sei sempre stato forte. Ti arrendi adesso? No. Non lo farai. Tu non sei uno che si
arrende. Tu devi vivere e devi provare le cose più belle di questo mondo. Tu devi
sconfiggere questo tumore, mi hai capito? Tu devi farlo per la mamma, per papà e per
me. Sarai forte per me e con me ok? Lui accenna ad un sorriso. Poggio la testa accanto alla sua e mi addormento insieme a
lui.
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Devo uscire da questo posto. Scendo dal lettino senza fare rumore poiché Jeremiah sta
dormendo. Esco dalla camera e mamma e papà entrano al posto mio.
Fuori c’è Liam che mi aspetta. Non mi aspettavo di vederlo.
Resto qui ferma mentre la gente fa avanti e indietro intorno a me.
Lui si avvicina e mi abbraccia. Un abbraccio forte, caldo. L’abbraccio di cui ho bisogno.
Mi fa bene esssere qui tra le sue braccia. Dove avrei sempre voluto essere. Mi sento al
sicuro, protetta da lui. Ma so bene che appena mi lascerà andare, la paura che mi
angoscia tornerà.
Ma lui non lo fa, non mi lascia. Restiamo così per non so quanto tempo. È come se ci
completassimo.
Come se tutto il mondo intorno a noi non esistesse.
La paura domina tutto. La paura domina tutti.
Io ho paura. Paura della morte.
Paura che mio fratello si possa non risvegliare.
La paura mi sta invadendo, si sta impossessando di me.
Io devo mandarla via. Devo farlo per me, ma soprattutto per Jeremiah. Devo
trasmettergli energia positiva anche solo col pensiero, con la mente, perché le nostre
menti sono collegate.
Lo sento vicino, vicino a me, ma non è al sicuro. Qualcosa me lo vuole portare via, via
dalle mie braccia. Perché? Non lo so. So solo che devo proteggerlo. Combattere con le
unghie e con i denti per far rimanere mio fratello con me. E anche lui lo sta facendo. Sta
lottando per rimanere con me, lo sento, lo vedo.
Il bene trionfa sempre. È scritto nelle favole. È scritto in ogni storia. E noi siamo il bene.
Quindi trionferemo, vero?
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- Stai tranquillo ok? Andrà tutto bene. - Certo io sono forte. Ti prometto che ci riabbracceremo presto. Sorrido. È bello sentire quelle parole da lui. Io so che ce la farà. Deve farcela.
Gli accarezzo i capelli e lo bacio dolcemente sulla fronte.
Ora deve andare, ma non mi va di lasciarlo. Raccolgo tutte le mie forze e stacco le mani
dal lettino che si allontana da me ed entra in sala operatoria.
E ora? Ora devo aspettare.
Sono ore che non sappiamo niente. Non è uscito un solo medico da quella sala
operatoria.
La mia testa è piena di domande.
Che sta succedendo? Starà andando tutto bene? Cosa gli stanno facendo? Quanto
manca?
Sono angosciata. Sono distrutta dal sonno e dalla paura.
Perché non ci dicono niente! Sono anche arrabbiata. Con nessuno in particolare. Bè con
qualcosa sì.
Sono arrabbiata col tumore. Con il cancro che sta mangiando il cervello di mio fratello.
Sono arrabbiata perché esiste. Sono arrabbiata perché c’è il dolore.
Spero davvero che questo dolore finisca.
Dopo sei ore finalmente si vede qualcuno. È il neurochirurgo che ha operato Jeremiah.
Non ha la mascherina. Perché non ha la mascherina? Si dirige verso di noi mentre lo
guardiamo tutti ansiosi. Mamma e papà si tengono per mano ed io sono davanti a loro.
Appena varca la porta, ci dirigiamo verso di lui. Il dottore abbassa la testa.
- Allora dottore, che succede? Come sta Jeremiah? - è mia madre a parlare.
Lui alza lo sguardo e ci guarda negli occhi. Stanno diventando lucidi, gli occhi del
dottore stanno diventando lucidi.
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E si morde le labbra.
- Io ho fatto tutto il possibile. Mia madre scoppia in un pianto angosciante, e urla.
Mio padre resta allibito.
Io non ci voglio credere. Resto impassibile senza dire una parola. Lo guardo negli occhi
e voglio che me lo dica chiaramente. Non ci credo finchè non me lo dice.
