Come coinvolgere i genitori nel cammino di Fede dei figli

Transcript

Come coinvolgere i genitori nel cammino di Fede dei figli
Come coinvolgere i genitori nel cammino di Fede dei figli
don Bruno Ferrero
Visto l’argomento affidatomi, provo a partire da una semplice constatazione: “Nessuno guida un altro
dove non è mai stato; in altre parole non si può dare ad altri quello che non si ha”.
La prima cosa che si deve fare quando si parla di fede, o quando si fa il catechismo, è quello di
intronizzare la “Bibbia”, l’insieme del Vecchio e Nuovo Testamento, e intronizzare la Bibbia vuol dire
darle il giusto posto che le spetta. E subito dopo bisogna parlare della famiglia perché senza di essa è
impossibile, impensabile pensare di fare educazione religiosa e catechesi. Questo perché, senza la
famiglia, manca una parte fondamentale ed essenziale di coloro che sono corresponsabili dell’educazione
e della catechesi.
Sul versante della catechesi dobbiamo tranquillamente dire di avere già perso tre generazioni, e che, in
questo momento, stiamo rapidamente perdendo la quarta a meno che non si decida di fare rapidamente
qualcosa. Se questo non avviene velocemente il risultato noi lo abbiamo già a portata di vista: diverremo
come la Germania e la Francia, con il brutto spettacolo delle chiese vuote. I vescovi francesi, pensando di
coinvolgere i genitori, hanno chiesto loro: “ma perché non mandate i bambini al catechismo?”. Hanno
ricevuto tantissime risposte, ma il tenore delle risposte era sempre questo “ma che cos’è il catechismo?”
Avere perso tre generazioni significa che ci sono in giro moltissimi ragazzi che non hanno mai sentito
parlare di Dio e di Gesù, a casa loro, in un modo normale, da mamma e papà, da nonno e nonna, da
bisnonno e bisnonna. La cosa si sta allargando e ci interpella: che cosa fare? La presenza dei genitori è
insostituibile, senza il loro intervento quello che si fa fuori della famiglia lascia le cose esattamente
com’erano prima, senza il loro coinvolgimento non parte la cinghia di trasmissione della fede in Gesù,
della fede in Dio e questo, parlando di famiglia, è il punto più dolente.
Vi presento un brano dal Libro di Giosuè dove si parla dell’entrata del popolo di Israele nella Terra
Promessa. Come Mosè anche Giosuè opera la divisione delle acque per attraversare il Giordano con
l’Arca dell’Alleanza in testa. Il Signore disse a Giosué (4,2-4): «Sceglietevi tra il popolo dodici uomini,
un uomo per ciascuna tribù, e comandate loro di prendere dodici pietre da qui, in mezzo al Giordano, dal
luogo dove stanno immobili i piedi dei sacerdoti, di trasportarle e di deporle dove questa notte
pernotterete» e Giosuè fece come gli era stato ordinato. Il libro di Giosuè continua spiegando : «queste
dodici pietre ricorderanno quanto Dio ha fatto per il Popolo di Israele. Quando un domani i vostri figli vi
chiederanno che cosa significhino per voi queste pietre, direte loro che queste pietre ricorderanno a tutti e
per sempre quanto Dio ha fatto per il Popolo di Israele nell’uscita dall’Egitto». I ragazzi di oggi le hanno
le dodici pietre di Giosué’? Per esempio se vedono il libro della Bibbia, ammesso che lo vedano, e vi
chiedono: “quale significato ha per te mamma, per te papà questo libro?” cosa risponderemo loro?
Capite anche voi che non dovremo solo dire di leggere il libro. Quello a cui noi dobbiamo puntare è la
creazione di una nuova atmosfera famigliare, che non è detto debba essere necessariamente e tipicamente
religiosa, ma deve essere sicuramente e profondamente umana. Questo è il primo problema: che cosa sta
accadendo all’interno delle famiglie? Riporto adesso una lettera che è lo spaccato normalissimo di quello
che in fondo la gente pensa. Una mamma scrive:
“È domenica sera, e anche questa è passata monotonamente come tutte le altre domeniche. Non un
pensiero per me da nessuno, non una parola di incoraggiamento e conforto per una mamma ed una moglie
che ha rinunciato alla propria vita per dedicarsi solo ed esclusivamente alla famiglia (Incominciamo già
maluccio. Non si rinuncia a niente per dedicarsi alla famiglia, non è mica un lavoro forzato!). Quelli che
mi conoscono mi direbbero: ma che cosa vuoi”?
