1 Viaggio e spostamento nell`opera di creazione di Claudio
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1 Viaggio e spostamento nell`opera di creazione di Claudio
Viaggio e spostamento nell’opera di creazione di Claudio Magris Pedro Luis Ladrón de Guevara Lo spostamento dei protagonisti di Claudio Magris si trova fra due punti di riferimento: il primo lo troviamo nella storiella ebrea raccolta da Saint-Exupéry citata dallo stesso Magris come preambolo al suo libro su Joseph Roth, Lontano da dove: «“Vai dunque laggiú? Come sarai lontano!” –“Lontano da dove?”».1 Il secondo appartiene alla risposta che la fanciulla dà ad Enrico di Ofterdingen e che Magris raccoglie in Itaca e oltre: «dove è diretto il vostro cammino? “Sempre verso casa”».2 Nel primo caso chi viaggia si allonta dalla casa, dal luogo natio che non gli appartiene più. La casa, specialmente per l’ebreo ma anche per altri personaggi come Enrico di Un altro mare, è la biblioteca, i libri letti. Il resto, paese, paesaggio, abitazione, non sono nulla a confronto, basta prendere pochi oggetti per portare con sé la propia casa, il proprio habitat. Nel secondo caso si seguono le orme di Odisseo: si va verso casa, però la vera vita non si trova nella meta, ma nello spostamento, nella strada verso un luogo al quale in fondo non si ha tanta voglia di tornare. Due spostamenti che non sempre sono contraddittori. Come ha scritto Ernestina Pellegrini –riferito a Danubio e prendendo parole di Hofmannstal-: «il motivo ricorrente del “sentirsi a casa” si coniuga con quello, altrettanto imponente, del “porsi fuori di sé”, del consegnarsi all’estraneità e all’ignoto».3 Il viaggio come allontanamento e avvicinamento, secondo il punto di vista di chi si sposta. Chi non lascia nulla indietro e cerca di costruire una nuova casa in un altro posto si allontana dall’origine, ma considera allo stesso tempo che si avvicina a casa, non nel senso di Odisseo che fa il viaggio circolare tornado al porto di partenza, ma lineare perché non si torna, anzi si stabilisce un nuovo punto di arrivo diverso da quello di partenza che nonostante ciò verrà chiamato casa, cioè il tetto dei lares. Ma il viaggio può essere anche fuga, allontanamento feroce dalla casa, dagli esseri che ci sono cari, lontananza anche geografica dall’infanzia, dai tempi universitari... E non dobbiamo dimenticare che c’è anche il viaggio come pellegrinaggio, cioè per arrivare a una meta che in realtà diventa, altro che finale del percorso, sosta nel mezzo del cammino, perché bisogna percorrere ancora quel tragitto chiamato in modo sbagliato «ritorno» -come se fosse un disfare una strada conosciuta- ma che in realtà è la seconda parte del viaggio piena ancora di novità e imprevisti. E alla fine di questa seconda tappa si arriva a casa, che potrà essere o no la stessa che avevamo abbandonato, ma certamente colui che non sarà uguale, proprio perché cambiato durante il viaggio, sarà il pellegrino. Ne L’infinito viaggiare Magris ha la concezione di Kavafis sul viaggio: la strada di ritorno a Itaca, simbolo della vita per cui l’arrivo significa la morte, così come l’arrivo di Odisseo a Itaca significa la fine dell’Odissea: «Viaggiare dunque ha a che fare con la morte, come ben sapevano Baudelaire o Gadda, -scrive Magris- ma è anche un differire la morte; rimandare il più possibile l’arrivo».4 Perciò dovremmo sperare - 1 Claudio Magris, Lontano da dove. Joseph Roth e la tradizione ebraico-orientale, Einaudi, Torino, 1989, p.11. 2 Claudio Magris, Itaca e oltre, Garzanti, Milano, 1991, p.44. 3 Ernestina Pellegrini, Epica sull’acqua. L’opera letteraria di Claudio Magris, Moretti & Vitali, 2ª ed. 2003, p.53. 