Marco 16:1-8 Tre donne si mettono in cammino nella luce incerta e

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Marco 16:1-8 Tre donne si mettono in cammino nella luce incerta e
Marco 16:1-8
Tre donne si mettono in cammino nella luce incerta e fredda che precede l’alba: il chiarore
che prepara, da oriente il sorgere del sole, preannunciato dai colori tra il rosa e l’oro
dell’aurora imminente.
Le indicazioni di tempo, dell’ora del giorno in cui gli avvenimenti che ci vengono narrati si
svolgono, è dato con precisione.
Si usava, secondo il costume romano e greco, dividere la notte, il periodo dopo il tramonto
e prima dello spuntare del sole, in quattro parti di tre ore ciascuna: la sera (dal tramonto
alle ventuno), metà della notte (dalle ventuno a mezzanotte), canto del gallo (dalla
mezzanotte alle tre del mattino), mattino presto (dalle tre all’alba); inutile dire che le ore
non erano sempre uguali durante il giorno, per la diversa durata, secondo la stagione, del
dì e della notte, della luce e del buio.
All’atmosfera, all’impressione di un tempo sospeso tra buio e luce, al freddo che sempre
precede l’alba possiamo immaginare corrisponda lo stato d’animo delle tre donne, che
camminano, avvolte nei loro mantelli, per ripararsi dal freddo che vien da fuori e da quello
che vien da dentro, meste per la perdita dell’amato Maestro, per la sua morte, e che morte
terribile!
Portano con sé gli aromi per ungere il corpo di Gesù, ultimo, estremo gesto d’amore e di
umana pietà, quasi a compensare la violenza, che su di lui s’era accanita, fino a ucciderlo.
Il sepolcro dove Gesù giace è il luogo dell’azione e costituisce l’elemento centrale
dell’intero racconto, che possiamo, infatti, dividere in quattro momenti: lontano dal
sepolcro, verso il sepolcro, al sepolcro, dentro il sepolcro e, infine, via dal sepolcro.
Il sepolcro è, per le tre donne, il posto nel quale pensano di trovare Gesù: il suo corpo
senza vita, naturalmente, ciò che rimane di lui e che possa essere visto e toccato; è la
meta del loro cammino che non ci vien detto quanto sia lungo né quanto duri: vi giungono,
comunque, allo spuntar del sole o quando il sole è già sorto.
Ci vien detto solo che, per via, il loro discorso si concentra su un problema pratico: la
grossa pietra che chiude la tomba: Chi ci rotolerà la pietra dall'apertura del sepolcro?
La pietra rappresenta per loro la difficoltà, l’ostacolo da superare per arrivare a Gesù e
poter fare ciò che hanno deciso: dare l’estremo saluto, tributare gli onori funebri al
Maestro, seppellito in gran fretta quel Venerdì pomeriggio …
La pietra, nella loro immaginazione si fa sempre più grande, pesante, impossibile da
spostare.
E’ così per noi quando ci troviamo a dover superare, volenti o nolenti, una prova che
sentiamo particolarmente difficile o gravosa: tutto si ingrandisce, sentiamo di essere
inadeguati, incapaci, deboli; poi bene o male la prova passa e il cammino continua.
Inaspettatamente, al loro arrivo, quando la pietra immaginata diventa reale davanti ai loro
occhi, la trovano già rotolata, spostata.
Il problema che le preoccupava, che le angosciava, cui dovevano cercare una soluzione è
lì, già risolto: non era una difficoltà da nulla, la pietra era davvero grande, pesante e, forse,
anche pericolosa da spostare.
L’umana preoccupazione si scioglie, così, davanti alla soluzione divina: la pietra già
rotolata via non è solo una provvidenziale e inspiegabile circostanza, che consente loro di
realizzare ciò che avevano deciso per Gesù, onorarlo e, con un ultimo saluto,
accompagnarlo, con affetto, nella morte.
Loro certo non lo sanno, ma le sorprese non sono finite.
La pietra rotolata è la svolta: il racconto prende una piega del tutto inaspettata, in un
crescendo di situazioni nuove e inattese.
Un giovinetto vestito di bianco le accoglie: una presenza sorprendente, e noi intuiamo
subito che si tratta di una presenza angelica; il giovinetto parla a nome e per conto di
Gesù.