È lì che dobbiamo andare a lavorare. Io ho scoperto che quando voglio coinvolgere i genitori devo parlare
sul tema “Che cosa vuol dire aiutare i vostri figli a riuscire meglio a scuola”. Vengono tutti e tutti mi
ascoltano. È un sistema che funziona sempre, ma di che cosa parlo in realtà? Il segreto del successo è
questo: ricominciamo a parlare di vocazione! Che cosa vuol dire vocazione? Vuol dire prendere la vita
come una chiamata. Serve per i preti e le suore, ma in realtà serve per tutti, è un altro modo di pensare. Ci
sono due alternative. Figli miei: o l’uomo è stato fatto da Dio o pensiamo che l’uomo sia arrivato qui per
caso, come dice la fisica Margherita Hack.
Oggi la Chiesa , Dio, Gesù Cristo sono fatti oggetto di attacchi demolitori concentrici, attaccare i cristiani
è diventato un passatempo, una forma mentale diffusa e velenosa. I bambini dove vivono? Perché non se
ne parla senza paura? Invece tutti tengono la bocca chiusa. Quello che dice la nostra signora fa parte di
questo modo di pensare normale che ormai è entrato dentro di noi. Le nostre alternative cominciano ad
essere piuttosto difficili anche da accettare. Parlando della Bibbia voi dite che è “Parola di Dio”. Ma lo
credete veramente? Fino a che punto siete convinti che la Bibbia è parola di Dio? Se questa è parola di
Dio, io in questo momento ho un in mano pezzo di Dio. Se noi siamo stati fatti da Dio è segno che noi
siamo voluti da Dio, che ognuno di noi ha la sua chiamata, è chiamato a fare qualcosa che può fare
soltanto lui perché nessuno è uguale a qualcun altro. O è così, e siamo qui per un progetto,
oppure…arrangiatevi un po’. Non è quello che viene detto a tutti i bambini e tutti i ragazzi? Per quante
persone la vita è percorrere il miglio verde, la distanza che lo separa dalla sua fine? E allora la vita in
mezzo che cos’è? Lo vorrei proprio vedere un papà che dice al figlio: vedi figlio mio, queste sono tutte
balle. Si torna così all’alternativa: o è così, cioè è parola di Dio, o sono balle, non abbiamo alternative.
Bisogna scegliere!
In mezzo c’è la finzione, stiamo diventando il paradiso di coloro che fingono. Questo non può più essere.
Pensate che i bambini non se ne accorgano? È chiaro che tutto è per finta per molti di loro. “Parola di
Dio”: lo diciamo tutte le domeniche! Quanti davvero credono che quella è una Parola che viene da
Qualcuno che neanche riusciamo ad immaginare? Questo è il vero problema, ed è di qui che dobbiamo
ripartire. Ci sono delle cose che sono fondamentali, e queste sono le pietre di Giosuè. Possono essere
dodici ma possono essere anche meno. Non avete idea di quante volte ho chiesto a della gente “dimmi
almeno dieci buoni motivi per essere cristiani”. Raramente arrivano ad uno e quando lo dicono loro stessi
si convincono che non poi un gran buon motivo. E allora?
Il problema è una forma mentale che si sta diffondendo e andare contro una forma mentale vi assicuro che
è molto difficile. Ma si tratta di ritrovare allora un terreno comune che è quello proprio delle cose che
accadono, della vita. Vi assicuro, se voi parlate del successo scolastico, se parlate di vocazione, ad un
certo punto arrivate alle prime parole che aprono questo libro che sono : “In principio Dio creò il cielo e
la terra”. È qualcosa di grandioso, di fantastico. Significa: Dio ha voluto questo mondo come una mamma
vuole il suo bambino. Lo ha voluto, ha voluto te, ha voluto voi. Nessuno di noi ha chiesto di nascere. Tutti
siamo stati chiamati. Credete che i bambini non lo sappiano questo? Una bambina di solito a otto anni
dice la frase più saggia che si possa dire sulla terra. Si rivolge alla mamma e con fare indagante dice: ma
se ti do tanto fastidio, perché mi hai fatto nascere? Cominciate a spiegare ai genitori che dicono ai figli
perché li hanno voluti, perché li hanno fatto nascere, che cosa vuole dire questo: Dio ti ha voluto, tu sei
stato chiamato, sei venuto per fare qualcosa. L’alternativa: la morte chiude tutto, o no? Qui non sono
questioni di statistiche sociologiche. Quelle ci fanno paura perché i cristiani che credono nell’aldilà sono
sempre di meno. Ma è quello che crediamo noi, quello che viviamo noi! Davvero è proprio così?