4 Claudio Magris, L’infinito viaggiare, Mondadori, Milano, 2005, p.VIII. 1 come Kavafis- che il viaggio sia lungo, e Magris aggiunge, «Viaggiare non per arrivare ma per viaggiare, per arrivare più tardi possibile, per non arrivare possibilmente mai».5 Ma succede che il grande viaggiatore che è Magris torna di tanto in tanto a casa, e nel suo spazio, nel suo microcosmo, non è tanto l’Odisseo omerico quanto l’Odisseo dantesco, che arriva per partire, per proseguire oltre le colonne di Ercole: «Ogni viaggio è soprattutto un ritorno, anche se il ritorno, quasi sempre, dura assai poco e viene presto l’ora di andarsene [...] ma la meta del viaggio era per tutti, ogni volta, il breve ritorno».6 In Illazioni su una sciabola, il romanzo di esordio, il viaggio non è di un singolo ma di tutto un popolo, i cosacchi cercano una patria, o meglio un luogo dove piantare la propria patria. Se l’ebreo di Saint-Exupery porta la casa-patria con sè, nel Talmud e nei libri, i cosacchi portano con loro le tradizioni, le abitudini, e cercano allora un posto da chiamare patria. Il viaggio è geograficamente lineare perché si sposta verso un luogo sconosciuto, ma è mentalmente circolare perché si va sempre verso casa, verso la patria, anche se in realtà essa la portano dentro di loro: Erano le mappe della sua patria cosacca, o meglio della sua odissea alla ricerca di quest’ultima [...] da Nowogrudok, a cento verste da Minsk, dove i cosacchi si erano stabiliti nel Kazačistan insediato nel ’44 dai tedeschi con la speranza di potervi restare per sempre, e poi sempre più a ovest e a sud, attraverso la Polonia, la Germania, l’Austria, sino a quest’ultimo viaggio in Carnia, da Villaco a Tolmezzo, che di lì a poco Krasnov avrebbe rifatto a ritroso.7 I cosacchi, ma anche Enrico, il protagonista di Un altro mare, cercano in una terra sconosciuta e devastata il paesaggio di cui impossesarsi e impadronirsi, sono ladri di una terra che non gli appartiene, ma che occupano («a derubarli della loro patria, che egli –proprio lui, il patriota legittimista- voleva trasformare, con un gesto d’arbitrio [...] nella sua patria, nella sua patria cosacca»).8 La differenza resiede nel fatto che Enrico sa di non essere al paese natio, a Gorizia, e allora non cerca di ricostruire la vecchia patria abbandonata ma pretende di allontanarsi dal suo passato, contrariamente ai cosacchi che vogliono trasformare la terra che calpestano nella vecchia patria cosacca. Enrico sa benissimo da cosa sia lontano, il suo «lontano da dove?» ha una risposta precisa e consapevole. Ma viaggiando –continua a dire Magris- ritroviamo qualcosa che avevamo lasciato indietro, la nuova patria e la vecchia casa, ma allo stesso tempo si è consapevole di essere in fuga di un mondo che non è più nostro: «Viaggiare sentendosi sempre, nello stesso momento, nell’ignoto e a casa, ma sapendo di non avere, di non possedere una casa. Chi viaggia è sempre un randagio, uno straniero, un ospite»9. I viaggiatori sono stranieri, «desiderosi di vedere» –ha scritto Melville, parlando sui libri di viaggio10- ma allo stesso tempo desiderosi di tornare per stare meglio a casa nonostante siano circondanti dalla novità, come scrisse Sigmund Freud mentre era a 5 Idem. Claudio Magris, Microcosmi, Garzanti, Milano, 1997, p.37. 7 Claudio Magris, Illazioni su una sciabola, Garzanti, Milano, 1992, p.50-51. 8 Ibidem., pp.31-32. 9 Claudio Magris, L’infinito... cit., p. X. 10 Herman Melville, Viajar, traducción de Elisabetth Falomir Archambault, Madrid, Gadir, 2011: “I libri di viaggio non soddisfano l’ansia, soltanto stimolano il desiderio di vedere” p.16. 