- Me lo dica dottore. L’uomo esita, ma poi pronuncia le parole fatali. Forse so già cosa sta per dire, ma la sua
sentenza colpisce lo stesso come se fosse una lama dritta nel cuore.
- Jeremiah è in coma. -
Non ci vedo più. Non ci sento più. Non riesco a dire una parola. So solo di avere paura.
Jeremiah. Jeremiah è in coma. Cade il mondo intorno a me. Anche la terra sotto i miei
piedi e mi ritrovo a precipitare nel vuoto nero che ormai mi circonda completamente.
Inghiottita dalla paura e dal dolore. Sento come se il mio corpo stesse per andare in
frantumi, pezzo dopo pezzo. Inizio a spezzarmi finchè di me non rimangono solo
briciole. Sono persa.
Il mio corpo fa tutto da solo senza che la mente possa comandarlo e corro fuori da lì,
fuori dall’ospedale attraverso la strada e le macchine. Il freddo pungente è straziante ma
non mi fermo finchè non trovo un posto tranquillo, oltre, nel buio. Piango. Piango e urlo.
Delle urla strazianti e dolorose con tutta la voce che ho in gola. Non è possibile, ripeto.
Ma dentro di me so che Jeremiah è veramente in bilico tra la vita e la morte. Tra il
restare e l’andarsene. Tra il rimanere nelle mie braccia o lasciarmi da sola.
Urlo finchè non ho più voce e poi mi raggomitolo su me stessa mentre le lacrime mi
rigano il volto.
Una possibilità che si risvegli c’è. In me c’è la speranza che si risvegli. Ma quanto dovrò
stare senza mio fratello?
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E poi c’è l’altra possibilità. Che non si risvegli più, e se ci penso mi viene rabbia. Una
rabbia che non riesco a controllare. E provo dolore. Un dolore che mi spezza in due. Che
parte dalla pancia, arriva al cuore e poi alla mente. Praticamente mi pervade tutto il
corpo.
Jeremiah. Mi avevi fatto una promessa. Che mi avresti riabbracciato presto. Perché non
l’hai mantenuta? Avrei proprio bisogno di un tuo abbraccio ora.
Cosa farò senza di lui? Come potrò continuare ad essere felice?
Non avevo mai pensato a questa possibilità. Ad una vita senza Jeremiah. Fino a cinque
giorni fa non credevo fosse possibile. E invece ora è cambiato tutto in un attimo. Perché
lui potrebbe morire.
Perché lui? Perché proprio lui? Perché mi vogliono togliere mio fratello?
È una cosa veramente ingiusta. Ha solo dodici anni. Dodici anni!
Deve ancora provare tutte le cose belle della vita!
Anzi no. Lui proverà tutte le cose belle della vita. Jeremiah me lo ha promesso. Mi ha
detto che è forte e che lotta per rimanere con me.
E ci riuscirà. Riuscirà a rimanere in vita.
È passato così poco tempo e già mi manchi come l’aria, Jeremiah.
Trovare le forze è così difficile. Ma alla fine ci riesco. Mi alzo in piedi e torno
all’ospedale.
Mamma e papà erano stati in ansia per me. Mi avevano cercato dappertutto. Ma neanche
io sapevo bene dov’ero finita.
Vedo nei loro volti i segni della stanchezza, dell’angoscia e del terrore.
Jeremiah intanto è stato trasferito in una camera nel reparto di terapia intensiva.
Devo farmi forza e devo entrare in quella stanza. Ce la posso fare. Apro la porta ed
entro.
Ecco di nuovo che non riesco a reprimere le lacrime.
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È così innocente. Sdraiato lì su quel lettino. I tubi che sono aumentati dapprima
dell’operazione. Le macchine che lo aiutano a respirare. E poi il battito del suo cuore sul
monitor. Quel suono regolare di bip.
Tutto questo è troppo forte per me. Ma io non mi abbatto. Mi siedo sulla sedia accanto al
letto e gli prendo la mano.
- Jeremiah… mi hai fatto una promessa ti ricordi? Certo che se la ricorda. Perché lui sta ancora lottando per mantenerla.
Non… non riesco proprio a pensare che forse quel dolce bacio che gli ho dato sulla
fronte prima che lui entrasse in sala operatoria potrebbe essere stato l’ultimo.
Stringo la sua mano più forte.