Torniamo alla lettera della signora che si lamentava. Gli altri le dicono:
Hai tutto! Una bella casa, una macchina personale, pellicce, gioielli, due bei figli, un marito con un’ottima
posizione che non ti fa mancare nulla.
Avete visto la scaletta? Casa, macchina, pellicce, gioielli, figli, marito. Capite che la scaletta è
semplicemente da capovolgere? Questa è la seconda cosa, una scala di valori completamente diversa,
alternativa: noi partiamo dall’altra parte. Come si fa a partire dall’altra parte? Semplice, bisogna partire
dalle persone, non dalle cose.
Ma dentro di me c’è il vuoto, manca tutto.
Questo è l’altro problema. Ora, me lo dite come si fa ad educare dei figli se dentro noi siamo vuoti? Se
molte persone sono come delle teiere che vuotano, vuotano, vuotano, ma non si alza mai il cappellino per
metterci qualcosa dentro? Se non troviamo questi momenti, a che serve tutto il resto? Dei momenti in cui
si dice: bene, vieni, e cerchiamo di mettere un po’ di benzina per quello che abbiamo dentro! Se non si fa
questo saranno: vuoto, nervosismo, urla, tensione. Si va avanti un po’ poi si sclera, non si resiste!
Si può fare entrare un concetto. Vedete tutte le nostre belle chiese quanti confessionali hanno. Avete
chiesto ai bambini che cosa sono quegli armadi lì? A che cosa servono? Quanta gente si confessa? Il
problema è molto serio perché quei pochi che si confessano arrivano con la lista, al di là di quelli che
dicono “non so proprio che cosa dire”. Ma andarsi a confessare significa andare con la lista? Ma è questo?
Noi abbiamo dimenticato che il catechismo è la cosa più semplice della terra: è fatto di tre piccolissimi
movimenti: il primo è “io”, il secondo è “incontro la Parola di Dio”, il terzo, che è quello che conta di più,
è “e cambio”. Detto tutto di seguito è: io incontro la Parola di Dio e cambio! Se non c’è questo a che
serve? Se uno va al catechismo, e quando esce è tale e quale come è entrato, scusate “ma che c’è andato a
fare”? Se uno va a messa e quando esce è uguale esattamente come è entrato, cosa ci è andato a fare, se
uno incontra Gesù e non cambia? È come non lo avesse incontrato, non serve proprio a niente! Quando
Gesù dice quella bellissima frase, la nona beatitudine, “E beato chi non si scandalizzerà di me” significa
proprio questo; incontrarsi con Lui vuole dire cambiare.
Molte volte ho la sensazione che venga presentato un Dio inutile. Perché la gente lo trascura, lo mette ai
margini della propria vita. Perché Dio cosa fa? Quante volte presentiamo Dio come un morbido
“peluche”: è tanto buono, Lui perdona tutto. Tutto bene, vai tranquillo. Un Dio così è inutile! E
ricordatevi una cosa, anche Dio è una delle pietre di Giosuè. Di che Dio noi parliamo? Noi non
trasmettiamo il Dio di Gesù, ma un “peluche” morbido che va bene per tutte le stagioni. Quando parlo di
Dio, io parlo dell’importanza del padre nell’educazione famigliare. A un padre forte corrisponde un figlio
forte. Nell’educazione di oggi, cosa significa un padre? È il segreto della buona educazione, con buona
pace delle madri, ma non dimentichiamo che un padre è basilare!
Nella Bibbia Dio è forte. Quando voi dite Santo, Santo, Santo, voi dite qualcosa di grande, non peluche,
peluche, peluche! Noi ci stupiamo quando vediamo gli islamici stendere per terra il loro zerbino e
mettersi a pregare in pubblico e dire “Allah è grande”. Alla forza di un Dio grande corrisponde il
coraggio. Noi siamo cristiani pavidi, vi assicuro che se dite ad un padre o ad una madre “parla tu, spiega
tu la storia di Gesù ai tuoi bambini” loro non lo fanno! Allora il catechista dovrebbe torcere loro il collo e
dire: “Se non lo fate voi, io non lo farò. Siete voi che dovete parlare di Gesù ai vostri figli!” È una forma
mentale che non esiste più, che ha ormai radici troppo profonde, ma se ricominciamo da quello che è
l’aspetto umano noi possiamo ancora arrivare. In fondo è il principio dell’incarnazione di Gesù. Dio ha
cominciato così: si è preso due piedi da uomo, due mani, un cuore, una testa e ha cominciato a
camminare, e noi dobbiamo ricominciare così.