6 2 Firenze il 7 settembre 1896: «devo confessare che, nel mezzo di tanta bellezza, delle volte mi viene il pensiero che dove si sta meglio è a casa».11 Ma i cosacchi non hanno un posto dove tornare, perciò scappano dalla sensazione di vuoto, «erano giunti in quell’angolo del mondo per costruirsi una casa e trovare riparo dall’indeterminatezza del nulla»12, e anche Enrico si sposta, né per viaggiare né per vivere, ma per fermarsi in cerca di quell’annullamento, dello svuotamento, di un lasciar che sia il tempo a muoversi e che lui rimanga nella quiete della Patagonia o dell’Istria. Anche il protagonista de Il Conde si lascia condurre dalle acque con la speranza che la corrente porti ciò che si cerca, anche senza volere, magari anche noi: «Se vuoi trovare quello che cerchi devi lasciarti andare, la corrente il vento la gente che spinge o che so io trascinano tutto dalla stessa parte, la scopa raccoglie la spazzatura, e lì alla fine ritrovi quello che volevi e ti ritrovi anche te».13 In questi ultimi due casi il mare, l’acqua, è strumento di trasloco, non paesaggio esterno ma infinito punto dove il protagonista, guardandolo, vede dentro di sè, senza che lo sguardo possa fermarsi su nessun particolare: non ci sono alberi né montagne, è il non-luogo dove lo spostamento è quiete, punto fermo, nulla cambia agli occhi e perciò nulla si cerca. Tutto è invaso da una nota e serena monotonia («Ora, intorno a lui, nient’altro che il mare [...] Sono ore e ore che sta sul ponte, immobile, mai stanco di quelle cose che non cambiano»)14. Il mondo in cui ormai si trovano non è tanto fisico quanto metafisico. Di fronte al non luogo non si produce una recettività del mondo esterno quanto un’introspezione interna totale. Andando in America, Enrico voleva lasciare tutto indietro («la sua è una storia di separazioni» ha scritto Ernestina Pellegrini15), senza portarsi nulla, tranne qualche libro, parola scritta e pensiero, unica cosa che vale la pena di trascinarsi con sé. E il marinaio de Il Conde si limita a fluire. Il resto è rinuncia, fuga, tranne i cosacchi che non rinunciano a nulla, anzi non sono in fuga ma in cerca di ciò che hanno lasciato alle spalle. Insomma Enrico, così come l’ebreo che parte «lontano da dove?» e il protagonista di Danubio, hanno un’unica patria, i libri, la biblioteca che ha formato la loro mente, e si sa che una biblioteca può essere contenuta anche in un unico libro. Curiosamente sia i cosacchi sia Enrico non riusciranno ad avere la sensazione di libertà e di pienezza se non nello spostamento puro, nella corsa sul cavallo16: «Quell’ “indicibile profumo di libertà della steppa” così caro all’Atamàn era la libertà del singolo che ha la sua patria e il suo stato nella propria tenda, che riconosce soltanto il cavallo sotto di lui e il Signore sopra di lui e per partire ha bisogno, come dice il proverbio cosacco, solo di stringersi la cintura”»17. “Per fortuna a cavallo si dimentica 11 Sigmund Freud, Cartas de viaje (1825-1923), introduzione di Christfred Tögel, Siglo XXI, Madrid, p.63. Preso da Berggasse – Pompeji und zurück. Sigmund Freuds Reisen in die Vergangenheit, Tubinga 1989. 12 Claudio Magris, Illazioni..., cit., p.53. Claudio Magris, Il Conde, il Melangolo, Genova, 1993, p.19. 14 Claudio Magris, Un altro mare, garzanti, Milano, 2ª ed. 1992, pp.9-10. 15 Ernestina Pellegrini, Epica sull’acqua. cit. p.138. 