- Torna da me, ti prego. -
Ventiquattro. Oggi è il ventiquattresimo giorno. E come tutti gli altri giorni mi dirigo
all’ospedale nell’orario di visita. Ho preso le distanze da tutti. Voglio stare da sola.
Anche da Annabelle e Liam. So che loro vorrebbero essere al mio fianco ma per quanto
mi rgiguarda ora non voglio nessuno. Devo diventare più forte da sola.
Entro nella stanza.
- Ciao Jeremiah. Gli sorrido. Peccato che lui non possa ricambiarlo.
- Oggi ti ho portato una storia speciale sai? Ogni settimana gli porto una nuova storia. Ho una miriade di libri a casa e ogni
settimana ne iniziamo uno nuovo. Oggi è lunedì, perciò nuova storia. Tutti i giorni, dopo
la lettura arriva l’ora della musica, poi mi siedo accanto a lui a raccontargli un pò ciò che
succede fuori di qui. Tutte le volte prima di uscire lo prego di risvegliarsi.
- Parla della vita di un ragazzo, proprio come te. Questo ragazzo ama viaggiare e si
immagina tutti i viaggi che farà quando sarà grande con il semplice utilizzo della
fantasia. Bene, inizio a leggere ok? Il primo è a New York. Dovremmo andarci anche
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noi a New York, non credi? È una città fantastica, piena di negozi, grattacieli e luci.
Sarebbe stupendo, vero? - inizio a leggere.
È rilassante. Stare lì con lui che mi ascolta.
Dopo venti minuti abbiamo finito il primo capitolo.
- Sei curioso di scoprire la prossima città? Eh non si sbircia! Lo sapremo domani. ripongo il libro sul tavolino e gli sorrido.
- Bene, ora è arrivato il momento della musica. Prendo il cd e lo metto nello stereo. Parte una musica dolce, armoniosa, spensierata.
Inizio a ballare. In mezzo alla stanza facendo giri e giravolte intorno al letto.
- Che bello che è ballare Jeremiah! Dovresti venire. Quando vuoi, puoi unirti a me. Questa frase mi fa smettere di ballare. Vengo pervasa da un’ondata di depressione che
mi fa accucciare al muro. Non piango. Solo perché mi sono ripromessa che non l’avrei
fatto qui, in presenza di Jeremiah. Ma sono triste. Triste come non mai. Decido di
prendere una boccata d’aria. Esco mentre la musica continua a suonare.
Come fa ad esssere sempre così imprevedibile?
Liam è qui fuori che mi guarda. Io faccio finta di non averlo visto e mi siedo su una
panchina. Lui mi raggiunge. Sa che Jeremiah è in coma, non gliel’ho detto io, ma le
voci girano.
Si siede accanto a me.
- Ciao Helen. Mi volto a guardarlo.
- Ciao. - mi limito a dire.
- Come stai? - Male. - come vuole che stia?
- Perché non mi hai più parlato da quel giorno in cui ti ho accompagnato all’ospedale?- Non lo so Liam… non mi andava. 22
Lui si morse le labbra.
- A me ha fatto male non parlarti. Perché mi sta dicendo queste cose non capisco. Perché è stato male? Solo perché non gli
ho parlato?
- Perché? - gli chiesi.
- Oddio perché non capisci… sei proprio ingenua. - Ma cosa dici? - mi stava facendo veramente del male.
Decisi di sfogarmi di tutto e iniziai a piangere. Silenziosamente.
Lui mi vede, prende il mio viso fra le mani e lo porta vicino al suo. Siamo così vicini
che posso sentire il suo respiro. E posso vedere meglio i suoi occhi. Che belli che sono.
Però sono tristi in questo momento.
- No! No… non piangere, ti prego. Non capisci che io ti amo. Quelle parole mi lasciano senza fiato. Non ci posso credere. Innamorato di me? Come
avevo fatto a non accorgermene? E poi lo fa. Ciò che aspettavo da sempre. Mi bacia. Le
sue labbra morbide toccano le mie. È un bacio dolce e appassionato, mischiato alle mie
lacrime. È un bacio bellissimo. Di quelli che ti fanno battere il cuore a mille. Il bacio che
aspettavo da sempre. Ed eccomi che corro. Corro a tutta velocità quei cinquecento passi
che mancavano. Eccomi che sto quasi arrivando al mio desiderio finalmente. E poi
proprio quando manca solo un passo… mi blocco. Mi fermo lì immobile. Mi accorgo
che non lo amo. Che non lo amo più, anzi che non provo niente. Non riesco a provare
niente! Nessuna emozione! Mi arrabbio con me stessa perché non riesco a capire il
motivo. E poi lo trovo. È una scossa terrificante.
