“Return to Elwha”: come nasce un multimedia package,Digital
Transcript
“Return to Elwha”: come nasce un multimedia package,Digital
“Return to Elwha”: come nasce un multimedia package Due settimane fa, a Chicago, in occasione della conferenza annuale dell’Online News Association sono stati assegnati gli Online Journalism Awards. Come tutti si aspettavano, l’ormai famoso progetto di Npr, Planet Money makes a Tshirt si è aggiudicato un riconoscimento ed è riuscito a dettare la forma della struttura vincente per i multimedia package, fatta di sezioni e scrollitelling. La maggior parte dei vincitori (e dei finalisti) nelle sezioni in cui erano candidati prodotti di questo genere erano infatti quasi tutti topic pages – progetti in cui la pagina principale è un “raccoglitore” diviso in sezioni, dove in ciascuna si trova una diversa parte della storia o una storia a sé, se ci si sta concentrando su un argomento più vasto – in cui spesso le sezioni o parti interne consistono in lunghi scrollitelling. Due le eccezioni eccellenti: “Rebuilding Haiti” (Rue89) e “Hollow” (Canada National Film Board), due progetti molto più immersivi, in cui l’utente non può scegliere in maniera altrettanto libera cosa guardare. La struttura a sezioni permette agli autori di inserire nel progetto una gran quantità di informazioni e materiale (testo, video, foto, audio, data visualization). In questo modo il lettore ha una panoramica immediata della quantità di materiale a sua disposizione e del tempo che gli serve per esplorarlo; può scegliere la parte che più gli interessa e può orientarsi facilmente nel package senza sentirsi sopraffatto o senza possibilità di scelta. Ha scelto la stessa struttura anche Jason Jaacks della UC Berkeley School of Journalism, autore di “Return to Elwha”, package vincitore a parimerito con “What is Home?” (University of Miami) del premio “Student Project Small”. Il package racconta di un progetto di recupero ambientale nello stato di Washington: la rimozione di una diga (la più grande rimozione di questo tipo mai effettuata al mondo) lungo il fiume Elwha per ripristinare la popolazione di salmoni. Di formazione Jason è un regista e produttore di documentari, ma si è innamorato delle potenzialità offerte da Internet e da un approccio più multimediale allo storytelling giornalistico. Raccontaci come è nato “Return to Elwha” “Ho cominciato a lavorare ad ‘Elwha’ nel 2010 e quando ho mandato la mia application, nel 2011, avevo già lavorato a questo progetto per quasi un anno e mezzo. Inoltre, nonostante io sia un documentarista di formazione, lavorando al progetto mi sono presto reso conto che un documentario non sarebbe stato l’approccio più adatto”. Come mai? “Un documentario con una narrazione lineare avrebbe avuto il suo climax nella distruzione della diga, che per me è invece quasi l’inizio della storia. Tutta la parte immediatamente precedente, in un documentario, sarebbe stato il momento in cui si costruisce il climax, in ‘Elwha’, invece, è il prologo. È qui, dopo la distruzione della diga, che la storia prende atto: stanno tornando i salmoni? Stanno tornando altri animali? Come sta rispondendo l’ecosistema del fiume? E l’economia del territorio? Un documentario classicamente inteso avrebbe perso qualcosa. Ho scelto di dedicarmi a un progetto multimediale perché mi permetteva di affrontare più aspetti di questo enorme progetto di ristrutturazione ambientale e di addentrarmi, anche se solo superficialmente, in tutti i vari personaggi che incontravo e allo stesso tempo di mantenere consistenza e coesione”. Come mai hai scelto questo tipo di progetto, a compartimenti? “Ho diviso il progetto in sezioni perché volevo che fosse come un bouquet di contenuti, ma organizzato: la presenza delle sezioni mi ha quindi permesso di creare una struttura. A un certo punto ho pensato anche alla possibilità di creare un progetto più immersivo, ma poi ho rinunciato. Una delle principali critiche che si sente fare a questi progetti è che sono spesso pozzi dove l’utente si sente precipitare ma non vede il fondo, non vede niente di quello che ha intorno se non quello che è nelle sue immediate vicinanze, uno stato completamente innaturale per gli esseri umani. Alle persone piace sapere dove stanno