16 Anche quell’altro italiano Dino Campana, nella sua fugga in America, troverà nella corsa sulla Pampa la libertà piena, ma lui lo farà sul cavallo di ferro, in piedi sulla piattaforma del treno che costruisce la ferrovia: «Dov’ero? Io ero in piedi: Io ero in piedi: sulla pampa nella corsa dei venti, in piedi sulla pampa che mi voleva incontro: per prendermi nel suo mistero! Un nuovo sole mi avrebbe salutato al mattino! Io correvo tra le tribù indiane? Od era la morte? Od era la vita? E mai, mi parve che mai quel treno non avrebbe dovuto arrestarsi», Dino Campana, Canti Orfici, edizione anastatica di Pedro Luis Ladrón de Guevara, Libreria Chiari, Firenze, 1994, p.124. 17 Claudio Magris, Illazioni..., cit.p.57. 13 3 lo sgomento”, pensa anche Enrico18 e ci fa ricordare le parole di Ivar Sefve sui gauchos della Pampa: «Mientras conserven sus caballos y sus equipos, se sentirán señores de sí mismos».19 Ma lo spostamento diventa viaggio nel più noto dei libri di Magris, Danubio, senza articolo, come tante volte ce l’ha ricordato l’autore, perché non è un fiume, un elemento geografico, ma un’idea piena di storia che si manifesta nei libri letti dal viaggiatore che gli mostrano una civiltà e la conoscenza del passato. Come scrive Magris in Danubio: «Il germanista, che viaggia a intermittenze, quando e come può, lungo tutto il corso del fiume che tiene insieme il suo mondo, si porta dietro il suo bagaglio di citazioni e di fisime».20 Danubio non è un libro di viaggio con le sue descrizioni degli spostamenti, come capitavava con gli scrittori del primo settecento e i loro viaggi in Italia eredi dei libri dei pellegrini con istruzioni e consigli per le locande o le dogane, ma è un libro dove il modo di viaggiare perde quell’antico valore e centra l’attenzione sui posti che si vedono, sui fiumi, sulle città e sul paesaggio. Come scrisse Christfried Tögel parlando dei viaggi di Sigmund Freud, «lo vedeva tutto con le lenti del passato»”21. Bisognerebbe ricordare come il libro di viaggio cambia perché perde la sua funzione pratica e non era neanche una guida turistica. E continuerà a trasformarsi nel momento che il viaggiare diventa qualcosa di diverso con la nascita de la ferrovia, al punto che anche i titoli dei libri di viaggi si trasformano, si passa dal «Viaggio in Italia» a «Le città italiane». Il treno cancella il modo e le circostanze dello spostamento e si ferma specialmente sulle soste e suoi luogh visitati.22 Pellegrini ha scritto «Danubio è un libro di ‘soste’ piuttosto che un libro di viaggi»23, a cui dovremo rispondere, è un libro di viaggio ma di fine Novecento, che si svolge fra la fermata e il desiderio di scappare per vedere un altro posto. Secondo le parole di Magris «ogni viaggio si gioca tra la sosta e la fuga».24 Il vero viaggio è imprevedibile (Magris ci parla de “l’imprevedibilità del viaggio”25), e potrebbe sembrare anche che la novità sia esaurita, ma il viaggio sarà sempre aperto a nuove interpretazioni precisamente per tutto ciò che abbiamo letto e leggiamo sui posti che andiamo a vedere e che ci da una prospettiva diversa da qualsiasi altro viaggiatore. Così come ogni lettore trova qualcosa di diverso in un libro, il viaggiatore troverà nelle pagine del paesaggio e delle città misteri che gli altri non erano riusciti a vedere. Come ha scritto Attilio Brilli raccogliendo il pensiero di Aldous Huxley: «Il viaggio cessa di essere soltanto uno spostamento nello spazio per diventare anche un’escursione attraverso il tempo e la storia del pensiero».26 In questo spostamento il viaggiatore capisce il vero valore del tempo, che non è più fatto soltanto dal presente odierno e quotidiano ma che è costruito da un passato che si incrocia e si fa presente e ci aiuta a capire paesaggi, città, uomini e il loro comportamento: 18 Claudio Magris, Un altro mare, cit., p.36. Ivar Sefve, La pampa argentina, versione dal svedese di Jaime Ruiz Manent, Seix Barral, Barcelona, 1941, p.66. 