Noi dobbiamo ricominciare dal profondo del nostro essere persone umane, dobbiamo ritrovare quello che
il libro della Bibbia ci dice, ma ritrovarlo per sentirlo veramente come qualcosa che ci interpella fino in
fondo, per cui noi cambiamo. Se volete c’è una domanda molto bella subito dopo, e molto attuale. Dio è
rispettoso, i prepotenti usano i punti esclamativi, Dio usa moltissimo il punto interrogativo e dopo la
domanda personale ad Adamo “Dove sei?” c’è quell’altra domanda rivolta a tutti “Caino, dov’è tuo
fratello? Che cosa ne hai fatto?”. È ora che la piantiamo di fare morire della gente in giro altrimenti che
cosa diciamo ai bambini, facciamo finta? Dov’è la verità di quello che noi crediamo, deve venire fuori, è
questo il problema: troppe finzioni.
Le parabole di Gesù non sono per i bambini, e non devono essere raccontate ai bambini. Sono le cose più
serie che esistono e sono indirizzate agli adulti che hanno dimenticato che Dio non scherza mai. Quante
sono le parabole che finiscono con uno all’inferno? Parliamo solo di quella della pecorella? E le altre?
Come finisce quella delle dieci vergini sagge e dieci stolte? O quella dei talenti? Se parliamo di vocazione
dobbiamo parlare di questa cosa qui, del proprio compito umano. La vita non è uno scherzo, è un
momento importantissimo. Ed è parlando della vita a genitori e bambini che noi incominciamo a parlare
seriamente di tutto. Volete parlare seriamente della vita? Cominciate a parlare della morte. Per i bambini
la morte è diventata una cosa virtuale: in tutti i giochi elettronici per arrivare alla fine del gioco bisogna
togliere la vita a qualcosa o a qualcuno.
Quando andiamo a confessarci a Dio non interessa la listarella, l’elenco delle cose che noi facciamo. A
Gesù interessa sapere cosa c’è dentro di noi, chi siamo veramente noi, fino in fondo!
Ma torniamo alla lettera della donna di cui parlavamo prima, vuota dentro, con la scala di valori con i figli
ed il marito all’ultimo posto. Una donna così che fine farà? Ma scommettiamo che anche voi dite: sì, però
alla fine i figli ed il marito c’erano. Io dico: sì, alla fine c’erano, ma erano alla fine, dopo la macchina, la
casa, le pellicce ed i gioielli. Sono le persone che valgono, non le cose. Le persone non vanno messe al
fondo, ma devono stare prima di tutto il resto. E la signora prosegue:
Domani ricomincia la settimana. Sveglia presto, via in macchina ad accompagnare i ragazzi, le solite
spese, il pranzo consumato senza parlare con mio marito (lo butta lì, è la causa di tutto). Di nuovo in
macchina a prendere i figli a scuola, al pomeriggio aiutarli a fare i compiti, portarli in palestra, andarli a
prelevare, preparare la cena, sbrigare le solite faccende, crollare dalla stanchezza e nonostante tutto
ringraziare il Signore per essere riuscita a avercela fatta anche oggi (questa non è la vita, è la guerra del
Vietnam). Mezzora per me non la trovo mai, non ho più amicizie, mi sono isolata totalmente in queste
quattro mura troppo grandi ma troppo strette. Non ho tempo né per me né per gli altri, solo per i miei figli
e per fare funzionare meglio che posso questa baracca.
Volete parlare della Chiesa? Non si comincia parlando del Papa e dei Vescovi. Neanche del Parroco di per
sé, anche se qui il problema comincia a diventare delicato. Qual è il vero obiettivo della catechesi
parrocchiale? Il vero obiettivo è costruire la comunità parrocchiale! Se arrivati intorno alla seconda-terza
media sono spariti tutti, ma cosa avete costruito? E questa è una cosa seria che interessa anche i genitori
se gliela presentate nel modo giusto. Tutti i genitori hanno un piccolo problema: esiste un terzo stadio
dell’educazione e si chiama “rinforzo sociale”. È qual curioso fenomeno per cui i bambini, i ragazzi
arrivati ad un certo punto hanno assolutamente bisogno di amici, hanno bisogno di un gruppo, ed è facile
sperimentare la forza di un gruppo perché la prima cosa che si vede è che immediatamente quello che i
genitori hanno cercato di dare ai loro figli viene messo in discussione da questo gruppo di amici. E a
questo punto i loro figli a chi credono? L’amarezza di molti genitori è che vedono improvvisamente che i
loro figli credono più ai loro amici anziché a loro.
