espresso - 123 - Fondazione Ugo La Malfa
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Libri Passioni Il saggio di Wlodek Goldkorn NessuN raNcore È un atto d’amore, verso un amico («non il migliore amico», precisa l’autore), una rifessione sull’utilità della sconftta di una generazione, e tanto altro, il libro di Adriano Sofri “Reagì Mauro Rostagno sorridendo” (Sellerio, pp. 158, €12). Per chi non lo sapesse, una breve ricapitolazione: Mauro Rostagno è stato sociologo, giornalista, agitatore culturale. Protagonista del Sessantotto a Trento e uno dei fondatori di Lotta Continua. Fu ammazzato a Lenzi Valderice, in Sicilia, il 28 settembre 1988. A volerlo morto è stata la mafa, di cui era nemico attivo. Per anni e anni le indagini sulla sua uccisione sono stati depistate. Finalmente, a maggio scorso, due mafosi sono stati condannati all’ergastolo in quanto mandanti ed esecutori dell’assassinio. Sofri non fa la cronaca dettagliata della lunga vicenda (ne ripercorre gli episodi essenziali), ma usa il processo e la biografa del protagonista per fare i conti con la vicenda politica ed esistenziale della generazione, di cui ambedue, in modi diver- si, sono stati quasi i simboli. Reinterpretando lo slogan del Sessantotto “Il privato è politico”, l’autore rivendica il valore dell’amicizia e dell’amore; in questo contesto sottolinea perfno l’importanza del pudore e dei segreti dell’intimità (calpestati da chi voleva depistare le indagini). «Il segreto domestico», scrive, «ha bisogno di una modica dose di ipocrisia: come camminare con la pianelle su un pavimento lucidato, finché non si rompe qualcosa e arrivano gli stivali chiodati». Ecco, gli stivali chiodati, suggerisce, sono arrivati; nella vita dei familiari di Rostagno, e anche nel mondo in cui viviamo. Ma poi, è la conclusione implicita del libro, la vita, anche se attraversata da tragedie, battaglie perse, ingiustizie subite, va vissuta senza rancore. Possibilmente con un sorriso, segno non di irrifessiva serenità, ma di saggezza. Da tradurre di Giorgio La Malfa rileggiamo Tim geiThner “Stress Test”, il libro di Tim Geithner, ministro del Tesoro durante la prima presidenza Obama (Crown Publishers), ha avuto in Italia, appena pubblicato in America, un momento di celebrità per la rivelazione che «un certo numero di European offcials» avrebbero proposto agli Stati Uniti durante il vertice G 20 a Cannes nel 2011 «uno schema per cercare di forzare la caduta di Silvio Berlusconi» (p. 476). L’episodio ha tutta l’aria di essere vero, anche se il termine “offcials” è ambiguo: ben diverso se sono parole dette da un funzionario, dai vertici politici della Commissione o del Consiglio Europeo o da un capo di governo. Geithner ovviamente non ha chiarito. Fosse solo per questo, non varrebbe la pena di leggere il libro; che invece è di estremo interesse. Ripercorre le origini della crisi del 2007-2009 nata dal mercato immobiliare e che ebbe il suo apice nel fallimento di Lehman Brothers, le gravi incertezze sul da farsi e le politiche dell’amministrazione Obama che ebbero l’effetto di far ripartire la crescita e stabilizzare il sistema fnanziario. Sono anche istruttive, per i sostenitori nostrani del presidenzialismo, le diffcoltà enormi dei Presidenti americani di fronte a un Congresso così dominato dalle lobby. La tesi di fondo è che sono indispensabili regole più severe per il mondo fnanziario, anche se non vi è ricetta preventiva contro le esuberanze irrazionali seguite da crisi inevitabili. Quando queste arrivano, per Geithner i governi debbono agire con lungimiranza: mettere in atto un’ampia politica di salvataggi e rilanciare la domanda con politiche di bilancio espansive. È una dura lezione per l’Europa che ha fatto esattamente il contrario, rifutando di allontanarsi dal più rigido rigore tedesco in materia di bilanci. Le conseguenze si vedono: l’America è ripartita; l’Europa è stagnante. Come dire di Stefano Bartezzaghi mogherini alla uefa Tra le perle di uno stupidario estivo che compare sul sito dell’“Espresso” ce ne sono di spassose, ma a colpire è una in particolare. L’ha prodotta Gianni Alemanno, in un tentativo di ritornare sulla scena politica dopo la sua prova a sindaco di Roma. Criticando con severità l’inizio del semestre europeo a conduzione italiana ha detto: «In Europa siamo nei guai e Renzi pensa solo a mandare l’inutile Mogherini all’inutile incarico di ministro degli Esteri della Uefa». Il banalissimo lapsus si inscrive nella tradizione italiana e mondiale della «gaffe dichiarativa»: ministri dell’Istruzione che mancano clamorosi congiuntivi, parlamentari che promettono di essere «circoncisi», un remoto capo della Cei che invitò i fedeli a votare Dc, «sia pure con ripugnanza» (voleva dire «riluttanza»). Tradizione, dicevo, non solo italiana: negli Stati Uniti una pubblicazione intitolata «Sparare alla Quaglia» raccoglieva le gaffe spaziali emesse dalla bocca di Dan Quayle, vicepresidente di Bush padre («Domani il futuro sarà migliore») e un intero libro fu poi dedicato ai «Bushismi», dichiarazioni di Bush fglio («Tutti quanti converrete con me che ormai il passato è fnito»). Bush fglio commise anche un bushismo non verbale, la volta in cui fu visto mentre faceva «ciao» con la mano a Stevie Wonder. Per altri versi, il lapsus di Alemanno conferma quel parallelismo stucchevole ma apparentemente inesorabile fra sport e politica, già proclamato dalla prima fondazione di Forza Italia e oramai dilagante. Ue e Uefa sono, assieme, l’Europa che ci impedisce di affermarci, i compagni di gioco e gli avversari coalizzati contro di noi. Ma se è vero che lo sport parlato è il format della politica e del discorso pubblico nazionale, a questo punto dire sciocchezze qualsiasi davanti a un microfono non è inopportuno: ci si immedesima nell’allenatore o nel giocatore costretto a commentare la partita appena svolta, con parole spesso inadeguate. Le sciocchezze politiche restano tali, ma diventano funzionali alla scena. Anagramma: Gianni Alemanno = l’inganno è mania. 21 agosto 2014 | | 123