20 Claudio Magris, Danubio, Garzanti, Milano, 1991, p.15. 21 Sigmund Freud, Cartas de viaje…, cit., p.1. 22 Sul particolare scrisse Joaquín Francisco Pacheco nel 1856: “el mundo se ha empequeñecido por él [la ferrovia] y se van suprimiendo del todo el interés y los placeres del viaje antiguo. Ni se ve ya, ni se aprende, ni se goza, caminando. Mas para el adelanto material, para el arribo pronto y cómodo, el vapor es indudablemente la primera de las invenciones”, Italia. Ensayo descriptivo, artístico y político, Imprenta Nacional, Madrid, 1857, p.34. 23 Ernestina Pellegrini, cit., p.55. 24 Claudio Magris, Danubio, cit., p.73. 25 Ibidem, p.11 26 Attilio Brilli, Il viaggio in Italia. Storia di una grande tradizione culturale, Il Mulino, Bologna, 2006, p.375. A.Huxley, Along the Road. Notes and Essays of a Tourist, London, 1925. 19 4 Si vivono come contemporanei eventi accaduti da molti anni o da decenni, e si sentono lontanissimi, definitivamente cancellati, fatti e sentimenti vecchi di un mese. Il tempo si assottiglia, si allunga, si contrae, si ripprende in grumi che sembra di toccare con mano o si dissolve come bianchi di nebbia [...] Non c’è un unico treno del tempo, che porta in un’unica direzione a velocità costante; ogni tanto s’incrocia un altro treno, che viene incontro dalla parte opposta, dal passato, e per un certo tratto quel passato ci è accanto, è al nostro fianco, nel nostro presente.27 Infatti, in questo viaggiare attraverso il Danubio, Magris vede nel presente il passato letto e studiato, perciò il paesaggio che ha di fronte diventa storia: «Il Danubio è la Mitteleuropa tedesca-magiara-slava-romanza-ebraica, polemicamente contrapposta al Reich germanico, un’ecumene “hinternazionale”, come la celebrava a Praga Johannes Urzidil, “un mondo dietro le nazioni”»28. Il passato costruisce e influenza il presente. Non esiste una chiara distinzione dal momento che si produce la simultaneità di tutti gli eventi: «nell’universo viaggiano e sussistono, da qualche parte, le immagini di tutto ciò che è stato[...] il suo Danubio è simultaneità di tutti gli eventi, è il sapere sincronico di tutto».29 Come abbiamo detto, il viaggio diventa spostamento anche nel passato, ma serve anche per vivere il presente e riempire più intensamente tutto ciò che ci circonda con i fatti collegati nel tempo. Senza questo il paesaggio, le città, i boschi, i fiumi, sarebbero al massimo natura, più vuoti di quanto siano in realtà. Quanto ci circonda è stato creato dalla storia, e ha sempre qualcosa da raccontarci e da riempire. Ogni viaggio «è una resistenza alla privazione, perché si viaggia non per arrivare ma per viaggiare e fra indugi brilla il puro presente».30 Anche in Stadelmann, l’opera di teatro che Magris ha dedicato al servo di Goethe, plebeo che abita in un ospizio di Jena gli ultimi anni della sua vita, il viaggio ha un’importanza decisiva nel momento in cui dovrà abbandonare la sua quotidianità per un successo inaspettato, le giornate che la città di Francoforte dedica al grandissimo poeta. Stadelmann viene scelto per essere l’unica persona fra quelle che hanno circondato Goethe che è ancora vivo. Non importa se si tratta soltanto di un servitore, lui gli è stato vicino e potrà parlare del maestro di prima mano, aneddoti che possano confermare la genialità dell’uomo. Stadelmann dovrà spostarsi, abbandonare le sue giornate e le sue pareti uguali e monotone di ogni giorno per viaggiare e diventare il centro di attenzione della città e del borgomastro di Francoforte per qualche giorno. Per lui non sarà un semplice e lungo viaggio di trecento kilometri, ma