andando, avere una mappa dei contenuti. Se invece è tutto un ‘inthe-moment-decision-making’ si sentono spesso sopraffatte e dopo pochi minuti abbandonano l’esperienza. Penso che quella immersive sia un tipo di esperienza verso cui ci si sta muovendo ma che al momento è ancora innaturale e poco confortevole per gli utenti”. E lo scrolling? “Creando queste tre sezioni sono stato in grado di dare una forma alla storia e un orientamento, così che le persone possono scegliere cosa esplorare. Allo stesso tempo, volevo che l’utente, dopo il video introduttivo, avesse la possibilità di scivolare molto velocemente fino alla fine dell’esperienza e avere un’idea di cosa aspettarsi per poi tornare indietro ed esplorare i contenuti a suo piacimento. L’idea stessa del fiume fornisce questa struttura, la stessa impostazione con cui ho esplorato io in prima persona il fiume durante la spedizione del National Geographic che ho guidato nel 2012 e che è diventata la sezione 3. Ho potuto ricreare digitalmente l’esperienza di scendere lungo il fiume, vedere qualcosa di interessante e fermarsi per esplorare o scattare foto per poi riprendere la navigazione, dalla sorgente alla foce”. C’è qualcosa che cambieresti? “Non nella struttura. Tuttavia, nonostante il gran lavoro, ‘Elwha’ offre un’esplorazione superficiale: è stato perfetto come progetto di Master ma adesso, se avessi i fondi, mi piacerebbe tornare sul campo e produrre più contenuti e aggiungere strati alla narrazione approfondendo anche le diverse sezioni”. Da quali altri progetti hai preso più ispirazione? “Sono due, il primo è ‘Hollow’ con il suo perfetto immersive scrollitelling che, allo stesso tempo, era in grado di dare molte informazioni e suscitare altrettante emozioni. Per la sezione della spedizione, invece, in particolare la mappa che si anima con il procedere dello scrolling ed è parallela ai contenuti che rispecchiano le diverse tappe, l’ispirazione viene da un progetto del New York Times che si intitola “Riding the New Silk Road”, anche se io ho invertito la schermata, mettendo la mappa a sinistra. Realizzare queste mappe, soprattutto l’animazione, è stata una delle sfide più ardue che ho incontrato nel realizzare il progetto”. Pensi di continuare con i package o di tornare al documentario? “Entrambe le cose. Continuo a girare documentari, ma vorrei fondare una società di produzione multimediale. Mi piace l’idea di sfruttare Internet per ripensare il modo in cui il contenuto è condiviso e e il modo in cui le storie vengono raccontate. Penso sia una nicchia destinata a crescere”. Photo credits: Return to Elwha Digital Storytelling: è ancora "effetto Snow Fall" Il suo, di Online News Association’s Award, Snow Fall lo ha vinto l’anno scorso. In quell’occasione l’ormai emblematico reportage del New York Times sulla valanga che il 19 febbraio 2012 ha travolto un gruppo di sciatori uccidendone tre si è portato a casa il premio per Best Feature (Large). Tanto per rinfrescarci la memoria, Snow Fall ha vinto anche il Pulitzer, il medesimo anno. L’edizione 2014 degli Online Journalism Awards, tuttavia, vedrà il progetto del New York Times celebrare un altro trionfo: quello di essere riuscito a conquistare praticamente ogni redazione degli States (e anche molte al di fuori) ed essere diventato un trend. Di Snow Fall si è detto tutto: che è costato troppo, che era il futuro del giornalismo e anche che non era il futuro del giornalismo, che al New York Times potevano anche sperarci, ma non sarebbe stato questo tipo di progetti a cambiare il destino della Dama Grigia. Ci hanno spiegato come è stato fatto e anche che “tutti segretamente odiano Snow Fall”. “Snowfall”, invece, è diventato un termine per definire questo tipo di reportage digitali. Non è passata ancora abbastanza acqua sotto i ponti per valutare tutte le previsioni fatte lo scorso anno; di certo c’è che i progetti finalisti agli Online Journalism Awards di questo anno possono quasi tutti essere considerati “progetti à la Snow Fall” o “Multimedia Packages” come li chiamiamo qui alla UC Berkeley School Of Journlism: reportage in cui parti diverse della storia sono raccontate attraverso diversi elementi (testo, video, audio, data, animazioni) più o meno perfettamente integrati