Avevo una chierichetta intelligente, era sempre stata la prima della classe. Un giorno la mamma mi ferma
e mi dice: sono preoccupata, non studia più. Quando la vedo le chiedo: perché non studi più? Le mi
risponde che da ora in avanti non studierà più. Ma perché, le chiedo? Perché se studio il mio gruppo mi
dice che sono secchiona, mi emargina e mi toglie la sua amicizia. Volete un altro caso? Un ragazzo era il
primo della classe. Quelli del suo gruppo gli hanno messo la testa, capisco che è brutto da dire, gli hanno
messo la testa nel cesso. No, avete proprio capito bene, proprio tutta nel cesso, immersa nel liquido tanto
per fargli capire che non deve studiare troppo. Il “branco”, per chi ci finisce dentro, dice come devi
vestirti, se l’ordine è “cavallo basso” tutti con il cavallo basso e tutti a strusciare i pantaloni per terra, il
branco dice come devi parlare, dove devi andare, cosa devi prendere e cosa non devi prendere e dove non
devi andare. E lo decide il “branco”. Si chiama rinforzo sociale. Domanda: ma i genitori dove sono? Non
esistono più? Sono scomparsi? Come fanno a tollerare queste cose? Controllano con chi escono i loro
figli, e cosa fanno quando sono in giro?
Ora tutti noi abbiamo bisogno del rinforzo sociale. La prima cosa che Gesù ha fatto, ha fatto un bel
rinforzo sociale: la comunità ecclesiale. Capite che la costruzione della Comunità è tutto? Che è molto di
più di un “branco” qualsiasi. Questo vuol dire che tu, nella tua comunità, incontri Dio, e Dio si incontra
con te nella tua comunità, il che si può anche esprimere così: tu tocchi Dio nella tua comunità. Guardate
la realtà dei sacramenti com’è concreta, come Dio è concreto. Le sue parole sono qui, in questo libro,
nella sacra scrittura. Sono cose leggibili, constatabili. Gesù è venuto a portata di occhi, di mani, voleva
essere visto, toccato, sentito. Dio è concreto perché esiste, perché è vero. Questa è la realtà che deve
passare nella concretezza della comunità, ma la comunità esprime ancora questa realtà?
Ed è di qui che dobbiamo passare. Gesù anche in questo è terribile. La parabola della Chiesa è quella
della vite. Dice: se un ramo è secco va tagliato e bruciato. Non possono esistere rami secchi, i rami
devono essere vivi. Quelli secchi si tagliano e si bruciano! I rami devono essere attaccati ed allora si
capisce la realtà dell’Eucaristia, si capiscono i 10 Comandamenti. Sono un codice d’amore.
Nell’Eucaristia è un dono totale “prendete e mangiate”, nel primo comandamento pure “guarda che sono
Io quello che devi amare, e sono qui per te”. Così si capisce pure la realtà matrimoniale, che è dono dei
corpi. E Gesù ha fatto lo stesso, donando la propria vita.
Non esiste l’espressione “è un bravo cristiano ma non frequenta tanto”. Che cosa vuol dire? Quello non è
assolutamente un bravo cristiano! La realtà è vivere queste cose. Se non le vivi che cosa dai ai tuoi figli?
Facciamo finta, ci mettiamo il cappellino del clown ogni tanto? È ritrovare veramente ciò che fa di noi
qualcosa di diverso da quello che comunemente c’è. Allora torneremo a farci capire. Noi dovremmo
essere felici, ma sono felici i cristiani?
Veniamo nuovamente alla lettera della nostra signora:
I figli devono arrangiarsi, ormai sono grandi. Quante volte mi sento ripetere questo ritornello. Ma i figli
sono carne della nostra carne, non hanno scelto loro di venire al mondo, ed hanno il diritto di essere
seguiti, aiutati e indirizzati per la strada giusta. Il loro padre è troppo occupato con il suo lavoro e poi lui
certe cose non si sente di farle. Tappezzeria! (in una famiglia dove un padre fa tappezzeria è inutile
parlare di Dio).