un viaggio al passato che gli permette con la memoria di essere accanto al genio, al poeta, in quegli anni in cui poteva imparare, incontrare delle persone importanti, essere a conoscenza del valore delle pietre, dei colori... Ma per andare lì dovrà pure cambiare, trasformasi in ciò che non è, o meglio, dovrà recuperare i modi di comportarsi e le maniere che ormai non usa da anni: «Ah, dimenticavo, ci stiamo preparando a fare i gentiluomini a Francoforte»31 gli dice con ironia Schramek, anche se Stadelmann non è mai stato un gentiluomo. Sarà paradossale celebrare delle giornate in memoria di un uomo che aveva affermato di non desiderare né la memoria né il passato («Io non ammetto memoria, non 27 Claudio Magris, Danubio, cit. p.41. Ibidem., p.29. 29 Ibidem., pp.68-69. 30 Ibidem. 100. 31 Claudio Magris, Stadelmann, Garzanti, Milano, 1988, p.22. 28 5 c’è passato di cui dobbiamo avere nostalgia, tutto è sempre eternamente nuovo!»)32, parole di Goethe ricordate da Stadelmann, che contraddicono quel genio, il suo vecchio padrone, che non aveva dubitato nel viaggiare in Italia –addirittura fino alla Sicilia!- per trovare le tracce fisiche della storia, per calpestare le pietre del passato e fare presente la memoria dei classici greci e latini. Ma Stadelmann vorrebbe altro che andare a conoscere nuova gente, vorrebbe tornare a casa, all’antica casa di Steffi che ormai abita anche lei nell’ospizio, con la quale vorrebbe dormire, trovare la pace che invece non avrà in quel viaggio: Vorrei dormire, Steffi, non scherzo, dico solo dormire, qui con te... perché andare a Francoforte. Poi?... [...].ma adesso, se ci penso, tutto quel viaggio, e quella gente, chi la conosce, quelle facce nuove... sarebbe bello invece andare a casa tua, a casa tua di una volta, in fondo al vicolo, ricordi...33 Con quel viaggio Stadelmann recupera una parte del suo –anche se modestoprestigioso passato, ma proprio il valore e l’importanza degli anni vissuti accanto a una persona che era stata ricevuta da Napoleone, dallo zar, dall’imperatore, faranno impossibile il ritorno a casa per continuare ad essere un povero vecchio in un ospizio di Jena. Il passato è troppo pesante e la gloria di un tempo ormai perso fa che la monotonia dei giorni grigi che l’aspettano in futuro sia insopportabile. Lo spostamento della sua quotidianità, il viaggio a Francoforte per trovare quella parte più importante del suo passato, sarà l’elemento scatenante del suo tragico finale. Ne Il Conde lo spostarsi dei due protagonisti sull’acqua è il centro della loro vita che trascorre dal resto monotona senza novità nonostante quel muoversi lungo il fiume e verso il mare in cerca dei cadaveri sommersi sotto l’acqua. Tutto è acqua, «acqua da tutte le parti, sopra e sotto»34. Come era capitato anche a Enrico l’acqua è l’elemento omogeneizzante che trasforma ogni posto in un luogo uguale agli altri («l’acqua si assomiglia dappertutto e anche questa pioggia dappertutto e anche questa pioggia che viene giù potrebbe cadere qui come da qualsiasi altra parte e a me non dispiace che le cose diventino sempre più eguali»)35. Acqua così monotona e reiterativa che distrugge il passato destruggendo i ricordi («L’acqua è amara di perdizione e distrugge tutto, anche il ricordo»)36. Contrariamente al viaggiatore di Danubio, lo spostamento fisico non implica cambiamento e arricchimento personale e spirituale poichè si tratta di un atteggiamento pasivo, dove si sente la necessità di lasciare che sia la vita, e il viaggio, a dare le risposte, a mostrarci ciò che non sapevamo di cercare. Se abbiamo detto che lo spostamento si caratterizza per l’imprevedibilità, allora