tra loro. Progetti alla Snow Fall insomma. Alcuni hanno preso un suo aspetto, come lo “scrollitelling”, la creazione di una topic page, le animazioni o il web documentary tanto per citarne alcuni, e lo hanno portato a un livello successivo. Per esempio, il National Film Board canadese ha preso il web documentary e l’interattività e ha costruito un reportage a puntate sotto forma di videogioco con “FortMcMoney” (l’NFB-interactive è uno dei “laboratori” migliori, sul loro sito ci sono i tutti i progetti da esplorare, sia per il loro valore intrinseco sia come fonte di ispirazione). In “Newtown, one year after”, invece, Mother Jones sfrutta al meglio la possibilità di impiegare media diversi con scopi diversi. Ci sono poi altri progetti finalisti che invece propogono un’evoluzione generale del modello Snow Fall: nuove soluzioni per la combinazione di scrollitelling, divisione in capitoli ed elementi visivi sono espresse in “Segregation Now” di ProPublica o in “Planet Money Makes a T-Shirt” di NPR (altro progetto diventato ormai un caso da manuale). Le redazioni tuttavia non sono le sole a essere state contaminate: oltre a quelle più alle prese con sperimentazioni, come è giusto che sia, ci sono anche le università e le scuole di giornalismo. Ci si lavora come intere classi, per mimare quello che sarà il lavoro di redazione (nelle speranze di studenti e professori) al di fuori della scuola: è il caso della CUNY con “Dense City” o della Kennesaw State University con “Back Home”, o come il celebrato “Powering a Nation” della University of South Carolina. Ci si lavora, però, anche in progetti di singoli che sono quelli più azzardati, che portano all’estremo le possibilità del mezzo prescelto, come “Fearless”, un documentario interattivo sui rischi che corrono quotidianamente le ragazze indiane che fanno le pendolari di Avni Nijhawan, girato in gran parte con i Google Glass o come l’articolato scrollitelling “Return to Elwa” (Full disclosure: la sottoscritta conosce personalmente gli autori di questi due progetti, sono ex colleghi della scuola di giornalismo di Berkeley). A dirla tutta, poi, la rivoluzione era già cominciata subito dopo il rilascio di Snow Fall: anche gli avversari su cui ha trionfato sono packages che nel reportage della valanga hanno trovato, in un modo o nell’altro, ispirazione, spunto o anche solo il coraggio di tentare questa strada: Firestorm (The Guardian), His Saving Grace (Chicago Tribune), Mumbai Madness – Traffic in a Megacity,( Deutsche Welle). Quella di quest’anno è il normale proseguimento del processo iniziato alla fine del 2012. I vincitori del 2014 saranno annunciati solo il 27 settembre, poi la sperimentazione continuerà e il prossimo anno ancora nuove evoluzioni saranno presentate, probabilmente ricche di data visualization e infografiche, alcune anche “mobile first”. Da un certo punto di vista, poco importa chi vincerà quest’anno, il prossimo o anche il successivo ancora: Snow Fall ha già vinto. Di nuovo. Online Journalism Awards L’Online News Association è una organizzazione internazionale senza scopo di lucro per i giornalisti digitali, con l’obiettivo di collegare giornalismo, tecnologia e innovazione. Nel mondo in rapida evoluzione del giornalismo, ONA si pone come un catalizzatore per l’innovazione nella narrazione attraverso tutte le piattaforme, una risorsa per i giornalisti in cerca di una guida e di crescita, e un modello di “best practices” attraverso la formazione, l’assegnazione di premi, la sensibilizzazione della comunità. Dal 2000 ONA ha istituito gli Online Journalism Awards per premiare l’eccellenza giornalistica in campo digitale. Quest’anno la scadenza per la presentazione dei lavori da porre in concorso è fissata, salvo proroga al 21 giugno 2013. Ne abbiamo parlato con Mario Tedeschini Lalli* che è membro del Consiglio direttivo (Board) dell’ONA dal 2012 e presiede il suo Comitato internazionale. Online News Association è una grande organizzazione internazionale nordamericana con al centro lo sviluppo ed il sostegno per il giornalismo digitale: quali le principali attività svolte ed i settori di competenza? Tra questi esiste anche una attenzione alle tematiche etiche e di accountability? “ONA è una grande organizzazione