Quando si va in chiesa e si dice “Padre nostro” quella parola “Padre” che cosa vuol dire? Forse vuol dire
“facciamo finta che”? È questo? Davvero non vuol dir niente? Capite come può poi diventare davvero
difficile parlare con le persone? È chiaro che i bambini vi chiedono “ma Dio è sposato?” E allora come fa
ad avere un figlio? E chi è sua moglie? Ed è evidente che si risponde a queste cose, sempre! Si risponde
sempre alle domande dei bambini, sempre! San Pietro dice di rendere conto della speranza che è in noi.
Rispondete! Però mi trovo sempre di più con dei cristiani che alle domande più semplici non sanno
rispondere.
La gente non credente dice: “La vita è bella. Ma poi purtroppo si muore” Invece il cristiano dice: “La vita
è bella. Ma poi finalmente si muore”. Scommettiamo che non vi piace? E allora? Ascoltate questo, io
parto sempre da problematiche puramente umane proprio per fare vedere che è lì che noi incontriamo
Gesù. È un racconto che ho messo in un libro intitolato “Come parlare della morte ai bambini”.
«In un grembo vennero concepiti due gemelli. Passavano le settimane e i due bambini crescevano. Nella
misura con cui cresceva la loro coscienza aumentava la gioia. Uno dei due “Non è fantastico che siamo
stati concepiti? Non è fantastico che noi viviamo?” I gemelli iniziarono a scoprire il loro mondo. Quando
scoprirono il cordone ombelicale, che li legava alla madre dando loro il nutrimento, cantarono di gioia.
“Quanto è grande l’amore di nostra madre che divide con noi la sua stessa vita!”. A mano a mano che le
settimane passavano, però, trasformandosi poi in mesi, notarono improvvisamente com’erano cambiati.
“Che cosa significa”, chiese uno. L’altro rispose “significa che il nostro soggiorno in questo mondo presto
volgerà alla fine”. Il primo ribatte “ Ma io non voglio andarmene, vorrei restare qui per sempre”. “Non
abbiamo scelta” replicò l’altro, “ma forse c’è una vita dopo la nascita”. “E come può essere” domandò il
primo dubbioso, “perderemo il nostro cordone di vita, come faremo a vivere senza di esso, e per di più
altri hanno lasciato prima di noi questo grembo e nessuno di loro è tornato a dirci che c’è una vita dopo la
nascita. No! La nascita è la fine!”. Così uno di loro cadde in un profondo affanno e disse “Se il
concepimento termina con la nascita, che senso ha la vita nell’utero? È assurda, magari non esiste nessuna
madre dietro tutto ciò”. “Ma deve esistere” protestò l’altro, “altrimenti come avremmo fatto ad entrare
qua dentro, e come faremmo a sopravvivere?”. “Hai mai visto nostra madre?” domando l’uno, “Magari
vive soltanto nella nostra immaginazione, ce la siamo inventata, perché così possiamo comprendere
meglio la nostra esistenza (è Freud che dice così)”. E così gli ultimi giorni nel grembo della madre furono
pieni di mille domande e di grande paura. Infine venne il momento della nascita. Quando i gemelli ebbero
lasciato il loro mondo aprirono gli occhi e gridarono. Ciò che videro superava i loro sogni più arditi. Un
giorno finalmente nasceremo!»
Provate a vedere la vita partendo di qui. Quante cose cambiano, provate a pensarci, quante cose. Funziona
ancora? Quando porterete i vostri bambini del catechismo ad un funerale vedrete quante cose vi
chiederanno! Io li ho mandati a comprare un righello ed ho fatto loro misurare lo spazio che c’è tra la data
di nascita e quella di morte. Oh, loro lo fanno! Poi ho chiesto loro: “E quella è la vita? È tutta lì?” Non
avete idea di quello che mi hanno detto, come hanno capito benissimo che la vita è un’altra cosa. Il
discorso è più difficile da fare con i genitori, quando chiedete loro di parlare con i loro bambini e di dire
loro che cosa vuol dire morire. Vedrete come parlare di morte sia una cosa seria e come questo discorso
renda seria la vita, e che la vita non è un gioco.
E morire in senso cristiano, che cosa vuol dire? Noi non stiamo percorrendo il miglio verde, non andiamo
alla sedia elettrica! Ma capite che, o è realtà, o è una balla? E se è una balla, che Dio abbia pietà di noi!