il personaggio che si trova nel polo opposto dentro questo mondo di Magris sarebbe il protagonista de Le Voci, il quale ha una predilezione per tutto ciò che è previsibile e conosciusto mentre invece mostra la sua animadversione per qualsiasi novità, perciò ama sentire le voci della segreteria telefonica già ascoltate in precedenza, perché può trattenersi nei piccoli dettagli, ma scappa e fugge della conversazione diretta aperta – come capita nel viaggio- all’imprevisto («se no faccio tardi e finisce che è già rientrata e risponde direttamente, come l’altra volta – Che disastro. [...] Com’è stato sgradevole, 32 Ibidem., p.25. Idem., p.30. 34 Claudio Magris, Il Conde, il Melangolo, Genova, 1993, p.9. 35 Idem., p.51. 36 Idem., p.15. 33 6 imbarazzante, quando si è interrotto quel fluire calmo, controllato, e le si è inserita indiscreta, frettolosa, sgarbata... “Chi parla?”»).37 Spostarsi è tutto, anche quando si sta lì fermo ad aspettare non si sa bene cosa, come il vecchio pescatore lupo di mare che avendo smesso di imbarcarsi rimane di fronte al mare e guarda l’infinito marino per vedere e immaginare altri viaggi impossibili. O come la protagonista di Lei dunque capirà che sa che è l’altro a spostarsi e venire a prenderla, nuova Euridice ma anche –in un certo senso- una Penolope ormai abituata a rimanere nella sua casa e a stabilire un monologo che invece sappiamo che è dialogo perché ormai –dopo tanti anni vissuti insieme- in una coppia si sa cosa sta per dire l’altro. È lui a spostarsi mentre lei aspetta: «No, non era venuto per salvarmi, ma per essere salvato. Come potrei cantare le mie canzoni in terra straniera? mi diceva. Ero io la sua terra perduta».38 Ma quella terra non può essere raggiunta perché se lo fosse scomparirebbe la voce, la parola. Scomparirebbe il canto di Orfeo, ma anche la parola di Odisseo che ci racconta delle sue avventure, come è capitato a Penolope, che all’incontrare l’uomo Odisseo ha distrutto l’eroe che non potrà avere nuove avventure da narrare. Ma Euridice sa questo e contrariamente a Penelope, che non si interessa della parola né dell’eroe, ma che vuole con sé l’uomo in quanto tale, farà ritornare il suo amato addolorato per non poter trascinarla con sè. Lei rimarrà orgogliosa perché proprio quel dolore lo farà continuare ad essere un vero poeta: «lo strazio per la mia lontanza, il vento che muoveva le corde della sua lira, che lo faceva poeta solo se era senza di me per la pena di essere senza di me».39 Anche il nuovo Orfeo trova nel dolore del viaggio la fortezza per continuare a vivere: Lei dunque capirà, signor Presidente, perché, quando eravamo ormai prossimi alle porte, l’ho chiamato con voce forte e sicura, la voce di quando ero giovane, dall’altra parte, e lui –sapevo che non avrebbe resistito- si è voltato, mentre io mi sentivo risucchiare indietro, leggera [...] io svanivo felice al suo sguardo, perché già lo vedevo ritornare straziato ma forte alla vita.40 Viaggiare è tutto. «Muoversi, comunque, è meglio che niente»41” e lo spostarsi diventa fondamentale in Magris. Ci spostiamo e viaggiamo attraverso i luoghi ma anche attraverso il tempo, diventando con esso più aperti a nuove esperienze. E quando si sta fermi si sente nostalgia del viaggio, così come al viaggiare si sente nostalgia di casa, ma anche nostalgia di una felicità vissuta o no, nostalgia e desiderio che dietro l’angolo ci sia ciò che può riempire le nostre vite. 37 Claudio Magris, Le Voci il melangolo, Genova 1995, p.10-11. Claudio Magris, Lei dunque capirà, Garzanti, Milano, 2006, p.39. 39 Idem., p.53. 40 Idem., p.55. 41 Claudio Magris, Danubio, cit., p.12. 38 7