È per mio fratello. Il coma di mio fratello mi ha distrutta. Mi ha distrutta nel profondo.
Mi ha distrutta così tanto che non riesco più ad amarlo. Non riesco a provare niente.
Mi allontano da lui piangendo senza dirgli niente.
Prima di entrare in camera da Jeremiah mi asciugo le lacrime.
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C’è Annabelle. È qui, fuori la camera di Jeremiah. Ed io sono da quest’altra parte. Ci
guardiamo attraverso il vetro che ci separa. Non abbiamo bisogno di parlarci. Noi siamo
fatte così. Ci capiamo anche solo con lo sguardo.
Capisco che lei è preoccupata per me. Mi vuole bene e spera insieme a me che Jeremiah
si risvegli presto. Apprezzo molto quello che sta facendo per me. E’ un’amica unica che
sa starmi vicino in silenzio.
Esco e l’abbraccio. Un abbraccio forte e dolce allo stesso tempo. Un abbraccio come
non ne avevamo avuti mai. Ci salutiamo così e poi rientro di nuovo da Jeremiah.
Trenta…trentuno… trentadue. Passano i giorni. Ma la speranza no. La speranza è
l’unica cosa che mi dà forza. Ed io devo essere forte. Forte per me, per non abbattermi,
per non arrendermi. Anche perché io non voglio arrendermi. Io so che lui si risveglierà.
Lo sento. Devo essere forte anche per i miei genitori perché ne hanno bisogno.
Dobbiamo esser tutti uniti perché Jeremiah ha bisogno di tutti quelli che gli vogliono
bene per potersi risvegliare.
Perché non ti svegli? Ho bisogno di te!
Sono spenta e triste e solo tu puoi rendermi felice. Soltanto tu puoi farmi tornare ad
amare. Solo un piccolo gesto, un piccolo sforzo: svegliarti. Ci spero sempre. Ogni
giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo. Come se da un momento all’altro tu possa
darmi un segno. Anche piccolo. Come un battito di palpebre o un minimo movimento
della mano o una parola. Non so.
Sono sempre qui. Accanto a te. Ho paura a lasciarti. Devi risvegliarti davanti a me,
davanti ai miei occhi.
Ogni giorno mi sembra di avere un presentimento, ma poi resti sempre qui immobile.
Sai, è il pensiero che controlla tutto. È la mente che comanda. Quindi tu prova a pensare.
A pensare di aprire quei maledetti occhi. Ho voglia di rivederli sai? Quei tuoi occhi così
belli! Verdi proprio come la speranza. Mi fa male non vederli più, pieni di energia, di
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lucentezza, pieni di te. Mi mancano anche quelle tue facce buffe che mi facevano ridere
a crepapelle. Ti prego Jeremiah fammi ridere di nuovo.
Da quando stai male non ho più sorriso. Non ci riesco, non ci riesco più. Come non
riesco più ad accettare l’amore di Liam. Mi servi tu per amare.
Ma anche Liam è speranzoso. Anche lui desidera che tu ti risvegli.
Così che io possa tornare di nuovo ad amarlo.
Mi aspetta. Spesso è qui, fuori dalla camera che mi guarda soltanto. Viene solo per
guardarmi e per vederti risvegliare. Perciò fallo. Risvegliati ti prego. Ci sono così tante
persone che ti aspettano qui. E ci sono anche io. Io che ti amo tantissimo e che ho
davvero bisogno che tu torni da me.
Mi mancano i tuoi abbracci. Erano unici al mondo. Sono sicura che ce ne saranno altri.
Vero?
Stringo più forte la tua mano e per un attimo, solo per un attimo, mi sembra che tu stia
ricambiando la mia stretta. Mi volto piena di gioia e di speranza verso i monitor. Ma
rimango delusa dal fatto che è tutto come un minuto fa. Tutto normale.
Ho il presentimento, sento che tu ti risveglierai e che tornerai presto insieme a noi, noi
che ti amiamo tanto.
E io sarò di nuovo felice e... il mio cuore tornerà ad amare.
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