Quello che si vive diventa una cosa che ci interessa molto. Siamo così arrivati alla fine della lettera della
nostra signora:
A volte ho l’impressione di non farcela più ma bisogna andare avanti. In casa c’è bisogno di me. Vorrei
dirti ancora tante cose ma devo preparare la cena che, come al solito verrà consumata in silenzio attorno
ad un tavolo dove quattro estranei si siedono per abitudine.
Estranei, abitudine, silenzio. Ve la posso leggere adesso con quella che normalmente è la conseguenza?
“Vorrei dirti ancora tante cose, ma devo andare a messa che come al solito verrà consumata in silenzio
attorno ad un altare, dove quarantaquattro estranei si siedono per abitudine.” È la stessa cosa! È la
medesima cosa! È un mondo con una mentalità. Sono le famiglie che creano un’atmosfera, ed è questa
atmosfera che noi respiriamo. Su che cosa dobbiamo agire? Occorre ritrovare quello che vuol dire “amore
famigliare”, occorre ritrovare quello che vuol dire la parola “perdono”. Conoscete molta gente che sappia
cosa vuol dire perdonare? Insegnare ad un bambino a chiedere scusa è insegnargli la cosa più grande
dell’universo. Significa dirgli: “bimbo mio tu sei responsabile di quello che fai, e di quello che fai agli
altri”. Dio prende molto sul serio quello che noi facciamo ai nostri fratelli, Dio prende molto sul serio le
relazioni che esistono tra di noi.
Vi racconto una barzelletta. Una sera un bravo parroco, con una bella canonica, sente bussare a notte
fonda. Va a vedere dalla finestra e vede che è un giovane con aria agitata, che lui conosce come uno
spacciatore, uno che ne fa di tutti i colori. Apre e gli chiede: che cosa vuoi? Il giovane gli dice: mi faccia
entrare perché fuori c’è gente che mi vuole ammazzare. Il parroco dice: va bene, ma io non voglio storie.
Entra e stai qui solo per questa notte, e domani mattina presto te ne vai! Ma quella notte il bravo parroco
muore. Arriva in paradiso e il Signore gli dice: vieni, vieni mio caro buon parroco. Il parroco, tutto
contento, entra, guarda il paradiso e dice tra sé: per fortuna ce l’ho fatta. Ma dopo un po’ Gesù fa: solo per
questa notte però. E domani mattina presto… te ne vai!
È così, “Tutto quello che farete a questi miei fratelli, anche i più piccoli, l’avrete fatto a me”. Qui siamo al
livello della morte di Gesù: quante volte al giorno lo ammazziamo? Occorre ripartire dalla realtà della
famiglia, di che cosa vuol dire essere marito, essere moglie. Capite come diventano importanti tutti quei
momenti che in fondo la Chiesa offre ai suoi figli, una parrocchia offre ai parrocchiani, come il periodo
del fidanzamento, le giovani coppie, le giovani famiglie? Capite che queste cose sono parte integrante
della catechesi, perché se non si parte di qui non ci sarà mai niente dall’altra parte se non finzione? E la
finzione regge poco. È come appiccicare i foglietti dei pro-memoria: stanno su fin che possono, fin che
stanno, ma poi cadono!
Bisogna convincere i genitori che esiste una cosa che si chiama reciprocità: cioè che “Quello che fai ti
ritornerà”. Si chiamano riti. Si apprendono da piccoli sulle ginocchia dei genitori, vengono assimilati, e
vengono poi ridonati lungo il corso della vita. Chi ama sarà riamato, quello che si dà ai bambini tornerà a
noi. È il gioco della “redditio”, se volete, che trasportato sul piano umano, ti tornerà indietro.
Questo è il valore di un rito, se volete. Un rito è qualche cosa. Perché queste cose le comprendete e le
altre cose non le comprendete fino in fondo? Perché noi non viviamo più quello che queste cose vogliono
esprimere, in fondo dobbiamo soltanto trovare l’essenziale. Vi porto un altro esempio: parla una
catechista. “ I ricordi più vivi della mia infanzia si riferiscono a quando mio padre tornava a casa dal
lavoro alle sei e mezza di sera (attenzione che qui il padre c’è). Io e mio fratello lo sentivamo suonare il
campanello più e più volte per gioco fino a quando qualcuno di noi non andava ad aprirgli la porta. Noi
eravamo al piano di sopra a fare i compiti o a guardare la televisione e lanciavamo grida di entusiasmo
quando sentivamo quel famigliare scampanellio. Ci precipitavamo giù per le scale, spalancavamo la porta
di casa e a quel punto lui ci diceva: come mai ci avete messo tanto?”