internazionale, non solo americana – anche se la maggioranza degli iscritti in questo momento è statunitense e canadese. E’ nata nel 1999 per offrire al nascente settore del giornalismo online un luogo dove discutere del lavoro e delle questioni che il digitale stava cominciando ad aprire: best practices, strumenti, discussioni di quadro, ecc. Lo strumento principale è la Conferenza annuale, che quest’anno si terrà ad Atlanta dal 17 al 19 ottobre . Ci sono poi attività “locali” di approfondimento, discussione e networking, ONAWashington, ONALA, ONAToronto, ma anche ONAItalia, ONASpain ecc. L’associazione organizza anche gli ONA Camps, per la formazione di giornalisti in diverse località degli Stati Uniti. Ovviamente in questi temi le questioni etiche sono anch’esse al centro della discussione, ma direi come una specie di filo rosso che attraversa tutto il dibattito: si tratta infatti di questioni e principi che nel dibattito giornalistico americano sono molto più antichi e comuni di quanto non siano da noi”. Online Journalism Awards: come nascono, e quale obiettivo principale? “Sono nati nel 2000 per individuare e premiare l’eccellenza giornalistica in campo digitale. Fino allo scorso anno i siti in lingua non inglese erano valutati in due categorie speciali, quasi dei ghetti linguistici: da questa edizione qualunque sito e qualunque progetto in qualunque lingua può concorrere in tutte le categorie. Speriamo che questo renda gli OJA sempre più lo specchio di quanto di buono si produce nel giornalismo digitale di tutto il mondo. La giuria selezionerà durante l’estate tre finalisti per ogni categoria e i vincitori saranno annunciati nel corso della serata finale della Conferenza annuale ad Atlanta, il 19 ottobre. E’ bene notare che per alcune categorie sono previsti anche premi in denaro, per oltre 37.000 dollari”. Sono riservati ai soli iscritti ONA? “Assolutamente no. Gli iscritti ONA, però, hanno uno sconto sulla quota di iscrizione al premio”. Come funzionano: per categorie di argomenti pittosto che per aree geografiche.? “I siti o i progetti specifici possono candidarsi per una o più delle categorie presenti, senza alcuna distinzione di area geografica. Le categorie sono: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. Breaking News Planned News/Events Explanatory Reporting Topical Reporting Online Commentary Feature Student Projects Gannett Foundation Award for Technical Innovation in the Service of Digital Journalism Gannett Foundation Award for Innovative Investigative Journalism Gannett Foundation Award for Watchdog Journalism Knight Award for Public Service General Excellence in Online Journalism All’interno delle diverse categorie ci sono diversi premi a seconda delle “dimensioni” del sito in questione: piccolo, medio o grande, in questo modo – per esempio – il lavoro di un sito individuale o di una piccola organizzazione giornalistica non sarà paragonato al lavoro del New York Times o di Le Monde”. Quali prossimi obiettivi per ONA? “Ci stiamo concentrando molto sui rapporti internazionali e sulla possibilità di stabilire delle partnership al livello internazionale, perché l’organizzazione sia in grado di accogliere e riflettere la ricchezza e la complessità del giornalismo online di tutto il mondo. (ONAitalia, per esempio, ha da anni una collaborazione con il Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.) Stiamo inoltre accelerando nel campo della formazione e abbiamo appena ricevuto un grant per la costruzione di una piattaforma dove raccogliere e condividere strumenti e moduli di formazione per giornalisti digitali”. *Mario Tedeschini Lalli è vicedirettore Innovazione e Sviluppo del Gruppo Editoriale l’Espresso. Per molti anni giornalista impegnato nelle agenzie di stampa e nei quotidiani, dal 1997 è passato al giornalismo digitale. E’ stato responsabile delle redazioni di Repubblica.it, di CNNitalia.it e Kataweb.it. Ha creato e guidato un gruppo di sperimentazione multimediale e da dieci anni tiene il blog “Giornalismo d’altri”, che si occupa di giornalismo internazionale. Insegna Giornalismo digitale all’IFG di Urbino e Storia del Giornalismo a RomaTre. E’ membro del Consiglio direttivo (Board) dell’ONA dal 2012 e presiede il suo Comitato internazionale.