Le donne cercano Gesù, il crocifisso, ma è risorto, ecco perché non è lì, dove pensavano
di trovarlo; compito delle donne è ora di avvisare i discepoli, Gesù li attende in Galilea, là
lo incontreranno vivente, risorto; proprio come aveva loro anticipato non una, ma tre volte,
parlando della sua imminente passione, morte e resurrezione e subito dopo l’ultima cena:
Ma dopo che sarò risuscitato, vi precederò in Galilea.
Il sepolcro non può essere più il luogo nel quale incontrare Gesù crocifisso e morto, Egli è
il vivente, che Dio ha risvegliato dai morti: la tomba è vuota.
La tomba vuota non è la prova di nulla, naturalmente, sarà l’incontro con Gesù risorto e
vivente a spiegare il significato di quella tomba vuota.
Il corpo di Gesù non è lì perché è resuscitato: ciò che apparirà ai discepoli non sarà una
vana visione, l’apparizione di una fantasma, ma un corpo reale e concreto, anche se
trasfigurato.
Nel discorso del giovinetto alle donne riconosciamo qualcosa delle parole profetiche e
qualcosa della predicazione cristiana.
Come nella profezia troviamo l’esortazione a non temere, si spiega alle tre donne una
realtà, che non saprebbero interpretare e vien conferito loro l’incarico di portare un
messaggio.
Le parole del giovinetto esprimono in sintesi la predicazione cristiana: Gesù il Nazareno
che è stato crocifisso; egli è risuscitato …
La reazione delle donne, in verità del tutto comprensibile, è di meraviglia, di sbalordimento
e, poi, un incontrollabile tremore e gran paura: reazioni ben prevedibili, che le
chiuderanno, almeno all’inizio, in un silenzio assoluto.
La tradizione, ripresa da Matteo e Luca, racconta invece che le donne hanno parlato,
eccome!
Secondo il racconto di Luca, alcuni non prestano loro fede, ma Pietro, che le prende sul
serio, corre al sepolcro, trovandovi solo le bende, lasciate lì dal risorto.
Se pure si rivolge direttamente alle tre donne, il giovinetto vestito di bianco parla anche e
soprattutto a noi che, almeno idealmente, insieme alle tre donne, abbiamo accompagnato
Gesù, dalla Domenica delle Palme al Venerdì di Passione, lasciandolo senza vita nel
sepolcro.
Non meno che alle donne ci si addita il sepolcro, simbolo stesso del mondo della morte e
segno della nostra finitezza, ormai aperto e vuoto.
Aperto, perché la morte non è più una realtà definitiva, vuoto perché Cristo la morte l’ha
vinta.
Le donne cercavano, nel sepolcro, un morto da onorare ed hanno ricevuto l’annuncio che
Dio aveva trasformato quel corpo senza vita, nel Risorto, nel Vivente, che non può stare in
una tomba, perché nulla più possono, su di lui, i lacci della morte.
Alla morte, concretamente presente nella tomba, che le donne si aspettavano di trovare, si
contrappone la vita, assente da quel luogo, ormai inutile e vuoto, una vita che la morte non
potrà mai più spegnere.
Noi abbiamo, su quelle donne, un non piccolo vantaggio: sappiamo già, e per fede
crediamo, che quella tomba vuota proclama, non solo come segno o in speranza, ma
realmente, già qui ed ora, che la morte è stata sconfitta, se non eliminata, che non ha più
potere su di noi, che Cristo ha vinto e vince.
Dio, in Cristo, ha fatto questo per noi: la disperazione e la rassegnazione sono mutate in
gioia e serenità; dalla morte viene la vita, una vita senza più morte, per sempre.
Sappiamo e crediamo, sì, eppure siamo consapevoli di dover, del continuo, di nuovo
imparare, e ancora, e ancora convertirci dall’incredulità alla fede.
Dobbiamo, di nuovo e sempre, fare spazio al gioioso annuncio di Pasqua nella nostra vita,
nelle occupazioni e nelle preoccupazioni di ogni giorno; la Pasqua dev’essere la luce che
illumina e guida tutta la nostra esistenza.
Proclamiamo, dunque, la resurrezione del Signore, ma anche sui nostri visi si dovrebbe
leggere una felicità profonda e consapevole, quella di chi sa di appartenere, in vita e in
morte, totalmente a Dio, perché, in Cristo, il regno della morte, il nulla eterno, cui eravamo
destinati, è, ormai, definitivamente vinto.
Secondo l’uso greco, salutiamoci, dunque, con il lieto annuncio: Χριστὸς ἀνέστη, ἀληθῶς
ἀνέστη! Cristo è risorto, davvero è risorto! AMEN