Avete sentito, quello era il momento migliore della giornata quando lui tornava a casa. Questo insegnatelo
pure subito: “chiunque lascia la casa deve essere baciato ed abbracciato, chiunque ritorna deve essere
baciato ed abbracciato, sempre”! Così piano piano si impara a capire che cosa vuol dire “Il Signore sia
con voi” all’inizio dell’Eucaristia e la “Benedizione finale” al termine della celebrazione.
La nostra fede è una cosa bellissima, che davvero ci fa vivere in un modo diverso. Ma se abbiamo questa
fede facciamola vedere, perbacco! Perché abbiamo così paura di farla vedere? Non ce la poniamo mai
questa domanda? Ed in fondo è la domanda da porre ai genitori: ma perché avete paura? Paura di Dio, di
Gesù?
Andiamo avanti nel racconto della catechista “C’è un altro ricordo personale che mi accompagnerà per
sempre e si riferisce a quello che per mio padre era un vero rito quotidiano: la cena (un inciso: fateli fare
questi riti! Se non c’è mai all’interno della famiglia un patto in cui veramente si parla, si ascolta, si
condivide, si mangia, che razza di famiglia è?). Ci accomodavamo a tavola tutti insieme e poi lui,
posando una mano sul braccio della mamma diceva: ma voi due lo sapete che avete la mamma più
straordinaria del mondo? E questa era la frase che mio padre amava ripetere tutte le sere”.
Questo in fondo volevo dire, coinvolgere le famiglie molto di più che non fare dei discorsini in cui si
ripetono un po’ le solite cose, si danno gli orari, e si sceglie la data della prima comunione.
È un’altra cosa quella che bisogna fare. È ripartire da quella umanità che ci lega, da quella fede che ci
accomuna tutti quanti, e ricostruire il senso profondo di quello che si vive. I genitori lo vivono, lo vivono!
Quante cose vivono! Vivono gioie, vivono dolori, vivono le cose normali ed è di li che bisogna ripartire.
Hanno preoccupazioni per i loro bambini, i loro figli, perché non ripartire di lì?
Ed infine non bisogna divagare, occorre parlare delle cose che veramente contano.
Riportiamo tutta di seguito, e senza commenti, la lettera che ha guidato la riflessione di don Bruno:
Una mamma scrive: “È domenica sera, e anche questa è passata monotonamente come tutte le altre
domeniche. Non un pensiero per me da nessuno, non una parola di incoraggiamento e conforto per una
mamma ed una moglie che ha rinunciato alla propria vita per dedicarsi solo ed esclusivamente alla
famiglia. Quelli che mi conoscono mi direbbero: ma che cosa vuoi”? Hai tutto! Una bella casa, una
macchina personale, pellicce, gioielli, due bei figli, un marito con un’ottima posizione che non ti fa
mancare nulla. Ma Dentro di me c’è il vuoto, manca tutto.
Domani ricomincia la settimana. Sveglia presto, via in macchina ad accompagnare i ragazzi, le solite
spese, il pranzo consumato senza parlare con mio marito. Di nuovo in macchina a prendere i figli a
scuola, al pomeriggio aiutarli a fare i compiti, portarli in palestra, andarli a prelevare, preparare la cena,
sbrigare le solite faccende, crollare dalla stanchezza e nonostante tutto ringraziare il Signore per essere
riuscita a avercela fatta anche oggi. Mezzora per me non la trovo mai, non ho più amicizie, mi sono
isolata totalmente in queste quattro mura troppo grandi ma troppo strette. Non ho tempo né per me né per
gli altri, solo per i miei figli e per fare funzionare meglio che posso questa baracca,
I figli devono arrangiarsi, ormai sono grandi. Quante volte mi sento ripetere questo ritornello. Ma i figli
sono carne della nostra carne, non hanno scelto loro di venire al mondo, ed hanno il diritto di essere
seguiti, aiutati e indirizzati per la strada giusta. Il loro padre è troppo occupato con il suo lavoro e poi lui
certe cose non si sente di farle. Tappezzeria!
A volte ho l’impressione di non farcela più ma bisogna andare avanti. In casa c’è bisogno di me. Vorrei
dirti ancora tante cose ma devo preparare